anthonyi nel post "Ciò che Dio vuole da noi" così è intevenuto:
Ciao enrico 200, riflettendo sui tuoi post mi viene una domanda, ma se tutti gli esseri viventi ritorneranno al padre senza corpo fisico ma con una coscienza (Che sarà poi quella che definisce l'essere), allora tutti gli esseri viventi sono dotati di coscienza, anche i fili d'erba?
Non sarebbe più sensato affermare che solo gli esseri viventi dotati di coscienza torneranno al padre, e vi torneranno proprio in funzione delle caratteristiche di quella coscienza. Nel libro dei morti degli Antichi Egizi, l'anima (o spirito, o coscienza) veniva pesata e, in funzione di questo peso andava da una parte o dall'altra. In altri termini la coscienza è un elemento essenziale di definizione della spiritualità, per cui è importante capire chi ce l'ha e chi no, nella storia della cultura umana si è data una coscienza anche agli oggetti fisici, ma per me è un'esagerazione anche affermare che tutti gli esseri viventi, anche i virus?, hanno una coscienza.
Un saluto e un augurio di buona fine e buon principio d'anno.
Grazie dell'intervento antony , si io penso che una qualche forma di coscienza la debbano avere anche le piante se son esseri comunque viventi di per se son vivi con un tipo di coscienza anche se "rudimentale" o semplificata senza per questo essere meno nobile, semplicemente forse come sorella pianticella, sorellina perchè piccolina ma non deficientina ecco. Lei sta bene nella sua propria dimensione, fa il suo compito, è a posto così. Però non so in effetti, mi pare debbano averla ecco si perchè l'energia che muove , anima la pianta è coscienza in quanto tale, la vita lo è di per se per definizione cosciente, coscienza. Anche i virus certo, svolgono quella mansione "ingrata" come ognuno di noi svolge la proprie non sempre meno ingrata del povero microbo, anzi. Ingrata perchè giustamente da questa prospettiva così limitata che dobbiamo avere per avere l'esperienza fisica non possiamo che giudicarla tale ma così non sarebbe in quanto avrebbe sempre una funzione di carattere accademico universale o spirituale superiore. Un po come i paletti a scuola di polizia per far imparare la guida spericolata ma calcolata della polizia per dire. Sugli oggetti fisic come può essere un tavolo di legno no, non penso ci sia proprio una coscienza , li non c'è vita ovviamente, ma in un albero si quando è vivo e via dicendo.
Ciao enrico 200, ti ringrazio di aver aperto il 3D(Io sono emotivamente restio a queste iniziative, questione di carattere), tu identifichi la coscienza con la vita(poi ci sarebbe da discutere cos'è la vita) ed è una tesi legittima. Partendo del Cogito ergo sum di Cartesio noi abbiamo una sola certezza, quella della nostra personale coscienza, neanche su quella del nostro amico più caro possiamo mettere la mano sul fuoco, perché la coscienza è un fatto interiore.
Di contrappunto la tendenza umana è sempre stata quella di dare una coscienza a tutte le cose, particolarmente a quelle grandi e potenti, e questo carattere può spiegare la nascita di tante divinità antiche (Il Dio del mare, La Dea madre terra, etc. ). L'uomo ha attribuito una coscienza anche ai concetti prodotti dalla sua mente, e li ha divinizzati (Dio della guerra, Dea della bellezza, etc.).
Ti saluto e ti faccio gli auguri di buona fine e buon principio.
Salve enrico 200 : Il primo passo dopo l'essersi chiesti cosa (attenzione : COSA sia quella tal cosa....non COME sia !) sia appunto una "cosa", consiste nel provare a darne una definizione.
Paradossalmente le definizioni delle cose si danno invece una volta che qualcuno creda di conoscere COME è la cosa.
Proviamo ora invece a partire da una definizione : "la coscienza è quella funzione che permette di mettere in relazione l'esterno di noi con l'interno di noi".
Mettere in relazione significa far interagire i due aspetti della cosa coscienziale in modo da preservare (far continuare ad esistere) sia l'esterno di noi che l'interno di noi (il "sè'").
All'esterno di noi (il mondo oggettivo) la coscienza non interessa poichè esso continuerà ed esistere anche senza di noi. Quindi diciamo che la coscienza è funzione solamente umana perchè a noi serve per vedere in noi il nostro "sè". Una coscienza oggettiva ed extraumana diciamo non esista poichè la natura non crea ciò che risulterà inutile alla sua totalità ma crea soltanto ciò che è utile (evolutivamente necessario) alle sue parti.
Qual'è per noi l'utilizzazione (lo scopo del possesso) della coscienza ? Semplicemente quello di esercitare il primo frutto della coscienza stessa : la facoltà di esercitare delle volontà.
Quindi la coscienza sarebbe la funzione (psichica o spirituale, questo è aspetto del tutto separato che dipende dal credere che l'uomo possieda solamente un sistema nervoso od invece anche un "anima") che ci permette di esercitare il "libero arbitrio" e di conseguenza fissare tutte le nostre convinzioni le quali generano a loro volta le nostre scelte, i nostri comportamenti.
Ho fatto un'ipotesi, l'ho citata sotto forma di definizione, l'ho succintamente illustrata. Tocca ad altri eventualmente contestarla o demolirla. Mi raccomando però : replicando COSA d'altro potrebbe essere la coscienza e non raccontando COME è (questo lo sanno tutti) o limitandosi a dire che non può essere ciò che io ho supposto. Salutoni.
ciao antony, perchè sei restio ? :D
si , adesso non so, ma ci son studi sembra anche comunque ma pare ovvio sia così, che uno si è messo a strappare delle foglie da una pianta e misuravano con uno strumento le reazioni del vegetale che reagiva in un dato modo, credo alterato come soffrisse tipo o comunque sembra così per il risultato finale quando fu introdotta la prova successiva che era l'avvicinamento di un'altra persona a quella stessa pianticella che era stata amputata dal precedente uomo e questa non ebbe alcuna alterazione infatti lui non le causò nulla, ma quando fecero ritornare vicino la persona che prima l'aveva amputata riprese ad avere quelle reazioni. Questo per dire che la pianta sente, è viva quindi ha una coscienza perchè ha subito identificato colui che le ha causato il danno in precedenza. Cogito ecc... si ok ma dire che non posso sapere del mio interlocutore se pensa o no e quindi se ha coscienza ecc... mi pare non sia possibile, te ne accorgi se pensa ed è logico, umano, sensibile o qualunque altra definizione che lo renda con coscienza. Idem per qualsiasi altro essere appunto vivente compresa la pianta. Anch'essa ha una sua vita degna di essere vissuta con il suo valore immenso perchè ogni essere penso è come un punto fondamentale di un sottomarino che se venisse a mancare credo che il sottomarino inizierebbe a prendere acqua con le conseguenze che potete immaginare, annegamento ecc... e quindi morte.
Sull'attribuzione della coscienza come al mare ecc.. be si in un certo senso idem ovviamente li possono esserci anche altre motivazioni diverse sul perche viene data un esistenza ad un dio del mare, tipo esseri di altrim mondi mitologicizzati passatemi il termine non so se esiste comunque.
Idem un po per la dea madre anche se in effetti forse anche la terra in se è veramente un grande essere vivente, una cellula del cosmo, anch'essa dotata di un suo proprio spirito e quindi coscienza anche se non come la nostra ?
Grazie degli auguri che ricambio :)
Ciao Viator , ma che differenza fai tra il come è cosa sia una tal cosa o in questo caso entità dovremmo dire ? perchè parliamo di coscienza, che di per se significa essere consci no ? di qualcosa quindi vivi. Anche se con una coscienza diversa, percezioni diverse ma anche tra gli stessi umani le coscienze e gli intendimenti son molto diverse ma sempre coscienze sono. Anche noi a 4 anni avevamo una coscienza diversissima seppur simile forse a quella di ora no ? e anche se non ce ne accorgiamo essa cambia ogni istante, non è mai uguale all'istante precedente fino a cambiare sempre di piu piu passa il time.
Ecco per il fatto che l'esterno continui pure ad esistere indipendentemente dalla coscienza di qualsiasi essere si parli ciò scientificamente proprio pare già sapersi non essere così da moltissimi anni. Non ricordo ora chi, quali scienziati ma molto famosi di fisica quantistica ma non quella che si studia a scuola ma quella ancora più avanzata che per motivi di potere non te la insegnano e qui entriamo negli apparati governativi segreti mondiali che tendono a far restare (con tutti i mezzi senza scupolo alcuno) la gente nell'assoluta più ignoranza possibile nel piu tempo possibile ma la verità comunque chi la desidera la trova credo perche non possono oscurarla completamente sebbene molto organizzati e potenti anche e soprattutto piu che altro per la poca coscienza appunto che la massa purtroppo tende ad avere.
Cioè l'esterno, ciò che chiamiamo esterno è in funzione della coscienza praticamente degli esseri e non il contrario. Noi, coscienza vivifichiamo siamo da collante di questa realtà che chiamiamo fisica senza la quale nostra coscienza (incastrata bene a dovere in questa che chiamiamo fisicità) finirebbe di esistere in quanto tale aggregazione.
Non so se mi esprimo bene ho provato a dare una spiegazione.
Citazione di: viator il 30 Dicembre 2018, 17:39:19 PM
... All'esterno di noi (il mondo oggettivo) la coscienza non interessa poichè esso continuerà ed esistere anche senza di noi. Quindi diciamo che la coscienza è funzione solamente umana perchè a noi serve per vedere in noi il nostro "sè". Una coscienza oggettiva ed extraumana diciamo non esista poichè la natura non crea ciò che risulterà inutile alla sua totalità ma crea soltanto ciò che è utile (evolutivamente necessario) alle sue parti...
Cosa c'è di più evolutivamente utile e necessario dell'autocoscienza per sopravvivere. Non è una questione metafisica, ma fisica. Solo la nostra antropocentrica presunzione e abissale ignoranza ci impedisce di accedere alla (auto)coscienza di altri viventi.
Anche questa distinzione tra autocoscienza e autoconsapevolezza, mi pare non essere del tutto esente da tale pregiudizio che odora assai di sofisma nominalistico. Chiunque abbia avuto un animale domestico per casa sa quanto sviluppato sia il senso di identità del suo compagno non umano.
Citazione di: enrico 200 il 30 Dicembre 2018, 22:05:27 PM
ciao antony, perchè sei restio ? :D
si , adesso non so, ma ci son studi sembra anche comunque ma pare ovvio sia così, che uno si è messo a strappare delle foglie da una pianta e misuravano con uno strumento le reazioni del vegetale che reagiva in un dato modo, credo alterato come soffrisse tipo o comunque sembra così per il risultato finale quando fu introdotta la prova successiva che era l'avvicinamento di un'altra persona a quella stessa pianticella che era stata amputata dal precedente uomo e questa non ebbe alcuna alterazione infatti lui non le causò nulla, ma quando fecero ritornare vicino la persona che prima l'aveva amputata riprese ad avere quelle reazioni. Questo per dire che la pianta sente, è viva quindi ha una coscienza perchè ha subito identificato colui che le ha causato il danno in precedenza. Cogito ecc... si ok ma dire che non posso sapere del mio interlocutore se pensa o no e quindi se ha coscienza ecc... mi pare non sia possibile, te ne accorgi se pensa ed è logico, umano, sensibile o qualunque altra definizione che lo renda con coscienza. Idem per qualsiasi altro essere appunto vivente compresa la pianta. Anch'essa ha una sua vita degna di essere vissuta con il suo valore immenso perchè ogni essere penso è come un punto fondamentale di un sottomarino che se venisse a mancare credo che il sottomarino inizierebbe a prendere acqua con le conseguenze che potete immaginare, annegamento ecc... e quindi morte.
Sull'attribuzione della coscienza come al mare ecc.. be si in un certo senso idem ovviamente li possono esserci anche altre motivazioni diverse sul perche viene data un esistenza ad un dio del mare, tipo esseri di altrim mondi mitologicizzati passatemi il termine non so se esiste comunque.
Idem un po per la dea madre anche se in effetti forse anche la terra in se è veramente un grande essere vivente, una cellula del cosmo, anch'essa dotata di un suo proprio spirito e quindi coscienza anche se non come la nostra ?
Grazie degli auguri che ricambio :)
Ciao Viator , ma che differenza fai tra il come è cosa sia una tal cosa o in questo caso entità dovremmo dire ? perchè parliamo di coscienza, che di per se significa essere consci no ? di qualcosa quindi vivi. Anche se con una coscienza diversa, percezioni diverse ma anche tra gli stessi umani le coscienze e gli intendimenti son molto diverse ma sempre coscienze sono. Anche noi a 4 anni avevamo una coscienza diversissima seppur simile forse a quella di ora no ? e anche se non ce ne accorgiamo essa cambia ogni istante, non è mai uguale all'istante precedente fino a cambiare sempre di piu piu passa il time.
Ecco per il fatto che l'esterno continui pure ad esistere indipendentemente dalla coscienza di qualsiasi essere si parli ciò scientificamente proprio pare già sapersi non essere così da moltissimi anni. Non ricordo ora chi, quali scienziati ma molto famosi di fisica quantistica ma non quella che si studia a scuola ma quella ancora più avanzata che per motivi di potere non te la insegnano e qui entriamo negli apparati governativi segreti mondiali che tendono a far restare (con tutti i mezzi senza scupolo alcuno) la gente nell'assoluta più ignoranza possibile nel piu tempo possibile ma la verità comunque chi la desidera la trova credo perche non possono oscurarla completamente sebbene molto organizzati e potenti anche e soprattutto piu che altro per la poca coscienza appunto che la massa purtroppo tende ad avere.
Cioè l'esterno, ciò che chiamiamo esterno è in funzione della coscienza praticamente degli esseri e non il contrario. Noi, coscienza vivifichiamo siamo da collante di questa realtà che chiamiamo fisica senza la quale nostra coscienza (incastrata bene a dovere in questa che chiamiamo fisicità) finirebbe di esistere in quanto tale aggregazione.
Non so se mi esprimo bene ho provato a dare una spiegazione.
Ciao enrico 200, io preferisco introdurmi nei discorsi già aperti, o semplicemente leggerli. Comunque sono a conoscenza di queste ricerche sulle proprietà cognitive delle piante, che sono anche proprietà comunicative. Rientrando nel discorso della coscienza si potrebbe dire che la coscienza è connessa con l'esistenza di un sistema cognitivo, di tipo neurale o meno (Quello delle piante non è di tipo neurale), per cui forme di vita non dotate di un sistema cognitivo non avrebbero coscienza.
Qui però si pone il problema del livello di questo sistema cognitivo, della sua complessità, e della sua durata. Mi risulta ad esempio che alcuni batteri hanno rudimentali sistemi cognitivi che rilevano la quantità di cibo trovato nell'ambiente e si muovono in funzione di questa, ci sono poi gli anticorpi che imparano a riconoscere il nemico dell'organismo, e lo aggrediscono, che facciamo, mettiamo anche loro tra gli esseri coscienti?
Un saluto.
antony :
Ciao enrico 200, io preferisco introdurmi nei discorsi già aperti, o semplicemente leggerli. Comunque sono a conoscenza di queste ricerche sulle proprietà cognitive delle piante, che sono anche proprietà comunicative. Rientrando nel discorso della coscienza si potrebbe dire che la coscienza è connessa con l'esistenza di un sistema cognitivo, di tipo neurale o meno (Quello delle piante non è di tipo neurale), per cui forme di vita non dotate di un sistema cognitivo non avrebbero coscienza.
Qui però si pone il problema del livello di questo sistema cognitivo, della sua complessità, e della sua durata. Mi risulta ad esempio che alcuni batteri hanno rudimentali sistemi cognitivi che rilevano la quantità di cibo trovato nell'ambiente e si muovono in funzione di questa, ci sono poi gli anticorpi che imparano a riconoscere il nemico dell'organismo, e lo aggrediscono, che facciamo, mettiamo anche loro tra gli esseri coscienti?
Un saluto.
ciao anto, neurale o meno che significa ? se hanno o no un sistema operativo con cervello intendi ? con un cervello che noi chiamiamo tale e riconosciamo come tale e che abbia certe funzioni ? e se loro lo avessero pure ma non nella forma che noi riconosciamo come quella umana e che quindi non riconoscendoglielo uguale al nostro esso per noi risulta invisibile e quindi inesistente ? un po come si potrebbe forse fare lo stesso errore che se andassimo in un altro mondo e non riconoscessimo li forme di vita senzienti come la nostra perchè non son fatti come noi ? quindi figuriamoci identificare in essi un cervello tanto per dire che per essere chiamato tale deve essere necessariamente come il nostro o per lo meno molto simile o riconoscibile ? ma se non fossimo ancora in gradi di riconoscerlo in esse, le piante o nei batteri e via dicendo ? anche nei soli per dire come nella terra, in tutto insomma ciò che ha una qualche vita, esistenza sua. Solo un tavolo, un artificio non ha vita penso. Non so se sto esagerando. Se no come giustificare ripeto questi comportamenti comunque intelligenti in esseri però quindi riconosciuti come staccati dall'organismo uomo e indipendenti da esso ? Se no, sono semplicemente delle nostre sonde che agiscono intelligentemente ma non hanno vita propria e si muovono con forza nel curare o farsi aggredire a seconda dell'armonia interiore dell'individuo. Perchè sembra lo spirito che anima il corpo nostro, cioè la nostra coscienza a determinare a dire l'ultima parola ovvero sul vero funzionamento del corpo, è anche la prima volendo. Cioè in sintesi sembra che se noi ci rilassiamo, amiamo in modo condizionato noi veramenteeeee inevitabilemente questo si riverserebbe fuori sgorgando come un fiume una cascata infrenabile di salute da guarire e far guarire il corpo e nessun batterio potrebbe nuocergli. Son uscito dal discorso. La domanda però si è: questi batteri son esseri quindi separati da noi ? hanno una loro vita propria voglio dire ? se si, se non sono tipo nostre sonde che ci curano allora si hanno o dovrebbero avere una specie di autoconsapevolezza o coscienza è inevitabile sembra dirlo perche si muovno coerentemente in funzione del cibo per la loro vita propria. Ci son batteri contrari anche e li pare più difficile dire che son nostre sonde o proiezioni di autodifesa ovviamente perchè aggrediscono e non preservano perchè nessun essere si vuole nuocere. A meno che sempre pensando che questi batteri anche contrari siano sempre nostre vite create da noi, quindi non con una loro propria autocoscienza ma che semplicemente rispecchiano, sono sempre la nostra coscienza che si manifesta in quel modo quando è in disarmonia interiore psicologicamente o spiritualmente di cui la differenza non ci faccio tra questi due ultmi termini cioè psiche e anima.
