Rileggendo il paradosso della nave di Teseo in rapporto alla nostra esistenza ho fatto una considerazione che desidero condividere:
Se le cellule delle persone si rigenerano continuamente e quindi il nostro essere materiale nel tempo è composto da cellule completamente nuove, cosa resta del nostro "essere": è il DNA che rappresenta la nostra identità ? ed è quindi assimilabile a quello che generalmente chiamiamo "anima" ?
Non vorrei deluderti Mariano ma il Dna è semplicemente un polimero, ovvero un aggregato biochimico molecolare che permette la riproduzione cellulare. E' una sorta di grande libro che risiede all'interno di ogni singola cellula. In modo più ordinato negli organismi eucarioti come noi, in mondo più primitivo negli organismi procarioti (virus e batteri). Ogni singola cellula di ogni organismo vivente ha il suo libro-dna ed ogni organo legge di quel libro solo la parte che gli interessa per riprodurre le sue cellule. Il fegato, ad esempio, leggerà il capitolo "cellule del fegato" e riprodurrà solo quelle. La nuova cellula del fegato avrà a sua volta il suo libretto interno delle istruzioni, ovvero il DNA. Le nuove cellule vengono prodotte attraverso l'energia immessa nell'organismo provenienti dall'ambiente, generalmente acqua, sole e altri organismi viventi. La cosa straordinaria è il fatto che questo meccanismo lo condividiamo con tutti gli esseri viventi, dal virus, alla pianta di cactus, alla balena. Non esistono meccanismi diversi per la riproduzione della vita sul pianeta terra. Altra cosa straordinaria: tutto questo processo avviene nel modo più ordinato possibile e a nostra completa insaputa.
Esistono però nell'organismo vivente delle cellule che restano in vita lungo tutta la nostra esistenza e sono quelle del sistema nervoso. Ne nascono di nuove fino a circa 20 anni di età e poi sono destinate a morire progressivamente. In vecchiaia comunque ce ne restano a sufficienza per continuare ad avere coscienza di noi e della nostra storia, se siamo mediamente sani. Se proprio vogliamo cercare la sostanza dell'essere, la cercherei lì.
Bella questione.
Chiediamoci se siamo ancora noi stessi quando rigeneriamo una sola cellula, o ne acquisiamo una nuova, come quando cresciamo, o ne perdiamo senza sostituzione una vecchia, come quando invecchiamo,
In questo modo non risolviamo il paradosso, ma lo riguardiamo da una prospettiva più corretta.
Se aggiungiamo poi che noi non mutiamo le nostre cellule con altre necessariamente identiche la nostra attenzione si sposta più in generale sul fatto che noi mutiamo istante per istante.
Il paradosso in questi termini assume una forma generale, e a noi più consueta.
Come facciamo a restare noi stessi se mutiamo istante per istante?
Siamo così giunti al classico paradosso dell'essere e del divenire, paradosso che rischiamo perfino di risolvere se scendiamo nel dettaglio del mutamento isolandone un solo aspetto, come la rigenerazione cellulare.
In effetti credo di avere una soluzione, ma si tratta di uno puro quanto sterile esercizio logico.
A rigore quindi non credo sia corretto ne' esaustivo dire che noi rigeneriamo le nostre cellule con altre identiche, ma se facciamo questa arbitraria assunzione può essere interessante poi trarne le conclusioni logiche.
@Ciao Mariano.
Quello che voglio dire Mariano è che il paradosso nella formulazione che tu proponi sembra essere inattaccabile, ma a ben guardare si tratta di una formulazione debole..
Infatti se le nostre cellule si rigenerano tutte identiche a se stesse dopo sette anni, come facciamo a mostrare sette anni di più al punto che qualcuno che non ci vedeva da sette anni potrebbe non riconoscerci?
In effetti il vero mistero è come fanno gli altri a riconoscerci , a confermare la nostra identità, non dico dopo sette anni, ma anche solo istante per istante.
Non è cosa semplice in effetti se è vero che impegniamo una buona fetta del nostro cervello in questo compito , cervello che proprio mentre svolge questo compito rigenera le sue cellule, di modo che il cervello che porta a compimento l'opera non è lo stesso che lo ha iniziato.
Se di punto in bianco nessuno più ci riconoscesse riusciremmo a restare fermi nella convinzione di essere noi stessi?
Io non ci giurerei.
La questione inizia allora a farsi pirandelliana.😅
La questione della conferma della identità non è così banale , e ci sarebbero tante altre cose da dire prima di andare a tirare in ballo l'anima.
In effetti l'anima sarebbe un perfetto documento di riconoscimento se si potesse esibire.
Noi riconosciamo una persona attraverso le sue sembianze. In particolar modo le sembianze del volto. E' il suo aspetto che gli conferisce un'identità. L'aspetto cambia continuamente nel corso della vita ed è difficile riconoscere nel volto del vecchio le sembianza del bambino che era, a meno che non lo abbiamo frequentato spesso nell'arco della vita. E' così anche per un animale, una pianta o un oggetto qualsiasi. Poi c'è la sensazione di aver già conosciuto una persona. Questa la percepiamo a volte anche senza ricordare le sembianze di una persona.Forse c'è qualcosa che ce lo ricorda: un gesto , un movimento particolare e caratteristico, una voce,ecc. Moltissimi aspetti rendono unica una persona, a volte sono quasi impercettibili, ma ci sono. Le cellule nascono e muoiono, ma molte caratteristiche esteriori non mutano sostanzialmente all'apparenza, così che noi, in presenza di una data persona be conosciuta, abbiamo la netta sensazione che è proprio quella e non altra.
Così un grande abete che ammiravamo nel bosco lo riconosciamo anche se caduto e parzialmente sommerso dalla vegetazione. E ammiriamo la maestosità della sua morte, forse con tristezza.
I viventi mutano, ma l'unità psicofisica rimane identica a se stessa dalla nascita alla morte. Essa, a differenza della nave di Teseo, non è eternabile con la semplice sostituzione delle sue parti. Almeno per ora.
Citazione di: Mariano il 01 Dicembre 2021, 22:49:54 PM
Rileggendo il paradosso della nave di Teseo in rapporto alla nostra esistenza ho fatto una considerazione che desidero condividere:
Se le cellule delle persone si rigenerano continuamente e quindi il nostro essere materiale nel tempo è composto da cellule completamente nuove, cosa resta del nostro "essere": è il DNA che rappresenta la nostra identità ? ed è quindi assimilabile a quello che generalmente chiamiamo "anima" ?
Esattamente, caro Mariano. L'anima altro non è che LA NOSTRA SPECIFICA FORMA, includente sia la nostra superficie che il nostro interno (non la sostanza, la quale continuamente viene sostituita da altra sostanza apparentemente identica ma che in realtà proviene (ed è destinata) dall'esterno di noi.
Infatti la sostanza è MATERIALE, la forma della sostanza, invece............è FORMALE, cioè IMMATERIALE (gli spiritualisti la chiamano appunto ANIMA). Saluti.
In effetti è diffusa l'idea che l'anima coincida con la nostra individualità. Da cui segue necessariamente la domanda su come questa nostra individualità sia univocamente determinata, quale sia la sua identità.
L'anima è perciò intesa come un codice, un badge, che identifichino senza ambiguità chi io sono.
Ma questa idea è erronea, perché l'anima è semplicemente me stesso. Senza alcun id, senza alcun distinguo verso nient'altro, perché è solamente me stesso e non necessita quindi di alcuna identificazione.
Non essendo identificabile, l'anima è un puro nulla.
Ed è proprio la percezione di questo nulla, a spronare a inventarci di tutto pur di darle un'identità!
Ma l'anima è comunque nulla.
Infatti Dio e l'anima sono Uno.
Ciao Mariano,
é assolutamente inspiegabile come la sostanza generi coscienza: questo è il punto essenziale.
Come può emergere da catene di protidi nucleici, di acidi carbossilici, di molecole organiche, una coscienza, una riflessione un pensiero ? Nessuno lo sa dire, tanto meno la scienza attuale con la sua vanagloria. Come fa idrogeno, ossigeno, azoto, carbonio, costituirsi in composizioni organiche di molecole semplici e complesse e da queste generare qualcosa che trascende la materia stessa?
L'idrogeno pensa, l'ossigeno pensa, .......la natura pensa, l' universo pensa?
La scienza mappa il virus, il genoma umano, domani i dati dell'intero pianeta Terra........
E intanto non capisce il meccanismo della vita, dell'identità, della coscienza, neppure di un virus che muta e si modifica nonostante abbia mappato il genoma. Conosciamo le apparenze, non comprendiamo affatto l' Essere.
Forse e' proprio questo il punto , visto che siamo ( o crediamo di essere) non possiamo esserlo ( crederlo) e basta ?. Personalmente lo ritengo sufficiente. Probabilmente perché sono ignorante.
Salve paul11. Citandoti : "é assolutamente inspiegabile come la sostanza generi coscienza: questo è il punto essenziale".
Infatti, poichè nessuno riesce a definire in modo soddisfacente cosa sia la "coscienza" (e mai ci riuscirà). Ma il fatto che la coscienza non sia definibile non implica certo l'impossibilità che essa coscienza sia effetto di una interazione intersostanziale (tra la materia e l'energia, ad esempio.............oppure, cambiando angolazione e spostandosi sul metafisico.............tra la sostanza e la forma).
Mi piacerebbe conoscere la diversità da te attribuita tra il termine "sostanza" ed il termine "materia". Saluti.
Citazione di: paul11 il 03 Dicembre 2021, 01:23:50 AM
Ciao Mariano,
é assolutamente inspiegabile come la sostanza generi coscienza: questo è il punto essenziale.
Come può emergere da catene di protidi nucleici, di acidi carbossilici, di molecole organiche, una coscienza, una riflessione un pensiero ? Nessuno lo sa dire, tanto meno la scienza attuale con la sua vanagloria. Come fa idrogeno, ossigeno, azoto, carbonio, costituirsi in composizioni organiche di molecole semplici e complesse e da queste generare qualcosa che trascende la materia stessa?
