Secondo il filosofo Sartre "l'esistenza precede l'essenza". Ciò significherebbe (se interpreto bene, ma credo di sì...) che l'uomo, ogni essere umano, all'inizio non è niente, non ha nessun valore, nessuna dignità, non è definibile in nessun modo, ma acquisisce successivamente valore e dignità in rapporto al suo progetto di vita, a ciò che sceglie di essere. In base al progetto di vita si delineerebbe quindi il valore, l'essenza appunto, che sarebbe una sovrastruttura successiva all'esistenza.
Ma se si assume come vera la posizione sartriana, ne deriverebbero gravi implicazioni etiche. Infatti siccome l'essere umano non avrebbe alcun valore alla nascita,allora si potrebbe anche decidere, per qualche motivo, di sopprimere un neonato, dal momento che non esisterebbe un valore etico che impedirebbe tale azione. Inoltre l'essenza da che cosa sarebbe data? Non ci sarebbe nessun valore assoluto, nella posizione decisamente atea e relativistica di Sartre, che determinerebbe in modo chiaro il valore della persona: infatti lo stesso progetto di vita potrebbe essere ritenuto ottimo per alcuni e invece pessimo per altri, quindi non esisterebbe nessuna discriminante per decidere chi veramente è degno di esistere e chi invece non ha valore. Quindi deduco che la concezione di Sartre sia definibile come NICHILISMO ETICO. E' corretta secondo voi la mia interpretazione della visione che aveva Sartre dell'uomo?
C'è una frase di Sartre che mi piace molto: "l'uomo è ciò che fa di quanto lo si è reso". Una frase che riassume il pensiero di Sartre come nessun altra. E attraverso di essa è possibile anche comprendere la superiorità del esistenza rispetto all'essenza. In Sartre vige la necessità di dichiarare la libertà prometeica e quindi in parte tragica dell'uomo. Porre al centro l'esistenza non significa sminuire il valore delle singole vite, perché anzi l'esistenzialismo si pone specularmente nei confronti delle grandi ideologie di massa, secondo le quali il singolo può essere sacrificato per "delle idee".
Sartre vuole sottolineare, un po' pedagogicamente, la necessità di scegliere, di condurre un progetto che abbia senso, e secondo Sartre questo progetto è libero, nel senso di liberamente scelto, ma contemporaneamente votato ad essere anche eticamente volto a "liberare" gli altri. La libertà di agire e la responsabilità verso gli altri, ognuno percepito nella sua alterità irripetibile. Questo è il messaggio di Sartre. Può anche essere che esso sia venato di nichilismo, ma è quello stesso nichilismo nobile che ha in Leopardi un altro massimo rappresentante.
In
questo link si chiarisce la frase e il suo senso antropologico aperto verso un umanesimo della prassi. In natura esistenza ed essenza coincidono deterministicamente. Solo l'uomo ha la capacità di dare un carattere essenziale alla sua esistenza assumendosene tutta la responsabilità. Senza numi o leggi naturali a cavargli le castagne essenziali dal fuoco. La responsabilità di quell'haideggeriano "essere gettato" dicendo niccianamente di sì.
Affermare che l'esistenza precede l'essenza, comporta un abbandono del senso ontologico di «essenza» in favore di un uso letterario del termine. Se in filosofia l'essenza è ciò che rende tale qualcosa trascendendone l'individuale e (s)oggettiva esistenza, nel momento in cui qualcosa, o meglio, un uomo, già esiste prima della (esistenza della) sua essenza, allora l'essenza diventa un a posteriori dell'esistenza umana; ovvero non è più essenziale (quindi non ne è ontologicamente essenza).
Se l'esistenzialismo è un umanismo, l'essenzialismo è uno "gnoseologismo" (di matrice metafisica, non epistemologica) non compatibile con un progetto soggettivo che si fa liberamente, che si essenzializza strada facendo: un'essenza che muta con il mutare dell'esistenza e dell'esistente di cui è essenza, non è autentica essenza, ma è "accidente per sé" (si direbbe nel vocabolario aristotelico-scolastico).
Per quanto riguarda il pro-gettarsi libero e sociale del soggetto (cercando qui di restare entro gli argini del discorso sartriano), esso sembra assurgere al ruolo di essenza-letteraria dell'umanismo di Sartre; che esso sia anche l'essenza-ontologica dell'uomo, essenza che ne precede l'esistenza? Se, citando ancora Sartre, «siamo condannati ad essere liberi» e progettanti, tale condanna non è forse l'essenza della condizione umana che precede ogni singola esistenza progettante?
La libertà (sartriana) delle scelte esistenziali (umane, ma non necessariamente umanistiche) è (co)stretta nel vincolo dell'essenziale progettabilità dell'esistenza umana, o essa è essenza-fondamento?
Anche esistesse un'essenza umana, in ogni caso si manifesterebbe dopo l'esistenza umana, intesa anche in senso collettivo, di specie, considerando che lo spettro delle libertà si è evoluto nel tempo. E' prima dovuto esistere un animale con certe attitudini perchè tali attitudini acquistassero un carattere essenziale.
Citazione di: Ipazia il 24 Settembre 2020, 12:14:21 PM
Anche esistesse un'essenza umana, in ogni caso si manifesterebbe dopo l'esistenza umana, intesa anche in senso collettivo, di specie, considerando che lo spettro delle libertà si è evoluto nel tempo. E' prima dovuto esistere un animale con certe attitudini perchè tali attitudini acquistassero un carattere essenziale.