Citazione di: enrico 200 il 31 Dicembre 2018, 14:47:18 PM
ciao anto, neurale o meno che significa ? ....... Se no come giustificare ripeto questi comportamenti comunque intelligenti in esseri però quindi riconosciuti come staccati dall'organismo uomo e indipendenti da esso ? Se no, sono semplicemente delle nostre sonde che agiscono intelligentemente ma non hanno vita propria e si muovono con forza nel curare o farsi aggredire a seconda dell'armonia interiore dell'individuo.
Ciao enrico 200, neurale significa che funziona con i neuroni, cellule specializzate ad immagazzinare ed elaborare informazioni, i neuroni mica li ha solo l'uomo, li hanno anche i vermi, il meno indica che il processo cognitivo proprio delle piante (se ne sa poco), sembra funzionare con gli ormoni, comunque con molecole apposite che poi circolano all'interno di cellule non specializzate, sono meccanismi probabilmente analoghi a quelli che regolano anche tante funzioni, anch'esse cognitive, che funzionano nel nostro corpo, come il sistema immunitario (è per questo che ti facevo l'esempio). Però a questo punto mi viene la provocazione, ma se un sistema cognitivo abbastanza evoluto può produrre la coscienza allora i sistemi informatici? Tu mi dirai, ma si tratta di macchine, prive di vita. Solo che se osservi la vita nei particolari ti accorgi che è tanto meccanica, e anche quando studi la psiche umana ti accorgi di cose scioccanti. Oggi i processi mentali sono analizzabili studiando le onde del cervello, facendo queste ricerche si sono accorti che il momento della scelta e il momento della "coscienza della scelta" (Cioè quando l'individuo crede di aver deciso qualcosa) non coincidono e quest'ultimo segue di un po' di tempo il primo. In altri termini quando io credo di aver scelto qualcosa, in realtà questa scelta è stata già fatta dal mio cervello in maniera inconscia e la mia coscienza non fa che riprodurre meccanicamente questa scelta.
Ti ripropongo gli auguri di buona fine e buon principio d'anno, un saluto.
Ciao enrico 200, neurale significa che funziona con i neuroni, cellule specializzate ad immagazzinare ed elaborare informazioni, i neuroni mica li ha solo l'uomo, li hanno anche i vermi, il meno indica che il processo cognitivo proprio delle piante (se ne sa poco), sembra funzionare con gli ormoni, comunque con molecole apposite che poi circolano all'interno di cellule non specializzate, sono meccanismi probabilmente analoghi a quelli che regolano anche tante funzioni, anch'esse cognitive, che funzionano nel nostro corpo, come il sistema immunitario (è per questo che ti facevo l'esempio). Però a questo punto mi viene la provocazione, ma se un sistema cognitivo abbastanza evoluto può produrre la coscienza allora i sistemi informatici? Tu mi dirai, ma si tratta di macchine, prive di vita. Solo che se osservi la vita nei particolari ti accorgi che è tanto meccanica, e anche quando studi la psiche umana ti accorgi di cose scioccanti. Oggi i processi mentali sono analizzabili studiando le onde del cervello, facendo queste ricerche si sono accorti che il momento della scelta e il momento della "coscienza della scelta" (Cioè quando l'individuo crede di aver deciso qualcosa) non coincidono e quest'ultimo segue di un po' di tempo il primo. In altri termini quando io credo di aver scelto qualcosa, in realtà questa scelta è stata già fatta dal mio cervello in maniera inconscia e la mia coscienza non fa che riprodurre meccanicamente questa scelta.
Ti ripropongo gli auguri di buona fine e buon principio d'anno, un saluto.
salve anto, si ma il punto è forse inverso da dove proviene la life/vita, la natura cioè di questa: non è questo sistema cognitivo che individua la scienza coi suoi strumenti meccanici a produrre la coscienza ma forse è l'inverso, questa sostanza impalpabile che anima questi sistemi cognitivi e attraverso poi questi la coscienza si regola e intepreta questa realtà limitata nei sensi a seconda del livello evoluto o meno della coscienza stessa che più è evluta o saggia e più è meno limitata dai sensi prettamente chiamati fisici o e cognitivi anche classici normalmente mediamente ancora conosciuti ?
Per la provocazione informatica quindi varrebbe la stessa: essa dovrebbe avere la capacità e la funzionalità ad uno scopo evolutivo della coscienza che la "incarnerebbe". Non penso ci siano fratelli e o sorelle che si innestino in sistemi informatici che intendiamo noi, non capisco a cosa servirebbe perchè per noi è già un sistema informatico questo corpo che chiamiamo biologico non so se mi spiego. La nostra vera e unica pelle reale è la coscienza, noi siamo coscienza che animiamo questi circuiti neuro trasmettitori già informatici di suo che nel complesso chiamiamo poi forma di vita biologica. La forma di vita cibernetica che chiami tu è una copia grezza sembra di un rivestimento programma originale già perfezionato per la funzione che deve svolgere che è già questo nostro corpo rivestimento sovra struttura che abbiamo ora. Poi potrebbe anche essere certo ma è solo un altro tipo di rivestimento. La coscienza è sempre quella, cambia solo il tipo di "vestito" con la quale si riveste ma essa il punto è che già esiste prima della formazione del suo involucro sia esso informatico come dici o biologico come intendiamo questo nostro corpo attuale. Le macchine che tentano di costruire informatiche sempre più simili all'uomo son copie in altro materiale si ok di questo che abbiamo ma sempre copie grezze mi pare se non utili ad una evoluzione della coscienza per imparare apprendere determinate cose. Credo che questi informatici tentativi altro non sono che l'inizio di ciò che riporterà poi a quel materiale che è sempre la biologia come forma massima di materiale evolutivo. Perchè, cosa può apprendere una coscienza da un sistema informatico che non può apprendere invece meglio forse dal sistema nostro biologico normale ? però può darsi comunque il punto è che è la coscienza che esiste di per se dapprima. Il punto è se sistemi informatici possano accogliere la coscienza. Ma non mi pare così come la si intende coi materiali nostri, per dire Kitt di supercar non è vivo.
Quello che dici che il cervello ha scielto prima credo sia appunto un possibile errore di interpretazione appunto di come è la vita vera e cioè quello della coscienza come ho spiegato qui ora di nuovo un po e cioè che è il cervello, ovvero la coscienza relativa a questo corpo fisico di questa dimensione così densa e materiale ad essersi accorto poco dopo della scelta della coscienza. E' credo come dire che quando si gioca al computer il comando che gli dai di superare una auto in una gara di corsa arriva al pc dopo che tu/coscienza giocatore umano decidi ti accorgi e dai il comando poi.
Dissento da Enrico 200 (#1) sull' affermazione che "l'energia che muove, anima la pianta è coscienza in quanto tale, la vita lo è di per se per definizione cosciente, coscienza": tutto si può credere (che non sia autocontraddittorio) anche del tutto infondatamente, ma nulla induce fondatamente a credere che vite diverse da quelle animali (vite vegetali o monocellulari o eucariotiche o virali; e men che meno oggetti appartenenti al mondo minerale) siano coscienti e che vite animali diverse da quelle umane (prive di linguaggio) siano autocoscienti.
Nulla in particolare induce e ritenere che le reazioni biologiche "perfettamente" riducibili a fatti fisico-chimici delle pianticelle cui accenna nell' intervento #3 siano accompagnate da coscienza.
Ed é vero che anche il fatto che qualsiasi nostro interlocutore abbia una coscienza simile alla nostra é indimostrabile (potrebbe trattarsi di zombi e nulla cambierebbe, e non ci sarebbe modo di accorgersene); ma considerando quello che gli altri ci raccontano appare molto plausibile (e non: "certa"!) l' ipotesi che invece anche gli altri uomini siano come noi autocoscienti; mentre considerando il comportamento, in parte "comunicativo" anche se non in termini linguistici, dei molti altri animali più o meno a noi affini appare molto plausibile (e non: certa!) l' ipotesi che anch' essi siamo come noi e gli altri uomini coscienti.
Dissento anche dall' affermazione (risposta #3, in particolare a Viator) che la nostra coscienza sarebbe "incastrata bene a dovere in questa che chiamiamo fisicità": si può cercare fin che si vuole nella materia fisica (in particolare cerebrale), ma non si si troveranno mai altro che neuroni e cellule gliali, assoni, sinapsi, potenziali d' azione, eccitazioni e inibizioni trans-sinaptiche, ecc. ("perfettamente" riducibili a molecole, atomi, particelle-onde subatomiche, campi di forza, ecc.), ma mai esperienze coscienti (materiali: visioni d arcobaleni, audizioni di musiche, percezioni di odori, ecc.; né mentali: ragionamenti, immaginazioni, speranze, sentimenti, ecc.).
E infatti sono la materia (pianeti, stelle, animali, piante, atomi, particelle-onde, ecc.) e le menti (pensieri, sentimenti, ecc.) ad essere nelle esperienze coscienti (come apparenze o fenomeni), anziché viceversa!
Credo (in risposta anche a Enrico 200) che il comportamento cognitivo (il reagire in maniera determinata ma più o meno sofisticatamente variabile e modificabile da forme di "apprendimento" agli stimoli esterni sia diversa cosa dalla coesistenza con "apparati" (cervelli naturali o teoricamente anche non) caratterizzati da tale comportamento (o funzionamento) di un' esperienze coscienti soggettive.
Di Ipazia (intervento #4) dissento dall' affermazione che "l' autocoscienza (ma nemmeno la coscienza) sia in qualche modo utile o necessaria per sopravvivere: gli altri uomini e gli animali, in linea teorica, di principio, potrebbero benissimo esserne privi e comportarsi esattamente così come si comportano, cioè in maniera più o meno adattiva all' ambiente (in realtà é il comportamento probabilmente cosciente o compatibile con la coesistenza ad esso di coscienza e non la coscienza ad essere utile alla sopravvivenza).
Inoltre ho posseduto e amato diversi gatti (e Attila, malgrado la sua veneranda età di quasi 20 anni, per fortuna ce l' ho ancora), ma non credo che, oltre che di coscienza, siano stati (e sia) dotati di autocoscienza (ma casomai di autoconsapevolezza).
Cioè, contrariamente a me, non credo che Attila pensi a se stesso e al suo futuro non immediato, che si ponga problemi sulla sua maggiore o minore felicità e su cosa dovrebbe fare per vivere meglio, ma invece che "viva (e senta coscientemente, anche molto intensamente) alla giornata)".
Citazione di: sgiombo il 04 Gennaio 2019, 08:34:08 AM
Di Ipazia (intervento #4) dissento dall' affermazione che "l' autocoscienza (ma nemmeno la coscienza) sia in qualche modo utile o necessaria per sopravvivere: gli altri uomini e gli animali, in linea teorica, di principio, potrebbero benissimo esserne privi e comportarsi esattamente così come si comportano, cioè in maniera più o meno adattiva all' ambiente (in realtà é il comportamento probabilmente cosciente o compatibile con la coesistenza ad esso di coscienza e non la coscienza ad essere utile alla sopravvivenza).
Inoltre ho posseduto e amato diversi gatti (e Attila, malgrado la sua veneranda età di quasi 20 anni, per fortuna ce l' ho ancora), ma non credo che, oltre che di coscienza, siano stati (e sia) dotati di autocoscienza (ma casomai di autoconsapevolezza).
Cioè, contrariamente a me, non credo che Attila pensi a se stesso e al suo futuro non immediato, che si ponga problemi sulla sua maggiore o minore felicità e su cosa dovrebbe fare per vivere meglio, ma invece che "viva (e senta coscientemente, anche molto intensamente) alla giornata)".
Ritengo poco fondata scientificamente la distinzione tra "autoconsapevolezza" e "autocoscienza": un inutile postulato antropocentrico. Quanto alla tua prima obiezione: sapere che quella zampa sono io (autocoscienza) é indispensabile per evitarmi di metterla sul fuoco.
Citazione di: Ipazia il 05 Gennaio 2019, 15:13:41 PM
Citazione di: sgiombo il 04 Gennaio 2019, 08:34:08 AM
Di Ipazia (intervento #4) dissento dall' affermazione che "l' autocoscienza (ma nemmeno la coscienza) sia in qualche modo utile o necessaria per sopravvivere: gli altri uomini e gli animali, in linea teorica, di principio, potrebbero benissimo esserne privi e comportarsi esattamente così come si comportano, cioè in maniera più o meno adattiva all' ambiente (in realtà é il comportamento probabilmente cosciente o compatibile con la coesistenza ad esso di coscienza e non la coscienza ad essere utile alla sopravvivenza).
Inoltre ho posseduto e amato diversi gatti (e Attila, malgrado la sua veneranda età di quasi 20 anni, per fortuna ce l' ho ancora), ma non credo che, oltre che di coscienza, siano stati (e sia) dotati di autocoscienza (ma casomai di autoconsapevolezza).
Cioè, contrariamente a me, non credo che Attila pensi a se stesso e al suo futuro non immediato, che si ponga problemi sulla sua maggiore o minore felicità e su cosa dovrebbe fare per vivere meglio, ma invece che "viva (e senta coscientemente, anche molto intensamente) alla giornata)".
Ritengo poco fondata scientificamente la distinzione tra "autoconsapevolezza" e "autocoscienza": un inutile postulato antropocentrico. Quanto alla tua prima obiezione: sapere che quella zampa sono io (autocoscienza) é indispensabile per evitarmi di metterla sul fuoco.
Considerare correttamente nella loro oggettività (o per lo meno intersoggettività) le peculiarità proprie dell' animale uomo
non é antropocentrismo.
E pur dando prudenzialmente per scontati margini di incertezza probabilmente insuperabili (per farlo oltre ogni ragionevole dubbio bisognerebbe poter "sbirciare" nelle coscienze altrui, umane e degli altri animali) a me sembra del tutto ragionevole che mentre anche altri animali sono consapevoli della dipendenza dalla loro volontà cosciente dei movimenti del proprio corpo (sanno che una certa zampa é la loro, una certa altra é una gamba del loro padrone), solo l' uomo pensa a se stesso astrattamente, prescindendo dalle immediate sensazioni esteriori ed esigenze interiori (che comprendono ad esempio il sentire la fame e il pensare che se vanno nel luogo ove hanno nascosto il pezzo di carne la soddisferanno; come fanno ad esempio i cani) ma considerando la loro vita complessiva, compreso il loro passato e il loro prevedibile futuro anche non immediato.
E infatti per quel che ne so non esistono suicidi "premeditati" (ma casomai casi di auto-sacrificio eroico "d' impeto") fra gli altri animali (non fanno bilanci della propria vita e programmazioni del proprio futuro, che potrebbero portarli teoricamente qualche volta a concludere che cessare di vivere sia
per loro stessi relativamente meglio che continuare a farlo).
Almeno a quanto mi risulta (non sono un etologo o uno zoologo).
Quanto a ciò che per ogni animale (uomo compreso) é indispensabile per evitare di mettere una zampa sul fuoco, questo non é la coscienza, ma una serie di eventi cerebrali che (solitamente in altre esperienze coscienti*, di osservatori), la accompagna (la loro, di coscienza**).
Se qualche altro animale diverso da noi stessi fosse uno zombi completamente privo di coscienza non ci sarebbe alcun modo di accorgercene. E, per usare una metafora antropomorfica, se non ce ne possiamo accorgere noi, nemmeno può farlo la selezione naturale.
Autocoscienza animale. Test dello specchio:
Gli zoologi confermano la sua esistenza
Salve. Secondo me la coscienza è posseduta solo dai viventi che siano in grado di malmenare altri viventi. Consiste nella capacità di distinguere il diverso effetto di due morsi : uno dato alle proprie membra e l'altro dedicato ad un altro vivente. Il primo mi fa male, quindi sono io (sono autocosciente); l'altro non mi fa male, quindi p suoi effetti riguarderanno un altro (eterocoscienza). Ma credo che la mia interpretazione verrà vivacemente contestata. Saluti.
Viator, come sempre sei arguto e graffiante. Probabilmente ci hai preso, però.
E' un tema interessante. Sembra che non solo le grandi scimmie, ma anche altri animali (gazze, delfini) siano capaci di autoriconoscimento e pare che molti possano apprenderlo con l'addestramento.
Del resto se i bambini piccoli lo devono imparare e fino a una certa età ne sono privi, forse non è una capacità innata ed esclusiva della nostra specie come si pensa di solito.
Sugli animali domestici, sappiamo tutti quanto riescono a sorprenderci...non per niente si dice che 'gli manca la parola'. In realtà fra loro parlano eccome, nella mia zona i cani da guardia per esempio 'conversano' rumorosamente da una casa all'altra. Muoio dalla curiosità di sapere cos'avranno da raccontarsi, dato che non si possono mai vedere e sono pure di razze diverse.
Sembra che anche loro soffrano di depressione come noi umani.
Perfino i gatti, tacciati malignamente di egoismo, opportunismo e scarso attaccamento ai padroni, diventano depressi se li si trascura lasciandoli soli troppo a lungo, dopo un trasloco o in seguito all'allontanamento di una persona nota dalla famiglia.
Secondo me una forma di autocoscienza ce l'hanno tutti i mammiferi, chi più chi meno.
Per quanto riguarda i vegetali, beh, non ci sono prove che abbiano reazioni, pensieri o qualcosa di simile ai sentimenti animali. Ma una volta avevo letto di uno studioso torinese che misurava con un apparecchio le emanazioni elettromagnetiche delle piante .
Ogni volta che si avvicinava ad esse, l'apparecchio registrava una certa 'agitazione', diversa a seconda che avesse in mano le forbici da pota oppure l'innaffiatoio...e il bello è che le piante ogni volta reagivano come se lo riconoscessero!
Con gli estranei, infatti, la reazione era molto più debole o assente.
Ora, non risulta che i vegetali possiedano la vista, neppure occhi rudimentali, perciò non mi spiego il fenomeno.
