In questi giorni si parla di eutanasia,anche qui..
https://www.riflessioni.it/logos/attualita/eutanasia-e-d-a-t/
Allora mi sarebbe venuto in mente un argomento che forse in qualche modo ne richiama qualcosa.
Il suicidio;
Ero indeciso se inserirlo sulla sezione filosofia o spiritualità, alla fine ho scelto spiritualità perché mi interesserebbe avere opinioni più specifiche anche da questo punto di vista, quindi diciamo che valgono comunque entrambi.
Innanzitutto il suicidio e' un atto di viltà oppure di estremo coraggio o anche di estrema libertà o magari il suo esatto contrario?
O possono forse essere validi entrambi a seconda delle circostanze?...oppure ancora sarebbe comunque un atto condannabile (e se si perché?) per altri diversi motivi, non propriamente contingenti?
Ci sono state epoche in cui mi sembra che il suicidio non era visto alla maniera come forse oggi noi lo concepiamo...casi noti nell'antica Grecia e nell'antica Roma,pero mi vengono pure in mente i kamikaze giapponesi nella seconda guerra mondiale.
Al momento non so cos'altro aggiungere,mi piacerebbe pero provare a capire qualcosa in più su questo argomento molto difficile e particolare,perche mi sembra sia molto controverso e lascia molte domande in sospeso (almeno per me)
Il primo aspetto rilevante è che nessuno conosce il principio della vita, m proprio nessuno, credenti o atei, scienziati o filosofi.
Il suicidio entra nel contesto della bioetica, vale adire che da quel principio nasce una coerenza che riguarda nascita, manipolazione genetica, fecondazione artificiale, "dolce morte".
Il suicidio è l'essenza del dramma prima di tutto è l'irrazionalità che domina il razionale perchè non esiste più ragione per vivere e si sopprraffà anche l'istinto di conservazione.
Qualunque tentativo di costruire logiche ,diritti giuridici, legislazioni che non tengano conto di un principio deduttivo e non come al solito "in ordine sparso" si tratta ogni problema a sè seconda la coerenza della logica contraddittoria di questa cultura
ogni problema sarà seguito da una fandonia come " il lavoro libera l'uomo" scritto sul campo "sanatorio" di Auschwitz, finiremo tutti in saponette?
Il suicidio, dicevo, è un dramma che tocca l'intimità più profonda di un umano e tocca profondamente anche coloro che gli sono vicini, che non gli sono stati sufficientemente vicini da capire.Ecco perchè il suicidi o è sempre una sconfitta per chi rimane è il sintomo di un profondissimo malessere.
Ci sono alcuni filoni da cui prendere le mosse: filosofia/teologia, politica/legislazione, confessionali/laici e scienza/ natura
Posiamo ridurre a: la vita è un dono divino inviolabile la teologia; possiamo altrettanto dire"la vita è mia e me la gestisco io" il motto laico; la politica segue le opinioni, non il giusto o sbagliato, segue le opportunità di scambio politico per avere voti; la scienza manipola senza sapere nè il principio della vita e neppure se manipolazione del DNA, farmaci di ultima generazione avranno conseguenze nell'arco di un paio di generazioni. la nostra logica è tipica del trattamento con i vegetali, finiremo come la pera Williams e la mela golden delicious, ibridati, innestati, mettiamoci staminali, surrogazioni paterne e materne, uteri in affitto o in comodato d'uso.
Non siamo capaci di accettare ,di distaccare, di limitare
Abbiamo capito che i prodotti di sintesi e quindi non natural iinducono tumori/cancro. Abbiamo capito che le immunodepressioni sono causate appunto da molecole aliene, dai vegetali non autoctoni, da cibi non metabolizzabili normalmente.
...ma dobbiamo andare avanti dice il capoconvoglio di questo treno infernale simile a "truppe cammellate".
Siamo irresponsabili e pagheremo le conseguenze, e sarà troppo tardi come al solito.
Questa disgressione è per dire che il suicidio è dentro questa cultura che reintepreta storicamente l'atto nel contesto più ampio che relaziona il principio filosfico e teologico di Essere/Esistenza, di individuo e società, e di un linguaggio che essendo intimissimo non può essere riconducibile al filo prettamente logico razionale, proprio perchè l'atto è contro natura che è irrazionale, ma nulla toglie al dramma umano che essendo vissuto come attore principale da chi perpetua l'atto, ma è dentro la scenografia il contesto culturale e sociale, i rapporti familiari e amicizie che sono la nostra esistenza.
Il suicidio da "sani"...beh chiamate il telefono amico ,il telefono rosa, il telefono azzurro, il telefono arcobaleno l'8000.......E' tutto sul filo di una follia contraddittoria questa società che prima ti spreme poi ti ammala e poi finge di seguirti amorevolmente
Certi gesti "insani" così si dice anche, sono soprattutto tipici delle civiltà evolute, come "fuori di testa" che con pistola ammazzano compagni di scuola; è da qualche anno che si assistono suicidi anche di ragazzini/e per stress scolastico/familiare: perchè dobbiamo essere primi della classe, dobbiamo andare oltre....... ma oltre che cosa?
Noi non siamo quello che siamo, noi siamo quello che gli altri vogliono che siamo e questo è l'inizio della frantumazione della propria intimità.
Il suicidio da"malati" beh.... eutanasia attiva, passiva, indiretta.
Abbiamo paura del dolore ,della sofferenza, ma anche di chi ci circonda, di chi ci è vicino. temiamo di essere di peso, di scomodare, di incomodare e allora....togliamo il disturbo.
C'è molto da dire,...mi fermerei quì almeno per ora.
Credo che ci sia suicidio e suicido e che la morte faccia ineluttabilmente parte della vita essendone letteralmente l' atto estremo (= ultimo).
Così una vita complessivamente buona potrà concludersi più probabilmente con una morte buona e una vita complessivamente grama oppure malvagia é più probabile che si concluda con una morte grama oppure malvagia.
Ma esistono anche morti che riscattano un' intera vita mediocre e morti che rivelano la meschinità di una vita apparentemente nobile ed elevata (ovviamente in senso etico).
Sono un epicureo e credo che ciò che vale della vita sia la vita stessa (i suoi "contenuti", ciò che ci da e non la sua lunghezza); e dunque che il suicidio in generale (e in particolare il suicidio i più possibile indolore per porre termine al dolore (= l' eutanasia) sia un diritto individuale sacrosanto.
E inoltre, del tutto contro l' ideologia dominante de facto in Occidente (che non é per me la religione cristiana nè alcun altra religione ma il "mercantilismo egocentrico consumistico", per così dire; che é proprio anche di tantissimi credenti e che le religioni tendono a integrare in se stesse senza troppe difficoltà) credo nel senso del limite; e in particolare del limite alla qualità e alla quantità (durata) della vita: "morte" non é il contrario di "vita" bensì di "nascita" ed entrambe sono parti integranti (le "estremità") della vita (contrario di "vita" é casomai "non vita" o "mineralità").
Dunque la morte di per sè non é un male (noto en passant che nemmeno per il buon Francesco la era "sorella morte corporale"; che peraltro la intendeva come un "passaggio della vita" e non come la morte vera e propria, che negava) se la vita é un bene (é solo un male relativo nell' ambito di un bene assoluto); ed é a maggior ragione un bene relativo se la vita de facto é complessivamente un male; e sarebbe invece un male assoluto se la vita fosse (per assurdo, secondo me, ammesso e non concesso da parte mia) complessivamente un male: da qui il diritto al suicidio.
Naturalmente, come ogni diritto, ha i suoi limiti ed é da integrarsi e armonizzarsi al meglio possibile con altri diritti anche relativamente contrastanti (per esempio quelli di congiunti e soprattutto figli, verso i quali si é in debito avendoli generati senza poter chiedere il loro consenso (un padre che lasciasse i figli senza sostentamento non sarebbe moralmente giustificabile nel suicidarsi -ricorrere all' eutanasia- dal dolore e dalla paura che comporterebbe il sottoporsi a terapie pesanti necessarie per sperare di guarire da una grave malattia).
Il suicidio non è giudicabile in maniera univoca, ma essendo solitamente un mezzo per raggiungere un fine va giudicato sulla base del fine che si propone di raggiungere. Molto spesso il suicidio è un atto nobile, quando viene compiuto per ragioni che si ritengono superiori alla conservazione della propria vita; è il caso ad esempio delle spie che si suicidano per evitare di fornire informazioni al nemico che potrebbero danneggiare il proprio paese o di quelli sconfitti in guerra che lo fanno per non essere schiavizzati dai vincitori. Poi vi è il suicidio di coloro che ritengono di aver compiuto il proprio dovere in questa vita e di non aver null'altro da offrire per cui si congedano dall'esistenza salvaguardando la propria dignità e la propria eredità (è il caso ad esempio di Seneca ma anche di molti pensatori e monaci orientali che però, più che suicidarsi con un atto violento, più semplicemente si lasciano morire). Vi è poi il caso dei kamikaze per cui il suicidio è solo un danno collaterale se rapportato allo scopo del proprio atto: il kamikaze utilizza il proprio corpo per compiere un atto di guerra e immolandosi consapevolmente garantisce una maggiore precisione (dato che è controllata direttamente dall'intelligenza umana) nel raggiungimento dell'obiettivo da colpire; dunque anche in questo caso non si può che parlare di un atto coraggioso e financo eroico. Il suicidio non giustificabile è quello meramente egoistico, quello compiuto perchè non si è raggiunto un obiettivo di soddisfazione personale, quello compiuto a seguito di una delusione d'amore, o a seguito di una perdita al gioco o nella finanza, o in seguito alla vergogna di essere stati scoperti a compiere azioni riprovevoli (penso ai corrotti del tempo di "mani pulite"), quello del gay che si suicida perchè il classe lo chiamano "checca", o quello che lo fa in seguito ad atti di bullismo in rete. Tutti costoro sono semplicemente dei vili che non hanno il coraggio delle proprie azioni, dei propri comportamenti, non hanno il coraggio di essere quello che sono e di affrontare la vita che come sappiamo è fatta di momenti entusiasmanti ma anche drammatici e di grande sofferenza, e vorrebbero circoscriverla solo ai primi come un ipotetico ciclista che è disponibile a fare delle gare a patto che lo facciano correre solo in discesa. Il nostro mondo è pieno di aspiranti suicidi, e se chi si suicida per queste ragioni compie l'estrema, vigliacca, fuga dalla vita e dal mondo che ognuno vorrebbe che fosse fatto a sua misura, quelli che ancora non l'hanno fatto è perchè la loro vita è costellata di tante, spregevoli e meschine piccole fughe: dalla fatica, dalla sofferenza, dalla vecchiaia, dalle responsabilità, dal giudizio degli altri; quando non si riesce più a fuggire da queste cose allora non resta che fuggire da se stessi, in maniera definitiva. Ma se in questo tipo di suicidi si può ritrovare un momento, quello in cui l'atto viene compiuto, in cui una persona reperisce dentro di sé una certa forza d'animo e raccoglie tutte le energie per sopperire con un atto di forza alla sua estrema debolezza che se non la riscatta la rende comunque meno indegna, in quello "assistito" si rifiuta anche di assumersi la responsabilità di questo atto, e si vuol delegarla ad altri. Costoro più che parlare di "dignità" della morte dovrebbero più correttamente parlare al contrario della sua indegnità, che si appone come il sigillo conclusivo di una vita che essendo stata totalmente basata su una soddisfazione egoica che il "mondo" (o il destino, o la sorte, o qualunque istituzione, a piacere) ha in qualche modo tradito è risultata essere parimenti indegna.
Grazie per le risposte molto interessanti.
Dunque il suicidio nel suo complesso non sarebbe da condannare, dipende dalla sua finalità.
E la vita e la morte non sarebbero entrambi da temere, anche se a me verrebbe da dire che sia più la prima che non la seconda.
La religione cattolica mi sembra invece che non dia alcuna possibilità o "riscatto" al suicidio,condannandolo senza appello ... quali sarebbero i motivi?
mi ha colpito una frase che ha scritto balyham in un altro post ma che se veniva riportata a quest'argomento non credo sia da considerare fuori luogo...
"Se la vita è un dono (?) il dono può essere sgradito a chi lo riceve."
penso semplicemente che sia una considerazione che lascia molti interrogativi ancora aperti...
Citazione di: acquario69 il 01 Marzo 2017, 13:03:47 PM
Grazie per le risposte molto interessanti.
Dunque il suicidio nel suo complesso non sarebbe da condannare, dipende dalla sua finalità.
E la vita e la morte non sarebbero entrambi da temere, anche se a me verrebbe da dire che sia più la prima che non la seconda.
La religione cattolica mi sembra invece che non dia alcuna possibilità o "riscatto" al suicidio,condannandolo senza appello ... quali sarebbero i motivi?
mi ha colpito una frase che ha scritto balyham in un altro post ma che se veniva riportata a quest'argomento non credo sia da considerare fuori luogo...
"Se la vita è un dono (?) il dono può essere sgradito a chi lo riceve."
penso semplicemente che sia una considerazione che lascia molti interrogativi ancora aperti...
Per comprendere se il suicidio, nelle varie forme, sia lecito oppure no, dobbiamo chiederci se l'uomo ha il diritto o meno di distruggere il proprio corpo.
La regola di base è che noi possiamo distruggere solo ciò che noi stessi abbiamo creato.
Questo vale anche per le cose di nostra proprietà ma create da altri. Esempio le banconote, i beni patrimonio dell'umanità ecc..
Il corpo non è stato creato da noi quindi non abbiamo il diritto di distruggerlo. Possiamo anche dire che non è neanche nostra proprietà perché quando ci viene tolto non possiamo opporci.
Per i cristiani è detto: Non ammazzare, non avete il potere di fare bianco o nero un solo capello, voi siete il tempio di Dio e chi distruggerà questo tempio sarà distrutto senza pietà ecc..
Possiamo allora concludere che non abbiamo il diritto di suicidarci.
Il Signore Dio conosce la sofferenza e il dolore di chi arriva alla conclusione che è meglio cercare speranza nella morte, ma non pone fine alla sofferenza perché l'uomo che Lui stesso ha creato e che ben conosce si ravvede solo con il dolore e la sofferenza.
Non possiamo giudicare chi sceglie la morte, ma se Lui non interviene viene da pensare che stia purificando il sofferente.
E' facile parlare dal difuori ma una cosa è certa: Il tempo del dolore, largamente causato dalla non accettazione del dolore stesso, sarebbe preferibile alla sofferenza eterna!!!!
Purtroppo quando l'uomo perde il Signore Dio dal suo cuore, nomina "dio" se stesso, così si convince di avere non solo il potere di decidere quando morire, ma addirittura pensa di avere, come in questo tempo, anche il potere di decidere se far nascere un bimbo oppure no.
Vedi fecondazioni assistite, utero in affitto e fabbriche dei bambini che consistono nel ricreare l'ambiente del seno materno artificialmente!!!
La vita è un dono, ma non è vero che può non essere gradito perché essa è sempre gradita a chi ha un raggio della vita stessa.
La vita non è gradita solo alla morte quando la morte stessa dimora nell'uomo.
Vita uguale Signore Dio, morte uguale satana.
In ogni caso fino a quando il Signore Dio ci lascia nel corpo vuol dire che non siamo pronti, anticiparando la nostra dipartita vuol dire presentarsi a Lui impreparati.
Conviene?
Prima di rispondere occorre sapere cosa vuol dire presentarsi a Lui impreparati.
Giuseppe
PS
Se al suicidio abbiniamo anche la cremazione commettiamo peccato mortale su peccato mortale.
Una cosa che mi ha colpito dell'attuale discorso sul suicidio del Dj è la riflessione di Cappato sul fatto che mentre le sue argomentazioni in difesa del diritto alla buona morte erano di tipo spirituale, quelle del Cardinale con il quale si confrontava erano argomentazioni prettamente materiali. In effetti l'idea di una morte data dal fatto che si pensa di vivere una vita indegna, inaccettabile (e la ragione è sempre questa) presuppone una superiorità dell'idea di vita rispetto alla vita stessa.
Nello stesso tempo, però, non si può dire che le posizioni della Chiesa siano strettamente materiali, per la Chiesa la vita, anche se dicono che è un dono, in realtà è un dovere, per cui se ne devono accettare le conseguenze.
Credo che il punto nodale della questione sia nel rapporto tra il concetto di amore e il concetto di morte. Una sostenitrice del dovere di vivere sosteneva che amare e dare, o accettare, la morte è incompatibile. Si tratta di un'idea che non condivido, se l'amore supera la morte allora non deve essere condizionato da questa. Amare vuol dire volere la felicità dell'altro, se io faccio di tutto per trattenerlo a me vicino in realtà esprimo un possesso non l'amore. Se l'altro vivendo soffre, allora posso accettare che se ne vada per la sua felicità (Magari perché credo in un'aldilà).
Dal punto di vista del sofferente, che vive la coscienza della sofferenza di chi si sacrifica per dedicarsi a lui, la scelta di morire è anch'essa dettata da una logica di amore, dal desiderio di non gravare più sull'altro, di lasciarlo libero di vivere una sua vita.
Citazione di: anthonyi il 01 Marzo 2017, 14:48:48 PM
Una cosa che mi ha colpito dell'attuale discorso sul suicidio del Dj è la riflessione di Cappato sul fatto che mentre le sue argomentazioni in difesa del diritto alla buona morte erano di tipo spirituale, quelle del Cardinale con il quale si confrontava erano argomentazioni prettamente materiali. In effetti l'idea di una morte data dal fatto che si pensa di vivere una vita indegna, inaccettabile (e la ragione è sempre questa) presuppone una superiorità dell'idea di vita rispetto alla vita stessa.
Nello stesso tempo, però, non si può dire che le posizioni della Chiesa siano strettamente materiali, per la Chiesa la vita, anche se dicono che è un dono, in realtà è un dovere, per cui se ne devono accettare le conseguenze.
Credo che il punto nodale della questione sia nel rapporto tra il concetto di amore e il concetto di morte. Una sostenitrice del dovere di vivere sosteneva che amare e dare, o accettare, la morte è incompatibile. Si tratta di un'idea che non condivido, se l'amore supera la morte allora non deve essere condizionato da questa. Amare vuol dire volere la felicità dell'altro, se io faccio di tutto per trattenerlo a me vicino in realtà esprimo un possesso non l'amore. Se l'altro vivendo soffre, allora posso accettare che se ne vada per la sua felicità (Magari perché credo in un'aldilà).
Dal punto di vista del sofferente, che vive la coscienza della sofferenza di chi si sacrifica per dedicarsi a lui, la scelta di morire è anch'essa dettata da una logica di amore, dal desiderio di non gravare più sull'altro, di lasciarlo libero di vivere una sua vita.
Posso anche condividere, anzi lo condivido, il desiderio di morire per non pesare sull'altro, ma fra un desiderio e il diritto di realizzarlo la differenza è troppa.
Non va in ogni caso dimenticato che il peso che porta chi è vicino ad un sofferente non è una croce casuale, è anch'essa una via di purificazione. Conoscevo persone che avevano il marito o la moglie malata le quali si lamentavano continuamente, ma il giorno in cui è morto il famigliare hanno scoperto che la vita senza quel sacrificio non aveva senso e sono morti anche loro dopo poco.
Accettare o non accettare che l'altro se ne vada è pur sempre porsi come giudice mentre noi abbiamo il dovere di fidarci di chi ha detto che non cade un capello dalla nostra testa senza la Sua volontà.
Dobbiamo anche essere consapevoli che la morte del corpo non è la fine di tutto, ma solo l'inizio.
Non siamo carne.
Donquixote,
c' é molto di vero e di giusto, secondo me, in quanto scrivi, ma anche un eccesso di "durezza d'animo", secondo me.
Concordo che esistono suicidi che sono l' indegno, coerente epilogo di una vita indegna (per esempio quello di Raoul Gardini; ovviamente osannatissimo in vita e poi ben presto ignorato in morte dai giornalisti-leccaculi incalliti, come tutte le persone più spregevoli).
Ma in linea di massima sospenderei il giudizio sul suicidio di persone oneste che non sono riuscite a uscire dal dolore e dall' infelicità e hanno perso la speranza di riuscirci.
Avendo una vita fortunata, non credo di essere in diritto di giudicare costoro in quanto non ho dovuto affrontare le prove che la vita ha imposto loro, che mi é difficilissimo se non impossibile anche solo immaginare; e dunque non sarei affatto sicuro che saprei superarle a mia volta se le dovessi incontrare; sarebbe come se, durante una guerra di guerriglia o un' esperienza cospirativa (come é stata ad esempio la resistenza antinazifascista) mi permettessi di giudicare un compagno catturato, torturato e che non avesse saputo resistere alla tortura dando importanti in formazioni al nemico: soltanto se io stesso fossi stato catturato, torturato e avessi saputo resistere alla tortura mi sentirei in diritto di condannarlo.
Ma io non voglio condannare nessuno, mi limito solo a sottolineare che certi comportamenti sono indice di debolezza e viltà, la qual cosa fa parte della natura umana al pari di tante altre peculiarità, e se non empatizzo tendenzialmente con nessuno allo stesso modo non disprezzo e non colpevolizzo nessuno; ognuno è quello che è, il debole in quanto debole e il forte in quanto forte, e come diceva Don Abbondio se uno il coraggio non ce l'ha non se lo può dare. Non so se sia "durezza d'animo" affermare che il suicidio è molto spesso un atto di debolezza e una vile fuga, ma se la è non è certo la mia ma della realtà, che evidentemente ha l'animo duro e non guarda in faccia a nessuno. Una cosa però disprezzo profondamente: la truffa semantica che si tende sempre a compiere ribaltando la realtà e chiamando debole il forte e forte il debole; chiamando "degna" una morte che è invece il suo opposto; chiamando "coraggio" e addirittura "eroismo" il comportamento di chi sfugge alle proprie responsabilità e addirittura da se stesso. Se sono "duro d'animo" non lo sono certo con i protagonisti più o meno inconsapevoli di queste tragedie (che se son deboli lo sono e basta, e non certo per colpa mia) ma con coloro che speculano intorno a questi avvenimenti e li strumentalizzano ai propri fini che non sono mai nobili (l'unica cosa nobile in questi casi sarebbe un pietoso silenzio), e facendosi scudo della parola "dignità" accumulano invece indegnità ad altra indegnità .
** scritto da anthonyi:
CitazioneCredo che il punto nodale della questione sia nel rapporto tra il concetto di amore e il concetto di morte.
Esatto, concetti purtroppo personalissimi, ecco perché ribadisco, da cattolico, che se Dio contiene la sua onnipotenza innanzi alla scelta umana (altrimenti ci avrebbe costituiti "completamente" come sue marionette), l'unica cosa che può fare, chi stabilisce il fondamento di quei concetti sull'onnipotenza di Dio, è avvisare, esortare, mettere in guardia che la pratica del suicidio e della eutanasia non è cosa buna e giusta, innanzi a qualsivoglia ipotetica argomentazione umana possibile, e non bloccare il libero arbitrio con cavilli e giurisprudenze.
Senza la piena adesione volontaria in risposta all'azione di grazie divina, non è vero amore, molto meno se quell'adesione è fatta adempiere per imposizione.
Solo avendo messo in pratica qualsiasi azione nella più totale libertà, forse, sarà possibile essere ragioni di giudizio, perché in fondo di questo si tratta, se dopo la morte, prima che già in vita, esiste un giudizio perfetto e misericordioso.
Citazione di: donquixote il 01 Marzo 2017, 10:36:43 AM
... gay che si suicida perchè il classe lo chiamano "checca", o quello che lo fa in seguito ad atti di bullismo in rete. Tutti costoro sono semplicemente dei vili ...
Ti rendi conto della gravità di ciò che hai scritto? Secondo te quindi, tra il bullo e la sua vittima, il vile non è il bullo, ma è la vittima!
Mi sorprendo anche di come gli altri che hanno risposto abbiano lasciato passare questa gravissima offesa contro le vittime come se niente fosse.
Citazione di: donquixote il 01 Marzo 2017, 20:07:33 PM
Se sono "duro d'animo" non lo sono certo con i protagonisti più o meno inconsapevoli di queste tragedie (che se son deboli lo sono e basta, e non certo per colpa mia [ma non é affatto detto siano deboli: bisognerebbe aver superato le prove che loro hanno incontrato nella vita per avere il diritto di dirlo, N.d.R.]) ma con coloro che speculano intorno a questi avvenimenti e li strumentalizzano ai propri fini
CitazioneHai fatto bene a precisarlo, perché dall' intervento precedente e anche dalle parole di questo che precedono queste ultime non si sarebbe detto.
Angelo Cannata,
mi sorprende la tua di interpretazione su quanto scritto da Donquixote.
Signifca che se non si reagisce il debole implode fino al suicido e il bullo continuerà a perseguire i suoi fini meschini.
Non ha affatto dichiarato la meschinità del debole e la giustezza del bullo.
Condivido totalmente quanto scritto da Donquixote, e aggiungo io che troppa massa silenziosa e silente che continua a subire di fronte alle sconcertanti meschinità, perversioni di minoranze che godono nel far del male agli altri.Li si denunci alla pubblica sicurezza, cosa che infatti anche nei telegiornali viene invitata la gente a fare;.
troppi social di una mediocrità spaventosa a cominciare da Facebook ,sarà per mancanza "fisica" di un rispetto, per cui si abbassano quelle linee di responsabilità tipiche degli internauti che cazzeggiano sparando idiozie e "sputtanando" persone. Si dimentica che ogni persona vive una sua intimità e non bisogna mai ferirla, a qualunque razza. sesso, o quant'altro appartenga. C' è una profonda cattiveria .
Prova a rileggerti bene quanto ha scrito Donquixote.
La durezza è direttamente proporzionale alla sensibilità umana di una persona e francamente anch' io sono piuttosto schifato di vedere troppe persone abituate a subire, a soffrire per delinquenti, teppisti, e bulli di ogni età e risma.L'origine è il clima e l'educazione familiare che ci abitua a viziare a tenere nella bambagia i ragazzi, ma fuori dalle mura familiari è la giungla del'ipocrisia, della competizione, e sta crescendo se non lo abbiamo ancora capito.
Citazione di: paul11 il 01 Marzo 2017, 21:15:01 PM
Angelo Cannata,
mi sorprende la tua di interpretazione su quanto scritto da Donquixote.
Non capovolgiamo i termini: vile è una persona che si dovrebbe vergognare dei suoi gesti di viltà. Donquixote ha definito vile il gay che si suicida. Dunque secondo lui chi si dovrebbe vergognare di ciò che fa non è il bullo, ma la vittima, il gay, il suicida.
sono un "sostenitore" della libertà individuale fintanto che il carico maggiore delle conseguenze delle scelte ricadano non su altri ma su noi stessi. Quindi la scelta di togliersi la vita la ritengo lecita nel momento in cui la prosecuzione della vita viene percepita come insensata o indegna da parte della coscienza. Questa mia posizione credo possa giovarsi di presupposti spiritualistici, o comunque relativi a una filosofia antropologica antiriduzionista, che non riduce l'uomo al corpo, alla dimensione esteriore. Infatti il principio di autodeterminazione, per cui la coscienza soggettiva che è l'unica che può legittimamente valutare la propria condizione esistenziale e le possibili future risorse di evoluzione di tale vita come vita degna d'essere vissuta, e decidere se vale la pena o no continuare, è un principio che ha come condizione imprescindibile l'irriducibilità dell'intimità, dell'interiorità verso cui rivolgere un'autocoscienza valutante, rispetto ai modi con cui la persona si rivela all'esterno, al giudizio altrui. Cioè se l'uomo si riducesse all'esteriorità, alla corporeità sarebbe lecito per un'autorità esterna, la famiglia, lo stato, la Chiesa giudicare se una vita debba continuare ad essere vissuta o meno, mentre l'idea di un mistero, di un'intimità nascosta dall'esterno è la base per riconoscere che il soggetto che più legittimamente può valutare la ragionevolezza, l'opportunità di una vita è l'individuo che vive in prima persona la vita stessa, ovviamente nel caso che il soggetto sia adulto e capace di intendere e volere con una certa lucidità. Solo io posso sapere se la mia vita è una vita degna di essere vissuta o no, perché la mia vita non coincide con le forme attraverso cui agli altri appaio. Del resto, questa motivazione è la stessa che mi porta ad essere profondamente contrario alla pena di morte, nessuno, tantomeno lo stato, può pretendere di giudicare con certezza se una persona meriti di vivere o meno, se possiede le risorse di espiare nel futuro i suoi errori. In questo senso la legittimità del suicidio è radicale conseguenza coerente con la spiritualità dell'uomo, l'uomo non si riduce alla psicofisicità, ma è spirito, coscienza, la vita non è valore assoluto e incondizionato, la sua conservazione è vincolata a condizioni che qualcosa di superiore alla vita, la razionalità, la coscienza pone, e lo pone alla luce della sua capacità riflessiva che coglie la vita con un'intensità del sentire inarrivabile rispetto a qualunque giudizio o sentire esterno, che può scorgere l'aspetto psicofisico, ma non può sentire lo spirito, il sentire dell' Io che sente se stesso dall'interno. L'uomo è l'unico animale che si suicida perché l'unico animale spirituale, cioè razionale.
Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2017, 21:37:14 PM
Citazione di: paul11 il 01 Marzo 2017, 21:15:01 PMAngelo Cannata, mi sorprende la tua di interpretazione su quanto scritto da Donquixote.
Non capovolgiamo i termini: vile è una persona che si dovrebbe vergognare dei suoi gesti di viltà. Donquixote ha definito vile il gay che si suicida. Dunque secondo lui chi si dovrebbe vergognare di ciò che fa non è il bullo, ma la vittima, il gay, il suicida.
Quante volte nella vita ci siamo trovati nella situazione familiare, sul lavoro, a scuola, fra amici, che di fronte a un atto, a delle parole che troviamo personalmente ingiuste e ci feriscono siamo rimasti inermi.
Poi ci arrovelliamo in noi stessi su quello che avremmo dovuto fare o dire, ma è troppo tardi.
Non è viltà vera e propria perchè la viltà è chi ferisce l'intimità altrui fregandosene dell'intimità altrui, ma anzi godendosene con cattiveria.
Ma chi subisce si sente svilito e lo è tanto più si vergogna se hanno partecipato al fatto amici, compagni di scuola, colleghi di lavoro,ecc.
Dobbiamo sapere che le organizzazioni umane civilizzate hanno sublimato la violenza, non lo hanno affatto tolta, lo hanno spostata dalla scazzottata fisica, alla soverchia, all'abuso, alle parole che feriscono: il livello di sofferenza non è mutata, anzi forse è aumentata perchè si soffre più intimamente non riuscendo reagire esternamente.
Sappiamo ognuno per ogni proprio vissuto che soffocare le emozioni è chiudere la comunicazioni e noi cerchiamo amore, affetto, comprensione,non siamo fatti di relazioni e se perdiamo le relazioni il mondo scoppia dentro di noi.
Per questo ho scritto altrove che prima di tutto è un dramma, un dramma profondamente umano prima di arrivare al gesto di annichilirsi, di una bomba atomica esplosa in noi.
E adatto che quell'intimità è individuale, non c'è legislazione, non c'è umano che possa entrare nei reconditi abissi di noi stessi, il gesto è ingiudicabile.
Nell'ipocrisia sociale gli atti sono rappresentazioni spesso rovesciate. Il tacere è consenso se non assenso, l'urlare e il prevaricare è forza, il mite e l'onesto, il buono sono sacrificati sull'altare del furbo,dell'astuto, del doppiogiochista.quindi questo è un mondo che premia nonostante l'attribuzione di civiltà ancora la cattiveria, chi offende, non chi subisce e tanto più si tace si subisce e tanto più la cattiveria diventa impunità a perseguire i suoi atti.
Insomma alla fine è il buono che patisce, che subisce, che soffre fin quando riesce a sopportare.
Citazione di: paul11 il 01 Marzo 2017, 22:38:04 PM
Insomma alla fine è il buono che patisce
E noi in questo forum vogliamo sancire questo?
Citazione di: davintro il 01 Marzo 2017, 22:09:45 PM
sono un "sostenitore" della libertà individuale fintanto che il carico maggiore delle conseguenze delle scelte ricadano non su altri ma su noi stessi. Quindi la scelta di togliersi la vita la ritengo lecita nel momento in cui la prosecuzione della vita viene percepita come insensata o indegna da parte della coscienza.
Già!
IL problema è stabilire se veramente abbiamo o no il diritto di scegliere e oltretutto se sappiamo a quali conseguenze andiamo incontro.
Come cristiano dico che non abbiamo questo diritto perché andiamo incontro all'inferno che, al contrario della sofferenza per un tempo tutto sommato abbastanza breve, dura per l'eterno.
Questo non riguarda solo chi si suicida ma anche quelli che pensano sia un diritto cercare la speranza nella morte.
Per meglio spiegarmi, sto dicendo che la dimensione psicospirituale di chi approva e giustifica il suicidio è la stessa e identica di chi si suicida.
Le ragioni, che altro non sono che giustificazioni, non fanno altro che aggravare la situazione.
Se il Signore Dio - padrone assoluto della nostra vita e del nostro corpo - ritenesse che sia cosa buona morire subito, provvederebbe Lui stesso a porre fine alle sofferenze dei malati, ma non lo fa.
Perché?
Citazione di: davintro il 01 Marzo 2017, 22:09:45 PM
sono un "sostenitore" della libertà individuale fintanto che il carico maggiore delle conseguenze delle scelte ricadano non su altri ma su noi stessi. Quindi la scelta di togliersi la vita la ritengo lecita nel momento in cui la prosecuzione della vita viene percepita come insensata o indegna da parte della coscienza. Questa mia posizione credo possa giovarsi di presupposti spiritualistici, o comunque relativi a una filosofia antropologica antiriduzionista, che non riduce l'uomo al corpo, alla dimensione esteriore. Infatti il principio di autodeterminazione, per cui la coscienza soggettiva che è l'unica che può legittimamente valutare la propria condizione esistenziale e le possibili future risorse di evoluzione di tale vita come vita degna d'essere vissuta, e decidere se vale la pena o no continuare, è un principio che ha come condizione imprescindibile l'irriducibilità dell'intimità, dell'interiorità verso cui rivolgere un'autocoscienza valutante, rispetto ai modi con cui la persona si rivela all'esterno, al giudizio altrui. Cioè se l'uomo si riducesse all'esteriorità, alla corporeità sarebbe lecito per un'autorità esterna, la famiglia, lo stato, la Chiesa giudicare se una vita debba continuare ad essere vissuta o meno, mentre l'idea di un mistero, di un'intimità nascosta dall'esterno è la base per riconoscere che il soggetto che più legittimamente può valutare la ragionevolezza, l'opportunità di una vita è l'individuo che vive in prima persona la vita stessa, ovviamente nel caso che il soggetto sia adulto e capace di intendere e volere con una certa lucidità. Solo io posso sapere se la mia vita è una vita degna di essere vissuta o no, perché la mia vita non coincide con le forme attraverso cui agli altri appaio. Del resto, questa motivazione è la stessa che mi porta ad essere profondamente contrario alla pena di morte, nessuno, tantomeno lo stato, può pretendere di giudicare con certezza se una persona meriti di vivere o meno, se possiede le risorse di espiare nel futuro i suoi errori. In questo senso la legittimità del suicidio è radicale conseguenza coerente con la spiritualità dell'uomo, l'uomo non si riduce alla psicofisicità, ma è spirito, coscienza, la vita non è valore assoluto e incondizionato, la sua conservazione è vincolata a condizioni che qualcosa di superiore alla vita, la razionalità, la coscienza pone, e lo pone alla luce della sua capacità riflessiva che coglie la vita con un'intensità del sentire inarrivabile rispetto a qualunque giudizio o sentire esterno, che può scorgere l'aspetto psicofisico, ma non può sentire lo spirito, il sentire dell' Io che sente se stesso dall'interno. L'uomo è l'unico animale che si suicida perché l'unico animale spirituale, cioè razionale.
Prendo spunto dal tuo intervento.
Dal punto di vista razionale ,se la coscienza implode è perchè non sa più relazionare l'induttivo al deduttivo, il problema è nell'agente conoscitivo.
Il suicidio dal punto di vista squisitamente razionale è irrazionale, ma lo è anche contro natura proprio perchè gli animali che non conoscono il linguaggio razionale non si suicidano.
Allora significa che l'uomo può essere sia razionale che irrazionale,che le sue qualità possono veicolarsi in direzioni opposte.
Il dramma umano non appartiene più solo alla forma logica/razionale, quì c'è sentimento, psiche, spirito(per chi ci crede).
Ciò che rende a mio modesto parere il gesto del suicidio ingiudicabile dentro un criterio di verità razionale è proprio la diversità o se si vuole la commistione di più linguaggi, il concetto logico, l'emozione sentimentale , la pulsione psichica, il moto spirituale.
Già in sè la nascita e la morte sono un mistero per molti versi e il suicidio è lo stupore del mistero, è l'essere che nega la sua esistenza.
Sono d'accordo, chi può ergersi sopra il mistero della vita e legiferare su di essa: un uomo, lo Stato?
Chi arriva fino agli abissi dell'anima, dell'intimità individuale se nessuno di noi arriva alla propria per poter giudicare l'altrui?
L'esistenza è la condizione dell'Essere affinchè si manifesti.Forse non è il valore assoluto, ma è come il tempo, la condizione affinchè esista una modalità delle forme.
grazie per gli spunti
Mi sembra di poter dire (ed aver capito) che:
- il suicidio (a parte casi limiti) e' un atto ingiustificato nel momento in cui riguarderebbe il proprio "piccolo io"
- che vivere si collega ad un atto di responsabilità
pero mi sento pure di aggiungere (forse a torto, non saprei)
e cioè' che le cose non mi pare vadano proprio in questa direzione, mi sembra anzi che dal momento che uno nasce ci si ritrova in un ambiente "esterno" che si configura esattamente al contrario.
..che supporta e fortifica quasi esclusivamente quel piccolo io di cui sopra..che non "educa" o non ha affatto una cultura al senso di responsabilità, ma anche al senso stesso dell'esistenza, visto che anziché essere indirizzati al nostro interno, veniamo stimolati ed anche in maniera incessante e direi pure brutale al nostro esterno.
forse sarà' pure il caso di tenerne in debito conto..
Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2017, 21:37:14 PM
Non capovolgiamo i termini: vile è una persona che si dovrebbe vergognare dei suoi gesti di viltà. Donquixote ha definito vile il gay che si suicida. Dunque secondo lui chi si dovrebbe vergognare di ciò che fa non è il bullo, ma la vittima, il gay, il suicida.
secondo me quello che dici porta a fare molta confusione.La persona vile credo che sia colui che non ha il coraggio di essere se stesso..quindi se il gay (che sarebbe molto più corretto dire omosessuale o lesbica) sente di essere se stesso in quel modo allora non se lo può nascondere o vergognarsi...perché negherebbe se stesso(Poi ci sarebbe da chiedersi, anche solo per ipotesi,se il suo sentirsi se stesso in quel modo sia effettivamente corrispondente alla sua vera natura,e se e' in grado davvero di riconoscerlo o se non sia magari solo influenzato da altri fattori a lui esterni ma non interni)
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 07:47:06 AM
... se il gay (che sarebbe molto più corretto dire omosessuale o lesbica) sente di essere se stesso in quel modo allora non se lo può nascondere o vergognarsi...perché negherebbe se stesso
Qui la questione non è se il gay si sente o non si sente se stesso: qui la questione è che il gay vittima di soprusi è stato dichiarato vile, quindi persona che dovrebbe vergognarsi delle sue azioni. Che si senta o non si senta se stesso, in ogni caso è stato dichiarato vile. Ti rendi conto che in questo modo, invece di condannare l'atto di bullismo si sta condannando chi ne è vittima? Vile significa persona spregevole a causa del suo comportamento e qui si sta dicendo che spregevole non è l'arrogante che offende il debole, ma il debole: proprio siccome il debole non resiste più al sopruso, non ce la fa, si scoraggia, non trova più le forze di ancorarsi alla vita, lo svuotano della sua forza di reagire, lo calpestano, ecco che la persona spregevole è lui che si sta facendo calpestare! Ti rendi conto che in questo modo stai decidendo di fare anche tu il bullo insieme al bullo, piuttosto che metterti dalla parte del debole e prendere le difese della vittima?
Citazione di: giona2068 il 01 Marzo 2017, 23:13:10 PM
Citazione di: davintro il 01 Marzo 2017, 22:09:45 PM
sono un "sostenitore" della libertà individuale fintanto che il carico maggiore delle conseguenze delle scelte ricadano non su altri ma su noi stessi. Quindi la scelta di togliersi la vita la ritengo lecita nel momento in cui la prosecuzione della vita viene percepita come insensata o indegna da parte della coscienza.
Se il Signore Dio - padrone assoluto della nostra vita e del nostro corpo - ritenesse che sia cosa buona morire subito, provvederebbe Lui stesso a porre fine alle sofferenze dei malati, ma non lo fa.
Perché?
CitazioneUna risposta sensata a questo "perché?" dovrebbe trovarla il credente (chi crede che il SIgnore Dio sia padrone assoluto della nostra vita e del nostro corpo ed essendo buono -infinitamente- provvederebbe Lui stesso a porre fine alle sofferenze dei malati ma non lo fa).
Perché senza una risposta credibille e coerente con il creduto é razionale cessare di crederlo.
Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2017, 08:03:29 AM
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 07:47:06 AM
... se il gay (che sarebbe molto più corretto dire omosessuale o lesbica) sente di essere se stesso in quel modo allora non se lo può nascondere o vergognarsi...perché negherebbe se stesso
Qui la questione non è se il gay si sente o non si sente se stesso: qui la questione è che il gay vittima di soprusi è stato dichiarato vile, quindi persona che dovrebbe vergognarsi delle sue azioni. Che si senta o non si senta se stesso, in ogni caso è stato dichiarato vile. Ti rendi conto che in questo modo, invece di condannare l'atto di bullismo si sta condannando chi ne è vittima? Vile significa persona spregevole a causa del suo comportamento e qui si sta dicendo che spregevole non è l'arrogante che offende il debole, ma il debole: proprio siccome il debole non resiste più al sopruso, non ce la fa, si scoraggia, non trova più le forze di ancorarsi alla vita, lo svuotano della sua forza di reagire, lo calpestano, ecco che la persona spregevole è lui che si sta facendo calpestare! Ti rendi conto che in questo modo stai decidendo di fare anche tu il bullo insieme al bullo, piuttosto che metterti dalla parte del debole e prendere le difese della vittima
ma io sto proprio prendendo le difese della vittima,poiche nel caso come lo descrivi tu sopra e' proprio lui a farsi vittima di se stesso.E tornando al tema suicidio nei casi di bullismo credo proprio che alla radice vi sia questo vittimismo di fondo
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 05:06:46 AM
Mi sembra di poter dire (ed aver capito) che:
- il suicidio (a parte casi limiti) e' un atto ingiustificato nel momento in cui riguarderebbe il proprio "piccolo io"
- che vivere si collega ad un atto di responsabilità
pero mi sento pure di aggiungere (forse a torto, non saprei)
e cioè' che le cose non mi pare vadano proprio in questa direzione, mi sembra anzi che dal momento che uno nasce ci si ritrova in un ambiente "esterno" che si configura esattamente al contrario.
..che supporta e fortifica quasi esclusivamente quel piccolo io di cui sopra..che non "educa" o non ha affatto una cultura al senso di responsabilità, ma anche al senso stesso dell'esistenza, visto che anziché essere indirizzati al nostro interno, veniamo stimolati ed anche in maniera incessante e direi pure brutale al nostro esterno.
forse sarà' pure il caso di tenerne in debito conto..
Sono d'accordo quell'essere gettati nel mondo, sentirsi in un mondo diverso da sè è il grande problema. è la madre del problema esistenziale. Che senso ha, ci domandiamo?
Ma è proprio l'interpretazione di mondo rispetto all'essere che esiste, chi lo interpreta come un inferno chi lo interpreta come una prova o altro ancora: Fuggire o aggredire il mondo? Questo mondo chi premia: il buono o il cattivo, il giusto o l'ingiusto?
Cosa ognuno di noi può fare o non fare.
Sondo domande che ci toccano nonostante noi siamo quì a prescindere dalla nostra volontà?
Ma è il come noi relazioniamo mondo-noi stessi che andiamo poi a cercare segni e significazioni, e quì emergono tutte le contraddizioni nostre e culturali.
Noi nutriamo il corpo fisico, ma anche spirito sentimento, psiche in questo mondo, ne abbiamo necessità.
Se il nutrimento fisico è condizione della natura, il nutrimento dell'anima, psiche di amore e affetti è la relazione che atteggia e motiva l'uomo a fare o non fare, ad essere attivo o passivo e questo mondo appartiene a noi come cultura come istituti, come enti astratti umani dentro le organizzazioni sociali di famiglia, scuola ,lavoro, polis e civites.
Un uomo non si uccide per mancanza di cibo o acqua, semmai ne è ucciso; ma l'uomo si infrange dentro le relazioni culturali-sociali.
Qual'è la "regola del gioco"del mondo? l'Interpretazione segna il modo in cui l'essere esiste o decide implodendo di non più esistere nel suicidio.
...e per ora basta così....
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 08:21:48 AM
ma io sto proprio prendendo le difese della vittima,poiche nel caso come lo descrivi tu sopra e' proprio lui a farsi vittima di se stesso.
E tornando al tema suicidio nei casi di bullismo credo proprio che alla radice vi sia questo vittimismo di fondo
Se dici che il gay è vittima di se stesso stai dicendo che l'oppressore non è il bullo, l'arrogante che lo calpesta: l'oppressore è il gay che si suicida, colpevole di vittimismo. Quindi stai assolvendo con formula piena il bullo e stai condannando la vittima!
E dici che in questo modo stai prendendo le difese della vittima?
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 08:19:26 AMUna risposta sensata a questo "perché?" dovrebbe trovarla il credente (chi crede che il SIgnore Dio sia padrone assoluto della nostra vita e del nostro corpo ed essendo buono -infinitamente- provvederebbe Lui stesso a porre fine alle sofferenze dei malati ma non lo fa). Perché senza una risposta credibille e coerente con il creduto é razionale cessare di crederlo.
Si dimentica troppo spesso che Dio (o se si vuole la Natura) provvede sempre a por fine alla sofferenza insopportabile degli esseri che crea, tanto è vero che non esistono malattie che se lasciate decorrere naturalmente provocano dolori insopportabili e prolungati nel tempo. Questi dolori e questa sofferenza sono di breve durata e poi si concludono con la morte. Solo l'intervento dell'uomo con le sue tecniche e i suoi macchinari può prolungare la sofferenza, a volte indefinitamente, e dunque non ha senso colpevolizzare chi colpe non ne ha. Che poi anche i "credenti" ritengano che i macchinari e le tecniche che tengono artificialmente in vita le persone siano un "dono della Provvidenza" è una allucinazione che riguarda la loro coscienza e il loro modo di valutare la realtà.
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 05:06:46 AMMi sembra di poter dire (ed aver capito) che: - il suicidio (a parte casi limiti) e' un atto ingiustificato nel momento in cui riguarderebbe il proprio "piccolo io" - che vivere si collega ad un atto di responsabilità pero mi sento pure di aggiungere (forse a torto, non saprei) e cioè' che le cose non mi pare vadano proprio in questa direzione, mi sembra anzi che dal momento che uno nasce ci si ritrova in un ambiente "esterno" che si configura esattamente al contrario. ..che supporta e fortifica quasi esclusivamente quel piccolo io di cui sopra..che non "educa" o non ha affatto una cultura al senso di responsabilità, ma anche al senso stesso dell'esistenza, visto che anziché essere indirizzati al nostro interno, veniamo stimolati ed anche in maniera incessante e direi pure brutale al nostro esterno. forse sarà' pure il caso di tenerne in debito conto..
Indubbiamente l'ambiente esterno influisce, come ha sempre influenzato chiunque in tutti i tempi, ma se si accorda troppa importanza alle influenze ambientali si rischia che queste diventini facili alibi per qualunque comportamento e qualunque atteggiamento. Se non si può modificare l'ambiente si può però agire su se stessi, e la responsabilità nei confronti di sé è la prima cosa da insegnare ai bambini e praticare da grandi. Poi l'azione di ognuno su se stesso potrà anche, col tempo, modificare l'ambiente umano nel suo complesso, ma dare la colpa a questo per ciò che ci accade è profondamente ipocrita; è un po' come colui che fuma 60 sigarette al giorno per decine di anni e se gli viene il cancro fa causa per danni alla ditta che fabbrica le sigarette.
Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2017, 08:27:50 AM
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 08:21:48 AM
ma io sto proprio prendendo le difese della vittima,poiche nel caso come lo descrivi tu sopra e' proprio lui a farsi vittima di se stesso.
E tornando al tema suicidio nei casi di bullismo credo proprio che alla radice vi sia questo vittimismo di fondo
Se dici che il gay è vittima di se stesso stai dicendo che l'oppressore non è il bullo, l'arrogante che lo calpesta: l'oppressore è il gay che si suicida, colpevole di vittimismo. Quindi stai assolvendo con formula piena il bullo e stai condannando la vittima!
E dici che in questo modo stai prendendo le difese della vittima?
Non sto prendendo le parti del bullo e non lo sto affatto assolvendo, sto solo dicendo che tutto può avere inizio solo da chi si fa vittima di se stesso...il carnefice e' tale solo in corrispondenza di una vittima che gli permette di essere un carnefice
Citazione di: donquixote il 02 Marzo 2017, 09:03:28 AM
Indubbiamente l'ambiente esterno influisce, come ha sempre influenzato chiunque in tutti i tempi, ma se si accorda troppa importanza alle influenze ambientali si rischia che queste diventini facili alibi per qualunque comportamento e qualunque atteggiamento. Se non si può modificare l'ambiente si può però agire su se stessi, e la responsabilità nei confronti di sé è la prima cosa da insegnare ai bambini e praticare da grandi. Poi l'azione di ognuno su se stesso potrà anche, col tempo, modificare l'ambiente umano nel suo complesso, ma dare la colpa a questo per ciò che ci accade è profondamente ipocrita; è un po' come colui che fuma 60 sigarette al giorno per decine di anni e se gli viene il cancro fa causa per danni alla ditta che fabbrica le sigarette.
Non volevo dare una giustificazione o pretendere un "alibi" ma più semplicemente considerare che l'ambiente che ci circonda non facilita certo le cose...e credo fermamente che quelli che stiamo vivendo siano i peggiori mai avuti in tal senso
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 10:55:46 AMNon volevo dare una giustificazione o pretendere un "alibi" ma più semplicemente considerare che l'ambiente che ci circonda non facilita certo le cose...e credo fermamente che quelli che stiamo vivendo siano i peggiori mai avuti in tal senso
Credo che per "peggiori" tu intenda i "tempi", visto che in quella frase manca il soggetto, ma se da questo punto di vista è per me fin troppo ovvio concordare con te, paradossalmente il fatto di vivere in questi tempi dovrebbe, per coloro che ne sono consapevoli, aumentare ancora di più il senso di responsabilità nei confronti di se stessi per non lasciarsi trascinare nel gorgo del mondo che affonda, vivendo una vita senza alcuno scopo e alcuna direzione sballottati da venti che tirano alternativamente in tutte le direzioni e che terminerà, indipendentemente dal modo in cui lo farà, in un mare di vittimismo, rancore e rimpianto.
Gandhi diceva: "sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo!", e se una persona non può cambiare questo mondo può però agire su se stessa e "prendere in mano" la sua vita senza metterla nelle mani di altri che ovviamente saranno, come lui, più attenti alle proprie esigenze che a quelle altrui. Un vecchio e saggio proverbio diceva: "ognuno per sé e Dio per tutti", e tutti quelli che pretendono di far dipendere la propria felicità e il proprio benessere dagli "altri" (le istituzioni, gli amici, i parenti, i datori di lavoro, i fidanzati, lo stato o chiunque altro) e dalla loro approvazione alle scelte di vita che fanno non potranno che andare incontro a cocenti delusioni che, per i più deboli, potranno anche avere conseguenze drammatiche.
Citazione di: donquixote il 02 Marzo 2017, 08:49:10 AM
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 08:19:26 AMUna risposta sensata a questo "perché?" dovrebbe trovarla il credente (chi crede che il SIgnore Dio sia padrone assoluto della nostra vita e del nostro corpo ed essendo buono -infinitamente- provvederebbe Lui stesso a porre fine alle sofferenze dei malati ma non lo fa). Perché senza una risposta credibille e coerente con il creduto é razionale cessare di crederlo.
Si dimentica troppo spesso che, tanto è vero che non esistono malattie che se lasciate decorrere naturalmente provocano dolori insopportabili e prolungati nel tempo. Questi dolori e questa sofferenza sono di breve durata e poi si concludono con la morte. Solo l'intervento dell'uomo con le sue tecniche e i suoi macchinari può prolungare la sofferenza, a volte indefinitamente, e dunque non ha senso colpevolizzare chi colpe non ne ha. Che poi anche i "credenti" ritengano che i macchinari e le tecniche che tengono artificialmente in vita le persone siano un "dono della Provvidenza" è una allucinazione che riguarda la loro coscienza e il loro modo di valutare la realtà.
CitazioneDio (o se si vuole la Natura) provvede sempre a por fine alla vota di chiunque, felice o infelice che sia, del tutto indifferentemente al suo stato di soddisfazione o meno; ma purtroppo talora lo fa dopo lunghissime, insopportabili sofferenze anche senza artificiali interventi per prolungare l' orrenda sopravvivenza in siffatte condizioni.
Per questo l' eutanasia, esattamente come l' impiego delle cure ragionevolmente considerabili più efficaci per sopravvivere comunque il più a lungo possibile se lo si preferisce, é un diritto personale (e se lo stato non lo garantisce, allora é uno stato barbaro e incivile).
Applicare al suicidio discutibili criteri di coraggio o viltà mi sembra fuori luogo, in molti casi della cronaca recente profondamente ingiusto, se non oltraggioso. Forse ho fatto altrettanto discutendo di convenienza economica, ma mi riferivo al compito della politica, non al suicida, di legalizzare l'eutanasia e il suicidio assistito.
I criteri per definire ciò che è coraggioso e ciò che è vile sono molto relativi, spesso il coraggio e la viltà vanno a braccetto nello stesso gesto. Il superuomo non mi appare umanamente ideale.
I motivi del suicidio sono individuali, diversi. Se è perduto ciò che dà senso, valore alla vita, il suicidio è una possibile, dignitosa reazione a qualcosa di irreparabile, il riconoscimento di un limite. Perciò il suicidio può essere una forma estrema di espressione della libertà o della schiavitù, dell'amore oppure dell'odio. Comunque il suicidio è una possibilità che la vita stessa ci dà, una via d'uscita percorribile.
Soffrire per uno scopo desiderato, esempio prendere un farmaco o fare un'operazione dolorosa per curare la malattia, è razionale, normale. Nei casi in cui si soffre per morire o vive per soffrire il suicidio è una scelta altrettanto dignitosa e razionale per tutti. In questi casi legalizzare l'eutanasia, il suicidio assistito per una buona morte è giusto.
Condivido la riflessione sopra (#23) di Angelo Cannata.
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:27:44 PMDio (o se si vuole la Natura) provvede sempre a por fine alla vota di chiunque, felice o infelice che sia, del tutto indifferentemente al suo stato di soddisfazione o meno; ma purtroppo talora lo fa dopo lunghissime, insopportabili sofferenze anche senza artificiali interventi per prolungare l' orrenda sopravvivenza in siffatte condizioni.
