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LOGOS - Argomenti => Tematiche Filosofiche => Discussione aperta da: Kob il 25 Dicembre 2023, 09:08:41 AM

Titolo: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Kob il 25 Dicembre 2023, 09:08:41 AM
Un noto manuale di teologia giustifica l'esistenza della teologia fondamentale come la riflessione necessaria per "dare risposta a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi", citando la nota la frase della prima lettera di Pietro.
La speranza dei primi cristiani, ancora molto vicini all'ebraismo e poco avvezzi al platonismo, era quella dell'esistenza di un Dio che sì, li avrebbe accolti dopo la morte, ma capace anche di trasformare il mondo. Il Regno di Dio è qui, in questo mondo, appunto.
Inizia la storia. Ambigua nel miscuglio del "già e non ancora".

Questa epopea però è finita. Non si spera più nella trasformazione del mondo, per opera di un Dio o per effetto di una rivoluzione. Tantomeno si spera in una vita dopo la morte.
La speranza ora riguarda la propria salute mentale, il proprio equilibrio, il proprio benessere. La vita privata, insomma.
Tutto è concentrato nel presente. Il futuro è l'apocalisse ambientale. È l'incomprensibilità delle istituzioni in cui avvengono le decisioni politiche.

Rinunciare ad ogni speranza nel futuro è allora da una parte ciò che viene auspicato dal capitalismo (perché la speranza che si concentra nel presente privato significa soprattutto consumo e assenza di qualsivoglia opposizione organizzata), dall'altra anche un modo per sottrarsi ad un'illusione millenaria, un modo, forse l'unico, di liberazione reale.

Vorrei capire, e quindi vi chiedo:
1. se sia preferibile conservare l'attitudine a sperare in grande, nonostante tutto;
2. se invece, nel caso si decida per una rinuncia ad essa, tale rinuncia possa essere intesa come saggezza filosofica, o invece piuttosto come l'effetto definitivo di una manipolazione sociale e politica per rendere l'essere umano sempre più simile ad una macchina che produce e consuma.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Jacopus il 25 Dicembre 2023, 09:56:18 AM
Bisognerebbe sperare ancora ma per essere reale quella speranza dovrebbe essere pratica e quindi "faticosa". Significherebbe abolire privilegi e consumi e quindi rovesciare il mondo manipolatorio che descrivi al punto due, che rappresenta molto bene la nostra condizione. La rinuncia alla speranza è collegata non tanto ad una saggezza superiore ma ad un sentimento di profonda angoscia.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Pio il 25 Dicembre 2023, 10:29:01 AM
Direi decisamente anch'io il punto 2. Non si vede grande saggezza in giro, anzi. Però aggiungerei che anche la speranza religiosa in una radicale trasformazione è venuta meno. Soprattutto il cristianesimo si è appiattito sul contingente, sul problema immediato, sull' interrogarsi su come rispondere alla secolarizzazione secolarizzandosi. L'epoca attuale vive anche la delusione data proprio dalla fine delle grandi illusioni, sociali e politiche del novecento. Non c'è più NULLA in cui aver fiducia: né in un Dio silenzioso né nell'uomo. È si può bere tutti i Fernet branca di questo mondo ma l'angosciante senso di solitudine davanti a enormi e irrisolvibili problemi non si digerisce.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: bobmax il 25 Dicembre 2023, 11:52:24 AM
Secondo me, occorrerebbe prima indagare il significato di "speranza".
In cosa spera chi spera?

La speranza è davvero rivolta ad un ipotetico futuro migliore, oppure va ben più in profondità, cioè vuole molto di più?
Davvero sarei soddisfatto se il mio futuro di felicità si avverasse? Se pure tutto il mondo fosse finalmente felice?

O non rimarrebbe sempre un'ombra, una tristezza per il male, la sofferenza che sono comunque stati nel mondo passato?

Questa mia speranza, non è rivolta in fin dei conti all'annullamento di ogni male passato, presente e futuro?
Non bramo forse l'impossibile, senza il quale ogni speranza sarebbe vana?

E allora dove può rivolgersi questa speranza, se non verso la Verità?

La speranza è fede, l'unica autentica fede, fede nella Verità.
Verità impossibile, ma per Dio tutto è possibile.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Alberto Knox il 25 Dicembre 2023, 12:33:34 PM
Che lo vogliamo o no siamo dentro questo ingranaggio folle di produzione e cunsumo. Oggi siamo superingozzati di notizie e  di prodotti sul mercato , tutto il mondo di oggi si fonda sulla materia e, di conseguenza,  sui criteri su cui viene gestita la materia, avere più che l'essere. E poi tutto il sistema economico è fondato esclusivamente sul profitto. Se noi ci mettiamo a pensare capiamo subito che ciò di cui abbiamo veramente bisogno non è quello che il sistema ci da. Dove si è costretti a lavorare a ritmi spaventosi, in orari e turni che spesso destabilizzano il normale ritmo della vita per produrre delle cose per lo più inutili dove altri lavorano a ritmi spaventosi per poter comprare, implementare e rivendere. Perchè questo è ciò che da soldi alle multinazionali, alle grandi e medie aziende. Si può forse uscire da questo ingranaggio folle che umilia le nostre esistenze?
Se sì, ditemi come si fa.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: InVerno il 25 Dicembre 2023, 13:55:24 PM
Una cosa è la speranza, un altra è l'ottimismo, dove l'origine della prima è personale, paradigmatica la seconda. Si può, perciò, essere pessimisti ed avere speranza, o meglio, ha senso, filosoficamente.  Ed è anche la radice cristiana del topic, la fine del mondo paventata da Cristo era certamente pessimista, ma la speranza personale di superarla se non di vincerla, altrettanto forte. Non diversamente oggi, si possono nutrire diverse idee su come il mondo non vada bene, ma questo non preclude la porta della speranza. Sul lungo periodo, lungo lungo, gli ottimisti vincono sempre la scommessa, anche l'ottimismo ha senso filosofico, anche se forse ne ha poco pratico. La questione del "pensare in grande" è diversa, c'è un cambio generazionale da fare prima.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Ipazia il 25 Dicembre 2023, 14:12:22 PM
La capacità corruttiva del Capitale è talmente onnipotente e pervasiva che la speranza si coniuga col credo quia absurdum est.