Nella pratica, i giardinieri sanno che le piante crescono meglio quando si parla con loro dolcemente, le si cura e si fa loro ascoltare della buona musica...tipico esempio, il famoso investigatore Nero Wolf che coltivava orchidee in serra con sottofondo di raffinata musica classica.
Logico che sia quello il genere musicale preferito dalle orchidee, essendo fiori originali e d'alta classe (anche piuttosto vanitosi ed eccentrici).
Per le galline invece è stato scientificamente dimostrato che adorano il country. ;D Scappano dai pollai dove c'è fracasso heavy metal e corrono tutte dove sentono il banjo o lo yodel. Con la musichetta giusta sono più serene e producono più uova.
Ah, a proposito: tempo fa leggevo che le galline sono terribilmente razziste, tradizionaliste e classiste, ma forse dati i loro gusti musicali non c'è da stupirsi.
Anche nei pollai ci sono le prime donne e le sottoposte. Le anziane non accettano facilmente una nuova arrivata, bisogna mettergliela accanto gradatamente, tenendola separata da una rete, finché non si adattano alla sua presenza. Ma anche dopo, ognuna di loro occupa un posto preciso sul trespolo (le nuove in genere stanno più in basso).
Cos'è questa se non una specie di autocoscienza simile a quella umana? La gallina di rango superiore sembra essere molto consapevole del suo ruolo.
Che ne dite? Se vi sembra troppo O.T. lasciate pure perdere.
Citazione di: Ipazia il 05 Gennaio 2019, 21:04:45 PM
Autocoscienza animale. Test dello specchio:
Gli zoologi confermano la sua esistenza
Citazione di Viator:
Salve. Secondo me la coscienza è posseduta solo dai viventi che siano in grado di malmenare altri viventi. Consiste nella capacità di distinguere il diverso effetto di due morsi : uno dato alle proprie membra e l'altro dedicato ad un altro vivente. Il primo mi fa male, quindi sono io (sono autocosciente); l'altro non mi fa male, quindi p suoi effetti riguarderanno un altro (eterocoscienza). Ma credo che la mia interpretazione verrà vivacemente contestata. Saluti.
E' una cosa arcinota che non ha nulla a che vedere con l'
autocoscienza propriamente intesa, tipica della sola specie home sapiens.
Come i gatti sanno che la zampetta che finendo sulle braci provocherà dolore (le loro sensazioni dolorose) é la loro e in generale, salvo ovvie eccezioni "parentali" e "amicali", non si preoccupano della possibilità che ci vada una zampa non loro) così sanno che la testa che potrebbe ad esempio essere colpita da un randello e dolere é la loro (infatti non si scansano da randelli diretti a colpire altre teste), oppure che é la loro quella che prude, e dunque da grattare per avere sollievo dal prurito (infatti non grattano altre teste).
E imparano che lo specchio riflette le immagini in generale, comprese quelle della loro testa, che ciò che capita a quanto é visibile nello specchio capita anche agli oggetti che vi sono riflessi; compresa la loro testa.
Indubbiamente una dimostrazione di intelligenza maggiore di quegli altri animali che non riescono a impararlo.
Ma pensare alla propria esistenza (e a quella dei propri simili e dissimili), al suo passato, al suo possibile futuro, a come potrebbe essere (resa) peggiore o migliore al di là del soddisfacimento di pulsioni o esigenze immediatamente sentite nel presente, fare "progetti" per il futuro, anche lontano (o tenere conto del futuro anche lontano
di se stessi anche nello scegliere presentemente) é un' altra cosa che solo l' uomo é in grado di fare (secondo me grazie soprattutto al' invenzione del linguaggio e alle possibilità di pensiero astratto e complesso che consente).
Per non dire del chiedersi cosa e come
si é e cosa e come
si potrebbe essere per essere migliori, più
contenti di se stessi (e non semplicemente contenti in generale, perché ad esempio si ha la pancia piena, una tana confortevole o si può copulare) e i mezzi da impiegare e i prezzi da pagare per riuscirvi.
Citazione di: everlost il 06 Gennaio 2019, 00:22:31 AM
Sugli animali domestici, sappiamo tutti quanto riescono a sorprenderci...non per niente si dice che 'gli manca la parola'.
Citazione
E non é poco!
In realtà fra loro parlano eccome, nella mia zona i cani da guardia per esempio 'conversano' rumorosamente da una casa all'altra. Muoio dalla curiosità di sapere cos'avranno da raccontarsi, dato che non si possono mai vedere e sono pure di razze diverse.
Citazione
Non per fare il prosaico iconoclasta negatore della poesia (che non sono affatto), ma non vedo quali significati che non siano meramente metaforici possano avere in questo contesto le parole "parlare", "conversare" (che metti giustamente fra virgolette) e "raccontarsi".
Sembra che anche loro soffrano di depressione come noi umani.
Perfino i gatti, tacciati malignamente di egoismo, opportunismo e scarso attaccamento ai padroni, diventano depressi se li si trascura lasciandoli soli troppo a lungo, dopo un trasloco o in seguito all'allontanamento di una persona nota dalla famiglia.
Secondo me una forma di autocoscienza ce l'hanno tutti i mammiferi, chi più chi meno.
Citazione
Ma questa é coscienza, non autocoscienza!
(Più precisamente comportamenti cui é ragionevole credere "si accompagni", coesista coscienza fenomenica)
Per quanto riguarda i vegetali, beh, non ci sono prove che abbiano reazioni, pensieri o qualcosa di simile ai sentimenti animali. Ma una volta avevo letto di uno studioso torinese che misurava con un apparecchio le emanazioni elettromagnetiche delle piante .
Ogni volta che si avvicinava ad esse, l'apparecchio registrava una certa 'agitazione', diversa a seconda che avesse in mano le forbici da pota oppure l'innaffiatoio...e il bello è che le piante ogni volta reagivano come se lo riconoscessero!
Con gli estranei, infatti, la reazione era molto più debole o assente.
Ora, non risulta che i vegetali possiedano la vista, neppure occhi rudimentali, perciò non mi spiego il fenomeno.
Citazione
Pur non avendone una conoscenza specialistica credo che semplicemente si tratti di reazioni chimiche fra molecole delle membrane cellulari delle piante e sostanze chimiche emesse dalla diverse persone (un po' l' inverso delle reazioni allergiche che certe piante arrecano a certi animali).
Ma la cosa andrebbe indagata con serietà (microscopi, cimenti sperimentali ben calibrati, ecc.).
Nella pratica, i giardinieri sanno che le piante crescono meglio quando si parla con loro dolcemente, le si cura e si fa loro ascoltare della buona musica...tipico esempio, il famoso investigatore Nero Wolf che coltivava orchidee in serra con sottofondo di raffinata musica classica.
Logico che sia quello il genere musicale preferito dalle orchidee, essendo fiori originali e d'alta classe (anche piuttosto vanitosi ed eccentrici).
Citazione
Anche questo credo rientri in meri meccanismi molecolari senza corrispondenze coscienti: poiché non tutto ciò cui la selezione naturale consente di esistere é adattivo (contrariamente all' ideologia reazionaria di chi pretenderebbe che la s. n. stessa si riducesse a una "lotta per la sopravvivenza" di tutti contro tutti), si vede che , così come la luce del sole e l' acqua e i sali minerali del terreno, anche le onde sonore fanno bene alle piante (é peraltro per lo meno discutibile quanto l' artificiosamente ipertrofico sviluppo e "sviluppo distorto nel senso della bellezza umanamente intesa" dei fiori e la connessa eliminazione di quelli arbitrariamente ritenuti "brutti" secondo l' estetica umana attraverso la selezione artificiale, le cui differenze dalla selezione naturale furono gravemente sottovalutata da Darwin che come Marx ed Engels non era un profeta portatore della infallibile parola divina ma un uomo geniale e uno scienziato, sia realmente "benefico" alle piante; e in che senso; ovviamente lo stesso discorso vale in varia misura anche per gli animali allevati dall' uomo, anche se in questo caso é più immediatamente evidente, e credo lo sia proprio perché gli animali sono ragionevolmente da ritenersi [senza auto-] coscienti).
Per le galline invece è stato scientificamente dimostrato che adorano il country. ;D Scappano dai pollai dove c'è fracasso heavy metal e corrono tutte dove sentono il banjo o lo yodel. Con la musichetta giusta sono più serene e producono più uova.
Ah, a proposito: tempo fa leggevo che le galline sono terribilmente razziste, tradizionaliste e classiste, ma forse dati i loro gusti musicali non c'è da stupirsi.
Anche nei pollai ci sono le prime donne e le sottoposte. Le anziane non accettano facilmente una nuova arrivata, bisogna mettergliela accanto gradatamente, tenendola separata da una rete, finché non si adattano alla sua presenza. Ma anche dopo, ognuna di loro occupa un posto preciso sul trespolo (le nuove in genere stanno più in basso).
Cos'è questa se non una specie di autocoscienza simile a quella umana? La gallina di rango superiore sembra essere molto consapevole del suo ruolo.
Che ne dite? Se vi sembra troppo O.T. lasciate pure perdere.
Citazione
La mia personale risposta é decisissimamente: con tutta evidenza NO ! ! !
Che ne sappiamo noi di cosa pensano e progettano i viventi di specie diverse dalla nostra ? L'etologia e psicologia animale sono ancora agli albori. Quando un predatore caccia sta progettando il suo futuro. Quando un cane riconosce un umano é cosciente del suo passato. Dimostra di possedere una storia esistenziale.
Trovo abbastanza scolastica e convenzionale, forse funzionale, ma non scientifica sul piano ontologico, la distinzione tra autocoscienza e coscienza, la cui dissociazione é rintracciabile solo in situazioni di grave alterazione chimica o psicopatologia dello stato cosciente. Persino nella condizione particolare del sogno la distinzione tra io e non-io si riconferma.
Salve Everlost. La difficoltà che troviamo nel definire la coscienza (e un sacco di altre cosucce) nascono secondo me da due aspetti :
- si tratta di definire un nostro attributo, quindi la cosa ci risulta del tutto tautologica ed autoreferenziale impedendoci, se mai ci fosse concesso, di avvicinarci all'obiettività.
- la realtà naturale del mondo non conosce confini e catalogazione dei propri contenuti; siamo noi - costretti dalla nostra limitatezza, a attribuire una limitatezza e quindi poi un confine a ciò che esaminiamo.
Tutte le manifestazioni della vita si trasfigurano più o meno passando da una specie all'altra e persino da un'epoca (evolutiva) all'altra, ma sono in sè presenti - non importa se da noi irriconoscibili o conosciute come diverse - in tutto ciò che appartiene alla vita. Saluti.
Citazione di: Ipazia il 06 Gennaio 2019, 15:05:02 PM
Che ne sappiamo noi di cosa pensano e progettano i viventi di specie diverse dalla nostra ? L'etologia e psicologia animale sono ancora agli albori. Quando un predatore caccia sta progettando il suo futuro. Quando un cane riconosce un umano é cosciente del suo passato. Dimostra di possedere una storia esistenziale.
Citazione
NO, quando un predatore caccia sta solo provvedendo al soddisfacimento della sua presentissima fame (non é oggettivamente pericoloso -anche se non lo farei mai- passare accanto a un leone ben sazio).
Invece per un leone é pericolosissimo passare accanto a un bracconiere presentemente ben sazio, ma che, essendo autocosciente (nel senso comunemente attribuito all' autocoscienza umana) non pensa solo ai suoi bisogni immediatamente presenti e sa che in futuro la vendita della carcassa del leone potrebbe contribuire a sfamarlo (anche i cani ripongono resti di cibo per il futuro, se presentemente gliene avanzano, ma non programmano un tempo di caccia nelle loro giornate, magari diverso dall' una all' altra giornata a seconda di altre loro esigenze: cacciano -allo stato selvaggio; quelli domestici di regola mai- quando presentemente hanno fame o presentemente gli capita l' occasione e non sono troppo sazi).
E un cane possiede senz' altro una storia, ma non credo proprio (per quanto ragionevolmente ipotizzabile: che ci sia in questo un ineliminabile margine di incertezza l' ho scritto io per primo) che ripensi mai al passato, compiacendosi di qualcosa e pentendosi di qualcos' altro (se non forse, presentemente, al momento di subirne le conseguenze).
Trovo abbastanza scolastica e convenzionale, forse funzionale, ma non scientifica sul piano ontologico, la distinzione tra autocoscienza e coscienza, la cui dissociazione é rintracciabile solo in situazioni di grave alterazione chimica o psicopatologia dello stato cosciente. Persino nella condizione particolare del sogno la distinzione tra io e non-io si riconferma.
Citazione
Qualsiasi distinzione (di fatto) si fa secondo criteri convenzionali (arbitrariamente convenuti).
Ma io invece trovo interessantissima questa dei diversi gradi di coscienza; e la ritengo riscontrabilissima nella comparazione dei comportamenti (fisiologici) umani con quelli degli altri animali (indipendentemente da eventuali patologie; e anche indipendentemente dai sogni).
Ma la distinzione fra io e non io é altra cosa dalla consapevolezza di vivere una vita, con un passato e un più o meno lungo futuro, salvo "in punto di morte", della quale complessivamente (e non soli dei propri bisogni immediatamente presenti) si può essere più o meno soddisfatti a seconda dei casi.
Comunque qui non si tratta di imporci reciprocamente le parole con le quali affrontiamo la questione, ma di intenderci sulla natura delle cose reali di cui parliamo (nella fattispecie le differenze fra la coscienza umana e la coscienza di qualsiasi altra specie animale; differenze che credo di poter dire innegabili; che altrimenti non siamo per nulla sintonizzati su una lunghezza d' onda atta a comunicare e a farci reciprocamente capire e tanto varrebbe smetterla di discutere).
Beh, caro Sgiombo, non si può essere sempre d'accordo e in sintonia nemmeno con se stessi.Per esempio, nella discussione con Carlo Pierini sul darwinismo avevo scritto che gli animali e le piante non possiedono coscienza. Fino a quel momento (meno di un mese fa ;D ) lo pensavo senza tanti dubbi.Ma siccome mi piace riflettere sempre e su tutto, ho cominciato a rivedere le vecchie nozioncine scolastiche e a cercare materiale nell'internet.Certo, su YT si trova anche roba agghiacciante, come questo video che sconsiglio ai più sensibili e che mi ha fatto passare la voglia di preparare soffritti e minestroni per tutta la vita:L'urlo della carota :o
Horror puro, almeno per me che ho il cuore tenero.
Ma c'è anche qualcosa di meno inquietante, ad esempio questa conferenza del prof. Stefano Mancuso, docente alla facoltà fiorentina di Agraria, convinto assertore della 'neurobiologia vegetale'.
Mostra un esperimento sui fagioli rampicanti che lascia di stucco.E poi parla anche dell'Ophrys apiaria, quindi piacerà a Carlo Pierini. :D
Il professore, con altri suoi colleghi, ritiene che le piante siano molto più sensibili di noi e che possiedano intelligenza anche senza cervello e organi di senso (sembra infatti che l'apparato radicale sotterraneo sia una specie di rete neuronale in grado di dirigere la parte aerea come fa l' encefalo con il corpo dell'animale). Sarebbero, insomma, dei viventi speculari a noi perché capovolti, a testa in sotto. E non è detto che non potersi spostare dal punto di radicamento sia così negativo: dal punto di vista evolutivo le piante sono vincenti sugli animali, costituendo oltre il 99 per cento della biomassa sul pianeta.
Potrebbe sembrare un problema da fricchettoni, però se riconosciamo l'esistenza di una coscienza vegetale vacilla anche l'assunto che la coscienza sia una funzione umana legata al cervello ed eminentemente nostra per via di una particolare fisiologia che consideriamo superiore a quella degli altri viventi.
Non mi sembra una questione filosofica di poco conto.
Ve lo consiglio senza riserve: Le piante sentono Vedendo quant'è raffinata e complessa la strategia riproduttiva di certi vegetali, viene da chiedersi come tutto ciò possa dipendere solo da reazioni chimiche o da una somma di mutazioni favorevoli accumulate ed ereditate dai progenitori.Viene da pensare che forse Giordano Bruno e Baruch Spinoza non erano poi tanto visionari, forse avevano capito qual è la vera essenza del mondo (disgraziatamente troppo in anticipo sui loro contemporanei).
