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LOGOS - Argomenti => Tematiche Spirituali => Discussione aperta da: daniele75 il 23 Aprile 2020, 06:49:30 AM

Titolo: L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 23 Aprile 2020, 06:49:30 AM
Migliaia di voci, insegnamenti, maestri, amici, parenti, tv, internet, esperienze personali, intuizioni hanno contribuito a formare il tuo Io. Oggi continui la sperimentazione, decidi in base alla memoria dove le migliaia di voci parlano ancora. Sei una piccola scintilla di energia che viaggia tra i neuroni, tra i byte della memoria, a scovare cosa è giusto o sbagliato. Ti aggrappi alla cultura con tutte le tue forze, non vuoi cadere nel vuoto, hai bisogno di una stabilità, anche se illusoria. Hai bisogno di un Dio, di uno scopo, tutto deve avere un senso logico, anche se non c'è. Dov'è il libero arbitrio? Sballottato tra una credenza e l'altra, trascinato dalla corrente dei desideri, dal piacere, dagli istinti. È come un sogno la realtà, un sogno ad occhi aperti. Chi sono io? Uno scolaro eterno che studia comportamenti e teorie altrui? L'io trova sempre una risposta a tutto, non importa se sia illusoria, deve dare stabilità, deve dirigere l'orchestra, deve eseguire l'operazione, seguire lo spartito Delle credenze...e l'improvvisazione? Pochi vi riescono. Se decade l'io cosa resta? Il vuoto? La pazzia? Niente di tutto ciò, compara la realtà, che siamo film proiettati su una coscienza stabile, nata vuota. Una coscienza, uno schermo nero dove tutta la vita scorre nello spazio tempo. Il ritorno nel nulla è la morte in vita, siamo affezionati ad un io inesistente, ad un nome anagrafico, ad una mente che per il 95% è automatica. Morire in vita è una massima, una realizzazione. Chi sono io?
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: bobmax il 23 Aprile 2020, 09:51:34 AM
Sì, la realtà è un sogno.

Ma è proprio nel suo essere un sogno, che è racchiuso tutto il suo valore.

Se non fosse un sogno, la vita non sarebbe altro che vuoto meccanismo. Cioè un nulla assoluto.

Mentre essendo un sogno, rimanda al Nulla fonte di infinite possibilità!
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Ipazia il 23 Aprile 2020, 11:21:42 AM
Carlo Sini ci convive bene con questa "illusione" e, un tantino sogghignante, ce la spiega con parole alate (...l'infinito spettacolo... la stratificazione... corpi, strumenti, discorsi...) qui dal minuto 43,30 al 45,30.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: cvc il 23 Aprile 2020, 12:04:49 PM
Je pense, donc je suis. Neanche chi ha messo in dubbio l'esistenza del reale ha potuto dubitare l'esistenza di un essere  pensante con un'identità di sè. Una forza assimilatrice che ha necessità di assimilare a se il mondo circostante per continuare ad essere, come un organismo ha bisogno di cibo per continuare a vivere. Il concetto di realtà è uno strumento di adattamento quanto lo è l'illusione. Organizzarsi per adattarsi, adattarsi per assimilare, assimilare per continuare ad essere, continuare ad essere perchè non possiamo farne a meno. Anche il suicidio è una forma di preservazione di sè.
Tutto qui? No, ci sono le illusioni. Grazie a Dio.

Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 23 Aprile 2020, 16:06:13 PM
Citazione di: cvc il 23 Aprile 2020, 12:04:49 PM
Je pense, donc je suis. Neanche chi ha messo in dubbio l'esistenza del reale ha potuto dubitare l'esistenza di un essere  pensante con un'identità di sè.
Citazione


In realtà, mentre Cartesio si é fermato di fronte al dubbio circa l' esistenza del sé come soggetto del (proprio) pensiero, entità reale anche indipendentmente dall' esistenza reale dei (propri) pensieri (anche quando si dorme senza sognare per esempio), più conseguentemente David Hume ha mostrato che nemmeno questo "sé" o "io" é sicuro nella sua esistenza reale, che anche di esso é lecito dubitare, che nulla può dimostrarne l' esistenza in aggiunta agli immediati dati fenomenici di coscienza (mentali: "cogito"; e materiali: vedo; tocco, odo, ecc.; la "prima persona singolare é solo un accidente grammaticale, benissimo sostituibile dalla forma impersonale: cogitatur, si vede, si tocca, si ode...).


CitazioneAnche il suicidio è una forma di preservazione di sè.



A me non pare proprio!
Al contrario!
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: cvc il 23 Aprile 2020, 18:29:52 PM
Citazione di: giopap il 23 Aprile 2020, 16:06:13 PM
Citazione di: cvc il 23 Aprile 2020, 12:04:49 PM
Je pense, donc je suis. Neanche chi ha messo in dubbio l'esistenza del reale ha potuto dubitare l'esistenza di un essere  pensante con un'identità di sè.
Citazione


In realtà, mentre Cartesio si é fermato di fronte al dubbio circa l' esistenza del sé come soggetto del (proprio) pensiero, entità reale anche indipendentmente dall' esistenza reale dei (propri) pensieri (anche quando si dorme senza sognare per esempio), più conseguentemente David Hume ha mostrato che nemmeno questo "sé" o "io" é sicuro nella sua esistenza reale, che anche di esso é lecito dubitare, che nulla può dimostrarne l' esistenza in aggiunta agli immediati dati fenomenici di coscienza (mentali: "cogito"; e materiali: vedo; tocco, odo, ecc.; la "prima persona singolare é solo un accidente grammaticale, benissimo sostituibile dalla forma impersonale: cogitatur, si vede, si tocca, si ode...).


CitazioneAnche il suicidio è una forma di preservazione di sè.



A me non pare proprio!
Al contrario!


Hume ha messo in dubbio l'esistenza dell'Io. Non so quanti sia riuscito a convincere se dopo due secoli è nata la psicologia la quale si fonda in gran parte sull'Io. Io di Hume ho letto ben poco e quel poco non mi ha convinto. Nella percezione c'è già dentro l'Io.

Ci si suicida per preservare la propria integrità o per preservarsi dal dolore.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 23 Aprile 2020, 18:41:38 PM
Se uno percepisce che l'io di per sè è un sogno, si libera dell'attaccamento ad esso, di conseguenza non temerà la morte....anche il corpo in realtà non è "tuo", tu interagisci con esso, ma in maggior percentuale esso è automatico. Esiste solo di per certo una coscienza di base che ognuno ha sin dalla nascita, un insieme di input istintivi e una memoria vuota, essa sarà presente sinché c'è carne. Si può dedurre che la vita è una, suddivisa dal sogno dell io.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: iano il 23 Aprile 2020, 20:22:07 PM
Quando suona l'allarme , il problema non è l'allarme.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 23 Aprile 2020, 21:27:49 PM
Citazione di: cvc il 23 Aprile 2020, 18:29:52 PM

giopap:
In realtà, mentre Cartesio si é fermato di fronte al dubbio circa l' esistenza del sé come soggetto del (proprio) pensiero, entità reale anche indipendentmente dall' esistenza reale dei (propri) pensieri (anche quando si dorme senza sognare per esempio), più conseguentemente David Hume ha mostrato che nemmeno questo "sé" o "io" é sicuro nella sua esistenza reale, che anche di esso é lecito dubitare, che nulla può dimostrarne l' esistenza in aggiunta agli immediati dati fenomenici di coscienza (mentali: "cogito"; e materiali: vedo; tocco, odo, ecc.; la "prima persona singolare é solo un accidente grammaticale, benissimo sostituibile dalla forma impersonale: cogitatur, si vede, si tocca, si ode...).


CitazioneCVC:
Anche il suicidio è una forma di preservazione di sè.


giopap:

A me non pare proprio!
Al contrario!


CVC:
Hume ha messo in dubbio l'esistenza dell'Io. Non so quanti sia riuscito a convincere se dopo due secoli è nata la psicologia la quale si fonda in gran parte sull'Io. Io di Hume ho letto ben poco e quel poco non mi ha convinto. Nella percezione c'è già dentro l'Io.

Ci si suicida per preservare la propria integrità o per preservarsi dal dolore.


giopap:
A me non mi ha convinto per niente proprio la psicologia, che mi sembra decisamente brancolare nel buio (peraltro, poiché Hume non ha negato la realtà del soggetto di esperienza cosciente, ma invece ne ha rilevato l' indimostrabilità, le sua filosofia non sarebbe teoricamente compatibile con una scienza umana della psicologia, se questa esistesse positivamente come tale anziché brancolare nel buio).


Nella percezione non c' é "dentro" (non necessariamente) nessun io.
Quando tu percepisci una montagna, ovvero hai delle sensazioni di quella montagna tu (se ci sei; come credo, ma é indimostrabile) non sei dentro le tue sensazioni di quella montagna, ma invece altrove, per esempio giù a valle o su in cima.
Casomai l' io si può postulare, ipotizzare, anche credere come soggetto della percezione da essa diverso, dal momento che lo si ritiene reale anche indipendentemente dalle sensazioni, anche quando non ha sensazioni.


Suicidandosi si fa l' esatto contrario che preservare la propria integrità come persona vivente (se esiste, come credo, per lo meno nel caso nostro, ma non si può dimostrare; e di solito lo si fa proprio per porre fine al doloe (l' esatto contrario di "preservarlo".)

Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: viator il 23 Aprile 2020, 21:30:13 PM
Salve cvc e giopap . Citando cvc : "Anche il suicidio è una forma di preservazione di sè".


Secondo quella che io considero una logica perfettamente razionale, dò ragione a cvc.



L'atto del suicidio rappresenta una scelta dell' "io" il quale decide (non ha importanza se a torto o a ragione) la soppressione del corpo (e la conseguente perdita di coscienza/identità) quale unico modo di fare cessare la sofferenza del sè o di evitare la prospettiva futura di attese sofferenze del sè.


Se non è volontà di autotutela questa......................!! Saluti.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 23 Aprile 2020, 22:27:49 PM
Citazione di: viator il 23 Aprile 2020, 21:30:13 PM
Salve cvc e giopap . Citando cvc : "Anche il suicidio è una forma di preservazione di sè".


Secondo quella che io considero una logica perfettamente razionale, dò ragione a cvc.



L'atto del suicidio rappresenta una scelta dell' "io" il quale decide (non ha importanza se a torto o a ragione) la soppressione del corpo (e la conseguente perdita di coscienza/identità) quale unico modo di fare cessare la sofferenza del sè o di evitare la prospettiva futura di attese sofferenze del sè.


Se non è volontà di autotutela questa......................!! Saluti.


..............................E' tutela dalla propria sofferenza attraverso l' annullamento di se stessi (la cui esistenza non é dimostrabile; il che non significa che non si possa credere indimostrabilmente che ci siano).


Come volevasi dimostrare (da parte mia).


Caro Viator, hai un concetto tutto tuo personale di quello che pretenderesti fosse "razionalità".
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 24 Aprile 2020, 04:21:18 AM
Il suicidio quasi sempre è una conseguenza di uno stato mentale alterato, almeno che non si ha una via d'uscita ad un dolore insopportabile. Il suicidio porta ad uno stato di sonno profondo senza sogni ne percezioni, va contro l istinto di sopravvivenza, va contro la vita. È un attimo che la mente esca dai binari della lucidità, oppure è anche vero che un estrema consapevolezza può portare a rinunciare al sogno, in quanto incubo. Preferirei usare stupefacenti che uccidermi, sarebbe una morte più dolce.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: cvc il 24 Aprile 2020, 09:00:24 AM
Giopap, Viator, Davide 75

Come detto non sono un[size=78%] esperto di Hume, però la sua concezione di percezione mi pare un tantino superata. Nella sua interpretazione mi sembra che consideri la percezione come una monade di significato, mentre al giorno d'oggi la si considera come un processo, cosa che già presuppone una precedente organizzazione psichica di un organismo composto da più parti ma con uno scopo unitario, La conservazione di sè.[/size]

A me sta bene che si consideri l'Io come un'illusione. Ma non è un'illusione più o meno futile come possono essere gli elefanti rosa o gli unicorni volanti. L'Io è funzione del nostro comportamento, in ragione dell'Io compiamo azioni concrete. Quindi illusione si ed anche no.

Adesso non volevo fare l'accademico del suicidio, anche se per via indiretta ne so qualcosa. Che sia una scelta razionale, ragionata, non lo posso dubitare. Nessuno prende alla leggera l'idea della morte nel momento in cui deve essere lui ad infliggersela. Non è una scelta tipo smettere di fumare o quale vestito indossare.

Non si tratta di scegliere fra suicidarsi o usare stupefacenti.  Cosa che chi si suicida spesso già fa.