L'idrogeno pensa, l'ossigeno pensa, .......la natura pensa, l' universo pensa?
La scienza mappa il virus, il genoma umano, domani i dati dell'intero pianeta Terra........
E intanto non capisce il meccanismo della vita, dell'identità, della coscienza, neppure di un virus che muta e si modifica nonostante abbia mappato il genoma. Conosciamo le apparenze, non comprendiamo affatto l' Essere.
Sembra impossibile capire cosa sia la coscienza, ma forse non ci aiuta il dare per scontato di aver capito cosa sia la materia , eppure pretendiamo di spiegarla a partire da essa.
La nostra idea di materia evolve nel tempo, perché evolve il nostro relazionarci con la realtà e si modifica il modo in cui di essa prendiamo coscienza.
Le relazioni materiali che rappresentiamo in forma di causa ed effetto non si evolvono a prima vista.
Però se vogliamo spiegare la coscienza a partire dalla materia dovremmo iniziare ad ammettere che si evolvono quando la materia si organizza secondo una forma.
Le forme le comprendiamo, per rispondere anche a Viator, secondo una sostanza comune "capace" di diversificare la sua organizzazione. Diamo tutto ciò per scontato, come se avessimo capito tutto, ma non abbiamo capito niente invece, e dire che è impossibile comprendere la coscienza è un modo indiretto di ammetterlo.
La chimica la abbiamo ben compresa? Il perché essa sia possibile?
Sappiamo il come funziona, e perciò diciamo di averla capita.
Ma, se è per questo, anche la coscienza sappiamo come funziona, eppure ci sembra impossibile capirla.
Non è strano tutto ciò? Come si spiega?
La risposta sta nel capire cosa sia capire.
Credo sia cosa che abbia a che fare con l'abitudine.
I misteri restano tali finché non subentra l'abitudine alle cose, non perché essa valga una risposta, ma perché vale come un mantra la cui ripetizione anestetizza il mistero che vi è contenuto.
Crediamo di aver capito non quando troviamo una risposta, ma quando smettiamo di chiederci il perché.
Ecco perché non potremo mai capire la coscienza, perché non arriverà mai il momento che smetteremo di chiedercelo.
Non sto in questo modo affermando una mia convinzione. È solo uno spunto di riflessione.
Non possiamo pretendere di capire cosa sia la coscienza se non ci mettiamo d'accordo su cosa intendiamo per "capire".
Riassumendo.
Prima di pretendere di capire cosa sia la coscienza, come cosa che si origina a partire dalla materia, dovremmo chiederci perché pensiamo di aver capito cosa sia la materia.
Che cosa significa averlo capito? In che senso?
A me sembra di non averlo capito.
Noi ci limitiamo ad usare una rappresentazione della materia, rappresentazione che si evolve, e usiamo rappresentazioni diverse in relazione al contesto .
Tutto cio' avviene alla luce del sole. Manipoliamo le forme materiali perché sappiamo come si fa'. Non potremmo farlo se non sapessimo come si fa'. Sappiamo come fare, quindi lo facciamo, è così ci sembra di aver capito tutto.
Parimenti manipoliamo le forme di coscienza, ma non sappiamo come ci riusciamo. Lo facciamo senza bisogno di sapere come si fa', senza sapere come stiamo facendo, e così ci sembra di non capirci nulla.
Non sapremo mai cosa sia la coscienza perché non occorre saperlo.
Lo stesso fa' la materia nelle sue relazioni di causa ed effetto.
"Applica le leggi della fisica senza conoscerle"
Tornando al quesito di Viator, che rapporto c'è fra sostanza e forma?
Credo sia fondamentale dare una risposta per capire cosa intendiamo per materia.
Solo dopo potremo avventurarci a chiederci cosa sia per noi coscienza.
Consideriamo ad esempio le figure geometriche che di forma sono sinonimo.
Quale sostanza hanno?
Potremmo dire che la loro sostanza siano i punti. Ma il punto è un concetto limite.
Se vi chiedono come sia fatto un triangolo non rispondete che sia fatto di punti, ma che è fatto di tre lati in una precisa relazione spaziale.
È se vi chiedono come sia fatto un lato?
Direte che è fatto di diversi segmenti in precisa relazione fra loro, e solo al limite andrete a parare ai punti, ma in effetti non vi è necessità pratica di arrivarci.
I punti sono la sostanza che spiegano la possibilità delle diverse forme, ma ciò con cui noi abbiamo a che fare sono sempre le forme. Quando parliamo di materia parliamo sempre di forma, perché secondo una sua forma sempre la indichiamo. Ma ogni forma della materia, diversamente che in geometria , è sostanza in quanto unita' funzionale.
La materia in forma di atomo si comporta diversamente rispetto alla materia in forma di molecole organiche.
Che forma assume dunque la materia quando funziona da coscienza?
Se noi possiamo rilevare gli atomi non è in virtù della loro forma, ma della funzione che svolgono in virtù della loro forma.
Quando gli atomi si organizzano in forma di molecole organiche si comportano diversamente perché hanno acquisito che cosa?
Se l'ordine è una forma, qual'e' la sua sostanza?
La coscienza ha di sicuro come possibile effetto di creare ordine, ma anche la materia priva di coscienza evolve in forme ordinate, seppure in cambio di aumento di disordine complessivo, secondo la legge dell'entropia.
Ma a noi interessa sottolineare che la materia lo fa' senza usare coscienza.
La materia cioè si evolve in forme ordinate con e senza coscienza, ed ogni forma può assumersi come sostanza di sempre nuove forme.
La sostanza ultima dell'ordine è il caso?
Lo sarebbe se avesse una forma, o forse lo è proprio perché non l'ha, essendogli negata per definizione, perché ciò che può spiegare l'ordine non è l'ordine, come ciò che può spiegare la forma geometrica , il punto, non ha forma.
In tali termini la materia può spiegare la coscienza? Può esserne la sostanza?
Per rispondere bisognerebe rispondere prima a come fa' la forma della materia a farsi sostanza al di la' della coscienza..
Il rapporto fra sostanza e forma è che la sostanza spiega la forma nella sua varietà in quanto sua negazione.
Questo però non equivale a dire che si possa costruire la forma a partire dalla sostanza, così come non si costruisce una figura geometrica mettendo un punto dietro l'altro.
Così la coscienza non è una costruzione materiale, sebbene abbia come sostanza la materia.
Alla domanda come faccia la coscienza a sorgere dalla materia possiamo dare solo l'unica risposta possibile, che sia una domanda sbagliata.
La materia non viene prima della coscienza, se non logicamente, come sua sostanza.
Al di la' di cosa intendiamo per "capire", non possiamo dargli un senso se non ammettendo che dietro ad ogni risposta impossibile c'è sempre una domanda sbagliata.
Basta trovare l'errore. Il difetto di forma.
P.S. perdonate le inevitabili contraddizioni, come inevitabile vi siano in pensieri esposti mente nascono. Mi auguro troviate diversi spunti oltre ai diversi errori.
Salve iano. Capire, secondo me, consiste nell'essere capaci di mettere in relazione il sè con il "fuori di sè", ricavando un percorso logico tra le cause ed i loro effetti (percorso ovviamente sempre limitato dall'ambito dei nostri sensi e delle nostre esperienze).
Una volta ricavato il percorso (la sequenza delle cause e dei relativi effetti), diventiamo consapevoli che tale percorso (ed ogni volta che crediamo di capire sarà perchè avremo individuato uno specifico percorso) risultava "vero" ed efficace in passato, è vero ed efficace nel momento in cui lo "capiamo", risulterà per sempre vero ed efficace anche in futuro (ovviamente al replicarsi della stessa identica catena di cause-effetti che abbiamo "capito".
Quindi la comprensione - come d'altra parte già noto - altro non è che una forma di consapevolezza, cioè una conseguenza FUNZIONALE dell'esistenza in noi di una COSCIENZA.
Trattandosi necessariamente - come ho detto - del relazionarsi tra un fuori ed un dentro di sè, ovvio che mai potremo capacitarci di cosa la coscienza sia in via essenziale, poichè la ricerca della radice coscenziale consiste invece nella semplice autocontemplazione, cioè nello specchiarsi di un sè che vorrebbe "relazionarsi" con il sè. Saluti.
La storia naturale dei viventi ha avuto mille volte il tempo della storia naturale della nostra specie per produrre una coscienza autocosciente, attraverso stadi sempre più organizzati e complessi di attività biologica. È bastato dare tempo al tempo e l'evoluzione ha fatto il suo lavoro. Che ha un aspetto vagamente teleologico, perché solo la materia biologica meglio organizzata rispetto all'ambiente, non certo ameno di vita, ha goduto del successo evolutivo.
Tra le strategie di affermazione vi è la capacità di piegare le leggi naturali dalla propria parte a compensazione dei deficit fisiologici. Capacità che si chiama intelligenza.
Citazione di: Ipazia il 03 Dicembre 2021, 19:20:10 PM
La storia naturale dei viventi ha avuto mille volte il tempo della storia naturale della nostra specie per produrre una coscienza autocosciente, attraverso stadi sempre più organizzati e complessi di attività biologica. È bastato dare tempo al tempo e l'evoluzione ha fatto il suo lavoro. Che ha un aspetto vagamente teleologico, perché solo la materia biologica meglio organizzata rispetto all'ambiente, non certo ameno di vita, ha goduto del successo evolutivo.
Tra le strategie di affermazione vi è la capacità di piegare le leggi naturali dalla propria parte a compensazione dei deficit fisiologici. Capacità che si chiama intelligenza.
Salve Ipazia. Bravina come raramente sai essere (nel senso che "normalmente" tu sei "super").
Preferirei però parlare di adattamento e/o sfruttamento delle leggi naturali, le quali io considero del tutto FERREE, poichè tra l'altro è proprio "grazie" ad esse leggi naturali che noi poveracci risultiamo talvolta in grado di ADATTARVISI e di SFRUTTARLE. Salutoni.