E se non fosse la coscienza negli uomini o negli animali, ma fossero gli uomini e gli animali nella coscienza? In questo caso in definitiva si potrebbe dire che non ci sarebbe un solo essere che 'ha' la coscienza (ne è il proprietario) e nello stesso tempo non ci sarebbe alcun essere che ne fosse privo. E questa coscienza desidera esistere ( tanha) . Pertanto sarebbe assurdo cercare la coscienza nei cervelli umani o degli animali, essendo questi nella coscienza e non viceversa. Ovviamente a questa coscienza non si potrebbe assegnare un proprietario nè una qualsiasi definizione, né luogo, né dimensione, né spazio... Se vediamo la presenza della coscienza negli altri sarebbe perché gli 'altri' sono (esistenti) nella coscienza stessa...essendo la coscienza un grande spazio indefinito ( senza limiti e confini...)...uno spazio vuoto in cui, come lucciole, risplendono e si spengono i 'fenomeni' (sia mentali che materiali...) ad una tale velocità da dare l'impressione alla coscienza stessa di una 'continuità', di fatto inesistente...la coscienza essendo naturalmente immemore di essere l'unica cosa esistente ( e infatti come potrebbe ricordarselo, visto che i ricordi sono solo fenomeni mentali che appaiono e scompaiono all'interno della coscienza stessa?... :(
Vive senza il 90% del cervello e sconvolge il concetto di coscienza
Il mondo della scienza si sta interrogando sulla storia dell'uomo che vive senza il 90% del suo cervello. Questa vicenda infatti apre molte questioni comprese quelle legate al concetto di coscienza.
continua su: https://scienze.fanpage.it/vive-senza-il-90-del-cervello-e-sconvolge-il-concetto-di-coscienza/
http://scienze.fanpage.it/
Leggete di questo caso straordinario...
intendendo come coscienza quel complesso di vissuti nei quali un Io si dirige verso dei contenuti oggettivi, riconosciuti come tali, allora non si potrebbe considerare ogni forma di vita come necessariamente dotata di coscienza, dato che la coscienza starebbe proprio a costituire uno scarto, una presa di distanza rispetto allo spontaneo scorrere della vita. Di per sé la vita, nella pura accezione biologica del concetto, può intendersi come un flusso energetico del tutto spontaneo, irriflesso, mentre la presenza della coscienza consente di un margine di distacco, tramite cui l'Io può porre la propria stessa vita come "tema", oggetto di valutazione, concetto tra i tanti, e una cosa, nella misura in cui diviene oggetto, diviene anche passivo ricevente di significati da parte del soggetto riflettente e oggettivante. Nella coscienza la vita non è più un flusso impersonale di energie che sovrasta l'Io, ma tema da valutare, e dunque suscettibile messo in discussione nel suo valore, raffrontato a dei modelli ideali in relazione a cui riconoscerne il grado di adeguatezza, in ogni momento la coscienza ci consente di valutare quanto la vita che conduciamo rifletta le nostre aspettativi, il nostro ideale personale di "vita degna di essere vissuta". Ed ecco che ad esempio una cosa come il suicidio è concepibile solo in soggetti dotati di coscienza, tramite la coscienza l'Io si ribella a lasciarsi trascinare in un mero istinto di autoconservazione, e in alcuni casi, può decidere di interromperlo, questa possibilità presuppone lo scarto, il margine di distanza che la coscienza segna tra l'Io valutante e riflettente e la vita biologica come oggetto da tematizzare, da cui l'Io, a questo punto non solo biologico ma spirituale, si rende autonomo nei suoi criteri di valutazione. Il suicidio è in fondo la più radicale, tragica, ma anche evidente manifestazione della spiritualità. Sicuramente è vero che non possiamo avere certezze dall'esterno della vita interiore di un animale o di una pianta, questo è un problema generale che riguarda l'epistemologia di ogni forma di sapere empirico, la mancanza di adeguate garanzie di corrispondenza fra percezione soggettiva e realtà oggettiva, ma tenuto fermo il richiamo a questo margine di incertezza, mi pare di poter dire che al di fuori dell'essere umano non sembrano notarsi manifestazioni di una esistenza nella quale le finalità trascendano quelli della sopravvivenza biologica, sia quella individuale o di specie, ovvero manifestazione di "coscienza" nel senso stretto del termine. Non solo l'uomo è l'unico essere a suicidarsi, ma anche l'unico che pare impegnarsi nella creazione di cose del tutto "inutili" o gratuite dal punto di vista biologico, la formazione di teorie scientifiche/filosofiche che appaiono del tutto slegate della soddisfazione di bisogni materiali necessari alla vita, la creazione artistica, espressioni di una bellezza del tutto inutili dal punto di vista biologico, ma esprimente in modo simbolico valori universali, al di là del nostro vivere "qui e ora". Possiamo restare affascinati dall'ingegno di un formicaio o di un alveare, ma non credo potremmo trovarci alcun aspetto che non sia riconducibili ai bisogni di preservazione della vita, mentre un quadro, una scultura, una basilica sono dal punto di vista biologico solo uno spreco, ma dal punto di vista spirituale, di una coscienza slegata dalla funzionalità vitale, esprimono i valori personali dei loro creatori
Poi, se un giorno ci capiterà di scoprire una scimmia, un cane, un gatto, che si suicidano, che cominciano a elaborare idee filosofiche, a creare per puro e disinteressato amore del bello... potremmo sempre farli rientrare nella categoria di "animale razionale" che oggi riserviamo solo all'uomo... Le definizioni, le classificazioni in fondo sono sempre convenzioni linguistiche di comodo, che possono sempre essere modificate, allargate, ristrette... sulla base di come l'esperienza effettiva ci pone come maggiormente opportuno. Il lavoro filosofico sulla questione penso possa limitarsi solo a valutare la coerenza logica interna dei singoli "idealtipi", delle singole categorie o schemi terminologici, utilizzando il pensiero analitico e deduttivo per stabilire le implicazioni necessarie di una certa definizione o categoria, lasciando poi al ricercatore empirico il compito di stare sul campo a osservare in quale categoria sia più opportuno collocare il singolo cane, gatto, scimmia in base ai loro comportamenti
Riporto uno stralcio di una interessante intervista di Sergio Benvenuto con il famoso biologo cileno Francisco Varela (Varela negli anni '70 si convertì al buddhismo, e da allora ha intrapreso vari studi che avevano per oggetto gli stati mentali prodotti dalla meditazione buddhista. Nel 1987, assieme a R. Adam Engle fondò il Mind and Life Institute, tuttora attivo, per studiare i rapporti tra le scienze moderne e il buddismo, in particolare le pratiche meditative e contemplative).
Varela concesse questa conversazione per la RAI (programma Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche) quattro mesi prima della sua morte.
Domanda:Ci può esporre la sua posizione personale - antiriduzionista - in questo dibattito?
Varela - C'è una tendenza riduzionista, per cui la nozione di NCC occupa veramente la maggior parte dei dibattiti. Ma alcuni di noi - evidentemente non sono solo, anche se siamo sempre un po' in minoranza - pensano che la questione posta in questi termini non abbia soluzione, per la semplice ragione che il vissuto in quanto tale è per principio logicamente ed empiricamente irriducibile a una funzione neuronale. È quello che si chiama il problema duro della coscienza. Ciò che appartiene al vissuto ha uno statuto o una natura che non è spiegabile in termini di sistema neuronale. Se ne può trovare un correlato, ma questo correlato non cambia assolutamente il fatto che il lato fenomenico [phénoménal] resta un'apparizione fenomenica, un accesso fenomenico alla mia coscienza. Dunque bisogna porre la discussione in termini diversi.
Si tenga presente il fatto che il dibattito sulla coscienza è cominciato e si è sviluppato per la maggior parte negli Stati Uniti, dove la filosofia della scienza dominante - philosophy of mind - è una filosofia di tipo analitico, che si interessa essenzialmente a dare buone definizioni delle categorie e degli oggetti, mentre il mio background filosofico è piuttosto quello della tradizione fenomenologica. In questa tradizione il punto di partenza è la natura del vissuto e la spiegazione materiale del mondo, la spiegazione delle relazioni tra l'elemento fenomenico e il mondo. Ogni tentativo di riduzione o di dissolvere l'elemento fenomenico [le phénoménal] nell'empirico sarebbe un'impresa destinata a fallire. Qual è l'alternativa? L'alternativa è in un certo senso evidente - non banale - solo che vi si rifletta adeguatamente. In effetti, quando dico che la coscienza è il vissuto, non parlo di qualcosa che esiste solo nella mia testa. Non posso mettermi alla ricerca della coscienza a partire da un tratto di circuito cerebrale. La coscienza non appartiene, per così dire, a un gruppo di neuroni, appartiene a un organismo, a un essere umano, a un'azione che si sta vivendo. Non è proprio la stessa cosa. Voglio dire che non si può avere una nozione della coscienza e della maniera in cui emerge, se non si prende in considerazione il fatto che il fenomeno della coscienza appare in un organismo ed è legato ad almeno tre cicli permanenti di attività. In primo luogo è connesso in permanenza con l'organismo. Si dimentica troppo facilmente che il cervello non è un fascio di neuroni sezionati in laboratorio, ma esiste all'interno di un organismo impegnato essenzialmente nella propria autoregolazione, nella nutrizione e nella conservazione di sé, che ha fame e sete, che ha bisogno di rapporti sociali. Alla base di tutto ciò che pertiene all'integrità degli organismi, c'è infine il sentimento dell'esistenza, il sentimento di esserci, di avere un corpo dotato di una certa integrità. Per un aspetto essenziale la coscienza rientra nell'attività permanente della vitalità organismica che, muovendosi sullo sfondo del sentimento di esistere, è continuamente permeata, attraversata, da emozioni, sentimenti, bisogni, desideri. In secondo luogo è evidentemente in "accoppiamento" diretto col mondo, o in interazione con esso, attraverso tutta la superficie sensori-motrice. Io ho coscienza di questo bicchiere, nel senso che, quando vedo il bicchiere, dico: "ho coscienza di questo bicchiere". Ma il bicchiere non è un'immagine nella mia testa, di cui io debba prendere coscienza dall'interno. Nella buona neuroscienza si è scoperto che il bicchiere è inseparabile dall'atto di manipolarlo. L'azione e la percezione costituiscono un'unità e il mondo non esiste, se non in questo ciclo, in questo accoppiamento permanente. C'è un'interazione col mondo e il mondo emerge solo grazie a questo accoppiamento che è una fonte permanente di senso. È un'evidenza massiccia, costituitasi a partire dallo studio dei bambini, dalla neurofisiologia della corteccia motoria e sensoriale, e via di seguito. Quando parlo di contenuti di coscienza, e dico di vedere un bicchiere, il volto di un amico, il cielo, non parlo di un tratto di circuito [circuiterie] neuronale che capta un'informazione dal mondo e ne fa un correlato della coscienza, sto parlando di qualcosa che è necessariamente decentrato [excentré], che non è nel cervello, ma nel ciclo, tra l'esterno e l'interno, che esiste solo nell'azione e nel ciclo, nello stesso modo in cui il sentimento d'esistenza vive nel ciclo tra l'apparato neuronale e il corpo.
Ma c'è ancora una terza dimensione, valida soprattutto per l'uomo e per i primati superiori: il fatto di essere strutturalmente concepiti per avere rapporti con i nostri congeneri, con individui della stessa specie, di avere l'abilità innata che costituisce l'empatia, il mettersi al posto dell'altro, l'identificarsi con l'altro. Il rapporto tra madre e bambino non è che una faccenda di empatia. Non posso separare - non soltanto nell'infanzia, ma per tutto il resto dell'esistenza - la vita mentale, la vita della coscienza, la vita del linguaggio o la vita mediata dal linguaggio, l'intero ciclo dell'interazione empatica socialmente mediato, da ciò che chiamo coscienza. Dunque ancora una volta tutto questo si svolge non all'interno della mia testa, ma in modo decentrato [excentré], nel ciclo. Il problema del neuronal correlate of consciousness è mal posto, perché la coscienza non è nella testa. Insomma, la coscienza è un'emergenza che richiede l'esistenza di questi tre fenomeni o cicli: con il corpo, con il mondo e con gli altri. I fenomeni di coscienza possono esistere solo nel ciclo, nel decentramento che esso comporta. In tutto questo, evidentemente il cervello ha un ruolo centrale, perché esso è the enabling condition, la condizione di possibilità di tutto il resto.
Quindi la coscienza non è un segmento di circuiti cerebrali, ma appartiene a un organismo incessantemente coinvolto nei differenti cicli e quindi è un fenomeno eminentemente distribuito, che non risiede solo nella testa. Il cervello da parte sua è essenziale perché contiene le condizioni di possibilità perché questo avvenga. La meraviglia del cervello è che permette per esempio il coordinamento sensorio-motore di tutta l'interazione, la regolazione ormonale che assicura il mantenimento dell'integrità corporea, e così via. Ma la nozione di neuronal correlates of consciousness in quanto tale è, per usare le parole di Alfred Norton Whitehead, "una concretizzazione inopportuna". Se si ricorre a questa mossa, si escludono simultaneamente molti fatti importanti. Dunque la mia è una posizione antiriduzionista.
Anche la mia è una posizione antiriduzionista. La coscienza come fenomeno 'olistico' che investe il corpo-mente intero è una concezione interessante...
Ancora un contributo, questa volta di Jeannette Rutsche:
Pur accantonate le diatribe metodologiche, la coscienza è un terreno scivoloso per chiunque voglia indagarla, a partire dalla sua definizione. Se la inquadriamo come consapevolezza del mondo esterno all'individuo, sulla cui base si decide il comportamento conseguente, parliamo di qualcosa che condividiamo con il mondo animale e che è sicuramente osservabile esternamente. Esistono diversi gradi di consapevolezza, ascrivibili agli stadi di sviluppo evolutivo, filogenetico e ontogenetico. Le neuroscienze possono ben documentare le corrispondenze tra comportamento adottato e attivazione delle diverse aree cerebrali, senza comunque correlare mai in termini di causa-effetto tali attivazioni. Stefano Cappa ha chiaramente stigmatizzato le semplificazioni riportate dai giornali: dire che "possiamo smascherare i terroristi" perché possiamo vedere tramite le neuroimmagini quale area del cervello si attiva se il soggetto mente, è fuorviante. Innanzitutto, le neuroimmagini che vediamo non sono fotografie ma il risultato di complesse elaborazioni di pattern di attivazione. Inoltre, si commette una fallacia logica, come dire "se piove, la strada è bagnata; la strada è bagnata, dunque è piovuto": questo sarebbe vero se la pioggia fosse l'unica causa del bagnato, ma così non è. Il cervello di soggetti con estesi danni cerebrali, in stato vegetativo o con minima consapevolezza, si attiva alla presentazione di stimoli come quello delle persone senza danno cerebrale.
Se, invece, riduciamo la coscienza a ciò che è esplicitabile e condivisibile, evochiamo il linguaggio. In questa cornice è studiabile osservando il comportamento e parlando con il soggetto, che esprimerà il suo vissuto attraverso il codice comunicativo condiviso; il linguaggio indirizzerà lo stato di coscienza. Questa visione rimanda immediatamente al concetto di significato e di comprensione. Vincenzo Costa ha sostenuto una definizione di coscienza come totalità degli atti di comprensione intesi come senso storico del mondo, del contesto in cui ci muoviamo. La coscienza diviene, quindi, quel processo di introiezione di significati iscritti nel mondo.
Il quesito che sorge è: come può un ordine di significati storico e sociale iscriversi in un cervello rendendolo atto ad abitare il mondo? Domanda affascinante, che trova parziale risposta nella scoperta e studio dei neuroni-specchio. Vittorio Gallese mette in guardia, però, da facili entusiasmi. Si è osservato che i neuroni-specchio si attivano in presenza di comprensione, ma si è anche osservato che la comprensione avviene anche in assenza della loro attivazione...
... In più si è visto, studiando i neuroni-specchio presenti nelle aree pre-motorie del cervello, che quanto più ciò che il soggetto vede è congruente con la sua pre-esistente esperienza motoria, tanto più si attiveranno i neuroni-specchio. Come dire: è necessaria una pre-acquisizione esperenziale perché i neuroni-specchio si attivino al fine di una comprensione qualitativamente superiore. E come avviene, allora, tale pre-acquisizione? Le domande diventano sempre più molecolari...
...Possiamo chiederci ancora qual è il rapporto tra le emozioni e la coscienza o se la coscienza è solo un'attività del cervello, ma avremmo ancora risposte frammentate e insoddisfacenti. Tutti siamo coscienti di esistere, nel senso più ampio, inclusivo e globale del termine. La coscienza è per ognuno di noi l'esperienza dei nostri stati mentali che "sentiamo" multidimensionali, pur non riuscendo il più delle volte a scomporli. E' un'esperienza olistica che le neuroscienze possono approcciare solo con la parcellizzazione degli stadi di esperienza e che la filosofia necessita di ricondurre a gabbie semantiche che, se pur ampie, vincolano la ricerca al già "pensato". Vincenzo Costa ha usato un'espressione che mi ha colpito: " Occorre una pre-comprensione della totalità per comprendere ogni singolo elemento". Sembra contraddittorio, ma solo per il pensiero sequenziale. Non lo è per l'arte che da sempre si immerge nel tutto e utilizza la comunicazione diretta, da coscienza a coscienza. I tempi stanno cambiando. Un oggetto di studio extra-ordinario come la mente richiede metodi non convenzionali e libertà da schematizzazioni il cui fine intrinseco è il controllo. L'arte sorride e attende di essere ascoltata.
Jeannette Rutsche
P.S. Sono d'accordo anche con il maestro davintro... :)
Citazione di: everlost il 06 Gennaio 2019, 21:19:26 PM
Potrebbe sembrare un problema da fricchettoni, però se riconosciamo l'esistenza di una coscienza vegetale vacilla anche l'assunto che la coscienza sia una funzione umana legata al cervello ed eminentemente nostra per via di una particolare fisiologia che consideriamo superiore a quella degli altri viventi.
Non mi sembra una questione filosofica di poco conto.
Ve lo consiglio senza riserve:
Le piante sentono
Vedendo quant'è raffinata e complessa la strategia riproduttiva di certi vegetali, viene da chiedersi come tutto ciò possa dipendere solo da reazioni chimiche o da una somma di mutazioni favorevoli accumulate ed ereditate dai progenitori.
Viene da pensare che forse Giordano Bruno e Baruch Spinoza non erano poi tanto visionari, forse avevano capito qual è la vera essenza del mondo (disgraziatamente troppo in anticipo sui loro contemporanei).
Leggerò (senza fretta perché ne ho altri che mi interessano di più) l' articolo che consigli.
Per ora rilevo che "reagire" (non semplicemente subire semplici effetti da semplici cause) in modi determinati agli stimoli esterni é proprio di ogni vivente (a partire dai batteri) e può essere considerato un criterio di "vita" e non di comportamento cosciente.
Ho seri dubbi sul presunto pampsichismo di Spinoza (Bruno purtroppo lo conosco solo per sentito dire).
Citazione di: davintro il 07 Gennaio 2019, 00:04:36 AM
intendendo come coscienza quel complesso di vissuti nei quali un Io si dirige verso dei contenuti oggettivi, riconosciuti come tali, allora non si potrebbe considerare ogni forma di vita come necessariamente dotata di coscienza, dato che la coscienza starebbe proprio a costituire uno scarto, una presa di distanza rispetto allo spontaneo scorrere della vita.
Un predatore dirige il proprio Io verso i contenuti oggettivi della preda e si può legittimamente supporre faccia dei ragionamenti a tal rigurado perchè l'operazione vada a buon fine. Lo stesso fa la preda nei confronti del predatore per sfuggire alla cattura. La differenza del
grado di autocoscienza e di strategie coscienti per garantirsi una sopravvivenza soddisfacente (di prede e predatori) pare andare di pari passo con l'arricchimento neuronico del SNC.