Salve Socrate78, Ipazia e Phil. Stiamo navigando nel dubitabilmente esistente. Per capire che ogni intervento qui dentro è facilmente smontabile e capovolgibile, basteranno delle sopportabili digressioni da uno qualsiasi dei termini "essenziali" che qui dentro vengono impiegati.................ad esempio la distinzione tra l'essenza umana e la manifestazione dell'essenza umana.
Esistenza è un dato ontologico/fisico, essenza è un concetto metafisico. Anche a buttarla in semantica, l'esistenza viene prima dell'essenza.
La questione della "cornice" diventa a questo punto fondamentale per il discorso: quando parliamo di «essenza» ed «esistenza», stiamo parlando di ciò che è raffigurato nella cornice di Sartre, in quella della filosofia in generale (con annessa definizione
settoriale di «essenza») o in quella di ciascun forumista? Ovvero: per la metafisica (da Platone in poi) è anapodittico che l'essenza preceda crono-logicamente l'esistenza, per Sartre (che non parla di essenza ontologica) è vero il contrario; per altri (senza fare nomi) l'essenza non è dimostrabilmente esistente quindi è un falso problema o una questione di metafore.
Se restiamo, seguendo l'impostazione iniziale di
Socrate78, nella cornice sartriana, l'essenza non ha dimensione ontologica, ma solo valoriale, per cui non può che fondarsi sulla preesistente esistenza del soggetto, che poi sceglie e progetta tali valori "essenziali".
Al riguardo, le questioni poste da
Socrate78 mi sembrano pertinenti:
Citazione di: Socrate78 il 22 Settembre 2020, 20:55:55 PM
l'essenza da che cosa sarebbe data? Non ci sarebbe nessun valore assoluto, nella posizione decisamente atea e relativistica di Sartre, che determinerebbe in modo chiaro il valore della persona: infatti lo stesso progetto di vita potrebbe essere ritenuto ottimo per alcuni e invece pessimo per altri, quindi non esisterebbe nessuna discriminante per decidere chi veramente è degno di esistere e chi invece non ha valore. Quindi deduco che la concezione di Sartre sia definibile come NICHILISMO ETICO.
A tali osservazioni va aggiunta
come "carico" (facendo rientrare dalla finestra il concetto
ontologico di essenza) la considerazione che, anche rovesciando l'aforisma sartriano, il connubio fra l'essenziale progettualità dell'uomo e la libertà (da dei, sovrastrutture e dialettiche storicistiche, come lascia intendere Sartre nel testo di riferimento) resta un matrimonio con figli "essenzialmente" e "angosciosamente" relativisti e/o nichilisti (per dirla ancora con
Socrate78).
Citazione di: Socrate78 il 22 Settembre 2020, 20:55:55 PM
Secondo il filosofo Sartre "l'esistenza precede l'essenza". Ciò significherebbe (se interpreto bene, ma credo di sì...) che l'uomo, ogni essere umano, all'inizio non è niente, non ha nessun valore, nessuna dignità, non è definibile in nessun modo, ma acquisisce successivamente valore e dignità in rapporto al suo progetto di vita, a ciò che sceglie di essere. In base al progetto di vita si delineerebbe quindi il valore, l'essenza appunto, che sarebbe una sovrastruttura successiva all'esistenza.
Ma se si assume come vera la posizione sartriana, ne deriverebbero gravi implicazioni etiche. Infatti siccome l'essere umano non avrebbe alcun valore alla nascita,allora si potrebbe anche decidere, per qualche motivo, di sopprimere un neonato, dal momento che non esisterebbe un valore etico che impedirebbe tale azione. Inoltre l'essenza da che cosa sarebbe data? Non ci sarebbe nessun valore assoluto, nella posizione decisamente atea e relativistica di Sartre, che determinerebbe in modo chiaro il valore della persona: infatti lo stesso progetto di vita potrebbe essere ritenuto ottimo per alcuni e invece pessimo per altri, quindi non esisterebbe nessuna discriminante per decidere chi veramente è degno di esistere e chi invece non ha valore. Quindi deduco che la concezione di Sartre sia definibile come NICHILISMO ETICO. E' corretta secondo voi la mia interpretazione della visione che aveva Sartre dell'uomo?
Heideggerianamente parlando, più che esser niente, "ha da essere" come modalità essenziale: è possibilità.