A me sembra che il concetto di coscienza non sia così misterioso e inspiegabile. Come ho già scritto altrove va specificato il senso che vogliamo attribuire al termine, poiché vi sono almeno tre significati diversi di coscienza. Se ci limitiamo a quello più nobile, con esso intendiamo la capacità di riflettere su noi stessi e sul nostro essere nel mondo, che possiamo chiamare anche autocoscienza o coscienza critica. Quando da bambini iniziamo a chiedere perché, iniziamo ad esercitare quel tipo di coscienza. Ma come sanno i cultori dello yoga, la capacità di pensare sè stessi è un esercizio mentale e corporeo allo stesso tempo ed è appunto un esercizio. Ovvero la coscienza, in questa accezione, è il risultato di premesse biologiche peculiari di homo sapiens, e in primo luogo (ma non solo) di un cervello estremamente complesso. In secondo luogo, la coscienza è anche il risultato di un percorso culturale che è in divenire e che conosce differenze concettuali in relazione alla cultura di appartenenza. Inoltre la coscienza di sè è sempre anche coscienza del gruppo di appartenenza. Una coscienza di sè individuale non esiste se non nei termini di coscienza della propria entità biologica necessariamente connessa alla sopravvivenza. Ma parliamo allora di un significato di coscienza diverso da quello di cui parlavo in principio.
Salve jacopus. Citandoti : "A me sembra che il concetto di coscienza non sia così misterioso e inspiegabile. Come ho già scritto altrove va specificato il senso che vogliamo attribuire al termine, poiché vi sono almeno tre significati diversi di coscienza. Se ci limitiamo a quello più nobile, con esso intendiamo.....................................".
Scusa ma non capisco. Chi distribuisce i titoli e le patenti di nobiltà ? Quelli che li hanno inventati, cioè noi stessi come genere umano ?.
Chi l'ha detto che i lombrichi non possiedano l'auto o l'eterocoscienza ? Sempre noi stessi, solo perchè noi della coscienza parliamo (ovviamente nobilitandola), mentre i lombrichi magari non ne parlano poichè dediti ad altre e più vitali incombenze, oppure perchè trovano banale ciò che noi troviamo "super", "esclusivo", "meraviglioso".....?? Saluti.
buonasera Viator. Ti invito a rileggere attentamente quello che avevo scritto. Ad ogni modo, dubito fortemente che i lombrichi siano in grado di domandarsi "perchè sono un bruco e non una farfalla (senza sapere che forse un domani saranno proprio una farfalla)?. Neppure credo siano in grado di domandarsi "qual'è il senso della mia vita di lombrico? Cosa sarà di me dopo la morte e cosa sarà dei miei lombrichini, da me generati?" Questa è la coscienza che è appannaggio di homo sapiens e probabilmente in misura minore dei mammiferi superiori. Il lombrico ha sicuramente un altro tipo di coscienza, quella che gli permette di sopravvivere.
@ Viator,
il problema non è definire la coscienza, ma dimostrarla secondo la scienza moderna. Di definizioni su dizionari e quant'altro, ve ne sono.
Il problema è della scienza moderna che crede solo in ciò che vede e percepisce sensorialmente e che viene giudicato come dimostrato sperimentalmente ( anche se la scienza attuale si sta allontanando ormai dal metodo classico).
Quindi la coscienza è, esiste; è la scienza che non riesce a dimostrarlo.
La materia è un termine moderno, la sostanza più antico.
La materia è ciò che emerge e appare di un fenomeno, è concettualmente più scientifico che filosfico; mentre la sostanza era ritenuta come insieme di forma e di cosa (non necessariamente solo materiale).
La forma è proprio ciò che "leggiamo" della materia, che linguisticamente rappresentiamo in segni (scrittura, numeri).
Il paradosso delle scienze moderne è usare strumenti di cui la scienza non sa dimostrare, ma appunto usa: matematica, logica, geometria, segni, simboli,insomma linguaggi che non appartengono al regni del minerale. vegetale e animale.
@Iano
Ribadisco: o scienza moderna o filosofia, in mezzo c'è solo "casino".
La scienza moderna finché non dimostra, non fa scienza, fa opinionismo.
Filosoficamente invece la sostanza dell'essere, anche in termini spirituali come l'ipostasi, sono ampiamente dibattuti.
Il meccanicismo causa-effetto è la vecchia e classica scienza, che sussiste, ma con con altre concezioni come quelle organicistiche, come quelle probabilistiche delle indeterminazioni quantistiche, ecc. La scienza insomma si è storicamente........incasinata.
Si spiega che la modernità fa epistemologia (che è la gnoseologia filosofica applicata alle scienze), quindi ha esaltato i processi della conoscenza, il cognitivo, ma ha perso totalmente l'ontologia che è il fondamento della metafisica . L'ontologia è la disciplina dell'essere e se la coscienza è, allora esiste e ha consistenza quanto il bene e il male esistono e hanno consistenza.
Il tuo discorso, è un paradosso.
E' come dire: mi guardo allo specchio , ho coscienza di me stesso ( e nessun animale ha coscienza come l'uomo di se stesso davanti ad uno specchio). Posso dire tutto e il contrario di tutto, posso dire che ho o che non ho coscienza, posso quindi accettarla o negarla e intanto continuo a guardarmi allo specchio. Ma già l'accettare o il negare la coscienza, già il discuterne dimostra che si ha coscienza.
Accettiamo di capire una mela, una sedia, un computer e di non capire una coscienza?
E' o non è EVIDENTE che si ha una coscienza nel momento in cui si discute o si riflette di essa o di altro, diversamente cosa decide cosa? Intendo dire, cosa è lo strumento che sta ragionando, riflettendo e poi scrivendo di coscienza , se non la stessa coscienza?
Dire che non occorre sapere che si ha coscienza per parlare di coscienza ad esempio, è come dire che si vive senza sapere di vivere. E allora sorge un'altra domanda più importante, perché abbiamo una coscienza così d'aver coscienza, di essere presenti a tutti i problemi che l'esistenza pone?
Questa è vera filosofia, perché porta al senso e significato dell'esistenza e quindi ontologicamente dell'Essere.
Che ci facciamo al mondo e perché devo avere coscienza della domanda?
Come fa il caso a determinare ordine: quale è la dimostrazione matematica ? Se tutto avesse una teleologia, significa che ogni cosa si muove seguendo un fine, uno scopo : m da chi o cosa sarebbe determinato questo scopo. Tolto il "chi", rimane un principio indeterminato che è impossibilitato a dimostrare il perché esista un ordine. Quindi o si ritorna al "chi", oppure si rimane nel "limbo" ignorante scientificamente, di constatare evidenze che non sono dimostrabili.
La scienza nasce fenomenologica, induttiva. Poi diviene deduttiva e comincia a legificare. Questo non è "casino" ma è il modo umano di conoscere se stesso e il mondo. Casino è inventare distinzioni artificiose tra conoscenza, episteme e gnosi. Casino metafisico che lancia la mente oltre l'abisso della propria ignoranza con gli esiti che conosciamo.
Citazione di: Jacopus il 03 Dicembre 2021, 21:27:27 PM
buonasera Viator. Ti invito a rileggere attentamente quello che avevo scritto. Ad ogni modo, dubito fortemente che i lombrichi siano in grado di domandarsi "perchè sono un bruco e non una farfalla (senza sapere che forse un domani saranno proprio una farfalla)?. Neppure credo siano in grado di domandarsi "qual'è il senso della mia vita di lombrico? Cosa sarà di me dopo la morte e cosa sarà dei miei lombrichini, da me generati?" Questa è la coscienza che è appannaggio di homo sapiens e probabilmente in misura minore dei mammiferi superiori. Il lombrico ha sicuramente un altro tipo di coscienza, quella che gli permette di sopravvivere.
Io credo che ammettere una coscienza diffusa significhi porre una ipotesi che male che vada risulterà innocua.
Ammettere il contrario invece non credo che ci aiuti.
La prima difficoltà consiste nello stilare con certezza la classifica degli esseri coscienti, partendo dalla certezza che noi lo siamo.
Più pratico mi pare ammettere che solo la materia non ha coscienza, che vale anche come una definizione generale di materia.
Distinguiamo cioè fra ciò che si comporta secondo le pure leggi di natura , quindi senza predittivita', e chi è stato informato da quelli leggi in modo funzionale.
Se vogliamo caratterizzarci invece come portatori di coscienza per eccellenza il rischio è di farci sfuggire l'essenza del problema che consiste nel fatto che "certa materia" non si comporta da "pura materia".
Si potrà poi discutere come e perché questo comportamento "anomalo" "violi" le leggi naturali, nel senso che va' oltre.
Ci potremo allora concentrare nel dirimere forme di aggregati materiali da altre forme in senso funzionale.
Se definiamo quale sia l'effetto della coscienza possiamo studiare la questione partendo dai fenomeni di base, senza preoccuparci subito dell'autocoscienza la cui spiegazione sperabilmente da queste indagini potrà sorgere.
A cosa serve complicare l'indagine ponendo fra la materia è la vita cosciente una vita incosciente, se poi non abbiamo modo di porre con certezza operativa i confini fra queste categorie?
Io mi limiterei a manipolare ciò che con certezza si può manipolare, evitando di assumere ipotesi in modo inconsapevole.
Iniziamo con l'evitare di chiederci come faccia la coscienza a sorgere dalla materia, perché da un punto di vista logico non vedo questa necessità?
Al massimo è una ipotesi di lavoro, fin sui usata con scarso successo.
Forse è arrivato il momento di porre consapevolmente ipotesi alternative, per vedere l'effetto che fa'.
La coscienza nasce dalla materia nel momento in cui la materia, divenuta biologica, deve aguzzare l'ingegno per badare alla propria sopravvivenza. I passaggi, concordo con iano, conviene darli per acquisiti e occuparci piuttosto della nostra coscienza, con tutti i dilemmi esistenziali e, soprattutto, etici , con cui deve quotidianamente fare i conti.