Malgrado ciò la speranza è l'ultima dea che meriti credito e ogni crepa del Capitale è pr(o/e)messa di redenzione.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: anthonyi il 25 Dicembre 2023, 14:41:11 PM
Citazione di: Pio il 25 Dicembre 2023, 10:29:01 AM. L'epoca attuale vive anche la delusione data proprio dalla fine delle grandi illusioni, sociali e politiche del novecento. Non c'è più NULLA in cui aver fiducia: né in un Dio silenzioso né nell'uomo. .
Sono finite, almeno si spera, le illusioni rivoluzionarie che tanti errori hanno portato e continuano a portare, quello che rimane è quello che gia c'era prima, e che viene continuamente riscoperto. Tra questo certamente Dio, un Dio che è silenzioso solo per chi non lo sa ascoltare, è certamente la cosa piu importante in cui riporre la speranza, ma anche nell'uomo, soprattutto nell'uomo che sa ascoltare la voce di Dio nel suo cuore.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Jacopus il 25 Dicembre 2023, 15:26:58 PM
Questo Dio consolatorio è inutile quando non è complice dell'attuale rovina del pianeta terra. Un Dio vero dovrebbe realmente schierarsi dalla parte dei vinti e dalla parte della giustizia e ciò dovrebbe fare chi lo invoca. Un Dio vero e i suoi seguaci dovrebbero schierarsi a favore dell'uomo e non del suo simulacro, il denaro. In caso contrario saranno preghiere fredde e violente, nella loro apparente spiritualità asettica. Essere coerenti con il Vangelo è estremamente faticoso.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Pensarbene il 25 Dicembre 2023, 16:26:58 PM
Povero Dio, povero Cristo e povero diavolo.
Detto questo io dico che gli esseri umani adulti sono grandi abbastanza per farcela da soli.In questo saranno facilitati se vogliono esserlo ma nessuno li considererà come bambini o  adolescenti  bisognosi di autorità di qualsiasi genere,spiriti compresi.
Quindi, cari umani adulti alzatevi e agite, se non volete farlo restare proni ai troni,sottostanti e sottomessi.
Non c'è altro da fare smettendola di aspettare Qualcuno o Qualcosa di salvifico o di terrificante:
NON ARRIVERANNO MAI.
Adesso un piccolo ragionamento: le guerre mondiali hanno obbligato centinaia  di milioni di persone ad alzarsi e combattere, civili o militari.
La pandemia anche, i disastri naturali pure.
Ma allora, vogliamo restare alzati e combattere anche in tempo di pace, di relativa tranquillità, di "normalità"  ? 
Combattere malattie, diseguaglianze, violazioni dei diritti umani,illegalità e tutto ciò che viola i nostri diritti di esseri umani SENZA BISOGNO DI CREARE SITUAZIONI ESTREME CHE CI OBBLIGANO A FARLO?
E soprattutto, senza obbligare gli Spiriti a contribuire e,a volte, in parte, creare, queste situazioni limite per costringerci a svegliarci e combattere?
Penso che abbiate capito quello che intendo dire.











 responsabili e capaci di esserlo in tutti quei campi in cui 
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Kob il 25 Dicembre 2023, 17:49:01 PM
Citazione di: bobmax il 25 Dicembre 2023, 11:52:24 AMSecondo me, occorrerebbe prima indagare il significato di "speranza".
In cosa spera chi spera?
La speranza è davvero rivolta ad un ipotetico futuro migliore, oppure va ben più in profondità, cioè vuole molto di più?
Davvero sarei soddisfatto se il mio futuro di felicità si avverasse? Se pure tutto il mondo fosse finalmente felice?
O non rimarrebbe sempre un'ombra, una tristezza per il male, la sofferenza che sono comunque stati nel mondo passato?
Questa mia speranza, non è rivolta in fin dei conti all'annullamento di ogni male passato, presente e futuro?
Non bramo forse l'impossibile, senza il quale ogni speranza sarebbe vana?
E allora dove può rivolgersi questa speranza, se non verso la Verità?
La speranza è fede, l'unica autentica fede, fede nella Verità.
Verità impossibile, ma per Dio tutto è possibile.

La speranza che rifiuta ogni limite e che si abbandona all'impossibile: è per me, per esempio, ciò che si incontra a ogni pagina del "Libro della mia vita" di Teresa d'Avila, una specie di radicale reinterpretazione della propria vita interiore ponendo come origine delle cose che contano (emozioni e pensieri potenti) Dio. Un continuo e reale dialogo con Dio.
E certo viene da considerare questo racconto intimo come il risultato della fantasticheria religiosa di una donna mortalmente annoiata (quindi una versione teologica di Don Chisciotte), poi però ci si ricorda di Edith Stein, incredibilmente colta e intelligente, piena di talento filosofico, che proprio leggendo Teresa, nel periodo in cui era assistente di Husserl, si abbandona allo stesso realismo religioso, cosa che le darà poi la forza di vivere il viaggio infernale verso Auschwitz piena di amore verso le altre vittime.

Sembrerebbe cioè che nella religione cristiana non ci possa essere misura: o con Teresa ed Edith Stein, o con la teologia colta di un Ratzinger, la quale è dialogo su Dio, non dialogo con Dio, come nel realismo dei santi, e quindi in fondo cultura, poesia. Il fascino dei simboli. Ma nessuno slancio reale "suicida" alla Francesco d'Assisi. Cioè, non si tratta propriamente di religione.

Tu scrivi che la speranza è fede nella Verità. E questa Verità è il rovescio di ciò che pensiamo sia reale. Ne è la prova il fatto che tale presunta realtà sia inaccettabile. È corretto?

Appena rifiutiamo le piccole consolazioni private veniamo investiti dall'orrore. Non la meraviglia, non lo stupore per l'essere, per una pienezza gratuita. Ma l'orrore. Il male.
Dopodiché? Nell'impotenza di un superamento razionale, di un cambiamento, che cosa facciamo? Ci facciamo una dormita e torniamo l'indomani a giocare? Ma se un bel giorno non riuscissimo più ad anestetizzarci?
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: daniele22 il 25 Dicembre 2023, 20:03:12 PM
Citazione di: Koba II il 25 Dicembre 2023, 09:08:41 AMUn noto manuale di teologia giustifica l'esistenza della teologia fondamentale come la riflessione necessaria per "dare risposta a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi", citando la nota la frase della prima lettera di Pietro.
La speranza dei primi cristiani, ancora molto vicini all'ebraismo e poco avvezzi al platonismo, era quella dell'esistenza di un Dio che sì, li avrebbe accolti dopo la morte, ma capace anche di trasformare il mondo. Il Regno di Dio è qui, in questo mondo, appunto.
Inizia la storia. Ambigua nel miscuglio del "già e non ancora".

Questa epopea però è finita. Non si spera più nella trasformazione del mondo, per opera di un Dio o per effetto di una rivoluzione. Tantomeno si spera in una vita dopo la morte.
La speranza ora riguarda la propria salute mentale, il proprio equilibrio, il proprio benessere. La vita privata, insomma.
Tutto è concentrato nel presente. Il futuro è l'apocalisse ambientale. È l'incomprensibilità delle istituzioni in cui avvengono le decisioni politiche.

Rinunciare ad ogni speranza nel futuro è allora da una parte ciò che viene auspicato dal capitalismo (perché la speranza che si concentra nel presente privato significa soprattutto consumo e assenza di qualsivoglia opposizione organizzata), dall'altra anche un modo per sottrarsi ad un'illusione millenaria, un modo, forse l'unico, di liberazione reale.