Citazione di: davintro
Di per sé la vita, nella pura accezione biologica del concetto, può intendersi come un flusso energetico del tutto spontaneo, irriflesso, mentre la presenza della coscienza consente di un margine di distacco, tramite cui l'Io può porre la propria stessa vita come "tema", oggetto di valutazione, concetto tra i tanti, e una cosa, nella misura in cui diviene oggetto, diviene anche passivo ricevente di significati da parte del soggetto riflettente e oggettivante. Nella coscienza la vita non è più un flusso impersonale di energie che sovrasta l'Io, ma tema da valutare, e dunque suscettibile messo in discussione nel suo valore, raffrontato a dei modelli ideali in relazione a cui riconoscerne il grado di adeguatezza, in ogni momento la coscienza ci consente di valutare quanto la vita che conduciamo rifletta le nostre aspettativi, il nostro ideale personale di "vita degna di essere vissuta". Ed ecco che ad esempio una cosa come il suicidio è concepibile solo in soggetti dotati di coscienza, tramite la coscienza l'Io si ribella a lasciarsi trascinare in un mero istinto di autoconservazione, e in alcuni casi, può decidere di interromperlo, questa possibilità presuppone lo scarto, il margine di distanza che la coscienza segna tra l'Io valutante e riflettente e la vita biologica come oggetto da tematizzare, da cui l'Io, a questo punto non solo biologico ma spirituale, si rende autonomo nei suoi criteri di valutazione. Il suicidio è in fondo la più radicale, tragica, ma anche evidente manifestazione della spiritualità.
Si riportano casi di animali domestici che si sono lasciati morire di fame presso la tomba dei loro defunti referenti umani. Forse erano arrivati a concepire il concetto di "vita degna di essere vissuta". Ovvero ad una vera e propria coscienza etica fondata su
valori. Cosa che l'antropocentrismo considera prerogativa esclusivamente umana.
Citazione di: davintro
Sicuramente è vero che non possiamo avere certezze dall'esterno della vita interiore di un animale o di una pianta, questo è un problema generale che riguarda l'epistemologia di ogni forma di sapere empirico, la mancanza di adeguate garanzie di corrispondenza fra percezione soggettiva e realtà oggettiva, ma tenuto fermo il richiamo a questo margine di incertezza, mi pare di poter dire che al di fuori dell'essere umano non sembrano notarsi manifestazioni di una esistenza nella quale le finalità trascendano quelli della sopravvivenza biologica, sia quella individuale o di specie, ovvero manifestazione di "coscienza" nel senso stretto del termine. Non solo l'uomo è l'unico essere a suicidarsi, ma anche l'unico che pare impegnarsi nella creazione di cose del tutto "inutili" o gratuite dal punto di vista biologico, la formazione di teorie scientifiche/filosofiche che appaiono del tutto slegate della soddisfazione di bisogni materiali necessari alla vita, la creazione artistica, espressioni di una bellezza del tutto inutili dal punto di vista biologico, ma esprimente in modo simbolico valori universali, al di là del nostro vivere "qui e ora". Possiamo restare affascinati dall'ingegno di un formicaio o di un alveare, ma non credo potremmo trovarci alcun aspetto che non sia riconducibili ai bisogni di preservazione della vita, mentre un quadro, una scultura, una basilica sono dal punto di vista biologico solo uno spreco, ma dal punto di vista spirituale, di una coscienza slegata dalla funzionalità vitale, esprimono i valori personali dei loro creatori
Poi, se un giorno ci capiterà di scoprire una scimmia, un cane, un gatto, che si suicidano, che cominciano a elaborare idee filosofiche, a creare per puro e disinteressato amore del bello... potremmo sempre farli rientrare nella categoria di "animale razionale" che oggi riserviamo solo all'uomo...
Sulla
coscienza estetica animale si trova molto materiale in rete. Segnalo
questo breve articolo che cita il mio esempio prediletto: l'uccello giardiniere.
Le citazioni di Sariputra evidenziano la perplessità dei ricercatori rispetto al salto quantistico netto che la coscienza umana dovrebbe avere rispetto al resto del mondo vivente. Esiste indubbiamente un salto,
mediato dal linguaggio, che evolvendoci verso forme sempre più astratte di ragionamento epistemico ed esistenziale ha approfondito il divario, ma non è sufficiente per esprimere una totale differenziazione qualitativa sul bios originario. Ponendosi dal punto di vista del quale la superiorità astrattiva umana si sgonfia come un pallone di fronte alla lacerante superiorità di pressochè tutto il mondo vivente, rimasto allo stadio naturale, nel garantirsi la sopravvivenza una volta ci venissero a mancare gli orpelli tecno-retorici su cui si fonderebbe la nostra presunta alt(e)ra superiorità.
Citazione di: davintro
Le definizioni, le classificazioni in fondo sono sempre convenzioni linguistiche di comodo, che possono sempre essere modificate, allargate, ristrette... sulla base di come l'esperienza effettiva ci pone come maggiormente opportuno. Il lavoro filosofico sulla questione penso possa limitarsi solo a valutare la coerenza logica interna dei singoli "idealtipi", delle singole categorie o schemi terminologici, utilizzando il pensiero analitico e deduttivo per stabilire le implicazioni necessarie di una certa definizione o categoria, lasciando poi al ricercatore empirico il compito di stare sul campo a osservare in quale categoria sia più opportuno collocare il singolo cane, gatto, scimmia in base ai loro comportamenti
Accettando pure, con filosofico distacco, i risultati, se non propriamente allineati coi pregiudizi antropocentrici così antichi da essere probabilmente radicati perfino in qualche gene del nostro DNA.
@sgiombo
Hai perfino in firma l'eziologia della (auto)coscienza.
Essere è percepire la differenza tra io (auto) e altro (oggetto di co(no)scienza). Tale
determinazione è negazione dell'io laddove inizia l'altro. Quindi è l'autocoscienza il nucleo della presa di coscienza della realtà, a partire da quell'
altro saziante, dolce e amorevole che è, per ogni mammifero, la tetta materna . Il "self" inglese attribuito sia all'io che alla coscienza non potrebbe essere più esplicito di tale comune origine. E' a partire dalla "negatio", dal "percepito", dall'"altro" riconosciuto nella sua piena alterità che si costituisce nell'età evolutiva del vivente quella coscienza universale e sociale nella quale non intravedo null'altro che un dilatarsi dell'autocoscienza iniziale. Quindi qualcosa di totalmente immanente, seppur con attitudini trascendentali particolarmente sviluppate nella nostra specie, che non mitizzerei più del necessario perchè è vero che hanno affinato le nostre facoltà razionali ed estetiche/etiche (che per L.Wittgenstein sono della stessa "natura"), ma ci hanno regalato pure le guerre di religione/ideologiche e lo schiavismo antico e moderno.
@ Ipazia
Condivido tutto. Anch'io leggo spesso gli articoli di Pikaia, un sito che ritengo molto serio e interessante. Anche perché non è solo specialistico.
@ Sgiombo
Ecco, allora non ci perdere il tuo tempo prezioso, perché il mio link contiene un video divulgativo per i non accademici. Forse per questo l'ho apprezzato (mentre invece per te ed altri sarà sicuramente troppo semplice).
@ chi fosse eventualmente interessato
L'esperimento filmato dei fagioli nel video di Mancuso dimostra chiaramente che essi percepiscono, anche senza possedere occhi, l'esistenza di un supporto nelle loro vicinanze e vi si dirigono con sicurezza. Ma c'è di più: in caso di competizione, la pianta 'perdente' si ferma, come se avesse capito che ormai è inutile ogni ulteriore sforzo, perché il supporto l'ha già occupato la pianta rivale.
Cercare il sostegno potrebbe essere un comportamento istintivo, inconsapevole, legato alla necessità di sopravvivenza. Questo è vero. Ma ritirarsi quando si vede che il traguardo sta diventando inutile che cos'è? Forse sbaglio, ma a me sembra già una tappa successiva, un comportamento che richiede una specie di ragionamento, se pure rudimentale: la piantina, cioè, sembra consapevole che non le conviene più competere con la rivale, perché un solo sostegno sarebbe insufficiente per due. Non deve sprecare ulteriori energie e allora smette di farlo.
In realtà, nell'esperimento si vede come, prima di abbandonare la 'corsa' verso il desiderato sostegno, il fagiolino perdente si rivolga anche verso la parete di sfondo. Quando sente di non poterci arrivare malgrado si protenda con tutte le sue forze, letteralmente si ritira, rimanendo immobile nella sua sede.
Parlo di 'movimenti' della pianta non per metafora, infatti guardando il video si capisce che si muove davvero, sarà pure un movimento atipico per noi bipedi, in quanto non può spostarsi dal punto di radicamento e può solo proiettare tutto intorno la sua parte aerea,
ma è proprio ciò che fa.
Altri vegetali riescono però a spostarsi nel sottosuolo grazie a una motilità particolarmente spiccata delle radici o dei rizomi (come certi bambù) o alla capacità di emettere propaggini, (come le fragole) per cui possono allontanarsi dal punto in cui nascono e staccarsi addirittura dalla pianta madre.
Prima dell'invenzione della fotografia a fotogrammi ravvicinati si poteva pensare che i vegetali avessero dei movimenti lentissimi, istintivi, automatici e legati solo a cause fisico-chimiche come la luce solare, la pioggia, la temperatura dell'aria. Ora si scopre che hanno addirittura delle strategie e una specie di vita sociale.
@ Davintro
CitazioneCitazione Non solo l'uomo è l'unico essere a suicidarsi, ma anche l'unico che pare impegnarsi nella creazione di cose del tutto "inutili" o gratuite dal punto di vista biologico, la formazione di teorie scientifiche/filosofiche che appaiono del tutto slegate della soddisfazione di bisogni materiali necessari alla vita, la creazione artistica, espressioni di una bellezza del tutto inutili dal punto di vista biologico, ma esprimente in modo simbolico valori universali, al di là del nostro vivere "qui e ora". Possiamo restare affascinati dall'ingegno di un formicaio o di un alveare, ma non credo potremmo trovarci alcun aspetto che non sia riconducibili ai bisogni di preservazione della vita, mentre un quadro, una scultura, una basilica sono dal punto di vista biologico solo uno spreco, ma dal punto di vista spirituale, di una coscienza slegata dalla funzionalità vitale, esprimono i valori personali dei loro creatori
Poi, se un giorno ci capiterà di scoprire una scimmia, un cane, un gatto, che si suicidano, che cominciano a elaborare idee filosofiche, a creare per puro e disinteressato amore del bello... potremmo sempre farli rientrare nella categoria di "animale razionale" che oggi riserviamo solo all'uomo...
Ciao Davintro, sono onorata della tua risposta.
Non voglio sostenere che gli animali abbiano la stessa coscienza di noi umani, sarebbe folle...
Ma come dicono alcuni di voi, esiste una gradazione di facoltà negli esseri viventi, legata come si pensa a un maggiore o minore sviluppo neuronale, oppure a qualche fattore che per ora ci è ignoto.
L'interazione sociale dovrebbe favorire lo sviluppo della coscienza, e difatti gli animali più evoluti sono quelli che vivono in branchi e gruppi familiari. Sul linguaggio, osservo che noi umani siamo al vertice della comunicazione ma tutti gli animali ne possiedono uno.
Neppure i pesci e le tartarughe sono muti come ci insegnavano cent'anni fa.
Per la capacità di poiettarsi nel futuro, quando un cane seppellisce gli ossi in giardino, non sta forse programmando? Ovviamente, se fosse un uomo primitivo, troverebbe un sistema migliore, coprendoli di neve o di ghiaccio. Un contemporaneo li metterebbe in freezer (vale la pena ricordare che, comunque, molti esseri umani non ne dispongono neanche oggi e i surgelati furono inventati negli anni sessanta proprio partendo dall'atavica abitudine di conservare carne e pesce nel ghiaccio).
Vale anche per gli scoiattoli e i roditori che fanno scorte per l'inverno.
Non sono sicura che si debba sempre parlare di comportamenti istintivi quando si tratta di bestie e atti coscienti solo quando c'entra l'uomo, anche se il nostro livello di coscienza è altissimo -salvo poche eccezioni individuali.
Non sono convinta che gli animali tendano solo alle proprie esigenze e ai bisogni fisici elementari, basti pensare agli elefanti (intelligentissimi, sociali, altruisti) che hanno veri e propri cimiteri e celebrano la morte dei compagni con vere e proprie scene di lutto.
Inoltre mi risulta che esista il suicidio animale: riguarda soprattutto i pets che a forza di vivere accanto ai padroni umani ne acquisiscono i vizi, le malattie e le nevrosi. Quindi diventano bulimici o diabetici, soffrono di carie, disaddatamento, depressione con sintomi di autolesionismo e in casi estremi decidono di non voler più vivere.
Esiste - documentato- l'eroismo animale, dei cani ma anche di altre specie che si sacrificano per i cuccioli o per il branco. Forse però qui si potrebbe pensare a un istinto, mentre il suicidio dovrebbe (poi non si sa con certezza) essere un atto più ragionato.
Nonostante io sia per una concezione della coscienza enormemente più vasta di quella che ordinariamente viene ritenuta, come ho già scritto, sono però perplesso quando si 'proiettano' desideri, sensazioni, giudizi ed emozioni umane sul comportamento animale. Così quando un cane resta per qualche tempo in attesa del padrone deceduto si proietta su di lui l'idea che si consapevole, stia soffrendo e sia triste come lo siamo noi in siffatta condizione. Ma il cane potrebbe star lì semplicemente perchè abituato da sempre a gironzolare attorno al padrone...quindi senza alcuna partecipazione 'emotiva' al fatto...Non possiamo saperlo. Perciò direi che sia prudente astenersi dal valutare questi fenomeni come dimostrazione di autocoscienza. Così come il merlo che muore se messo in gabbia, come possiamo definirlo un suicidio? Può benissimo essere la conseguenza dell'incapacità naturale di adattarsi alla condizione di prigionia. Ecc. per altri esempi. Quindi... coscienza animale sì, ma attenzione a proiettare il nostro 'mondo' nel loro 'mondo'...così da vedere la nostra tristezza negli occhi del nostro cane...al quale magari non gliene pò fregà de meno... ;)
Come sappiamo la nostra mente è formidabile nel costruirsi dei mondi 'appaganti'...tirando dentro pure il poveraccio d'animale che vorrebbe forse fare solo l'animale ( per essere realmente 'felice' e non dipendere dall'uomo, come tanti cani col pullover...).
P.S. Senza alcuna offesa se qualche utente del forum va in giro con il cane col pullover, naturalmente. Non voletemene, ma son figlio di contadini... ;D
A Sariputra
Concordo con te che tutti fenomeni, materiali e mentali sono nella coscienza.
E che dunque in articolare sono i cervelli ad essere reali nell' ambito delle coscienze e non le coscienze a trovarsi nei cervelli.
Però, posto che ciò di cui può esserci certezza immediata é la coscienza immediatamente accadente (esperita da ciascuno, ***se*** ne esistono più di una e ***se*** per ciascuna esiste un rispettivo soggetto, oltre che rispettivi oggetti): il solipsismo non é negabile con certezza, non é superabile razionalmente.
Tuttavia da quanto sento (o meglio: si sente, impersonalmente) dire dagli altri uomini (che potrebbero in teoria essere meri zombi) potrebbero esistere altre coscienze.
E inoltre postulare indimostrabilmente l' esistenza anche di soggetti e oggetti in sé mi consente di spiegarmi molte cose (fra cui l' intersoggettività dei fenomeni materiali, senza quale non può darsi conoscenza scientifica, e i rapporti di corrispondenza biunivoca fra determinati processi neurofisiologici cerebrali e gli stati di coscienza, così come rilevati dalle scienze neurologiche).
A tutto questo credo (non riuscirei a non credere nemmeno se mi ci sforzassi) fideisticamente, infondatamente (senza prove o fondamenti razionali, logici o empirici).
Di Varela consento con la "pars destruens" contro il monismo materialistico, dissento con l' "olismo" e tutto il resto.
Quello del 10% del cervello mi sembra un articolo sensazionalistico.
Innanzitutto "a occhio e croce" dall' immagine di RM (per quel che aleatoriamente si può dire da un unico piano) sembrerebbe che ne rimanga intorno al 40%.
E poi non é che sia stato asportato il 90% (o più probabilmente il 60%) del cervello, ma che l' idrocefalo ha compresso, riducendone l' estensione spaziale, "compattandone" (e certamente danneggiandone, ma non distruggendone proporzionalmente alla perdita di volume neuroni, assoni, sinapsi, ecc.).
Il fatto che quella persona non soffra di gravi sindromi neurologiche e psico-comportamentali resta abbastanza eccezionale (eccezionalmente fortunato), ma non inspiegabile.
A Davintro
Concordo: in questo caso hai detto meglio di e quello che anch' io penso.
A Ipazia
Non sono attaccato alle parole e quel che mi interessa nelle discussioni nel forum é il comprendere (e valutare se accettare o meno) le opinioni degli interlocutori.
Si può anche usare il termine "autocoscienza" per riferirsi al mero saper distinguere il proprio corpo e le sue membra da quelli altrui, capacità che é indubbiamente propria anche di vari altri animali diversi dall' uomo (basta mettersi d' accordo. "intertradursi" reciprocamente i vocaboli usati; con un po' di volontà ci si può intendere, se non perfettamente -poiché la perfezione non esiste- per lo meno in soddisfacente misura).
Inoltre ho sempre pensato che anche altri animali possono operare induzioni.
Ma solo l' uomo, come evidenziato anche da Davintro, può pensare complessivamente, astrattamente alla propria vita in generale al di là dell' immediatamente esperito-vissuto (anziché "autocoscienza" la si può chiamare -che ne so?- "personalità", ma la realtà delle cose non cambia).
Anche i cani che si lascino morire per la perdita dell' amico-padrone non mi sembra attendibile pensare che lo facciano in seguito a considerazioni astratte e globali sulle loro proprie vite, ma che avvertano (in maniera veramente ammirevole, che lascia a bocca aperta) un dolore assolutamente sovrastante e paralizzante qualsiasi altra istintiva aspirazione.
Con tutti i dubbi insuperabili del caso, evidenziati anche da me (e da Davintro) non mi sembra ragionevolmente verosimile pensare (anche se é almeno in certa misura opinabile) che pensino che sia per loro preferibile il morire al sopravvivere, ma piuttosto che non sentono più istinti e aspirazioni vitali (immediate).
La mia "firma l' hai completamente fraintesa.
Berkeley intende dire che tutto ciò che possiamo empiricamente conoscere non é reale se non unicamente in quanto insieme-successione di percezioni sensibili (fenomeni, se vogliamo usare un più fortunato termine kantiano).