Saluti
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Ipazia il 24 Aprile 2020, 10:31:44 AM
Se la psicologia brancola nel buio, figurarsi il resto. Si va dall'animismo alla robotica. Almeno la triade freudiana Es-Io-SuperIo, ha una sua riscontrabilità fenomenologica nella costituzione della personalità umana, cosa che tutte le ciance meta- o meglio pata- fisiche non hanno.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 24 Aprile 2020, 12:54:55 PM
cvc:
Come detto non sono un[size=78%] esperto di Hume, però la sua concezione di percezione mi pare un tantino superata. Nella sua interpretazione mi sembra che consideri la percezione come una monade di significato, mentre al giorno d'oggi la si considera come un processo, cosa che già presuppone una precedente organizzazione psichica di un organismo composto da più parti ma con uno scopo unitario, La conservazione di sè

giopap:
Trovo oscuro il tuo linguaggio.
Per Hume percezione é qualsiasi dato o evento presente alla coscienza, accadente nell' ambito del "complessivo flusso della coscienza"; considerare in proposito singoli elementi "atomici" oppure "polimorfi", variegati insiemi - successioni di eventi (sensazioni coscienti) mi sembra frutto di una scelta arbitraria de- (quei peculiari eventi sensibili -"interiori"- di coscienza che costituiscono) il pensiero che vi fa attenzione e "ci ragiona su".
E che nulla può dimostrare necessiti di alcuna precedente organizzazione psichica di un organismo composto da più parti ma con uno scopo unitario, La conservazione di sè.




cvc:
A me sta bene che si consideri l'Io come un'illusione. Ma non è un'illusione più o meno futile come possono essere gli elefanti rosa o gli unicorni volanti. L'Io è funzione del nostro comportamento, in ragione dell'Io compiamo azioni concrete. Quindi illusione si ed anche no.

giopap:
Io non considero l' io come un' illusione ma coma qualcosa di ben reale.
Solo mi rendo conto che questa é una convinzione arbitraria, indimostrabile, "fideistica".
E per me stessa molto importante.
Potrebbe benissimo essere illusoria, ma credo ugualmente che sia reale.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 24 Aprile 2020, 12:56:27 PM
Citazione di: Ipazia il 24 Aprile 2020, 10:31:44 AM
Se la psicologia brancola nel buio, figurarsi il resto. Si va dall'animismo alla robotica. Almeno la triade freudiana Es-Io-SuperIo, ha una sua riscontrabilità fenomenologica nella costituzione della personalità umana, cosa che tutte le ciance meta- o meglio pata- fisiche non hanno.


Questa pretesa riscontrabilità fenomenologica non ce la vedo proprio.
Esattamente come quella di tutte le ciance di tutti gli altri ciarlatani irrazionalisti e antiscientifici.

Anche se devo confessare (senza problemi; non me ne vergogno affatto) che *di* Freud e degli altri psicoanalisti non ho letto nulla.
Mi é bastato e avanzato quello che *ne* ho letto (anche da parte di seguaci e apologeti).

Quindi non sono oggettivamente nella condizione di discutere (né mi interessa farlo) su queste teorie (le quali peraltro secondo me non guariscono mai nessuno dei tanti cui spillano tanti soldi, se non forse, in casi fortunatissimi e rarissimi, per effetto placebo).
E inoltre, come sostenuto fra gli altri da Popper, non sono falsificabili o corroborabili empiricamente secondo i criteri della scienza.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 24 Aprile 2020, 13:06:42 PM
Credere che l'io sia reale è normale per una mente logica. Ma per quella intuitiva no. Anche un psicotico nella sua pazzia vive in un mondo reale anche se fantastico. Basti vedere la "fede", improvvisa su realtà fantastiche. La mente è soggetta a credere alla fantasia, vuole risposte e odia l'insoluto. La realtà è un interpretazione che ci offrono i cinque sensi e i meccanismi mentali soggiogati da una cultura troppo razionale. Fantasia e realtà possono condividere lo stesso spazio mentale. Quindi non si può trovare una risposta logico filosofica ma solo intuitiva.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: cvc il 24 Aprile 2020, 13:24:48 PM
Citazione di: giopap il 24 Aprile 2020, 12:54:55 PM
cvc:
Come detto non sono un[size=78%] esperto di Hume, però la sua concezione di percezione mi pare un tantino superata. Nella sua interpretazione mi sembra che consideri la percezione come una monade di significato, mentre al giorno d'oggi la si considera come un processo, cosa che già presuppone una precedente organizzazione psichica di un organismo composto da più parti ma con uno scopo unitario, La conservazione di sè

giopap:
Trovo oscuro il tuo linguaggio.
Per Hume percezione é qualsiasi dato o evento presente alla coscienza, accadente nell' ambito del "complessivo flusso della coscienza"; considerare in proposito singoli elementi "atomici" oppure "polimorfi", variegati insiemi - successioni di eventi (sensazioni coscienti) mi sembra frutto di una scelta arbitraria de- (quei peculiari eventi sensibili -"interiori"- di coscienza che costituiscono) il pensiero che vi fa attenzione e "ci ragiona su".
E che nulla può dimostrare necessiti di alcuna precedente organizzazione psichica di un organismo composto da più parti ma con uno scopo unitario, La conservazione di sè.




cvc:
A me sta bene che si consideri l'Io come un'illusione. Ma non è un'illusione più o meno futile come possono essere gli elefanti rosa o gli unicorni volanti. L'Io è funzione del nostro comportamento, in ragione dell'Io compiamo azioni concrete. Quindi illusione si ed anche no.

giopap:
Io non considero l' io come un' illusione ma coma qualcosa di ben reale.
Solo mi rendo conto che questa é una convinzione arbitraria, indimostrabile, "fideistica".
E per me stessa molto importante.
Potrebbe benissimo essere illusoria, ma credo ugualmente che sia reale.
La percezione è una funzione dell'organismo, non è semplicemente un contenuto della coscienza, è il processo attraverso cui i dati sensoriali vengono acquisiti dal cervello. Se non siamo daccordo su questo, allora è inutile qualsiasi ulteriore sviluppo di questo discorso. Sicuramente saremo daccordo o potremo confrontarci su tante altre cose.



Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 24 Aprile 2020, 13:28:04 PM
Accetto solo che ci sia una piccola predisposizione ad interagire con la mente. Ma comunque illusoria, e ripete alla nausea teorie altrui.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 24 Aprile 2020, 18:50:57 PM
Citazione di: cvc il 24 Aprile 2020, 13:24:48 PM
La percezione è una funzione dell'organismo, non è semplicemente un contenuto della coscienza, è il processo attraverso cui i dati sensoriali vengono acquisiti dal cervello. Se non siamo daccordo su questo, allora è inutile qualsiasi ulteriore sviluppo di questo discorso. Sicuramente saremo daccordo o potremo confrontarci su tante altre cose.

Come spesso accade, per comprendersi, al limite del possibile, nei rispettivi punti di consenso e di dissenso bisogna preliminarmente intendersi (accordarsi) sul significato che attribuiamo ai termini indicanti (simbolizzanti) i concetti che usiamo.

Ci sono almeno due cose che si possono intendere per "percezione".
Una é il dato di coscienza fenomenico (immediato); un' altra é il processo fisiologico (neurologico) dell' acquisizione dei dati sensoriali dal cervello.
Il secondo é comunque una nozione (o una teoria) costituita da dati di coscienza fenomenici immediati e/o inferenze svolte a partire da dati di coscienza fenomenici immediati (induzioni, deduzioni, abduzioni in generale verificati empiricamente, se scientificamente validati, mediante confronto empirico con dati di coscienza fenomenici immediati).
Si può anche postulare che a determinati eventi neurologici cerebrali (costituiti da dati di coscienza fenomenici immediati e/o inferenze svolte a partire da dati di coscienza fenomenici immediati ed empiricamente verificati nell' ambito dell' esperienza cosciente di un osservatore-conoscitore) conseguenti alla percezione intesa come il processo neurofisiologico dell' acquisizione dei dati sensoriali dal cervello, coesistano in rapporto di biunivoca corrispondenza determinate percezioni intese come dati fenomenici immediati nell' ambito di un' altra, diversa esperienza cosciente, quella di un osservato-conosciuto.

Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 24 Aprile 2020, 19:03:02 PM
Citazione di: daniele75 il 24 Aprile 2020, 13:28:04 PM
Accetto solo che ci sia una piccola predisposizione ad interagire con la mente. Ma comunque illusoria, e ripete alla nausea teorie altrui.


Segnalo il mio dissenso (di più non credo si possa fare, dal momento che sia da parte mia che da parte tua si tratta di tendenze comportamentali immediatamente avvertite e vissute, non dimostrabili razionalmente essere vero o false né essere preferibili o meno da parte di altri).


Per parte mia ho un' elevata considerazione della ragione e una scarsa dell' intuizione irrazionale come mezzi per raggiungere una conoscenza vera della realtà.
Le risposte che personalmente cerco sono razionali (logiche, filosofiche e scientifiche; forse anche di altra natura), sottoponibili a da sottoporre per quanto possibile al dubbio e alla dimostrazione, logica e/o empirica secondo i casi, di verità o falsità (o al limite alla constatazione dell' indimostratezza, e magari dell' indimostrabilità); e non intuitive, immediatamente avvertite e credute come vere, senza sottoporle a critica razionale.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 24 Aprile 2020, 19:06:53 PM
Citazione di: giopap il 24 Aprile 2020, 19:03:02 PM
Citazione di: daniele75 il 24 Aprile 2020, 13:28:04 PM
Accetto solo che ci sia una piccola predisposizione ad interagire con la mente. Ma comunque illusoria, e ripete alla nausea teorie altrui.


Segnalo il mio dissenso (di più non credo si possa fare, dal momento che sia da parte mia che da parte tua si tratta di tendenze comportamentali immediatamente avvertite e vissute, non dimostrabili razionalmente essere vero o false né essere preferibili o meno da parte di altri).


Per parte mia ho un' elevata considerazione della ragione e una scarsa dell' intuizione irrazionale come mezzi per raggiungere una conoscenza vera della realtà.
Le risposte che personalmente cerco sono razionali (logiche, filosofiche e scientifiche; forse anche di altra natura), sottoponibili a da sottoporre per quanto possibile al dubbio e alla dimostrazione, logica e/o empirica secondo i casi, di verità o falsità (o al limite alla constatazione dell' indimostratezza, e magari dell' indimostrabilità); e non intuitive, immediatamente avvertite e credute come vere, senza sottoporle a critica razionale.


Mi dispiace il raziocinio non è in grado di capire certe cose, perché esso stesso è un sogno. Basti pensare ai geni, che venivano compresi dopo anni anni dalla loro scoperta. Quindi se vuoi che l io venga riconosciuto come un illusione aspetta 20 anni
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 24 Aprile 2020, 19:15:28 PM
Citazione di: daniele75 il 24 Aprile 2020, 19:06:53 PM


Mi dispiace il raziocinio non è in grado di capire certe cose, perché esso stesso è un sogno. Basti pensare ai geni, che venivano compresi dopo anni anni dalla loro scoperta. Quindi se vuoi che l io venga riconosciuto come un illusione aspetta 20 anni


Invece per i ciarlatani irrazionalisti basta molto meno per essere sbugiardati.


E comunque per me che l' io sia un' illusione (o meno) deve essere comunque tassativamente dimostrato razionalmente, adesso, fra vent' anni (quando sarò quasi sicuramente già morta da tempo) o anche (se per assurdo ci fossi ancora) di qui all' eternità.


Ripeto: si tratta di due indimostrabili tendenze comportamentali diverse fra me e te, per cui é perfettamente inutile tentare di convincerci a vicenda (per lo meno con ragionamenti; forse con esperienze di vita...).
Perciò se tu vuoi perdere tempo, fai pure; io d' ora in poi me ne asterrò comunque.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: viator il 24 Aprile 2020, 19:51:20 PM
Salve giopap. Citandoti : "Ci sono almeno due cose che si possono intendere per "percezione". Una é il dato di coscienza fenomenico (immediato); un' altra é il processo fisiologico (neurologico) dell' acquisizione dei dati sensoriali dal cervello".

Io, davanti a due cose, cercherei di distinguerle tra loro cominciando dal nome.
Per questo definirei il processo biologico della trasmissione del segnale (attraverso i cinque sensi) come "percezione" mentre il dato di coscienza lo chiamerei "consapevolezza".


Prendila come la proposta di un'ignorante. Saluti.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 24 Aprile 2020, 19:58:52 PM
Citazione di: viator il 24 Aprile 2020, 19:51:20 PM
Salve giopap. Citandoti : "Ci sono almeno due cose che si possono intendere per "percezione". Una é il dato di coscienza fenomenico (immediato); un' altra é il processo fisiologico (neurologico) dell' acquisizione dei dati sensoriali dal cervello".

Io, davanti a due cose, cercherei di distinguerle tra loro cominciando dal nome.
Per questo definirei il processo biologico della trasmissione del segnale (attraverso i cinque sensi) come "percezione" mentre il dato di coscienza lo chiamerei "consapevolezza".


Prendila come la proposta di un'ignorante. Saluti.


Personalmente preferirei usare "percezione" nel senso nel quale da secoli é stato (intelligentissimamente) usato dai filosofi empiristi e dai loro seguaci in varia misura e a vario titolo (i neurofisiologi sono arrivati dopo e se fossero "cavalieri" si dovrebbero adattare alle scelte di chi li ha preceduti).