Vorrei capire, e quindi vi chiedo:
1. se sia preferibile conservare l'attitudine a sperare in grande, nonostante tutto;
2. se invece, nel caso si decida per una rinuncia ad essa, tale rinuncia possa essere intesa come saggezza filosofica, o invece piuttosto come l'effetto definitivo di una manipolazione sociale e politica per rendere l'essere umano sempre più simile ad una macchina che produce e consuma.
Datemi un punto d'appoggio e vi solleveró il mondo disse qualcuno.
Nel forum si dice "faticoso", "ottimismo e pessimismo". È l'ottimismo quello che fa più fatica.
Senza speranza non si vive, qualsiasi sia il punto su cui essa si focalizza. Anche gli altri animali hanno la speranza, pure se non lo sanno, ma sarebbe ben focalizzata, più nitida, almeno per noi che guardiamo.
Quando si pensi alla speranza dovremmo considerare senz'altro due gesti estremi a cui può portare invece la disperazione. Il gesto omicida e il gesto suicida. Questo valga tanto per l'individuo quanto per una nazione. Io personalmente sono un ottimista con qualche sfumatura di pessimismo e in tutta onestà mi vedo più come un'omicida che come un suicida, ma non so se questo basti per vedere l'omicida come potenziale guerrafondaio, dato che per la nazione il gesto omicida si inquadra nella guerra e dato pure che io, pur tifando ora blandamente per i russi e molto di più per i palestinesi, non mi senta affatto un guerrafondaio.
Datemi un punto d'appoggio dunque, e il Dio ebraico sarebbe appunto il fulcro su cui fa leva il disperato gesto estremo omicida. Naturalmente i credenti qui da noi sono ben pochi, diciamo che credono in qualche derivato più terra terra. Ma in contrasto penso pure che gli ebrei siano credenti, solo che sono partiti spingendo sul lato corto della leva ... e continuano!! Testa dura cuore tenero si dice pure ... chissà se sarà vero. Per come la vedo io si sarebbero semplicemente sbagliati
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: bobmax il 25 Dicembre 2023, 21:39:42 PM
Citazione di: Koba II il 25 Dicembre 2023, 17:49:01 PMLa speranza che rifiuta ogni limite e che si abbandona all'impossibile: è per me, per esempio, ciò che si incontra a ogni pagina del "Libro della mia vita" di Teresa d'Avila, una specie di radicale reinterpretazione della propria vita interiore ponendo come origine delle cose che contano (emozioni e pensieri potenti) Dio. Un continuo e reale dialogo con Dio.
E certo viene da considerare questo racconto intimo come il risultato della fantasticheria religiosa di una donna mortalmente annoiata (quindi una versione teologica di Don Chisciotte), poi però ci si ricorda di Edith Stein, incredibilmente colta e intelligente, piena di talento filosofico, che proprio leggendo Teresa, nel periodo in cui era assistente di Husserl, si abbandona allo stesso realismo religioso, cosa che le darà poi la forza di vivere il viaggio infernale verso Auschwitz piena di amore verso le altre vittime.

Sembrerebbe cioè che nella religione cristiana non ci possa essere misura: o con Teresa ed Edith Stein, o con la teologia colta di un Ratzinger, la quale è dialogo su Dio, non dialogo con Dio, come nel realismo dei santi, e quindi in fondo cultura, poesia. Il fascino dei simboli. Ma nessuno slancio reale "suicida" alla Francesco d'Assisi. Cioè, non si tratta propriamente di religione.

Tu scrivi che la speranza è fede nella Verità. E questa Verità è il rovescio di ciò che pensiamo sia reale. Ne è la prova il fatto che tale presunta realtà sia inaccettabile. È corretto?

Appena rifiutiamo le piccole consolazioni private veniamo investiti dall'orrore. Non la meraviglia, non lo stupore per l'essere, per una pienezza gratuita. Ma l'orrore. Il male.
Dopodiché? Nell'impotenza di un superamento razionale, di un cambiamento, che cosa facciamo? Ci facciamo una dormita e torniamo l'indomani a giocare? Ma se un bel giorno non riuscissimo più ad anestetizzarci?


Sì, questa realtà dell'esistenza è inaccettabile.
E poiché è inaccettabile, non può essere Verità.
Infatti la Verità ha bisogno di me, Dio ha bisogno di me per esserci.

E se Dio non c'è, posso continuare a fuggire quanto mi riesce, ma prima o poi sarò comunque preda dell'orrore.

Ed è proprio il male, l'orrore a costringermi ad affrontare finalmente lo sguardo della Medusa.
Una strada che mi conduce  all'inferno. 
Non so se è l'unica possibile, ma comunque è la mia.
L'inferno non è in un ipotetico al di là, ma è qui, ora, vi posso accedere in ogni momento. È un luogo dell'anima.
È sufficiente per me soffermarmi, anche solo per un attimo, su una mia colpa e, in nome della Verità, mi ritrovo subito all'inferno!

Ho trovato conferma nel "Lo specchio delle anime semplici" di Margherita Porete. L'uomo è al sicuro solo in due luoghi. Uno è il paradiso, l'altro l'inferno. Solo lì infatti Dio è certo.

Non vi è possibilità di superare l'orrore tramite il pensiero razionale. Perché la razionalità, la logica, sono soltanto le condizioni necessarie per lo svolgimento del gioco della vita.
Ma il gioco, lo conduce l'Etica.

Il bene e il male non sono eventualità contingenti della realtà, ma la ragione stessa della realtà fisica!

Il mondo è il palcoscenico affinché si manifesti il bene e il male.
E il male, in fin dei conti, è la forza che, negandola, ti conduce man mano dal non essere all'essere.

Senza il male, senza la morte, non saremmo forse persi per sempre nel regno della dissomiglianza?
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Ipazia il 26 Dicembre 2023, 08:15:41 AM
Che la livella livelli è un fondamento etico fondamentale. Ma la di-sperazione non sta lì, bensì nell'incapacità di filosofi e filosofie scadenti di dare un senso umano, individuale e sociale, a ciò che sta tra la nascita e la morte.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Pensarbene il 26 Dicembre 2023, 08:31:27 AM
Questo è vero se intendi un senso relativo alla specie e agli individui.Dare un senso alla specie umana  su questa terra è una impresa improba e piena di trappole.
La risposta migliore sarebbe quella di dire:"non ne ha uno, è nata casualmente e si è evoluta naturalmente"
Se questo fosse il senso, quale sarebbe quello di un individuo umano?
Non ne avrebbe uno, sarebbe qui per caso e naturalmente per poi sndarsene.
Questo risolverebbe i problemi e libererebbe specie e individui per omnia saecula saeculorum.
Però....per la Signora Umanità e per i Signori Umani ciò sarebbe troppo.poco, una banalità...QUINDI...blablabla...www.... 8)
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Pensarbene il 26 Dicembre 2023, 09:07:08 AM
Per un momento immagino la sparizione di tutti gli scritti e tradizioni, immagini e video, film ecc ... che non hanno ottenuto risultati storicamente e fino all'attualità.
Un gran bel peso di meno per la specie e gli individui, nonché per la natura e il.puanwta tutto!
Che cosa resterebbe secondo voi?
Datemi la prima cosa che vi viene in mente.
A me un pugno di umani e un pugno di creazioni di ogni genere,
il resto svanirebbe come neve al sole :P
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Pio il 26 Dicembre 2023, 09:13:36 AM
Scommettiamo che le armi resterebbero sicuramente?  :(
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: anthonyi il 26 Dicembre 2023, 09:14:42 AM
Per me é sconcertante il nichilismo che esprimi, Pensarbene. I tuoi due ultimi post sono in realtà collegati perché  il senso é nell'identita e l'identità é fatta anche dalla storia. 
E' chiaro che se tu cancelli la storia cancelli anche gran parte del senso, ma é una tua scelta, una scelta nichilista che per fortuna in tanti non fanno. 
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Kob il 26 Dicembre 2023, 09:29:09 AM
Citazione di: Pensarbene il 26 Dicembre 2023, 08:31:27 AMQuesto è vero se intendi un senso relativo alla specie e agli individui.Dare un senso alla specie umana  su questa terra è una impresa improba e piena di trappole.
La risposta migliore sarebbe quella di dire:"non ne ha uno, è nata casualmente e si è evoluta naturalmente"
Se questo fosse il senso, quale sarebbe quello di un individuo umano?
Non ne avrebbe uno, sarebbe qui per caso e naturalmente per poi sndarsene.
Questo risolverebbe i problemi e libererebbe specie e individui per omnia saecula saeculorum.
Però....per la Signora Umanità e per i Signori Umani ciò sarebbe troppo.poco, una banalità...QUINDI...blablabla...www.... 8)