dal punto di vista etico, direi che non si danno necessarie implicazioni dalla risposta alla questione della precedenza dell'esistenza sull'essenza o viceversa, in quanto, in accordo alla legge di Hume, non c'è alcun nesso di necessaria deduzione logica dall' "essere" al "dover essere". I giudizi morali esprimono sempre preferenze sentimentali arbitrarie, non ricavabili dalle posizioni in sede teoretica o ontologica riguardo la questione del rapporto essenza-esistenza, che inerisce al problema, non di come le cose dovrebbero essere, ma di come oggettivamente sono. Anche ammettendo una precedenza dell'essenza, questo non potrebbe impedire a chiunque di considerare la mia natura essenziale come sgradevole e auspicare di attribuirmene una diversa, squalificandola in questo modo, proprio perché le considerazioni di valore viaggiano su binari paralleli rispetto a quelle di fatto. Resta il fatto che una precedenza dell'esistenza sull'essenza resta un assurdo teoretico. Intendendo per esistenza il carattere di attualità, di dinamicità di un ente, e per essenza il "quid", la natura intrinseca in base a cui è possibile definirlo in un certo modo, allora la precedenza dell'esistenza dovrebbe implicare che io, come esistenza, avrei in un certo tempo del mio esistere, scelto, prodotto a posteriori la mia essenza, il mio essere "uomo", anziché cane, gatto ecc. L'assurdo sta nel fatto che in questo caso il contenuto di questa supposta scelta sarebbe espressione di una libertà che agisce nel vuoto, nell'indeterminato, nella totale assenza di cause, di motivazioni che determinerebbero la direzione della scelta. Sarebbe una libertà frutto del caso, ma considerando che il caso è solo il nome con cui definiamo la nostra ignoranza, ciò che è oltre i limiti della nostra conoscenza (che è sempre sapere di cause), motivare le scelte dell'esistenza riguardo l'assunzione di un'essenza anziché un'altra con il caso, non può essere una risposta fondata sulla realtà oggettiva, ma solo un'ammissione di ignoranza che è un problema della nostra mente soggettiva, non delle realtà. L'essenza non succede, cronologicamente o logicamente, all'esistenza, non ne è prodotto arbitrario, ma è quella tendenza originaria che orienta l'esistenza a realizzarsi in una direzione anziché un'altra. Non c'è mai stato un momento in cui, come esistenza abbia scelto di assumere l'essenza "umanità", anziché "gattità", o "canità" (faccio l'esempio di specie, per chiarire meglio il discorso, ma vale anche per l'essenza individuale come avere un certo tipo di personalità, di carattere, anziché un altro). Fin dal primo istante del mio esistere, dal concepimento, l'umanità, essenza dell'uomo, è ciò che ciò che ha impresso una intrinseca direzione predefinita al mio sviluppo, al netto degli accidenti legati alle influenze esterne, che si inseriscono all'interno della direzione originaria, possono ostacolarla, ma mai annullarla tout court. Né si può dire che l'essenza preceda l'esistenza: per farlo dovrebbe porsi come causa efficiente, motore che concretamente crea un'esistenza dal nulla, per fare questo dovrebbe essere realtà a tutti gli effetti, mentre invece l'essenza è idea (in un senso diverso però dalla pura astrazione a cui la relega l'empirismo, è idea che però incide per altri aspetti sul modo d'essere delle cose). Essenza ed esistenza non si succedono, convivono in contemporanea in ogni realtà rendendo in modi distinti ragione del suo essere. Senza esistenza, solo come essenza, la cosa resterebbe pura possibilità ideale priva di realtà, senza essenza l'esistenza sarebbe solo assurdo caos impossibilitato ad assumere una qualsivoglia determinazione (o qualunque scelta), resterebbe tutto e il contrario di tutto, ciò che la logica intende nei suoi princìpi come impossibile
"l'esistenza precede l'essenza" potrebbe intendere anche la priorità del corpo sulla mente: senza l'esistenza non c'è il pensiero dell'essenza.
Salve. Ma siamo così sicuri che il grande Sartre non intendesse affermare che sia l'ESSERE (e non l'esistente) a precedere l'essenza ?.
Sartre era un esistenzialista e aveva ben compreso la lezione di Heidegger che superava la metafisica dell'essere nell'esserci; nel Dasein immanente sempre verificabile e libero dai lacci veterometafisici dell'essere.
L'esistenzialismo é metafisica del Dasein, antitetica alla metafisica del Sein.
La visione per cui l'esistenza in-sé, precede l'essenza è una "nientità". Semplicemente perché è l'universo , è la natura che progettano l'esistenza, poi in secondo luogo, l'individuo umano intelligente ( ma lo è in quanto essenza della determinazione universale e naturale che dettano le condizioni di un'esistenza) a sua volta può progettare il suo orizzonte nell'esistenza, che è significazione, in quanto soggetta all' intelligenza universale.
Quindi correggerei dicendo che il significato esistenziale è un pro-gettarsi dopo essere stato gettato nel mondo .
I significati esistenziali, in questo quadro corretto, sono a loro volta la ricerca dell'essenza della vita, la sua significazione interpretativa in quanto libera, progettar-si. Ma le essenze esistenziali eventualmente cercate e trovate, non possono che a loro volta essere quelle universali= l'essere= la verità; ma proprio perché coerenti con l' universo e natura, ciò che determina l'esistenza sia fisica che meta-fisica.
L'esistenza se interpretata come "nientità", in quanto solo dopo si definisce come essenza,
quindi la precede il "niente" e finisce nel "niente", diventa narrazione ego-centrica, antropocentrica, come se prima fosse nato l'uomo e la sua interpretazione domina e precede sia la natura che l'universo, invertendo il segno significativo dell'essenza . La vita diventa negazione come segno dialettico.
L'aspetto sartriano è ego-centrico, narcisista, ma non in termini denigratori, necessariamente e logicamente così si finalizza, si avvita su se stessa. Perchè tutte le manifestazioni sono riflessive, prendono senso nel pensiero individuale senza un confronto, sono prive di ontologia. Significa che la libertà ,sempre sartrariamente, può caricarsi di responsabilità, ma diventa un atto e una scelta individuale e individualistica: una aleatorietà, in quanto la morale è priva di fondamento (per quale motivo un uomo dovrebbe essere responsabile? )
Mi trovo d'accordo con Davintro.