Comunque contano i concetti e non le parole. Basta mettersi d' accordo in un modo o nell' altro.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 24 Aprile 2020, 20:06:40 PM
Affermare che l'io (per come mi pare inteso nel topic) è un modello interpretativo, una categoria di un certo paradigma di senso, non richiede particolare "intuizione" (jolly retorico di molte metafisiche pigre) ed è una conclusione piuttosto razionale (v. psicologia, antropologia, etc.), oltre che, per ora, non falsificata (lo sarebbe se avessimo trovato un io che è qualcosa di più concreto e tangibile di un concetto socialmente condiviso; se l'io esiste su altri piani d'esistenza, l'onere della prova non spetterebbe comunque ai "disillusi che ci vedono un'illusione").

I modelli interpretativi sono illusioni? In un certo senso sì, come sono illusione il valore del denaro, la scansione dell'anno in stagioni, etc. ad un livello convenzionale socio-antropologico, esistono l'io, il valore del denaro, le stagioni, con i corrispondenti referenti materiali, ovvero il soggetto senziente (e parlante), banconote e monete, determinate tendenze metereologiche. Tuttavia all'esistenza di tali referenti empirici non corrisponde inversamente la necessità del "senso" che gli viene attribuito dai suddetti modelli interpretativi. Modelli che dettano le regole del "gioco di società" di riferimento e quindi ne fondano dissimulatamente l'illusione (da in-ludere, affine a "stare al gioco").
Per dirla in soldoni: il mio essere Phil, è un'illusione? Sotto molti aspetti lo è, tuttavia nel forum e per accedere al forum è necessario che io "sia" Phil, dando "vita" a tale "identità" che, guardata da fuori del forum, è palesemente un'illusione e per nulla necessaria.

Per dirla invece parodiando i Veda (che non sono Topolino, semmai sono un topolino che fa scappare l'elefante della parabola dei sei ciechi): c'è più pericolo nello scambiare la corda per il serpente oppure il serpente per la corda?
Nel mondo empirico esterno al soggetto non esiste il "contenuto" dell'illusione; eppure, per esser tale, l'illusione deve esser "contenuta" (quindi esistere concettualmente) nell'occhio/mente del soggetto che guarda il mondo.
Finché restiamo nella dualità serpente/corda, soggetto/mondo, etc. stiamo al gioco della realtà convenzionale; quando non vediamo più la dualità serpente/corda, allora non abbiamo più nemmeno un linguaggio per parlarne. Se proviamo ad aprir bocca, ridiamo immediatamente un'identità al serpente, alla corda, all'io parlante, etc. anche se il nostro parlare consiste proprio nel dire che "in realtà" non esistono, (se non) in quanto illusioni.
Per non stare al gioco delle culture convenzionali, bisognerebbe ritirarsi nella foresta e vivere come eremiti; è altresi possibile continuare a vivere in tali culture, ma con una silenziosa consapevolezza, fra delusione e disillusione (consapevolezza che, per me, non ha nulla di "spirituale", essendo appunto basata su constatazioni e osservazioni linguistico-socio-antropologiche).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 24 Aprile 2020, 20:12:57 PM
Esatto. Condivido la parte dei veda
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 25 Aprile 2020, 06:27:51 AM
La corda che sembra un serpente, una volta che il serpente scompare prendi consapevolezza della corda, della sua stessa natura illusoria, suddivisi la corda in tante fibre e troverai altro, sino alla riconnessione con il vuoto. È come intuire il sé, dopo l'intuizione non esiste parola, o il sé scomparirà. Per comprendere quello che scrivo bisogna usare l'intuito, vi appariranno immagini, poi il tutto, l uno, l in permanente, l oceano senza onde duali.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 25 Aprile 2020, 06:32:58 AM

* E' questo il classico esempio del Vedanta che spiega l'inganno della percezione, ovvero scambiare una fune arrotolata che giace al suolo per un serpente.
Il Vedanta definisce tre livelli della realtà: il reale, l'irreale e il non-reale.
Il reale è costituito da ciò che esiste nelle tre dimensioni del tempo: il passato, il presente ed il futuro. E' chiamato sat o, semplicemente, l'esistente e non può essere negato. Un esempio di qualcosa di reale è il se, il nostro stato naturale.
In contrasto con il reale c'è l'irreale, ciò che non può essere osservato in alcuno dei periodi temporali. E' chiamato asat o non-esistente. Un tipico esempio di qualcosa di non-esistente è un cerchio quadrato.

C'è poi un terzo stato intermedio fra il reale e l'irreale, chiamato il non-reale, ovvero qualcosa che è possibile osservare talvolta ma non sempre. Non è assolutamente reale come il se, né assolutamente irreale come un cerchio quadrato. E' in questo spazio intermedio che prende forma la percezione nel buio della corda come serpente, con tutte le sue conseguenze sul soggetto. Alla luce, tuttavia, la corda è riconosciuta e la paura del serpente scompare. dunque, il serpente proiettato sulla corda è esistito nel buio e ha cessato di esistere nella luce. Tali due esperienze sono state rese possibili dalla avarna-sakti (la capacità di nascondere ciò che è reale a causa del buio) e la vikshepa sakti (la capacità della mente di proiettare il serpente sulla corda).
La proiezione del serpente, tuttavia, non sarebbe possibile senza la presenza della corda come suo substrato o base. Per questo motivo il serpente non è né reale né irreale. Nell'Advaita è detto mithya. Attenzione a definirlo come un'illusione, poiché per la persona che lo ha intravisto nel buio esso è altamente reale, mentre non lo è per un'altra persona che ha visto la fune nella luce.
Il serpente è dunque aropita, sovraimposto alla fune, che è adishthana, il substrato.
Allo stesso modo, secondo il Vedanta, il mondo percepibile che ci appare così reale è sovraimposto al Brahman, la realtà ultima, e persiste fino a quando sorge la luce della consapevolezza della verità.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 25 Aprile 2020, 12:33:19 PM
Citazione di: daniele75 il 25 Aprile 2020, 06:32:58 AM
secondo il Vedanta, il mondo percepibile che ci appare così reale è sovraimposto al Brahman, la realtà ultima, e persiste fino a quando sorge la luce della consapevolezza della verità.
Parlando di «Brahman», «realtà ultima», «verità», etc. si continua ad identificare; dove c'è identità c'è al contempo dualità: x e non-x. L'espediente di sostenere che "x è il tutto", l'unica realtà, omnicomprensiva, omnipervasiva, etc. rende inintelligibile tale x, e da qui deriva il ricorso al jolly dell'intuizione extra-razionale (con conseguente problematica del come indurre tale "illuminata" intuizione negli altri: se non si può usare il discorso, non ha senso discutere ed invitare ad "usare l'intuito"; ecco perché ci sono yoga, tantra, zazen, etc.).

Risolvere la dualità e la molteplicità in un Uno assoluto, significa assecondare l'horror vacui e mettere un tappo, a cui appoggiarsi, per riempire tale vuoto; vuoto che tu stesso, corroborato da tutta la scienza contemporanea, hai rilevato:
Citazione di: daniele75 il 25 Aprile 2020, 06:27:51 AM
La corda che sembra un serpente, una volta che il serpente scompare prendi consapevolezza della corda, della sua stessa natura illusoria, suddivisi la corda in tante fibre e troverai altro, sino alla riconnessione con il vuoto.
Nella sua "dimensione" (pre)logico-concettuale, direi che tale vuoto non è "fatto" né di verità ultima, né di realtà, né di altre categorie discorsivo-narrativo-mitologiche, proprio perché ne è vuoto.
Secondo me non si tratta tanto (o solo) di un vuoto quantistico o ontologico, ma perlopiù di un vuoto logico-narrativo, a suo modo "infantile" (forse eco della pura "ragione" prelogica dei neonati), in cui sospendendo l'identificazione, non c'è nulla di logicizzabile, ragionabile, etc. (come suggerirà lo zen molti secoli dopo i Veda).
Ci troviamo dunque dentro il comico paradosso di star qui a "parlare del vuoto di parole".
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 25 Aprile 2020, 13:43:15 PM
Con questo ultimo commento si potrebbe chiudere il topic, chi è grado di intendere intenda
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: viator il 25 Aprile 2020, 14:18:56 PM
Salve ragazzi. Non so se quanto ora estraggo dall'intervento di Daniele75 rappresenti una testuale citazione dal Vedanta oppure una libera estrapolazione di qualcuno :
"In contrasto con il reale c'è l'irreale, ciò che non può essere osservato in alcuno dei periodi temporali. E' chiamato asat o non-esistente. Un tipico esempio di qualcosa di non-esistente è un cerchio quadrato".


Si afferma che ci sia qualcosa (l'irreale) che non risulta osservabile e contemporaneamente risulterebbe non-esistente. E ALLORA COME FAREBBE AD ESSERCI ? Saluti.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 25 Aprile 2020, 14:35:45 PM
Citazione di: viator il 25 Aprile 2020, 14:18:56 PM
Salve ragazzi. Non so se quanto ora estraggo dall'intervento di Daniele75 rappresenti una testuale citazione dal Vedanta oppure una libera estrapolazione di qualcuno :
"In contrasto con il reale c'è l'irreale, ciò che non può essere osservato in alcuno dei periodi temporali. E' chiamato asat o non-esistente. Un tipico esempio di qualcosa di non-esistente è un cerchio quadrato".


Si afferma che ci sia qualcosa (l'irreale) che non risulta osservabile e contemporaneamente risulterebbe non-esistente. E ALLORA COME FAREBBE AD ESSERCI ? Saluti.


Non è così. Non si può esprimere con la dualità, cadresti nell inganno. Immagina il sé come un fumo cosmico costituito da atomi e vuoto. Questa materia siamo noi, ma esclusi il noi, tu sei quello, esclusi il tu.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: viator il 25 Aprile 2020, 15:23:10 PM
Salve Daniele75. Ma quante palle verdi, rosse e gialle ! Ma quante migliaia di ore di meditazione, lettura di antichissimi testi in lingue massimamente ostiche. Il tutto per raggiungere la mistica illuminazione circa ciò che è il sè.


L'io per me, il tu per te, l'essi per loro. il sè per tutti......................rappresenta ciò che resta di me (di te, di loro, di tutti) una volta che io (tu, loro, tutti) mi sia separato da tutto ciò che è separabile da me.


IO sono il mio corpo privato di tutti le sue parti materiali non necessarie alla sopravvivenza del corpo stesso..............inoltre privato anche di  fegato, reni, polmoni. cuore (organi indispensabili alla vita corporale), i quali al limite potranno anche venir sostituiti da organi meccanici..................a questo punto io diventerei solamente un cervello, ma................addirittura io potrei restare me stesso anche sostituendo il mio cervello con un nuovo organo artificiale a me "estraneo".........sarà sufficiente che tale nuovo organo riesca a svolgere tutte le funzioni precedentemente svolte dal mio cervello .............ipotesi estremamente ardita ma in assoluto non escludibile.


Ma allora, insomma, il me in cosa consisterebbe ?


Io sono il mio istinto+la mia memoria+la mia coscienza+il mio intelletto+ forse qualche altra funzione, il cui insieme si chiama FORMA PSICOMENTALE, cioè quella struttura che permette di ottenere lo scopo consistente nel realizzare la consapevolezza di me stesso.



Se al posto del mio cervello biologico venisse installato un adeguato "hardware" corredato di adatto "software" che - assieme - realizzino la stessa identica FORMA (cioè di insieme di relazioni strutturali e funzionali) che esistono ora nel mio cervello biologico.....................ecco che io continuerei ad essere consapevole di me stesso e - se il tutto venisse connesso al mio corpo biologico o a cio che possa SOSTITUIRE EFFICACEMENTE il mio corpo biologico..................io continuerei o riprenderei tranquillamente a sperimentare sia la mia identità che l'esperienza della vita di contatto con il mondo esterno.


Naturalmente una simile ricostruzione è oggi del tutto fuori della realtà, ma ciò non significa che sia fuori dalla VERITA', intendendo che essa - se la realtà cambiasse e permettesse ciò che ora non è possibile.................secondo me mostrerebbe dove si nasconde l'aspetto materiale di ciò che ora consideriamo immateriale. Saluti.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 25 Aprile 2020, 15:33:36 PM
Escludendo il me, cade tutto. Tu ti puoi percepire come me, come nel buio la corda può essere percepita come un serpente. Se accendi la luce vedrai la corda.Acendi la luce è vedrai il me come un film, dove tu pensi di essere il protagonista ma in realtà sei lo spettatore sotto effetti di stupefacenti culturali.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: viator il 25 Aprile 2020, 16:10:45 PM
Salve daniele75. Chissà se mi spiegherai tu come sottrarmi alla dipendenza degli stupefacenti culturali. Tu naturalmente sarai come i preti, che sanno benissimo come gli altri devono comportarsi nel confronti (ad esempio) del sesso senza però averlo personalmente mai sperimentato. Saluti.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 25 Aprile 2020, 16:34:29 PM
Citazione di: viator il 25 Aprile 2020, 16:10:45 PM
Salve daniele75. Chissà se mi spiegherai tu come sottrarmi alla dipendenza degli stupefacenti culturali. Tu naturalmente sarai come i preti, che sanno benissimo come gli altri devono comportarsi nel confronti (ad esempio) del sesso senza però averlo personalmente mai sperimentato. Saluti.