Non credo che il senso sia comprensibile solo con lo svelamento dell'origine.
Che all'inizio della vicenda vi sia un Dio o un microrganismo, non cambia il fatto che certe esperienze siano vissute come degne di essere indagate con la massima attenzione senza escludere alcuna possibilità.
Prendiamo l'asserzione cristiana "Dio è amore". Che sia venuta prima l'idea dell'esistenza di un Dio, e poi l'associazione della sua natura all'amore, oppure il contrario, non cambia.
Perché di fatto nell'amore si vive qualcosa che sembra trascinarci verso un piano della realtà diverso. Così la domanda giusta non è: "qual'è la causa dell'amore?", ma "cos'è che mi impedisce di amare?". E la risposta potrà essere per esempio il fatto di sentirsi sotto assedio, sfruttato, incompreso, lontano. Tutte cose che contemplano l'accettazione sicura di un Io, il quale però ci incatena allo scontro con l'altro, al destino della guerra.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Pensarbene il 26 Dicembre 2023, 10:03:55 AM
Citazione di: anthonyi il 26 Dicembre 2023, 09:14:42 AMPer me é sconcertante il nichilismo che esprimi, Pensarbene. I tuoi due ultimi post sono in realtà collegati perché  il senso é nell'identita e l'identità é fatta anche dalla storia.
E' chiaro che se tu cancelli la storia cancelli anche gran parte del senso, ma é una tua scelta, una scelta nichilista che per fortuna in tanti non fanno.
il nichilista resta senza niente, quando mai noi resteremmo senza un niente se tenessimo solo ciò che ha dato buoni frutti?
Che ha fatto Cristo del pero senza frutta e di colui che ha nascosto il talento(soldi)sotto terra per non perderlo senza farlo fruttare??
Cristo nichilista?
Anche quando diveva che chi da scandalo agli altri dovrebbe essere gettato in mare con una macina legata al collo?
Uhei...ussignuuuur

@Pio
forse si, ma non sarebbero contro niente e nessuno, utili , semmai, come le erano, a loro modo,  le armi per i cow boy:  sparare a serpenti, coyote affamati, guidare le mandrie facendo rientrare eventuali gruppi devianti dalla mandria ecc....
Altroché il west dei film!!!
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: daniele22 il 26 Dicembre 2023, 10:22:02 AM
@Pensarbene @anthonyi
Antonin Artaud, nel suo saggio "il teatro e il suo doppio" espresse un concetto semplice e molto realistico: anche se bruciassero tutte le biblioteche del mondo l'essere umano resterebbe comunque intatto nella sua integrità. Il senso della vita, dico io, ce l'avete sotto il naso; se continuate a produrre pensieri che emanano stupide parole significa solo che siete dei sofisti della peggior specie. Ma ormai avete le ore contate, sempre che le mie speranze siano ben riposte
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Pensarbene il 26 Dicembre 2023, 10:37:42 AM
Se non riesci a capire il senso allegorico e metaforico dei post, prendendoli alla lettera,  confondi il sofismo con l'allegoria.
Per quanto riguarda le ore contate, pensa alle tue oppure ricomincia a contarle.
Straussignuuur  :P
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Socrate78 il 26 Dicembre 2023, 10:37:52 AM
Ma perché siete tutti pacifisti? In tutti i post che sto leggendo lo vedo chiaramente e io vi voglio ora dire che io NON lo sono affatto e non lo sono mai stato dentro di me. Pensarbene è poi il campione del pacifismo, tanto da negare il senso dell'Io proprio per questo. La verità è che il mondo non è altro che un campo di battaglia in cui ogni essere vivente per sopravvivere e per affermare se stesso (o il gruppo) lotta in ogni modo e appunto la vita per perpetuarsi ha bisogno della distruzione di altre creature viventi che soccombono in quanto inadatte all'affermazione di sé , Mors tua vita mea, ecco il principio su cui si fonda ogni cosa. I leoni sono fatti per predare ed uccidere le gazzelle e le gazzelle con le loro doti di velocità per far morire di fame i leoni. Si parla tanto di rispetto per la natura, rispetto per tutto l'ambiente e per ogni essere vivente, ma allora io chiederei a questi pacifisti buonisti una cosa che li smonterebbe subito: "Ma tu se dovesse beccarti una bella polmonite non prenderesti l'antibiotico per uccidere i batteri?" :D quindi se si dovesse essere coerenti con quest'idea del rispetto si MORIREBBE, perché sarebbero i batteri e i virus a vincere, come vincerebbero i tumori, che sempre in quanto cellule fanno parte della natura. Anche la comunicazione nasconde la volontà di affermazione di sé e di potenza, perché in ogni dibattito ognuno in fondo vuol sempre cercare di convincere l'altro delle proprie tesi (è una lotta per aver ragione) e vince chi è più abile, anche più astuto nel trovare argomenti, lo avevano capito benissimo i sofisti dell'antica Grecia, l'arte di aver ragione consiste nel far apparire come più forte la tesi più debole, quindi anche nell'ingannare ed infatti anche in natura gli animali che si mimetizzano in fondo non ingannano? Hanno un'astuzia istintiva, che serve per il danno del predatore e per la loro vita e riproduzione.
E poi se si guarda alla storia si nota proprio come sia stata proprio la guerra a far progredire le civiltà, gli antichi Romani con le loro conquiste hanno portato la civiltà a popoli che non avevano una legislazione scritta ed erano analfabeti, che vivevano in tribù e comunque si ammazzavano lo stesso tra loro ed attraverso le loro conquiste questi popoli si sono evoluti, a tutto c'è un prezzo da pagare, sempre.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Pensarbene il 26 Dicembre 2023, 10:53:55 AM
Socrate, ti ha fatto male la cicuta, o forse hanno sbagliato pianta:era segale cornuta?
Come vedi non sono poi molto pacifista  e a me l'Io piace, il mio e quello altrui.
Non amo invece i "super io" e gli pseudo Io,mi bastano gli Io funzionali.Detto questo, tu hai chiarito una delle caratteristiche umane ma non hai parlato delle altre. 
Se gli esseri umani  basassero il loro rapporto su "mors tua vita mea" non esisterebbe umanità ma una razza schifosa e basta.
In realtá le  posizioni sono 2:
1)vita mea, vita tua e viceversa
2)vita mea, mors tua e vicversa
3)mora mea,mora tua e viceversa.
Solo la prima è costruttiva e vale la pena assumere anche se, ogni tanto , si scivola nelle altre.





Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Socrate78 il 26 Dicembre 2023, 11:38:59 AM
 Caro Pensarbene, ti piacciono gli Io funzionali? Benissimo, ma sai almeno che cosa significa? In tutto questo si esprime appunto la volontà dell'Io di ridurre l'altro a strumento, a mezzo (le macchine, le cose funzionano, come questo PC che in questo momento sto usando..... :D ), non dimostra appunto che di volontà di potenza si tratta? Comprendi adesso? Tutto questo nasconde l'egoismo strumentale umano, che vuole, per affermarsi, ridurre il singolo a strumento asservito al gruppo, al sistema, alle regole, è la reificazione dell'uomo, che esisteva nel socialismo reale marxista secondo me esiste anche adesso in determinate società collettiviste (Cina e Giappone), in cui l'individuo non fa altro che essere una pedina e vive stressato, schiavo delle aspettative sociali, e viene poi spesso emarginato se non risponde più ai canoni imposti. Questo discorso porterebbe appunto ad eliminare, emarginare da tutti e ghettizzare, quelle personalità e quegli Io non funzionali, e secondo me la peggiore illusione è quella di stabilire che cosa sia bene e che cosa sia male per un individuo, perché semplicemente non possiamo saperlo vista la complessità dell'esistenza e delle variabili. Mi dispiace, ma io il marciume lo vedo nei grandi ideali, eccome.
Buona vita.

Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Pensarbene il 26 Dicembre 2023, 12:40:47 PM
l'Io funzionale è il perno di una sistemica mentale integrata.
Lasciate a se stesse, le parti che costituiscono la personalitá si svitano letteralmente o  caotizzano.
Probabilmente non abbiamo la stessa idea di Io funzionale,forse è questione di nome.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: daniele22 il 26 Dicembre 2023, 20:56:54 PM
Nemmeno io sono un pacifista Socrate. Sono solo un tipo abbastanza pacifico. Non so se hai visto l'ultimo video di Cacciari che ho postato in cui dice, parlando di Aristotele, che ci deve essere qualcosa di più forte del logos che fa uscire il nostro logos. Queste cose che dici riflettono il tuo primo ingresso nel forum nel quale dicevi che la natura non ti sembrava orientata al bene dell'individuo. Noncurante delle risposte più che esaustive che ti furono date allora per orientare meglio il tuo giudizio ti ripresenti ancor oggi con lo stesso schema assecondando così il teorema dell'illustrissimo viator, la buona sorte sia sempre con lui. Mors tua vita mea hai detto infatti due post orsono. Mi chiedo pertanto cosa vi sia di così forte che a distanza di sette anni ti ripropone ancora identico. Tu e Pensarbene parlate tanto di "io", importante di sicuro, ma tralasciate con noncuranza quello che lo precede, che lo fonda. Allora ti chiedo, tanto per curiosità: tu ti comporti così?, cioè, mettendo in pratica quello che sostieni filosoficamente?
Ritornando invece al mio intervento precedente non penso sia generalizzabile una formula chiara che connetta ottimismo/pessimismo e suicidio/omicidio, o almeno bisognerebbe distinguere quale sia la componente maggiore che determina l'insorgere di ottimismo/pessimismo, ovvero se sia maggiore l'esperienza nella sua globalità, oppure se derivi da mere speculazioni dell'io nei confronti dei propri simili. Certamente la matassa non è semplice da sbrogliare, specialmente per una donna dato che i maschi si divertono assai a farsi la guerra, ma se ci si trovasse nel secondo caso, allora sarebbe il pessimista ad essere potenzialmente più guerrafondaio dell'ottimista perché in questo caso la personalizzazione del male nell'altro lo esporrebbe a grande rischio. Fermo resta che tutti sperano. La differenza la fa tutta la ragionevolezza di quel che si spera. Se la ragione, intesa come onesta analisi di ciò che si spera, è giusta sarebbe comunque giusto lottare ... faticoso senz'altro
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Ipazia il 26 Dicembre 2023, 22:18:54 PM
Non si tratta di buonismo ma di trovare, almeno tra umani, un modus vivendi pacifico e collaborativo. La guerra non porta civiltà, ma solo distruzione e odio. Non esiste alcuna civiltà così superiore da giustificare la distruzione di altri consessi umani. Se non passano questi principi siamo davvero senza speranza.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Pensarbene il 27 Dicembre 2023, 08:38:14 AM
Ipazia, e se il modus vivendi terrestre fosse proprio quello che è?
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Ipazia il 27 Dicembre 2023, 09:10:09 AM
Quale ? Quello delle latomie, di Israele o di una comunità di nativi americani ? Il modus vivendi, e pensandi, si evolve e modifica. 

I postumi hanno un corollario di memoria a cui attingere per orientarsi al meglio nel mare di contraddizioni dialettiche che li circonda. Dicendo "No" quando si deve, nel rispetto della riflessione sull'esperienza  storica e dell'etica da tale riflessione generata.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: niko il 27 Dicembre 2023, 11:47:11 AM
Non esiste la felicita' individuale, perche' non esistono individui.

Sperare "in grande", nel senso di sperare in una rivoluzione sociale, e' l'unica soeranza "sensata", cioe' l'unica speranza che tenga conto dell'inesistenza di fondo degli "individui" atomizzati e pensati come entita' reali, e della realta' della produzione sociale, e quindi trasindividuale, dell'identita'.

Il problema del cristianesimo, a prescindere da come sia nato, e' che si e' evoluto in un sistema di pensiero in cui le anime, e le persone, esistono e si salvano individualmente (si arriva ad affermare che perfino Dio, e' persona) e quindi in un "si salvi chi puo' " individualistico ed egoistico, alla faccia della religione che sarebbe dovuta essere in teoria della carita'.

Io in paradiso, se ci andassi,  ci vorrei trovare le persone reali e concrete che piu' ho amato in vita, non l'amico immagginario Dio padre/Gesu'.

Invece si arriva al paradosso che io dovrei essere felice di essere in paradiso e darmi quello di arrivarci, individualmente, come obbiettivo anche se la mia persona amata fosse all'inferno, e quindi se essa fosse per sempre separata da me e infelice. Perche' ovviamente per essere un buon cristiano dovrei amare il mio amico immagginario Gesu' Cristo sopra ogni cosa, anche sopra le reali e concrete persone che ho amato e conosciuto in vita (lasciate che i morti seppelliscano i morti...).

La Divina commedia funziona, perche' Beatrice e' in paradiso.
In paradiso, i due amanti si ricongiungono nella finzione letteraria, e, auspicabilmente, si ricongiungeranno anche nella realta'.
Ma se Beatrice fosse all'inferno? Dante dovrebbe darsi come obbiettivo di andare, o restare, all'inferno, per restare con lei? O dovrebbe scegliere tra cristo e il cristianesimo e Beatrice? E che cosa, dovrebbe scegliere?

Il peccato di Dante, la selva oscura, e' quello di aver perso la fede in conseguenza della morte della persona amata, Beatrice.

A distanza di secoli, questo "peccato", che tale e' nella logica del cristianesimo, ritorna come dato di fatto innocente, e inevitabilmente necessitato, in a Silvia, di Leopardi.

Anche Leopardi, come Dante ha perso la fede, cioe' la speranza, in conseguenza della morte della persona amata, solo che Leopardi, a differenza di Dante, non vive tale perdita come un peccato, tanto meno redimibile; del fatto, ricorrente e ricorsivo, di aver perso la fede in conseguenza della morte della persona amata, Leopardi, a differenza di Dante, e' completamente innocente. Emancipato da ogni senso di colpa personale, e falsamente individuale, per la veritativita' e la tragicita' di fondo della condizione umana.

Ahi come, come passata sei...

E quindi, resta il fatto che Beatrice se ne e' andata per indicare la verita', e la veritativita', della fede e del paradiso, Silvia per indicare quella della morte stessa.

Entrambe, se ne sono andate per essere seguite, ma in due sensi molto diversi.

Il bene, e' conseguenza del male, ed e' contenuto in esso e viceversa. Molto piu' di quanto il futuro, sia conseguenza, e contenuto necessitato o intrinseco, del passato.


Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: bobmax il 28 Dicembre 2023, 10:23:26 AM
Citazione di: Koba II il 25 Dicembre 2023, 17:49:01 PMTu scrivi che la speranza è fede nella Verità. E questa Verità è il rovescio di ciò che pensiamo sia reale. Ne è la prova il fatto che tale presunta realtà sia inaccettabile.