Dato che sei un medico dovresti poter fare qualche esempio di sofferenze fisiche insopportabili che durano mesi o addirittura anni. A me risulta che il dolore fisico, raggiunto e superato il livello di sopportazione come nei malati terminali, senza intervento medico porta alla perdita dei sensi e alla morte in brevissimo tempo. Se invece si parla di sofferenze psicologiche è un altro discorso perchè queste possono sussistere anche in un corpo perfettamente sano, e la medicalizzazione della vita che, come nel caso del dj in questione o in quello di tanti altri, con artifizi tecnici fa sopravvivere la gente in quelle condizioni, contribuisce certamente ad aumentarle.
Citazione di: donquixote il 02 Marzo 2017, 17:55:46 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:27:44 PMDio (o se si vuole la Natura) provvede sempre a por fine alla vota di chiunque, felice o infelice che sia, del tutto indifferentemente al suo stato di soddisfazione o meno; ma purtroppo talora lo fa dopo lunghissime, insopportabili sofferenze anche senza artificiali interventi per prolungare l' orrenda sopravvivenza in siffatte condizioni.
Dato che sei un medico dovresti poter fare qualche esempio di sofferenze fisiche insopportabili che durano mesi o addirittura anni. A me risulta che il dolore fisico, raggiunto e superato il livello di sopportazione come nei malati terminali, senza intervento medico porta alla perdita dei sensi e alla morte in brevissimo tempo. Se invece si parla di sofferenze psicologiche è un altro discorso perchè queste possono sussistere anche in un corpo perfettamente sano, e la medicalizzazione della vita che, come nel caso del dj in questione o in quello di tanti altri, con artifizi tecnici fa sopravvivere la gente in quelle condizioni, contribuisce certamente ad aumentarle.
Che il livello di sofferenza sia elevato o ridotto, di durata prolungata o ridotta nel tempo, superante o meno la soglia di sopportazione resta sempre un giudizio mai assoluto ma relativo, relativo alla sensibilità soggettiva della persona. Chi stabilisce la soglia discreta oltre cui un certo livello (e quale livello di intensità?), andrebbe considerato eccessivamente prolungato? Una settimana, un mese, un anno? La questione etica fondamentale in questo contesto mi pare riguardi il valore della sofferenza: la sofferenza nobilita l'uomo? Possiede una sua nobiltà intrinseca? La mia personale risposta è: assolutamente no. La sofferenza non ha nulla di nobile, è un male e dunque va il più possibile ridotta. Il che non vuol dire che non sia lecito sopportarla in certi casi, ma mai come valore in sé, ma come "male necessario", o meglio negativo effetto collaterale di un bene maggiore che ripaga (con gli interessi) tale negatività. Certamente la ricerca di ciò che nella vita ci rende felici, "benestanti" in senso fisico-psichico, comporta fare dei sacrifici, sicuramente l'atleta che si prefigge l'obiettivo di vincere la medaglia d'oro alle olimpiadi mette in conto lo sperimentare la sofferenza, la fatica degli allenamenti, ma non pone la sofferenza come valore in sé, ma come un costo necessario per ricavare qualcosa di più grande, la soddisfazione della futura eventuale vittoria. Ogni nostra decisione, la decisione di un essere razionale, porta sempre con sé un aspetto di economicità, calcolo dei costi e benefici, agire sempre in modo che il benessere che ragionevolmente ritengo di avere la possibilità di raggiungere sia maggiore della sofferenza che ora sopporto per raggiungerlo, ed è inevitabile che tale calcolo non possa che essere svolto dalla libertà riflessiva del soggetto che soppesa il valore delle cose, e decide di sacrificare un bene minore per un bene maggiore, e lo soppesa perché è in nome della sua sensibilità morale che attribuisce alle cose un valore. Nel caso in cui il soggetto si rende conto che la sofferenza che prova ha raggiunto un livello o una ineluttabilità tale da non poter essere più accettata e sopportata come costo strumentale per un bene maggiore, ma diviene condizione definitiva ed escludente beni più grandi di essa, allora non vi è nulla di irrazionale nel desiderio di annullare la sofferenza rinunciando a una vita che quella sofferenza non potrebbe più ripagare
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 10:52:20 AM
Non sto prendendo le parti del bullo e non lo sto affatto assolvendo, sto solo dicendo che tutto può avere inizio solo da chi si fa vittima di se stesso...il carnefice e' tale solo in corrispondenza di una vittima che gli permette di essere un carnefice
Cosa cambia? Hai messo carnefice al posto di bullo per confermare la tua idea che causa di origine e causa finale della violenza è
solo la vittima. Mi piace quell'aver scritto per due volte la parola "solo": non sia mai che a qualcuno possa venire il sospetto che anche il carnefice potrebbe avere qualche responsabilità.
Citazione di: davintro il 02 Marzo 2017, 19:22:57 PMla sofferenza nobilita l'uomo? Possiede una sua nobiltà intrinseca? La mia personale risposta è: assolutamente no. La sofferenza non ha nulla di nobile, è un male e dunque va il più possibile ridotta. Il che non vuol dire che non sia lecito sopportarla in certi casi, ma mai come valore in sé, ma come "male necessario", o meglio negativo effetto collaterale di un bene maggiore che ripaga (con gli interessi) tale negatività. Certamente la ricerca di ciò che nella vita ci rende felici, "benestanti" in senso fisico-psichico, comporta fare dei sacrifici, sicuramente l'atleta che si prefigge l'obiettivo di vincere la medaglia d'oro alle olimpiadi mette in conto lo sperimentare la sofferenza, la fatica degli allenamenti, ma non pone la sofferenza come valore in sé, ma come un costo necessario per ricavare qualcosa di più grande, la soddisfazione della futura eventuale vittoria. Ogni nostra decisione, la decisione di un essere razionale, porta sempre con sé un aspetto di economicità, calcolo dei costi e benefici, agire sempre in modo che il benessere che ragionevolmente ritengo di avere la possibilità di raggiungere sia maggiore della sofferenza che ora sopporto per raggiungerlo, ed è inevitabile che tale calcolo non possa che essere svolto dalla libertà riflessiva del soggetto che soppesa il valore delle cose, e decide di sacrificare un bene minore per un bene maggiore, e lo soppesa perché è in nome della sua sensibilità morale che attribuisce alle cose un valore. Nel caso in cui il soggetto si rende conto che la sofferenza che prova ha raggiunto un livello o una ineluttabilità tale da non poter essere più accettata e sopportata come costo strumentale per un bene maggiore, ma diviene condizione definitiva ed escludente beni più grandi di essa, allora non vi è nulla di irrazionale nel desiderio di annullare la sofferenza rinunciando a una vita che quella sofferenza non potrebbe più ripagare
Praticamente hai enunciato la ricetta della perfetta infelicità, e il mondo moderno lo mostra quotidianamente. Da un lato abbiamo coloro che anelano all'american dream (che potrebbe essere la medaglia d'oro alle olimpiadi): questi sono disponibili a sopportare un certo livello di sofferenza a fronte di una gioia maggiore da conseguire in futuro realizzando il proprio "sogno": ma quanti sono quelli che effettivamente raggiungono l' "american dream" raccontato nei romanzi e nei film? Quante sono le "Cenerentole" che sposano il Principe Azzurro? E tutti gli altri che hanno sofferto inutilmente?
Dall'altro lato abbiamo coloro che non hanno alcun sogno da raggiungere e si acconterebbero di evitare qualunque forma di sofferenza: che vita sarebbe la loro? Soli sotto una campana di vetro asettica?
Il tentativo di evitare ogni tipo di sofferenza avrà come risultato solamente l'abbassamento della soglia di sopportazione della medesima, conducendo gli uomini a soffrire di più anzichè di meno.
Citazione di: donquixote il 02 Marzo 2017, 17:55:46 PM
Citazione di: sgiombo il 02 Marzo 2017, 16:27:44 PMDio (o se si vuole la Natura) provvede sempre a por fine alla vota di chiunque, felice o infelice che sia, del tutto indifferentemente al suo stato di soddisfazione o meno; ma purtroppo talora lo fa dopo lunghissime, insopportabili sofferenze anche senza artificiali interventi per prolungare l' orrenda sopravvivenza in siffatte condizioni.
Dato che sei un medico dovresti poter fare qualche esempio di sofferenze fisiche insopportabili che durano mesi o addirittura anni. A me risulta che il dolore fisico, raggiunto e superato il livello di sopportazione come nei malati terminali, senza intervento medico porta alla perdita dei sensi e alla morte in brevissimo tempo. Se invece si parla di sofferenze psicologiche è un altro discorso perchè queste possono sussistere anche in un corpo perfettamente sano, e la medicalizzazione della vita che, come nel caso del dj in questione o in quello di tanti altri, con artifizi tecnici fa sopravvivere la gente in quelle condizioni, contribuisce certamente ad aumentarle.
CitazioneA parte il fatto che il dolore morale non é meno terribile di quello fisico (e non é solitamente legato a condizioni fisiche tali da portare rapidamente a morte in assenza di cure) e che spesso si determina un perverso circolo vizioso fra i due che si potenziano reciprocamente, sono tantissime le malattie somatiche che, senza intervento medico (e in certi casi anche malgrado questo) possono far soffrire e talora di fatto fanno soffrire terribilmente per anni o decenni (fra le prime che mi vengono in mente: lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide e tante altre connettiviti sistemiche, sclerosi multipla, displasie muscolari, leucemie "acute" e "croniche", le più svariate neoplasie specialmente se con -fra l' altro- metastasi ossee, che a volte consentono sopravvivenze senza cure particolari per mesi e anni, lebbra...).
Senza contare che non esiste una "durata breve o lunga in assoluto": il tempo é relativo.
Infine, anche negli ancor più numerosi casi in cui in cui sofferenze atroci sono ragionevolmente prevedibili durare "soltanto" -sic!- per giorni o settimane o mesi (senza cure mediche; che fra l' altro spesso le alleviano almeno in qualche misura) non vedo perché chi desidera porvi fine prima debba sopportarli per il sollazzo sadico del Sacro Collegio (in questo degno successore dei Torquemada della Santa Inquisizione).
Un amico, alla domanda riguardante l'eutanasia, mi ha riferito la sua personale esperienza in occasione della morte della madre, arrivata all'ultimo stadio e ormai in coma.
Si consultò col dottore sull'eventualità di intervenire con una dose elevata di morfina per lenirne le sofferenze.
Tali sofferenze il corpo le mostrava ben evidenti... ma non la mente, dato lo stato di coma.
Forse, a quel punto, era un problema che toccava più i familiari che l'interessata.
Il dottore rispose che con quasi certezza la somministrazione della sostanza avrebbe comportato il collasso dell'organismo in brevissimo tempo.
Il figlio (mio amico) nel guardare la madre si chiese se quel poco tempo ormai rimastole da trascorrere su questo mondo non facesse parte della storia di quella donna.
Per quanto straziante non ritenne di doverglielo accorciare.
La donna morì dopo sette ore.
Quest'altra che racconto è un'esperienza da me vissuta, riguarda un'anziana che dopo lunga malattia e sofferenza andò in coma profondo.
Si trovava in ospedale, ormai questione di ore, attorniata dai figli e dal loro dolore... psicologicamente più grande del proprio.
A causa della flebile e difficile respirazione un figlio ottenne le fosse messa una maschera d'ossigeno... che la donna (da tempo non reagiva neppure alla stretta della mano) tra lo stupore dei presenti si strappò dal volto...
... contemporaneamente, in uno spazio attiguo un'altra anziana pure in fin di vita rivolta a qualcosa che vedeva solo lei imprecava a squarciagola di andar via...
Argomenti difficili, non ne sappiamo abbastanza e ogni esperienza è diversa dall'altra.
Citazione di: donquixote il 02 Marzo 2017, 20:48:17 PM
Citazione di: davintro il 02 Marzo 2017, 19:22:57 PMla sofferenza nobilita l'uomo? Possiede una sua nobiltà intrinseca? La mia personale risposta è: assolutamente no. La sofferenza non ha nulla di nobile, è un male e dunque va il più possibile ridotta. Il che non vuol dire che non sia lecito sopportarla in certi casi, ma mai come valore in sé, ma come "male necessario", o meglio negativo effetto collaterale di un bene maggiore che ripaga (con gli interessi) tale negatività. Certamente la ricerca di ciò che nella vita ci rende felici, "benestanti" in senso fisico-psichico, comporta fare dei sacrifici, sicuramente l'atleta che si prefigge l'obiettivo di vincere la medaglia d'oro alle olimpiadi mette in conto lo sperimentare la sofferenza, la fatica degli allenamenti, ma non pone la sofferenza come valore in sé, ma come un costo necessario per ricavare qualcosa di più grande, la soddisfazione della futura eventuale vittoria. Ogni nostra decisione, la decisione di un essere razionale, porta sempre con sé un aspetto di economicità, calcolo dei costi e benefici, agire sempre in modo che il benessere che ragionevolmente ritengo di avere la possibilità di raggiungere sia maggiore della sofferenza che ora sopporto per raggiungerlo, ed è inevitabile che tale calcolo non possa che essere svolto dalla libertà riflessiva del soggetto che soppesa il valore delle cose, e decide di sacrificare un bene minore per un bene maggiore, e lo soppesa perché è in nome della sua sensibilità morale che attribuisce alle cose un valore. Nel caso in cui il soggetto si rende conto che la sofferenza che prova ha raggiunto un livello o una ineluttabilità tale da non poter essere più accettata e sopportata come costo strumentale per un bene maggiore, ma diviene condizione definitiva ed escludente beni più grandi di essa, allora non vi è nulla di irrazionale nel desiderio di annullare la sofferenza rinunciando a una vita che quella sofferenza non potrebbe più ripagare
Praticamente hai enunciato la ricetta della perfetta infelicità, e il mondo moderno lo mostra quotidianamente. Da un lato abbiamo coloro che anelano all'american dream (che potrebbe essere la medaglia d'oro alle olimpiadi): questi sono disponibili a sopportare un certo livello di sofferenza a fronte di una gioia maggiore da conseguire in futuro realizzando il proprio "sogno": ma quanti sono quelli che effettivamente raggiungono l' "american dream" raccontato nei romanzi e nei film? Quante sono le "Cenerentole" che sposano il Principe Azzurro? E tutti gli altri che hanno sofferto inutilmente? Dall'altro lato abbiamo coloro che non hanno alcun sogno da raggiungere e si acconterebbero di evitare qualunque forma di sofferenza: che vita sarebbe la loro? Soli sotto una campana di vetro asettica? Il tentativo di evitare ogni tipo di sofferenza avrà come risultato solamente l'abbassamento della soglia di sopportazione della medesima, conducendo gli uomini a soffrire di più anzichè di meno.
l'esempio dell'atleta sportivo era solo un esempio, ciascuno di noi ha delle ambizioni più o meno difficili da raggiungere, diciamo delle condizioni a cui vincolare il loro benessere. Per qualcuno può essere successi nello sport, per altri negli studi, altri nel commercio, nell'industria, in famiglia. Per pochi che ce la fanno molti restano sconfitti e illusi... possibile, ma se uno parte rassegnato in partenza certamente si preclude la possibilità minima di successo, mentre se si mette alla prova può comunque coltivare le sue speranze. Senza poi contare (peccato che si vada fuori topic perché la questione si fa interessante...) che al di là del risultato finale che si raggiunge nel momento in cui ci si impegna in un ambito che rappresenta bene le nostre inclinazioni e passioni si prova piacere nello svolgere un'attività che risulta piacevole. Così chi ama il calcio può divertirsi nel corso della partita anche se poi viene sconfitto, lo studente pur non raggiungendo la laurea può trarre piacere dall'atto di studiare, seppur non coronato dal riconoscimento ufficiale finale. In ogni caso l'apatia assoluta, la mancanza di obiettivi mi pare una prospettiva poco ragionevole e opportuna. Come poco ragionevole, seppur comprensibile, l'idea della sofferenza come necessario passaggio per non "rammollirsi" ed abbassare la soglia della sopportazione. Poco ragionevole alla luce del principio dell'incertezza del futuro. Cercando di evitare, entro i limiti che indicavo prima, la sofferenza si raggiunge un certo benessere nella sofferenza nel presente, col rischio (non la certezza però) poi di soffrire maggiormente nel futuro, mentre chi ricerca la sofferenza per "fortificarsi" vive male nel presente, mentre non è detto che poi possa riscattarsi in seguito, dato che poi potrebbero accadere eventi così terribili da superare la soglia di sopportazione seppure divenuta alta, finendo così nel vivere una vita nel complesso dolorosa e quasi mai felice. Insomma, nell'incertezza di ciò che può accadere nel futuro, trovo più convincente la strategia esistenziale di mettere al sicuro il benessere del presente, poi si vedrà
Citazione di: davintro il 02 Marzo 2017, 21:56:31 PMCercando di evitare, entro i limiti che indicavo prima, la sofferenza si raggiunge un certo benessere nella sofferenza nel presente, col rischio (non la certezza però) poi di soffrire maggiormente nel futuro, mentre chi ricerca la sofferenza per "fortificarsi" vive male nel presente, mentre non è detto che poi possa riscattarsi in seguito, dato che poi potrebbero accadere eventi così terribili da superare la soglia di sopportazione seppure divenuta alta, finendo così nel vivere una vita nel complesso dolorosa e quasi mai felice. Insomma, nell'incertezza di ciò che può accadere nel futuro, trovo più convincente la strategia esistenziale di mettere al sicuro il benessere del presente, poi si vedrà
Guarda che io non ho mai detto che bisogna "ricercare" la sofferenza. Questa capita quando capita, e se uno è in grado di affrontarla ne uscirà fortificato, e questa forza lo seguirà per il resto dei suoi giorni. Chi invece si impegna ad evitarla vivrà sempre col timore della sofferenza (che arriva senza preavviso) e questa paura non potrà che aumentare la sensazione di sofferenza anche quando questa non è effettivamente presente, ovvero quando non accadono episodi che la provochino. Tutto questo indipendentemente dai progetti che qualcuno può fare per il futuro, ma va sottolineato che più speranze si ripongono nel futuro e più alto è il rischio di rimanere delusi e convincersi quindi di aver "buttato via" la propria vita.
Citazione di: Jean il 02 Marzo 2017, 21:46:34 PMUn amico, alla domanda riguardante l'eutanasia, mi ha riferito la sua personale esperienza in occasione della morte della madre, arrivata all'ultimo stadio e ormai in coma. Si consultò col dottore sull'eventualità di intervenire con una dose elevata di morfina per lenirne le sofferenze. Tali sofferenze il corpo le mostrava ben evidenti... ma non la mente, dato lo stato di coma. Forse, a quel punto, era un problema che toccava più i familiari che l'interessata. Il dottore rispose che con quasi certezza la somministrazione della sostanza avrebbe comportato il collasso dell'organismo in brevissimo tempo. Il figlio (mio amico) nel guardare la madre si chiese se quel poco tempo ormai rimastole da trascorrere su questo mondo non facesse parte della storia di quella donna. Per quanto straziante non ritenne di doverglielo accorciare. La donna morì dopo sette ore. Quest'altra che racconto è un'esperienza da me vissuta, riguarda un'anziana che dopo lunga malattia e sofferenza andò in coma profondo. Si trovava in ospedale, ormai questione di ore, attorniata dai figli e dal loro dolore... psicologicamente più grande del proprio. A causa della flebile e difficile respirazione un figlio ottenne le fosse messa una maschera d'ossigeno... che la donna (da tempo non reagiva neppure alla stretta della mano) tra lo stupore dei presenti si strappò dal volto... ... contemporaneamente, in uno spazio attiguo un'altra anziana pure in fin di vita rivolta a qualcosa che vedeva solo lei imprecava a squarciagola di andar via... Argomenti difficili, non ne sappiamo abbastanza e ogni esperienza è diversa dall'altra.
Se si volesse delimitare la questione del suicidio a quello "assistito" nei più vari casi e per i più vari motivi si potrebbe dire che nella quasi totalità delle situazioni il suicidio assistito è una forzatura necessaria per porre rimedio ad un'altra forzatura che è stata posta in essere in precedenza. E due torti di segno opposto non fanno una ragione e neppure si elidono a vicenda, ma rimangono sempre due torti.
Citazione di: Angelo Cannata il 02 Marzo 2017, 19:40:53 PM
Citazione di: acquario69 il 02 Marzo 2017, 10:52:20 AM
Non sto prendendo le parti del bullo e non lo sto affatto assolvendo, sto solo dicendo che tutto può avere inizio solo da chi si fa vittima di se stesso...il carnefice e' tale solo in corrispondenza di una vittima che gli permette di essere un carnefice
Cosa cambia? Hai messo carnefice al posto di bullo per confermare la tua idea che causa di origine e causa finale della violenza è solo la vittima. Mi piace quell'aver scritto per due volte la parola "solo": non sia mai che a qualcuno possa venire il sospetto che anche il carnefice potrebbe avere qualche responsabilità.
Cosi pero mi sembra che ne fai solo una questione di lana caprina.E se non avessi inserito quei due "solo" il senso sarebbe forse cambiato?Facciamo una prova ora lo scrivo privato di quei "solo";Non sto prendendo le parti del bullo e non lo sto affatto assolvendo, sto solo dicendo che tutto può avere inizio da chi si fa vittima di se stesso...il carnefice e' tale in corrispondenza di una vittima che gli permette di essere un carnefice.Il discorso inoltre non andrebbe spezzettato ogni volta perché poi si perdono le tracce e dell'argomento rimangono solo frammenti che lo fanno perdere di vista.l'argomento di riferimento e' il suicidio, quindi a un certo punto sono venute in ballo le vittime del bullismo che si suicidano...poi più in particolare del rapporto tra vittima e carnefice.Nell'ultima parte faccio notare di aver comunque detto che non sto prendendo le parti del bullo e che non lo sto assolvendo,(quindi significa pure che non avrei comunque negato un suo coinvolgimento)e su questo non mi pare che lo avresti preso in considerazione ma ti saresti piuttosto concentrato su quei "solo".Per ritornare più in tema,il punto d'inizio tra vittima e carnefice non e' il carnefice ma la vittima...(al di la e prima ancora della divisione tra "colpevoli" e "innocenti")Come mai ad esempio i bulli si concentrano solo su alcune persone e non su altre?...evidentemente perché queste si sentono già vittime da loro stessi.Pero credo anche che andrebbero considerati altri fattori, che sarebbero a mio avviso ancora più a monte e che ne scaturiscono e favoriscono all'origine le stesse dinamiche di cui sopra.E cioè sul fatto che i "valori" che ci sono in circolazione anziché attenuare o indirizzare al meglio certi comportamenti, al contrario li alimenta e alla fine sia il carnefice che la vittima nei casi di bullismo, sono in realtà entrambe vittime dello stesso sistema a cui fa riferimento e a quei stessi "valori" che incarna.Quello che secondo me e che in effetti viene proprio a mancare e' una cultura alla responsabilità, mentre succede che viene sollecitata al contrario quella dell'irresponsabilità o del "piccolo io",o dell'IO separato..dove ognuno poi anziché guardarsi dentro per trovare le risposte adeguate o le cause stesse, si proietta "fuori" (deresponsabilizzandolo) e non riesce che a contestualizzare le cose solo in ragione della sua esclusività e solo dal suo unico punto di vista (e in tali casi -cioe ormai quasi la totalità' - si diventa tutti vittime)Quindi quello che rimane e' una società smembrata,debole già in partenza e in perenne lotta competitiva l'uno contro l'altro. Una societa' suicida.
Citazione di: acquario69 il 03 Marzo 2017, 01:45:39 AM
Per ritornare più in tema,il punto d'inizio tra vittima e carnefice non e' il carnefice ma la vittima...(al di la e prima ancora della divisione tra "colpevoli" e "innocenti")
Come mai ad esempio i bulli si concentrano solo su alcune persone e non su altre?...evidentemente perché queste si sentono già vittime da loro stessi.
Questo non è altro che il punto di vista del bullo. Il tuo ragionamento evidenzia che tu, tra i vari punti di vista, preferisci far tuo quello del bullo. In questo senso hai ragione: se accettiamo come cosa giusta che il mondo debba essere basato sulla legge del più forte, del più arrogante, del più presuntuoso, allora il debole, l'umile, rappresenta un soggetto difettoso da eliminare. È quello che avviene, per esempio, tra i leoni e i predatori in genere: scelgono come preda i soggetti più deboli, anche perché sono più facili da cacciare. Si vede che per te va bene una società umana impostata in questo modo, una società che dice: "Sei debole? Peggio per te, non meriti di vivere, e se ti suicidi risparmi pure ad altri lo sforzo di eliminarti".
Il suicidio sociale e individuale l'ho visto:
quando, anni fa, i primi bambini giapponesi si suicidavano perchè andavano male a scuola;
quando, nelle grande ristrutturazioni industriali del primi anni Ottanta, opera si uccidevano impiccandosi nei capannoni;
quando coppie anziane lasciate sole, abbandonate e non riuscivano più l'uno ad accudire l'altro, prima uccidevano il coniuge per amore e per amore si uccidevano;
quando ho visto ragazzi nei grandi agglomerati della nostra santa civiltà andare a scuola e con pistole fare massacri;
quando ho visto bambini dimenticati nei supermercati e lungo le autostrade nelle aree di sosta;
quando ho visto i deboli non più solidarizzare ma corrompersi all'idea che bisogna essere come il loro padrone e come il loro padrone fare e individualizzarsi senza poi essere padroni di niente,ma solo numeri i;
quando ho visto le fasi del percorso della formazione del carattere e della personalità generare nevrosi e non più quella maturità che ti consente di dire, ho lasciato alle spalle l'adolescenza e oggi mi sento più maturo:
quando abbiamo perso quel rito d'iniziazione antico, quella prova che ti consentiva attraverso il sacrifico di qualcosa di te di lasciare una fase della tua vita per sentirti migliore di capire e comprendere di più il mondo e le sue regole del gioco;
quando ho visto ragazze rifarsi le "tette" a diciottanni, madri con figlie comportarsi come le figlie e padri avere la sindrome di Peter Pan del "quanto è bella giovinezza non bisogna più invecchiare";
quando quel pensiero relativista ha abbassato l'idea forte che univa e identificava i popoli, riducendo ad opinione, frammento il sociale l'atomismo, abbandonando a se stesso ogni persona, ridotta ai social nella nemesi della mediocrità morale ed intellettuale;
quando i genitori hanno smesso di educare affaccendati ad altro, hanno smesso il ruolo sociale ed educativo primario di insegnare, di iessere riferimento al percorso formativo dei figli, in primis affettivo,perchè danno ragione al figli anche quando hanno torto, non lo ascoltano e glii fanno tanti ,ma tant iregali....perchè i mondo è ridotto ad un pacco dono
Quando la vita è diventata condizione di una forza di gravità oscura: "il sentirsi di "peso".