Citazione di: davintro il 24 Settembre 2020, 16:27:41 PM
dal punto di vista etico, direi che non si danno necessarie implicazioni dalla risposta alla questione della precedenza dell'esistenza sull'essenza o viceversa, in quanto, in accordo alla legge di Hume, non c'è alcun nesso di necessaria deduzione logica dall' "essere" al "dover essere". I giudizi morali esprimono sempre preferenze sentimentali arbitrarie, non ricavabili dalle posizioni in sede teoretica o ontologica riguardo la questione del rapporto essenza-esistenza, che inerisce al problema, non di come le cose dovrebbero essere, ma di come oggettivamente sono. Anche ammettendo una precedenza dell'essenza, questo non potrebbe impedire a chiunque di considerare la mia natura essenziale come sgradevole e auspicare di attribuirmene una diversa, squalificandola in questo modo, proprio perché le considerazioni di valore viaggiano su binari paralleli rispetto a quelle di fatto. Resta il fatto che una precedenza dell'esistenza sull'essenza resta un assurdo teoretico. Intendendo per esistenza il carattere di attualità, di dinamicità di un ente, e per essenza il "quid", la natura intrinseca in base a cui è possibile definirlo in un certo modo, [...]
ciao davintro, ho grassettato cosa intendi per essenza, in pratica ciò che si intende filosoficamente sino ad Heidegger, però in ambito esistenzialista e a partire da lui e dalle sue analisi esistenziali sull'uomo è appunto che l'essenza dell'uomo è di non avere una essenza intrinseca, tranne l'esistenza: non vi è un quid, una caratteristica tale per cui è distinto una volta per tutta dagli altri enti. Ed è in forza di questo che l'uomo decide "quid" (ha da) essere ed è libero.
Anche come intendi l'esistenza non è come è intesa dagli esistenzialisti, per la realtà umana l'esistenza non ha carattere di attualità, nel senso di datità e presenza, ma essa stessa oltrepassamento dell'attuale è star fuori dalla presenza, è apertura verso la possibilità.
O mi sbaglio?
Sono sostanzialmente d'accordo con la tua analisi che non fa una piega, ma solo se come presupposto assumiamo cosa tradizionalmente di intende con esistenza ed essenza, che vengono, a mio parere , un tantino rielaborati dall'esistenzialismo. In questa prospettiva in cui si colloca la citazione di Sartre, il cui senso direi che sottolinea come il carattere dell'uomo si definisce esistendo, non è dato. Questa visione si distanzia anche dalla prospettiva aperta da Heidegger, portandola ai limiti.
Citazione di: paul11 il 25 Settembre 2020, 00:09:24 AM
L'aspetto sartriano è ego-centrico, narcisista, ma non in termini denigratori, necessariamente e logicamente così si finalizza, si avvita su se stessa. Perchè tutte le manifestazioni sono riflessive, prendono senso nel pensiero individuale senza un confronto, sono prive di ontologia. Significa che la libertà ,sempre sartrariamente, può caricarsi di responsabilità, ma diventa un atto e una scelta individuale e individualistica: una aleatorietà, in quanto la morale è priva di fondamento (per quale motivo un uomo dovrebbe essere responsabile? )
Per quale motivo un uomo dovrebbe essere responsabile di fronte a numi palesemente inesistenti e frutto dell'immaginazione umana ? Eppure l'ethos umano si è evoluto malgrado tutte le assenze e vuoti di potere che sono venuti via via emergendo con sempre maggiore chiarezza fino alla morte dei numi e resurrezione zombica in forma di shahid.
Bastava meditare sul mio link per trovare la risposta al quesito e magari andarsi a leggere tutto l'intervento in originale per avere qualche elemento di critica e discussione sensato in più:
Citazione...Il testo della conferenza si chiude con la definizione dei concetti compresi nel titolo. «Umanismo, perché noi ricordiamo all'uomo che non c'è altro legislatore che lui, perché noi mostriamo che l'uomo si realizzarà precisamente come umano». Mentre «l'esistenzialismo non è altro che uno sforzo per dedurre tutte le conseguenze da una posizione atea coerente [...] è un ottimismo, una dottrina d'azione, e solo per malafede – confondendo la loro disperazione con la nostra – i cristiani possono chiamarci "disperati"».
La disperazione di cui parla Sartre è quella di chi si accorge di avere passato millenni a costruire ethos su statue di cera, scioltesi al sole già di fronte ai primi remoti illuminismi, fin dall'antica Grecia. Malgrado le persecuzioni cui sono stati sottoposti dai postulanti, finalmente orfani, di un Essere Assoluto che non dà mostra di sè da nessuna parte (e quando la dà sarebbe meglio per lui che non ci fosse). Qui sì vi è la tautologia di un mondo illusorio chiuso in se stesso, non nel transeunte Dasein che fluisce impetuosamente da una generazione all'altra "sempre uguale e sempre diverso" (cit). E soprattutto sempre
aperto, perchè la risposta al quesito esistenziale "Sein und Zeit" è "Sein in Zeiten". Essere nel Tempo, Essere in divenire, ovvero Esserci. Essere qui (Da-) ed ora.