Dovremmo pure approfondire quel "inaccettabile".
Donde nasce questo rifiuto della realtà? Perché così com'è non è accettabile?

Perché è male?
Tra l'altro, un male di cui magari prima non ero così consapevole, come lo sono invece ora.

E soprattutto, chi è che dice "No" al male?

Sì sono io, ma io chi?
Non sono io forse proprio questo rifiuto del male?

Difatti non sono forse sempre io a condannarmi all'inferno?
E mi ci condanno per la semplice ragione che così è giusto.
Ma perché è "giusto"?

Chi è che stabilisce cosa è giusto e cosa non lo è?
Non sono forse, in definitiva, sempre io?

Lo scopo di questa vita sembra consistere nel continuare a cibarci del frutto del bene e del male.
E che la crescente consapevolezza del male faccia emergere man mano chi davvero siamo.

Una metamorfosi, dal non essere all'essere.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: green demetr il 28 Dicembre 2023, 12:00:16 PM
Citazione di: Koba II il 25 Dicembre 2023, 09:08:41 AMVorrei capire, e quindi vi chiedo:
1. se sia preferibile conservare l'attitudine a sperare in grande, nonostante tutto;
2. se invece, nel caso si decida per una rinuncia ad essa, tale rinuncia possa essere intesa come saggezza filosofica, o invece piuttosto come l'effetto definitivo di una manipolazione sociale e politica per rendere l'essere umano sempre più simile ad una macchina che produce e consuma.

Domanda enorme.
Perdonate se vado dentro e fuori tema.

Stavo facendo delle ricerche su Platone, mi sono avventurosamente imbattuto in questi due estratti da Gadamer, in cui, forse per la prima volta qualcuno (e non poteva essere che Gadamer, visto gli elogi con cui lo si cura) mi ha saputo dire qualcosa sul perchè Hegel abbia come orizzonte il cristianesimo.
Naturalmente è un cristianesimo gnostico.
Caro Koba la parola speranza forse ricomincia ad avere un senso solo dall'orizzonte della ferita e dall'apertura dell'attimo.
Mi scuso se ancora mi attardo sul misticismo ebraico, vedrai che ora che ho  trovato una "Etica della lettura", non manca molto perchè la usi per dialogare su tematiche religiose e non solo filosofiche.
Mi pare che questo dialogo con Dio, nasca dalla teologia negativa, così noi filosofi lo trattiamo.
Dici molto bene quando parli di Ratzinger, noi non parliamo con Dio, ma riguardo a Dio.
Naturalmente mi pare subito evidente il solco tra religione e filosofia.

https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/01/Gadamer-lesperienza-dellamore-e-della-morte-25ec57f9-4e5a-4bfc-9f04-c02d31bd36c7.html

Gadamer si sofferma su una frase di Hegel, che attribuisce alla rappresentazione un potere taumaturgico.
Essa lo può fare solo tramite l'esempio del Cristo e della sua lotta col Dio.
Non è la stessa lotta di Giobbe, è come se il cristianesimo sia una religione delle sfere inferiori.
Ho appena letto le 2 torri : Apologia e Critone di Platone.
Il messaggio gadameriano di una lotta DEMONOLOGICA per rimanere vivi, in Platone si tinge nel genio letterario e di una riflessione superiore.
Mi pare Gadamer riesca a leggere Platone, il demone non è il dio, come da manueletto di filosofia.
Sono ancora scosso dalla lettura di Apologia e Critone, è come se fossi stato investito da una sapienza superiore che riguarda lo psicologico.
Sopratutto il Critone mi ha messo a dura prova, pensavo di averlo capito, ma avevo ancora dubbi, quando poi ho letto lo Ione, questi dubbi sono spariti.
Platone è su un altro livello.
Ho sempre pensato che la filosofia si dovesse confrontare con la psicologia, ma forse è la psicologia che si deve confrontare con Platone.
E la filosofia si deve svegliare al più presto, per ora dopo la lettura dello Ione mi si sono posti problemi di ordine di lettura.
Sono rimasto di pietra nello scoprire che solo Leo Strauss ha capito Platone. Nel senso che ha cominciato a capirlo.
Detto fatto: Leo Strauss è un nazista...etc...etc...etc...Adorno, i minima moralia l'industri culturale etc..etc...
Tu domandavi della speranza in termini filosofici.
Ecco senza questa base, e cioè che quello che è in ballo è la psiche e non l'individuo, il seguito è facile: la grande speranza è la cosa giusta.
Ma non è giusta in senso meccanico, ma in senso di libertà.
Di cui ancora Gadamer nel terzo e ot link che metterò a fine pagina.


https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/01/Hans-Georg-Gadamer-il-Parmenide-di-Platone-fef03ade-d9ae-4586-be0e-2ea0f4e3ed04.html

"Fu Kierkegaard a mostrare che l'essenza dell'attimo è il mistero della nostra presenza psichica e spirituale che racchiude in sé tutte le differenze" cit Gadamer.

Se il cristianesimo di Hegel è un cristianesimo della speranza teleologica, quello di Kierkegaard è quello di un platonismo rielaborato.
Laddove l'attimo parmenideo coincide con quello cristiano.

Ora non ho idea quale sia la tua visione di Agostino-Kierkegaard, ma è chiaro che il cristianesimo deve ragionare insieme al platonismo.

Se noi lasciamo la nostra psiche in questi tempi buj al suo destino, finiremo anche noi in cose oscure, che purtroppo stanno colpendo con mia somma disperazione gente vicina a me.

Il capitalismo e la sua riproduzione dell'uomo consumista, a paragone è solo una sciocchezza.

La controdomanda mia sarebbe però come faccio a recuperare questo dialogo con Dio, con me stesso, se me stesso è il prodotto di quell'individualità, che è l'origine stessa del male.
La mia psiche si deve confrontare non solo contro l'oscurità che lei stessa contribuisce a creare, ma anche con il risultato imbarazzante di chi sono in quanto individuo.
Tu rimproveri alla filosofia di consolidare, invece che abbattere finanche, la soggettività, lo chiamavi giustamente psicologismo della filosofia.
Ovvio, è quello che capisce Hegel, è quello che capisce Nietzche e francamente la lista finisce qui.
Ma la religione e non dico il culto, ma proprio la sapienza dietro le parole evangeliche (di cui mi cospargo il capo di cenere, ancora ritardo), o anche ebraiche, che tanto sto ammirando in questo ultimi mesi sopratutto.
Non contribuiscono ANCORA UNA VOLTA a rafforzare quello psicologismo?
Ovviamente domanda retorica, almeno per quanto riguarda l'ebraismo è la sgradevolissima sensazione che sto provando in questo momento.
Grandi prove ci attendono se fossimo all'altezza di rispondere a Platone.

https://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/01/Gadamer-la-libert224-delluomo-ed39cdd6-6645-4367-b1a2-6da4c513b73e.html

La libertà è altrove. Lezione magnifica, che si coniuga benissimo a quello che penso del pensiero, il pensiero è già da sempre libero.
E questa libertà viene schiacciata dall'individuo e dal desiderio.
Ma in sè l'io, l'anima, l'adam o come cavolo vogliamo chiamarlo è LIBERO.

Libero anche di sperare, sopratutto libero di sperare (non sono interessato all'individuo ma al desiderio).
E' il desiderio contro cui si arrocca il demonismo.