Sai quanti insegnamenti risuonano nel nostro cervello? Tantissimi, e tu chi saresti? Il direttore d'orchestra? Muovi Delle bacchette e i musicisti suonano? Al massimo ripeti a memoria testi e spiegazioni, di personale c'è ben poco. Io non so disintossicati, non ho la tua cultura, io mi baso sulla esperienza dell intuito e sull' osservazione. Non sono un prete che parla di sesso senza averlo fatto. Non solo un illuminato, ma un ammasso di atomi connesso con il tutto. Mai nato e mai morto, perché il mio se non muore, non esiste, come potrebbe morire? Ma soprattutto che senso ha sapere per te che sei il vuoto? Tu hai investito anni ha costruito un me colto. Perché abbandonarlo? Non troverai felicità, ne illuminazione, ma solo ciò che è. Gesù diceva io non decido da me stesso, ma parlo tramite il padre. Lui non aveva un me, era un tutt'uno con il divino. Non esiste nessun premio nel comprendere il profondo. Il tuo cervello rettile pulsera comunque...
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Ipazia il 25 Aprile 2020, 17:06:09 PM
Citazione di: Phil il 25 Aprile 2020, 12:33:19 PM
Secondo me non si tratta tanto (o solo) di un vuoto quantistico o ontologico, ma perlopiù di un vuoto logico-narrativo, a suo modo "infantile" (forse eco della pura "ragione" prelogica dei neonati), in cui sospendendo l'identificazione, non c'è nulla di logicizzabile, ragionabile, etc. (come suggerirà lo zen molti secoli dopo i Veda).
Ci troviamo dunque dentro il comico paradosso di star qui a "parlare del vuoto di parole".

Eggià, con la differenza (a suo favore) che l'infante, il neonato, il suo io lo esperisce eccome, non affogando nel "vuoto di parole" grazie al suo salvagente prelogico, pre linguistico. Obbedendo solo alla lalingua genetica e corporea del suo essere non-illusionale, e non-illusionistico nelle velleità che faranno da contorno culturale (Zivilisation) alla formazione (Bildung) del suo io.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Freedom il 25 Aprile 2020, 18:11:58 PM
Penso che la migliore risposta sull'autenticità o meno dell'io la possano dare gli altri. Nel senso che gli altri riconoscono, per esempio in me, un io. In qualche modo definito con una certa precisione nonchè riconoscibilità.

Penso a quando incontri una persona dopo tanto tempo e rilevi: "è sempre lui". Sì, magari è un pò invecchiato ma è lui! E' rimasto tale e quale. Tale e quale a cosa? A se stesso. Cioè al suo io.

E viceversa penso a quando incontri una persona, magari dopo nemmeno tanto tempo, e rilevi: "mamma mia com'è cambiato!" Eh sì, dici a te stesso: "la malattia l'ha trasformato." Oppure: "la disgrazia l'ha reso irriconoscibile. Non sembra più lui."
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 25 Aprile 2020, 19:16:48 PM
Citazione di: Ipazia il 25 Aprile 2020, 17:06:09 PM
Citazione di: Phil il 25 Aprile 2020, 12:33:19 PM
Secondo me non si tratta tanto (o solo) di un vuoto quantistico o ontologico, ma perlopiù di un vuoto logico-narrativo, a suo modo "infantile" (forse eco della pura "ragione" prelogica dei neonati), in cui sospendendo l'identificazione, non c'è nulla di logicizzabile, ragionabile, etc. (come suggerirà lo zen molti secoli dopo i Veda).
Ci troviamo dunque dentro il comico paradosso di star qui a "parlare del vuoto di parole".

Eggià, con la differenza (a suo favore) che l'infante, il neonato, il suo io lo esperisce eccome, non affogando nel "vuoto di parole" grazie al suo salvagente prelogico, pre linguistico. Obbedendo solo alla lalingua genetica e corporea del suo essere non-illusionale, e non-illusionistico nelle velleità che faranno da contorno culturale (Zivilisation) alla formazione (Bildung) del suo io.
Pur non essendo esperto del settore (da cui il suddetto «forse»), credo che nessuno possa negare che l'infante abbia autopercezione, tuttavia sarei comunque cauto sul fatto che esperisca il suo "io" intendendo egli per "io" proprio ciò che noi adulti intendiamo per "io".
Il suo salvagente prelogico è fatto dalla percezione, dall'istinto, etc. tutti elementi che permangono, seppur "educatamente manipolati", nell'adulto; che ha in più una corposa, strutturante, interpretante, culturale, etc. visione concettuale del mondo. Non so se nella lalangue ci sia un vagito per dire «io», ma so per certo che la Bildung inizia con gli insegnamenti linguistici degli adulti a lui vicini e una lingua non è mai neutra nello strutturare (il gioco di società di) una visione del mondo, e tantomeno lo è la cultura che culla il bambino dal suo primo pianto fino a trastullarlo con i primi giochi didattici (ricordo: il-ludere).
Come accennato sopra, secondo me, non andrebbe confuso il nostro ritenere che il bambino si percepisca in modo non-illusionale (il che presuppone l'uso del concetto stesso di illusione, etc.) con l'effettiva sua autopercezione (del bimbo) che, temo, non possa spiegarcela adeguatamente usando solo la sua lalangue (che suppongo si presti più a comunicazioni di servizio su bisogni primari ed emozioni, piuttosto che a dissertazioni teoretiche sull'illusione dell'identificazione logico-culturale fra pensiero orientale e socio-antropologia; e nel momento in cui il pargolo acquisisce un linguaggio atto alla dissertazione, ecco che innesca, suo malgrado, la comicità del suddetto paradosso).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Ipazia il 25 Aprile 2020, 19:56:35 PM
Citazione di: Phil il 25 Aprile 2020, 19:16:48 PM
Pur non essendo esperto del settore (da cui il suddetto «forse»), credo che nessuno possa negare che l'infante abbia autopercezione, tuttavia sarei comunque cauto sul fatto che esperisca il suo "io" intendendo egli per "io" proprio ciò che noi adulti intendiamo per "io".

Gli esperti del settore pensano che si possa agevolare i tutto ludicamente. Anche perchè un "io" ben solido e centrato fa sempre comodo per l'armamentario esistenziale, illusorio o reale che sia.

CitazioneIl suo salvagente prelogico è fatto dalla percezione, dall'istinto, etc. tutti elementi che permangono, seppur "educatamente manipolati", nell'adulto; che ha in più una corposa, strutturante, interpretante, culturale, etc. visione concettuale del mondo. Non so se nella lalangue ci sia un vagito per dire «io», ma so per certo che la Bildung inizia con gli insegnamenti linguistici degli adulti a lui vicini e una lingua non è mai neutra nello strutturare (il gioco di società di) una visione del mondo, e tantomeno lo è la cultura che culla il bambino dal suo primo pianto fino a trastullarlo con i primi giochi didattici (ricordo: il-ludere).]Il suo salvagente prelogico è fatto dalla percezione, dall'istinto, etc. tutti elementi che permangono, seppur "educatamente manipolati", nell'adulto; che ha in più una corposa, strutturante, interpretante, culturale, etc. visione concettuale del mondo. Non so se nella lalangue ci sia un vagito per dire «io», ma so per certo che la Bildung inizia con gli insegnamenti linguistici degli adulti a lui vicini e una lingua non è mai neutra nello strutturare (il gioco di società di) una visione del mondo, e tantomeno lo è la cultura che culla il bambino dal suo primo pianto fino a trastullarlo con i primi giochi didattici (ricordo: il-ludere).

Il vagito "io" esiste e la sua misura in dB non è trascurabile.

CitazioneCome accennato sopra, secondo me, non andrebbe confuso il nostro ritenere che il bambino si percepisca in modo non-illusionale (il che presuppone l'uso del concetto stesso di illusione, etc.) con l'effettiva sua autopercezione (del bimbo) che, temo, non possa spiegarcela adeguatamente usando solo la sua lalangue (che suppongo si presti più a comunicazioni di servizio su bisogni primari ed emozioni,

La lalangue si occupa di queste cose, mica dei massimi sistemi e le madri sono molto brave a tradurla. Quelle più brave riescono persino a parlarla e su quel dialogo lalinguistico si eterna l'umano. La sua parte più gradevole.

Citazionepiuttosto che a dissertazioni teoretiche sull'illusione dell'identificazione logico-culturale fra pensiero orientale e socio-antropologia; e nel momento in cui il pargolo acquisisce un linguaggio atto alla dissertazione, ecco che innesca, suo malgrado, la comicità del suddetto paradosso).

La mia nipotina appena è passata dalla fase lalinguistica a quella linguistica ha cominciato a sfoderare una raffica a ripetizione di "perchè" che avevano ben poco a che fare col paradosso e costringevano gli adulti con-ludenti a brainstorming di notevole impegno, sottoposti puntigliosamente ad analisi comparate assai spiazzanti. Constato con piacere che il realismo vince sempre sulla favola e questo tira acqua, e anche la piccola, al mio mulino. Merito suo, mica mio, perchè sa già interpretare e gestire la "comicità del paradosso".
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 25 Aprile 2020, 20:47:56 PM
@Ipazia

Note al volo:
- non sono sicuro che l'io allo specchio venga concettualizzato dal bimbo proprio come l'io di cui parlano gli adulti (che credo vada un po' oltre la mera estensione ed azione corporale, v. psicologia, etc.); non a caso, è l'adulto ad affermare «il piccolo riconosce il suo io»(cit.), proiettando sull'esperienza del piccolo categorie da grande (mossa epistemologicamente scorretta)
- l'«io» espresso in decibel è una parola acquisita, dai genitori o dal contesto culturale, siamo nel linguaggio logico, la lalangue è già scivolata quasi tutta alle spalle
- il «dialogo lalinguistico» eterna l'umano-come-animale, non come sua declinazione in humanitas (nel senso ricordato altrove da Jacopus)
- il domandare «perché?» a raffica affonda le sue ragionevoli radici nella logica, nel nesso causale, etc. siamo quindi molto lontani dalla lalangue e, secondo una certa prospettiva, in piena illusione convenzional-antropologica
- la piccola infante, dimentica della sua condizione originaria proprio come è sempre più dimentica dell'istintiva lalangue, non può concepire ancora il paradosso, né tantomeno la sua comicità; tuttavia, forse, un giorno, da adulta, filosofando magari verso oriente...
- l'illusione di cui parlavo non si oppone affatto al realismo (anzi, lo presuppone e, visto che siamo in «tematiche spirituali», lo radicalizza sino al silenzio... magari come rivisitazione adulta, fra epoché e apofatismo, della lalangue).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Ipazia il 26 Aprile 2020, 12:47:37 PM
Citazione di: Phil il 25 Aprile 2020, 20:47:56 PM
@Ipazia

Note al volo:
- non sono sicuro che l'io allo specchio venga concettualizzato dal bimbo proprio come l'io di cui parlano gli adulti (che credo vada un po' oltre la mera estensione ed azione corporale, v. psicologia, etc.); non a caso, è l'adulto ad affermare «il piccolo riconosce il suo io»(cit.), proiettando sull'esperienza del piccolo categorie da grande (mossa epistemologicamente scorretta).

Ho postato al volo. Si può trovare di meglio anche epistemologicamente sulla funzione dello specchio nel suo riflettere maieuticamente l'identità del soggetto (animale o umano) permettendogli di prenderne possesso in termini autocoscienziali.

Citazione- l'«io» espresso in decibel è una parola acquisita, dai genitori o dal contesto culturale, siamo nel linguaggio logico, la lalangue è già scivolata quasi tutta alle spalle

Mica tanto restando al significato primordiale con cui il pargolo manifesta l'esistenza di bisogni coincidenti col suo io affamato, il quale si rafforza constatando il risultato riproducibile che l'energia sonora emessa ha sull'ambiente circostante.

Citazione- il «dialogo lalinguistico» eterna l'umano-come-animale, non come sua declinazione in humanitas (nel senso ricordato altrove da Jacopus)

Scontato che il dualismo umano si perfeziona dopo, ma dall'io nella fase lalingistica inizia la lunga marcia che le mamme (e i padri recentemente) assecondano.

Citazione- il domandare «perché?» a raffica affonda le sue ragionevoli radici nella logica, nel nesso causale, etc. siamo quindi molto lontani dalla lalangue e, secondo una certa prospettiva, in piena illusione convenzional-antropologica

Ma certo, mica idealizzo lo stato di natura alla Rousseau. Es-Io-SuperIo. Il "perchè" della mia dolce nipotina sta mettendo fascina nella casella dell'io e il buon maieuta risponde lasciando che quella fase si consolidi prima di dover fare i conti con la dimensione, irresistibilmente carceraria, del SuperIo.

Citazione- la piccola infante, dimentica della sua condizione originaria proprio come è sempre più dimentica dell'istintiva lalangue, non può concepire ancora il paradosso, né tantomeno la sua comicità; tuttavia, forse, un giorno, da adulta, filosofando magari verso oriente...

Primum vivere, è il territorio dell'io, comprensivo pure delle tante comicità della lingua ormai conclamata, a cui però la piccola dona una freschezza e poieticità ancora con echi lalinguistici che servono anche all'adulto per interrogarsi sulla "comicità della lingua" cercando, nel backstage (spogliatoio), qualche recondità verità nescosta nel reale una volta rimossi gli abiti più o meno curiali. Operazione di spogliazione cui i bambini offrono stimoli preziosi proprio a partire dai loro "perchè" altamente egoici e identitari.