Dasein con tutta la cura che consegue, fondativa di un ethos responsabile perchè non può rimandare ad alcuna entità aliena la responsabilità della giustizia, Dike. Deve assumersi in proprio il delitto è il castigo, toccando i Caino e salvando gli Abele.
CitazioneL'aspetto sartriano è ego-centrico, narcisista, ma non in termini denigratori, necessariamente e logicamente così si finalizza, si avvita su se stessa. Perchè tutte le manifestazioni sono riflessive, prendono senso nel pensiero individuale senza un confronto, sono prive di ontologia. Significa che la libertà ,sempre sartrariamente, può caricarsi di responsabilità, ma diventa un atto e una scelta individuale e individualistica: una aleatorietà, in quanto la morale è priva di fondamento (per quale motivo un uomo dovrebbe essere responsabile? )[/size]
Il pensiero sartriano è tutto, fuorché egocentrico e narcisista. In realtà è uno dei primi tentativi, dai tempi di Socrate, di fuoriuscire da narrazioni "dominanti e deresponsabilizzanti", facendo carico all'uomo, alla sua nudità di organismo vivente, la necessità di domandarsi e agire in un mondo senza dei, né celesti né terreni. L'esistenzialismo espone un corpo e dice questo è un corpo con la sua storia, la sua sofferenza, la sua felicità, abbine cura, sforzati di comprenderlo nella sua unicità, e comprendi anche la sua malvagità, la sua incomprensibilitá, la sua follia, la sua irriconoscenza, la sua debolezza. E fa questo senza chiedere in cambio alcuna conversione. È questo il tratto distintivo fondamentale, che riconduce ovviamente al nichilismo ma anche al principio responsabilità di Jonas. Non siamo più soggetti morali perché ubbidienti ad un dogma, ma dobbiamo noi responsabilmente, darci il dogma da seguire. E a questo dogma si deve rispondere. Ma non potrà mai essere un dogma qualunque. Un esistenzialista non potrà mai essere uno sterminatore alla "Dio riconoscerà i suoi", proprio perché ogni vita deve essere riconosciuta come unica, preziosa, irripetibile.
Scoomodando Kohlberg e i suoi stadi dell'agire morale, l'esistenzialismo si pone nella fascia dell'agire morale post-convenzionale, fondato su principi universali che scaturiscono dal singolo ma che, proprio attraverso il rispetto di ogni singolarità, trova il senso in un umanesimo che connette il pensiero greco con l'illuminismo, negando però l'ingresso ai mostri della ragione (scientismo, marxismo, fascismo) figli degeneri dell'illuminismo stesso.
L'umanesimo esistenzialista deve molto all'umanesimo marxista (... il bestiale e l'umano ... la critica radicale dell'inumanesimo capitalista che prende il posto dell'inumanesimo dogmatico religioso ...)
Citazione di: Jacopus il 25 Settembre 2020, 14:53:34 PM
CitazioneL'aspetto sartriano è ego-centrico, narcisista, ma non in termini denigratori, necessariamente e logicamente così si finalizza, si avvita su se stessa. Perchè tutte le manifestazioni sono riflessive, prendono senso nel pensiero individuale senza un confronto, sono prive di ontologia. Significa che la libertà ,sempre sartrariamente, può caricarsi di responsabilità, ma diventa un atto e una scelta individuale e individualistica: una aleatorietà, in quanto la morale è priva di fondamento (per quale motivo un uomo dovrebbe essere responsabile? )[/size]
Il pensiero sartriano è tutto, fuorché egocentrico e narcisista. In realtà è uno dei primi tentativi, dai tempi di Socrate, di fuoriuscire da narrazioni "dominanti e deresponsabilizzanti", facendo carico all'uomo, alla sua nudità di organismo vivente, la necessità di domandarsi e agire in un mondo senza dei, né celesti né terreni. L'esistenzialismo espone un corpo e dice questo è un corpo con la sua storia, la sua sofferenza, la sua felicità, abbine cura, sforzati di comprenderlo nella sua unicità, e comprendi anche la sua malvagità, la sua incomprensibilitá, la sua follia, la sua irriconoscenza, la sua debolezza. E fa questo senza chiedere in cambio alcuna conversione. È questo il tratto distintivo fondamentale, che riconduce ovviamente al nichilismo ma anche al principio responsabilità di Jonas. Non siamo più soggetti morali perché ubbidienti ad un dogma, ma dobbiamo noi responsabilmente, darci il dogma da seguire. E a questo dogma si deve rispondere. Ma non potrà mai essere un dogma qualunque. Un esistenzialista non potrà mai essere uno sterminatore alla "Dio riconoscerà i suoi", proprio perché ogni vita deve essere riconosciuta come unica, preziosa, irripetibile.