Se ai tempi di Aristotele la conoscenza della sostanza di onta e res era assai vaga, oggi la sostanza è arcinota fino a livelli subatomici e parlare di ontologia in sede filosofica significa fare archeologia antropologica. Oggi il luogo sovrano del dominio filosofico è l'etica, inclusa la bioetica. La distruzione covidemica della ragione dovrebbe chiamare tutti i filosofi degni di questo nome a disseppellire l'ascia di guerra. Mi risulta che dalle nostre parti abbiano risposto solo Fusaro, Agamben e Cacciari. Tralascio per carità di patria filosofica, Galimberti. Altrove: calma piatta, annichilimento della "sostanza" filosofica. Per dirla con Tacito: hanno fatto un deserto e l'hanno chiamato omologazione solidarietà.
Salve Ipazia. Non vorrei contraddire la tua profonda esperienza di chimica ma l'affermare che "oggi la sostanza è arcinota fino a livelli subatomici" lo trovo abbastanza proditorio.
Meglio di me tu sai che ai confini della chimica c'è l'atomo, il cui comportamento è scientificamente strutturato e "certificato".
Al di sotto dell'atomo esiste la teoria atomica circa la struttura dello stesso atomo.........la quale è abbastanza convincente e............in mancanza di meglio ci va bene così.
Ma il "subatomico" resta per noi un mondo di MODELLI e di TEORIE e non certo di conclamate "verità" scientifiche.
Accontentiamoci quindi dei pallidi fantasmi emergenti dai reticoli atomici mostrati dal microscopio elettronico. Saluti.
L'atomo è stato scisso nelle sue parti costituenti fin dai tempi di Fermi e della molteplicità di applicazioni che sfruttano l'interazione tra atomi e particelle subatomiche a Hiroshima e Chernobil se lo ricordano ancora.
Citazione di: Ipazia il 04 Dicembre 2021, 14:19:02 PM
La coscienza nasce dalla materia nel momento in cui la materia, divenuta biologica, deve aguzzare l'ingegno per badare alla propria sopravvivenza. I passaggi, concordo con iano, conviene darli per acquisiti e occuparci piuttosto della nostra coscienza, con tutti i dilemmi esistenziali e, soprattutto, etici , con cui deve quotidianamente fare i conti.
Se ai tempi di Aristotele la conoscenza della sostanza di onta e res era assai vaga, oggi la sostanza è arcinota fino a livelli subatomici e parlare di ontologia in sede filosofica significa fare archeologia antropologica. Oggi il luogo sovrano del dominio filosofico è l'etica, inclusa la bioetica. La distruzione covidemica della ragione dovrebbe chiamare tutti i filosofi degni di questo nome a disseppellire l'ascia di guerra. Mi risulta che dalle nostre parti abbiano risposto solo Fusaro, Agamben e Cacciari. Tralascio per carità di patria filosofica, Galimberti. Altrove: calma piatta, annichilimento della "sostanza" filosofica. Per dirla con Tacito: hanno fatto un deserto e l'hanno chiamato omologazione solidarietà.
Ciao Ipazia.
Non è che voglio dare per acquisiti i passaggi, ma contesto il fatto stesso che vi sia necessariamente un passaggio, e che abbia una direzione dal più semplice al piu' complesso, solo perché sembra logico pensarlo.
Proviamo quantomeno a pensare al percorso inverso, o anche a nessun percorso.
Ci scervelliamo a immaginare come la coscienza possa essere nata a partire dalla materia incosciente, ma chi ci dice che questo passaggio sia davvero avvenuto?
In fondo la materia, quantomeno nel modo in cui la percepiamo , è un prodotto della coscienza, e la sua sostanza non è cambiata in tal senso quando abbiamo iniziato a guardarla con gli occhi della scienza.
Abbiamo fin qui parteggiato , chi per un tipo di visione, chi per l'altra, mancando di valutare la ricchezza che deriva dal possedere diversi punti di vista. Oppure forse si?
Mi pare che manchi appunto questa riflessione.
Sappiamo storicamente cosa significhi l'essere per un tipo di visione, chiediamoci cosa significhi per la visione scientifica, e proviamo a porli a confronto. Qualunque possa essere questa visione, l'essere in quanto tale ha fatto il suo tempo.
Non è che io pretenda di giungere così alla verità dell'essere, perché mi sembra una pura perdita di tempo, ma a un paradigma dell'essere più adeguato alle conoscenze acquisite nel frattempo.
Non propongo in verità una operazione che nella sostanza differisca dal trovare di volta in volta la sostanza dell'essere nell'aria, nell'acqua e così via, ma anzi di portare avanti il processo adeguandolo ai tempi.
Se la visione classica ha prodotto un essere in quanto tale, posso ben aspettarmi che la visione scientifica ne proponga un altro.
Sembra che a fronte di un progresso scientifico dirompente , altro non abbia fatto la filosofia finora che rimasticare vecchi paradigmi, a gloria dei vecchi filosofi che mostrano così inattesa e meritoria attualita, ma anche a demerito nostro che non abbiamo saputo far altro che rimasticare i loro paradigmi.
Il progresso, se così si può dire, non sta nel dare risposte alle nostre domande, ma nel riformularle meglio.
Chiedersi come faccia la coscienza a sorgere dalla materia è una domanda che ha fatto le ragnatele.
Coscienza, Essere, a sentire sin qui i discorsi a me vien quasi da pensare che si tratti della stessa cosa, due termini fuggevoli e pure così pregnanti. Certo dovrebbe essere che siamo gli unici ad usarli. Ma quella che noi chiamiamo "coscienza" non possiamo trasporla al mondo degli atomi? Può esserci qualcosa di assimilabile alla coscienza in un atomo? Uno status di quell'ente che lo mette in relazione all'ambiente? Concetti tipo l'affinità elettronica oppure l'elettronegatività, oppure il punto di fusione, o quello di ebollizione, non rappresentano in qualche modo la conoscenza che non è saputa dall'atomo stesso eppure che determina la sue forme di vita in relazione alle sue potenziali azioni? La coscienza potrebbe pertanto essere uno status che ti permette uno spazio di gioco più o meno ampio, più o meno costretto rispetto all'ambiente che ti sovrasta
Citazione di: daniele22 il 04 Dicembre 2021, 21:47:53 PM
Coscienza, Essere, a sentire sin qui i discorsi a me vien quasi da pensare che si tratti della stessa cosa, due termini fuggevoli e pure così pregnanti. Certo dovrebbe essere che siamo gli unici ad usarli. Ma quella che noi chiamiamo "coscienza" non possiamo trasporla al mondo degli atomi? Può esserci qualcosa di assimilabile alla coscienza in un atomo? Uno status di quell'ente che lo mette in relazione all'ambiente? Concetti tipo l'affinità elettronica oppure l'elettronegatività, oppure il punto di fusione, o quello di ebollizione, non rappresentano in qualche modo la conoscenza che non è saputa dall'atomo stesso eppure che determina la sue forme di vita in relazione alle sue potenziali azioni? La coscienza potrebbe pertanto essere uno status che ti permette uno spazio di gioco più o meno ampio, più o meno costretto rispetto all'ambiente che ti sovrasta
L'hai detto tu. Io non avevo il coraggio di dirlo.
Ma forse si può dire meglio.
Il problema non è se la coscienza sorge dalla materia o se la materia sorge dalla coscienza, ma di dare definizioni, magari arbitrarie, ma che siano operative.
Paradossalmente ci chiediamo come la coscienza possa sorgere dalla materia soggetta alle leggi fisiche, quando la coscienza ne sembra la negazione.
La coscienza si serve della conoscenza delle leggi fisiche per deviare il senso della storia che esse da sole scriverebbero.
La coscienza stravolge la storia della materia.
Quindi il discrimine fra materia e coscienza è da porre in questo punto di rottura.
Se un virus non si comporta come pura materia, allora ammettiamo che abbia coscienza.
C'è plus facile.
Nella nuova storia che potremmo scrivere bisognerebbe ammettere che caso e necessità si rimandino continuamente la palla.
Non c'è un mondo che nasce dal caos una volta per tutte, perché , che la coscienza sia venuta dopo la materia la quale è sorta dal caos, ciò comporta un biglietto di ritorno al caos , con il libero arbitrio che ciò consente..
La coscienza produce caos in modo deterministico, per dirla con amore del paradosso.
So' che succede quello se decido di fare questo, e lo decido perché ho coscienza, ma nessuno può dire cosa deciderò, nemmeno io, che vale come una perfetta descrizione del caos.
Nel corso di questa discussione ho fatto una riflessione della quale mi autocompiaccio.
Dico che la sostanza dell'ordine è il caos. È una affermazione apparentemente ermetica.
Ma equivale a dire che una figura geometrica è fatta di punti.
Si ,ma non puoi costruirla mettendo un punto dietro l'altro, anche se gli antichi greci questo favecano finché non sono incappati nel problema dell'incommesurabilita'.
Va bene, un certo ermetismo rimane, perché è una intuizione rimasta a metà.
Viator ha comunque ragione a fustigarci sull'uso auto esaltante che facciamo della coscienza, non perché sia un peccato in se', ma perché non ci aiuta a far chiarezza. Dobbiamo infatti aggiungere diversamente alla materia, non la semplice vita, ma una vita cosciente e un altra no senza essere capaci poi di individuare il discrimine fra le due vite.
L'assurdità di questi assunti appare meglio se invece di considerare due tipi di vita , consideriamo in modo del tutto equivalente due tipi di materia, uno che obbedisce alle leggi fisiche in modo determinato e l'altro no.
In questa nuova versione del gioco delle tre carte la sua insostenibilità' meglio appare.
Cambia qualcosa nel capire cosa sia la coscienza in questo nuovo quadro?
Intanto ne abbiamo posto con certezza scientifica il confine, e non è poco.
