Un linguaggio differente apre nuovi spunti di pensiero

Aperto da xxxxxx, 16 Dicembre 2025, 17:59:50 PM

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xxxxxx

Usando un linguaggio differente da quello naturale vengono alla luce delle cose che paiono strane.

In uno spazio geometrico un punto ha coordinate (x_1 , x_2, ... , x_n) dove la lunghezza di questa stringa mi dice in quale dimensione sta questo punto.

Sembra tutto molto intuitivo ora immaginiamo che n sia maggiore di 3 per semplicità immaginiamo che n = 4

(x_1, x_2, x_3, x_4) sono le coordinate di un punto.


Consideriamo un piano in uno spazio di dimensione 4, i suoi punti sono individuati da 2 coordinate x, y disposte come vogliamo ad esempio va bene (x, 0 , y , 0) oppure (x, y, 0, 0) e così via.

Qui succede una cosa controintuitiva, se prendiamo due piani ad esempio (x, y, 0, 0) e (0, 0, z, c) questi due piani hanno in comune solo un punto ovvero il punto (0, 0, 0, 0).

Questa cosa non può accadere a dimensione minore di 4, come siamo abituati a pensare due piani a dimensione 3 per esempio possono essere uguali, paralleli o incidenti dove il punto di incidenza è una retta. Da dimensione 4 in su due piani possono essere incidenti in un' unico punto. Cosa inimmaginabile per la mente.


Come è possibile che un cambio di linguaggio abbia questa potenza? 


iano

#1
Io ho un mio metodo filosofico.
Quando due cose mi sembrano una strana, e l'altra normale, mi sforzo di vedere come strano ciò che mi appare normale, se non riesco a farmi apparire normale ciò che mi appare strano, cercando di portarle sullo stesso piano di intuitività, o controintuitività, che dir si voglia.
Il metodo poggia sull'ipotesi che la normalità sia figlia dell'abitudine, e che nulla in se quindi lo sia.

Tu hai fatto l'esempio nello spazio a tre dimensioni dei piani che possono essere, incidenti, paralleli, coincidenti, dove il caso in cui coincidono è un caso particolare di piani incidenti.

Ma proviamo adesso fare tutti i casi.
Cosa ci aspettiamo intuitivamente?
Io mi aspetterei uno schema regolare, anche se non saprei dire bene quale,
ad esempio 1,2,3,4.

Proviamo.

In uno spazio tridimensionale

Due punti possono incontrarsi
1- in nessun punto ; punti distinti
2-i n un solo punto ; punti coincidenti

Due rette possono incontrarsi
1- in nessun punto,; rette non incidenti non parallele
2-  in nessun punto; , rette non incidenti parallele
3- in un solo punto ; rette incidenti
4- in infiniti punti; rette coincidenti

Due piani possono incontrarsi
1-in nessun punto; paralleli
2-In infiniti punti; incidenti
3- in infiniti punti; coincidenti

Due spazi possono incontrarsi
1- in infiniti punti; coincidenti

Schema alternativo

Due punti possono incontrarsi
1- in nessun punto
2- in un solo punto

Due rette possono incontrarsi
1- in nessun punto
2- in un solo punto
3- in infiniti punti

Due piani possono incontrarsi
1-in nessun punto
2- in infiniti punti

Due spazi possono incontrasi
1- in infiniti punti

Abbiamo ottenuto i seguenti schemi
2,4,3,1
2.3.2.1

Nessuno dei quali avevo intuito.

Quali sono i corrispondenti schemi per lo spazio a n dimensioni, ad esempio, 1,2, 4,5,...n?

Intuitivamente mi aspetterei una regolarità nella sequenza delle sequenze che giustifichi ''le strane'' sequenze che abbiamo trovato per lo spazio a 3 dimensioni, e giuro che non ho idea di come stiano le cose, perchè quello che ha postato xxxxxx in effetti mi ha sopreso. Un link sarebbe comunque utile, anche se io non ne dubito, e infatti ho sviluppato il mio ragionamento sulla fiducia.
Dunque, calcolamus, come diceva Cartesio...

Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Lou

Citazione di: xxxxxx il 16 Dicembre 2025, 17:59:50 PMUsando un linguaggio differente da quello naturale vengono alla luce delle cose che paiono strane.

In uno spazio geometrico un punto ha coordinate (x_1 , x_2, ... , x_n) dove la lunghezza di questa stringa mi dice in quale dimensione sta questo punto.

Sembra tutto molto intuitivo ora immaginiamo che n sia maggiore di 3 per semplicità immaginiamo che n = 4

(x_1, x_2, x_3, x_4) sono le coordinate di un punto.


Consideriamo un piano in uno spazio di dimensione 4, i suoi punti sono individuati da 2 coordinate x, y disposte come vogliamo ad esempio va bene (x, 0 , y , 0) oppure (x, y, 0, 0) e così via.

Qui succede una cosa controintuitiva, se prendiamo due piani ad esempio (x, y, 0, 0) e (0, 0, z, c) questi due piani hanno in comune solo un punto ovvero il punto (0, 0, 0, 0).

Questa cosa non può accadere a dimensione minore di 4, come siamo abituati a pensare due piani a dimensione 3 per esempio possono essere uguali, paralleli o incidenti dove il punto di incidenza è una retta. Da dimensione 4 in su due piani possono essere incidenti in un' unico punto. Cosa inimmaginabile per la mente.


Come è possibile che un cambio di linguaggio abbia questa potenza?
Ritengo che questo esempio che poni descriva una "esperienza" puramente astratta, perciò controintuitiva in quanto slegata totalmente dalla percezione diretta che abbiamo dello spazio. La potenza è data dal fatto che non necessariamente il linguaggio matematico descrive oggetti che possiamo vedere o toccare con le nostre limitate percezioni. Estremamente poetico, per certi versi.
"La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità." F. Nietzsche

xxxxxx

#3
Si c'è una regularità ma vedendo il tutto come una stringa di coordinate penso venga più facile

Ad esempio prendiamo due piani a dimensione 4 e chiamiamo k una costante.

Possono essere paralleli ad esempio

(x, y, 0, k) (x, y, 0, 0)

Possono essere uguali

(x, y, 0, 0) (x, y, 0, 0)

Possono essere incidenti in una retta

(x, y, 0, 0) (0, y, c, 0)

Possono essere incidenti in un punto

(x, y, 0, 0) (0, 0, c, z)


Se aumento di una dimensione si crea più spazio e allora due piani possono essere sghembi

(x, y, 0, 0, 0) (0, 0, c, z, k)


E come dici al caso di rette si generalizza al piano e allo spazio e così via

Se chiamo le dimensioni di uno spazio n quello spazio sarà incidente in un solo punto a dimensione 2n e sarà sghembo a dimensione 2n+1

Sempre se non ho sbagliato perché mi sono fatto una rappresentazione mia personale.



Si è astrazione pura, ne sono consapevole però pensavo che magari poteva essere uno spunto di riflessione, perché è come essere un ceco che legge in braille se vogliamo dare una natura più sensible alla matematica

iano

#4
Citazione di: xxxxxx il 17 Dicembre 2025, 12:51:46 PMSi c'è una regularità ma vedendo il tutto come una stringa di coordinate penso venga più facile

Ad esempio prendiamo due piani a dimensione 4 e chiamiamo k una costante.

Possono essere paralleli ad esempio

(x, y, 0, k) (x, y, 0, 0)

Possono essere uguali

(x, y, 0, 0) (x, y, 0, 0)

Possono essere incidenti in una retta

(x, y, 0, 0) (0, y, c, 0)

Possono essere incidenti in un punto

(x, y, 0, 0) (0, 0, c, z)


Se aumento di una dimensione si crea più spazio e allora due piani possono essere sghembi

(x, y, 0, 0, 0) (0, 0, c, z, k)


E come dici al caso di rette si generalizza al piano e allo spazio e così via

Se chiamo le dimensioni di uno spazio n quello spazio sarà incidente in un solo punto a dimensione 2n e sarà sghembo a dimensione 2n+1

Sempre se non ho sbagliato perché mi sono fatto una rappresentazione mia personale.