Citazionel'illusione di cui parlavo non si oppone affatto al realismo (anzi, lo presuppone e, visto che siamo in «tematiche spirituali», lo radicalizza sino al silenzio... magari come rivisitazione adulta, fra epoché e apofatismo, della lalangue).

...magari riscoprendo la lingua del corpo. Così attraente nell'inesorabile logica dell'io di un bambino, prima che il paradosso comico del logos occulti e anestetizzi il tragico della scissione superegoica e le schegge dell'esplosione (o implosione a seconda del soggetto e delle circostanze) dell'io lascino danni talvolta irreversibili. Col che si torna alla centralità, per nulla illusionale, dell'io.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 26 Aprile 2020, 15:11:44 PM
@Ipazia

Pur ritenendo che l'"illusione dell'io" sia tematica per adulti (bisogna prima costruire la torre per poterne sondare le fondamenta) forse devo spiegarmi meglio sulla fallacia metodologica del leggere il comportamento del bimbo usando categorie da adulto: intendo ad esempio il confondere un vagito infantile con il discorso indiretto da adulto «ecco, ci sta dicendo che ha fame», che è come confondere l'imprecazione di un adulto, che urta contro uno spigolo, con «mi sta comunicando che si è fatto male». In entrambi casi chi emette il suono, secondo me, non vuole comunicare nulla a nessuno, non c'è intenzionalità, né tantomeno in quell'attimo un'io concettualizzato, ma solo una reazione vocale-istintiva (alla fame e al dolore): infatti l'adulto impreca (mi si perdoni la generalizzazione e l'esempio triviale) anche se sa che non c'è nessuno a sentirlo, idem il pargolo. Resta possibile che con il tempo entrambi apprenderanno che tali suoni producono conseguenze sociali, se c'è un ascoltatore, e innescando la propria ragione impareranno a sfruttare tali vocalizzi a proprio vantaggio, solitamente per ottenere attenzione. Nondimeno, nel caso del bambino, siamo al rovesciamento del cane di Pavlov: se faccio un suono, arriva il cibo e mi passa la spiacevole sensazione (per nulla concettuale) di fame; non credo per lui sia questione di "io", autoaffermazione, bisogni primari, e altri concetti da adulto.
Da profano del mondo dell'infanzia, direi che spesso è l'osservatore/ascoltatore che si ritiene impropriamente destinatario di una "comunicazione" che in realtà è solo l'emissione istintiva di un suono connesso ad una sensazione o condizione psico-fisica (come l'«ahia!» di dolore), non una comunicazione inviata a qualcuno, non avendo il bambino il filtro sociale del quando parlare e quando tacere, come dimostra il fatto che insegnarglielo non è compito facile. Dall'altro lato, c'è il fatto che coloro i quali, da adulti, non sanno filtrare alcuni pensieri in un tacito discorso interiore, ovvero parlano da soli a voce alta (cortocircuito sociale fra assenza di destinatario e intenzionalità), vengono spesso considerati pazzi (en passant: non concordo con il primo assioma di Watzlawick, dando nel mio piccolo un peso molto rilevante all'intenzionalità del comunicare, distinguendola semanticamente dall'attività "centripeta" ricettiva del destinatario).

Sull'appello alla corporeità dell'adulto, ho già citato yoga e simili, ma ci sono ovviamente anche declinazioni meno esoteriche. Sulla «centralità, per nulla illusionale, dell'io»(cit.): chiaramente non è illusorio, finché siamo qui a parlarne (e non basta certo fare il "gioco del silenzio" per vederlo svanire); proprio come non è illusorio che io sia Phil (o che il denaro abbia valore o che esistano le stagioni, etc.) e che tale mio essere Phil produca conseguenze, reazioni e post altrui, traffico dati web e altri vari empirici "effetti farfalla"; come potrei dubitarne? D'altronde, chi è che sta scrivendo adesso?
Affermare che non sia "io" a scrivere, sarebbe un paradosso piuttosto comico... come già accennato, in fondo non sarebbe meglio tacerne?
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Ipazia il 26 Aprile 2020, 15:47:37 PM
Citazione di: Phil il 26 Aprile 2020, 15:11:44 PM
@Ipazia
Pur ritenendo che l'"illusione dell'io" sia tematica per adulti (bisogna prima costruire la torre per poterne sondare le fondamenta) forse devo spiegarmi meglio sulla fallacia metodologica del leggere il comportamento del bimbo usando categorie da adulto: intendo ad esempio il confondere un vagito infantile con il discorso indiretto da adulto «ecco, ci sta dicendo che ha fame», che è come confondere l'imprecazione di un adulto, che urta contro uno spigolo, con «mi sta comunicando che si è fatto male». In entrambi casi chi emette il suono, secondo me, non vuole comunicare nulla a nessuno, non c'è intenzionalità, né tantomeno in quell'attimo un'io concettualizzato, ma solo una reazione vocale-istintiva (alla fame e al dolore): infatti l'adulto impreca (mi si perdoni la generalizzazione e l'esempio triviale) anche se sa che non c'è nessuno a sentirlo, idem il pargolo. Resta possibile che con il tempo entrambi apprenderanno che tali suoni producono conseguenze sociali, se c'è un ascoltatore, e innescando la propria ragione impareranno a sfruttare tali vocalizzi a proprio vantaggio, solitamente per ottenere attenzione. Nondimeno, nel caso del bambino, siamo al rovesciamento del cane di Pavlov: se faccio un suono, arriva il cibo e mi passa la spiacevole sensazione (per nulla concettuale) di fame; non credo per lui sia questione di "io", autoaffermazione, bisogni primari, e altri concetti da adulto.
Da profano del mondo dell'infanzia, direi che spesso è l'osservatore/ascoltatore che si ritiene impropriamente destinatario di una "comunicazione" che in realtà è solo l'emissione istintiva di un suono connesso ad una sensazione o condizione psico-fisica (come l'«ahia!» di dolore), non una comunicazione inviata a qualcuno, non avendo il bambino il filtro sociale del quando parlare e quando tacere, come dimostra il fatto che insegnarglielo non è compito facile. Dall'altro lato, c'è il fatto che coloro i quali, da adulti, non sanno filtrare alcuni pensieri in un tacito discorso interiore, ovvero parlano da soli a voce alta (cortocircuito sociale fra assenza di destinatario e intenzionalità), vengono spesso considerati pazzi (en passant: non concordo con il primo assioma di Watzlawick, dando nel mio piccolo un peso molto rilevante all'intenzionalità del comunicare, distinguendola semanticamente dall'attività "centripeta" ricettiva del destinatario).

Da cos'altro può nascere un io ontologico se non dal bisogno radicale di soddisfarlo (con cibo e protezione). Pavlov o non Pavlov, il bambino impara presto a correlare un particolare tipo di fonazione alla richiesta di cibo e l'adulto risponde a tale richiesta senza tanto starsi a chiedere se riguardi la "Fenomenologia dello spirito". Sarà pure un io rudimentale, ma lo è in termini assoluti così come lo stomaco e la sensazione di fame che ne attiva il comportamento. E la sensazione di sazietà che conferma il successo della richiesta. Anche i più fondamentalisti sostenitori di un io illusorio basta pungerli perchè tutta la loro teoresi si sbricioli. E' la solita questione che già abbiamo dibattuto: lo spirito è radicato nella carne così come il soggetto identitario (io) che quello spirito cerca di sviare, senza mai riuscirvi. Almeno in vita, poi non si sa...

Anche per il piccolo vale il "wo Es war, soll Ich werden" e l'Ich arriva molto presto ( la mia nipotina di 5 anni ne ha uno già ben sviluppato) nel processo etologicamente oggettivo, salvo sfumature locali, delle cure parentali. Non dissimilmente da quanto accade anche per altre specie sociali il cui Ich sanno eccome far valere. Come i cani e gatti che ho avuto per casa. Poco propensi a lasciarsi ideologicamente omologare, restando al livello della loro lalingua canina e felina, alla quale riconosco la grande fortuna di non averci dovuto fare della metafisica sopra. Per cui:

CitazioneAffermare che non sia "io" a scrivere, sarebbe un paradosso piuttosto comico... come già accennato, in fondo non sarebbe meglio tacerne?

... evitando di aprire discussioni e discussioni su questa tritissima e "paradossalmente comica" questione ?
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 26 Aprile 2020, 15:57:18 PM
Quando un sogno diventa realtà. Anche il pazzo ha una sua logica. Chi può intendere intenda.


https://youtu.be/lydTNFZiVwo


Vi lascio con un video che riassume i miei concetti
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 26 Aprile 2020, 17:06:31 PM
Citazione di: Ipazia il 26 Aprile 2020, 15:47:37 PM
Anche i più fondamentalisti sostenitori di un io illusorio basta pungerli perchè tutta la loro teoresi si sbricioli. E' la solita questione che già abbiamo dibattuto: lo spirito è radicato nella carne così come il soggetto identitario (io) che quello spirito cerca di sviare, senza mai riuscirvi.
Sostenere che «l'io è illusione» (con annessi cinque post di postille) non equivale a sostenere che «l'io non esiste» che non equivale a sostenere che «io non esisto».
La «puntura» e lo «spirito» non hanno quindi pertinenza con il (mio) discorso sul linguaggio, sulla concettualizzazione convenzionale e sul realismo "alogico" che prende spunto da Veda e zen.
Come previsto, se non sono in grado di spiegarlo parlandone, meglio tacerne (pur restando convinto che non sia una questione di intuizione, ma solo di riflessione e comprensione, al di là del concordare o meno).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Ipazia il 26 Aprile 2020, 19:25:42 PM
In effetti qui siamo nella sezione spirituale e ognuno, Tony Parsons, Daniele75 e Phil ha il diritto di tenersi i suoi riferimenti ontologici. Phil afferma che, a questo livello di astrazione del reale, essi non sono ne dicibili ne confutabili. Ne prendo atto e continuo a considerare umani, atomi, energia e pavimenti nella loro differente oggettività e soggettività. Altri li potranno considerare, legittimamente e arbitrariamente, Uno. Che io altrettanto, legittimamente e arbitrariamente (riflettendoci su), considererò ancora più infondato dell'io, ego, self, me,... e della negazione di una distinzione del soggetto (io) da altri oggetti "reali".

A questo punto il parlarne diventa possibile solo in ambito filosofico e scientifico, dopo aver confrontato quel concetto ontologico ed epistemico che chiamiamo realtà. E averne tratto almeno un minimo livello comune di discussione.

Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 26 Aprile 2020, 22:32:18 PM
Non ho parlato esattamente di livelli di astrazione del reale, semmai di un reale privo di astrazioni, dopo essersi "disillusi" da tutte le astrazioni, da intendere come modelli interpretativi che di fatto funzionano ed hanno ripercussioni empiricamente riscontrabili.
Chiaramente (spero) non concordo con chi crede nell'Uno:
Citazione di: Phil il 25 Aprile 2020, 12:33:19 PM
Risolvere la dualità e la molteplicità in un Uno assoluto, significa assecondare l'horror vacui e mettere un tappo, a cui appoggiarsi, per riempire tale vuoto; vuoto che tu stesso, corroborato da tutta la scienza contemporanea, hai rilevato
e non sono sicuro di negare la «distinzione fra soggetto (io) da altri oggetti "reali"»(cit.) per come la intendi tu (se non ho frainteso): il superamento della dualità a cui mi riferivo con
Citazione di: Phil il 24 Aprile 2020, 20:06:40 PM
Finché restiamo nella dualità serpente/corda, soggetto/mondo, etc. stiamo al gioco della realtà convenzionale; quando non vediamo più la dualità serpente/corda, allora non abbiamo più nemmeno un linguaggio per parlarne.
va letto alla luce del precedente
Citazione di: Phil il 24 Aprile 2020, 20:06:40 PM
c'è più pericolo nello scambiare la corda per il serpente oppure il serpente per la corda?
quindi il "vedere" (concordo che avrei dovuto usare le virgolette per esser più chiaro) a cui mi riferisco, non è "cecità" assoluta come "indifferenza cognitiva" (se così l'hai intesa) rispetto a ciò che viene chiamato (nel linguaggio) questo/quello, vicino/lontano, caldo/freddo, corpo-mio/spigolo, etc. l'assenza di dualismo, «il vuoto di parole» su cui ho insistito (con annesso comico paradosso), non è indiscriminazione percettiva (semmai sia possibile), ma "solo" concettuale; per questo ho citato lo zen (non teorie mistico-cosmiche).