E non che l' essere vivi é percepire la differenza fra il proprio corpo e gli altrui, ma invece che il proprio corpo e gli altrui e tutto il resto che esperiamo non é reale se non se e quando e in quanto lo percepiamo (per lui oltre a ciò esisteva Dio, mentre per me esiste il noumeno o cosa in sé completamente diverso dalle sensazioni fenomeniche delle quali può essere oggetto e/o soggetto. Ma questo é tutto un altro discorso da quello sulle differenza fra coscienza in generale e autocoscienza).
Si può benissimo essere coscienti di avere davanti a sé per esempio un bel panorama e "naufragar dolcemente nel mare" delle considerazioni che ci ispira, come Leopardi di fronte all' "ermo colle", dimenticandosi di tutto il resto, compresa la propria esistenza (== perdendo la coscienza di sé == l' autocoscienza; ma non la coscienza del panorama che si continua a vedere).
MI sembra del tutto evidente da tutto ciò che continuamente scrivo in questo forum che nemmeno io mitizzo minimamente la cultura umana, ma la considero parte integrante della natura, esattamente come il Wittgenstein che citi: non mitizzo proprio un bel niente!
Sinceramente credo che per pretendere di metterlo in dubbio (perché é questo che mi sembra reiteratamente faccia; se fraintendessi ne sarei ben contentio) mi sembra occorra darsi ad acrobatiche arrampicate sugli specchi degne di miglior causa.
A Everlost
Ti prego, per favore, di evitare di reiterare questa fastidiosissima (e falsa) attribuzione alla mia persona di un pessimo atteggiamento presuntuoso e "antipaticamente professorale" verso gli altri amici del forum e te in particolare.
Credo proprio di avere il diritto di programmare le mie letture secondo le mie preferenze (come tutti ovviamente fanno) senza che per questo si insinui da parte mia disprezzo presunzione, altezzosità, scarsa considerazione degli interlocutori (fra l' altro ho sempre affermato di non essere un "accademico" ma un medico che immodestamente si ritiene filosofo; sempre immancabilmente aggiungendo la precisazione: "cosa ben diversa che essere "professore di filosofia").
Salve Everlost. Citandoti : "Ma come dicono alcuni di voi, esiste una gradazione di facoltà negli esseri viventi, legata come si pensa a un maggiore o minore sviluppo neuronale, oppure a qualche fattore che per ora ci è ignoto."
Infatti. Quasi tutti trascurano questo aspetto nel valutare la struttura della vita.
No confini tra i suoi contenuti, le definizioni tenetevele pure per voi umani che tanto, a me Natura, mi fate tanto ridere nella vostra rozzezza, ignoranza, supponenza, attaccamento alla vostra autosupposta superiorità !.
Tutti presi come bambini a dirsi "io ce l'ho" "lui non ce l'ha" "ma ti sembra possibile che quello là ce l'abbia ?" "la mia è più lunga" "non è vero, la mia è più lunga della tua" e via dicendo.
Brava e saggia. Saluti.
Grazie, Viator,
le tue parole mi confortano molto. :)
Saluti anche a te.
Citazione di: viator il 07 Gennaio 2019, 21:36:54 PM
Salve Everlost. Citandoti : "Ma come dicono alcuni di voi, esiste una gradazione di facoltà negli esseri viventi, legata come si pensa a un maggiore o minore sviluppo neuronale, oppure a qualche fattore che per ora ci è ignoto."
Infatti. Quasi tutti trascurano questo aspetto nel valutare la struttura della vita.
No confini tra i suoi contenuti, le definizioni tenetevele pure per voi umani che tanto, a me Natura, mi fate tanto ridere nella vostra rozzezza, ignoranza, supponenza, attaccamento alla vostra autosupposta superiorità !.
Tutti presi come bambini a dirsi "io ce l'ho" "lui non ce l'ha" "ma ti sembra possibile che quello là ce l'abbia ?" "la mia è più lunga" "non è vero, la mia è più lunga della tua" e via dicendo.
Brava e saggia. Saluti.
Purtroppo, almeno per chi fra noi ama conoscere se stesso e il mondo in cui vive, é necessario distinguere, non si può fare di tutte le erbe un fascio, non ci si può accontentare di brancolare nel buio dell' hegeliana "notte in cui tutte le vacche sembrano nere".
Il che non implica affatto (non necessariamente, anche se ovviamente non lo esclude) un atteggiamento di presuntuosa e ridicola pretesa "superiorità" da parte nostra rispetto al resto della natura.
cit. Sgiombo:Però, posto che ciò di cui può esserci certezza immediata é la coscienza immediatamente accadente (esperita da ciascuno, ***se*** ne esistono più di una e ***se*** per ciascuna esiste un rispettivo soggetto, oltre che rispettivi oggetti): il solipsismo non é negabile con certezza, non é superabile razionalmente.
Tuttavia da quanto sento (o meglio: si sente, impersonalmente) dire dagli altri uomini (che potrebbero in teoria essere meri zombi) potrebbero esistere altre coscienze.
E inoltre postulare indimostrabilmente l' esistenza anche di soggetti e oggetti in sé mi consente di spiegarmi molte cose (fra cui l' intersoggettività dei fenomeni materiali, senza quale non può darsi conoscenza scientifica, e i rapporti di corrispondenza biunivoca fra determinati processi neurofisiologici cerebrali e gli stati di coscienza, così come rilevati dalle scienze neurologiche).
A tutto questo credo (non riuscirei a non credere nemmeno se mi ci sforzassi) fideisticamente, infondatamente (senza prove o fondamenti razionali, logici o empirici).
Credo che, per mantenere l' intersoggettività dei fenomeni materiali, la possibilità di conoscenza e i rapporti di corrispondenza si debba postulare un'unica coscienza di natura impersonale (non la coscienza di Sari e di Sgiombo , ma bensì un'unica coscienza nella quale esistono Sari e Sgiombo...).
Anche a questo tipo di coscienza però si potrebbe credere solo fideisticamente, come nel caso di più coscienze appartenenti a più soggetti.
Ciao
Citazione di: Sariputra il 08 Gennaio 2019, 10:36:55 AM
Credo che, per mantenere l' intersoggettività dei fenomeni materiali, la possibilità di conoscenza e i rapporti di corrispondenza si debba postulare un'unica coscienza di natura impersonale (non la coscienza di Sari e di Sgiombo , ma bensì un'unica coscienza nella quale esistono Sari e Sgiombo...).
Anche a questo tipo di coscienza però si potrebbe credere solo fideisticamente, come nel caso di più coscienze appartenenti a più soggetti.
Ciao
Il problema, per me, é che esperisco (accade con immediata certezza empirica) unicamente la coscienza mia propria, "di Sgiombo" e, nient' altro.
E da quel che mi dicono il mio ottimo amico Sari e gli altri uomini che in questa unica "mia propria" coscienza mi é dato di sentire, posso credere (senza poterlo provare) che esistono anche altre coscienze singolarmente distinte fra loro.
Un' unica coscienza mia e tua e di tutti gli altri non riesco nemmeno a immaginarla: l' unica che esperisco o vivo comprende il corpo mio e di Sari, ma i (suoi) fenomeni di cui mi parla il Sari (in particolare quelli mentali, non intersoggettivi) sono diversi (altre cose; anche se quelli materiali li posso postulare essere intersoggettivamente corrispondenti - ma non uguali, non "le stesse cose" nemmeno essi- a quelli di "questa mia coscienza").
Ciao Sari!
Grazie di tutto!
Citazione di: Sariputra il 07 Gennaio 2019, 19:33:03 PM
Nonostante io sia per una concezione della coscienza enormemente più vasta di quella che ordinariamente viene ritenuta, come ho già scritto, sono però perplesso quando si 'proiettano' desideri, sensazioni, giudizi ed emozioni umane sul comportamento animale. Così quando un cane resta per qualche tempo in attesa del padrone deceduto si proietta su di lui l'idea che sia consapevole, stia soffrendo e sia triste come lo siamo noi in siffatta condizione. Ma il cane potrebbe star lì semplicemente perchè abituato da sempre a gironzolare attorno al padrone...quindi senza alcuna partecipazione 'emotiva' al fatto...Non possiamo saperlo...
Basta farsi un giretto in rete per trovare qualcuno che queste cose le studia e ne sa più di altri:
Gli animali domestici possono soffrire per un lutto. Ecco cosa c'è da sapereAnche da un punto di vista meno specialistico chiunque abbia avuto esperienze minimamente empatiche con animali domestici ha sperimentato questo cose di persona. Ricorderò sempre la condivisione del dolore di una pastora tedesca con una mia amica rimasta prematuremente vedova. L'atteggiamento della vedova canina e la sua vicinanza emotiva alla vedova umana, il modo in cui le posava il muso sulla coscia, il guaito, l'occhio triste, le orecchie basse, il rifiuto del cibo, erano palpabili a chiunque avesse un minimo di coscienza animale.
La parte più arcaica del cervello è quella che abbiamo in comune con i mammiferi superiori, compresi i cani, che regola il desiderio, le emozioni la nostalgia, il dolore, l'affetto. Ciò che noi sappiamo fare meglio degli animali è proprio la parte raziocinante, elaborare il lutto attraverso riti e simboli e percorsi culturali, mantenere l'autocontrollo, tutte funzioni fortemente connesse allo sviluppo esagerato della corteccia prefrontale nella specie homo sapiens.
Citazione di: sgiombo il 08 Gennaio 2019, 11:30:42 AM
Citazione di: Sariputra il 08 Gennaio 2019, 10:36:55 AM
Credo che, per mantenere l' intersoggettività dei fenomeni materiali, la possibilità di conoscenza e i rapporti di corrispondenza si debba postulare un'unica coscienza di natura impersonale (non la coscienza di Sari e di Sgiombo , ma bensì un'unica coscienza nella quale esistono Sari e Sgiombo...).
Anche a questo tipo di coscienza però si potrebbe credere solo fideisticamente, come nel caso di più coscienze appartenenti a più soggetti.
Ciao
Il problema, per me, é che esperisco (accade con immediata certezza empirica) unicamente la coscienza mia propria, "di Sgiombo" e, nient' altro.
Nell'esperire incontro unicamente me stesso, ritengo che proprio per questo l'io-cosciente è la cosa di coscienza par excellence.
Citazione di: Lou il 09 Gennaio 2019, 18:33:43 PM
Citazione di: sgiombo il 08 Gennaio 2019, 11:30:42 AM
Citazione di: Sariputra il 08 Gennaio 2019, 10:36:55 AM
Credo che, per mantenere l' intersoggettività dei fenomeni materiali, la possibilità di conoscenza e i rapporti di corrispondenza si debba postulare un'unica coscienza di natura impersonale (non la coscienza di Sari e di Sgiombo , ma bensì un'unica coscienza nella quale esistono Sari e Sgiombo...).
Anche a questo tipo di coscienza però si potrebbe credere solo fideisticamente, come nel caso di più coscienze appartenenti a più soggetti.
Ciao
Il problema, per me, é che esperisco (accade con immediata certezza empirica) unicamente la coscienza mia propria, "di Sgiombo" e, nient' altro.
Nell'esperire incontro unicamente me stesso, ritengo che proprio per questo l'io-cosciente è la cosa di coscienza par excellence.
Salve!
Per me é un po' diverso.
La mia propria coscienza empirica é ciò di cui sono immediatamente certo oltre ogni dubbio.
Però credo, sebbene invece questo non lo possa empiricamente rilevare nè dimostrare con certezza assoluta, che esistano anche altre esperienze coscienti, umane e animali.
E credo che per giungere all' autocoscienza, cioé alla coscienza in particolare di me stesso come soggetto-oggetto di coscienza (oltre che di ogni sensazione che vi accade) devo innanzitutto credere che esistano anche altre coscienze oltre a "questa mia propria", in modo che esse prossano reciprocamente essere distinte le une dall' altra.
ammettere un salto qualitativo dato dalla presenza della coscienza tra le forme di vita in cui essa è presente e quelle in cui è assente, fintanto che si intende la coscienza nella sua essenzialità, coscienza in generale, senza riferirla alle specifiche forme in cui si realizza in una determinata specie vivente come l'uomo, cioè come coscienza umana, non comporta alcun pregiudiziale antropocentrismo. Questo grazie alla distinzione, a cui avevo fatto cenno nel mio messaggio di prima, tra piano empirico in cui si cerca di collocare una specie animale nelle varie categorie osservando il loro comportamento, e piano essenzialistico in cui si cerca di individuare le implicazioni logicamente necessarie per ogni singola categoria. Grazie a questa distinzione nulla impedisce aprioristicamente di poter modificare la classificazione di ogni singola specie o individuo animale, nel caso vengano scoperti nuovi elementi. Tutto sta nel non pretendere di sovrapporre in modo necessario il salto qualitativo tra concetti originari e logicamente "primitivi" o "semplici" come "vita cosciente" e" vista sensitiva", e il salto, eventuale, tra categorie indicanti realtà composte come "essere umano" o "essere animale", senza escludere che una di quelle "semplici" possa essere compresa tra gli elementi con cui definiamo una realtà "composta" nella quale inizialmente non si riteneva potesse essere presente. Il problema della distinzione qualitativa tra vita cosciente e vita sensitiva intesse nella loro essenzialità è insomma altro da quello della distinzione eventuale, empirica tra uomo e altri animali. Questo del resto sarebbe lo stesso errore in cui ricade un certo materialismo, che confondendo l'accezione universale e esaustiva dell'idea di "coscienza" con quella empiricamente determinata come "coscienza umana" (una determinazione nella quale la coscienza è legata a vincoli di dipendenza con il corpo e la sensibilità) pretende di dedurre l'impossibilità di una vita cosciente puramente spirituale in una dimensione sovrumana e sovramondana, prendendo un aspetto accidentale del concetto di coscienza (la situazione storica in cui si dà come coscienza umana) e trattandolo come fosse un dato essenziale.
Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2019, 23:33:31 PM
ammettere un salto qualitativo dato dalla presenza della coscienza tra le forme di vita in cui essa è presente e quelle in cui è assente, fintanto che si intende la coscienza nella sua essenzialità, coscienza in generale, senza riferirla alle specifiche forme in cui si realizza in una determinata specie vivente come l'uomo, cioè come coscienza umana, non comporta alcun pregiudiziale antropocentrismo. Questo grazie alla distinzione, a cui avevo fatto cenno nel mio messaggio di prima, tra piano empirico in cui si cerca di collocare una specie animale nelle varie categorie osservando il loro comportamento, e piano essenzialistico in cui si cerca di individuare le implicazioni logicamente necessarie per ogni singola categoria. Grazie a questa distinzione nulla impedisce aprioristicamente di poter modificare la classificazione di ogni singola specie o individuo animale, nel caso vengano scoperti nuovi elementi. Tutto sta nel non pretendere di sovrapporre in modo necessario il salto qualitativo tra concetti originari e logicamente "primitivi" o "semplici" come "vita cosciente" e" vista sensitiva", e il salto, eventuale, tra categorie indicanti realtà composte come "essere umano" o "essere animale", senza escludere che una di quelle "semplici" possa essere compresa tra gli elementi con cui definiamo una realtà "composta" nella quale inizialmente non si riteneva potesse essere presente. Il problema della distinzione qualitativa tra vita cosciente e vita sensitiva intesse nella loro essenzialità è insomma altro da quello della distinzione eventuale, empirica tra uomo e altri animali. Questo del resto sarebbe lo stesso errore in cui ricade un certo materialismo, che confondendo l'accezione universale e esaustiva dell'idea di "coscienza" con quella empiricamente determinata come "coscienza umana" (una determinazione nella quale la coscienza è legata a vincoli di dipendenza con il corpo e la sensibilità) pretende di dedurre l'impossibilità di una vita cosciente puramente spirituale in una dimensione sovrumana e sovramondana, prendendo un aspetto accidentale del concetto di coscienza (la situazione storica in cui si dà come coscienza umana) e trattandolo come fosse un dato essenziale.
1) Donde viene l'essenza, il piano essenziale ?
2) Nessuno nega la superiorità
apparente della coscienza umana e tantomeno i suoi afflati sovramondani, ma che ne sappiamo di tutto ciò che non appare alla nostra ignoranza ? Chi ce ne può liberare, comprese le eventuali sorprese, se non il piano empirico della conoscenza ?
Citazione di: davintro il 10 Gennaio 2019, 23:33:31 PM
Questo del resto sarebbe lo stesso errore in cui ricade un certo materialismo, che confondendo l'accezione universale e esaustiva dell'idea di "coscienza" con quella empiricamente determinata come "coscienza umana" (una determinazione nella quale la coscienza è legata a vincoli di dipendenza con il corpo e la sensibilità) pretende di dedurre l'impossibilità di una vita cosciente puramente spirituale in una dimensione sovrumana e sovramondana, prendendo un aspetto accidentale del concetto di coscienza (la situazione storica in cui si dà come coscienza umana) e trattandolo come fosse un dato essenziale.
Ho tagliato ciò con cui concordo, mentre ritengo errata questa critica di un certo materialismo (pur non essendo monista materialista).