Si è astrazione pura, ne sono consapevole però pensavo che magari poteva essere uno spunto di riflessione, perché è come essere un ceco che legge in braille se vogliamo dare una natura più sensible alla matematica
Quindi mi pare di capire che ''da un punto di vista astratto'' il fatto strano era atteso.
Poi, per quanto mi riguarda, non è che dobbiamo dare una natura più sensibile alla matematica, ma capire che i nostri sensi della matematica si servono, e all'occorrenza si potrebbero evolvere per farci vivere in uno spazio a 4 dimensioni, se non fosse che un device potrebbe sostituirci nell'evenienza, perchè la nostra evoluzione ormai è esclusivamente tecnologica, sempre che si accetti che essa sia parte di noi.
La stessa matematica ormai è delegata alle macchine, ma nella misura in cui l'abbiamo praticata, e ancora la pratichiamo in prima persona, è un esempio di ''terzo occhio'', che però nella sua evoluzione, che possiamo dire istantanea in confronto ai ''naturali'' tempi evolutivi, è divenuta apparentemente altro da noi, una macchina.
Da quanto scrivo è evidente che io sono uno di quelli che ''la matematica è dentro di noi'', e che la natura non sia scritta in termini geometrici come diceva Galilei, ma siamo noi che così la descriviamo, anche quando non sappiamo di farlo, ed è quando non sappiamo di farlo che la natura ci appare al modo che diceva Galilei.
Si può non essere d'accordo, ma non si può non ammettere che assumendo questa posizione molti misteri smettono di essere tali.
Molta della meraviglia che ci spinge allo studio in tal modo potrebbe venir meno, però alcuni matematici dicono che la loro materia possiede già in se eleganza e meraviglie  a non finire, e chi sono io per dubitarne... :)
Tu ce ne hai appena descritta una, dandocene esempio, e in modo sufficientemente chiaro. Magari non lo sai, e ti stai avviando a divenire un affermato divulgatore scientifico. :)
Nel caso noi ti faremo ancora volentieri da cavie. :))
A mia volta poi ti userò come cavia per testare i miei metodi filosofici, che, almeno fino adesso, mi pare funzionino.

La matematica è nella nostra testa, e quella propriamente detta da li l'abbiamo estratta, come Atena nasce dalla testa di Zeus.
I filosofi greci avevano già capito tutto.
Oggi sappiamo di non sapere...che sapevamo già tutto, e che bisognava solo tirarlo fuori.
A partire da ciò il nostro sapere può veramente evolvere, non più limitato entro una scatola cranica, anche se questa delega che facciamo alle macchine comprensibilmente può far paura.

Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

xxxxxx

Faccio una riflessione, alle superiori facendo Pirandello ne ho asimilato la sua idea, lui in sostanza dice l'uomo è come un fuoco che non ha forma, ma per vivere deve assumere una forma, che lo ingabbia, se prova a spogliarsi della sua forma viene costretto ai margini della società tra i senza tetto o i folli.
Certo è drammatica la sua visione ma per fare un parallelo davvero fa paura un andamento legato alla "tecnica" come ho sentito da Galimberti?

Phil

In generale, la forma ha sempre uno scopo o è almeno il risultato di un processo; nel caso della società umana si tratta di entrambi i casi: la forma che l'uomo assume in società ha uno scopo (il vivere in società) ed è il risultato di un processo storico (ossia la storia di quell'individuo contestualizzata nella storia di quella società).
Ovviamente un uomo può non avere solo la sua identità formale, sociale, "inquadrata", ma può anche avere al contempo dimensioni più destrutturate, personali, "irregolari" (come è irregolare la fiamma del fuoco che scalda la regolarità della graticola con cui cuociamo alla brace). Ad esempio, per parlare con gli altri conviene (scopo) usare un linguaggio comune formalizzato (grammatica, sintassi, etc.), ma per parlare con se stessi o con un "complice" si può usare anche un linguaggio totalmente personale, persino insensato. Oppure, riprendendo il tuo spunto matematico, per occuparsi di piani e rette conviene (scopo) usare il formalismo degli assi cartesiani e delle coordinate geometriche, ma se vogliamo dipingere un quadro possiamo anche farne a meno e procedere "a mano libera", persino ignorando la prospettiva e producendo arte astratta (con un'astrattezza affine a quella delle matematiche che non riusciamo a vedere guardandoci intorno).
Per quanto riguarda la tecnica, la paura è sempre (stata) una possibile prima reazione "naturale": probabilmente il primo uomo che ha visto un suo simile accendere un fuoco si è spaventato molto e lo stesso accade ad alcuni quando vedono un altro uomo "accendere" un'intelligenza artificiale. La tecnica produce cambiamento, sia sociale che talvolta esistenziale, proprio perché, come da titolo del topic, introduce un nuovo linguaggio (magari in senso metaforico) che apre nuovi spunti di pensiero e riflessione. Spesso questo cambiamento spaventa, ma può anche esaltarci o, se non ci riguarda, lasciarci indifferenti.