P.s.
Non scommetterei di essermi spiegato meglio, ma forse ho potuto darti qualche indizio almeno sulle differenze rispetto a Daniele75 e Tony Parsons (se così non fosse, lascia pure scorrere, non ti perdi niente di speciale, parola mia).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Ipazia il 26 Aprile 2020, 22:58:56 PM
@phill
Ho capito che tu la vedevi diversamente, altrimenti non avresti posto il "paradosso comico del discorso" o "paradosso del discorso comico" come è altrettanto interpretabile la contraddizione implicita nel soggetto della discussione. Sullo zen so che insiste sul controllo della psiche attraverso la meditazione, ma questo è finalizzato a rimuovere certe parassiterie incrostazioni della stessa, non a ritenerla illusoria. Alla fine, anche per lo zen, è sempre un io che pensa. Si tratta di dargli strumenti per pensare meglio, più consapevolmente. Non di superimporvi uno spirito trascendente unificante che liberi dalla presupposta illusione.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 27 Aprile 2020, 00:20:13 AM
Confermo che per lo zen in generale (e per me nello specifico) non vi sia uno «spirito trascendente unificante»; sull'illusione dell'io nello zen, probabilmente ci rifacciamo a due "scuole" differenti; la "mia" (seppur personalizzata, da buon postmoderno), a suon di anatta e koan, suggerisce una certa illusorietà dell'io pensante (illusorietà di cui è appunto meglio tacere).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 27 Aprile 2020, 08:04:05 AM
Citazione di: Phil il 27 Aprile 2020, 00:20:13 AM
Confermo che per lo zen in generale (e per me nello specifico) non vi sia uno «spirito trascendente unificante»; sull'illusione dell'io nello zen, probabilmente ci rifacciamo a due "scuole" differenti; la "mia" (seppur personalizzata, da buon postmoderno), a suon di anatta e koan, suggerisce una certa illusorietà dell'io pensante (illusorietà di cui è appunto meglio tacere).


Scusa Phil, puoi darmi una definizione dell io nella cultura zen? A parole tue, so che è difficile, ma mi sarebbe d'aiuto
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Ipazia il 27 Aprile 2020, 09:52:21 AM
Citazione di: Phil il 27 Aprile 2020, 00:20:13 AM
Confermo che per lo zen in generale (e per me nello specifico) non vi sia uno «spirito trascendente unificante»; sull'illusione dell'io nello zen, probabilmente ci rifacciamo a due "scuole" differenti; la "mia" (seppur personalizzata, da buon postmoderno), a suon di anatta e koan, suggerisce una certa illusorietà dell'io pensante (illusorietà di cui è appunto meglio tacere).

Qui ne parla. Ne illustra la grammatica. Non dà ragione dell'illusorietà dell'io e della verità del sè, ma ovviamente si tratta di un bignami che rimanda ad altro. Penso che anche Freud, per vie occidentali, cercasse il sè nell'io, per cui si ritorna da capo al discorso della verità del soggetto: reale fondata o illusoria ?
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 27 Aprile 2020, 10:00:23 AM
Citazione di: Ipazia il 27 Aprile 2020, 09:52:21 AM
Citazione di: Phil il 27 Aprile 2020, 00:20:13 AM
Confermo che per lo zen in generale (e per me nello specifico) non vi sia uno «spirito trascendente unificante»; sull'illusione dell'io nello zen, probabilmente ci rifacciamo a due "scuole" differenti; la "mia" (seppur personalizzata, da buon postmoderno), a suon di anatta e koan, suggerisce una certa illusorietà dell'io pensante (illusorietà di cui è appunto meglio tacere).

Qui ne parla. Ne illustra la grammatica. Non dà ragione dell'illusorietà dell'io e della verità del sè, ma ovviamente si tratta di un bignami che rimanda ad altro. Penso che anche Freud, per vie occidentali, cercasse il sè nell'io, per cui si ritorna da capo al discorso della verità del soggetto: reale fondata o illusoria ?


Io concluderò accettando i due opposti. Il primo in parte l'illusorieta di un io vittima Delle credenze altrui. Dall'altra la reale presenza di un libero arbitrio, atto a scindere cosa è giusto e sbagliato. L'io psicologico, una scintilla di energia che vaga nella memoria scritta a cercare soluzioni. Questo potrebbe essere un punto di incontro.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 27 Aprile 2020, 12:29:03 PM
Citazione di: daniele75 il 27 Aprile 2020, 08:04:05 AM
Scusa Phil, puoi darmi una definizione dell io nella cultura zen? A parole tue, so che è difficile, ma mi sarebbe d'aiuto
Ci sono testi (come l'Abhidhamma) che scandagliano in dettaglio la concezione dell'io (e dintorni) nel buddhismo classico; nello zen ci sono poi differenti scuole (Soto, Rinzai, etc.) che ne riprendono alcune parti e ne tralasciano altre; ogni maestro è a suo modo un ermeneuta. Sarebbe onestamente il colmo se mi mettessi a dare spiegazioni sullo zen (ho già commesso in precedenza la leggerezza, citandolo, di trattarlo troppo generalisticamente), andremmo ben oltre la comicità, vista la mia impreparazione... tuttavia cosa intendo personalmente per «illusione dell'io» credo di averlo accennato nei post precedenti: (auto)identificazione convenzionale, modello interpretativo che funziona socialmente, narrazione logica delle esperienze corporee e dei vissuti, etc.
Ribadisco che considero lo zen in modo personalizzato (eterodosso, anzi, "eretico"): sicuramente non sono buddista, ma non posso negare l'influsso che alcune letture hanno avuto sulla mia visione del mondo (per questo ogni tanto cito lo zen, seppur senza scendere in dettagli che eccedono la mia competenza in materia).


Citazione di: Ipazia il 27 Aprile 2020, 09:52:21 AM
Qui ne parla. Ne illustra la grammatica.
Non mi convince troppo nemmeno come "grammatica di base": sono un po' più all'antica per quanto riguarda lo zen, ma al contempo non lo prendo alla lettera e ne tralascio molti aspetti. Lo vedo all'antica, nel senso che non concordo con la sua ricezione all'occidentale, "esegeticamente liberale" e psicologistica, perché lo intendo come derivazione stretta del buddismo, a cui rimanda ancora nei suoi concetti cardine. Passi pure che nel link si parli del koan come un «porsi un quesito che non ha una risposta» (e già qui c'è da storcere il naso), ma che dukkha sia la prospettiva secondo cui «si può giungere al Nirvana attraverso un percorso di dolore fisico e spirituale» mi pare davvero un'interpretazione che rischia di essere fraintesa malamente, ai limiti della manomissione dell'essenza della dottrina (ad esempio delle «quattro nobili verità»).

Citazione di: Ipazia il 27 Aprile 2020, 09:52:21 AM
Penso che anche Freud, per vie occidentali, cercasse il sè nell'io, per cui si ritorna da capo al discorso della verità del soggetto: reale fondata o illusoria ?
Domanda che ha (forse) senso per Freud, ma il «sé» di cui parla (molto ambiguamente) quell'articolo, non è il sé psicoanalitico all'occidentale (più plausibilmente si allude alla natura buddhica). Ne deriva che la domanda sulla "verità del soggetto", nello zen, per come lo intendo, ha due esiti: una bastonata o un koan (anzi, avendo usato la parola «verità», forse servirebbe una doppia dose...). In entrambi i casi, non si concettualizza nulla, restando un passo fuori dall'illusione, dal razionalismo logico, dall'attaccamento, etc.
Risposta che suona deludente e disillusa? Allora, forse, è già una buona "risposta zen".
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: davintro il 27 Aprile 2020, 15:35:22 PM
quando si parla di illusione dell'Io andrebbe preliminarmente chiarito di quale Io si sta parlando, o meglio, in quale accezione intenderlo. Lo si può intendere in senso reale-empirico, Io inteso come individuo esistente "in carne e ossa", inserito nel mondo dei fatti e in un complesso di relazioni di causa-effetto con altri enti costituenti il suo ambiente. Inteso in questo senso, consiste in una realtà che presume di esistere come extramentale, trascendente rispetto alla coscienza che ne si ha, oggettivo. Solo intendendolo in questo senso si può parlare di "illusione", la possibilità dell'illusione è data dalla mancanza di identità necessaria tra pensiero e cosa, di fronte alla pretesa di attribuzione di realtà di qualcosa di ulteriore rispetto alla coscienza che ne si ha. La possibilità dell' illusione dell'Io riguarda tutte quelle proprietà del soggetto che si presume reali al di là del loro essere contenuto fenomenico, riguarda ad esempio l'effettiva realtà del mio essere davvero nato in Italia, la misura della mia altezza, del mio peso, anche certi meccanismi psichici che colloco ad un livello psicologico al di là di ciò che l'autocoscienza registrerebbe (come l'inconscio della psicanalisi), non riguarda invece l'ambito rigidamente trascendentale e fenomenologico. Intendendo l'Io come ciò che l'autocoscienza rivela come suo contenuto, al di là della pretesa di far corrispondere questo contenuto con una realtà extramentale, non sussiste possibilità di illusione o di inganno. Se rifletto su me stesso e sulla possibilità che ciò che di me si riferirebbe a una realtà oggettiva (non inganni l'abituale, secondo me erronea, identificazione che spesso si fa "oggettività" ed "esteriorità": oggettivo può anche riferirsi alla propria realtà personale da indagare tramite introspezione, l'oggettività comprende qualunque cosa si ponga come reale, foss'anche interiore e psichica, comunque reale indipendentemente rispetto la coscienza che ne si ha, la complessità del Sé, che non coincide necessariamente con l'Io, intesa come insieme di fattori psichici reali in quanto dotati di potere causale performante, tale al di là del fatto di essere pensata, rientra nell'oggettività non meno che gli oggetti fisici che riconosco nel mondo esterno) sia un'illusione, riconosco sempre implicitamente il mio atto di riflessione, come eventualmente vittima di illusione, ma che comunque esisterebbe come soggetto che si illude. Esiste dunque un livello dell'Io, che resta in atto, al di là che si illuda o meno rispetto alla realtà del contenuto fenomenico che recepisce, e questo restare in atto è una certezza al di là di ogni inganno. Non ha senso parlare di "illusione dell'Io", intendendo l'Io come punto di scaturigine di atti coscienti di esperienza vissuta, che, anche ammesso non rispecchiano la realtà oggettiva, esistono certamente come contenuti di un soggetto, che, anche riconoscendosi come potenzialmente illuso, si riconosce comunque come esistente, per quanto fallibile. La possibilità dell'illusione cade nel momento in cui si parla di un ente il cui essere coincide per definizione con la stessa esperienza  vissuta che si ha di esso, questo ente è l'autocoscienza, da non confondersi con l'introspezione psicologica, che invece è in atto mirando a illuminare livelli empirici di soggettività che esistano come indipendenti dalla coscienza
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 27 Aprile 2020, 16:14:29 PM
Con una probabile (auto)suggestione interpretativa, ho trovato una tanto inattesa quanto tempestiva risonanza con una citazione di Nietzsche postata oggi in altro topic:
Citazione di: Lou il 27 Aprile 2020, 14:52:50 PM
105. [...] Ma in ciò si ingannano: l'atomo che essi postulano è ricavato dalla logica del prospettivismo della coscienza ed è pertanto esso stesso una finzione soggettiva. [...] [I fisici] hanno tralasciato qualcosa nella costellazione senza saperlo: appunto il necessario prospettivismo, in virtù del quale ogni centro di forza – e non solo l'uomo – costruisce tutto il resto del mondo a partire da se stesso, cioè lo misura, lo modella, lo forma secondo la sua forza... Hanno dimenticato di calcolare nell' «essere vero» questa forza che pone prospettive... [...]

Passo tratto da i Frammenti Postumi. (italic mio)

Ebbene, salpando da questa citazione per andare lontano dal suo autore (che logicamente pone per vera la «forza che pone prospettive»), se il fulcro di tale prospettivismo è l'uomo, nel momento in cui tale prospettivismo si rivolge all'autocomprensione, l'idea che l'uomo si fa di sé stesso sarà a sua volta prospettica, ovvero una «finzione soggettiva» del soggetto che si guarda allo specchio e si identifica come tale (soggetto, io, etc.).
Al netto del concedere o meno una certa sfumatura tangente fra «finzione» e «illusione», non si ottiene forse una metafinzione in cui il soggetto stesso, nel vedersi prospetticamente come tale (soggetto, io, etc.) è inevitabilmente a sua volta una sua «finzione soggettiva»?
Da dove origina tale prospettiva, nel momento in cui si autoidentifica? Non può originare dall'io, dal soggetto, etc. perché essi sono il risultato prospettico della «finzione soggettiva». Che origini allora da uno "sguardo" non ancora soggettivizzato, ovvero privo di (auto)concettualizzazione, ovvero spontaneamente prelogico e senza identità? Tale sguardo potrebbe suggerire, non dimostrare, che l'io è un'illusione o, per dirla con Nietzche, che la finzione soggettiva non risparmia il soggetto stesso quando questi si pone nel suo stesso sguardo, inevitabilmente prospettico.


P.s.
Con questo spunto "rubato" a Nietzsche non intendo certo farne un alfiere della mia... prospettiva (appunto); anche perché notoriamente il suo pensiero presenta altrove impostazioni ben differenti dall'"illusorietà dell'io": volontà di potenza, oltre-uomo, etc. ho solo preso la palla al balzo, ma non voglio "tirare per i baffi" in questo discorso un autore che probabilmente non vorrebbe affatto entrarci e che, se non erro, non si è occupato di questa tematica.