........oggi raccogliamo i cocci di vite spezzate e questo accade tanto più una società si sente civilizzata
Citazione di: paul11 il 03 Marzo 2017, 09:21:11 AMIl suicidio sociale e individuale l'ho visto: quando, anni fa, i primi bambini giapponesi si suicidavano perchè andavano male a scuola; quando, nelle grande ristrutturazioni industriali del primi anni Ottanta, opera si uccidevano impiccandosi nei capannoni; quando coppie anziane lasciate sole, abbandonate e non riuscivano più l'uno ad accudire l'altro, prima uccidevano il coniuge per amore e per amore si uccidevano; quando ho visto ragazzi nei grandi agglomerati della nostra santa civiltà andare a scuola e con pistole fare massacri; quando ho visto bambini dimenticati nei supermercati e lungo le autostrade nelle aree di sosta; quando ho visto i deboli non più solidarizzare ma corrompersi all'idea che bisogna essere come il loro padrone e come il loro padrone fare e individualizzarsi senza poi essere padroni di niente,ma solo numeri i; quando ho visto le fasi del percorso della formazione del carattere e della personalità generare nevrosi e non più quella maturità che ti consente di dire, ho lasciato alle spalle l'adolescenza e oggi mi sento più maturo: quando abbiamo perso quel rito d'iniziazione antico, quella prova che ti consentiva attraverso il sacrifico di qualcosa di te di lasciare una fase della tua vita per sentirti migliore di capire e comprendere di più il mondo e le sue regole del gioco; quando ho visto ragazze rifarsi le "tette" a diciottanni, madri con figlie comportarsi come le figlie e padri avere la sindrome di Peter Pan del "quanto è bella giovinezza non bisogna più invecchiare"; quando quel pensiero relativista ha abbassato l'idea forte che univa e identificava i popoli, riducendo ad opinione, frammento il sociale l'atomismo, abbandonando a se stesso ogni persona, ridotta ai social nella nemesi della mediocrità morale ed intellettuale; quando i genitori hanno smesso di educare affaccendati ad altro, hanno smesso il ruolo sociale ed educativo primario di insegnare, di iessere riferimento al percorso formativo dei figli, in primis affettivo,perchè danno ragione al figli anche quando hanno torto, non lo ascoltano e glii fanno tanti ,ma tant iregali....perchè i mondo è ridotto ad un pacco dono Quando la vita è diventata condizione di una forza di gravità oscura: "il sentirsi di "peso". ........oggi raccogliamo i cocci di vite spezzate e questo accade tanto più una società si sente civilizzata
Condivido ogni parola, e se posso chiosare sul "sentirsi di peso" se prima, nella modernità, ci si poteva sentire di peso e inadeguati nei confronti di una società che riduceva le persone a numeri nella grande catena di montaggio di un "progresso" che galoppava velocemente verso la costruzione del nuovo "paradiso terrestre" ora, nella postmodernità, ci si sente di peso nei confronti di se stessi: si è operata una scissione fra ciò che si è e ciò che si è idealizzato di essere, e il "tradimento" perpetrato dalla realtà nei confronti dell'utopia personale porta a colpevolizzare la realtà stessa e a nutrire sensi di colpa verso l'utopia, condizione che spesso conduce allo sconforto e alla disperazione.
Citazione di: Angelo Cannata il 03 Marzo 2017, 07:43:35 AM
Citazione di: acquario69 il 03 Marzo 2017, 01:45:39 AM
Per ritornare più in tema,il punto d'inizio tra vittima e carnefice non e' il carnefice ma la vittima...(al di la e prima ancora della divisione tra "colpevoli" e "innocenti")
Come mai ad esempio i bulli si concentrano solo su alcune persone e non su altre?...evidentemente perché queste si sentono già vittime da loro stessi.
Questo non è altro che il punto di vista del bullo. Il tuo ragionamento evidenzia che tu, tra i vari punti di vista, preferisci far tuo quello del bullo. In questo senso hai ragione: se accettiamo come cosa giusta che il mondo debba essere basato sulla legge del più forte, del più arrogante, del più presuntuoso, allora il debole, l'umile, rappresenta un soggetto difettoso da eliminare. È quello che avviene, per esempio, tra i leoni e i predatori in genere: scelgono come preda i soggetti più deboli, anche perché sono più facili da cacciare. Si vede che per te va bene una società umana impostata in questo modo, una società che dice: "Sei debole? Peggio per te, non meriti di vivere, e se ti suicidi risparmi pure ad altri lo sforzo di eliminarti".
CitazioneHo quasi sempre dissentito da Acquario69 (e anche più da AngeloCannata; ma non in questo caso) che tuttavia mi é sempre sembrato una persona sensibile, altruista e animata da senso della giustizia.
Per questo da lui (Acquario69) non mi sarei sinceramente aspettato queste parole.
Credo che in questo caso sbagli completamente valutazione.
I bulli si concentrano nelle loro persecuzioni del prossimo su certe persone e non su altre perché oltretutto (a tutto il peggio ancora che li caratterizza) sono dei miserabili vigliacchi che temono chi potrebbe difendersi efficacemente dalle loro angherie; non hanno nemmeno quel minimo di forza d' animo che sarebbe necessaria per un pur limitato sforzo o lotta nel far del male agli altri (sono molto peggio dei leoni, cui si potrebbe forse almeno attribuire una qualche limitata -e decisamente distorta se intesi come metafora per certi tipi umani- "nobiltà", sono piuttosto simili a degli spregevoli sciacalli).
E contano sul "branco" degli indifferenti per indebolire ulteriormente le loro vittime, le quali di solito vengono a ritrovarsi così in una situazione insostenibile, a dover lottare per la propria dignità in condizioni decisamente impari (a meno che non trovino il sostegno di almeno alcuni intorno a loro che abbiano un forte senso di giustizia e di altruismo, forza d' animo; e anche coraggio, contrariamente ai bulli).
CitazioneI bulli si concentrano nelle loro persecuzioni del prossimo su certe persone e non su altre perché oltretutto (a tutto il peggio ancora che li caratterizza) sono dei miserabili vigliacchi che temono chi potrebbe difendersi efficacemente dalle loro angherie; non hanno nemmeno quel minimo di forza d' animo che sarebbe necessaria per un pur limitato sforzo o lotta nel far del male agli altri (sono molto peggio dei leoni, cui si potrebbe forse almeno attribuire una qualche limitata -e decisamente distorta se intesi come metafora per certi tipi umani- "nobiltà", sono piuttosto simili a degli spregevoli sciacalli).
E contano sul "branco" degli indifferenti per indebolire ulteriormente le loro vittime, le quali di solito vengono a ritrovarsi così in una situazione insostenibile, a dover lottare per la propria dignità in condizioni decisamente impari (a meno che non trovino il sostegno di almeno alcuni intorno a loro che abbiano un forte senso di giustizia e di altruismo, forza d' animo, coraggio).
state fraintendendo di brutto.ho provato a spiegare (inutilmente) che tra vittima e carnefice non ce in realtà nessuna differenza. sono due facce della stessa medaglia,entrambi dei deboli,entrambe vittime e lasciati soli a se stessi..provando anche in questo caso a decifrarne i motivi.Non ho altro da aggiungere.
Citazione di: acquario69 il 03 Marzo 2017, 11:36:17 AM
CitazioneI bulli si concentrano nelle loro persecuzioni del prossimo su certe persone e non su altre perché oltretutto (a tutto il peggio ancora che li caratterizza) sono dei miserabili vigliacchi che temono chi potrebbe difendersi efficacemente dalle loro angherie; non hanno nemmeno quel minimo di forza d' animo che sarebbe necessaria per un pur limitato sforzo o lotta nel far del male agli altri (sono molto peggio dei leoni, cui si potrebbe forse almeno attribuire una qualche limitata -e decisamente distorta se intesi come metafora per certi tipi umani- "nobiltà", sono piuttosto simili a degli spregevoli sciacalli).
E contano sul "branco" degli indifferenti per indebolire ulteriormente le loro vittime, le quali di solito vengono a ritrovarsi così in una situazione insostenibile, a dover lottare per la propria dignità in condizioni decisamente impari (a meno che non trovino il sostegno di almeno alcuni intorno a loro che abbiano un forte senso di giustizia e di altruismo, forza d' animo, coraggio).
state fraintendendo di brutto.
ho provato a spiegare (inutilmente) che tra vittima e carnefice non ce in realtà nessuna differenza.
sono due facce della stessa medaglia,entrambi dei deboli,entrambe vittime e lasciati soli a se stessi..provando anche in questo caso a decifrarne i motivi.
Non ho altro da aggiungere.
CitazioneNemmeno io!
Il mio dissenso non potrebbe essere più radicale, totale, assoluto, categorico ! ! !
(Concordo, una volta tanto, anzi due, anche con le precisazioni immediatamente successive di Duc in Altum!).
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneQuesto non è altro che il punto di vista del bullo.
Rafforzato,
forse, da una cultura sociale sempre più atea relativista e antimetafisica!
** scritto da sgiombo:
CitazioneI bulli si concentrano nelle loro persecuzioni del prossimo su certe persone e non su altre perché oltretutto (a tutto il peggio ancora che li caratterizza) sono dei miserabili vigliacchi che temono chi potrebbe difendersi efficacemente dalle loro angherie; non hanno nemmeno quel minimo di forza d' animo che sarebbe necessaria per un pur limitato sforzo o lotta nel far del male agli altri (sono molto peggio dei leoni, cui si potrebbe forse almeno attribuire una qualche limitata -e decisamente distorta se intesi come metafora per certi tipi umani- "nobiltà", sono piuttosto simili a degli spregevoli sciacalli).
E contano sul "branco" degli indifferenti per indebolire ulteriormente le loro vittime, le quali di solito vengono a ritrovarsi così in una situazione insostenibile, a dover lottare per la propria dignità in condizioni decisamente impari (a meno che non trovino il sostegno di almeno alcuni intorno a loro che abbiano un forte senso di giustizia e di altruismo, forza d' animo, coraggio).
Beh, io ci vedo una totale similitudine con la persecuzione del governo e del giornalismo su certe persone anziché altre, forse più meritevoli di oppressione giustizialista. Contando sul branco degli indifferenti che, in virtù della loro convenienza ottenuta soprattutto immeritevolmente, non ci pensano poi mica tanto a voltarsi dall'atra parte. Mentre le vittime devono lottare per la propria dignità in condizioni decisamente impari.
tornando al tema iniziale, la mia modesta opinione è che il suicidio (aldilà di viltà o coraggio) sia una perdita di lucidità mentale, mai da condannare, ma da averne compassione.
Che conseguenze comporta per la coscienza questo atto di violenza rivolto verso se stessi? Questa espressione di rabbia profonda verso la vita che sentiamo traditrice o insopportabile a causa del dolore?
Alla base di un gesto simile di non-accettazione c'è, a mio parere, un profondo senso di avversione, una delle più profonde radici della sofferenza. Pensiamo forse di sfuggire alla sofferenza con un atto che è nascita di ulteriore, e forse peggiore, sofferenza? Siamo proprio sicuri che la nostra vita si conclude con un semplice annichilimento, così che il darsi la morte ci metta definitivamente al riparo dal dolore? Ma ciò che nascerà non sarà segnato da questa rabbia e avversione? Non avrà come matrice un seme di grande sofferenza? La vita a volte è terribile, particolarmente dolorosa per il corpo e per l'animo, ma se il colore dell'esistenza è la sofferenza, perché siamo certi che la morte sia la fine di questa? La coscienza soffre terribilmente di questo atto di violenza verso se stessa e non potrà che generare altro dolore.
Citazione di: Sariputra il 03 Marzo 2017, 15:57:11 PM
Che conseguenze comporta per la coscienza questo atto di violenza rivolto verso se stessi? Questa espressione di rabbia profonda verso la vita che sentiamo traditrice o insopportabile a causa del dolore?
Alla base di un gesto simile di non-accettazione c'è, a mio parere, un profondo senso di avversione, una delle più profonde radici della sofferenza. Pensiamo forse di sfuggire alla sofferenza con un atto che è nascita di ulteriore, e forse peggiore, sofferenza? Siamo proprio sicuri che la nostra vita si conclude con un semplice annichilimento, così che il darsi la morte ci metta definitivamente al riparo dal dolore? Ma ciò che nascerà non sarà segnato da questa rabbia e avversione? Non avrà come matrice un seme di grande sofferenza? La vita a volte è terribile, particolarmente dolorosa per il corpo e per l'animo, ma se il colore dell'esistenza è la sofferenza, perché siamo certi che la morte sia la fine di questa? La coscienza soffre terribilmente di questo atto di violenza verso se stessa e non potrà che generare altro dolore.
CitazioneSu ciò che eventualmente potrà forse esserci (per noi che moriamo) dopo la fine della vita nulla può dirsi di certo.
Ma invece la sofferenza atroce di chi si suicida é ben certa!
"Essere o non essere, questo è il problema: se sia più nobile d'animo sopportare gli oltraggi, i sassi e i dardi dell'iniqua fortuna, o prender l'armi contro un mare di triboli e combattendo disperderli. Morire, dormire, nulla di più, e con un sonno dirsi che poniamo fine al cordoglio e alle infinite miserie naturale retaggio della carne, è soluzione da accogliere a mani giunte.
Morire, dormire, sognare forse: ma qui é l'ostacolo, quali sogni possano assalirci in quel sonno di morte quando siamo già sdipanati dal groviglio mortale, ci trattiene: é la remora questa che di tanto prolunga la vita ai nostri tormenti.
Chi vorrebbe, se no, sopportar le frustate e gli insulti del tempo, le angherie del tiranno, il disprezzo dell'uomo borioso, le angosce del respinto amore, gli indugi della legge, la tracotanza dei grandi, i calci in faccia che il merito paziente riceve dai mediocri, quando di mano propria potrebbe saldare il suo conto
con due dita di pugnale? Chi vorrebbe caricarsi di grossi fardelli imprecando e sudando sotto il peso di tutta una vita stracca, se non fosse il timore di qualche cosa, dopo la morte, la terra inesplorata donde mai non tornò alcun viaggiatore, a sgomentare la nostra volontà e
a persuaderci di sopportare i nostri mali piuttosto che correre in cerca d'altri che non conosciamo? Così ci fa vigliacchi la coscienza; così l'incarnato naturale della determinazione si scolora al cospetto del pallido pensiero. E così imprese di grande importanza e rilievo sono distratte dal loro naturale corso:
e dell'azione perdono anche il nome..."
fa dire il grandissimo poeta ad Amleto.
Il punto é proprio questo: "Forse sognare" (e un altro poeta drammatico ci dice che "la vita é sogno"!), é per questo che un aspirante suicida può esitare (per paura, mentre l' uccidersi é in realtà più coraggioso).
Ma se il suo dolore é talmente insopportabile da non poterne immaginare uno peggiore, allora l' aspirante suicida non esita, nella speranza di non reincarnarsi e rischiare di ripetere la sua dolorosa esperienza.
MI sia consentito di invitarvi a sentire questo capolavoro assoluto (difficilmente si riesce a trattenere le lacrime) di un poeta più recente, una preghiera splendida paradossalmente scritta da un non credente:
https://www.youtube.com/watch?v=F2TIJGNWHDs
Partendo dalla personale convinzione (che applico a me stesso e nessun altro) che la vita sia degna d'essere vissuta fino all'ultimo respiro e che l'istinto di sopravvivenza vada coltivato fino a boccheggiare nel fango, non vedo come si possa giudicare le scelte d'altri, ne come eroi ne come vigliacchi (strano vie di mezzo non siano comparse?, tipica reazione scaccia-demoni interiori). Quando ero piccolo al mio vicino di casa, nonno di un bimbo tetraplegico, fu diagnosticato il cancro. Decise di buttarsi dal terrazzo portando con se il nipote. Rimasero entrambi vivi. A parte un accusa di omicidio lo stato non si curò di questa persona, che poco dopo decise di farla finita tramite un intruglio di saponi e benzene. Il nipote morì dopo poco per altri motivi. La famiglia incontrò diverse traversie dopo questo accaduto, tra le quali un incidente in auto molto sospetto della figlia del nonno e madre del bimbo, che a molti parve suicidio. Se lo stato non ha alcun interesse a curare le circostanze, i contesti, le persone, eviti di rompere le palle quando le persone si decidono nell'atto estremo. Il suicidio non è l'atto di un momento, è un percorso di vita, lo stato che si interessa solamente dell'ultimo atto è evidentemente portato dalla stessa logica religiosa ed etica che non ha alcun posto in uno stato di diritto.
Citazione di: acquario69 il 01 Marzo 2017, 13:03:47 PM
Dunque il suicidio nel suo complesso non - sarebbe da condannare - , dipende dalla sua finalità.
Infatti - almeno per TUTTI i casi di suicidio ( n. 8 ) riportati e descritti nelle Scritture del Tanakh, non troverai una parola di condanna per l' atto - seppur estremo !
- 1 Sansone (Giudici 16,28 );
- 2. Saul ( 1 Samuele 31,4 );
- 3. il suo aiutante/scudiero ( 1 Samuele 31.5 );
- 4. Achitofel ( 2 Samuele 17,23 );
- 5. Zimri ( 1 Re 16,18 );
- 6. Eleazaro ( 1 Maccabei 6,43 );
- 7. Tolomeo Macrone ( 2 Maccabei 10,12 );
- 8. Razis ( 2 Maccabei 14,41 )
La stessa nota a margine della versione Cei, e relativa a 2 Macc.cap. 14 ( pag. 1060 ) riporta come:
Tale atto NON è oggetto di condanna formale. Stop.
Del resto non si potrebbe comprendere una diversa valutazione tra il suicidio di Raziz ( pur di non cadere nelle mani degli empi.. ) rispetto alla volonta' di annientamento propria (Sansone) e dei malvagi Filistei.
Lo stesso suicidio del "mitico" G. Iscariota del nascente cristianesimo ( Mt. 27.3 - Atti 1.18 ) gli autori non esprimono giudizi.. proprio perchè nessuno è "autorizzato" !
Stesso discorso per gli eroici patrioti della fortezza di Madasa ( anno 72/74 ) - pur di non cadere sotto il politeista romano.. preferirono il suicidio collettivo ! ( e comunque tale evento si verifico' ?? E' oggetto di un' accurata analisi critica.. o forse un "mito" creato ad arte ?? )
Citazione di: donquixote il 01 Marzo 2017, 10:36:43 AM
Il nostro mondo è pieno di aspiranti suicidi, e se chi si suicida per queste ragioni compie l'estrema, vigliacca, fuga dalla vita e dal mondo che ognuno vorrebbe che fosse fatto a sua misura, quelli che ancora non l'hanno fatto è perchè la loro vita è costellata di tante, spregevoli e meschine piccole fughe: dalla fatica, dalla sofferenza, dalla vecchiaia, dalle responsabilità, dal giudizio degli altri;
Ma scusa.. come puoi (tu) emettere sentenze senza "conoscere" ?
Ben riportava la massima del "Detto dei Padri":
Non essere sicuri di te stesso fino al giorno della tua morte,
soprattutto NON giudicare Nessuno senza esserti - prima - messo nei suoi panni !
- Pirke Aboth II, 4 -- -
Una nota sulla storia del pensiero. Molti studiosi ritengono che il primo testo di sociologia fu lo studio sul suicidio di Durkheim, nel quale viene proposto il nesso fra societa' moderna "anomica" (cioe' priva di leggi fondanti la coesione sociale) e il suicidio, prevalente fra i segmenti di societa' piu' individualisti e quindi anomici. La teoria di Durkheim e' stata superata a livello metodologico ma l'intuizione iniziale contiene un nucleo di realta'. Quando l'ambiente ci "rifiuta", abbiamo alcune strategie a disposizione: la lotta per affermarci, l'esilio e il rifugio in una nicchia (spesso l'arte), la malattia mentale, la dipendenza da qualcuno/qualcosa che ci riscatta dal rifiuto (puo' trattarsi di governo autoritario cosī come di eroina), il suicidio.
Piu' difficile comprendere perche' alcuni scelgono una strategia piuttosto che un altra. Mi sembra pero' piuttosto chiaro che questa societa' non educa a lottare e a resistere ma piuttosto ad essere soddisfatti con il minimo sforzo possibile, creando cosi degli abissi fra le aspettative e cio' che si puo' davvero esperire nella vita e non parlo solo di beni materiali.
In questo senso possono svilupparsi persone fragili incapaci di far fronte alle avversita'. Non le considero vili per questo. Si tratta di una devoluzione sociale e penso che Aquario intendesse qualcosa del genere.
Inoltre e concludo, vi sono anche suicidi che dipendono da traumi devastanti come quello accaduto a Primo Levi, di cui tutto si puo' dire tranne che fosse vile.
Sottotraccia pero' potrebbe esserci in qualche intervento l'idea di usare la propensione al suicidio come un criterio per distinguere i forti dai deboli secondo lo stesso meccanismo del "rifiuto" che scatena il desiderio suicidario. Direi invece che le cause sono proprio all'interno dell'ideologia moderna (che difendo ma che cerco di valutare anche criticamente, lungo la stessa tradizione critica moderna).
Citazione di: donquixote il 02 Marzo 2017, 08:49:10 AMChe poi anche i "credenti" ritengano che i macchinari e le tecniche che tengono artificialmente in vita le persone siano un "dono della Provvidenza" è una allucinazione che riguarda la loro coscienza e il loro modo di valutare la realtà.
Se, come scrivi.. perchè mai il clero catto-cristiano si è tenacemente opposto (!) nei confronti della povera Eluana ? Infatti quelle macchine funzionavano benissimo - dunque poteva vivere ad oltranza, vero ?
E poi, questi Preti.. con quale diritto, con quale autorita', CHI mai ha dato loro la facolta' per emettere sentenze.. ma chi sono ??
** scritto da sgiombo:
CitazioneMI sia consentito di invitarvi a sentire questo capolavoro assoluto (difficilmente si riesce a trattenere le lacrime) di un poeta più recente, una preghiera splendida paradossalmente scritta da un non credente:
https://www.youtube.com/watch?v=F2TIJGNWHDs
Bella, molto bella, dall'altro non si possono scoprire che nuove meraviglie con De Andrè, ma penso da cattolico, e mi scuso per fare da guastafeste (ma siamo qui per dire delle cose e non per farle credere), che non si rivolga al Dio cristiano, giacché:
"...un Gesù che sia d'accordo con tutto e con tutti, un Gesù senza la sua santa ira, senza la durezza della verità e del vero amore, non è il vero Gesù come lo mostra la Scrittura, ma una sua miserabile caricatura.Una concezione del "vangelo" dove non esista più la serietà dell'ira di Dio, non ha niente a che fare con la vangelo biblico. Un vero perdono è qualcosa del tutto diverso da un debole "lasciar correre...". S.E. Ratzinger
la questione circa il fatto che il suicidio sia un atto di vigliaccheria o di coraggio, di debolezza o di forza credo sia fuori luogo, sia dal punto di vista politico, che da quello più propriamente morale. Dal punto di vista politico, dato che non viviamo, per fortuna, in uno stato etico, che legifera in nome di personali giudizi morali, ma che dovrebbe (dovrebbe, in teoria) limitarsi a rispettare il pluralismo dei punti di vista etici, intervenendo a sanzionare le azioni che procurano concreti danni ad altri, considerando il suicidio come atto rivolto contro il soggetto stesso e non contro altri, dunque non suscettibile di pena. Dal punto di vista morale personalmente non considero il coraggio e la forza come una virtù a sé stante. La forza è qualcosa che si può orientare verso un'azione buona o malvagia, la cui qualità morale deriva dall'intenzione, dal fine a cui l'azione tende. Se la forza fosse di per sé qualcosa di positivo qualunque evento storico, che è sempre il risultato di una forza che si impone contro una tendenza contraria più debole, dovrebbe considerato bene, accettando in modo acritico come moralmente giusta la legge del più forte. Il rispetto della libertà delle persone credo debba comprendere anche il rispetto del diritto di essere deboli, di aver paura, di non voler soffrire oltre un certo limite, in nome del differente grado e orientamento della sensibilità che contraddistingue l'unicità di ciascuno
Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2017, 20:37:29 PM
Citazione di: donquixote il 01 Marzo 2017, 10:36:43 AM
... gay che si suicida perchè il classe lo chiamano "checca", o quello che lo fa in seguito ad atti di bullismo in rete. Tutti costoro sono semplicemente dei vili ...
Ti rendi conto della gravità di ciò che hai scritto? Secondo te quindi, tra il bullo e la sua vittima, il vile non è il bullo, ma è la vittima!
È noto che se un uomo manifesta paura e debolezza davanti a un cane questo diventa aggressivo, quindi un tempo si insegnava ai bambini a mostrare per primi aggressività di fronte a un cane sconosciuto per evitare di essere aggrediti. Questo insegnamento vale anche per gli uomini, e un vecchio saggio diceva che "Se il codardo corresse contro i nemici con la rapidità che li fugge, li spaventerebbe". Un tempo si insegnava ai bambini che iniziavano la scuola e venivano canzonati dai compagni perché magari erano sovrappeso, o portavano gli occhiali, o erano effeminati a farsi rispettare o quantomeno a non farsi condizionare dallo scherno e dalla derisione altrui facendo leva sul suo orgoglio e sulle qualità che gli altri non possedevano. Si insegnava a non mostrarsi mai fragili in pubblico, a non far trasparire le proprie sensibilità e le proprie debolezze perché gli altri ne avrebbero potuto approfittare a proprio vantaggio, dato che sapevano bene che "il mondo è cattivo". Insegnavano loro ad affrontare la vita per quello che è, e non per quello che loro magari pensavano che fosse nei loro sogni di bambini immersi nelle favole e nei cartoni animati. E questi insegnamenti venivano spesso dalla pratica, dall'impegno di chi era più debole e sensibile a reagire alle angherie dei compagni e trovare dentro di sé la forza per non farsi ferire da quelle che in fin dei conti erano solo ragazzate. Quando un ragazzo tornava a casa e diceva al padre che i suoi compagni lo prendevano in giro quest'ultimo non andava certo a scuola a parlare coi professori per lamentarsi (a meno che non si trattasse di episodi molto gravi) ma era il primo ad accusare il figlio di vigliaccheria per essersi lasciato "mettere i piedi in testa" da ragazzi della sua stessa età. Dai primi anni di scuola (o addirittura di asilo), quando si usciva dalla gabbia protettiva dei genitori per i quali ogni figlio è il più bello, il più bravo e il più intelligente del mondo, si imparava a forgiare il proprio carattere e a trovare il proprio posto nel mondo attraverso il rapporto con persone mai viste prima, e ognuno all'interno di una comunità com'era quella scolastica cercava di mostrare le proprie peculiarità e se magari non era "leader" in qualche attività sportiva lo era nello studio della matematica oppure nella conquista delle ragazzine. Si creavano così naturalmente delle gerarchie nei vari ambiti in cui ognuno era rispettato per quello che era, e se qualcuno scherniva qualcun altro perché era arrivato ultimo alla corsa campestre questo si sarebbe magari "vendicato" al successivo compito in classe.
Adesso invece si insegna tutto l'opposto: i ragazzi devono imparare che è cosa buona e giusta mostrarsi deboli, esprimere le proprie emozioni, raccontare a tutti i fatti più intimi della propria vita, fare "coming out", piangere in pubblico eccetera, esponendosi così ad ogni sorta di prevaricazione di coloro che, certo vigliaccamente, vorranno approfittare di questa situazione per esercitare una sorta di "potere" o di condizionamento su qualcun altro facendo leva sui loro punti deboli. Ora si esalta la debolezza anche negli adulti e si fa di tutto per proteggerla e mantenerla anziché trasformarla in forza, e così si farà da un lato il gioco dei vigliacchi che essendo un po' meno deboli potranno prevaricare gli altri senza alcuna fatica e divertirsi alle loro spalle, e dall'altro si costringerà i "deboli" che rimarranno tali vita natural durante a subire la più totale dipendenza dalle forze dell'ordine, dai magistrati, dalle istituzioni, dalle varie associazioni più o meno filantropiche, da ogni sorta di psicologi o pseudotali nonché da amici e parenti a cui dovranno rivolgersi ogni volta che si sentiranno prevaricati. Se prima si tendeva ad adottare in pubblico un comportamento improntato al buongusto, alla consuetudine, al senso della misura e del pudore per fare in modo di evitare i giudizi altrui e se qualcuno adottava comportamenti diversi se ne assumeva la responsabilità, oggi si predica che ognuno può fare quel che vuole, quando vuole e dove vuole, e tutti gli altri sono costretti a non esprimere alcun giudizio che non sia di approvazione altrimenti si grida come aquile alla "discriminazione". Si è ormai abituati a pensare di avere tutti i diritti e nessun dovere, nessuna responsabilità, o meglio noi abbiamo i diritti e tutti gli altri hanno i doveri; così accade che le ragazze hanno il diritto di passarti davanti ammiccando mentre indossano una ridottissima minigonna e tutti gli altri hanno il dovere di tenere a bada i loro ormoni; il gay eccentrico ha il diritto di passeggiare sculettando avvolto in un boa di piume di struzzo e tutti gli altri hanno il dovere di mantenere un'espressione seria e distaccata; l'anziana signora di cento chili ha il diritto di postare sui "social" una propria foto fasciata in un paio di leggins animalier e tutti gli altri hanno il dovere di evitare commenti ironici; la ragazza disinvolta ha il diritto di diffondere le sue foto osé con un ragazzo diverso tutte le settimane e tutti gli altri hanno il dovere di risparmiarle gli ovvi epiteti; il pseudointellettuale ha il diritto di fare discorsi senza capo né coda e tutti gli altri hanno il dovere di rispettare e magari riverire il suo "pensiero".
