Intelligenza umana: può parlarsi di un "effetto Logos"?

Aperto da Luther Blissett, 04 Novembre 2025, 19:15:19 PM

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Luther Blissett

L'intelligenza umana risiede nel cervello, vero? E perché questa strana domanda per una cosa che dovremmo dare tutti per scontata? Riferisco ora un raccontino che potrà farvi venire dei dubbi in merito. Un raccontino che ho utilizzato anche su altri siti e in altre occasioni, e che servirà anche qui per seminare un dubbio che forse qualcuno di voi ancora non aveva avuto finora.
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Ulma, cittadina della Germania meridionale, primavera dell'anno 1879.
 La cittadina è in subbuglio per il rapimento di un neonato dicono portato via da una donna. Il bimbo si chiama Albert. Il viavai a casa dei genitori Hermann e Pauline in Bahnhofstrasse è incessante. Invano si tenta di mettere insieme qualcosa di preciso su questa donna, giacché la cameriera Hilde che pare sia l'unica ad averne visto fuggevolmente lo scialle che indossava, nemmeno riesce a rammentare alcun altro dettaglio utile alle indagini, se non il minimo particolare di una spillina dai riflessi argentati che ornava lo scialle. Segnalazioni su una donna con uno scialle e un bambino piccolissimo arrivano da ogni dove. Ma purtroppo i giorni e poi le settimane e poi i mesi passano e del bambino non si sa più nulla. Dov'è Albert? Ad Ulma rimane a lungo negli anni seguenti la paura ogni volta che avviene una nuova nascita, e tutti sono divenuti più guardinghi. Dov'è Albert? Hermann e Pauline sono persone forti e capaci di assorbire la tremenda esperienza. Non si lasciano demolire dalla domanda di dove sia Albert e non smettono di vivere, non rinunciano a vivere, e decidono di abbandonare la piccola cittadina di Ulma per trasferirsi a Monaco di Baviera. E arriva il 1881, l'anno in cui mettono al mondo Maja. Passano molti altri anni. E arriva il 1895.
 Schwarzwald (Foresta Nera), autunno del 1895.
 La polizia è stata chiamata a catturare un misterioso animale che starebbe terrorizzando i contadini di una zona non distante dalla cittadina di Staufen. Corrono strane voci perfino sulla comparsa in zona di lupi mannari. Di più probabile però risulterebbe solo che in zona sono scomparse alcune galline. Kurt, poliziotto di Friburgo e cacciatore con buona conoscenza di quei luoghi, ha più fortuna degli altri suoi colleghi e infine riesce a catturare con una ingegnosa trappola il misterioso animale che era stato segnalato. Sì, si tratta proprio di lui: Albert!
 E quanto ce n'è voluto per capire che si trattava di Albert. Ferito dalla tagliola, totalmente lurido nella sua totale nudità animale, il volto contratto da un ghigno bestiale, non si sarebbe potuto mai identificarlo in Albert se non fosse stato per quella spillina argentata che era scomparsa insieme a lui e ora era stata ritrovata in quella che si presume fosse divenuta la tana dove Albert aveva trovato rifugio.
 E la spillina non apparteneva ai suoi genitori, era evidente che si trattava di quella che era stata osservata dalla cameriera Hilde sullo scialle della misteriosa rapitrice. Senza quel particolare della spillina non si sarebbe potuto associare così logicamente il piccolo Albert rapito 16 anni prima con quell'assurdo essere selvatico catturato da Kurt il poliziotto.
 Mistero totale su come avesse fatto a sopravvivere 16 anni nella foresta. Di lui si presero cura alcuni studiosi della vicina università di Friburgo. Tantissima curiosità avvolse il suo caso che divenne celeberrimo come il caso Albert Einstein, il bambino-lupo della Foresta Nera.
 Questa appena descritta è una vicenda da storia alternativa, o allostoria o ucronia.
 Interroghiamoci su dove sarebbe stata da ricercarsi la grandissima intelligenza di Albert Einstein, se una misteriosa donna con lo scialle e una spilla argentata lo avesse rapito ancora in fasce e condotto a vivere affidato alla precarietà assoluta della vita selvaggia in una natura lontana da ogni scintilla di umanità.
 Dove ricercare l'intelligenza di Einstein, dunque, davvero nel suo cervello?