Per rispondere a Iano. Non metto la mia coscienza in relazione ad un'anima in cui non credo, ma non posso neppure considerare tutte le coscienze degli esseri viventi allo stesso livello. Avere la percezione di essere è necessario a tutti gli organismi viventi. I batteri se li mettiamo in un luogo troppo caldo cercheranno di spostarsi verso un luogo meno caldo. Ma la percezione di essere e di cercare di sopravvivere è già coscienza? Nel caso dell'uomo e dei mammiferi superiori, la coscienza assume una fisionomia molto più complessa. Il cane risponde al nome Fido, sa di essere Fido, mentre il batterio potete anche chiamarlo Ringo ma dubito che lui saprà di essere Ringo. L'uomo, oltre a cercare di sopravvivere (liv. 1), oltre a sapere di essere Mario (liv. 2), si domanderà: " perché sono Mario, e non sono Giovanni? e soprattutto si domanderà " perché penso?"( liv. 3). Senza sottilizzare fra Cartesio e Damasio, il nocciolo della coscienza è questo.
La domanda successiva è chiedersi se questa coscienza di terzo livello deriva esclusivamente dal cervello umano, nella sua modulazione fra cognizioni ed emozioni, oppure dal cervello umano in relazione alla storia culturale dell'uomo, che interagiscono reciprocamente. Questa è la mia posizione, autorevolmente sostenuta dal neurofilosofo Northoff.
@ Jacopus
Sicuramente le coscienze dei diversi esseri viventi non sono equivalenti, ma a che serve saperlo se poi non sono in grado di discriminare con certezza i diversi livelli?
Non è che nella ricerca di una semplificazione operativa io voglia negare la ricchezza dei diversi livelli, ma anzi provare a ridefinirli laddove se ne presenti la necessità ripartendo da una base operativa.
Neanch'io credo nell'anima, ma non perciò mi confondo con la pura materia, quella che "agisce" in modo determinato.
Mi si confondono invece le idee quando devo distinguere diversi livelli in modo incerto.
Comunque leggerei volentieri l'autore che citi per potermi ricredere.
Io non sapevo neanche dell'esistenza dei neurofilosofi.
@jacopus
Con l'ultimo post ti sei risposto al precedente. La autocoscienza ha stadi evolutivi successivi, ma che abbia bisogno di un supporto materiale per esistere lo sapevano anche gli antichi ed è di una evidenza cristallina al netto di ogni nominalismo. Del resto fin dall'inizio hai parlato molto opportunamente dell'organo biologico che la contiene e le permette di "sostanziarsi" pur rimanendo nella sua immaterialità; accidentale, direbbe Aristotele.
Caro iano
Intanto separerei l'essere dalla coscienza. Essere Essente è tutto ciò che esiste indipendentemente da un osservatore umano che lo pensa. Le prove per separare l'essente dall'osservatore umano sono molteplici e convincenti.
Sull'essenza dell'essente umano che chiamiamo essere,(per antonomasia, con l'articolo davanti), si esce dalla fisica e si entra nella metafisica.
La sostanza dell'essere umano è la sua matrice biologica di cui l'autocoscienza è un accidente evolutivo di successo grazie ad una intelligenza fuori dal coro. Dire una parola di più LW nol consente. Tipo: la sostanza dell'essere. Essere, chi ?
Salve jacopus. Citandoti : "Il cane risponde al nome Fido, sa di essere Fido, mentre il batterio potete anche chiamarlo Ringo ma dubito che lui saprà di essere Ringo".
Infatti la coscenzialità non è affatto una condizione on-off (mancante prima di un certo livello di complessità neurologica e che si manifesti ad un certo punto al comparire di una certa complessità neurologica).
La coscenzialità è secondo me la risultante di un certo bilancio (sempre presente ma variabilmente evidente) tra la passività e l'attività biologica (ed ovviamente soprattutto neurologica) del soggetto.
Infatti in batterio è organismo assai più passivo che attivo, quindi avrà grossi problemi nel risultare cosciente del fatto che lo stimolo sonoro (non credo che i batteri abbiano le orecchie) "Ringo" riguardi la sua esistenza individuale. Infatti la molteplicità e l'acutezza dei sensi (quasi mancanti nelle forme elementari di vita) sono ciò che permette SUPERIORI LIVELLI DI COSCENZIALITA'.
Infatti poi a livello canino (mi chiamo Fido e sono molto vivo) e poi magari umano (mi chiamo Genio e sono il vertice della biologia).......................................il grado di attività (intensità delle relazioni con il proprio ambiente) è - ovviamente del tutto diverso e superiore.
Ma la coscienza è funzione comunque connessa all'esistenza di un qualsiasi sistema nervoso, ed il fatto che essa non sia precisamente individuabile dipende appunto dal suo risultare gradualmente diffusa ma tuttavia permeante tutti gli organismi dotati appunto di una qualsiasi (sensibilità=sistema nervoso). Saluti.
Ipazia. L'immaterialità accidentale la colloco nel processo culturale che la specie homo sapiens ha messo in atto da circa 40.000 anni, almeno a quanto risulta finora. Accanto a tale immaterialità tuttaltro che metafisica, vi è un secondo oggetto che ci permette di avere una coscienza così sofisticata, ovvero il cervello e il sistema nervoso centrale e periferico. Le due condizioni interagiscono.
In modo appropriato citi per iniziali anche Wittgenstein, per il quale il linguaggio non è la funzione per esprimere concetti e giudizi (due tipiche espressioni della coscienza) ma la causa che ci permette di esprimere concetti e giudizi, che saranno influenzati in modo rilevante proprio dal linguaggio usato. Basti pensare che il concetto di "essere" non è presente in tutte le lingue umane, mentre noi in Occidente ne abbiamo fatto un mantra da qualche millennio.
L'essere, la coscienza, l'autocoscienza hanno una storia culturale che si innestano, come se si trattasse di un programma, in un cervello che sarà operativo a partire da un sistema di funzionamento di base che è quello che ha appreso linguisticamente e culturalmente. Se i Computer, per funzionare, hanno bisogno di ambiente IOS o Windows o Android, noi attiviamo il nostro SNC tramite l'ambiente culturale di cui facciamo parte. Il concetto stesso di cervello e come il cervello si percepisce e viene percepito modifica il suo funzionamento. Per questo motivo la coscienza non può essere solo un attributo individuale.
Viator. Quello che scrivi mi trova sostanzialmente d'accordo. Ho già scritto e riscritto che il termine coscienza ha diverse possibili significati. I batteri non hanno sistema nervoso e neppure cervello, ma hanno la capacità di sopravvivere e di distinguere le situazioni confortevoli e che facilitano la loro vita da quelle che invece l'avversano. Hanno per solo questo motivo una coscienza? Non saprei rispondere, ma in omaggio al tanto di moda "postumanesimo" mi sono limitato a fornire una scala su vari livelli della coscienza, suggerendo che anche il batterio ne possa avere una molto arcaica. Nel contesto batterico "coscienza" quindi equivale a "difendere la propria vitalità" e il batterio lo sa fare benissimo. Ma già le api, nel momento in cui si relazionano fra di loro o reagiscono alle aggressioni di un calabrone, mettono in atto un comportamento più complesso e di complessità in complessità, i processi evolutivi hanno scommesso nell'ingrandimento di un organo, il cervello, a sfavore di altri organi che si sono atrofizzati o ridimensionati. Vedremo se questa scommessa avrà successo, considerando il successo nei termini di permanenza più o meno lunga della specie homo sapiens sulla terra.
Scusate il mio rozzo intervento, ma per dialogare ritengo necessario chiarire cosa si intende per le parole che si usano.
E spesso le parole assumono significati diversi in funzione di chi le adopera, e se poi si vanno a consultare i vocabolari la confusione può aumentare.
Con il pericolo di tediare chi legge, elenco qui di seguito il significato che io intendo relativamente alle principali parole di questo "topic":
· L'essere: un corpo che ha vita;
· Vita: forza in virtù della quale un essere reagisce agli stimoli;
· Sostanza: proprietà dell'essere aldilà del suo apparire;
· Coscienza: capacità di essere consapevoli delle proprie azioni (per le persone sappiamo che statisticamente è così, per gli altri esseri possiamo solo immaginarlo);
· Anima: principio immateriale composto al corpo (le neuroscienze potranno illuminarci nel futuro);
Ammettendo la mia ignoranza sul DNA e sulle neuroscienze, in mio scritto iniziale significava interrogarsi se nel futuro la neuroscienza saprà dare una definizione logica dell'anima.
Citazione di: Ipazia il 05 Dicembre 2021, 14:46:39 PM
Caro iano
Intanto separerei l'essere dalla coscienza. Essere Essente è tutto ciò che esiste indipendentemente da un osservatore umano che lo pensa. Le prove per separare l'essente dall'osservatore umano sono molteplici e convincenti.
Sull'essenza dell'essente umano che chiamiamo essere,(per antonomasia, con l'articolo davanti), si esce dalla fisica e si entra nella metafisica.
La sostanza dell'essere umano è la sua matrice biologica di cui l'autocoscienza è un accidente evolutivo di successo grazie ad una intelligenza fuori dal coro. Dire una parola di più LW nol consente. Tipo: la sostanza dell'essere. Essere, chi ?
Che ci sia un essere indipendente dell'osservatore convengo, chiamiamolo qui per comodità metaessere, ma se da esso è indipendente non coincide con ciò che esso afferma per averne preso coscienza.
L'essere è il risultato della nostra interazione col metaessere , meglio detto realtà.
Quindi non si esce dalla fisica, ma ci si rapporta con la metafisica, cioè con la realtà in quanto ipotesi non dimostrabile, ragionevolmente assunta.
L'essere fisico non è definitivo perché la sua natura è funzionale.
Se considero essere lo spazio assoluto mi rapporto con la realtà in un modo, se considero che non esiste mi rapporto in un altro, ma non esiste nessuno spazio di nessun tipo necessariamente.
O se preferisci esiste, ma non in modo indipendente dall'osservatore.
Il nostro rapporto con la realtà è flessibile , perché indiretto.