Scoomodando Kohlberg e i suoi stadi dell'agire morale, l'esistenzialismo si pone nella fascia dell'agire morale post-convenzionale, fondato su principi universali che scaturiscono dal singolo ma che, proprio attraverso il rispetto di ogni singolarità, trova il senso in un umanesimo che connette il pensiero greco con l'illuminismo, negando però l'ingresso ai mostri della ragione (scientismo, marxismo, fascismo) figli degeneri dell'illuminismo stesso.
la responsabilità presuppone l'autonomia e l'autonomia richiede l'ammissione di una dimensione di interiorità, autonoma, per l'appunto, dai condizionamenti esteriori al soggetto, indicante un'idea di personalità autenticamente "propria" a partire da cui trarre i criteri delle proprie scelte libere. Ovviamente non penso a una chiusura a compartimenti stagni interno-esterno, ciò che da questa dimensione interiore deriva è sempre mescolata, nel complesso della storia delle azioni, con le influenze esterne, ma andando per analisi, considerandola di per sé, essa indica comunque una tendenza originaria in atto sin dal primo istante della storia dell'ente, che Aristotele aveva genialmente colto nel concetto di "entelechia", divenire come dispiegamento di un senso predefinito, dall'uovo di gallina procede una spinta alla nascita della gallina e non di un fagiano. Ora, la posteriorizzazione dell'essenza rispetto all'esistenza è proprio ciò che cancella questa dimensione interiore, in quanto l'esistenza, cioè il determinarsi all'interno delle contingenze ambientali, le relazioni con il mondo esterno. è ciò che in quest'ottica produce l'essenza, cioè l'identità interiore, la spinta a realizzare una certa idea di sé al di là di ciò che è altro da sè. Insomma, l'esteriorità precede e produce l'interiorità, le relazioni producono l'identità. Ed ecco che parlare di autonomia e responsabilità non ha più senso, non c'è più nulla di "auto", privata dell'essenza, l'esistenza resta il prodotto fortuito di circostanze e fattori esterni al proprio essere, se fossi vissuto in tempi e luoghi diversi avrei compiuto scelte diverse, e per questo non c'è alcuna responsabilità, perché non c'è alcuna identità originaria, alcuna "davintrità" da considerare e giudicare a prescindere da ciò con cui mi è capitato di imbattermi. In questo senso l'assunto esistenzialistico della precedenza dell'esistenza sull'essenza mi pare stare di fatto nella stessa linea antropologica dell'empirismo moderno, anche se utilizzando categorie e terminologia ben diverse: senza un'essenza autonoma dalle esperienze del mondo esterno, l'uomo nasce tabula rasa su cui si accumulano progressivamente le conseguenze di queste esperienze, che l'esistenza può solo subire, ma non affrontare attivamente, dato che privata di un'essenza originaria, non sarebbe più caratterizzata da alcuna tendenza intrinseca a partire da cui poter selezionare e rielaborare in modo libero e soggettivo i contenuti dell'esperienza esterna. Che libertà ci può essere in un vaso vuoto da riempire successivamente al suo essere reale (o "imbuto" direbbe la Azzolina...)?
Per Lou
bisognerebbe capire se queste rielaborazioni delle categorie ontologiche tradizionali che l'esistenzialismo opera debbano essere intese più su di un piano strettamente terminologico, oppure più come implicante una prospettiva teorica ben distinta, non solo linguisticamente, ma anche nel suo contenuto generale di immagine della realtà, rispetto alla metafisica classica. Nel primo caso basterebbe chiarire le nuove definizioni, intendere i significati che l'esistenzialismo attribuisce a "essenza" o a "esistenza" e a partire da ciò rivedere i giudizi circa la sostenibilità logica delle sue posizioni. Nel secondo caso, mi pare che questo diverso complesso di premesse teoriche andrebbe ricercato in una concezione di tipo indeterministico e irrazionalistico della realtà, in cui il caso invece di esser visto, come lo vedrei io per il nulla che conta la mia opinione, come ignoranza, relativa ai limiti soggettivi della nostra conoscenza, assurge a corretta risposta ai quesiti ontologici e metafisici sul perché delle cose, senza alcuna causalità ad imprimere delle tendenze, per l'appunto, essenziali, nelle loro correlazioni agli effetti, ai vari aspetti della realtà che si cerca di spiegare. Concezione a cui si unisce una definizione in chiave anticompatibilista della libertà, libertà come assoluta e generale assenza di necessità, che sarebbe reale proprio in quanto espressione dell'indeterminismo che caratterizza, per l'appunto, la realtà. In favore di questa seconda ipotesi si potrebbe considerare un, per quanto minimale e grossolano, inquadramento storico, per il quale l'esistenzialismo, a partire dall'inizio degli studi su Kierkegaard, si sviluppa nei primi del 'Novecento sulla spinta di un clima culturale di reazione ai sistemi idealistici e positivisti ottocenteschi, alle loro pretese di vedere la storia come progresso lineare e razionale governato da una logica necessità. Questo clima di reazione si caratterizza appunto per certi toni irrazionalisti e vitalisti di cui possiamo trovare espressione in un Nietzsche o anche, per certi aspetti, a un Bergson
Volendo usare il concetto metafisico di essenza, nel modo in cui lo declina davintro, esso nella migliore ipotesi coincide con l'esistenza fisica di un individuo umano e non la può anticipare.
La responsabilità é epifenomenica dell'esistenza e si manifesta nel mettere in gioco la propria esistenza individuale aldilà (e aldiqua) di ogni ipotetica, idealisticamente platonica, postulazione di essenza umana.
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Ipazia e Jacopus
L'esistenzialismo, come tutte le correnti di pensiero moderne e contemporanee salvo rarità, sono soggettiviste ed esperienziali , quindi ritengono che l'esistenza (soprattutto la propria esistenza) possa raccogliere significazioni, senso ed essenza nel proprio sistema autoreferenziale, i quanto l'esistenza è fine a se stessa, in-sè.