P.p.s
@davintro
Concordo con il monito cartesiano, avevo infatti specificato che
Citazione di: Phil il 26 Aprile 2020, 17:06:31 PM
Sostenere che «l'io è illusione» [...] non equivale a sostenere che «l'io non esiste» che non equivale a sostenere che «io non esisto».
Per scorgere l'"illusione dell'io", come ben si addice alla sezione inerente la spiritualità, bisogna fare un passo indietro rispetto alla razionalità logica, come ci invita a fare il suddetto zen (rieccolo).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Lou il 27 Aprile 2020, 16:39:26 PM
Citazione di: Phil il 27 Aprile 2020, 16:14:29 PM
Con una probabile (auto)suggestione interpretativa, ho trovato una tanto inattesa quanto tempestiva risonanza con una citazione di Nietzsche postata oggi in altro topic:
Citazione di: Lou il 27 Aprile 2020, 14:52:50 PM
105. [...] Ma in ciò si ingannano: l'atomo che essi postulano è ricavato dalla logica del prospettivismo della coscienza ed è pertanto esso stesso una finzione soggettiva. [...] [I fisici] hanno tralasciato qualcosa nella costellazione senza saperlo: appunto il necessario prospettivismo, in virtù del quale ogni centro di forza – e non solo l'uomo – costruisce tutto il resto del mondo a partire da se stesso, cioè lo misura, lo modella, lo forma secondo la sua forza... Hanno dimenticato di calcolare nell' «essere vero» questa forza che pone prospettive... [...]

Passo tratto da i Frammenti Postumi. (italic mio)

Ebbene, salpando da questa citazione per andare lontano dal suo autore (che logicamente pone per vera la «forza che pone prospettive»), se il fulcro di tale prospettivismo è l'uomo, nel momento in cui tale prospettivismo si rivolge all'autocomprensione, l'idea che l'uomo si fa di sé stesso sarà a sua volta prospettica, ovvero una «finzione soggettiva» del soggetto che si guarda allo specchio e si identifica come tale (soggetto, io, etc.).
Al netto del concedere o meno una certa sfumatura tangente fra «finzione» e «illusione», non si ottiene forse una metafinzione in cui il soggetto stesso, nel vedersi prospetticamente come tale (soggetto, io, etc.) è inevitabilmente a sua volta una sua «finzione soggettiva»?
Da dove origina tale prospettiva, nel momento in cui si autoidentifica? Non può originare dall'io, dal soggetto, etc. perché essi sono il risultato prospettico della «finzione soggettiva». Che origini allora da uno "sguardo" non ancora soggettivizzato, ovvero privo di (auto)concettualizzazione, ovvero spontaneamente prelogico e senza identità? Tale sguardo potrebbe suggerire, non dimostrare, che l'io è un'illusione o, per dirla con Nietzche, che la finzione soggettiva non risparmia il soggetto stesso quando questi si pone nel suo stesso sguardo, inevitabilmente prospettico.

Beh direi che sono le stesse conclusioni a cui giunge Nietzsche, in una sua critica al "pensare" (credo abbia in mente Cartesio):

"[..]l'unificazione causale di pensieri, sentimenti, desideri, come quella di soggetto e oggetto, sono per noi del tutto nascosti - e probabilmente pura immaginazione. [..] Non si verifica mai un "pensare" come lo presuppongono i teorici della conoscenza: questo è una finzione affatto arbitraria, conseguita con l'isolamento dal processo di un unico elemento e con la sottrazione di tutti i rimanenti, una costruzione volta a permettere la comprensione...Lo "spirito": qualcosa, che pensa: [...]questa concezione è una seconda conseguenza derivata da una falsa osservazione di sé, che crede nel "pensiero": innanzitutto qui viene immaginato un atto, che non si verifica affatto, "il pensare" e in secondo luogo viene immaginato un soggetto-sostrato nel quale trova la propria origine ogni atto di questo pensare e nient'altro: cioè tanto l'azione quanto l'autore sono fittizi."

Un non atto di un non soggetto, è la frontiera del prospettivismo.

(grassetti miei)
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 28 Aprile 2020, 09:40:47 AM
Secondo me si deve distinguere (mi rivolgo soprattutto a Davintro, ma mi sembra che anche altri lo seguano in questa che a mio parere é un' errata confusione) fra "intersoggettività" (termine che preferisco ad "oggettività" per ragioni che se spiegassi qui appesantirebbero troppo il discorso) e "realtà in sé" e fra "soggettività" e "realtà apparente o fenomenica" (e inoltre fra "meramente pensato" ed "effettivamente reale").

La materia (la res extensa) può essere postulata (non dimostrata) essere intersoggettiva, cioé in linea di principio interverificabile fra qualsiasi soggetto di esperienza cosciente: chiunque (salvo patologie egregiamente spiegabili), recandosi a Courtmayeur e guardando circa a nordovest in una giornata di cielo sereno, può vedere il monte Bianco.

Il pensiero (la res cogitans) no: i pensieri, sentimenti, "stati d' animo", ecc. di ciascun soggetto di esperienza cosciente possono essere verificati empiricamente solo ed esclusivamente da lui stesso, e gli altri possono credere esistano solo per fede nelle sue parole: "quando c' ho il mal di stomaco ce l' ho io, mica te, o no? Ce l' ho io, mica te, o no?" (Vasco Rossi).

Ma entrambe le cose, i fenomeni materiali e i fenomeni mentali, la res extensa e la res cogitans, sono reali solo e unicamente in quanto tali: fenomeni ovvero insiemi e successioni di sensazioni coscienti, realmente accadenti solo e unicamente nell' ambito di un' esperienza fenomenica cosciente "e basta"; quando non accadono non ci sono (ancora o più)


Un' ulteriore realtà in sé, persistentemente reale anche in assenza di fenomeni o sensazioni coscienti é bensì postulabile, credibile esserci (e ci sono "buoni motivi" per essere propensi a credere che ci sia) ma non é dimostrabile: l' ipotesi che non ci sia non é autocontraddittoria o insensata; né tantomeno, per definizione, é empiricamente verificabile. Ergo: in teoria potrebbe benissimo darsi sia reale.


Ma sia gli oggetti delle sensazioni "esteriori" o materiali, sia l' oggetto - soggetto di quelle "interiori" o mentali, se realmente esistenti, sono (intesi essere come) cose in sé, per l' appunto reali anche allorché (anche se e quando) non sensibilmente, fenomenicamente percepite.

E l' oggetto - soggetto di quelle "interiori" o mentali é quel che solitamente si definisce con il nominativo del pronome personale della prima persona singolare (io) o con l' accusativo di quello della terza (sé) a seconda dei casi.
Dunque l' "io" o il "sé" non é né verificabile empiricamente, né provabile logicamente essere reale.
Si può crederci solo arbitrariamente, indimostrabilmente, per fede (cosa che *a quanto pare* fanno tutte le persone sane di mente).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 28 Aprile 2020, 17:23:47 PM
Citazione di: giopap il 28 Aprile 2020, 09:40:47 AM
Dunque l' "io" o il "sé" non é né verificabile empiricamente, né provabile logicamente essere reale.
Si può crederci solo arbitrariamente, indimostrabilmente, per fede (cosa che *a quanto pare* fanno tutte le persone sane di mente).
Più che «per fede» (senza offesa per la sezione in cui siamo), essendo coinvolta comunque anche una certa autopercezione (con tutto il paradosso interpretativo che si porta dietro) direi per cultura e, più pragmaticamente, anche per linguaggio (che è sempre in rapporto dialettico con la cultura). Se si ragiona usando il linguaggio o le categorie del linguaggio (concordo con l'idea di fondo della tesi Sapir-Whorf, ma senza radicalizzarla), non può essere totalmente irrilevante se, ad esempio, l'arabo ha due forme per il «tu», una maschile, una femminile, per il «voi» e il «loro» ben tre (una maschile, una femminile, una generica, o meglio, di entrambi i generi), nel senso che, ad esempio, il dibattito sulle teorie gender tenderà a scontrersi con la tradizione (cultural-)linguistica araba anche linguisticamente più di quanto avvenga per i parlanti italiani (che discrimina solo «lui/lei», considerando «essi/esse» un po' desueto). Chiaramente, fra tante criticità del dibattito sulle teorie di gender, la questione strettamente linguistica non è certo la più condizionante o cruciale (non si modificano imprinting culturali retroattivamente semplicemente mettendo un asterisco al posto di un suffisso di genere). Parimenti, il fatto che Giapponesi e Vietnamiti abbiano una gestione "plurale" della prima persona singolare piuttosto differente dalla nostra (link), non può che rappresentare una interessante risorsa di senso già preinstallata nella lingua, che probabilmente paga dazio in una traducibilità che sacrifica, come quasi sempre, qualcosa del senso originario/originale in nome della comprensibilità.
Ripesco in merito una citazione da un video già richiamato da Ipazia:
Citazione di: Ipazia il 23 Aprile 2020, 11:21:42 AM
Carlo Sini ci convive bene con questa "illusione" e, un tantino sogghignante, ce la spiega con parole alate (...l'infinito spettacolo... la stratificazione... corpi, strumenti, discorsi...) qui dal minuto 43,30 al 45,30.
Al minuto 43:03 Sini afferma:
«La filosofia non è più sufficiente per guardare il discorso, perché anch'essa è un discorso. Che ha relazioni molto forti con il tempo in cui è nata, che ha relazioni molto forti con il tipo di scrittura che ne è scaturito o da cui è scaturita. Perché... Hegel l'aveva capito benissimo: se tu scrivi con gli ideogrammi, non puoi fare filosofia; e aveva ragione. Ma questo vuol dire che la filosofia non dice la verità dell'uomo... ne dice una certa, una figura transeunte, transitante... alla fine: chi parla qui?».
Non me ne vogliano né Sini né la buon'anima di Hegel, ma sospetto non solo che si possa far filosofia a prescindere dalla scrittura, quindi oralmente (senza nemmeno porsi il problema di poterla poi segnificare in ideogrammi o lettere o geroglifici), ma inoltre che, in caso di scrittura differente da quella alfabetica, non si tratti di non poter fare filosofia (senza indugiare sulla possibile rigidità escludente insita nel termine), ma semmai di poter fare una filosofia strutturalmente differente dalla "nostra", con tutti gli annessi problemi di traduzione linguistico-concettuale.
Sulla domanda finale di Sini (che qui si traveste quasi da koan) «chi parla qui?», credo di essermi già sbilanciato adeguatamente in questo topic: essendo posta in pieno domandare logico-filosofico, essendo un "io" a porre la domanda, la risposta "da manuale" non può che essere (l')«io»; almeno finché decidiamo di "stare al gioco" (ludere) del nostro linguaggio prospettico e della nostra cultura (anche per risparmiarci il rischio di essere "inquadrati" come "cerchi" «non sani di mente», salvando così l'apparenza, per il quieto vivere e il quieto discutere).


P.s.
@Lou
Grazie per aver riportato anche la seconda citazione di Nietzsche: conoscendolo poco, non mi aspettavo una sua schiettezza così coerentemente logica con la premessa posta dal prospettivismo; anche se, come sempre, suppongo che i suoi scritti frammentari non possano essere presi semplicemente alla lettera (quindi non mi arrischio a farlo).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 28 Aprile 2020, 17:48:20 PM
Ma può esistere un io originale? Privo di inquinamento culturale? Un io alieno che manifesti la sua concreta esistenza?
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Ipazia il 28 Aprile 2020, 17:52:15 PM
Citazione di: Phil il 28 Aprile 2020, 17:23:47 PM
Al minuto 43:03 Sini afferma:
«La filosofia non è più sufficiente per guardare il discorso, perché anch'essa è un discorso. Che ha relazioni molto forti con il tempo in cui è nata, che ha relazioni molto forti con il tipo di scrittura che ne è scaturito o da cui è scaturita. Perché... Hegel l'aveva capito benissimo: se tu scrivi con gli ideogrammi, non puoi fare filosofia; e aveva ragione. Ma questo vuol dire che la filosofia non dice la verità dell'uomo... ne dice una certa, una figura transeunte, transitante... alla fine: chi parla qui?».
Non me ne vogliano né Sini né la buon'anima di Hegel, ma sospetto non solo che si possa far filosofia a prescindere dalla scrittura, quindi oralmente (senza nemmeno porsi il problema di poterla poi segnificare in ideogrammi o lettere o geroglifici), ma inoltre che, in caso di scrittura differente da quella alfabetica, non si tratti di non poter fare filosofia (senza indugiare sulla possibile rigidità escludente insita nel termine), ma semmai di poter fare una filosofia strutturalmente differente dalla "nostra", con tutti gli annessi problemi di traduzione linguistico-concettuale.
Sulla domanda finale di Sini (che qui si traveste quasi da koan) «chi parla qui?», credo di essermi già sbilanciato adeguatamente in questo topic: essendo posta in pieno domandare logico-filosofico, essendo un "io" a porre la domanda, la risposta "da manuale" non può che essere (l')«io»; almeno finché decidiamo di "stare al gioco" (ludere) del nostro linguaggio prospettico e della nostra cultura (anche per risparmiarci il rischio di essere "inquadrati" come "cerchi" «non sani di mente», salvando così l'apparenza, per il quieto vivere e il quieto discutere).

Certo che è un koan, oserei dire fondativo del discorso filosofico; e la provocazione iniziale ha a che fare con il medesimo koan che riguarda anche la scienza che di quella risposta ha bisogno per credere nel lavoro che fa. Infatti poi Sini dà la sua risposta: l'io plurale che è la stratificazione ... etc. Finale in bellezza pure con lo spettacolo e i fuochi d'artificio. Perchè d'artificio si tratta, ma spettacolare.