Non abbiamo accesso diretto a nessun essere.
Nella misura in cui crediamo di avervi accesso non può essere separato dalla coscienza.
La coscienza ci appare esser un accidente evolutivo in effetti, ma non è per questa via che possiamo comprenderla.
Per puro accidente in ogni caso si realizza solo il possibile, ciò che è già in potenza.
Sta a noi decidere se la coscienza era già in potenza nella materia, o se sia meglio considerare la materia come quell'essere non indipendente dall'osservatore, che l'osservatore trae dal suo rapporto con la realtà come prodotto della coscienza. Allora dovremo convenire che un prodotto della coscienza non può produrre coscienza.
Il motivo per cui ci pare di vivere in un mondo fatto di esseri da noi indipendenti è che tutti lo condividiamo,, ma se lo condividiamo è perché c'è un motivo funzionale.
Se vedere il mondo tutti in un certo modo funziona se ne può trarre un impressione di oggettività.
È però un impressione errata, perché non c'è un solo modo di vedere le cose che funziona.
Questo è il motivo che rende possibile l'evoluzione, la quale si sostanzia nel riuscire a "rivedere l'ambiente" in modo funzionale ai suoi mutamenti.
Osa comporta tale modo di vedere le cose?
Comporta che possiamo ben confermare che la fisica funziona, ma senza andare oltre.
Senza affezionarsi troppo agli atomi come cose che sono in se', pronti quindi ad abbracciare nuove teorie che si affianchino alla chimica seppur queste comportassero "l'esistenza" di essenti in contraddizione con quelli della chimica.
Possono coesistere funzionalità fra loro in contraddizione se operativamente disgiunte.
Posso applicare la teoria di Newton col suo spazio assoluto perché funziona, e posso applicare quella di Einstein col suo spazio- tempo. Basta non pretendere di applicarle insieme.
Ma ciò comporta che non esiste nessuno spazio Newtoniano e nessuno spazio-tempo, nel senso di un esistenza in quanto tale.
L'esistenza in quanto tale può essere solo supposta, e noi la supponiamo riferendoci alla realtà in quanto tale.
Rispondo come posso a Mariano. Se intendi con anima "principio immateriale composto al corpo", dubito che le neuroscienze potranno rispondere al tuo quesito. La scienza in generale non si occupa di trovare l'anima o dargli una definizione logica. Un tentativo famoso fu quello di Cartesio che credette di aver trovato l'anima nella ghiandola pineale, che era l'unica parte del cervello a non essere doppia. In realtà la ghiandola pineale ci racconta un'altra storia. Essendo presente in tutti i vertebrati, è una delle tante prove dell'origine comune della vita, visto che vertebrati sono gli uccelli, i pesci, i mammiferi, i rettili e gli anfibi.
La scienza non si occupa di anima perchè non è visibile e non è individuabile sperimentalmente, nè si sono mai verificati episodi in cui l'anima ha prodotto delle conseguenze nel mondo fisico. Molto interesse l'anima la suscita, oltre che nei religiosi, negli storici, compresi gli storici della filosofia, nei sociologi e negli antropologi e negli psicologi, ma il loro interesse è determinato dal voler comprendere i comportamenti sociali ed individuali che vengono attivati dalla credenza in una entità immateriale e legata al senso del sacro come l'anima. Ma il loro interesse è esterno alla credenza dell'anima. La studiano come un oggetto di interesse perchè ha prodotto delle azioni e dei pensieri importanti nel corso della storia umana, non perchè "esistente".
D'altra parte, pensare ad una scienza in grado di definire o sezionare l'anima metodologicamente, mi appare inquietante. L'anima lasciamola vagare piccola e dolce fra i versi dei poeti.
Un'intelligenza, la nostra, tanto fuori dal coro da risultare perfino stonata. A parte che saranno i posteri a valutare il successo della nostra specie, volevo esprimere un pensiero. Se l'evidenza della materia sta nell'atomo (presempio l'idrogeno: una carica positiva e una negativa) e l'evidenza della vita di un vivente sta nel rapporto tra bene e male (anche qui vige un gioco tra positivo e negativo), non vedo per quale motivo nelle nostre attenzioni all' essere tale duplice aspetto così pervasivo non sia posto in evidenza. O meglio, il motivo c'è, ma lo si fa ricadere nella metafisica
Citazione di: daniele22 il 06 Dicembre 2021, 07:48:50 AM
Un'intelligenza, la nostra, tanto fuori dal coro da risultare perfino stonata. A parte che saranno i posteri a valutare il successo della nostra specie, volevo esprimere un pensiero. Se l'evidenza della materia sta nell'atomo (presempio l'idrogeno: una carica positiva e una negativa) e l'evidenza della vita di un vivente sta nel rapporto tra bene e male (anche qui vige un gioco tra positivo e negativo), non vedo per quale motivo nelle nostre attenzioni all' essere tale duplice aspetto così pervasivo non sia posto in evidenza. O meglio, il motivo c'è, ma lo si fa ricadere nella metafisica
A me gli aspetti dell'essere sembrano molteplici e diversi sono i gradi con cui li percepiamo.
Credo che il gioco della conoscenza consista in un primo tempo in una necessaria semplificazione che poi con più calma necessariamente va' rivista, di modo che dopo aver tagliato con l'accetta la nostra percezione della realtà ne riscopriamo poi la continuità.
Diciamo che nel nostro cervello ci sta quello che ci sta e non tutto necessariamente deve starci se la sua capienza , come dice Jacopus, è a scapito di altre risorse cui in cambio si rinuncia, baratto la cui convenienza non è scontata.
Dallo stesso Jacopus apprendo che siamo in una fase di post-umanesimo, e ciò in effetti coincide col mio sentire.
In armonia con ciò Jacopus parla di una coscienza che non può essere solo individuale, e in tal senso io parlo di una individualità convenzionale, non nascondendomi la difficoltà che a cio' sembra sfuggire l'unità pensante quale ci percepiamo. Unità che persiste a dispetto del fatto che la materia su cui insiste muta in continuazione, tal che ogni pensiero stesso , ogni azione la più banale, come tamburellare con un dito sul tavolo, la muta in tempo reale.
Al che ' viene quasi l'ansia di badare bene a ciò che si fa' per non compromettere l'investimento fatto.
Ma se l'unità permane nel cambiamento allora diventa facile appellarsi all'anima, la quale, se è, è garanzia di essere immodificabile, in quanto non manipolabile.
Si torna al paradosso di un divenire che per essere giustificato abbisogna di un essere che rimanga tale e quale, così che la sostanza del divenire sembra essere il suo contrario.
Ma un tale essere a cui paradossalmente sembra non si possa rinunciare a garanzia del divenire, trova il massimo esponente nell'idea di anima, perché priva di scadenza. È sempre lì, ovunque stia, anche quando gli va' a finire male.
È un concetto limite a cui non si può rinunciare.
In una ritrovata continuità del reale post-umanista, dovrebbe meglio apparirci che la differenza fra fisico e metafisico è una sfumatura che ci è toccato finora necessariamente marcare per assecondare le limitate risorse craniche .
A pelle non parteggio per la metafisica. Tutto il contrario. Però mi sembra che manchiamo di sottolineare i diversi gradi con cui l'essere ci appare, i quali a quanto sembra si possono sfumare fino a renderlo impalpabile, e che non può quindi liquidarsi ad infinitum con un essere in quanto tale.
Sia pure che sia stata una necessaria semplificazione, ma è arrivato il momento di renderne conto, se le risorse craniche ci assecondano in modo sostenibile, perché pure esse hanno un limite, e quando non possono impegnarsi troppo si inventano concetti leggeri e vaghi .
La materia è quella cosa che muta secondo leggi costanti.
La legge stessa è sinonimo dì costanza.
Quale mutamento sarebbe quello da cui non possa trarsi costanza?
Seppure vi fosse esso non avrebbe come riferimento l'essere.
La sostanza dell'essere sembra dunque stare nella ripetizione , potendosi percepire ciò che si ripete uguale, acquisendo una dimensione temporale.
Su questo essere immerso nel tempo si innesta la vita come ciò che sfugge alle leggi, ma che non ha altro modo di farlo che basandosi su esse. Lo fa' in armonia con esse, senza comprometterle.
Non si può sperare quindi di trovare un senso nella vita se non si trova un senso nel suo contrario.
Ma il fatto stesso che vi sia una tale frattura funzionale nell'essere sembra già un insanabile non sense, tanto da chiedersi quanto sia reale.
La realtà, per dirla in sintonia con Bobmax, è una, ma frazionabile ,perciò là si può percepire, dove la percezione è una relazione fra parti, ma nel percepirla si è di fatto rinunciato a poterla comprendere.
Se pure ciò può vedersi come una condanna , l'essere come prodotto del peccato originale della conoscenza, disperando una redenzione, godiamoci almeno il fatto che ci sono tanti modi di peccare e che possiamo sperimentarli tutti.
"A me gli aspetti dell'essere sembrano molteplici e diversi sono i gradi in cui li percepiamo."
Non mi è molto chiara questa tua affermazione, cmq proviamo ad andare oltre. Porre il problema dell "essere", fintanto che non si riesca a definirlo in termini abbastanza soddisfacenti equivale per me mettere sul piatto una sensazione, ovvero la sensazione dell'esistenza dell'essere. Sembra che tutti lo si percepisca, io compreso, ma non so di preciso quale sia la prova della sua effettiva esistenza al di là della semplice parola che lo rappresenta (per me lo stesso vale anche per la parola Dio, o per la parola Coscienza). Tra l'altro ricordo che nel topic dove si parlava del senso della storia umana senza Dio tu mettevi in dubbio l'esistenza del concetto "storia umana".