Ogni diritto implica un corrispondente dovere, ovvero quello di assumersi la responsabilità delle conseguenze che dovessero determinarsi dal godimento di tale diritto, e se non si è in grado di farlo perché si è troppo deboli o insicuri e non si ha il coraggio delle proprie azioni, o dei propri comportamenti, o di mostrarsi semplicemente per quello che si è, e questa è a tutti gli effetti dimostrazione di viltà, se ne prenda semplicemente atto e non si cerchi l'impossibile eliminazione di tali conseguenze, che può avvenire solo congedandosi (in un modo o nell'altro) dalla società.
P.S. ho risposto a questo messaggio poichè sollecitato dalle "forze dell'ordine" del forum a cui ci si è rivolti come la bimba si rivolge alla maestra lamentandosi che il suo compagno di classe gli ha tirato i capelli...
donquixote, hai affermato che un gay che venga reso oggetto di bullismo è un vile. Tale affermazione è un'offesa gravissima e ho ritenuto che non potevo limitarmi a metterla in discussione. Ho chiesto a Ivo Nardi come sia possibile che un moderatore esprima nel suo forum un giudizio così offensivo nei confronti di persone che non sono altro che vittime. Non ho fatto altro che il mio dovere. Ciò che hai affermato è al limite del reato di incoraggiamento alla violenza, al maltrattamento.
La risposta che hai scritto adesso non fa che aggravare ulteriormente le distorsioni mentali che dimostri di avere riguardo alla convivenza in un paese civile. So che parlare di distorsioni mentali è un'espressione pesante, ma ciò che hai aggiunto adesso è gravissimo così come lo era già stato il definire vili le vittime di bullismo.
Citazione di: donquixote il 04 Marzo 2017, 20:41:52 PM
Adesso invece si insegna tutto l'opposto: i ragazzi devono imparare che è cosa buona e giusta mostrarsi deboli, esprimere le proprie emozioni, raccontare a tutti i fatti più intimi della propria vita, fare "coming out", piangere in pubblico eccetera, esponendosi così ad ogni sorta di prevaricazione
Con queste parole mostri di avere un'idea della società come di un luogo di guerra, in cui la persona normale è il soldato, il guerriero, duro e insensibile, combattivo.
Citazione di: donquixote il 04 Marzo 2017, 20:41:52 PM
...i "deboli" che rimarranno tali vita natural durante a subire la più totale dipendenza dalle forze dell'ordine, dai magistrati, dalle istituzioni, dalle varie associazioni più o meno filantropiche, da ogni sorta di psicologi o pseudotali nonché da amici e parenti a cui dovranno rivolgersi ogni volta che si sentiranno prevaricati.
Quindi secondo te l'ideale di cittadino è il duro, che si fa vendetta da sé, con i suoi muscoli, a suon di legnate?
Citazione di: donquixote il 04 Marzo 2017, 20:41:52 PM
... così accade che le ragazze hanno il diritto di passarti davanti ammiccando mentre indossano una ridottissima minigonna e tutti gli altri hanno il dovere di tenere a bada i loro ormoni ...
donquixote, non è questione di ormoni, è questione di equilibrio psicologico; secondo quanto hai scritto, significherebbe che per te è impossibile andare al mare, visto che lì vedresti ragazze in costume, ovviamente molto più ridotto di qualsiasi minigonna.
Citazione di: donquixote il 04 Marzo 2017, 20:41:52 PM
il gay eccentrico ha il diritto di passeggiare sculettando avvolto in un boa di piume di struzzo e tutti gli altri hanno il dovere di mantenere un'espressione seria e distaccata
Riusciresti a spiegare che cosa ti fa di male il gay che passeggia sculettando: ti disturba? Ti impedisce di fare qualcosa? Limita la tua libertà? E se non limita in alcun modo la tua libertà e il tuo vivere, perché tu vorresti limitare la sua libertà e il suo vivere? Riesci a spiegare quale danno ti arreca?
Citazione di: donquixote il 04 Marzo 2017, 20:41:52 PM
l'anziana signora di cento chili ha il diritto di postare sui "social" una propria foto fasciata in un paio di leggins animalier e tutti gli altri hanno il dovere di evitare commenti ironici
Vogliamo fare una legge in cui si vieta a chi è sovrappeso di mettersi in mostra? Ma ti rendi conto di quanto è grottesco ciò che hai scritto?
Citazione di: donquixote il 04 Marzo 2017, 20:41:52 PM
Ogni diritto implica un corrispondente dovere, ovvero quello di assumersi la responsabilità delle conseguenze che dovessero determinarsi dal godimento di tale diritto
Ma ti rendi conto che in questo modo stai legittimando la violenza? Cioè, stai dicendo che se un gay che sculetta per strada viene preso a pugni, se l'è cercata lui, il colpevole è lui e i pugni se li è meritati?
Citazione di: donquixote il 04 Marzo 2017, 20:41:52 PM
P.S. ho risposto a questo messaggio poichè sollecitato dalle "forze dell'ordine" del forum a cui ci si è rivolti come la bimba si rivolge alla maestra lamentandosi che il suo compagno di classe gli ha tirato i capelli...
È interessante che tu abbia usato il femminile "bimba" per giudicare il fatto che ho chiesto conto a Ivo Nardi di ciò che viene scritto sul suo forum. D'altra parte, è un termine logicissimo, tenendo conto della società guerresca che hai in mente.
Citazione di: donquixote il 04 Marzo 2017, 20:41:52 PM
Citazione di: Angelo Cannata il 01 Marzo 2017, 20:37:29 PM
Citazione di: donquixote il 01 Marzo 2017, 10:36:43 AM... gay che si suicida perchè il classe lo chiamano "checca", o quello che lo fa in seguito ad atti di bullismo in rete. Tutti costoro sono semplicemente dei vili ...
Ti rendi conto della gravità di ciò che hai scritto? Secondo te quindi, tra il bullo e la sua vittima, il vile non è il bullo, ma è la vittima!
È noto che se un uomo manifesta paura e debolezza davanti a un cane questo diventa aggressivo, quindi un tempo si insegnava ai bambini a mostrare per primi aggressività di fronte a un cane sconosciuto per evitare di essere aggrediti. Questo insegnamento vale anche per gli uomini, e un vecchio saggio diceva che "Se il codardo corresse contro i nemici con la rapidità che li fugge, li spaventerebbe". Un tempo si insegnava ai bambini che iniziavano la scuola e venivano canzonati dai compagni perché magari erano sovrappeso, o portavano gli occhiali, o erano effeminati a farsi rispettare o quantomeno a non farsi condizionare dallo scherno e dalla derisione altrui facendo leva sul suo orgoglio e sulle qualità che gli altri non possedevano. Si insegnava a non mostrarsi mai fragili in pubblico, a non far trasparire le proprie sensibilità e le proprie debolezze perché gli altri ne avrebbero potuto approfittare a proprio vantaggio, dato che sapevano bene che "il mondo è cattivo". Insegnavano loro ad affrontare la vita per quello che è, e non per quello che loro magari pensavano che fosse nei loro sogni di bambini immersi nelle favole e nei cartoni animati. E questi insegnamenti venivano spesso dalla pratica, dall'impegno di chi era più debole e sensibile a reagire alle angherie dei compagni e trovare dentro di sé la forza per non farsi ferire da quelle che in fin dei conti erano solo ragazzate. Quando un ragazzo tornava a casa e diceva al padre che i suoi compagni lo prendevano in giro quest'ultimo non andava certo a scuola a parlare coi professori per lamentarsi (a meno che non si trattasse di episodi molto gravi) ma era il primo ad accusare il figlio di vigliaccheria per essersi lasciato "mettere i piedi in testa" da ragazzi della sua stessa età. Dai primi anni di scuola (o addirittura di asilo), quando si usciva dalla gabbia protettiva dei genitori per i quali ogni figlio è il più bello, il più bravo e il più intelligente del mondo, si imparava a forgiare il proprio carattere e a trovare il proprio posto nel mondo attraverso il rapporto con persone mai viste prima, e ognuno all'interno di una comunità com'era quella scolastica cercava di mostrare le proprie peculiarità e se magari non era "leader" in qualche attività sportiva lo era nello studio della matematica oppure nella conquista delle ragazzine. Si creavano così naturalmente delle gerarchie nei vari ambiti in cui ognuno era rispettato per quello che era, e se qualcuno scherniva qualcun altro perché era arrivato ultimo alla corsa campestre questo si sarebbe magari "vendicato" al successivo compito in classe. Adesso invece si insegna tutto l'opposto: i ragazzi devono imparare che è cosa buona e giusta mostrarsi deboli, esprimere le proprie emozioni, raccontare a tutti i fatti più intimi della propria vita, fare "coming out", piangere in pubblico eccetera, esponendosi così ad ogni sorta di prevaricazione di coloro che, certo vigliaccamente, vorranno approfittare di questa situazione per esercitare una sorta di "potere" o di condizionamento su qualcun altro facendo leva sui loro punti deboli. Ora si esalta la debolezza anche negli adulti e si fa di tutto per proteggerla e mantenerla anziché trasformarla in forza, e così si farà da un lato il gioco dei vigliacchi che essendo un po' meno deboli potranno prevaricare gli altri senza alcuna fatica e divertirsi alle loro spalle, e dall'altro si costringerà i "deboli" che rimarranno tali vita natural durante a subire la più totale dipendenza dalle forze dell'ordine, dai magistrati, dalle istituzioni, dalle varie associazioni più o meno filantropiche, da ogni sorta di psicologi o pseudotali nonché da amici e parenti a cui dovranno rivolgersi ogni volta che si sentiranno prevaricati. Se prima si tendeva ad adottare in pubblico un comportamento improntato al buongusto, alla consuetudine, al senso della misura e del pudore per fare in modo di evitare i giudizi altrui e se qualcuno adottava comportamenti diversi se ne assumeva la responsabilità, oggi si predica che ognuno può fare quel che vuole, quando vuole e dove vuole, e tutti gli altri sono costretti a non esprimere alcun giudizio che non sia di approvazione altrimenti si grida come aquile alla "discriminazione". Si è ormai abituati a pensare di avere tutti i diritti e nessun dovere, nessuna responsabilità, o meglio noi abbiamo i diritti e tutti gli altri hanno i doveri; così accade che le ragazze hanno il diritto di passarti davanti ammiccando mentre indossano una ridottissima minigonna e tutti gli altri hanno il dovere di tenere a bada i loro ormoni; il gay eccentrico ha il diritto di passeggiare sculettando avvolto in un boa di piume di struzzo e tutti gli altri hanno il dovere di mantenere un'espressione seria e distaccata; l'anziana signora di cento chili ha il diritto di postare sui "social" una propria foto fasciata in un paio di leggins animalier e tutti gli altri hanno il dovere di evitare commenti ironici; la ragazza disinvolta ha il diritto di diffondere le sue foto osé con un ragazzo diverso tutte le settimane e tutti gli altri hanno il dovere di risparmiarle gli ovvi epiteti; il pseudointellettuale ha il diritto di fare discorsi senza capo né coda e tutti gli altri hanno il dovere di rispettare e magari riverire il suo "pensiero". Ogni diritto implica un corrispondente dovere, ovvero quello di assumersi la responsabilità delle conseguenze che dovessero determinarsi dal godimento di tale diritto, e se non si è in grado di farlo perché si è troppo deboli o insicuri e non si ha il coraggio delle proprie azioni, o dei propri comportamenti, o di mostrarsi semplicemente per quello che si è, e questa è a tutti gli effetti dimostrazione di viltà, se ne prenda semplicemente atto e non si cerchi l'impossibile eliminazione di tali conseguenze, che può avvenire solo congedandosi (in un modo o nell'altro) dalla società. P.S. ho risposto a questo messaggio poichè sollecitato dalle "forze dell'ordine" del forum a cui ci si è rivolti come la bimba si rivolge alla maestra lamentandosi che il suo compagno di classe gli ha tirato i capelli...
per quanto riguarda il nesso tra diritti e responsabilità sarebbe meglio specificare, quali responsabilità dovrebbero essere dedotte dai diritti. Se si parla di assumersi la responsabilità delle proprie scelte svolte in piena libertà e coscienza, lo trovo un discorso eticamente condivisibile e ineccepibile. Perché devo scaricare i meriti e le colpe che riguardano la mia personalità e le mie azioni che dalla mia personalità conseguono sua altri che non avrebbero agito come ho agito io? Se si invece di parla di accollarsi doveri e responsabilità che io non avverto come costitutivi della mia libertà ma come imposti esteriormente, dalla tradizione familiare, dalla società, allora non lo accetto. Auspicherei un mondo dove ciascuno si assume le responsabilità delle proprie scelte, perché solo così ci si impegnerà a valutare le conseguenze di ciò che si fa senza presumere che ci sarà qualcun altro che pagherà al posto tuo, a cui far pesare colpe non sue, non auspico un mondo di infelici frustrati e repressi che sacrificano i propri desideri e le loro istanze di felicità perché costretti a seguire doveri di cui non riconoscono interiormente il valore e il senso, perché sottomessi a qualcuno. Nel contesto che si sta discutendo, l'atto adulto e lucido di chi suicida, il soggetto è consapevole delle conseguenze del suo gesto, sa da cosa si libererà, ma anche da ciò che dovrà abbandonare, sa che la sua scelta ha un costo, e questo costo lo pagherà lui principalmente, la scelta libera accompagnata dalla consapevolezza delle conseguenze che ricadono su chi la compie è sempre rivelazione di una certa forza
Credo che parlare di viltà sia effettivamente fuori luogo. Ci sono persone deboli che non sono in grado di reagire, perché addestrate a soffrire e a sopportare. Possono essere soggetti deboli fisicamente e magari non propriamente astuti e sono proprio quelli che vengono presi di mira dai bulli. Se il bullo fosse davvero coraggioso se la prenderebbe con il leader, con l'uomo di successo, invece sceglie le sue vittime fra gli ultimi, i meno dotati, quelli che hanno qualcosa che non va, secondo gli stereotipi dell'attuale società.
Queste persone non possono essere certo colpevolizzate. Si rovescerebbero le responsabilità.
Pero' Don qualcosa di vero lo ha scritto, magari con un tono rude ma reale. Mi ricordo che da bambino spesso ci prendevamo a sassate fra bande di ragazzi diversi e non abitavo di certo in un ghetto afro-americano. Nel corso delle partite di calcio ci poteva scappare la lite, gli spintoni e pure qualche scazzottata ma a ripensarci mi sembrava un mondo più genuino dove i ragazzi apprendevano che esistevano i diritti, esistevano gli adulti garanti delle regole ma poteva essere necessario anche cavarsela in un modo non standardizzato. Fa parte dell'adolescenza e tutelare troppo rispetto a questi micro-traumi non migliora certo la società, anzi probabilmente la prepara a traumi ben più grandi.
Questo credo che debba valere fra soggetti che si affrontano e si confrontano ad armi pari. Ci sono però, come ho detto, dei soggetti più deboli che vanno difesi. La loro fragilità può dipendere da tanti motivi e non possono essere rinforzati tanto facilmente. Se i genitori abituano un figlio maschio all'idea che a loro è tanto mancata una figlia femmina ed invece è venuto lui, se iniziano a comprargli delle magliette rosa e lo spingono a scegliere danza classica come sport, non possiamo pensare di farne un boxeur a 16 anni. Per non parlare degli handicap fisici, dove non subentra neppure il condizionamento famigliare. Sono dei vili? Non credo, semplicemente la vita li ha resi così e la nostra responsabilità è quella di difenderli.
I veri vigliacchi a mio modo di vedere sono quelli che potremmo definire la "zona grigia", cioè tutti coloro che non sono nè aggressori nè aggrediti, quelli che magari riprendono l'aggressione con il telefonino e poi se la girano, pensando fra loro: "meno male che non sono io la sua vittima." E' il silenzio della maggioranza di fronte alle ingiustizie che arma la mano dei vili. E' lo stesso meccanismo ben conosciuto dalla criminalità organizzata. Le vittime devono essere isolate, deve crescere indifferenza e distanza e se qualcuna si ribella allo status quo, deve pagare in modo esemplare come monito per tutti quelli che vivono nella "zona grigia".
Per contrastare questo stato di cose dovremmo però considerarci una comunità di individui uniti da ideali abbastanza simili, una collettività. In realtà la nostra società va in una direzione diametralmente opposta. Ognuno chiuso nel suo bozzolo, incapace di fare fronte comune, di scendere in piazza, di far sentire la propria voce, di metterci la faccia.
Pensate che forse cento anni fa nessuno sarebbe intervenuto di fronte ad un pestaggio di una donna per strada? Ora si finge di non vedere, magari perché già si prefigurano le noie con processi, comparizioni per testimonianze ed altro ancora. Si pensa forse che debba intervenire il "funzionario" preposto a quel problema. Tutto questo ci distanzia l'uno dall'altro e prepara il terreno ai violenti e agli arroganti.
Neppure io condivido l'ultimo post di Don, che, .forse nel tentativo di fornire a tutti i costi una soddisfacente spiegazione a Cannata è scivolato non volendo in qualche inesattezza.
Una donna può vestire come vuole, anche in maniera provocante, ma per una donna "provocante" significa "seducente", cioè che si compiace nel piacere, che vuole affermare la propria femminilità nel piecere agli uomuni; non significa "eccitare", "voler farsi saltare addosso" o "farsi molestare"; mentre gli uomini hanno il dovere di mostrare civiltà mediante l'equilibrio psicologico. Il mandrillo che salta addosso appena vede sculettare una donzella è solo il residuo di una costruzione culturale basata sul predominio e sulla prevarivazione dell'uomo sulla donna, né piú, né meno. Non credo che gli uomini primitivi che magari non coprivano neanche le parti intime andassero a violentare le donne.
Il "coprirsi per pudore" è avvenuto solo dopo nella storia dell'umanità, ed è uno dei "regali" della società patriarcale in cui l'uomo ha usurpato il potere assoluto sulle cose, sui suoi territori, sui suoi averi, sulla sua famiglia, sui figli, sulla sua donna, e approfittando anche delle religioni monoteiste-maschiliste create a propria immagine e somiglianza, le ha soggiogate fino a renderle schiave con la scusa del "lo ha detto Dio".
Questo burbero maschilismo in Occidente stiamo tentando di eliminarlo, anche se sono ben cosciente che ci vogliono decenni e decenni per estirpare completamente certa mentalità e sanare la società, anche per questo reputo enormemente sbagliato che si accolgano tantissimi stranieri, troppi, di cultura e mentalità molto differenti dalle nostre, perché ci ritroveremo punto e a capo.
Bastava, a mio avviso, specificare che se una persona (gay o chiunque sia) è sempre passiva verso la cattiveria altrui non cercando mai di difendersi magari con la sola intelligenza, con un po' di astuzia, finisce con l'autorizzare l'imbecille bullo a perpetrare le sue malefatte che altro non sono che espressione di patologie psichiche di tipo aggressivo.
Citazione di: davintro il 04 Marzo 2017, 22:38:49 PMSe si invece di parla di accollarsi doveri e responsabilità che io non avverto come costitutivi della mia libertà ma come imposti esteriormente, dalla tradizione familiare, dalla società, allora non lo accetto.
L'unico modo per fare questo è isolarsi dalla società. O si vive da eremiti e si fa quel che si vuole e quando si vuole, oppure si vive in società e ci si attiene alle sue regole, che non sono solo le leggi ma anche tutte le aspirazioni, i desideri e i giudizi di ognuno dei suoi componenti. Perchè qualcuno deve avere il diritto di fare quel che vuole e io non posso avere quello di parlarne male o di criticarlo altrimenti lui si "offende"? Perchè un suo diritto deve conculcare il mio? O si conciliano diritti e doveri, ovvero si trova un equilibrio in ciò che in società è possibile fare, o dire, o altrimenti ognuno dirà e farà quel che gli pare, e i più "sensibili" saranno proprio quelli che ne ricaveranno i danni maggiori. O uno se ne frega bellamente di quel che dicono gli altri perchè è sicuro di sé o altrimenti se ricerca l'approvazione sociale dei suoi atteggiamenti e dei suoi comportamenti allora deve adeguarsi a ciò che la società ritiene "normale" e non può avere l'assurda pretesa che tutti si adeguino al suo modo di vedere le cose.
Citazione di: Jacopus il 04 Marzo 2017, 23:44:54 PMCi sono persone deboli che non sono in grado di reagire, perché addestrate a soffrire e a sopportare. Possono essere soggetti deboli fisicamente e magari non propriamente astuti e sono proprio quelli che vengono presi di mira dai bulli.
Se si conosce un minimo come funziona la psicologia del bullo si sa che se non riceve "soddisfazione" dai suoi atti questi perdono di significato e il bullo si rivolgerà altrove. Se uno è addestrato a sopportare le offese disinnescherà automaticamente ogni atto di bullismo che si infrangerà contro un muro di gomma. Un pugile può vincere un combattimento perchè è un buon colpitore ma anche perchè è un ottimo incassatore.
Citazione di: Fharenight il 04 Marzo 2017, 23:57:46 PMIl mandrillo che salta addosso appena vede sculettare una donzella è solo il residuo di una costruzione culturale basata sul predominio e sulla prevarivazione dell'uomo sulla donna, né piú, né meno.
Mai sentito parlare di quando le femmine dei cani e dei gatti vanno in "calore" e tutti i maschi del vicinato le ronzano intorno arrapati? Semplicemente sentono l'odore e cercano di accoppiarsi. L'abbigliamento seducente è nella femmina della specie umana ciò che per gli animali è il "calore", e così viene percepito dai maschi. Non c'è nulla di "culturale" o di "patriarcale" in tutto questo, ma solo il fatto che l'uomo, come peraltro altri animali, nei rituali di accoppiamento utilizza il senso della vista anzichè quello dell'olfatto.
Citazione di: donquixote il 05 Marzo 2017, 09:30:55 AM
Perchè qualcuno deve avere il diritto di fare quel che vuole e io non posso avere quello di parlarne male o di criticarlo altrimenti lui si "offende"?
È vero che, per esempio, lo sculettare non è altro che una forma di comunicazione, ma qui sarà utile distinguere due aspetti della comunicazione: altro è affermare se stessi, altro cercare di impedire ad altri di farlo. Il gay che sculetta in pubblico sta affermando se stesso, ma non sta impedendo a nessuno di affermare a sua volta se stesso: non sta impedendo a te di metterti in pubblico nei modi che tu preferisci per te. Ma parlare male pubblicamente dello sculettare, prenderlo in giro, ha un significato diverso: significa tentare di impedire all'altro di affermare se stesso, cercando di indurre in lui vergogna e isolamento. Se il gay che sculetta non ridicolizza te, che invece hai scelto di farti vedere tutto serio e composto, tu perché devi ridicolizzare lui? Il ridicolizzare non è un semplice esercizio di libertà, ma un tentativo di limitare la libertà altrui. C'è molta differenza.
C'è di più: il gay che sculetta contribuisce a creare una cultura sociale in cui ognuno si senta libero di esprimersi come gli pare, sempre nella misura in cui non crei impedimento ad altri. In questo senso sta aiutando la società a crescere nella sua capacità di libertà. Al contrario, colui che lo ridicolizza non si accorge che si sta buttando la zappa sui piedi, perché sta preparando il terreno alla propria vergogna nel momento in cui saranno altri a ridicolizzare lui. Questo non va confuso con il diritto alla satira: la satira si pone come scopo la dissacrazione, non la limitazione della libertà di esprimersi. In questo senso, il gay che sculetta e il comico che facesse satira proprio sul suo sculettare perseguirebbero esattamente lo stesso scopo: dissacrare i comportamenti, in modo che ognuno si senta libero di fare quel che gli pare. Il comico che faccia satira sul gay non lo fa per indurlo alla vergogna, ma affinché il comportamento del gay non diventi a sua volta una norma intoccabile, così come certuni considerano norma intoccabile stare in giacca e cravatta. Ciò che fai tu invece non è dissacrazione, ma demonizzazione, che è il corrispondente simmetrico del sacralizzare. Ridicolizzare cercando di indurre alla vergogna significa tentare di demonizzare, cioè tentare di rendere sacro negativamente, quindi tentare di vietare. Il comico non demonizza: se lo facesse non risulterebbe più comico, risulterebbe serissimo.
Citazione di: donquixote il 05 Marzo 2017, 09:30:55 AM
...deve adeguarsi a ciò che la società ritiene "normale" e non può avere l'assurda pretesa che tutti si adeguino al suo modo di vedere le cose.
Non è detto che ciò che una società considera normale sia il meglio: ci sono società che considerano normale opprimere la donna e non è certo un bene adeguarsi a ciò perché così ha deciso la società.
Il gay non ha alcuna pretesa che gli altri si adeguino al suo modo di vedere le cose: egli è creatore di libertà; sono gli altri a volerlo fare adeguare, tentando di limitare la sua libertà e anche quella di altri.
Citazione di: donquixote il 05 Marzo 2017, 09:30:55 AM
Se uno è addestrato a sopportare le offese disinnescherà automaticamente ogni atto di bullismo che si infrangerà contro un muro di gomma. Un pugile può vincere un combattimento perchè è un buon colpitore ma anche perchè è un ottimo incassatore.
Parlare di addestramento significa mantenere un'idea di società guerresca, fondata sulla forza. Una società creatrice di libertà deve invece fare in modo che non ci sia bisogno di difendersi da nessuno. Il bullo tenta di creare una società di bulli, perché ha avuto la sfortuna di non conoscere tesori umani come l'arte, la cultura, la pace, il piacere della ricerca scientifica, della filosofia. È meglio costruire una società di pugili oppure una società in cui, grazie alla non necessità di doversi difendere dai bulli, sia possibile dedicarsi alle arti, alla cultura, allo sport, all'intelligenza?
Citazione di: donquixote il 05 Marzo 2017, 09:30:55 AM
Mai sentito parlare di quando le femmine dei cani e dei gatti vanno in "calore" e tutti i maschi del vicinato le ronzano intorno arrapati?
La tua difficoltà a rispettare certi comportamenti, come lo sculettare o vestirsi in minigonna, deriva dal fatto che non rifletti sul fatto che oggi è fortissimamente sentita un'esigenza di affermazione di libertà, perché stiamo capendo che l'intera società umana, dai primitivi ad oggi, ha creato un mare di inutili e distruttive limitazioni della libertà. In questo senso, una ragazza che vesta la minigonna non è detto che intenda comunicare di essere una femmina in calore che desidera essere fecondata: oggi può anche significare semplicemente che quella ragazza sente fortissimamente un bisogno di libertà da parte della donna, che fino ad oggi continua ad essere oppressa. A quel punto sei tu che devi decidere come interpretare quella minigonna e ciò dipende sia da quanto sei sensibile verso l'importanza della libertà, sia dal tuo equilibrio psicologico. Stai sicuro che, il giorno in cui quella ragazza si sentirà libera al cento per cento di vestirsi come le pare, né lei sentirà più il bisogno di vestirsi in maniere provocatorie, né i maschi si scandalizzeranno al vederla perfino nuda. Questo già avviene, come sai, in certe società africane in cui si sta nudi: l'affermazione in quelle società di tale libertà non rende necessaria alcuna provocazione da parte delle donne, né alcuno scandalo da parte degli uomini. È esattamente la stessa cosa che avviene al mare o tra i nudisti. È tutta una questione di bisogno, di fortissimo desiderio che oggi circola, di affermare la libertà. Il giorno in cui la libertà sarà affermata, tutto sarà tranquillo e pacifico.