E dunque il demonismo che resiste a Dio, e che resiste al desiderio.
Non è che per caso, come credo da molto tempo, che il desiderio è lo stesso Dio?

E nell'Eutifrone Platone non potrebbe essere più chiaro: io rispondo solo al DIO dentro di me. (Giammai fuori!)

L'esito di questa guerra è la lotta col Dio fuori di me, ossia la lotta agli DEI, alla politica, al tiranno, al messia etc...etc...infinite sono le gerarchie del potere, infiniti sono gli angeli dell'inferno.
Mi ricordo Inferno di Strindberg, all'epoca non ero pronto: quanti angeli-demoni ha evocato.
La religione, la filosofia, combattono questa demonologia.
La cosa che mi fa impressione è come se Platone avesse già conosciuto e in qualche maniera vinto questa guerra infernale.
Non vedo il momento di leggere il Parmenide, se Kierkegaard ha trovato una risposta che va oltre l'abisso, la troverò anche io.
ciao!!buone feste.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: green demetr il 28 Dicembre 2023, 12:06:06 PM
Citazione di: bobmax il 28 Dicembre 2023, 10:23:26 AMDovremmo pure approfondire quel "inaccettabile".
Donde nasce questo rifiuto della realtà? Perché così com'è non è accettabile?

Perché è male?
Tra l'altro, un male di cui magari prima non ero così consapevole, come lo sono invece ora.

E soprattutto, chi è che dice "No" al male?

Sì sono io, ma io chi?
Non sono io forse proprio questo rifiuto del male?

Difatti non sono forse sempre io a condannarmi all'inferno?
E mi ci condanno per la semplice ragione che così è giusto.
Ma perché è "giusto"?

Chi è che stabilisce cosa è giusto e cosa non lo è?
Non sono forse, in definitiva, sempre io?

Lo scopo di questa vita sembra consistere nel continuare a cibarci del frutto del bene e del male.
E che la crescente consapevolezza del male faccia emergere man mano chi davvero siamo.

Una metamorfosi, dal non essere all'essere.
Se ragioni insieme a Gadamer terzo link post precedente, converrai che tu parli del male dell'io, ossia l'individuo, nella posizione classica di Hegel.
La filosofia non può balbettare, deve sapere di cosa parla.
Il fatto che esista un male dell'anima, non esclude che esista anche un male esterno!
Lo stesso male che Gadamer link 1 parla che noi possiamo ancora curare.
Più che una critica voleva essere una aggiunta, visto la risposta che ho dato a koba prima, attenzione allo psicologismo, la lingua ci fotte direbbe il buon Carmelo Bene.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Kob il 31 Dicembre 2023, 09:37:26 AM
Citazione di: green demetr il 28 Dicembre 2023, 12:00:16 PMhttps://www.raicultura.it/filosofia/articoli/2019/01/Gadamer-la-libert224-delluomo-ed39cdd6-6645-4367-b1a2-6da4c513b73e.html

La libertà è altrove. Lezione magnifica, che si coniuga benissimo a quello che penso del pensiero, il pensiero è già da sempre libero.
E questa libertà viene schiacciata dall'individuo e dal desiderio.
Ma in sè l'io, l'anima, l'adam o come cavolo vogliamo chiamarlo è LIBERO.

Libero anche di sperare, sopratutto libero di sperare (non sono interessato all'individuo ma al desiderio).
E' il desiderio contro cui si arrocca il demonismo.

E dunque il demonismo che resiste a Dio, e che resiste al desiderio.
Non è che per caso, come credo da molto tempo, che il desiderio è lo stesso Dio?

E nell'Eutifrone Platone non potrebbe essere più chiaro: io rispondo solo al DIO dentro di me. (Giammai fuori!)

L'esito di questa guerra è la lotta col Dio fuori di me, ossia la lotta agli DEI, alla politica, al tiranno, al messia etc...etc...infinite sono le gerarchie del potere, infiniti sono gli angeli dell'inferno.


Tu scrivi che la libertà viene schiacciata dall'individuo e dal desiderio. Purtroppo prima ancora di essere assoggettati da desideri estranei, la libertà si perde banalmente a causa di forze economico-sociali (il lavoro per esempio, nelle tipiche espressioni di questi tempi come super performance misurabile e rigorosamente controllata).
E poi essere liberi dal desiderio cosa significa? Essere in una specie di condizione di vuoto melanconico, senza vita.
Il problema semmai è sognare i propri sogni. Non regredire nei sogni prodotti su scala globale dall'industria dell'intrattenimento, ma sforzarsi di desiderare e di sognare ad occhi aperti ciò cui ci sentiamo affini.

La religione cristiana è piena di contraddizioni. Mentre la si è combattuta (e la si deve continuare a combattere) per la propria libertà quando assume la forma di potenze che ci vogliono soffocare, appare anche, nei suoi racconti notturni, come l'esatto opposto, ovvero liberazione radicale. Mostrare nelle storie di ascetismo che la fame è l'unico ostacolo che ci incatena a questo mondo, che una volta trovato il modo di conservarsi in vita il resto lo decido io, decido io se ha più valore vivere in una catapecchia con persone spezzate raccattate dalla strada o in una villetta a schiera con una famiglia tradizionale, significa iniziare a sognare in grande, o almeno preparare le condizioni interiori per un auspicabile mondo alla rovescia.

Nietzsche vedeva nell'ascetismo cristiano, nella rinuncia, nella sublimazione del desiderio sessuale, solo una strategia sotterranea della volontà di potenza. Come si sa, dopo il suo periodo illuminista, anche lui, nonostante la sua martellante critica alla metafisica si è fatto sedurre dal pensiero dell'Uno: così tutto è volontà di potenza, desiderio di dominare gli altri, di schiacciare gli altri. E così il debole si deve inventare forme alternative per arrivare in alto.
Non è sempre così, evidentemente.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: green demetr il 11 Gennaio 2024, 00:28:36 AM
Citazione di: Koba II il 31 Dicembre 2023, 09:37:26 AMTu scrivi che la libertà viene schiacciata dall'individuo e dal desiderio. Purtroppo prima ancora di essere assoggettati da desideri estranei, la libertà si perde banalmente a causa di forze economico-sociali (il lavoro per esempio, nelle tipiche espressioni di questi tempi come super performance misurabile e rigorosamente controllata).
E poi essere liberi dal desiderio cosa significa? Essere in una specie di condizione di vuoto melanconico, senza vita.
Il problema semmai è sognare i propri sogni. Non regredire nei sogni prodotti su scala globale dall'industria dell'intrattenimento, ma sforzarsi di desiderare e di sognare ad occhi aperti ciò cui ci sentiamo affini.

La religione cristiana è piena di contraddizioni. Mentre la si è combattuta (e la si deve continuare a combattere) per la propria libertà quando assume la forma di potenze che ci vogliono soffocare, appare anche, nei suoi racconti notturni, come l'esatto opposto, ovvero liberazione radicale. Mostrare nelle storie di ascetismo che la fame è l'unico ostacolo che ci incatena a questo mondo, che una volta trovato il modo di conservarsi in vita il resto lo decido io, decido io se ha più valore vivere in una catapecchia con persone spezzate raccattate dalla strada o in una villetta a schiera con una famiglia tradizionale, significa iniziare a sognare in grande, o almeno preparare le condizioni interiori per un auspicabile mondo alla rovescia.