E' ovvio quindi che sia auto contemplativo, che qualunque declinazione culturale ne maturi internamente sia rispondente all' uso e consumo umano. Il soggetto conoscitivo diventa dirimente su qualunque altro aspetto, per cui la natura e l'universo diventano luogo sì di conoscenza, ma autoreferenziale, funzionale al soggetto umano, alla sua potenza.
In un ottica così ristretta, la responsabilità è un moto , un impulso passionale individuale e del tutto soggettivo, come la "presa di coscienza". E' ovvio l'individualismo come derivazione del soggettivismo, ma questo significa anche che gli impulsi non certo positivi e benevoli sono di identico livello in un sistema autoreferenziale. Perchè i principi, non hanno fondamenta se non per esigenza di tenere unita una comunità.Così diventa importante la legislazione, in quanto limita l'azione e sanziona. Ma cosa costruisce la legislazione? La storia, il punto di vista sulla natura umana, dal buon selvaggio all'uomo lupo. Tanto che dal giusnaturalismo al positivismo giuridico, diventano derivazioni della filosofia generale moderna. I principi sono fondati sulle relazioni umane e nulla altro.
E' inutile trovare una morale che fonda i principi dei valori come la giustizia. L'idea di giustizia è potere dei vincitori sui vinti, potere di determinare le legislazioni, gli scambi economici, le relazioni formali, informali e reali umane.
L'esistenzialismo di Sartre è una delle tante correnti culturali, non è una vera e propria filosofia per quanto ne abusi i termini. Sartre fa soprattutto estetica, come tutto l'esistenzialismo compreso Heidegger, (anche se quest'ultimo è di ben altro spessore filosoficamente parlando e meriterebbe una discussione a sè) Ma è normale che filosoficamente una tale banale struttura cancelli la morale in quanto inconsistente in un tale sistema .l'etica diventa spontaneismo e legge e primeggi l'estetica.
L'esistenzialismo francese è musica, cinema, narrativa, poesia, insomma arte, appunto estetica. E' un atteggiamento per quanto possa essere simpatico, ma velleitario filosoficamente .
L'ottica immanente sarà pure ristretta ed autoreferenziale, ma rimane la migliore in termini di corrispondenza tra intenzioni e fatti non essendo contaminata da fantasie illusionali che, alla prova dei fatti, hanno dato e stanno dando (anche ieri in Francia) pessima prova di sè. (...non capisco proprio dove, al di fuori dell'umano, si dovrebbe trovare una misura dell'umano...)
Il percorso etico immanente non si fonda su verità trovate sotto i funghi o nelle stravaganze di cervelli individuali ma sui bisogni e beni comuni, oggettivamente scalabili e razionalmente confrontabili e contrattabili. O, come dicono antichi saggi, storicamente (e naturalmente) determinati.
Va poi aggiunto che l'essenza umana, metafisicamente anteposta, è andata a farfalle relativiste mica poco: Aristotele non avrebbe mai scambiato la sua essenza umana con quella di uno schiavo, essenzialmente diversa e più prossima all'animale da soma. Platone la collocava nell'iperuranio a priori. E, come Nietzsche, pensava riguardasse una infima minoranza di privilegiati a metà strada tra guerrieri e filosofi. Rousseau diceva: tutti nascono uguali. Ma forse aveva le idee poco chiare sulla differenza essenziale tra nascere in una baracca o in una reggia. Anche oggi è difficile trovare una comunanza essenziale tra un padrone e un salariato durante la timbratura del cartellino. Se andiamo in oriente l'essenza umana proprio non esiste, dissolta com'è nel ciclo delle reincarnazioni e illuminazioni.
Alla fine della licenza non rimane di riscontrabile concretamente null'altro che un'essenza umana variabile, faticosamente conseguita per via storico-evolutiva, il che rende il concetto "essenza (umana)" superato e, come piace a phil, meglio sostituibile da concetti antropologici più adeguati.
Salve. Vedete (Vedi, Ipazia ?) quanta fatica e quante parole occorrano per cercare (vanamente) di charire ciò che si mostra complesso, incompleto, relativo e contradditorio................mentre è in realtà evidente, ovvio, naturale ?
Quanto sopra riguarda - ad esempio - la qui sottostante citazione "Rousseau diceva: tutti nascono uguali. Ma forse aveva le idee poco chiare sulla differenza essenziale tra nascere in una baracca o in una reggia. Anche oggi è difficile trovare una comunanza essenziale tra un padrone e un salariato durante la timbratura del cartellino. Se andiamo in oriente l'essenza umana proprio non esiste, dissolta com'è nel ciclo delle reincarnazioni e illuminazioni.
Alla fine della licenza non rimane di riscontrabile concretamente null'altro che un'essenza umana variabile, faticosamente conseguita per via storico-evolutiva, il che rende il concetto "essenza (umana)" superato e, come piace a phil, meglio sostituibile da concetti antropologici più adeguati".
Forse meglio riscriverla così : Rousseau diceva: tutti nascono in pari in dignità (non in eguaglianza ! Vedete che anche i Grandi sbagliano ?) benchè notevolmente diversi in opportunità e circostanze. Non scrisse in quest'ultimo modo poichè stava pensando solamente a come si viene concepiti e non a agli eventuali sviluppi esistenziali del concepimento, anche se alcuni, secondo me sbagliando, gli hanno poi attribuito idee poco chiare sulla differenza essenziale tra nascere in una baracca o in una reggia.