@A.Cannata scrive:
Parlare di addestramento significa mantenere un'idea di società guerresca, fondata sulla forza. Una società creatrice di libertà deve invece fare in modo che non ci sia bisogno di difendersi da nessuno. Il bullo tenta di creare una società di bulli, perché ha avuto la sfortuna di non conoscere tesori umani come l'arte, la cultura, la pace, il piacere della ricerca scientifica, della filosofia. È meglio costruire una società di pugili oppure una società in cui, grazie alla non necessità di doversi difendere dai bulli, sia possibile dedicarsi alle arti, alla cultura, allo sport, all'intelligenza?
Qui però, a parer mio, rilevo una contraddizione: dire che una società in cui sia possibile dedicarsi alle arti, alla cultura, allo sport e all'intelligenza è da preferire, è già stabilire una gerarchia di valore, in base a ciò che soggettivamente si ritiene superiore ( o più capace di dare soddisfazione vera) ad un'altra visione della vita. Infatti il bullo potrebbe obiettare che lui dell'arte, della cultura e dello sport non sa che farsene, non dandogli nessuna soddisfazione personale, e che invece prova ( come provano in realtà essendo intrinsecamente sadici...) molta più soddisfazione e significato per la propria vita nel tiranneggiare e umiliare il debole. E se il gay rivendica la propria libertà di passeggiare seminudo sculettando, allo stesso modo ( in assenza di leggi stabilite da una società umana e quindi basate necessariamente su ciò che la maggioranza della società ritiene sia da preferire) il bullo potrebbe rivendicare il suo diritto all'esercizio della violenza verso il debole. Perché il primo diritto è da preferire al secondo ? Perché eticamente riteniamo che la violenza e la sopraffazione sono un male, ma questo è un giudizio di valore, basato essenzialmente su una visione religiosa ( o quel che ne resta) del valore della vita umana. Il violento potrebbe obiettare che quelle visioni etiche sono superate e che l'unica cosa che ha veramente valore è la forza e la volontà di potenza. Come stabilire un fondamento autonomo dell'etica? Qualcosa che sia un recinto per la forza del violento e una garanzia per il debole ( di forza fisica) ? Al tramonto delle religioni questa è una sfida colossale per l'uomo moderno, rispetto alla quale appare del tutto ...inadeguato :(.
Non a caso infatti ho concluso col punto interrogativo. In questo senso io sono un convenzionalista: non esistendo verità stabilite, l'unica cosa che possiamo è tentare di metterci d'accordo su qualcosa. Tutto ciò che ho scritto ha il senso di mia proposta, basata sulle mie sensibilità, di metterci d'accordo su qualcosa. Così ognuno mette in campo le proprie sensibilità, la propria storia, il proprio DNA, li confrontiamo, li facciamo interagire e vediamo su cosa potremmo concordare.
Qualcosa di simile aveva detto poco sopra Jacopus:
Citazione di: Jacopus il 04 Marzo 2017, 23:44:54 PMPer contrastare questo stato di cose dovremmo però considerarci una comunità di individui uniti da ideali abbastanza simili, una collettività. In realtà la nostra società va in una direzione diametralmente opposta. Ognuno chiuso nel suo bozzolo, incapace di fare fronte comune, di scendere in piazza, di far sentire la propria voce, di metterci la faccia.
Citazioneperché stiamo capendo che l'intera società umana, dai primitivi ad oggi, ha creato un mare di inutili e distruttive limitazioni della libertà.
È tutta una questione di bisogno, di fortissimo desiderio che oggi circola, di affermare la libertà. Il giorno in cui la libertà sarà affermata, tutto sarà tranquillo e pacifico.
No,e' vero esattamente il contrario!quel giorno (in realtà già presente) sarà (e') la dissoluzione e la discordia totale,su tutto e tutti...Questo e' il vero ed autentico Suicidio.
Citazione di: acquario69 il 05 Marzo 2017, 12:11:38 PM
Citazioneperché stiamo capendo che l'intera società umana, dai primitivi ad oggi, ha creato un mare di inutili e distruttive limitazioni della libertà.
È tutta una questione di bisogno, di fortissimo desiderio che oggi circola, di affermare la libertà. Il giorno in cui la libertà sarà affermata, tutto sarà tranquillo e pacifico.
No,e' vero esattamente il contrario!
quel giorno (in realtà già presente) sarà (e') la dissoluzione e la discordia totale,su tutto e tutti...
Questo e' il vero ed autentico Suicidio.
Noto soltanto ora che nel tuo avatar c'è scritto come motto "l'ignoranza è forza". Di fronte a una posizione del genere mi sento disarmato, non ho nulla di ribattere. Mi viene in mente solo il simpaticissimo Totò: https://www.youtube.com/watch?v=4eYhmZDf7UM
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Marzo 2017, 11:36:43 AMNon a caso infatti ho concluso col punto interrogativo. In questo senso io sono un convenzionalista: non esistendo verità stabilite, l'unica cosa che possiamo è tentare di metterci d'accordo su qualcosa. Tutto ciò che ho scritto ha il senso di mia proposta, basata sulle mie sensibilità, di metterci d'accordo su qualcosa. Così ognuno mette in campo le proprie sensibilità, la propria storia, il proprio DNA, li confrontiamo, li facciamo interagire e vediamo su cosa potremmo concordare. Qualcosa di simile aveva detto poco sopra Jacopus:
Citazione di: Jacopus il 04 Marzo 2017, 23:44:54 PMPer contrastare questo stato di cose dovremmo però considerarci una comunità di individui uniti da ideali abbastanza simili, una collettività. In realtà la nostra società va in una direzione diametralmente opposta. Ognuno chiuso nel suo bozzolo, incapace di fare fronte comune, di scendere in piazza, di far sentire la propria voce, di metterci la faccia.
Ma come pensi sia possibile mettersi d'accordo con coloro che stabiliscono che la forza, la violenza e la volontà di potenza sono i loro valori? Costoro saranno sempre contrari alle leggi imposte ( e come si può imporre qualcosa se non con la forza? Con l'autorità della maggioranza?) dalla maggioranza che ama la cultura, l'arte e lo sport. Siamo poi sicuri che la maggioranza della popolazione preferisca delle leggi convenzionali all' esercizio della propria libertà ( anche di violenza)? Che ci sia veramente più amore e tolleranza che non odio e intolleranza nel cuore della maggioranza della gente? Personalmente non ne sono per niente sicuro. Se quindi la maggioranza si mette d'accordo per imporre leggi violente ? Come si potrebbe obiettare non avendo nessun fondamento etico da contrapporre, se non un misero parere personale su ciò che è bene o male? Questo ragionamento legittima , per esempio, che i "diversi" vengano messi a morte in alcune società, proprio perché 'urtano' contro i valori condivisi dalla maggioranza di quella particolare società. Infatti è assolutamente e tranquillamente accettato e condiviso dalla maggioranza della popolazione che questo sia giusto e buono da fare. E noi occidentali dovremmo 'imporre' la nostra visione del mondo e dire: guardate che la nostra visione della società, dove tutto è libero e relativo, è quella giusta, che anche voi dovete perseguire e , se non lo fate, può essere che arrivino i droni e i cacciabombardieri con bombe poco relative...
Il mio scopo non è ottenere dei risultati, non è riuscire a far prevalere la mia visione su quella degli altri. Il mio scopo è
1) fare ciò che sembra meglio a me;
2) in contemporanea mantenermi in ascolto per vedere se e in che modo ciò che sembra meglio a me meriti di essere migliorato, cambiato, eliminato.
Di fronte a chi ama la violenza, il mio scopo non è imporre la non violenza. Il mio scopo è mettere in campo me stesso, un me stesso che in contemporanea agisce, ma anche cerca di ascoltare mettendosi continuamente in discussione.
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Marzo 2017, 14:31:48 PMIl mio scopo non è ottenere dei risultati, non è riuscire a far prevalere la mia visione su quella degli altri. Il mio scopo è 1) fare ciò che sembra meglio a me; 2) in contemporanea mantenermi in ascolto per vedere se e in che modo ciò che sembra meglio a me meriti di essere migliorato, cambiato, eliminato. Di fronte a chi ama la violenza, il mio scopo non è imporre la non violenza. Il mio scopo è mettere in campo me stesso, un me stesso che in contemporanea agisce, ma anche cerca di ascoltare mettendosi continuamente in discussione.
La mia non era un'osservazione rivolta a te in particolare, ma un riflettere su come , privando l'etica di un fondamento, sia veramente difficile ( per me impossibile...) costruire una società che non finisca per far prevalere la forza e la soddisfazione personale o di gruppo ( e non tutte le soddisfazioni personali di molta gente sono compatibili con la libertà dell'altro, purtroppo...).
Se parli di fondamento, andiamo dritti al dibattito tra metafisica e relativismo; mi pare che in tal caso sarebbe fuori tema, eventualmente sarebbe meglio aprire una nuova discussione. Se ci fai caso, però, almeno per quanto sembra a me, tutte le discussioni vanno sempre a finire prima o poi nel dibattito tra metafisica e relativismo. Già rendersi conto di questo è per me un guadagno, perché orienta su una direzione in cui lavorare, approfondire.
Citazione di: Angelo Cannata il 05 Marzo 2017, 15:16:02 PMSe parli di fondamento, andiamo dritti al dibattito tra metafisica e relativismo; mi pare che in tal caso sarebbe fuori tema, eventualmente sarebbe meglio aprire una nuova discussione. Se ci fai caso, però, almeno per quanto sembra a me, tutte le discussioni vanno sempre a finire prima o poi nel dibattito tra metafisica e relativismo. Già rendersi conto di questo è per me un guadagno, perché orienta su una direzione in cui lavorare, approfondire.
E' certamente una delle grandi riflessioni che pone la "modernità" ed essendo ambedue visioni che tendono ad essere onnicomprensive, inevitabilmente la loro dialettica entra in moltissimi ( se non tutti...) gli argomenti 'sensibili'.
Il discorso sul bullismo è completamente fuori tema rispetto al suicidio, è vero...
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneIl gay che sculetta in pubblico sta affermando se stesso, ma non sta impedendo a nessuno di affermare a sua volta se stesso:
Certo che è strano ascoltare chi afferma di essere senza spiritualità (Dio), senza filosofia (metafisica), addirittura di non sapere neanche se esiste davvero, che l'unica coordinata da seguire è la critica della critica alla critica, dacché tutto è relativo, improvvisamente sostenere, vivendo nella totale apatia dei dogma, che adesso c'è un dogma attraverso il quale qualcuno sta affermando se stesso.
Sono curioso di apprendere quale sarebbe questo principio assoluto, ossia, questo dogma morale, nel quale io, una persona omosessuale, tu,
@Angelo Cannata, o il demente bull, potremmo appellarci per affermare davvero noi stessi.
P.S.: sarà anche che
@donquixote è entrato duramente da dietro e a doppia gamba tesa (ma non dovevamo
"je sois Charlie Hebdo", scriva quel che scriva?) - come soventemente è accaduto, accade e spero accada sempre in Forum.it, per apprendere a dire sorry (anche se virtuale fa sempre bene) o per riflettere sul fatto che,
forse, la nostra convinzione era solo un'opportunistica ideologia - e per di più in area di rigore (quindi concordo con il criticare e confutare la sua teoria sulla viltà e prepotenza), ma che il fallo lo desideri fischiare un ex/arbitro che oggi segue gli incontri di calcio da guardalinee con le regole del sudoku mi sembra allucinante, oltre che poco relativo. :-[
Citazione di: Duc in altum! il 05 Marzo 2017, 15:39:43 PM
Sono curioso di apprendere quale sarebbe questo principio assoluto, ossia, questo dogma morale, nel quale io, una persona omosessuale, tu, @Angelo Cannata, o il demente bull, potremmo appellarci per affermare davvero noi stessi.
Ti faccio una battuta amichevole, anche per un sorriso: proverò a risponderti se riesci a promettermi che non ricondurrai il discorso alla fede il Dio. :)
@ donquixote
Non credo che il mondo sia cattivo.
Credo che sia popolato da persone più o meno buone e più o meno cattive.
E' verissimo che nell' attuale epoca di profonda decadenza e barbarie tendono a diffondersi le peggiori inclinazioni, compresa la debolezza d' animo e la pavidità, e che invece si dovrebbe insegnare ai bambini a difendersi dai prepotenti e a farsi rispettare.
Concordo in pieno che:
"Ora si esalta la debolezza anche negli adulti e si fa di tutto per proteggerla e mantenerla anziché trasformarla in forza, e così si farà da un lato il gioco dei vigliacchi che essendo un po' meno deboli potranno prevaricare gli altri senza alcuna fatica e divertirsi alle loro spalle, e dall'altro si costringerà i "deboli" che rimarranno tali vita natural durante a subire la più totale dipendenza dalle forze dell'ordine, dai magistrati, dalle istituzioni, dalle varie associazioni più o meno filantropiche, da ogni sorta di psicologi o pseudotali nonché da amici e parenti a cui dovranno rivolgersi ogni volta che si sentiranno prevaricati. Se prima si tendeva ad adottare in pubblico un comportamento improntato al buongusto, alla consuetudine, al senso della misura e del pudore per fare in modo di evitare i giudizi altrui e se qualcuno adottava comportamenti diversi se ne assumeva la responsabilità, oggi si predica che ognuno può fare quel che vuole, quando vuole e dove vuole, e tutti gli altri sono costretti a non esprimere alcun giudizio che non sia di approvazione altrimenti si grida come aquile alla "discriminazione". Si è ormai abituati a pensare di avere tutti i diritti e nessun dovere, nessuna responsabilità, o meglio noi abbiamo i diritti e tutti gli altri hanno i doveri; così accade che le ragazze hanno il diritto di passarti davanti ammiccando mentre indossano una ridottissima minigonna e tutti gli altri hanno il dovere di tenere a bada i loro ormoni; il gay eccentrico ha il diritto di passeggiare sculettando avvolto in un boa di piume di struzzo e tutti gli altri hanno il dovere di mantenere un'espressione seria e distaccata; l'anziana signora di cento chili ha il diritto di postare sui "social" una propria foto fasciata in un paio di leggins animalier e tutti gli altri hanno il dovere di evitare commenti ironici; la ragazza disinvolta ha il diritto di diffondere le sue foto osé con un ragazzo diverso tutte le settimane e tutti gli altri hanno il dovere di risparmiarle gli ovvi epiteti; il pseudointellettuale ha il diritto di fare discorsi senza capo né coda e tutti gli altri hanno il dovere di rispettare e magari riverire il suo "pensiero".
Ogni diritto implica un corrispondente dovere, ovvero quello di assumersi la responsabilità delle conseguenze che dovessero determinarsi dal godimento di tale diritto, e se non si è in grado di farlo perché si è troppo deboli o insicuri e non si ha il coraggio delle proprie azioni, o dei propri comportamenti, o di mostrarsi semplicemente per quello che si è, e questa è a tutti gli effetti dimostrazione di viltà, se ne prenda semplicemente atto e non si cerchi l'impossibile eliminazione di tali conseguenze, che può avvenire solo congedandosi (in un modo o nell'altro) dalla società".
Infatti penso che della decadenza o forse meglio "putrefazione" sociale in atto sia parte integrande e non secondaria il "buonismo" per cui non è ammesso criticare nessuno per nessun motivo se no si sarebbe troppo "cattivi" (emblematico in proposito quell' immondo figuro di pseudocritico-leccaculo incallito televisivo che risponde al nome di Francesco Mollica, per il quale un qualsiasi mediocrissimo strimpellatore come Pupo sarebbe un musicista del calibro di un Bach o un Beethoven e un poeta del livello di Dante o di Leopardi; appiattendo così sullo scadentissimo canzonettaro, per avere esaurito con lui tutti i "superlativi esaltativi", un Guccini, un De Andrè o un Dalla).
Però quella del bullismo è tutt' altra questione, è la persecuzione vigliacca e malvagia dei deboli da parte di prepotenti imbelli avvantaggiati dalle circostanze; quando un bimbo è vittima del bullismo si trapassa dalla fisiologia alla patologia: in quanto tale, vittima del bullismo (e ricordo che la discussione è partita dalla questione del suicidio!) ciò che conta non è che sia, se anche lo fosse, un debole dal carattere più o meno fragile, bensì che è vittima di gravi, iniqui soprusi e prepotenze che la giustizia esige vengano stroncate e adeguatamente (cioè molto severamente!) punite (anche nell' interesse del bullo, per cercare di rieducarlo; se no si fa del buonismo a vantaggio del bullo! O meglio: a vantaggio del bullismo!).
Aggiunta per Angelo Cannata:
Qui non si tratta di censurare o di vietare, ma di criticare, di valutare eticamente ed esteticamente con la necessaria severità se é il caso (ma questo é vietatissimo dal buonismo politicamente corretto! E infatti in televisione é perennemente presente a discettare di morale e di buon gusto quall' altro immondo figuro -che mi é sempre venuto spontaneo di chiamare "il culattonazzo": e datemi pure dell' omofobo e del sessita, ne sarò fiero!- che risponde al soprannome di "Platinette": e credo sia tutto dire!).
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneTi faccio una battuta amichevole, anche per un sorriso: proverò a risponderti se riesci a promettermi che non ricondurrai il discorso alla fede il Dio.
Puoi sorridere quanto vuoi con me: sono io il cattolico (don't forget!), quindi ascolterò senza confutare la teoria morale del tuo di "dio", tanto, visto che ti piace Totò:
« 'O purpo se coce dinto â ll'acqua soja. » ;D 8) ;D
E bravo Angelo Cannata,
sei riuscito ad entrare in una discussione sul suicidio mettendoti al centro dell'attenzione, come un serio relativista che utilizza immagini retoriche, estromettendo il regista stesso Acquario dalla discussione.
Non hai scritto ancora nulla riguardo l'argomento i n questione.
Voglio vedere dove poggia le solide basi morali ed etiche un relativista.
Donquixote NON HA MAI SCRITTO che il bullo è meglio , più giusto, più bravo della vittima).
Io interpreto, perchè tu a tua volta non puoi altro che interpretare la frase di Donquixote implicata, che la viltà è fuggire e non reagire.Fammi capire dove sta il problema.E' stato tolto dal vocabolario il termine viltà? E' diventato un insulto un atto, una modalità di agire all'interno di una circostanza?
Qualunque emancipazione dei deboli è passata nel diritto grazie a lotte, sia pacifiche che meno.
O si è in grado di affermare la propria dignità di esistenza che è sacrosanta anche nella diversità, o si soccombe.
Ti risulta che questa società sia governata dai deboli e soccombono i potenti? Dimostralo.
Donquixote ha detto in maniera cruda e purtroppo vera, purtroppo perchè non mi piace che soccombano i deboli e siano impuniti i prevaricatori.
Quindi, io la interpreto così, è un invito ai deboli a non essere deboli e ad affermare i propri diritti di esistenza e dignità.
Citazione di: sgiombo il 05 Marzo 2017, 18:23:02 PMNon credo che il mondo sia cattivo. Credo che sia popolato da persone più o meno buone e più o meno cattive.
Neanch'io credo che il mondo sia cattivo, ma se insegni ai bambini che è buono (se gli insegni che ci sono i buoni e i cattivi devi poi insegnargli anche a distinguere preventivamente gli uni dagli altri e questo è piuttosto difficoltoso) avranno molto spesso cocenti delusioni e te ne faranno una colpa, mentre nell'altro caso il mondo li potrà talvolta piacevolmente sorprendere.
Citazione di: sgiombo il 05 Marzo 2017, 18:23:02 PMPerò quella del bullismo è tutt' altra questione, è la persecuzione vigliacca e malvagia dei deboli da parte di prepotenti imbelli avvantaggiati dalle circostanze; quando un bimbo è vittima del bullismo si trapassa dalla fisiologia alla patologia: in quanto tale, vittima del bullismo (e ricordo che la discussione è partita dalla questione del suicidio!) ciò che conta non è che sia, se anche lo fosse, un debole dal carattere più o meno fragile, bensì che è vittima di gravi, iniqui soprusi e prepotenze che la giustizia esige vengano stroncate e adeguatamente (cioè molto severamente!) punite (anche nell' interesse del bullo, per cercare di rieducarlo; se no si fa del buonismo a vantaggio del bullo! O meglio: a vantaggio del bullismo!).
La questione del bullismo l'ho inserita in una serie di altri esempi, diverso uno dall'altro, e non sono stato certo io ad evidenziarla. Neanche "rubare" i soldi agli investitori in azioni od obbligazioni bancarie è una bella cosa, eppure nessuno ha fatto una piega su questo esempio. Rimane il fatto che coloro che si suicidano per tutti i motivi che ho elencato nel mio primo messaggio compiono una fuga dalla vita, una fuga volontaria, definitiva e irrimediabile; e come si chiamano coloro che fuggono anzichè affrontare la vita con tutti i suoi problemi ma anche tutte le sue soddisfazioni?
Citazione di: Duc in altum! il 05 Marzo 2017, 15:39:43 PMsarà anche che @donquixote è entrato duramente da dietro e a doppia gamba tesa (ma non dovevamo "je sois Charlie Hebdo", scriva quel che scriva?) - come soventemente è accaduto, accade e spero accada sempre in Forum.it, per apprendere a dire sorry (anche se virtuale fa sempre bene) o per riflettere sul fatto che, forse, la nostra convinzione era solo un'opportunistica ideologia - e per di più in area di rigore (quindi concordo con il criticare e confutare la sua teoria sulla viltà e prepotenza),
Da piccolo mi insegnarono "sia il tuo dire si si, no no, il di più viene dal maligno". Io, più tardi, l'ho inteso nel senso di parlare in modo chiaro e non ambiguo, di dire le cose come stanno e non in maniera che si possano interpretare in un verso oppure in quello opposto a seconda delle convenienze (anche se poi la disonestà intellettuale altrui è in grado di ribaltare anche un chiaro si e un chiaro no). Si può anche chiamare il vile "diversamente coraggioso" dato che l'avverbio diversamente è usato in tanti contesti per intorbidire le acque ed evitare la chiarezza, ma questo lo lascio a coloro che dicono sempre ni o so in modo da avere sempre una scappatoia intellettuale. A te cos'hanno insegnato?
Citazione di: donquixote il 05 Marzo 2017, 19:24:19 PM
Citazione di: sgiombo il 05 Marzo 2017, 18:23:02 PMPerò quella del bullismo è tutt' altra questione, è la persecuzione vigliacca e malvagia dei deboli da parte di prepotenti imbelli avvantaggiati dalle circostanze; quando un bimbo è vittima del bullismo si trapassa dalla fisiologia alla patologia: in quanto tale, vittima del bullismo (e ricordo che la discussione è partita dalla questione del suicidio!) ciò che conta non è che sia, se anche lo fosse, un debole dal carattere più o meno fragile, bensì che è vittima di gravi, iniqui soprusi e prepotenze che la giustizia esige vengano stroncate e adeguatamente (cioè molto severamente!) punite (anche nell' interesse del bullo, per cercare di rieducarlo; se no si fa del buonismo a vantaggio del bullo! O meglio: a vantaggio del bullismo!).
La questione del bullismo l'ho inserita in una serie di altri esempi, diverso uno dall'altro, e non sono stato certo io ad evidenziarla. Neanche "rubare" i soldi agli investitori in azioni od obbligazioni bancarie è una bella cosa, eppure nessuno ha fatto una piega su questo esempio. Rimane il fatto che coloro che si suicidano per tutti i motivi che ho elencato nel mio primo messaggio compiono una fuga dalla vita, una fuga volontaria, definitiva e irrimediabile; e come si chiamano coloro che fuggono anzichè affrontare la vita con tutti i suoi problemi ma anche tutte le sue soddisfazioni?
CitazioneCredo che perseguitare vigliaccamente e crudelmente un coetaneo ritenuto più debole e magari in qualche misura oggettivamente tale, aizzandogli anche contro altri compagni pavidi o indifferenti sia molto più grave che abbindolare risparmiatori che non si accontentano di interessi modesti, sufficienti a salvaguardare dall' inflazione i loro risparmi (N.B.: a scanso di equivoci faccio rilevare che meno grave =/= ben fatto!).
Io stesso ho tutt' ora qualche rimorso per non avere difeso nella mia infanzia (anni '50 – '60: ben prima dell' imporsi della "mollezza postsessantottina") un coetaneo preso di mira da un bullo e addirittura a volte aver partecipato a qualche derisione (per fortuna il caso non è stato poi così grave: il ragazzo ha avuto una crescita abbastanza serena, a quanto mi risulta; non per niente si era a prima dell' orrendo '68!).
E' ovvio che maggiore è la forza d' animo e minori sono le possibilità di arrivare al suicidio.
Ma ribadisco che solo se -per assurdo!- potessi dire a me stesso di avere per parte mia superato le disgrazie, i patimenti, l' infelicità di un suicida mi sentirei in diritto di giudicarlo un debole: il suicidio non é una bazzecola!
** scritto da donquixote:
CitazioneA te cos'hanno insegnato?
Così come tu dici:
"...di dire le cose come stanno...", ma senza dimenticare che è solo per me, in quel momento, che stanno così le cose, e che non è un episteme per tutti.
Quindi, infatti, io non ho risposto nel merito a questa tua personale visione della viltà (che potrebbe anche essere davvero così),
anche se da cattolico potrei e dovrei,
non ho voluto, ma ho preferito riflettere sul fatto che proprio chi sostiene che si può esistere senza fede, senza dogmi e senza affermare nulla per certo, presenti la formula etica di come un individuo possa affermare se stesso.
Donquixote dice: "Citazione da: Fharenight - 04 Marzo 2017, 23:57:46 pm"Il mandrillo che salta addosso appena vede sculettare una donzella è solo il residuo di una costruzione culturale basata sul predominio e sulla prevaricazione dell'uomo sulla donna, né piú, né meno."
"Mai sentito parlare di quando le femmine dei cani e dei gatti vanno in "calore" e tutti i maschi del vicinato le ronzano intorno arrapati? Semplicemente sentono l'odore e cercano di accoppiarsi. L'abbigliamento seducente è nella femmina della specie umana ciò che per gli animali è il "calore", e così viene percepito dai maschi. Non c'è nulla di "culturale" o di "patriarcale" in tutto questo, ma solo il fatto che l'uomo, come peraltro altri animali, nei rituali di accoppiamento utilizza il senso della vista anzichè quello dell'olfatto"Eccolo qua, il maschilismo non estirpato fa sempre capolino. Noi non siamo né cani, né gatti, siamo esseri umani, che è qualcosa di diverso, forse qualcosa di più. Noi esseri umani, sia uomini che donne, non andiamo "in calore", siamo quasi sempre disponibili all'accoppiamento purché ci siano le condizioni giuste, quelle caratteristiche di attrazione (a volte fatale), infatuazione, innamoramento o amore che sono tipiche della nostra specie. Il vestirsi o l'atteggiarsi attraente della donna, come ha già spiegato Cannata, è indice di libertà, è indice di desiderio di esprimere (e non reprimere) la propria femminilità, che non significa voler essere molestata, al contrario! significa voler essere ammirata, compiacersi nel piacere all'uomo, e magari attrarre la persona che si vuole scegliere (non un mandrillo qualsiasi). Allo stesso modo come l'uomo esprime la sua mascolinità con un determinato abbigliamento, curando il proprio aspetto esteriore, assumendo determinati atteggiamenti, senza timore di essere frainteso.
Citazione di: Fharenight il 06 Marzo 2017, 23:26:00 PM
Donquixote dice: "Citazione da: Fharenight - 04 Marzo 2017, 23:57:46 pm
"Il mandrillo che salta addosso appena vede sculettare una donzella è solo il residuo di una costruzione culturale basata sul predominio e sulla prevaricazione dell'uomo sulla donna, né piú, né meno."