Ora accade che io sia poco competente in storia della filosofia, quindi che possa dire delle stupidaggini, ma mi son fatto la sensazione che la filosofia non abbia risposto in modo esauriente quali siano le fattezze dell'essere. Non so se, da ultimo Heidegger, nel suo accostarlo al tempo, forse a farlo coincidere col tempo, ne abbia dato un'idea esaustiva. Ma se i suoi insegnamenti legittimano ad esempio l'emersione dell'idea che l'essere umano sia dominato dalla volontà di dominio, non riconoscendomi in questo atteggiamento non posso far altro che contestarlo (se non Heidegger, l'emersione di quell'idea). Non sarebbe cioè questo ciò che produce l'essere attraverso le immagini che io raccolgo dal divenire.
Ti rimando a questo punto al mio post precedente in cui esprimo io (la mia sensazione) dove dovrebbe svolgersi la ricerca dell'essere in modo tale da farlo apparire più chiaro, ma forse pure più scomodo (la duplicità nella sua unità). Ricordo tra l'altro quello che ha detto Ipazia circa l'unità psicofisica che ti porti dentro dalla nascita alla morte e Jacopus nel dire che le cellule del sistema nervoso son sempre quelle, non ricambiandosi, e suggerendo tra l'altro che lui cercherebbe semmai lì, se ci fosse, la sostanza dell'essere. E pure Viator con la sua definizione di "essere" come una condizione per cui ... le cose accadono. Per me, questi ultimi e molti altri non qui citati, rappresenterebbero tutta una serie di tasselli che concorrerebbero alla formazione di un quadro che dovrebbe risultare infine coerente
Ciao Daniele.
Al di la' della dimostrazione di esistenza, l'essere ci appare in diverso grado.
Una roccia non ci appare come un atomo, se concediamo alla scienza di essere un modo in cui le cose ci appaiono, e le idee in altro grado di esistenza ci appaiono . Possono coesistere tutti questi diversi tipi di essere in un solo mondo in base ad un unica definizione se Platone sentiva l'esigenza di relegarli in mondi a parte?
La scommessa che possiamo fare è che nonostante i loro diversi gradi di apparenza abbiano origine comune e possano condividere quindi lo stesso luogo.
La vecchia definizione di essere in quanto tale non rende conto però dei diversi gradi dell'essere.
Intuitivamente vale bene per una roccia, ma meno bene per le idee.
Una definizione che fosse operativa, dove l'essere è qualcosa che noi costruiamo, darebbe meglio conto dei diversi gradi.
Certo, intuitivamente essa varrebbe più per una idea, che per una roccia.
Ma un essere come costruzione rende conto dei diversi suoi gradi se si trova una variabile che li modula, e questa variabile è la coscienza.
Più ne usi nella costruzione minore appare la consistenza dell'essere.
Così l'idea, sulla cui esistenza pure scommettiamo, è eterea quanto certamente costruita, essendo testimoni della sua nascita se non autori, sebbene non abbiamo coscienza di come facciamo a costruirla. Gli enti della fisica mostrano più consistenza, sappiamo infatti come facciamo a costruirli in laboratorio.
La roccia invece mostra la massima consistenza perché il processo che la genera ci è del tutto ignoto, o quasi.
Ammetto che riuscire a vedere un atomo come qualcosa di costruito non è facile.
Ma non si può neanche negare che non lo "percepiamo" con la stessa consistenza di una roccia.
Io non credo che la realtà sia fatta di atomi o di idee, ma anche di questi e di quelle.
Però esistono finché ci siamo noi che li costruiamo, essendo il risultato della nostra esclusiva interazione con la realtà.
Lo spazio Newtoniano fino a un certo punto lo abbiamo costruito, e perciò esisteva, poi abbiamo smesso di costruirlo e quindi non esiste più.
O forse è più corretto dire che ha perso consistenza, declassato da etere a qualcosa se possibile di ancora più inconsistente, una idea.
Eppure quando applichiamo la fisica Newtoniana, ogni volta lo ricostruiamo e torniamo a rimirarlo come fosse lì.
Ma esso esiste solo come costruzione, come uno dei tanti possibili prodotti della nostra interazione con la realtà, che perciò sono.
L'essere è il risultato risultato di una storia.
Cambia la storia cambia l'essere.
L'umanità non ha una storia, perché è attraverso una storia che essa viene individuata, e questa storia è cambiata nel tempo, e perciò è cambiata l'umanità.
L'umanità è una costruzione.
Citazione di: daniele22 il 07 Dicembre 2021, 10:56:53 AM
Ti rimando a questo punto al mio post precedente in cui esprimo io (la mia sensazione) dove dovrebbe svolgersi la ricerca dell'essere in modo tale da farlo apparire più chiaro, ma forse pure più scomodo (la duplicità nella sua unità). Ric
Che l'essere sia oggettivo è una possibilità, se ammettiamo come fai che essa è da ricercare perché non sempre appare subito chiara. Questo però comporta il credere un rapporto diretto con la realtà.
Essa sarebbe fatta di parti oggettive la cui esistenza può essere chiarita da una indagine in corso.
Ma la duplicità nell'unita' cui accenni fa' pensare più all'essere come ciò che media relativamente fra noi e la realtà .
È il prodotto di una interazione che mostra tanta più solidità quanto meno in essa usiamo coscienza.
Nella misura in cui usiamo coscienza è propriamente una costruzione.
Se costruiamo qualcosa abbiamo contemporaneamente creato il suo duplice, la sua negazione.
Se qualcosa ci appare per quel che è, non come qualcosa di costruito, ma ci appare contemporaneamente il suo duplice, allora possiamo pensare che sia qualcosa di costruito.
Qualunque attributo diamo all'essere possiamo dirlo solo in presenza del suo opposto.
Se diciamo che l'essere è pieno, possiamo dirlo solo se esso è circondato di vuoto.
La realtà però non possiede ne' pieni ne' vuoti. La realtà nella sua unicità non duplice è oggettiva.
O meglio la realtà e la non- realtà sono gli unici opposti che non condividono lo stesso luogo, perché si autoescludono.
O esiste tutto, o non esiste niente
L'inspiegabile efficacia con cui la matematica descrive il mondo si può spiegare solo col fatto che il mondo è una costruzione come lo è una teoria matematica, e per questo la matematica riesce a spiegarlo.
Ogni costruzione è in se' arbitraria , perché come per ogni teoria matematica per essere costruita abbisogna necessariamente di ipotesi che non sono in se' necessarie, nel senso che essendo arbitrarie le si può liberamente cambiare.
Questa libertà però è solo potenziale . Di solito noi non assumiamo le ipotesi a partire dalle quali costruiamo il mondo in piena libertà, perché la nostra relazione con la realtà è relativa ma non gratuita, perché la realtà non è gratuita.
Le,teorie matematiche descrivono il mondo, ma non tutte lo descrivono per il fatto di essere teorie.
Il fatto che conoscevamo gli atomi prima ancora di scoprirli significherà pure qualcosa , e sarebbe banale liquidare tutto con la profetica genialità di un qualche filosofo.
Semmai ciò ci mostra come la filosofia sia parte essenziale nella costruzione dei mondi in cui viviamo, che sono però solo un interfaccia con la realtà.
Il mondo in cui viviamo è fatto di atomi.
E la realtà pure?
Io non direi.
Finché noi saremo fatti così, il mondo in cui viviamo sarà fatto di atomi.
Questa consapevolezza e un invito alla creazione di nuovi mondi possibili in cui vivere.
In effetti lo stiamo già' facendo. Sta cambiando il mondo in cui viviamo e stiamo cambiando noi.
In altri termini, posto che dai miei precedenti post si evince in che senso ho usato i termini mondo e realtà , il fatto che noi riusciamo a descrivere un mondo in senso funzionale, non perciò esso coincide, o anche solo si approssima perciò alla realtà , la quale rimane per noi solo la necessaria ipotesi senza cui quel mondo non possiamo derivare.
Quali che siano gli esseri che popolano questi mondi, questi racconti, queste costruzioni, in assoluto è inessenziale.
Quel che conta è che ci sia un possibile mondo in cui vivere, il quale essendo però un racconto lo si può cambiare.
Non perciò tutto deve apparirci gratuito per sentirci poi la terra mancare sotto ai piedi.
Gli atomi però non hanno una sostanza diversa da un sopra ed un sotto, coi quali ci rapportiamo con la reale, pur non esistendo in assoluto.
Quel che è importante sapere è che se anche domani cambiasse il grado di esistenza con cui ci appaiono, non perciò dovremo smettere di usarli, come continuiamo a riferirci a un sopra e un sotto.
L'essere non esiste senza un motivo ed è quel motivo a generarlo.
L'essere in quanto tale non abbisogna invece che di se stesso.
Esiste senza un motivo.
Come può dirsi che il metterlo in dubbio è operazione nichilistica, quando esso stesso è la massima espressione del nichilismo?
Mettendo in dubbio l'essere si mette in dubbio ciò che su di esso si è costruito, e l'operazione può allarmarci solo se crediamo che non ci siano costruzioni alternative, e crediamo quindi che le cose stanno così perché non potrebbero diversamente stare, ciò perché confondiamo "il nostro mondo" con la realtà sul quale è costruito.
La nostra identità non resta solo nel corpo fisico o nel dna etc., e la sostanza non "genera coscienza". È la coscienza che genera il corpo fisico. Il corpo fisicio è uno strumento attraverso cui l'essere vivente, in virtù della coscienza, si esprime e si manifesta .....
@iano
Sai ben che il mio pensiero intende che noi possiamo conoscere della realtà solo ciò che nella realtà è significativo. A tali significazioni noi umani siamo usi a dare un nome, ad esempio Dio, atomo, coscienza, l'essere, pietra etc. Accade pure che parole tipo Dio, oppure coscienza, oppure l'essere, non abbiano dei riscontri sensibili nella realtà condivisa.
Dopodiché, ogni sostantivo rappresenta un'idea, un'astrazione, ma il suo contenuto non è necessariamente intersoggettivo, nel senso che l'albero non ha la stessa significatività per una persona che vive nel deserto e trova un albero che per una persona che vive nelle alpi e trova un albero. Nel senso che l'albero può avere varie funzionalità che possono anche generare polemos. Però se ti rivolgi ad un vocabolario l'idea di albero diviene intersoggettiva al cento per cento.