Credo che di fatto nessun materialista si ponga il problema astratto (privo di interesse se non puramente logico - speculativo anche per me) se, oltre a quella
empiricamente determinata (e soprattutto rilevata) come "coscienza umana" ne potrebbero, in linea teorica esistere altre "disincarnate" a noi inaccessibili. Dando briglia sciolta alla fantasia si possono immaginare le cose più disparate purché non autocontraddittorie, dagli ippogrifi e altre chimere mitologiche a Superman o Biancaneve e i sette nanai in qualche pianeta di qualche remota galassia, alla teiera interplanetaria di Russell, e chi più ne ha più ne metta).Ma credo che giustamente i materialisti (salvo casi eccezionali) non si pongano nemmeno questi problemi che possono ben denominarsi "astrusi", e si limitino a cercare di conoscere la realtà effettivamente disponibile alla nostra osservazione (errando a parer mio, a seconda dei diversi casi, nel pretendere di eliminare da ciò che è reale la mente cosciente, oppure nell' identificarla col cervello, o ridurla al cervello, o farvela sopravvenire, o farvela emergere).
per Ipazia
per essenza intendo l'idea di qualcosa che risponde alla domanda sul suo senso, sul "cosa è", sul "quid", che resta tale indipendentemente dalle circostanze empiriche in cui si fa esistente, Il piano dell'essenza è inattingibile per ogni ricerca empirica, che delimiterebbe i suoi risultati all'interno della particolarità della situazione in cui la ricerca è stata effettuata, può essere raggiunto solo quando al corso naturale della nostra esperienza della cosa si attua un setaccio critico che spogli il vissuto dagli elementi dubitabili, accidentali, per far emergere la struttura della cosa che la caratterizza in ogni possibile contesto in cui si dà, e questo coglimento della struttura universale è ciò che poi consente le definizioni delle cose, che per l'appunto colgono le cose nel complesso di ogni loro possibile determinazione storica: se non avessimo in un certo modo un intuizione dell'essenza del rosso, non potremmo nemmeno concepirne la definizione, la parola segnica "rosso", che per l'appunto vale per tutti i "rossi" possibili. Nel caso qua in questione, la coscienza, direi che l'atteggiamento empirico, inadeguato a coglierne l'essenza, sarebbe quello di chi ritiene di poterla trattare e concepirne le varie implicazioni e caratteristiche partendo dall'osservazione delle determinate forme di vita in cui riteniamo sia presente, ad esempio l'essere umano, caratteristiche effettivamente presenti nella singola forma di vita che osserviamo, ma che non è detto debba necessariamente accompagnare la coscienza, in ogni possibile circostanza in cui essa si dà, mentre l'atteggiamento davvero adeguato a coglierne l'essenza sarebbe quello rigorosamente analitico, nel quale l'intuizione della coscienza viene il possibile isolata dal complesso di elementi all'interno del quale si rende presente, per poterla pensare nel suo livello di indipendenza rispetto a tutto ciò che è altro da se stessa, allo stesso modo per il quale quando si desidera, ascoltando un'orchestra, focalizzare l'attenzione sul suono di un singolo strumento, lo "isoliamo" mentalmente dal resto dei suoni, mettendo tra parentesi (epoche fenomenologica) i suoni di tutti gli altri strumenti, far finta che non esistano: quanto più riusciamo a farlo tanto più avremmo colto l'essenza del singolo suono che ci interessa, che poi resterebbe lo stesso in ogni altro tipo di contesto in cui si manifesta e in cui poi dunque potremmo sempre riconoscerlo.
Non ho mai voluto qua parlare di "superiorità" o "inferiorità", essendo categorie valoriali, per cercare di attenermi a un piano puramente descrittivo e slegato da giudizi morali.
per Sgiombo
Quando parlo di "materialismo" lo concepisco come una posizione metafisica e filosofica (anche se certamente deve negarsi come tale per cercare di mantenersi coerente con la nozione di "scientificità" che esalta e a cui esplicitamente dice di far riferimento), per la quale tutta la realtà è materia o quantomeno si origina da essa, mentre restando in un puro punto di vista empirico nulla autorizza a legittimare scientificamente tale assunto. Infatti il concetto di "tutto", fuoriesce dai limiti dell'esperienza sensibile, i sensi possono "dirci" (la questione è più complessa, ora semplifico molto per non dilungarmi troppo) che una cosa esiste nel tempo e nello spazio in cui entra in contatto con essi, ma non hanno alcun titolo per assolutizzare come "unica realtà possibile" la realtà a cui essi sono adeguati a rappresentare. Quindi coloro che si limitano, citandoti "a cercare di conoscere la realtà effettivamente disponibile alla nostra osservazione" (qua per osservazione, mi pare che si debba intendere osservazione empirica fondata sull'esperienza sensibile) non li definirei affatto come "materialisti" necessariamente, cioè possono anche esserlo, come non esserlo, ma resterebbe una questione rientrante nell'ambito di cui non si occupano o che non li interessa. Come è ovvio, un conto è negare oggettivamente, in assoluto la sensatezza di ciò che sta al di là di un certo ambito del sapere, un altro la scelta meramente soggettiva e personale di fermare i propri interessi di studio a quel determinato ambito. Un ricercatore naturalista che dedica i propri studi alla realtà della natura fisica senza aver mai voluto formulare una propria opinione riguardo "l'al di là"" di questa realtà, non lo considererei un materialista, ma semplicemente "neutrale" in rapporto alla dimensione della realtà su cui materialismo e spiritualismo confliggono. Se poi considera "astruse" le questioni inerenti a tale dimensione, andrebbe chiarito su che basi esprime tale sentenza. Se la motivazione è il pensiero di una assoluta inesistenza di ciò che va oltre la realtà naturale, il suo oggetto di indagine, allora vuol dire che in realtà la sua è una metafisica inconsapevole: usa la categoria, metafisica e intelligibile di "totalità" che attribuisce alla realtà sensibile oggetto delle sue ricerche, oltre il quale non ci sarebbe nulla, se invece intende "astruse" come qualcosa di troppo complicato o contorto per potersene occupare con successo, allora non si tratta di "materialismo", ma di un riconoscimento dei limiti delle sue capacità conoscitive (limiti riferibili sia a se stesso come singolo o all'umanità in generale...), che si preferisce impiegare su obiettivi ritenuti maggiormente alla portata
Citazione di: davintro il 12 Gennaio 2019, 00:44:02 AM
per Ipazia
per essenza intendo l'idea di qualcosa che risponde alla domanda sul suo senso, sul "cosa è", sul "quid", che resta tale indipendentemente dalle circostanze empiriche in cui si fa esistente, Il piano dell'essenza è inattingibile per ogni ricerca empirica, che delimiterebbe i suoi risultati all'interno della particolarità della situazione in cui la ricerca è stata effettuata, può essere raggiunto solo quando al corso naturale della nostra esperienza della cosa si attua un setaccio critico che spogli il vissuto dagli elementi dubitabili, accidentali, per far emergere la struttura della cosa che la caratterizza in ogni possibile contesto in cui si dà, e questo coglimento della struttura universale è ciò che poi consente le definizioni delle cose, che per l'appunto colgono le cose nel complesso di ogni loro possibile determinazione storica: se non avessimo in un certo modo un intuizione dell'essenza del rosso, non potremmo nemmeno concepirne la definizione, la parola segnica "rosso", che per l'appunto vale per tutti i "rossi" possibili. Nel caso qua in questione, la coscienza, direi che l'atteggiamento empirico, inadeguato a coglierne l'essenza, sarebbe quello di chi ritiene di poterla trattare e concepirne le varie implicazioni e caratteristiche partendo dall'osservazione delle determinate forme di vita in cui riteniamo sia presente, ad esempio l'essere umano, caratteristiche effettivamente presenti nella singola forma di vita che osserviamo, ma che non è detto debba necessariamente accompagnare la coscienza, in ogni possibile circostanza in cui essa si dà, mentre l'atteggiamento davvero adeguato a coglierne l'essenza sarebbe quello rigorosamente analitico, nel quale l'intuizione della coscienza viene il possibile isolata dal complesso di elementi all'interno del quale si rende presente, per poterla pensare nel suo livello di indipendenza rispetto a tutto ciò che è altro da se stessa, allo stesso modo per il quale quando si desidera, ascoltando un'orchestra, focalizzare l'attenzione sul suono di un singolo strumento, lo "isoliamo" mentalmente dal resto dei suoni, mettendo tra parentesi (epoche fenomenologica) i suoni di tutti gli altri strumenti, far finta che non esistano: quanto più riusciamo a farlo tanto più avremmo colto l'essenza del singolo suono che ci interessa, che poi resterebbe lo stesso in ogni altro tipo di contesto in cui si manifesta e in cui poi dunque potremmo sempre riconoscerlo.
Non ho mai voluto qua parlare di "superiorità" o "inferiorità", essendo categorie valoriali, per cercare di attenermi a un piano puramente descrittivo e slegato da giudizi morali.
D'accordo sull'
essenza. Corrisponde all'idea originaria degli universali di Platone ed è un concetto assai utile per sistematizzare la realtà. L'essenza di una cosa è quel concetto che quando io lo dico tutti capiscono di cosa si tratta. Se dico cane, si capisce cane, tanto nella sostanza empirica che nel concetto semantico che l'ha generalizzata. Ma "coscienza" è un tantino più difficile ridurla ad un universale condiviso. Probabilmente anche "empirico" non è un universale condiviso, visto che per alcuni non vi è possibilità di conoscenza che ne possa prescindere, mentre altri rimandano a forme di sapere indipendenti dall'esperienza empirica. Si potrebbe lasciare un bambino in balia della foresta e vedere, se sopravvive, che coscienza ha sviluppato. Ma a parte la scarsa eticità dell'esperimento, vi è il problema che esso sarebbe del tutto empirico. Insomma, non vedo una via d'uscita
logica tra chi ritiene la coscienza un elaboratissimo, perfino trascendentale, prodotto dell'esperienza immanente di organismi biologici - analizzabile nelle sue più recondite sfumature e specificità con unico limite l'intelligenza umana - e chi vi vede il segno di una trascendenza sovrannaturale.
Citazione di: davintro il 12 Gennaio 2019, 00:44:02 AM
per Ipazia
per essenza intendo l'idea di qualcosa che risponde alla domanda sul suo senso, sul "cosa è", sul "quid", che resta tale indipendentemente dalle circostanze empiriche in cui si fa esistente, Il piano dell'essenza è inattingibile per ogni ricerca empirica, che delimiterebbe i suoi risultati all'interno della particolarità della situazione in cui la ricerca è stata effettuata, può essere raggiunto solo quando al corso naturale della nostra esperienza della cosa si attua un setaccio critico che spogli il vissuto dagli elementi dubitabili, accidentali, per far emergere la struttura della cosa che la caratterizza in ogni possibile contesto in cui si dà, e questo coglimento della struttura universale è ciò che poi consente le definizioni delle cose, che per l'appunto colgono le cose nel complesso di ogni loro possibile determinazione storica: se non avessimo in un certo modo un intuizione dell'essenza del rosso, non potremmo nemmeno concepirne la definizione, la parola segnica "rosso", che per l'appunto vale per tutti i "rossi" possibili.
Citazione
Secondo me si tratta semplicemente di un processo (razionale) di astrazione di aspetti generali dai particolari concreti empiricamente "colti" (sentiti).
per Sgiombo
Quando parlo di "materialismo" lo concepisco come una posizione metafisica e filosofica (anche se certamente deve negarsi come tale per cercare di mantenersi coerente con la nozione di "scientificità" che esalta e a cui esplicitamente dice di far riferimento), per la quale tutta la realtà è materia o quantomeno si origina da essa, mentre restando in un puro punto di vista empirico nulla autorizza a legittimare scientificamente tale assunto.
Infatti il concetto di "tutto", fuoriesce dai limiti dell'esperienza sensibile, i sensi possono "dirci" (la questione è più complessa, ora semplifico molto per non dilungarmi troppo) che una cosa esiste nel tempo e nello spazio in cui entra in contatto con essi, ma non hanno alcun titolo per assolutizzare come "unica realtà possibile" la realtà a cui essi sono adeguati a rappresentare. Quindi coloro che si limitano, citandoti "a cercare di conoscere la realtà effettivamente disponibile alla nostra osservazione" (qua per osservazione, mi pare che si debba intendere osservazione empirica fondata sull'esperienza sensibile) non li definirei affatto come "materialisti" necessariamente, cioè possono anche esserlo, come non esserlo, ma resterebbe una questione rientrante nell'ambito di cui non si occupano o che non li interessa.
Citazione
Certo il materialismo é una posizione filosofica.
Ed é propria di fatto di molti scienziati (ma molti sono anche teisti, deisti, panteisti, indulgenti alla magia e ad altri irrazionalismi anche più penosi, come ben si può vedere scorrendo il quasi secolare dibattito sulla meccanica quantistica o certe interpretazioni della relatività, come quelle implicanti la pretesa possibilità di viaggi nel tempo).
Ma quando si fa scienza, indipendentemente dalle concezioni filosofiche che si hanno (che vanno per così dire "messe tra parentesi", non prese in considerazione onde evitare di cadere in esiziali pregiudizi), é necessario assumere un' atteggiamento epistemologico "materialistico" dal momento che ha senso cercare di conoscere scientificamente il mondo materiale - naturale (che, credo concordemente a te, sono convinto non esaurisca la realtà in toto, l' "ontologia") solo alla condizione della sua "chiusura causale".
Per così dire, il fare ricerca scientifica "non autorizza" ad ammettere la possibilità di interferenze non materiali - naturali (per esempio da parte del pensiero cosciente; per non parlare di "miracoli", più o meno provvidenziali interventi divini, ecc.) sul mondo fisico materiale, che ne esistano realmente o meno (intendo dire: di entità extranaturali, non di interferenze causali fra esse e la natura, che credendo nella verità della conoscenza scientifica e non volendomi contraddire, non posso ammettere).
Come è ovvio, un conto è negare oggettivamente, in assoluto la sensatezza di ciò che sta al di là di un certo ambito del sapere, un altro la scelta meramente soggettiva e personale di fermare i propri interessi di studio a quel determinato ambito. Un ricercatore naturalista che dedica i propri studi alla realtà della natura fisica senza aver mai voluto formulare una propria opinione riguardo "l'al di là"" di questa realtà, non lo considererei un materialista, ma semplicemente "neutrale" in rapporto alla dimensione della realtà su cui materialismo e spiritualismo confliggono. Se poi considera "astruse" le questioni inerenti a tale dimensione, andrebbe chiarito su che basi esprime tale sentenza. Se la motivazione è il pensiero di una assoluta inesistenza di ciò che va oltre la realtà naturale, il suo oggetto di indagine, allora vuol dire che in realtà la sua è una metafisica inconsapevole: usa la categoria, metafisica e intelligibile di "totalità" che attribuisce alla realtà sensibile oggetto delle sue ricerche, oltre il quale non ci sarebbe nulla, se invece intende "astruse" come qualcosa di troppo complicato o contorto per potersene occupare con successo, allora non si tratta di "materialismo", ma di un riconoscimento dei limiti delle sue capacità conoscitive (limiti riferibili sia a se stesso come singolo o all'umanità in generale...), che si preferisce impiegare su obiettivi ritenuti maggiormente alla portata
Citazione
Secondo me non si tratta solo di una scelta soggettiva, arbitraria, di gusto.
O per lo meno non necessariamente.
Si può giungere a credere in un' ontologia materialistica (secondo me, e mi pare evidente anche te, errando) anche in seguito a ragionamenti e ricerche filosofiche più o meno profonde e impegnative.
Ma indipendentemente dalle proprie convinzioni ontologiche (se se ne ha; perché esistono anche non pochi scienziati positivisti e scientisti che non ne hanno punto e non sentono il bisogno di cercarne: peggio per loro! Non sanno cosa si perdono!), se si fa ricerca scientifica si deve fare "come se" si fosse materialisti, prescindendo da qualsiasi considerazione riguardante la parte non materiale, mentale della realtà.
A meno che non si faccia ricerca neurofisiologica, che si interessa anche e oggi soprattutto delle correlazioni (e non: le identità!) fra fisiologia della materia cerebrale e coscienza; ma allora si dovrebbe essere consapevoli (ma accade di fatto molto di rado!) di questa non-identità e della non interferenza causale fra i due ordini di fenomeni considerati.
Trovo decisamente "astrusa" (senza intenti denigratori) l' ipotesi dell' esistenza di esperienze coscienti "disincarnate", non correlate a sistemi nervosi e a determinati processi neurofisiologici nei loro ambiti, (come quelle degli "angeli" o "puri spiriti" delle principali religioni) per il semplice fatto che sono ipotesi del tutto inverificabili, come ad esempio quelle dagli ippogrifi e altre chimere mitologiche, di Superman o Biancaneve e i sette nani in qualche pianeta di qualche remota galassia, della teiera interplanetaria di Russell, e chi più ne ha più ne metta.
Non certo, come dimostrano i miei reiterati scontri polemici, spesso piuttosto vivaci, con Ipazia, Phil e altri amici, la questione ontologica generale (per me implicante non poche entità-eventi reali che vanno oltre la realtà naturale), lo studio dei rapporti mente - cervello- e tante altre questioni filosofiche.
Citazione di: davintro il 12 Gennaio 2019, 00:44:02 AM
... Se la motivazione è il pensiero di una assoluta inesistenza di ciò che va oltre la realtà naturale, il suo oggetto di indagine, allora vuol dire che in realtà la sua è una metafisica inconsapevole: usa la categoria, metafisica e intelligibile di "totalità" che attribuisce alla realtà sensibile oggetto delle sue ricerche, oltre il quale non ci sarebbe nulla, se invece intende "astruse" come qualcosa di troppo complicato o contorto per potersene occupare con successo, allora non si tratta di "materialismo", ma di un riconoscimento dei limiti delle sue capacità conoscitive (limiti riferibili sia a se stesso come singolo o all'umanità in generale...), che si preferisce impiegare su obiettivi ritenuti maggiormente alla portata
Che la scienza sia un metadiscorso sulla natura essa ne è totalmente consapevole. Ovviamente si confronta con altri metadiscorsi, altre metafisiche, per vedere chi c'azzecca di più. Altrove sgiombo ha postato una differenza epistemologica di importanza fondamentale tra
indimostrabilità e
falsità. Tale atteggiamento gnoseologico è stato di importanza capitale per l'evoluzione della nostra specie. Nel momento in cui Newton scopre le leggi della gravitazione universale, ammette onestamente di non fingere ipotesi ("Hypotheses non fingo") riguardo alla natura della forza gravitazionale. E' questa l'onestà intellettuale che manca ad altre forme di saperi che invece le ipotesi le fingono a raffica. Ci penseranno i fisici venuti dopo di lui a chiarire meglio la questione, delimitando la verità di quelle leggi all'ambito empirico loro proprio. Questo esempio illustra anche la fecondità del metodo empirico tal quale: scoprire la verità fenomenica senza conoscerne (tutte) le cause (induzione). Diventa scienza quando si completa la conoscenza rendendola riproducibile e calcolabile (deduzione). Quindi si possono fare profezie fondate su tale fenomeno *. Sarà anche umano troppo umano, ma non pare vi sia nulla di meglio per comprendere e vivere al meglio il mondo che siamo.
* Profezie sulla fine del mondo ve ne sono molte. Non so quanti cristiani sarebbero disposti a sposare più quella dell'evangelista Giovanni che quella degli astronomi. Anche la fede ha i suoi gradi di affidabilità.