"Mai sentito parlare di quando le femmine dei cani e dei gatti vanno in "calore" e tutti i maschi del vicinato le ronzano intorno arrapati? Semplicemente sentono l'odore e cercano di accoppiarsi. L'abbigliamento seducente è nella femmina della specie umana ciò che per gli animali è il "calore", e così viene percepito dai maschi. Non c'è nulla di "culturale" o di "patriarcale" in tutto questo, ma solo il fatto che l'uomo, come peraltro altri animali, nei rituali di accoppiamento utilizza il senso della vista anzichè quello dell'olfatto"
Eccolo qua, il maschilismo non estirpato fa sempre capolino.
Noi non siamo né cani, né gatti, siamo esseri umani, che è qualcosa di diverso, forse qualcosa di più. Noi esseri umani, sia uomini che donne, non andiamo "in calore", siamo quasi sempre disponibili all'accoppiamento purché ci siano le condizioni giuste, quelle caratteristiche di attrazione (a volte fatale), infatuazione, innamoramento o amore che sono tipiche della nostra specie. Il vestirsi o l'atteggiarsi attraente della donna, come ha già spiegato Cannata, è indice di libertà, è indice di desiderio di esprimere (e non reprimere) la propria femminilità, che non significa voler essere molestata, al contrario! significa voler essere ammirata, compiacersi nel piacere all'uomo, e magari attrarre la persona che si vuole scegliere (non un mandrillo qualsiasi). Allo stesso modo come l'uomo esprime la sua mascolinità con un determinato abbigliamento, curando il proprio aspetto esteriore, assumendo determinati atteggiamenti, senza timore di essere frainteso.
Ma che discorsi!
Stai dicendo che la donna, dopo aver detto che non lo fa, si atteggia per richiamare l'interessa dei maschi, ma, pur esponendosi a tutti, il messaggio è rivolto a chi vuole lei!
A parte la validità del principio, i maschi non sanno se sono papabili oppure no, lo scoprono, rimanendo nella tua ratio, solo a tentativo avvenuto.
Dimentichi però che sta tentando e che la tentazione non è cosa buona.
In ogni caso non è vero che gli animali hanno il calore e le donne no, perché calore significa ovulazione.
La porcheria è che non cercano di procreare ma di divertirsi.
Osservando il regno animale si nota che chi impone le regole dell'accoppiamento è la femmina, la quale al contrario del maschio, è disponibile solo nel momento giusto, mentre le femmine umane si divertono a tentare per il loro piacere, cioè sempre.
Chi sono più in alto in questo caso, le donne tentatrici o gli animali che sono rimasti come natura volle e vuole?
Se a questo aggiungiamo che la razza umana è arrivata a tentare anche quelli dello stesso sesso, lascia a chi leggerà questo post trarne le conclusioni!
Forse è meglio tornare al Topic, cioè abbiamo o no il diritto di suicidarci?
E' quasi inutile premettere che, quello del suicidio (assistito e non), è un tema molto delicato e complesso, che coinvolge molti aspetti, dei quali non tutti possono essere approfonditamente trattati in questa sede.
Comunque, in estrema sintesi, secondo me la questione può -e deve- essere principalmente esaminata sotto il profilo "etico-religioso" e sotto quello "filosofico-razionale"; nonchè, in sede di corollario, anche sotto quello "giuridico" (soprattutto per quanto concerne il suicidio assistito).
Ma, ovviamente, si tratta solo di "riduzionismi" non del tutto acconci, sebbene resi necessari da una trattazione sintetica delle inerenti problematiche; ed infatti, occorrere anche considerare quelle sociali, giuridiche ecc., in quanto il suicidio non è un fatto meramente individuale (soprattutto quello assistito).
Comunque, cercherò di fare del mio meglio, chiedendo preventivamente venia per la mia inadeguatezza.
***
ASPETTI ETICI E RELIGIOSI
Anche in tale ambito, il tema potrebbe essere approcciato da varie prospettive, perchè, sul nostro pianeta, di religioni e di morali ce ne sono tante: "Cuius regio, eius et religio" (intendendo il motto in un senso un po' più ampio, di quello della Pace di Augusta del 1555).
Ad ogni modo, per non disperdermi troppo, mi limiterò alla religione cristiana.
Al riguardo, in effetti, in nessun punto del Vangelo (e della Bibbia in generale, se non mi sbaglio) è espressamente proibito il "suicidio" in quanto tale, nè è considerato "peccato"; il suicidio di Giuda, infatti, viene deprecato non tanto in sè e per sè, ma perchè -suicidandosi- Giuda manifestò di non credere che Gesù lo avrebbe perdonato per il suo tradimento (come invece fece Pietro, che anche lui lo aveva tradito).
Semmai, mediatamente, il divieto di suicidio dovrebbe intendersi implicito nel 5° Comandamento ( «Non uccidere»); e qui il discorso, secondo me, comincia a farsi interessante.
Ed infatti, citando Matteo 22,35-40: "... uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» E Gesù rispose: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti»."
Non so se qualcuno si è accorto che, in sostanza, Gesù, così dicendo, anticipa la distinzione che Emanuele Kant faceva tra "imperativi ipotetici" ed "imperativi categorici": i primi, in sostanza, possono tradursi in "se vuoi A devi fare B" , i secondi in "è A che devi comunque perseguire, a prescindere da B".
Secondo la mia interpretazione della Bibbia, quindi:
- i dieci comandamenti debbono considerarsi soltanto "imperativi ipotetici" (prescrizionali);
- i due comandamenti di Gesù, invece, costituiscono i soli veri "imperativi categorici" alla realizzazione dei quali i primi sono meramente strumentali.
"Ama e fai ciò che vuoi" è una delle frasi più celebri di sant'Agostino, ispirata da San Paolo.
In effetti, anche la Chiesa Cattolica (sia pure non espressamente) aderisce a questa mia esegesi.
Al riguardo, ad esempio, ricordo soltanto la dottrina cattolica sul "Tirannicidio"; la quale, sotto tale aspetto, ritenne -e tutt'ora ritiene- l'"omicidio" addirittura un "punto in più" per guadagnarsi il Paradiso, nel caso in cui esso sia "strumentale" per ottenere un bene superiore.
Solo per citare il più illustre teologo cattolico, Tommaso d'Aquino, costui, nel "commento alle Sentenze di Pietro Lombardo" non considera affatto peccato, bensì eccellente merito, quello di "...colui che libera il suo Paese uccidendo un tiranno."; non a caso Stauffenberg, che tentò invano di uccidere Hitler, era un fervente cattolico.
Se ne desume, quindi, che, il V comandamento (non uccidere), non costituisce affatto un imperativo "categorico", bensì uno meramente "ipotetico"; e lo stesso vale per il "suicidio", come il meno sta al più.
Al riguardo, infatti, riferirò un aneddoto, vissuto personalmente da mio nonno nella prima guerra mondiale; un suo commilitone si gettò su una granata lanciata dagli Austriaci nel loro nido di mitragliatrici, facendone scudo col suo corpo, al fine di evitare che, esplodendo, essa potesse uccidere o ferire i suoi compagni.
Tecnicamente fu un "suicidio", perchè sia lui che mio nonno (che, a sua differenza, lo fece), si sarebbero comunque potuti salvare, abbassandosi sotto il rivellino retrostante l'affusto, mentre gli altri tre nella buca non avrebbero avuto alcuno scampo; ma non dubito affatto che quel generoso soldato, gettandosi suicidamente sulla bomba, sia andato dritto in Paradiso!
Ed infatti, Gesù disse pure: " ....non esiste un amore così grande, come quello di chi dona la sua vita per salvare quella dei suoi amici"(Giovanni 15,13).
In altre parole, quello che conta non è l'atto in sè (omicidio, suicidio ecc.), bensì il contesto, le sue motivazioni, ed il modo e il fine per cui lo si compie!
Quello solo importa!
Premesso quanto sopra, ovviamente, questo non significa AFFATTO giustificare qualunque tipo di suicidio; ed infatti, a mio avviso tale atto può essere determinato anche da motivi, per così dire, non solo non meritori...ma addirittura disdicevoli.
Ad esempio, a mio parere, se un imprenditore, per evitare il presunto "disonore" derivante da un fallimento economico, oppure da una condanna penale, si toglie la vita, lasciando a piangerlo la moglie e dei figli ancora bambini, indubbiamente commette un atto assolutamente riprovevole e da condannare; cioè, religiosamente parlando, commette un vero "peccato".
Sebbene, sarà sempre Dio a giudicare al riguardo...non certo io (nè nessun altro).
Tra il "suicidio meritevole" (quello del soldato del mio esempio), e quello del "suicidio condannabile" (quello dell'imprenditore), esiste però una vastissima gamma di ipotesi diverse, che andrebbero valutate caso per caso.
Quello che qui intendevo evidenziare, come, in via di principio, l'atto del "suicidio" non sia "in sè e per sè" condannabile, neanche alla luce delle sacre scritture.
Ovviamente (sempre che uno ci creda) ciascuno può interpretarle come crede; anche la Chiesa, ovviamente.
Però mi sembra norma di elementare buon senso, e di logica, non riconoscere alcun valore ad una procura, firmata dal solo procuratore (o sedicente tale); quale, appunto, è la Chiesa Cattolica, che ha lo stesso diritto di interpretare Bibbia e Vangelo di quello che ho io...fino a prova contraria.
Ma, questo, è un altro discorso!
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ASPETTI FILOSOFICI
Sotto il profilo che io qui definisco, genericamente, "filosofico", secondo me, la questione è alquanto più chiara (se non più semplice); ed infatti ritengo che il suicidio sia l'atto più "razionale" che un essere pensante possa compiere (quantomeno in determinate circostanze).
Ed infatti, quello della morte, è un <<dies incertus "quando" et "quomodo"...sed certus "an">>.
Per cui, in effetti, si può scegliere se restare celibi o se sposarsi (una delle peggiori forme di suicidio, forse :-) ), ma non si può certo scegliere "se" vivere "se" o morire; si può solo scegliere, eventualmente, "quando" e "come" morire...oppure lasciar fare al caso!
Rispetto ad altre scelte, peraltro, quella vita/morte offre un notevole vantaggio.
Ed infatti, restando all'esempio del matrimonio, uno può scegliere se sposarsi o restare celibe per tutta la vita; ma, in entrambi i casi, può rimpiangere, in futuro, la scelta fatta.
Nel caso della scelta tra la morte e la vita, invece:
- si può rimpiangere amaramente di non essere morti per tempo (ad esempio, nel caso in cui un genitore sopravviva ai propri figli);
- ma non si può in nessun caso rimpiangere di essere morti, perchè viene a mancare il soggetto del verbo rimpiangere (cioè, chi ancora non è nato o è già morto, non è in grado di dolersi di nulla).
Per cui, "eudaimonisticamente" parlando, IN TEORIA, la scelta di morire è sempre più "logicamente" conveniente della scelta di vivere:
- o perchè la vita è già attualmente fonte di sofferenza;
- oppure perchè, anche quando è attualmente fonte di gioia, la consapevolezza di poter perdere tale felicità da un momento all'altro, è anch'essa una forma di sofferenza.
Essendo morti, invece, non solo non si soffre più...ma non si può essere neanche in ansia per il rischio di soffrire (a volte, anche in modo straziante); sempre ovviamente, che si abbia sufficiente "immaginazione".
Non nego, infatti, che se si è abbastanza in salute, egoisti ed imbecilli, si può anche vivere abbastanza allegramente; però i primi due requisiti sono inutili, se manca il terzo.
:-)
Al riguardo, tanto per fare sfoggio di cultura, farò solo due citazioni:
"Ora dimmi, seguace di Dioniso, qual è la cosa migliore e più desiderabile per l'uomo?", domandò il re Mida al Sileno, e questi, costretto dalla sua insistenza, con voce stridula gli rispose: "Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è – morire presto".(F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, pp. 31-32)
«Non essere mai nati è la cosa migliore e la seconda, una volta venuti al mondo, tornare lì donde si è giunti.» (Sofocle, Edipo a Colono).
Che allegroni...ma non avevano tutti i torti!
:-)
Ovviamente, qui andrebbe incidentalmente affrontato il tema della sopravvivenza dopo la morte, ma richieremmo di andare "off topics" e di allargare troppo il discorso.
Personalmente, non ho la benchè minima idea di cosa possa esserci dopo la morte (ovviamente), ma sono sicurissimo di quello che non può esserci.
Mi si dirà: "Ma non è la stessa cosa?"
No, per niente!
Ad esempio, io non non ho la benchè minima idea di cosa possa esserci sul terzo pianeta del sistema di Alpha Centauri (ovviamente), ma sono sicurissimo di quello che non può esserci; ad esempio, sono sicurissimo che non ci sia una pizzeria, come quella sotto casa mia (o, almeno, che faccia la pizza così buona).
O meglio, teoricamente potrebbe anche esserci...ma lo ritengo alquanto improbabile (per usare un cauto eufemismo).
Per quanto concerne la cosidetta sopravvivenza dell'anima, invece, pur essendo io convinto (sia pur senza prove), che essa sopravviva, in quanto riassorbita dal SE' universale come un onda nel mare, nego però recisamente che possa sopravvivere "sub specie" di mente e consapevolezza individuale; quest'ultima, infatti, è troppo connessa alla struttura neurale del singolo cervello, per poter sopravvivere alla sua distruzione, così come non è più possibile leggere un libro dopo averlo bruciato.
;-)
Cioè, se mi togliete la mia memoria (conservata nei relativi centri cerebrali), i miei desideri (attivati dall'apparato ormonale), e la mia capacità di ragionare (ubicata nei centri di Broca e Vernicke), mi sembra inevitabile che il mio IO INDIVIDUALE, cessi definitivamente di esistere.
Per esempio:
- sei anni fa mi fratturai una gamba, per cui, per un certo tempo non potei camminare; per inferenza, quindi, mi sembra logico desumere che, se le gambe me le avessero tagliate, non avrei camminato mai più.
- quattro anni fa, subii un'operazione alla testa con anestesia totale, per cui, per un certo tempo non potei nè pensare nè essere consapevole di esistere; per inferenza, quindi, mi sembra logico desumere che, se la testa me l'avessero tagliata del tutto, non avrei pensato mai più, nè più sarei stato consapevole del me stesso (individuale).
:-)
Il mio ragionamento, insomma, è molto simile a quello di Simmia riguardo alla lira, nel Fedone di Platone; ragionamento che, invero, venne abilmente controbattutto da Socrate, con argomentazioni che, sinceramente, ho sempre ritenuto del tutto sofistiche e inconsistenti (FEDONE XXXVI).
Per cui, sono più che ragionevolmente sicuro che non potrò mai dire, come Achille nell'ADE: "Sappi che piuttosto che il re dei morti preferirei essere l'ultimo servo dei vivi." (Odisseo agli inferi: 2014).
Ma è naturale che tutti -me compreso- non riescono inconsciamente ad "accettare" l'idea di dover "finire"; mentre, invece, sia a livello fisico che di coscienza individuale, la cosa è inevitabile, perchè TUTTO QUELLO CHE HA UN INIZIO DEVE AVERE NECESSARIAMENTE UNA FINE (non esiste un bastone che possa avere un'unica estremità).
Noi, però, non riusciamo inconsciamente ad "accettare" l'idea di dover "finire", perchè è il nostro stesso "cervello-rettile" (amigdala o sistema limbico in generale, che dir si voglia) che ce lo impedisce; occorre un notevole sforzo razionale per rendersene conto.
Ed anche rendendosene conto, nessuno può suicidarsi smettendo di respirare!
:-)
Con questo non intendo certo sostenere che la cosa migliore sarebbe quella di suicidarci im massa (cosa che, peraltro, senza accorgercene, forse stiamo già facendo); dico solo che, se comunque non si perde NIENTE morendo -perchè non c'è più nessuno a potersi rammaricare di aver perso qualcosa- finchè la vita è degna di essere vissuta, tutto sommato tanto vale viverla ne migliore dei modi.
Sempre ricordando, però, come diceva Seneca, che:
" Non enim vivere bonum est, sed bene vivere" ("Non è un bene il vivere; ma è un bene solo il vivere bene").
Ovvero, come diceva Marziale: "Non est vivere, sed valere vita est" ("Vivere è vivere solo se si è in salute").
Per cui, se la vita diventa soltanto una inutile sofferenza, ritengo estremamente razionale togliersela; sempre che, così facendo, non si venga meno ad obblighi verso terzi (ad esempio, figli piccoli e genitori anziani).
In tal caso la vita, gradevole o meno che sia, secondo me diventa un "obbligo morale", abdicare dal quale sarebbe moralmente disdicevole; anche se occorre sempre giudicare caso per caso.
ATTENZIONE A CIO' DI CUI STIAMO PARLANDO!!!Ed infatti ho notato che, quando si parla di "SUICIDIO ASSISTITO", argomento molto di attualità, spesso si fa confusione tra l'"omicidio del consenziente" e l'"aiuto al suicido".Ed infatti, salvo modifiche normative, per ora si tratta di due diversi comportamenti illeciti, sanzionati in modo alquanto differente, da: ART.579 CP (OMICIDIO DEL CONSENZIENTE)"Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui , è punito con la reclusione da sei a quindici anni."ART.580 CP (ISTIGAZIONE E AIUTO AL SUICIDIO)"Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. "Dalla lettura delle due norme, in modo sostanzialmente paradossale (sebbene formalmente "logico"), molti desumono che interrompere "l'alimentazione e l'idratazione forzata" ad un degente paralizzato, su sua esplicita richiesta, "potrebbe" integrare il reato di cui all'art.579 cp, mentre, procurare un pozione letale ad un soggetto non paralizzato, integrerebbe l'art.580 cp.***Sono perfettamente d'accordo sulla seconda esegesi, ma non sulla prima, checchè ne sproloqui Quaglierello e compagnia cantante; ed infatti, secondo me, anche secondo la legge attuale (idioti protocolli degli ospedali a parte), l'interruzione della "alimentazione e idratazione forzata", non solo non configura alcuna fattispecie delittuosa, ma, semmai, potrebbe essere denunciato per "violenza privata"* chi si oppone alla interruzione.Ed infatti, l'art.32 della Costituzione prevede che NESSUNO PUO' ESSERE SOTTOPOSTO A TRATTAMENTO SANITARIO "CONTRO LA SUA VOLONTA", neanche se tale trattamento è necessario per salvargli la vita.Peraltro, tale principio deriva anche dalle seguenti fonti normative:- dell'art. 9 della Convenzione Internazionale sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina, stipulata ad Oviedo il 4 aprile 1997 e ratificata in Italia con legge n.145 del 28/03/2001, - dall'art. 1 della legge 180, nonchè dall'art.33 della legge 833/78, che prende in considerazione i trattamenti sanitari obbligatori (TSO) disposti per qualsiasi causa sanitaria, relativa ragioni di sicurezza pubblica; è ovvio, infatti, che, nel caso dei "pazzi pericolosi" e dei "malati infettivi", l'ordine e la tutela pubblica richiedono che il cittadino possa essere sottoposto a cure sanitarie anche "CONTRO LA SUA VOLONTA".Negli altri casi, invece, NO!Ma "l'alimentazione e l'idratazione forzata" configurano un "trattamento sanitario"?***La questione è controversa; ma, vedo, soprattutto per motivi ideologici e (pseudo)religiosi, e con argomentazioni (come quelle di Quagliariello), che, con tutto il rispetto, trovo palesemente paralogistiche.Ed infatti, negare che l'alimentazione e l'idratazione artificiali siano "trattamenti medici", è una posizione che puo' essere sostenuta solo da chi non sa quali conoscenze e competenze (anche farmacologiche) siano necessarie per praticarle; negare che siano atti medici avrebbe oltretutto il non trascurabile effetto collaterale di dover consentire a chiunque di praticarli. Cosa che, invece, è proibita dalle "leggi sanitarie".Senza considerare che, nelle soluzioni, non ci sono soltanto acqua e cibo, bensì un'infinità di farmaci di vario tipo.Peraltro, chi sostiene che alimentazione e idratazione artificiali non siano interventi medici sembra dedurne la conclusione che per ciò stesso debbano essere considerati obbligatori e possano essere imposti anche a chi li vorrebbe interrompere, come nel caso di mio padre; ma la libertà di decidere per se stessi non riguarda solo gli atti medici, ma tutto quello che viene fatto da altri su di noi. Anzi, secondo logica, la libertà di non accettare da altri interventi "non medici" dovrebbe esser superiore a quella di rifiutare le cure vere e proprie; mio padre (medico) morente di cancro, mi diceva: "Impedisci loro di mettermi le mani addosso...che mi lasciassero morire in pace!"Ed infatti, non essendo paralizzato, lui si sfilava da solo gli aghi delle fleboclisi, mentre gli infermieri si affrettavano a conficcarglieli di nuovo nelle vene, dicendo che quello era il "protocollo" (autentico comportamento cristiano); ad un certo punto, io mi interposi, impedendo loro "fisicamente", di accostarsi al letto.Loro minacciarono di chiamare la polizia, ma poi (anche perchè io stesso minacciai di chiamarla), desistettero; e, alla fine, mio padre morì, se non in pace, almeno un po' più in fretta e secondo natura.***Ed invero, la stessa Cassazione ha sancito che:" Non v'è dubbio alcuno che l'idratazione e l'alimentazione artificiali costituiscono un trattamento sanitario. Esse, infatti, integrano un trattamento che sottende un sapere scientifico, che è posto in essere da medici, anche se poi proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati come composto chimico implicanti procedure tecnologiche. Siffatta qualificazione è, del resto, convalidata dalla comunità scientifica internazionale, e si allinea, infine, agli orientamenti della giurisprudenza costituzionale". (CORTE DI CASSAZIONE Civile Sez. I, del 16 Ottobre 2007 Sentenza n. 21748).***NOTA:*ART.610 del codice penale :"Chiunque, con violenza o minaccia , costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni
Citazione di: Eutidemo il 16 Marzo 2017, 12:27:50 PM
E' quasi inutile premettere che, quello del suicidio (assistito e non), è un tema molto delicato e complesso, che coinvolge molti aspetti, dei quali non tutti possono essere approfonditamente trattati in questa sede.
Il suicidio non è un tema ne complesso né delicato, è semplicemente vietato
Comunque, in estrema sintesi, secondo me la questione può -e deve- essere principalmente esaminata sotto il profilo "etico-religioso" e sotto quello "filosofico-razionale"; nonchè, in sede di corollario, anche sotto quello "giuridico" (soprattutto per quanto concerne il suicidio assistito).
Possiamo esaminarlo sotto tutti profili che vogliamo ma l'unico che conta è quello spirituale.
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ASPETTI ETICI E RELIGIOSI
Anche in tale ambito, il tema potrebbe essere approcciato da varie prospettive, perchè, sul nostro pianeta, di religioni e di morali ce ne sono tante: "Cuius regio, eius et religio" (intendendo il motto in un senso un po' più ampio, di quello della Pace di Augusta del 1555).
Ad ogni modo, per non disperdermi troppo, mi limiterò alla religione cristiana.
Al riguardo, in effetti, in nessun punto del Vangelo (e della Bibbia in generale, se non mi sbaglio) è espressamente proibito il "suicidio" in quanto tale, nè è considerato "peccato"; il suicidio di Giuda, infatti, viene deprecato non tanto in sè e per sè, ma perchè -suicidandosi- Giuda manifestò di non credere che Gesù lo avrebbe perdonato per il suo tradimento (come invece fece Pietro, che anche lui lo aveva tradito).
Semmai, mediatamente, il divieto di suicidio dovrebbe intendersi implicito nel 5° Comandamento ( «Non uccidere»); e qui il discorso, secondo me, comincia a farsi interessante.
Ed infatti, citando Matteo 22,35-40: "... uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» E Gesù rispose: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti»."
Secondo te una persona che ama se stesso e il suo prossimo può uccidersi o può uccidere?
Certamente no, allora se ho l'obbligo di amarmi c'è nel contempo l'obbligo di non uccidermi. Questo qualora non ci bastasse il V comandamento.
Non so se qualcuno si è accorto che, in sostanza, Gesù, così dicendo, anticipa la distinzione che Emanuele Kant faceva tra "imperativi ipotetici" ed "imperativi categorici": i primi, in sostanza, possono tradursi in "se vuoi A devi fare B" , i secondi in "è A che devi comunque perseguire, a prescindere da B".
Secondo la mia interpretazione della Bibbia, quindi:
- i dieci comandamenti debbono considerarsi soltanto "imperativi ipotetici" (prescrizionali);
- i due comandamenti di Gesù, invece, costituiscono i soli veri "imperativi categorici" alla realizzazione dei quali i primi sono meramente strumentali.
"Ama e fai ciò che vuoi" è una delle frasi più celebri di sant'Agostino, ispirata da San Paolo.
In effetti, anche la Chiesa Cattolica (sia pure non espressamente) aderisce a questa mia esegesi.
Al riguardo, ad esempio, ricordo soltanto la dottrina cattolica sul "Tirannicidio"; la quale, sotto tale aspetto, ritenne -e tutt'ora ritiene- l'"omicidio" addirittura un "punto in più" per guadagnarsi il Paradiso, nel caso in cui esso sia "strumentale" per ottenere un bene superiore.
Solo per citare il più illustre teologo cattolico, Tommaso d'Aquino, costui, nel "commento alle Sentenze di Pietro Lombardo" non considera affatto peccato, bensì eccellente merito, quello di "...colui che libera il suo Paese uccidendo un tiranno."; non a caso Stauffenberg, che tentò invano di uccidere Hitler, era un fervente cattolico.
Se ne desume, quindi, che, il V comandamento (non uccidere), non costituisce affatto un imperativo "categorico", bensì uno meramente "ipotetico"; e lo stesso vale per il "suicidio", come il meno sta al più.
Al riguardo, infatti, riferirò un aneddoto, vissuto personalmente da mio nonno nella prima guerra mondiale; un suo commilitone si gettò su una granata lanciata dagli Austriaci nel loro nido di mitragliatrici, facendone scudo col suo corpo, al fine di evitare che, esplodendo, essa potesse uccidere o ferire i suoi compagni.
Tecnicamente fu un "suicidio", perchè sia lui che mio nonno (che, a sua differenza, lo fece), si sarebbero comunque potuti salvare, abbassandosi sotto il rivellino retrostante l'affusto, mentre gli altri tre nella buca non avrebbero avuto alcuno scampo; ma non dubito affatto che quel generoso soldato, gettandosi suicidamente sulla bomba, sia andato dritto in Paradiso!
Se trovi una ragione cotanto nobile, alla prima occasione fallo anche tu.
Ed infatti, Gesù disse pure: " ....non esiste un amore così grande, come quello di chi dona la sua vita per salvare quella dei suoi amici"(Giovanni 15,13).
In altre parole, quello che conta non è l'atto in sè (omicidio, suicidio ecc.), bensì il contesto, le sue motivazioni, ed il modo e il fine per cui lo si compie!
Quello solo importa!
Premesso quanto sopra, ovviamente, questo non significa AFFATTO giustificare qualunque tipo di suicidio; ed infatti, a mio avviso tale atto può essere determinato anche da motivi, per così dire, non solo non meritori...ma addirittura disdicevoli.
Non dobbiamo confondere l'omicidio che è un gesto di odio verso se stessi, con l'atto di amore di chi offre se stesso come sacrificio vivo per salvare altri- anche gli apostoli hanno offerto loro stessi ma per portare il Santo vangelo nel mondo. Questo è suicidio?
La vita è il tempo che ci viene dato per salvare la nostra anima, se la concludiamo anzitempo o la togliamo ad altri, facciamo un grosso sbaglio perché ci priviamo o priviamo altri del giusto tempo necessario per la salvezza stessa.
Partendo da questo presupposto la risposta non può che essere no. La nostra vita possiamo offrirla però per amore di altri perché se offriamo noi stessi per altri vuol dire che siamo arrivati all'amore. Chi è arrivato all'amore è salvo.