Nietzsche vedeva nell'ascetismo cristiano, nella rinuncia, nella sublimazione del desiderio sessuale, solo una strategia sotterranea della volontà di potenza. Come si sa, dopo il suo periodo illuminista, anche lui, nonostante la sua martellante critica alla metafisica si è fatto sedurre dal pensiero dell'Uno: così tutto è volontà di potenza, desiderio di dominare gli altri, di schiacciare gli altri. E così il debole si deve inventare forme alternative per arrivare in alto.
Non è sempre così, evidentemente.
Si ho sbagliato a scrivere "schiacciato".
Intendevo dire che la libertà deve decidere se essere individuo assoggettato (al desiderio sadico altrui) o libero in quanto assoggettato al proprio desiderio.
Il problema non ancora affrontato dall'intellettualità.
Se non i forme mitiche.
Demetra o Persefone? Zeus o Urano?
A chi dobbiamo la nostra lealtà?
Io feci già la mia scelta.
Ma oggi che ogni fonte del sapere mi si presenta corrotta fin dentro la radice?
Nietzche la ebbe questa forma di coraggio che chiede? O invece come in una forma classica paranoica la assume a qualcun altro? (io sono una goccia che cade che presagisce...etc...etc...)
Il merito sommo di Nietzche, di Freud e ora con somma sopresa anche di Platone è quello di non assumere l'altro fin tanto che la FOBIA sia sconfitta.
Anzi le FOBIE.
Sono già un paio di mesi che cerco di assimilare il CRITONE di Platone.
Sono esausto è evidente che mi surclassa.
Laddove viaggio leggero e mi soprendo della facilità di comprensione con cui attingo finalmente da Freud (nietzche è inevitabilmente sospeso per ora, cmq riesce difficile che nietzche pensi all'uno, vedremo) o da Nietzche negli anni in cui leggevo solo nietzche.
Vedi come i discorsi che diventano torrenziali, perchè hanno una storia torrenziale dietro, si aprono su inferni (le gehenna ebraica, il kav iarod ebraico, la luce oscura dentro l'oscurità ancora ebraica...ma che sottende chissà quali pensieri antichi) terreni e inferni celestiali (cosa vuole il Dio di Platone?).
Come negli scritti di dostoevsky o kafka, la realtà si apre sull'incubo.
E solo dall'incubo si cominciano a vedere i fiumi e le sorgenti che dalla gehenna scendono all'ADAM, all'uomo.
La mistica esclude tutto questo, non capisco proprio perchè continui a non parlarne.
La mistica è il suo contrario.
Se la gehenna, se l'inferno e l'incubo sono solo proiezioni sataniche, non rimane che la preghiera.
La preghiera si apre direttamente sui paradisi, che significa esattamente l'uscita dai mondi rappresentativi.
Come ti ho già detto io credo sia impossibile uscire dalla rappresentazione.
E la mia lettura della mistica è quella della rappresentazione della mistica.
Che finisce come dice Nietzche nell'accettazione del dolore.
Queste visioni irenaiche (come le attribuirono a caso a Montale), non sono mie caro amico.
Il mio mondo è abitato da demoni, e quel diavolo di Platone ne ha evocati di sconosciuti.
Ecco cosa mi fa paura.
Ecco cosa vuol dire assoggettati?
Certo che è ridicolo voler comprimere la filosofia e la sua saggezza a una mera frase mal scritta, non ci riescono nemmeno i poeti, che ne fanno una questione.
Non sappiamo nemmeno da cosa siamo assoggettati, questo dico!
E' questo lo scopo ultimo della cosidetta filosofia.

A futuri discorsi, risi, melanconie.
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: iano il 11 Gennaio 2024, 02:46:17 AM
Citazione di: Koba II il 25 Dicembre 2023, 09:08:41 AMUn noto manuale di teologia giustifica l'esistenza della teologia fondamentale come la riflessione necessaria per "dare risposta a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi", citando la nota la frase della prima lettera di Pietro.

Anche senza essere teologi, e senza teologia, si può tentare una risposta.
Io ho speranza che il continuo processo di presa di coscienza di se, che è la strada evolutiva che stiamo percorrendo, sia la strada giusta.
I condizionamenti a cui siamo sottoposti ci dicono molto di noi se siamo curiosi di conoscerli, ma non possiamo conoscerli a fondo senza sperimentarli.
Si pongono quindi due alternative individuali:
1. Superarli.
2. Restare ''felicemente'' invischiati.
Perchè in fondo felicità è essere se stessi, senza però commettere l'errore che di quel che siamo tutto è stato sviscerato. Osserviamoci mentre agiamo, come osservassimo altro da noi. Facciamo tesoro di questo indagarci, senza sottovalutarci ne sopravvalutarci.
siamo solo un essere vivente fra tanti, ma allo stesso tempo siamo esempio di vita non secondo a nessuno.

Io spero di superarli questi condizionamenti , ma non è possibile superarli senza viverli. Quindi viviamoli per quanto possibile con serenità.

il fatto stesso che l'uomo cattivo, il bau bau, o il capitalismo, per i più di questo forum, ci sottoponga a questi condizionamenti in modo così pesante, è segno che la nostra natura entra sempre più nel dominio della coscienza umana.
La tecnologia ci mette alla frusta, ma questo è un problema solo per chi non ha fiducia nell'uomo, per chi non ha fiducia in se stesso, per chi ha dimenticato quanta in sè ne ha già inglobata di tecnologia, e alla quale non rinuncerebbe senza sentirsi snaturato.
Siamo leone e gazzella in un corpo solo.
E' nel nostro interesse quindi cercare di capire le ragioni dell'uno e dell'altra, opposte, ma complementari.
Siamo una contraddizione con cui convivere in pace.
Non c'è bisogno di isolarsi in una vita contemplativa, ma il trucco è vecchio come il cucco: prendersi ogni tanto una pausa per pensare, per osservarsi.
Smettere di lagnarsi dell'uomo cattivo e del bau bau, del capitalismo, come fossero altro da noi.
Correggere l'uomo cattivo che è in noi, non perchè ciò è giusto, ma perchè ciò ci dà felicità.

In parole povere:
ascoltare tutte le sirene legandosi a un palo, e poi sciogliersi e decidere cosa fare.
Io ho speranza che chi ha fiducia in sè farà la scelta giusta, e potrà criticare le scelte altrui, ma comprendendole per averle prima vagliate.
Chi non ne ha di fiducia in sè, potrà solo lamentarsi delle scelte altrui.

 
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: Pensarbene il 11 Gennaio 2024, 06:40:02 AM
Permettetemi una domanda: voi vi considerate ,sentite e vivete liberi o no?
Se si,perché invece di citare filosofi e quindi esperienze altrui, non vi riferite alle vostre dando loro una sistemazione filosofica?
 
Titolo: Re: Se sia filosoficamente sensato coltivare la speranza.
Inserito da: green demetr il 11 Gennaio 2024, 21:55:33 PM
Citazione di: Pensarbene il 11 Gennaio 2024, 06:40:02 AMPermettetemi una domanda: voi vi considerate ,sentite e vivete liberi o no?
Se si,perché invece di citare filosofi e quindi esperienze altrui, non vi riferite alle vostre dando loro una sistemazione filosofica?
 
La mia libertà è solo nel mio pensiero caro Pensarbene.
Per quale motivo voi che non volete leggere i classici volete che sistematizzi il mio pensiero?
Per renderlo finalmente inquadrabile, e come un bel oggetto di collezione, li mummificato ad eterna gloria dei fact checkers e di tutta quella fauna che disprezzo in quanto NEMESI proprio della libertà.
E invece la vita scorre via, come una schioppettata nel cervello degli zombies.