iano

#7
Citazione di: xxxxxx il Oggi alle 12:03:55 PMFaccio una riflessione, alle superiori facendo Pirandello ne ho asimilato la sua idea, lui in sostanza dice l'uomo è come un fuoco che non ha forma, ma per vivere deve assumere una forma, che lo ingabbia, se prova a spogliarsi della sua forma viene costretto ai margini della società tra i senza tetto o i folli.
Certo è drammatica la sua visione ma per fare un parallelo davvero fa paura un andamento legato alla "tecnica" come ho sentito da Galimberti?
Con il tempo la tecnica diventa parte di noi, in un lungo processo che inizia con la diffidenza verso di essa, quando non con la paura.
In un certo senso tu con la discussione che hai aperto, dai un esempio di ciò, cioè della nostra resistenza al cambiamento., che nel migliore dei casi significa usare prudenza nell'abbandonare la strada vecchia per la nuova, e nel peggiore diventa un inguaribile, quanto sterile, nostalgia del passato
Senza la scrittura infatti la matematica sarebbe rimasta limitata all'intuizione dello spazio a tre dimensioni. Staccarsi da questa intuizione, per diventare uomo matematico a tutto tondo, non è una operazione ancora compiuta, se tu vuoi rendere ''sensibile'' la matematica.
Questo è un modo di vedere il bicchiere mezzo vuoto.
Proviamo a vederlo mezzo pieno.
Se l'immaginazione è limitata allo spazio a tre dimensioni, possiamo superare i suoi limiti?
Si, con la scrittura, e quindi con il linguaggio scritto,  quindi con la matematica , anche senza dover estendere il potere della nostra immaginazione, cosa che richiederebbe comunque tempi evolutivi.
Però, anche quando riuscissimo a immaginare lo spazio a 4 dimensioni, saremmo punto a capo, avendo solo spostato i nostri limiti immaginativi, senza eliminarli.
L'unico modo di eliminare il limite dell'immaginazione è rinunciarvi, sostituendolo con una tecnica, la scrittura ieri, il computer oggi, la AI domani.
Poi, te lo immagini il matematico specializzato ad immaginare  la topologia, e quello specializzato ad  immaginare il tensore, perchè che si riesca ad avere un immaginazione ad angolo giro, stante l'evoluzione della matematica, direi che è comunque da escludere; e a cosa servirebbe poi una immaginazione non condivisa ?
Meglio allora una matematica condivisibile a 360 gradi, solo che lo si voglia e se ne abbia il tempo.
Un linguaggio universale, per tutti, che prende il posto dell'immaginazione che allo stesso modo abbiamo condiviso.
Nel nostro divenire, se uomini vogliamo restare, quello che non dobbiamo perdere è la condivisione, senza legarci a qualcosa di condiviso in particolare.

Quindi tu con la discussione che hai aperto, credo senza volere, ci stai illustrando l'umana difficoltà nella sua transizione tecnologica che ha preso il posto dell'evoluzione, nuova evoluzione di cui per la prima volta siamo testimoni, e non solo strumenti.
Questo significa che su questa evoluzione noi abbiamo preso il controllo, ed è questo che ci fa paura.
Desideriamo prendere il controllo su tutto, in quanto animali spiccatamente coscienti, ma poi quando ci riusciamo, vorremmo tornare bimbi incoscienti nella culla della natura.
Mi chiedo a quanti desideri rinunceremmo se considerassimo davvero tutte le conseguenze della loro realizzazione.
Però a quanto pare ci piace praticare l'incoscienza del puro desiderio.


Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#8
Noi abbiamo il privilegio di vivere la transizione, iniziata con Euclide, fra la matematica immaginabile e quella inimmaginabile, il che ci consentirà di comprendere cosa sia, al netto dell'immaginazione, facendone un uso più consapevole.
Il numero delle dimensioni dei mondi in cui poter vivere e n, dove n è un numero qualsiasi, non  più determinato dai limiti della nostra immaginazione.

Maometto vede la montagna e gli ordina di venire a lui.
Ma siccome la montagna non va a Maometto,  allora è  Maometto ad andare  alla montagna, ma, salendovi, non la vede più.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

fabriba

Stai assimilando due diversi sistemi di coordinate a due diversi linguaggi, sei sicuro che il parallelo regga?
In fondo hai usato lo stesso linguaggio della geometria euclidea, semplicemente in uno spazio di dimensioni superiori.


Immagina di essere un cartone animato: sei dentro al cartone e con te ci sono le due rette -non parallele. Queste occupano il tuo intero campo visivo (monodimensionale, perché vivi dentro al cartone, quindi la tua vista è quella striscia stretta come lo spessore del foglio).
Se qualcuno ti  suggerisce che queste in uno spazio tridimensionale potrebbero anche non incontrarsi mai (grazie Iano), non hai modo di concepirle.
È il linguaggio che è cambiato, passando dalle 3 alle 2 dimensioni?  Secondo me no, ma non sono sicuro.

iano

#10
Citazione di: fabriba il Oggi alle 17:40:42 PMStai assimilando due diversi sistemi di coordinate a due diversi linguaggi, sei sicuro che il parallelo regga?
In fondo hai usato lo stesso linguaggio della geometria euclidea, semplicemente in uno spazio di dimensioni superiori.


Immagina di essere un cartone animato: sei dentro al cartone e con te ci sono le due rette -non parallele. Queste occupano il tuo intero campo visivo (monodimensionale, perché vivi dentro al cartone, quindi la tua vista è quella striscia stretta come lo spessore del foglio).
Se qualcuno ti  suggerisce che queste in uno spazio tridimensionale potrebbero anche non incontrarsi mai (grazie Iano), non hai modo di concepirle.
È il linguaggio che è cambiato, passando dalle 3 alle 2 dimensioni?  Secondo me no, ma non sono sicuro.
Il tuo esempio, notevole, sembra tratto da ''Flatland'' del reverendo Abbott.
Però il punto è che la geometria euclidea noi la conoscevamo prima che Euclide la mettesse per iscritto.
Ciò che è notevole nel lavoro di Euclide, ma che  rischia però di essere dato per scontato, mentre invece non lo è, è che lui ha tradotto la nostra immaginazione in parole.
Quello che non è possibile fare è la traduzione inversa, perchè noi usiamo il linguaggio immaginativo senza averne cognizione.
E' una lingua che usiamo senza conoscerla, per cui non possiamo tradurre in essa linguaggi invece noti.