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Citazione di: giona2068 il 16 Marzo 2017, 16:00:57 PM
Citazione di: Eutidemo il 16 Marzo 2017, 12:27:50 PM
Il suicidio non è un tema ne complesso né delicato, è semplicemente vietato
CitazionePer la serie: "Credere, obbedire, combattere!"
Secondo te una persona che ama se stesso e il suo prossimo può uccidersi o può uccidere?
Certamente no, allora se ho l'obbligo di amarmi c'è nel contempo l'obbligo di non uccidermi. Questo qualora non ci bastasse il V comandamento.
CitazioneCertamente allora sì.
Infatti per esempio Francesco Baracca, a quanto pare, si uccise perché, dal momento che amava se stesso, volle evitarsi il supplizio di essere bruciato vivo.
Al riguardo, infatti, riferirò un aneddoto, vissuto personalmente da mio nonno nella prima guerra mondiale; un suo commilitone si gettò su una granata lanciata dagli Austriaci nel loro nido di mitragliatrici, facendone scudo col suo corpo, al fine di evitare che, esplodendo, essa potesse uccidere o ferire i suoi compagni.
Tecnicamente fu un "suicidio", perchè sia lui che mio nonno (che, a sua differenza, lo fece), si sarebbero comunque potuti salvare, abbassandosi sotto il rivellino retrostante l'affusto, mentre gli altri tre nella buca non avrebbero avuto alcuno scampo; ma non dubito affatto che quel generoso soldato, gettandosi suicidamente sulla bomba, sia andato dritto in Paradiso! (Eutidemo)
Se trovi una ragione cotanto nobile, alla prima occasione fallo anche tu.
CitazionePer quanto riguarda me (Sgiombo; non Eutidemo, col quale mi scuso per l' interferenza), vorrei avere la forza d' animo e l' altruismo per farlo, se capitasse l' occasione (ma ancor più vorrei che non mi capitasse).
Non dobbiamo confondere l'omicidio che è un gesto di odio verso se stessi, con l'atto di amore di chi offre se stesso come sacrificio vivo per salvare altri- anche gli apostoli hanno offerto loro stessi ma per portare il Santo vangelo nel mondo. Questo è suicidio?
La vita è il tempo che ci viene dato per salvare la nostra anima, se la concludiamo anzitempo o la togliamo ad altri, facciamo un grosso sbaglio perché ci priviamo o priviamo altri del giusto tempo necessario per la salvezza stessa.
Partendo da questo presupposto la risposta non può che essere no. La nostra vita possiamo offrirla però per amore di altri perché se offriamo noi stessi per altri vuol dire che siamo arrivati all'amore. Chi è arrivato all'amore è salvo.
CitazioneNon ripeto le chiarissime argomentazioni che già Eutidemo ha svolto (a quanto pare inutilmente) per spiegare la differenza fra suicidio "altruistico" e altruistico non sottrarsi alla morte da altri arrecata.
Mi limito solo a notare che quelle che esponi sono le tue più che legittime, insindacabili aspirazioni, che hai tutto il diritto di mettere in pratica.
Ma anche aspirazioni contrarie (quella di abbreviare le proprie sofferenze con l' eutanasia) sono altrettanto legittime e insindacabili e chiunque lo desideri (dunque non tu) dovrebbe (secondo giustizia) avere parimenti tutto il diritto di metterle in pratica.
Citazione di: sgiombo il 16 Marzo 2017, 17:01:58 PM
Citazione di: giona2068 il 16 Marzo 2017, 16:00:57 PM
Citazione di: Eutidemo il 16 Marzo 2017, 12:27:50 PM
Il suicidio non è un tema ne complesso né delicato, è semplicemente vietato
CitazionePer la serie: "Credere, obbedire, combattere!"
Secondo te una persona che ama se stesso e il suo prossimo può uccidersi o può uccidere?
Certamente no, allora se ho l'obbligo di amarmi c'è nel contempo l'obbligo di non uccidermi. Questo qualora non ci bastasse il V comandamento.
CitazioneCertamente allora sì.
Infatti per esempio Francesco Baracca, a quanto pare, si uccise perché, dal momento che amava se stesso, volle evitarsi il supplizio di essere bruciato vivo.
Al riguardo, infatti, riferirò un aneddoto, vissuto personalmente da mio nonno nella prima guerra mondiale; un suo commilitone si gettò su una granata lanciata dagli Austriaci nel loro nido di mitragliatrici, facendone scudo col suo corpo, al fine di evitare che, esplodendo, essa potesse uccidere o ferire i suoi compagni.
Tecnicamente fu un "suicidio", perchè sia lui che mio nonno (che, a sua differenza, lo fece), si sarebbero comunque potuti salvare, abbassandosi sotto il rivellino retrostante l'affusto, mentre gli altri tre nella buca non avrebbero avuto alcuno scampo; ma non dubito affatto che quel generoso soldato, gettandosi suicidamente sulla bomba, sia andato dritto in Paradiso! (Eutidemo)
Se trovi una ragione cotanto nobile, alla prima occasione fallo anche tu.
CitazionePer quanto riguarda me (Sgiombo; non Eutidemo, col quale mi scuso per l' interferenza), vorrei avere la forza d' animo e l' altruismo per farlo, se capitasse l' occasione (ma ancor più vorrei che non mi capitasse).
Non dobbiamo confondere l'omicidio che è un gesto di odio verso se stessi, con l'atto di amore di chi offre se stesso come sacrificio vivo per salvare altri- anche gli apostoli hanno offerto loro stessi ma per portare il Santo vangelo nel mondo. Questo è suicidio?
La vita è il tempo che ci viene dato per salvare la nostra anima, se la concludiamo anzitempo o la togliamo ad altri, facciamo un grosso sbaglio perché ci priviamo o priviamo altri del giusto tempo necessario per la salvezza stessa.
Partendo da questo presupposto la risposta non può che essere no. La nostra vita possiamo offrirla però per amore di altri perché se offriamo noi stessi per altri vuol dire che siamo arrivati all'amore. Chi è arrivato all'amore è salvo.
CitazioneNon ripeto le chiarissime argomentazioni che già Eutidemo ha svolto (a quanto pare inutilmente) per spiegare la differenza fra suicidio "altruistico" e altruistico non sottrarsi alla morte da altri arrecata.
Mi limito solo a notare che quelle che esponi sono le tue più che legittime, insindacabili aspirazioni, che hai tutto il diritto di mettere in pratica.
Ma anche aspirazioni contrarie (quella di abbreviare le proprie sofferenze con l' eutanasia) sono altrettanto legittime e insindacabili e chiunque lo desideri (dunque non tu) dovrebbe (secondo giustizia) avere parimenti tutto il diritto di metterle in pratica.
Carissimo Sgiombo, ti faccio notare che Francesco Baracca - da te citato - non scelse fra la vita e la morte, bensì fra un tipo di morte ed un'altra. In ogni caso non poteva evitare la morte stessa.
Dici che quanto da me affermato è più che legittimo e che è altrettanto legittimo il contrario. Ora posta che legittimo vuol dire conforme alla legge, nel mio caso la legge sono le Sacre scritture, per chi afferma il contrario l'asserto a quale legge è conforme?
Potresti dire che è legittimo secondo il codice delle leggi umane, ma il nostro discorso mira a stabilire propria la capacita di legiferare o meno in materia. Non possiamo cioè sviluppare una tesi avvalendoci della conclusione che fa comodo prima ancora di arrivare ad alla conclusione stessa.
In ogni caso una legge umana ancora non c'è in Italia.
Speriamo che non venga approvata in futuro.
Personalmente, secondo il mio esperito, consiglio a tutti di non scherzare con il mondo spirituale che è terribile per chi non vuole o non può riconoscerlo.
Citazione di: giona2068 il 16 Marzo 2017, 18:44:19 PM
Carissimo Sgiombo, ti faccio notare che Francesco Baracca - da te citato - non scelse fra la vita e la morte, bensì fra un tipo di morte ed un'altra. In ogni caso non poteva evitare la morte stessa.
CitazioneIn ogni caso nessun uomo può evitare la morte.
Ma può aspettarla o anticiparsela attivamente: in ques' utimo caso di tratta di "suicidio"; ed é precisamente ciò che, a quanto si sa, fu fatto da Francesco Baracca (e certamente anche da altri in circostanze analoghe).
E se, come dici, "Il suicidio non è un tema ne complesso né delicato, è semplicemente vietato", allora Francesco Baracca lo perpetrò, violando il (presunto) divieto e scegliendo di anticipare attivamente la propria morte anziché "aspettarla da Dio (per chi ci crede), cosa che gli avrebbe imposto un orrendo supplizio: dal momento che si voleva bene se lo evitò suicidandosi.
Dici che quanto da me affermato è più che legittimo e che è altrettanto legittimo il contrario. Ora posta che legittimo vuol dire conforme alla legge, nel mio caso la legge sono le Sacre scritture, per chi afferma il contrario l'asserto a quale legge è conforme?
Potresti dire che è legittimo secondo il codice delle leggi umane, ma il nostro discorso mira a stabilire propria la capacita di legiferare o meno in materia. Non possiamo cioè sviluppare una tesi avvalendoci della conclusione che fa comodo prima ancora di arrivare ad alla conclusione stessa.
In ogni caso una legge umana ancora non c'è in Italia.
Speriamo che non venga approvata in futuro.
Personalmente, secondo il mio esperito, consiglio a tutti di non scherzare con il mondo spirituale che è terribile per chi non vuole o non può riconoscerlo.
CitazioneMi sembrava del tutto evidente che ho impiegato il termine "legittimo" in senso non letterale ma come "che é del tutto moralmente giusto poter fare"; che una legge su eutanasia, accanimento terapeutico, suicidio assistito, testamento biologico non c' é in Italia é del tutto ovvio: é ben di questo che si sta discutendo nel forum (e in molte altre sedi, perché questi problemi sono gravi e attualissimi).
Hai colto, perfettamente "il senso del dissenso": per te le "leggi" non sono quelle dello Stato, bensì quelle (peraltro ampiamente autocontraddittorie) delle sacre scritture.
Per me invece questo non é un atteggiamento "civile" e socialmente corretto (nel nostro mondo attuale) e invece si devono stabilire leggi vincolanti per tutti (credenti e non) e dunque accettabili e osservabili da parte di tutti (se appena possibile senza conflitti di coscienza).
Per Sgiombo
Il problema non è la legge degli uomini, questa che ci sia oppure no non cambia niente, né per i credenti né per i non credenti. Come ben sai a due passi dall'Italia si può andare a suicidarsi anche se noi non abbiamo una legge che lo permetta.
La legge degli uomini a questo riguardo altro non sarebbe che una giustificazione e come tutte le giustificazioni non risolve il problema. Voler o non vivere è una decisione talmente personale che nessuna legge, se non quella della vita stessa, può regolamentarla.
Anche se ci fosse la legge che consente il suicidio potrei non avvalermene e viceversa.
Per non continuare a girarci attorno, dobbiamo rispondere a questa domanda: Gli umani hanno o no il diritto di togliersi la vita? La risposta è no perché non c'è nessuna legge, che non sia umana, che lo consente. Visto che il principio è che è consentito tutto ciò che non è vietato, in questo caso c'è il divieto previsto dal comandamento.
Citazione di: giona2068 il 17 Marzo 2017, 10:27:52 AM
Per Sgiombo
Il problema non è la legge degli uomini, questa che ci sia oppure no non cambia niente, né per i credenti né per i non credenti. Come ben sai a due passi dall'Italia si può andare a suicidarsi anche se noi non abbiamo una legge che lo permetta.
La legge degli uomini a questo riguardo altro non sarebbe che una giustificazione e come tutte le giustificazioni non risolve il problema. Voler o non vivere è una decisione talmente personale che nessuna legge, se non quella della vita stessa, può regolamentarla.
Anche se ci fosse la legge che consente il suicidio potrei non avvalermene e viceversa.
Per non continuare a girarci attorno, dobbiamo rispondere a questa domanda: Gli umani hanno o no il diritto di togliersi la vita? La risposta è no perché non c'è nessuna legge, che non sia umana, che lo consente. Visto che il principio è che è consentito tutto ciò che non è vietato, in questo caso c'è il divieto previsto dal comandamento.
CitazioneChe ci sia no una legge (in fatto di eutanasia, fine vita, ecc., e anche in generale, circa tante altre questioni) per me cambia moltissimo: é la differenza fra barbarie e civiltà!
E in particolare c' é una bella differenza fra la possibilità solo per chi può permetterselo di andare a procurarsi il suicido assistito in Svizzera ad alto prezzo e la possibilità per chiunque lo desideri (senza obbligare nessuno!) di ottenerlo poco lontano da da casa e senza spendere un patrimonio (che magari non si possiede; o se lo si possiede lasciandolo invece agli eredi).
Poi si capisce bene che tu personalmente poni i comandamenti (da te ritenuti) divini al di sopra di qualsiasi legge; ma questa é una tua scelta personale sulla quale non vedo come si possa discutere (una -improbabile- discussione dovrebbe vertere sul fatto di credere o meno alla tua fede religiosa).
Quello che interessa noi "laici" (o non teocratici; anche credenti!) é invece proprio la legge dello Stato (ovvero "dgli uomini"; senza la quale vigerebbe la "legge" della giungla) e che deve essere il più possibile condivisa e comunque valida erga omnes (credenti e non alla stessa maniera).
Citazione di: sgiombo il 17 Marzo 2017, 16:03:27 PM
Citazione di: giona2068 il 17 Marzo 2017, 10:27:52 AM
Per Sgiombo
Il problema non è la legge degli uomini, questa che ci sia oppure no non cambia niente, né per i credenti né per i non credenti. Come ben sai a due passi dall'Italia si può andare a suicidarsi anche se noi non abbiamo una legge che lo permetta.
La legge degli uomini a questo riguardo altro non sarebbe che una giustificazione e come tutte le giustificazioni non risolve il problema. Voler o non vivere è una decisione talmente personale che nessuna legge, se non quella della vita stessa, può regolamentarla.
Anche se ci fosse la legge che consente il suicidio potrei non avvalermene e viceversa.
Per non continuare a girarci attorno, dobbiamo rispondere a questa domanda: Gli umani hanno o no il diritto di togliersi la vita? La risposta è no perché non c'è nessuna legge, che non sia umana, che lo consente. Visto che il principio è che è consentito tutto ciò che non è vietato, in questo caso c'è il divieto previsto dal comandamento.
CitazioneChe ci sia no una legge (in fatto di eutanasia, fine vita, ecc., e anche in generale, circa tante altre questioni) per me cambia moltissimo: é la differenza fra barbarie e civiltà!
E in particolare c' é una bella differenza fra la possibilità solo per chi può permetterselo di andare a procurarsi il suicido assistito in Svizzera ad alto prezzo e la possibilità per chiunque lo desideri (senza obbligare nessuno!) di ottenerlo poco lontano da da casa e senza spendere un patrimonio (che magari non si possiede; o se lo si possiede lasciandolo invece agli eredi).
Poi si capisce bene che tu personalmente poni i comandamenti (da te ritenuti) divini al di sopra di qualsiasi legge; ma questa é una tua scelta personale sulla quale non vedo come si possa discutere (una -improbabile- discussione dovrebbe vertere sul fatto di credere o meno alla tua fede religiosa).
Quello che interessa noi "laici" (o non teocratici; anche credenti!) é invece proprio la legge dello Stato (ovvero "dgli uomini"; senza la quale vigerebbe la "legge" della giungla) e che deve essere il più possibile condivisa e comunque valida erga omnes (credenti e non alla stessa maniera).
Ma cosa stai dicendo? Nessuno ha detto che delle leggi degli uomini se può fare a meno, ma noi non stiamo parlando di assenza o meno delle leggi umane bensì della vigenza o meno della legge sull'eutanasia, ossia di una solo legge e per giunta iniqua.
Anche se questa legge ad oggi non c'è non mi pare che siamo in una giungla.
La legge degli uomini che auspichi sia approvata e che abbia validità erga omnes è eventualmente una legge che consente il suicidio non che lo blocca (questo è già tutto dire), quindi ai credenti non interessa perché non se ne avvarranno mai, anzi interessa solo perchè non vorrebbero vedere i propri fratelli andare all'inferno per la loro volontà.
In ogni caso attieniti pure alle leggi umane e vediamo se il giorno che sarà potranno salvarti!
Citazione di: giona2068 il 17 Marzo 2017, 19:52:14 PM
Citazione di: sgiombo il 17 Marzo 2017, 16:03:27 PM
Citazione di: giona2068 il 17 Marzo 2017, 10:27:52 AM
Per Sgiombo
Ma cosa stai dicendo? Nessuno ha detto che delle leggi degli uomini se può fare a meno, ma noi non stiamo parlando di assenza o meno delle leggi umane bensì della vigenza o meno della legge sull'eutanasia, ossia di una solo legge e per giunta iniqua (Giona).
CitazioneSgiombo:
L' hai appena detto (anzi: scritto) tu!
Questo é un semplice copia-incolla dal tuo precedente intervento #97 (evidenziazioni in grassetto mie):
"Il problema non è la legge degli uomini, questa che ci sia oppure no non cambia niente, né per i credenti né per i non credenti".
Anche se questa legge ad oggi non c'è non mi pare che siamo in una giungla (Giona).
CitazioneSgiombo:
Senza essere nella giungla per l' assenza di questa legge (cosa che non ho mai sostenuto; ci saremmo invece se vigesse il principio da te sostenuto per il quale "Che ci sia la legge degli uomini oppure no non cambierebbe nulla"!) ci sono situazioni drammatiche di persone che soffrono terribilmente e (secondo il mio parere opposto al tuo) ingiustissimamente per questa assenza.
Giona:
La legge degli uomini che auspichi sia approvata e che abbia validità erga omnes è eventualmente una legge che consente il suicidio non che lo blocca (questo è già tutto dire), quindi ai credenti non interessa perché non se ne avvarranno mai, anzi interessa solo perchè non vorrebbero vedere i propri fratelli andare all'inferno per la loro volontà.
In ogni caso attieniti pure alle leggi umane e vediamo se il giorno che sarà potranno salvarti!
CitazioneSgiombo:
Esatto!
E' proprio tutto dire!
Sarebbe (se ci fosse)' una legge che consente qualcosa a chi lo desidera, senza fare del male agli altri e non obbliga nessuno a fare ciò che non vuole (salvo prevaricare la libertà altrui, necessario limite alla libertà propria).
Ti informo, se non te ne sei accorto, che questo non é un forum riservato ai soli cristiani fondamentalisti "che non vorrebbero vedere i propri fratelli andare all' inferno contro la propria volontà", ma invece aperto a tutti.
Dunque vi si può discutere anche di ciò che non interessa ai cristiani fondamentalisti (ma intressa ad altri, fra i quali non pochi -per fortuna!- cristiani tolleranti).
Mamma mia, che paura ! ! !
...Quasi quasi mi faccio esorcizzare!
Caro Sgiombo,
mettiamoci d'accordo sui termini e cioè: La legge degli uomini nelle varie materie che possono riguardarla è indispensabile, ma è irrilevante per i credenti che ci sia o meno la legge che consente l'eutanasia, perché loro non si suicideranno in ogni caso.
Quando parli di giungla in assenza di legge mi pare che ti riferisca alla legge che a riguarda il suicidio "assistito" - meglio sarebbe chiamarlo allestito - perché parli di "noi laici e non teocratici", questo è inconcepibile perché fino ad oggi non siamo stati giungla nonostante la mancanza di legge sul suicidio "allestito".
Sarebbe in ogni caso opportuno una tua moderazione dei termini evitando le parole: fondamentalisti e/o intolleranti altrimenti finisci per essere tu un intollerante.
Hai ribadito che questo è un forum aperto a tutti, ma dal momento che siamo sotto il titolo di "Tematiche spirituali", dovresti quantomeno non meravigliarti che si parla secondo lo Spirito.
Non sono io eventualmente l'inappropriato, è più probabile che lo sia tu.
Citazione di: giona2068 il 17 Marzo 2017, 22:24:50 PM
Caro Sgiombo,
mettiamoci d'accordo sui termini e cioè: La legge degli uomini nelle varie materie che possono riguardarla è indispensabile, ma è irrilevante per i credenti che ci sia o meno la legge che consente l'eutanasia, perché loro non si suicideranno in ogni caso.
Quando parli di giungla in assenza di legge mi pare che ti riferisca alla legge che a riguarda il suicidio "assistito"
CitazioneMa quando mai ! ! !
Sei tu che hai scritto che (in generale, senza alcuna determinazione; e non circa il suicidio assistito, l' eutanasia, il testamento biologico, ecc.) "Il problema non è la legge degli uomini, questa che ci sia oppure no non cambia niente, né per i credenti né per i non credenti".
E io ho negato questa assurda affermazione generale sulla "legge degli uomini" (e non solo sulla legge sul testamento biologico, l' eutanasia o il suicidio assistito o "allestito"!
- meglio sarebbe chiamarlo allestito - perché parli di "noi laici e non teocratici", questo è inconcepibile perché fino ad oggi non siamo stati giungla nonostante la mancanza di legge sul suicidio "allestito".
Sarebbe in ogni caso opportuno una tua moderazione dei termini evitando le parole: fondamentalisti e/o intolleranti altrimenti finisci per essere tu un intollerante.
Hai ribadito che questo è un forum aperto a tutti, ma dal momento che siamo sotto il titolo di "Tematiche spirituali", dovresti quantomeno non meravigliarti che si parla secondo lo Spirito.
Non sono io eventualmente l'inappropriato, è più probabile che lo sia tu.
CitazioneMa quando mai per non essere tacciato di intolleranza ci si dovrebbe astenere dal valutare ed esprimere le proprie convinzioni?
"Intollerante" é l' atteggiamento di chi come te vuole imporre la propria volontà agli altri per legge "onde evitare che vadano all' inferno per la loro volontà" (e questo é ciò che comunemente viene detto "fondamentalismo").
No, guarda che (per chi non sia intollerante) anche un ateo (come io sono, per la cronaca) e perfino un materialista (quale io non sono, per la cronaca) ha tutto il diritto di parlare di "spiritualità" e di qualsiasi altra cosa; in generale e in particolare in questo forum, per fortuna!
Citazione di: sgiombo il 17 Marzo 2017, 22:56:32 PM
Citazione di: giona2068 il 17 Marzo 2017, 22:24:50 PM
Caro Sgiombo,
mettiamoci d'accordo sui termini e cioè: La legge degli uomini nelle varie materie che possono riguardarla è indispensabile, ma è irrilevante per i credenti che ci sia o meno la legge che consente l'eutanasia, perché loro non si suicideranno in ogni caso.
Quando parli di giungla in assenza di legge mi pare che ti riferisca alla legge che a riguarda il suicidio "assistito"
CitazioneMa quando mai ! ! !
Sei tu che hai scritto che (in generale, senza alcuna determinazione; e non circa il suicidio assistito, l' eutanasia, il testamento biologico, ecc.) "Il problema non è la legge degli uomini, questa che ci sia oppure no non cambia niente, né per i credenti né per i non credenti".
E io ho negato questa assurda affermazione generale sulla "legge degli uomini" (e non solo sulla legge sul testamento biologico, l' eutanasia o il suicidio assistito o "allestito"!
- meglio sarebbe chiamarlo allestito - perché parli di "noi laici e non teocratici", questo è inconcepibile perché fino ad oggi non siamo stati giungla nonostante la mancanza di legge sul suicidio "allestito".
Sarebbe in ogni caso opportuno una tua moderazione dei termini evitando le parole: fondamentalisti e/o intolleranti altrimenti finisci per essere tu un intollerante.
Hai ribadito che questo è un forum aperto a tutti, ma dal momento che siamo sotto il titolo di "Tematiche spirituali", dovresti quantomeno non meravigliarti che si parla secondo lo Spirito.
Non sono io eventualmente l'inappropriato, è più probabile che lo sia tu.
CitazioneMa quando mai per non essere tacciato di intolleranza ci si dovrebbe astenere dal valutare ed esprimere le proprie convinzioni?
"Intollerante" é l' atteggiamento di chi come te vuole imporre la propria volontà agli altri per legge "onde evitare che vadano all' inferno per la loro volontà" (e questo é ciò che comunemente viene detto "fondamentalismo").
No, guarda che (per chi non sia intollerante) anche un ateo (come io sono, per la cronaca) e perfino un materialista (quale io non sono, per la cronaca) ha tutto il diritto di parlare di "spiritualità" e di qualsiasi altra cosa; in generale e in particolare in questo forum, per fortuna!
Ma tu ci sei o ci fai?
Ti riporto l'affermazione che non riesci a capire:
" Il problema non è la legge degli uomini, questa che ci sia oppure no non cambia niente, né per i credenti né per i non credenti. Come ben sai a due passi dall'Italia si può andare a suicidarsi anche se noi non abbiamo una legge che lo permetta."
Sto dicendo in altri termini che chi decide di suicidarsi lo può fare con o senza la legge italiana che glielo permette. Sulla decisione non influisce la legge italiana perché si fa presto ad arrivare in Svizzera! Volendo si può obiettare che costa, ma questo è un problema superabile perché le varie associazioni danno una mano.
Se tagli il discorso consegue che capisci ciò che non ho detto, il riferimento alla Svizzera è di per se esplicativo.
Intollerante è chi vuole imporre la propria volontà, d'accordo, ma ora devi spiegarmi quale potere di coercizione avrei io seduto dietro ad una tastiera nel dialogare con persone lontane da me e che non vedrò mai in faccia.
Per piacere risparmiati i termini dei quali non conosci il significato.
Citazione di: giona2068 il 17 Marzo 2017, 23:28:04 PM
Ma tu ci sei o ci fai?
Ti riporto l'affermazione che non riesci a capire:
" Il problema non è la legge degli uomini, questa che ci sia oppure no non cambia niente, né per i credenti né per i non credenti. Come ben sai a due passi dall'Italia si può andare a suicidarsi anche se noi non abbiamo una legge che lo permetta."
Sto dicendo in altri termini che chi decide di suicidarsi lo può fare con o senza la legge italiana che glielo permette. Sulla decisione non influisce la legge italiana perché si fa presto ad arrivare in Svizzera! Volendo si può obiettare che costa, ma questo è un problema superabile perché le varie associazioni danno una mano.
Se tagli il discorso consegue che capisci ciò che non ho detto, il riferimento alla Svizzera è di per se esplicativo.
CitazioneMa bene!
Mi fa piacere che tu non sia poi così fondamentalista come mi era sembrato!
Evidentemente su altre questioni diverse da quelle del "fine vita", come per esempio su divorzio, aborto, adulterio, furto, falsa testimonianza (per citarne solo alcune) le leggi "degli uomini" (cioé dello Stato), contano anche per te.
Intollerante è chi vuole imporre la propria volontà, d'accordo, ma ora devi spiegarmi quale potere di coercizione avrei io seduto dietro ad una tastiera nel dialogare con persone lontane da me e che non vedrò mai in faccia.
Per piacere risparmiati i termini dei quali non conosci il significato.
Citazione
Va bene.
Non avevo capito; avevo inteso certe tue perentorie affermazioni come "Il suicidio non è un tema ne complesso né delicato, è semplicemente vietato" o "Gli umani hanno o no il diritto di togliersi la vita? La risposta è no perché non c'è nessuna legge, che non sia umana, che lo consente. Visto che il principio è che è consentito tutto ciò che non è vietato, in questo caso c'è il divieto previsto dal comandamento", nonché, come la pretesa di imporre tutto ciò per legge) come la pretesa di imporre questi comportamenti, per legge o anche contro la legge ("che non fa differenza") anche ai non credenti.
Hai fatto bene a precisare che invece li consideravi obblighi solo per chi crede alla religione cristiana secondo la chiesa Cattolica.
Come vedi c' ero e non ci facevo (= ti avevo frainteso e non distorto deliberatamente le tue affermazioni).