All'essere manca un riscontro sensibile, ma il suo potenziale esser sensibile non sta nella natura come l'albero, bensì sta nella natura, quella che comprende i nostri discorsi, ovvero il suo esser sensibile sta nel nostro udire o leggere delle parole che cercano di inquadrarlo.
Ci intendiamo su questa base?
Sulla prima parte che ho capito, si Daniele. Ci intendiamo.
Aggiungerei che il riscontro sensibile non è essenziale, nel senso che ritengo esercizio utile provare a dare a una pietra la consistenza di un idea, oltre a sforzarsi inutilmente di fare il contrario, con risultati che direi almeno paragonabili.
In generale mi sembra utile esercitare la propria immaginazione, perché comunque le pietre quando le idee hanno origine in essa . Una origine comunque non gratuita, perché legata al significato che diamo come dici, o alla loro relativa funzionalità, come preferisco dire io, che ci relaziona alla realtà.
Scopriremmo che non c'è una solo modo di immaginare il mondo è potremmo sperimentarne tanti, più o meno utili, in base al significato che ne ricaviamo e che diamo.
Non so se ho ben capito, ma se vuoi dare a una pietra la consistenza di una idea dovremmo chiederci come mai il cane sappia (conosce) che se tocco il guinzaglio è ora di andare in giro. Quella è l'idea, ovvero una categorizzazione di azione nell'ambito di una scena. Il guinzaglio resta come forma sensibile. Il processo è identico a quello umano, penso. Quel che ha fatto la differenza nel passaggio all'umano, nell'andare oltre fino a determinare la strutturazione di un linguaggio che diverrà infine linguaggio di essere consapevole di se stesso fu dato dalle conseguenze della specializzazione nella segmentazione delle azioni per gestire pure la cura del fuoco, con indotti tecnologici che perdurano all'oggi. Non era Nietzche che ce l'aveva con gli adoratori del fuoco? Avrà pur avuto qualche buon motivo. Fatale fu, in questa piccola narrazione personale, quando categorizzammo l'azione di "parlare".
Per quel che riguarda l'essere mi ricordo che un giorno pensai che qualora fossi mai riuscito un giorno a "misurarmi" in un dato momento, proprio in quel momento sarei scomparso dal mondo. Però c'è qualcosa in te che non cambia da quando nasci a quando muori. Cmq, secondo me ha senso chiedersi cosa sia l'essere, ha senso almeno per schiarire una via che sembra sempre più smarrita
Ciao Daniele.
Intendo pietre , come esempio di materia, e idee, entrambi come prodotti parimenti della nostra interazione con la realtà Esse esistono solo nella nostra percezione, ma non perciò sono puro prodotto di fantasia, se non in parte.
La loro origine cioè non è del tutto gratuita, perché attiene al nostro rapporto con la realtà.
Ma la realtà non è fatta di materia ne di idee, se non come prodotto della nostra suddetta interazione con la realtà.
Detto barbaramente, esiste la percezione delle pietre, ma non esistono le pietre, esiste però qualcosa che ha generato la nostra percezione . Le pietre sono un prodotto nostro non meno che della realtà.
Supporre come di solito facciamo che attengano alla realtà, e non a noi, è un atto di superbia, perché ci poniamo come osservatori assoluti. Noi diciamo, se la pietra la vedo allora esiste. Se invece scendiamo dal piedistallo la pietra si riduce ad esistere come pura percezione relativa a me. Poi esisterà' pure una concausa oggettiva e reale che ha generato la percezione, ma in collaborazione con me. Senza di me non vi è alcuna pietra, nel senso che solitamente intendiamo.
La percezione della pietra è funzionale a me, che infatti posso spostarla, ma non so' veramente cosa sto spostando, so' solo che posso interagire spon la realtà, e la percezione della pietra e il suo spostamento sono parte di questa interazione, prodotto e conseguente possibile azione sulla realtà.
Esiste allora qualcosa che ne ha generato la percezione in rapporto a noi, al nostro agire, ad esso quindi funzionale.
Se si accetta questo quadro non ha senso trovare l'origine delle idee nella materia, quanto il suo contrario.
L'unico vero essere puro ha il carattere teorico di una supposizione necessaria, la realtà.
Deve esserci infatti una causa se io percepisco una pietra o una idea, ma quella causa non è una pietra ne una idea, perché esse non sono cio' viene percepito, ma il prodotto di una percezione.
Tutta questa mia filosofia potrebbe apparire inconsistente e/o superflua , ma in effetti credo renda conto delle risultanze della fisica, secondo cui lo "stesso oggetto" si manifesta in modi diversi, esempio come onda piuttosto che come particella, secondo di come lo indaghiamo, cioè secondo il tipo di esperimento che apparecchiamo.
Ora a me pare che l'unica certezza che abbiamo è che diverso sia l'esperimento, ma non che l'oggetto sia sempre lo stesso. Il fatto che il presunto oggetto appaia paradossalmente in vesti diverse, fra loro contraddittorie, è la prova che il presunto oggetto non esiste, e che occorra riferirsi a una realtà più vasta, la quale produce cose diverse in associazione ai diversi modi di interagire con essa.
Ai fini dell'applicazione della meccanica quantistica in effetti non sembra un grosso problema trascinarsi dietro certe assurdità logiche, basta far finta che non esistano.
La loro presenza non osta minimamente all'applicazione della teoria per gli addetti ai lavori.
Ma nella misura in cui, come io credo, la scienza sia una impresa comune degli uomini, osta a una partecipazione allargata alla scienza, senza la quale io ritengo perda ogni senso.
Non ne faccio una questione di giustizia sociale.
Sono infatti convinto che la sostanza della scienza sia proprio quella di dare un senso non all'azione dell'uomo, ma dell'umanità, anche quando all'apparenza è sempre il singolo uomo che agisce.
Ma quando ad esempio tu vedi rosso, solo apparentemente stai facendo una azione individuale, perse tu vedi rosso è perché tutti gli uomini vedono rosso. Attraverso te è l'umanità che percepisce il rosso.
E la scienza altro non è che un diverso modo di percepire, ma perde senso se diventa la percezione di una ristretta comunità di scienziati.
Mi sembra quindi che il compito della filosofia sia di ricondurre la nostra interazione con la realtà fattore comune, di modo che tutti possiamo vedere rosso. Ma il rosso in se' non esiste, se non come percezione , vera autentica percezione perché condivisa da ogni uomo, ma non perciò ha un corrispettivo oggettivo.
Inutile dire che di oggettivo vi è una precisa frequenza elettromagnetica che corrisponde al rosso.
Questo è pur vero, ma vero in quanto un racconto di una possibile interazione non univoca con la realtà, di cui le onde sono solo un personaggio che rende possibile raccontare la storia.
Le onde non esistono al pari del rosso, della materia e delle idee, se non come prodotto della nostra interazione con la realtà funzionale al nostro agire.
La via sembra smarrita, è vero Daniele, ma magari solo perché siamo a una svolta e non vediamo ancora oltre l'angolo.
Ma a dire il vero io credo che non esista alcuna via se non quella che noi costruiamo, ma possiamo farlo solo se ci proviamo gusto a farlo,
Tutto sembra congiurare per metterci ai margini, ma in effetti non vi è alcun complotto.
Nessuno può metterci ai margini se non noi stessi, che siamo comunque partecipi di una impresa più grande di noi.
Non credo che la libertà sia qualcosa di astratto, ma sia la funzione dell'individuo.
Non è un puro ideale, è la sostanza dell'individuo senza il quale l'impresa naufraga.
Perciò ogni individuo è importante nella sua libera diversità e non possiamo perderne uno.
Aggiungo, a scanso di equivoci, che ha senso cercare relazioni fra pietre e idee, ma non può essere quello di far derivare le une dalle altre, perché esse hanno già' una derivazione comune, quella di essere i prodotti delle nostre interazioni con la realtà.
Ma a spremere le pietre non ne esce succo, né tanto meno idee.
La sostanza dell'essere è in noi quanto nella realtà, nel nostro rapporto con essa.
Questi sono gli esseri di cui possiamo parlare o che possiamo manipolare.
Sono relativi, ma li trattiamo come assoluti perché ci consideriamo assoluti.
Sarebbe un peccato veniale se non stravolgesse la corretta prospettiva, corretta per quanto ci sia dato considerarla., perché sappiamo che esistono diverse prospettive che noi stessi possiamo sperimentare.
La realtà invece ci tocca supporla unica, perché non ci sono date altre chance, perché anche quando sperimentassimo realtà diverse non possiamo sperimentarle come diverse, e quindi la diciamo una.
E non cambia molto se pur sospettiamo che una non sia, come possiamo ben sospettare, se noi ne siamo parte.
Ciao iano, ho letto quel che dici, alcune cose mi sono chiare, altre meno, cmq il discorso sull'assoluto mi è chiarissimo, condiviso e fondamentale. Ho notato che hai sottolineato il mio usare il termine significativo usando tu invece il termine funzionale. In quel caso, e anche in questo, col termine significativo esprimo l'idea che vi sia una causa di natura emotiva che permette la produzione della realtà e la successiva adeguata relazione con essa. Senza tale causa non vi sarebbe alcuna realtà, e forse nemmeno la vita, oppure la vita si svolgerebbe come fossimo degli automi, cosicché allora avrebbe ragione di esistere la cosiddetta superiorità intellettiva tra le specie e all'interno della nostra specie. Cosa questa che io nego, relegando l'espressione dell'intelligenza all'interno di un interesse più o meno maggiore da parte degli individui nei confronti della realtà in generale e anche delle sue particolarità (tipo l'esposizione di una teoria scientifica o anche la produzione di un'opera d'artigianato). In generale sarei propenso a dire che l'esercizio dell'intelligenza è strettamente connesso ad una maggiore o minore aggressività individuale in termini di azioni nei confronti dell'ambiente