Una volta tradotta la nostra immaginazione 3D in linguaggio scritto, ci si è aperta ogni altra dimensione, minore o maggiore di quella.
Perchè non possiamo immaginare la quarta dimensione?
Lo hai spiegato benissimo col tuo esempio, anche meglio del  reverendo.
Lo stesso esempio però  ci suggerisce invece la possibilità di poterla immaginare, perchè noi potremmo essere stati benissimo un tempo esseri dalla immaginazione bidimensionale, e oggi riusciamo invece a vedere la terza dimensione.
Ma ora, ammesso e non concesso che fossimo in grado di farlo nell'arco di una generazione, cioè al netto dei tempi classici dell'evoluzione, perchè lo dovremmo fare, quando è sufficiente calcolare?
Alla fine  a me non sembra un ipotesi impraticabile pensare che quel calcolo non è diverso da quello che fa il nostro sistema percettivo.
Quindi, certo, a furia di fare quel calcolo che ci proietta nella quarta dimensione, potremmo iniziare a farlo in modo automatico, dimentichi di farlo, e a un certo punto ci sembrerà di vederla la quarta dimensione, come se fosse stata sempre li, come un ovvietà . Però di gratis a questo mondo non c'è nulla, anche quando sembra, per cui basta aprire gli occhi, e , magia, la realtà ci appare.
Sono certo che tu nella tua esperienza potrai trovare riscontro a ciò che dico. Non è infatti vero che tu hai dimenticato quanta fatica ti è costata assimilare concetti matematici che oggi ci porgi con una certa non calanche , come dovessero  anche per noi essere ''ovvi''?
Non è una critica, beninteso. Non colpevolizzarti. :)
Spiegare in modo chiaro è ancor più difficile dell' averlo compreso, perchè a un certo punto lo hai compreso, ma non sapresti ben dire come, per cui non sei in grado di avviare gli altri sullo stesso percorso di comprensione, a meno che tu non sia un grande maestro, che però è cosa rara, e non è un caso.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#11
Lettura consigliata.

Vedere e rivedere
viaggio di un neuroscienziato nella visione in 3D
di [color=var(--bs-link-color)]Susan Barry[/url][/font][/color]

Traduzione di [color=var(--bs-link-color)]Silvio Ferraresi[/url][/size][/color]


(*)(*)(*)(*)( )(14)

[color=var(--bs-link-color)]4[/url]Recensioni0Citazioni0Note[/color]



Descrizione
"Vedere e rivedere è fonte di ispirazione per chiunque sia privo della visione tridimensionale, ma è al contempo un'esplorazione della straordinaria capacità del cervello di modificarsi e di adattarsi, ed è un'ode all'incanto e alla meraviglia del mondo visivo."
Oliver Sachs



In breve, c'è un difetto visivo che ci fa vedere il mondo a due dimensioni, ma è un difetto difficile da diagnosticare, perchè chi ce l'ha crede di vedere atre dimensioni.
Caso vuole che una neuroscienziata, Susan Barry, che quel difetto studiava, essendo quindi esperta del problema, è riuscita ad autodiagnosticarselo.
Lei la terza dimensione la vedeva perchè, senza saperlo, la calcolava. Ad esempio, se una cosa copre una seconda calcoli che la seconda sia più lontana, solo che lei questo calcolo lo faceva in modo inconscio, e perciò ''vedeva'' la profondità.
Una volta scoperto il difetto è riuscita a ricondizionare il suo cervello, correggendo il difetto, e ciò è sempre possibile, se si trova il modo, grazie alla elasticità del nostro cervello.
Da qui il titolo del libro.
L'autrice ci descrive la sua meraviglia nel rivedere un mondo che pure credeva di vedere già.

Chissà allora quanti di noi vedono il mondo a due dimensioni e non lo sanno, rammaricandosi magari invece di non riuscire a vedere la quarta.
Se fosse stato necessario alla nostra sopravvivenza non ho dubbi che avremmo trovato il modo di vederla.

Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

xxxxxx

Forse è il discorso in generale che ha fatto emergere in me la cosa.
A causa di alcuni sintomi in passato ho sperimentato un cambio di prospettiva nella percezione, la cosa strana è che l'abitudine quando i sintomi spariscono porta quasi a dimenticarsi di quella distorsione (e ne sono grato sia chiaro), mi è rimasta la paura di quel passato ma in un ambito molto specifico ci sono cose che ora non mi sorprendono dove a molti invece succede, come avete detto vivendo in un mondo si finisce per non coglierne un'altro, ma è un bene a volte sia così. Per lo meno  quella esperienza che ho avuto avrei non averla voluta sperimentare mai. E' forse un bene dico io avere meraviglia perchè ci da sicurezza di essere ben radicati in un mondo anche se più piatto (esempio le 2 dimensioni invece di 3) no? In fondo se riusciamo a essere sereni abbiamo fatto 13 nella vita.

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