Salve Ipazia. Scusami ma non resisto ! A me vengono cosi !!.
La scienza c'azzecca (spesso), la filosofia c'azzeggia (sempre). Salutoni
Citazione di: Ipazia il 12 Gennaio 2019, 10:43:27 AM
Citazione di: davintro il 12 Gennaio 2019, 00:44:02 AM
... Se la motivazione è il pensiero di una assoluta inesistenza di ciò che va oltre la realtà naturale, il suo oggetto di indagine, allora vuol dire che in realtà la sua è una metafisica inconsapevole: usa la categoria, metafisica e intelligibile di "totalità" che attribuisce alla realtà sensibile oggetto delle sue ricerche, oltre il quale non ci sarebbe nulla, se invece intende "astruse" come qualcosa di troppo complicato o contorto per potersene occupare con successo, allora non si tratta di "materialismo", ma di un riconoscimento dei limiti delle sue capacità conoscitive (limiti riferibili sia a se stesso come singolo o all'umanità in generale...), che si preferisce impiegare su obiettivi ritenuti maggiormente alla portata
Che la scienza sia un metadiscorso sulla natura essa ne è totalmente consapevole. Ovviamente si confronta con altri metadiscorsi, altre metafisiche, per vedere chi c'azzecca di più. Altrove sgiombo ha postato una differenza epistemologica di importanza fondamentale tra indimostrabilità e falsità. Tale atteggiamento gnoseologico è stato di importanza capitale per l'evoluzione della nostra specie. Nel momento in cui Newton scopre le leggi della gravitazione universale, ammette onestamente di non fingere ipotesi ("Hypotheses non fingo") riguardo alla natura della forza gravitazionale. E' questa l'onestà intellettuale che manca ad altre forme di saperi che invece le ipotesi le fingono a raffica. Ci penseranno i fisici venuti dopo di lui a chiarire meglio la questione, delimitando la verità di quelle leggi all'ambito empirico loro proprio. Questo esempio illustra anche la fecondità del metodo empirico tal quale: scoprire la verità fenomenica senza conoscerne (tutte) le cause (induzione). Diventa scienza quando si completa la conoscenza rendendola riproducibile e calcolabile (deduzione). Quindi si possono fare profezie fondate su tale fenomeno *. Sarà anche umano troppo umano, ma non pare vi sia nulla di meglio per comprendere e vivere al meglio il mondo che siamo.
* Profezie sulla fine del mondo ve ne sono molte. Non so quanti cristiani sarebbero disposti a sposare più quella dell'evangelista Giovanni che quella degli astronomi. Anche la fede ha i suoi gradi di affidabilità.
Citazione
Newton non immagina ipotesi nei Philosophiae Naturalis Principia Mathematica (Nel momento in cui scopre le leggi della gravitazione universale, come ben dici).
Ma non essendo solo un grandissimo scienziato (forse il più grande di tutti), ma anche un buon filosofo (come, secondo me non a caso, per lo meno anche quasi tutti gli altri grandi scienziati) in altre opere non si astiene dal compiere considerazioni filosofiche e proporre ipotesi sulla realtà (fisica e non), nella consapevolezza del loro carattere per l' appunto non provato (e/o anche non provabile empiricamente): non considerava certo "c'azzeggio" la filosofia; e sono propenso a credere che probabilmente anche proprio per questo sia stato quel grandissimo scienziato che é stato.
Non é una critica rivolta a te ma una precisazione che sento doverosa (potrà apparirti pleonastica, a me no, visto come é spesso indebitamente "matrattata" la filosofia), ma esistono varie scienze "umane" e varie filosofie che (giustamente, essendo altro sapere che non le scienze naturali) propongono anche ipotesi non verificate e/o non verificabili e lo fanno nella piena consapevolezza razionale e con l' onestà intellettuale di riconoscerlo (che concordo mancare ad altre forme di pretesi "saperi", ma non alle migliori filosofie razionalistiche).
La mia pignoleria (da "maestrino? Com' é vero che é molto facile vedere pagliuzze negli occhi altrui, molto più difficile vedere travi nei propri! Comunque senz' altro da rompiballe; ma se anche Socrate rompeva i cabbasisi agli Ateniesi..) mi induce anche a un' altra precisazione:
Concordo anche che pare non vi sia nulla di meglio della scienza per comprendere al meglio la parte materiale del mondo; oltre la quale ritengo però ne esistano altre parti non scientificamente conoscibili ma che é per me comunque assolutamente necessario indagare razionalmente onde poter vivere al meglio.
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Citazione di
Viator:
La scienza c'azzecca (spesso), la filosofia c'azzeggia (sempre).Citazione
A meno che qui per "c'azzeggiare" non si intenda puramente e semplicemente "trattare argomenti che a me non interessano e/o non piacciono", questo é un tipico pregiudizio scientista.
Fra il molto altro di non fondatamente considerabile "c'azzeggio" (a meno per l' appunto di non denominare con questo termine puramente e semplicemente ciò che del tutto soggettivamente non si gradisce o per cui non si prova interesse; ma allora sarebbe più semplice, non ambiguo e meno foriero di malintesi più o meno sgradevoli dire che semplicemente non ci interessa senza tirare il ballo l' o'rgano s'essuale m'aschile!) ci sono la gnoseologia (generale) e l' epistemologia o filosofia della scienza.
Delle quali quella che personalmente seguo dimostra -a mio parere- che la scienza, quando ci azzecca, ci azzecca solo alla condizione della verità di alcune premesse indimostrabili (cioè in linea teorica, "di principio" la scienza potrebbe anche non azzeccarci affatto, mai. E questo anche se, a quanto pare, in pratica funziona; che é altro concetto che l' essere teoreticamente vera).
Citazione di: sgiombo il 12 Gennaio 2019, 15:44:41 PM
Concordo anche che pare non vi sia nulla di meglio della scienza per comprendere al meglio la parte materiale del mondo; oltre la quale ritengo però ne esistano altre parti non scientificamente conoscibili ma che é per me comunque assolutamente necessario indagare razionalmente onde poter vivere al meglio.
Certo. E sono anche il meglio della partita. La parte creativa, trascendentale, della nostra evoluzione laddove uno spettro si aggira per l'Universo: lo spettro del libero arbitrio di creature senzienti che ne sono la sua autocoscienza ;D
Citazione di: sgiombo il 12 Gennaio 2019, 15:44:41 PM
... ci sono la gnoseologia (generale) e l' epistemologia o filosofia della scienza. Delle quali quella che personalmente seguo dimostra -a mio parere- che la scienza, quando ci azzecca, ci azzecca solo alla condizione della verità di alcune premesse indimostrabili (cioè in linea teorica, "di principio" la scienza potrebbe anche non azzeccarci affatto, mai. E questo anche se, a quanto pare, in pratica funziona; che é altro concetto che l' essere teoreticamente vera).
Insomma, per dirla alla viator, la scienza potrebbe anche non riuscire mai a smutandare il noumeno, ma la penicillina e il riscaldamento autonomo, almeno quelli, ce li ha garantiti. Io mi godo il bicchiere mezzo pieno, tu goditi quello mezzo vuoto.
cit.Ipazìa: Insomma, per dirla alla viator, la scienza potrebbe anche non riuscire mai a smutandare il noumeno, ma la penicillina e il riscaldamento autonomo, almeno quelli, ce li ha garantiti. Io mi godo il bicchiere mezzo pieno, tu goditi quello mezzo vuoto.
La peniccilina mi ha salvato la vita, quando avevo sedici, curando l'infezione derivata dalla peritonite gangrenosa. La questione se il fatto sia da considerarsi un 'bene' o un 'male' per il Sari è competenza della filosofia. La scienza non sa e non può dare alcuna risposta in merito...
Le domande sul significato e sul senso competono alle scienze umane e spirituali e non alla scienza empirica.
Citazione di: Ipazia il 12 Gennaio 2019, 16:11:47 PM
Citazione di: sgiombo il 12 Gennaio 2019, 15:44:41 PM
... ci sono la gnoseologia (generale) e l' epistemologia o filosofia della scienza. Delle quali quella che personalmente seguo dimostra -a mio parere- che la scienza, quando ci azzecca, ci azzecca solo alla condizione della verità di alcune premesse indimostrabili (cioè in linea teorica, "di principio" la scienza potrebbe anche non azzeccarci affatto, mai. E questo anche se, a quanto pare, in pratica funziona; che é altro concetto che l' essere teoreticamente vera).
Insomma, per dirla alla viator, la scienza potrebbe anche non riuscire mai a smutandare il noumeno, ma la penicillina e il riscaldamento autonomo, almeno quelli, ce li ha garantiti. Io mi godo il bicchiere mezzo pieno, tu goditi quello mezzo vuoto.
L' ottimismo é sempre un' ottima cosa (una fortuna averlo).
Ma (non per fare come quando da bambini si giocava "a chi piscia più lontano"; anche allora vincevo quasi sempre io) il mio bicchiere é (non: sembra) un po' più pieno dei vostri.
Infatti, oltre al fatto di contenere non meno scienza, penicillina, riscaldamento autonomo e quant' altro dei vostri, in più contiene anche la (per me inestimabile) consapevolezza razionale dei limiti della scienza e di tutto ciò che ne consegue.
Citazione di: Sariputra il 12 Gennaio 2019, 16:26:50 PM
cit.Ipazìa: Insomma, per dirla alla viator, la scienza potrebbe anche non riuscire mai a smutandare il noumeno, ma la penicillina e il riscaldamento autonomo, almeno quelli, ce li ha garantiti. Io mi godo il bicchiere mezzo pieno, tu goditi quello mezzo vuoto.
La peniccilina mi ha salvato la vita, quando avevo sedici, curando l'infezione derivata dalla peritonite gangrenosa. La questione se il fatto sia da considerarsi un 'bene' o un 'male' per il Sari è competenza della filosofia. La scienza non sa e non può dare alcuna risposta in merito...
Le domande sul significato e sul senso competono alle scienze umane e spirituali e non alla scienza empirica.
La filosofia di solito non ha risposte univoche.
Io (alla tua domanda di cui sopra) rispondo senza dubbio alcuno (alla faccia di Hume; e detto da me é tutto dire!):
S I ! ! !Avere ancora il Sari fra noi é di una fortuna sfacciatissima, inestimabile ! ! !
Come si diceva a quei tempi, fra una pisciata in compagnia e l' altra: "un culo sperverso"!
Purtroppo, per la filosofia, il significato e senso delle cose si appoggia incontrovertibilmente (quanto mi piace questa parola philosophisch :-* ) sulle cose. Rispetto alle quali la scienza (galileiana ma ormai universale) al noumeno ci è andata più vicino di qualunque altro sapere. Tant'è che tutto il resto ha dovuto adeguarsi. Prendere atto che non siamo il centro dell'universo ha avuto ripercussioni filosofiche più profonde di tutte le dispute metafisiche. Con questa banale scoperta scientifica abbiamo dovuto ritarare radicalmente il senso e significato delle cose, inclusa la nostra autostima. I valori sono cambiati. Tutta roba filosofica dovuta alla scienza. Anche le nostre prospettive più trascendentali: etica, arte, qualità e visione della vita, si modellano su ciò che l'operari umano ci mette a disposizione. Lungi da me negare l'autonomia della coscienza umana, che ritengo ancora troppo timida rispetto alle prospettive che lo sviluppo tecnoscientifico ci ha spalancato. Ma non vedo alternativa ad una integrazione sempre più profonda tra sapere scientifico e sapere filosofico. Sta in ciò l'unica teoria possibile del Tutto. Come ci insegnarono i nostri progenitori greci.
Citazione di: Ipazia il 12 Gennaio 2019, 18:42:00 PMPurtroppo, per la filosofia, il significato e senso delle cose si appoggia incontrovertibilmente (quanto mi piace questa parola philosophisch :-* ) sulle cose. Rispetto alle quali la scienza (galileiana ma ormai universale) al noumeno ci è andata più vicino di qualunque altro sapere. Tant'è che tutto il resto ha dovuto adeguarsi. Prendere atto che non siamo il centro dell'universo ha avuto ripercussioni filosofiche più profonde di tutte le dispute metafisiche. Con questa banale scoperta scientifica abbiamo dovuto ritarare radicalmente il senso e significato delle cose, inclusa la nostra autostima. I valori sono cambiati. Tutta roba filosofica dovuta alla scienza. Anche le nostre prospettive più trascendentali: etica, arte, qualità e visione della vita, si modellano su ciò che l'operari umano ci mette a disposizione. Lungi da me negare l'autonomia della coscienza umana, che ritengo ancora troppo timida rispetto alle prospettive che lo sviluppo tecnoscientifico ci ha spalancato. Ma non vedo alternativa ad una integrazione sempre più profonda tra sapere scientifico e sapere filosofico. Sta in ciò l'unica teoria possibile del Tutto. Come ci insegnarono i nostri progenitori greci.
C'è un'influenza reciproca. Anche la scienza empirica si chiede, per esempio, fino a dove è lecito spingersi con le manipolazioni genetiche (che è una valutazione etica). Io non credo a qualcosa come ad una teoria del Tutto: anche se l'otteniamo...poi che ce ne facciamo? Ci mettiamo a rimirarla o arriva il solito furbo che esclama. "Bene! Organizziamola"...? :( Voglio dire , non è detto che saremmo più felici sapendo "Tutto"...Infatti il mio cane che non sa un .... mi sembra assai più felice di me! ??? Mah!Signori, ho letto tutto ma mi tormenta qualcosa...non so spiegarlo bene. Non so in effetti di cosa si tratta...Leggendo spesso quel che si scrive su questo forum , mi vien da dire che sembra...sì insomma...sembra che molti di voi vogliano qualcosa dall'uomo... mi sembra che lo volete come disavvezzare da tutte le sue vecchie abitudini e correggere la sua volontà. Tutto conformemente all'esigenze della scienza e del buon senso. Ma, come fate a sapere con sicurezza che l'uomo si può, ma non solo...si deve anche trasformarlo in siffatto modo? Cioè, intendo dire...come fate ad esser sicuri che una tale 'correzione' porterà sicuramente dei benefici all'uomo? E per dirla tutta...come fate a sapere che non andare contro questo buon senso, contro tutti gli ottimi argomenti forniti dalla ragione e dalla scienza, sia davvero, effettivamente un vantaggio per l'uomo e sia cosa buona per l'umanità? Questa, signori...beh! Intanto questa mi sembra solo una vostra supposizione. Sarà anche una legge della logica, ve lo concedo...ma non è per niente detto che sia una legge per l'umanità. (cit. Sariputra --" il giovane del sottosuolo").@Sgiombo...mi fai arrossire fino alle orecchie! :-[ L'ho fatto leggere alla mia massaggiatrice shiatsu mentre mi premeva le reni ed è scoppiata in una sonora risata...aumentando notevolmente la pressione esercitata con le mani... :'(
Citazione di: Ipazia il 12 Gennaio 2019, 18:42:00 PM
Purtroppo, per la filosofia, il significato e senso delle cose si appoggia incontrovertibilmente (quanto mi piace questa parola philosophisch :-* ) sulle cose. Rispetto alle quali la scienza (galileiana ma ormai universale) al noumeno ci è andata più vicino di qualunque altro sapere. Tant'è che tutto il resto ha dovuto adeguarsi. Prendere atto che non siamo il centro dell'universo ha avuto ripercussioni filosofiche più profonde di tutte le dispute metafisiche. Con questa banale scoperta scientifica abbiamo dovuto ritarare radicalmente il senso e significato delle cose, inclusa la nostra autostima. I valori sono cambiati. Tutta roba filosofica dovuta alla scienza. Anche le nostre prospettive più trascendentali: etica, arte, qualità e visione della vita, si modellano su ciò che l'operari umano ci mette a disposizione. Lungi da me negare l'autonomia della coscienza umana, che ritengo ancora troppo timida rispetto alle prospettive che lo sviluppo tecnoscientifico ci ha spalancato. Ma non vedo alternativa ad una integrazione sempre più profonda tra sapere scientifico e sapere filosofico. Sta in ciò l'unica teoria possibile del Tutto. Come ci insegnarono i nostri progenitori greci.
Citazione
Perché mai "purtroppo per la filosofia"?
Casomai purtroppo per il positivismo e lo scientismo le "cose"reali non sono solo quelle materiali (fenomeniche: "esse est percipi" - Berkeley), ma anche, altrettanto reali sebbene non intersoggettive, quelle mentali (altrettanto, né pù né meno fenomeniche).
Se intendi, come correntemente si fa, in noumeno in senso "kantiano" (realtà indipendente dalle sensazioni o fenomeni, tale anche se e quando sensazioni o fenomeni non accadono realmente; che altrimenti facciamo solo dei giochi di parole) , allora la pretesa che la scienza galileiana vi sia arrivata più vicino di qualsiasi altro sapere é semplicemente assurda: la scienza (galileiana) conosce i fenomeni materiali, in quanto immediatamente percepiti empiricamente e per quanto di essi (e non del noumeno) si può inferire a partire dall' empiria (atomi, molecole, particelle-onde, campi, ecc. non sono realtà in sé o noumeno).
La critica razionale filosofica tiene ovviamente conto della scienza galileiana ma si guarda bene dall' "adeguarvisi" come ci si potrebbe adeguare a una "incontrovertibile verità rivelata".
La sottopone anzi a "spietata" critica razionale.
La valutazione delle conseguenze filosofiche di questo o quell' episodio della storia, oltre ad essere in larga misura discutibile, non é un argomento atto a ridurre l' importanza della filosofia o a subordinarla alla scienza (in particolare nei casi di rivoluzione scientifiche che hanno aperto profondi dibattiti filosofici; lungi da me il negarlo, peraltro).
Il sapere scientifico e filosofico si devono integrare anche secondo me, ma non alla maniera in cui l' "Europa" integra l' Italia (e altri paesi) negandone l' indipendenza e facendone protettorati della Germania e di pochi altri paesi; fuor di metafora non pretendendo di subordinate la filosofia alle scienze.
Una "teoria del tutto" (ovvero un ' ontologia) deve "integrare" e "inquadrare" al suo interno le scienza naturali accanto per o meno alle "scienze umane" e a una teoria della conoscenza scientifica e non.
Il potere ufficiale non ci fa conoscere la scienza vera, ma solo quella falsa, sveglia.