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Ho qui dovuto contenere al minimo il mio raccontino per evitare che straripasse a divenire un romanzo, ma è possibile che nel mio impeto all'essenziale l'abbia sfrondato di troppi rami.
 Cerco di rimediare focalizzando soprattutto un punto che può essere sfuggito.
 Torniamo per un momento ad immaginare come realmente accadute le vicende da me descritte del piccolo Albert rapito. Albert bebè riesce fortunosamente a sopravvivere nella foresta forse anche grazie al riflesso istintivo di accudimento da lui suscitato in qualche mammifero femmina che come può capitare si sarà lasciata intenerire da un cucciolo non suo e nemmeno appartenente alla sua specie (cfr. effetto Eibl-Eibesfeldt).
 Albert è nato nel 1879, viene ritrovato in margine alla foresta nel 1895, e dunque ha ormai 16 anni: è troppo tardi per recuperarlo alla condizione umana. Non sto esagerando: il suo cervello, sto parlando del cervello di Einstein, è perduto e non più utilizzabile nel senso umano del termine. Albert ha vissuto nella foresta senza contatti umani da zero a 16 anni, e ora egli non sarebbe in grado di confrontarsi nemmeno con un suo coetaneo affetto da sindrome di Down (la trisomia 21 dei cosiddetti mongoloidi) che di sicuro lo sovrasterebbe in ogni test di valutazione cognitiva. E' apparentemente ancora un essere umano da ogni punto di vista. Ed integro potrebbe essere probabilmente ancora il suo cervello. Ma dato che non è stato in contatto con alcun essere umano nella fase delicatissima della prima infanzia, non lo si può più considerare appartenente alla nostra specie! Forse, con enormi difficoltà e dopo molti e lunghi anni di riabilitazione si potrebbe ancora combinare qualcosa. La casistica dei bambini-lupo è tuttora estremamente carente e aiuta ben poco a stabilire quali possibilità residue di recupero sarebbero possibili in un caso come questo: possiamo affermare che per un essere umano che abbia raggiunto la pubertà senza mai essere stato in contatto fin dalla più tenera età con alcuna persona della specie umana è troppo tardi tentare un recupero soddisfacente.
 Da quanto detto traiamo la conclusione che per fare compiutamente un essere umano occorre il necessario concorso dei seguenti due imprescindibili ingredienti:
 disporre di un corpo appartenente alla specie Homo sapiens;
 disporre di una adeguata relazione con esseri umani: si osservi che non è indispensabile si tratti della madre, infatti potremmo adoperare il più generico termine caretaker (chi si prende cura di). E' insomma sufficiente che il bambino sia in un qualunque modo in una qualche relazione sia pur minima e difettosa con esseri umani.
 Qualora manchi ogni traccia di relazioni umane entro il lasso di tempo sensibile, non ha più modo di nascere la straordinaria capacità cognitiva tipicamente umana di intrattenere uno scambio simbolico sia verso l'esterno con altri esseri umani, sia verso se stessi nella riflessione autoconsapevole.
 Fatte queste dovute precisazioni, possiamo tornare a chiederci: dove si origina l'intelligenza, nel cervello o nella società umana?

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Ecco la  mia autorisposta, che  è conseguente al ragionamento appena fatto: l'intelligenza umana si è formata nella società costituita dagli esseri umani, mentre il nostro cervello ha soltanto il compito di recepirla. L'intelligenza umana, quindi, è come un pacchetto di informazioni e programmi formatisi nella comunità umana, pacchetto che è assolutamente necessario venga correttamente trasferito al cervello del neonato. Se un qualche ostacolo interferisse in questa delicata fase impedendo il corretto trasferimento di questo pacchetto verso il cervello di un neonato, il suo cervello ne risulterebbe irreversibilmente danneggiato, al punto che il soggetto perderebbe le caratteristiche tipiche della nostra specie. La condizione umana richiede ovviamente il possesso di un cervello da Homo sapiens, ma essa è assimilabile a un pacchetto di dati e programmi da trasferire correttamente da una generazione all'altra: la condizione umana è quindi qualcosa di trasferibile. Con molte cautele, penso si possa ricorrere all'analogia che ci viene proposta dall'informatica, della società umana intesa come generatrice del "software-condizione-umana", da installare nell'"hardware" del singolo essere umano, cioè nel suo cervello.
 L'intelligenza umana si è formata nella società e non nell'individuo. Senza il software-condizione-umana correttamente installato, l'individuo tornerebbe a ritrovarsi, ed essere, un primate simile alle altre scimmiette, ma più precario ed inetto perfino di queste.

Può parlarsi di un "effetto Logos"?

Luther Blissett

Formiche e api sono esempi di animali sociali, animali cioè che sarebbero da considerarsi organizzati a due diversi livelli di complessità: animali che per certi versi ci assomigliano.
Se un'ape è un organismo, l'alveare possiamo pensarlo come un super-organismo. Il linguaggio delle api, decifrato da Karl von Frisch, non sarebbe propriamente il linguaggio delle api, bensì dell'alveare.
Un superorganismo, costituito da più organismi, viene acquisendo per sinergia proprietà emergenti che diverranno disponibili anche per gli organismi costituenti il superorganismo stesso.
Anche tra uomo e società umana può pensarsi esista un effetto analogo.  Ho proposto la denominazione di "effetto Logos".
 La parola sarebbe da considerarsi una trasduzione esterna all'organismo umano dei neuromessaggi interni a tale organismo.    Attraverso la parola le menti umane con-vengono a saldarsi stabilendo una continuità funzionale che supera e trascende la loro discontinuità fisica: per tale con-venzione verrebbe a formarsi una super-mente sociale che, per analogia con ciò che accade dentro gli organismi umani, anche al di fuori di essi arriverebbe a creare una rete protonubecolare* di logotrasmettitori **
 
(* protonubecolare= come un miniprotocloud di dati;
** logotrasmettitori= neologismo proposto per indicare il concetto di parola quando considerata nel contesto del superorganismo "società umana")

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