Anche oggi è difficile trovare una comunanza essenziale tra un padrone e un salariato durante la timbratura del cartellino. Ciò viene affermato da Ipazia la quale finge di considerare l'obbligo di timbratura del castellino una discrepanza essenziale tra padrone e salariato, mentre invece basterebbe una volgarissina rivoluzione marxista planetaria (evento in sè trascurabile all'interno delle specificità ed essenzialità umane) per sovvertire tale pretesa essenzialità.
Se andiamo in oriente l'essenza umana proprio non esiste, dissolta com'è nel ciclo delle reincarnazioni e illuminazioni. (Afferma secondo me giustamente Ipazia). Infatti nelle società, culture, filosofie orientali l'essenzialità e la specificità umane sono sempe state poco valutate dal momento anche che il protocapitalismo di quelle civiltà mai si è occupato di discerne tra risorse , energie e disponibilità umane ed animali (vista anche la mancanza del'annuncio monoteistico occidentale nel quale un Dio stranamente umaneggiante proclamò l'essenza umana come superiore a quella animale)..
"Alla fine della licenza non rimane di riscontrabile concretamente null'altro che un'essenza umana variabile, faticosamente conseguita per via storico-evolutiva (che viator chiama coscienza, ma.....) che phil non riconosce, considerando comunque egli il concetto "essenza (umana)" superato e meglio sostituibile da concetti antropologici più adeguati benchè non definiti anche se vagamente descritti. Saluti.
Citazione di: viator il 27 Settembre 2020, 13:57:47 PM
Salve. Vedete (Vedi, Ipazia ?) quanta fatica e quante parole occorrano per cercare (vanamente) di charire ciò che si mostra complesso, incompleto, relativo e contradditorio................mentre è in realtà evidente, ovvio, naturale ?
Riscrivere i testi altrui non è quasi mai una buona idea perchè si rischia di aggiungere agli altrui errori i propri:
CitazioneForse meglio riscriverla così : Rousseau diceva: tutti nascono in pari in dignità (non in eguaglianza ! Vedete che anche i Grandi sbagliano ?) benchè notevolmente diversi in opportunità e circostanze. Non scrisse in quest'ultimo modo poichè stava pensando solamente a come si viene concepiti e non a agli eventuali sviluppi esistenziali del concepimento, anche se alcuni, secondo me sbagliando, gli hanno poi attribuito idee poco chiare sulla differenza essenziale tra nascere in una baracca o in una reggia.
Rousseau avrebbe dovuto anticipare di 9 mesi la sua affermazione limitandosi all'aspetto
naturale del concepimento, perchè l'aspetto
sociale di esso avrebbe comunque ribadito la
essenziale differenza tra l'ingravidamento di una regina e di una contadina.
Chiamare in causa la
dignità ci allontana ancor più da una pretesa essenza umana universale, tant'è che da sempre i
dignitari sono una elite poco rappresentativa dell'intera società. Anche se il termine è desueto, continua a funzionare ancor meglio per i cortigiani ammessi alla Versailles dell'attuale re Sole, il Capitale. Con poche parole il concetto è espresso nella magistrale interpretazione di Sordi del marchese del Grillo, che pone una pietra tombale su ogni illusione di essenza umana.
CitazioneAnche oggi è difficile trovare una comunanza essenziale tra un padrone e un salariato durante la timbratura del cartellino. Ciò viene affermato da Ipazia la quale finge di considerare l'obbligo di timbratura del castellino una discrepanza essenziale tra padrone e salariato, mentre invece basterebbe una volgarissina rivoluzione marxista planetaria (evento in sè trascurabile all'interno delle specificità ed essenzialità umane) per sovvertire tale pretesa essenzialità.
Essenzialità che rimane tale negli aspetti contrattuali del lavoro salariato nel modo di produzione capitalistico.
CitazioneSe andiamo in oriente l'essenza umana proprio non esiste, dissolta com'è nel ciclo delle reincarnazioni e illuminazioni. (Afferma secondo me giustamente Ipazia). Infatti nelle società, culture, filosofie orientali l'essenzialità e la specificità umane sono sempe state poco valutate dal momento anche che il protocapitalismo di quelle civiltà mai si è occupato di discerne tra risorse , energie e disponibilità umane ed animali (vista anche la mancanza del'annuncio monoteistico occidentale nel quale un Dio stranamente umaneggiante proclamò l'essenza umana come superiore a quella animale)..
Mi pare che, al contrario, il punto di vista fisico e metafisico orientale sia post, piuttosto che pre, rispetto alle pacchianate antropomorfiche e utilitaristiche della koinè occidentale.
Citazione"Alla fine della licenza non rimane di riscontrabile concretamente null'altro che un'essenza umana variabile, faticosamente conseguita per via storico-evolutiva (che viator chiama coscienza, ma.....) che phil non riconosce, considerando comunque egli il concetto "essenza (umana)" superato e meglio sostituibile da concetti antropologici più adeguati benchè non definiti anche se vagamente descritti. Saluti.
Ci vuole poco per descrivere l'inadeguatezza di concetti (reificati) universalistici come essenza (umana). Sconfessati dalla loro stessa storia semantica.
Mi auguro di aver rispettato l'invito alla concisione ;D