Lo stesso spettacolo di uno scienziato filosofo rinascimentale cristiano e neoplatonico che ci raccontava l'universo. L'universo "fisico". La filosofia da sempre ci racconta l'universo antropologico. Quel racconto è il suo senso. E forse anche il nostro. The show go on.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: davintro il 28 Aprile 2020, 17:56:30 PM
Citazione di: giopap il 28 Aprile 2020, 09:40:47 AM
Secondo me si deve distinguere (mi rivolgo soprattutto a Davintro, ma mi sembra che anche altri lo seguano in questa che a mio parere é un' errata confusione) fra "intersoggettività" (termine che preferisco ad "oggettività" per ragioni che se spiegassi qui appesantirebbero troppo il discorso) e "realtà in sé" e fra "soggettività" e "realtà apparente o fenomenica" (e inoltre fra "meramente pensato" ed "effettivamente reale").

La materia (la res extensa) può essere postulata (non dimostrata) essere intersoggettiva, cioé in linea di principio interverificabile fra qualsiasi soggetto di esperienza cosciente: chiunque (salvo patologie egregiamente spiegabili), recandosi a Courtmayeur e guardando circa a nordovest in una giornata di cielo sereno, può vedere il monte Bianco.

Il pensiero (la res cogitans) no: i pensieri, sentimenti, "stati d' animo", ecc. di ciascun soggetto di esperienza cosciente possono essere verificati empiricamente solo ed esclusivamente da lui stesso, e gli altri possono credere esistano solo per fede nelle sue parole: "quando c' ho il mal di stomaco ce l' ho io, mica te, o no? Ce l' ho io, mica te, o no?" (Vasco Rossi).

Ma entrambe le cose, i fenomeni materiali e i fenomeni mentali, la res extensa e la res cogitans, sono reali solo e unicamente in quanto tali: fenomeni ovvero insiemi e successioni di sensazioni coscienti, realmente accadenti solo e unicamente nell' ambito di un' esperienza fenomenica cosciente "e basta"; quando non accadono non ci sono (ancora o più)


Un' ulteriore realtà in sé, persistentemente reale anche in assenza di fenomeni o sensazioni coscienti é bensì postulabile, credibile esserci (e ci sono "buoni motivi" per essere propensi a credere che ci sia) ma non é dimostrabile: l' ipotesi che non ci sia non é autocontraddittoria o insensata; né tantomeno, per definizione, é empiricamente verificabile. Ergo: in teoria potrebbe benissimo darsi sia reale.


Ma sia gli oggetti delle sensazioni "esteriori" o materiali, sia l' oggetto - soggetto di quelle "interiori" o mentali, se realmente esistenti, sono (intesi essere come) cose in sé, per l' appunto reali anche allorché (anche se e quando) non sensibilmente, fenomenicamente percepite.

E l' oggetto - soggetto di quelle "interiori" o mentali é quel che solitamente si definisce con il nominativo del pronome personale della prima persona singolare (io) o con l' accusativo di quello della terza (sé) a seconda dei casi.
Dunque l' "io" o il "sé" non é né verificabile empiricamente, né provabile logicamente essere reale.
Si può crederci solo arbitrariamente, indimostrabilmente, per fede (cosa che *a quanto pare* fanno tutte le persone sane di mente).



la necessità di un passaggio logico verso il riconoscimento di una realtà extrafenomenica sta proprio nella definizione di "fenomeno", cioè "ciò che si manifesta". "Ciò che si manifesta implica l'esistenza di un soggetto dotato di coscienza che riceve la manifestazione (come si può parlare di manifestazione senza nessuno a cui la manifestazione è data?), avente una propria realtà sostanziale. Nessun fenomeno sussiste di per sé, come sostanza reale, ma solo come accadimento,evento psichico il cui essere è tale come interno alla coscienza, non trascendente questa. Per negare la necessità logica della realtà extrafenomenica, dovremmo ammettere come sensata l'ipotesi che il complesso dei fenomeni abbia in se stesso la sua ragion d'essere, la sua causa come immanente ad esso, senza bisogno di postulare una realtà ulteriore ad essi che sia la causa che li produce. Ma se accettassimo questo autofondarsi dei fenomeni, dovremmo escludere in assoluto proprio la possibilità dell'illusione, dell'inganno, di fenomeni che non corrispondono al reale, come nel caso dell'allucinazione o del daltonismo. Essendo i fenomeni l'unica realtà possibile, il loro coincidere con la verità sarebbe una proprietà essenziale ad essi, senza possibilità di deviazioni, dato che un giudizio vero è definito come quello che predica un contenuto fenomenico corrispondente alla realtà oggettiva. Ogni fenomeno, come tale esprimerebbe sempre il vero. Questa ipotesi è assurda, dato che resta sempre la possibilità di immagini sulla realtà tra loro contrastanti, che non possono dunque tutte essere vere, ma che dovrebbero porsi a diversi livelli di distanza rispetto a un riferimento extrafenomenico, in relazione a cui le idee (fenomeni) sarebbero più o meno rispecchianti la verità. Inoltre, lo stesso Giopap (come chiunque altra/o) ogniqualvolta esprime una sua opinione, come in questa discussione, in opposizione ad altre considerate erronee, sta implicitamente e necessariamente affermando questa realtà extrafenomenica, come criterio regolativo in relazione a cui la sua opinione sarebbe vera, cioè aderente ad esso, mentre le opposte, essendo nel torto, divergerebbero. Negando questa trascendenza del reale rispetto ai fenomeni, anche solo a livello generico-formale, questi rimarrebbero l'unica realtà possibile e avrebbero in se stessi, nelle coscienze di cui sono il contenuto, in quanti tali il criterio di verità, rendendo impossibile che alcuni possano contravvenire al criterio, scadendo nel torto, o anche ad un livello di verità inferiore o meno "centrata" rispetto ad altri. La possibilità dell'illusione, dell'errore è ciò che dimostra che il criterio di verità dei fenomeni non è ad essi immanenti, ma consiste in una realtà oggettiva extrafenomenica, di fronte a cui i fenomeni possono assumere livelli di maggior o minor concordanza, ma sempre in relazione a un principio non da essi posto
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 28 Aprile 2020, 18:01:41 PM
E se fossimo tutti connessi tramite filamenti di energia invisibile all'occhio umano? E se l'io esiste come consapevolezza, il suo scopo è quello di esaminare le istruzioni culturali per poter competere e sopravvivere? L'io in che percentuale gestisce la psiche in maniera completamente libero da pregiudizi?
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 28 Aprile 2020, 18:21:31 PM
Citazione di: Phil il 28 Aprile 2020, 17:23:47 PM
Citazione di: giopap il 28 Aprile 2020, 09:40:47 AM
Dunque l' "io" o il "sé" non é né verificabile empiricamente, né provabile logicamente essere reale.
Si può crederci solo arbitrariamente, indimostrabilmente, per fede (cosa che *a quanto pare* fanno tutte le persone sane di mente).
Più che «per fede» (senza offesa per la sezione in cui siamo), essendo coinvolta comunque anche una certa autopercezione (con tutto il paradosso interpretativo che si porta dietro) direi per cultura e, più pragmaticamente, anche per linguaggio (che è sempre in rapporto dialettico con la cultura). Se si ragiona usando il linguaggio o le categorie del linguaggio (concordo con l'idea di fondo della tesi Sapir-Whorf, ma senza radicalizzarla), non può essere totalmente irrilevante se, ad esempio, l'arabo ha due forme per il «tu», una maschile, una femminile, per il «voi» e il «loro» ben tre (una maschile, una femminile, una generica, o meglio, di entrambi i generi), nel senso che, ad esempio, il dibattito sulle teorie gender tenderà a scontrersi con la tradizione (cultural-)linguistica araba anche linguisticamente più di quanto avvenga per i parlanti italiani (che discrimina solo «lui/lei», considerando «essi/esse» un po' desueto). Chiaramente, fra tante criticità del dibattito sulle teorie di gender, la questione strettamente linguistica non è certo la più condizionante o cruciale (non si modificano imprinting culturali retroattivamente semplicemente mettendo un asterisco al posto di un suffisso di genere). Parimenti, il fatto che Giapponesi e Vietnamiti abbiano una gestione "plurale" della prima persona singolare piuttosto differente dalla nostra (link), non può che rappresentare una interessante risorsa di senso già preinstallata nella lingua, che probabilmente paga dazio in una traducibilità che sacrifica, come quasi sempre, qualcosa del senso originario/originale in nome della comprensibilità.


Pur non negando di certo l' importanza della cultura e anche della lingua e perfino in particolare qualche influenza più o meno "indiretta" sul trattamento della questione dell' "io" o del "sè" ( influenze in genere difficilmente definibili, oltre che non generalizzabili ma invece variabili da soggetto pensante -filosofo de facto- a soggetto pensante), ritengo che la grammatica delle diverse lingue non sia determinante nel raggiungere le varie soluzioni possibili.
Anche perché ritengo che le diverse lingue, con un po' di buona volontà siano intertraducibili soddisfacentemente, cioé con buona possibilità di comprensione reciproca (che non può mai essere integrale e assoluta nemmeno fra parlanti la medesima lingua).


(Naturalmente il fatto che parli di "soggetti pensanti", che necessariamente sono pure "senzienti", e dunque che creda alla loro esistenza reale, non é minimamente in contrasto con la da me affermata indimostrabilità di tale esistenza reale; ma comunque credibilità per fede, sostanzialmente indipendente a mio parere dalle diverse influenze che culture e lingue possono esercitare in proposito).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 28 Aprile 2020, 19:06:24 PM
Citazione di: davintro il 28 Aprile 2020, 17:56:30 PM

la necessità di un passaggio logico verso il riconoscimento di una realtà extrafenomenica sta proprio nella definizione di "fenomeno", cioè "ciò che si manifesta". "Ciò che si manifesta implica l'esistenza di un soggetto dotato di coscienza che riceve la manifestazione (come si può parlare di manifestazione senza nessuno a cui la manifestazione è data?), avente una propria realtà sostanziale. Nessun fenomeno sussiste di per sé, come sostanza reale, ma solo come accadimento,evento psichico il cui essere è tale come interno alla coscienza, non trascendente questa. Per negare la necessità logica della realtà extrafenomenica, dovremmo ammettere come sensata l'ipotesi che il complesso dei fenomeni abbia in se stesso la sua ragion d'essere, la sua causa come immanente ad esso, senza bisogno di postulare una realtà ulteriore ad essi che sia la causa che li produce. Ma se accettassimo questo autofondarsi dei fenomeni, dovremmo escludere in assoluto proprio la possibilità dell'illusione, dell'inganno, di fenomeni che non corrispondono al reale, come nel caso dell'allucinazione o del daltonismo. Essendo i fenomeni l'unica realtà possibile, il loro coincidere con la verità sarebbe una proprietà essenziale ad essi, senza possibilità di deviazioni, dato che un giudizio vero è definito come quello che predica un contenuto fenomenico corrispondente alla realtà oggettiva. Ogni fenomeno, come tale esprimerebbe sempre il vero. Questa ipotesi è assurda, dato che resta sempre la possibilità di immagini sulla realtà tra loro contrastanti, che non possono dunque tutte essere vere, ma che dovrebbero porsi a diversi livelli di distanza rispetto a un riferimento extrafenomenico, in relazione a cui le idee (fenomeni) sarebbero più o meno rispecchianti la verità. Inoltre, lo stesso Giopap (come chiunque altra/o) ogniqualvolta esprime una sua opinione, come in questa discussione, in opposizione ad altre considerate erronee, sta implicitamente e necessariamente affermando questa realtà extrafenomenica, come criterio regolativo in relazione a cui la sua opinione sarebbe vera, cioè aderente ad esso, mentre le opposte, essendo nel torto, divergerebbero. Negando questa trascendenza del reale rispetto ai fenomeni, anche solo a livello generico-formale, questi rimarrebbero l'unica realtà possibile e avrebbero in se stessi, nelle coscienze di cui sono il contenuto, in quanti tali il criterio di verità, rendendo impossibile che alcuni possano contravvenire al criterio, scadendo nel torto, o anche ad un livello di verità inferiore o meno "centrata" rispetto ad altri. La possibilità dell'illusione, dell'errore è ciò che dimostra che il criterio di verità dei fenomeni non è ad essi immanenti, ma consiste in una realtà oggettiva extrafenomenica, di fronte a cui i fenomeni possono assumere livelli di maggior o minor concordanza, ma sempre in relazione a un principio non da essi posto


Secondo me il fenomeno ("ciò che appare", "ciò il cui essere reale consiste nell' apparire") non necessita necessariamente, oltre all' esperienza cosciente di cui fa parte, nell' ambito della quale accade, di un ulteriore suo soggetto: l' ipotesi che solo i dati sensibili ("ciò che appare e basta") e null' altro di ulteriormente persistente anche in loro mancanza, sia reale non é logicamente scorretta, contraddittoria, insensata; dunque ciò cui allude può ben realmente darsi.
La questione del parlare di "manifestazione -sottinteso: a qualcuno- senza nessuno cui la manifestazione sia data" é puramente "tecnica linguistica": la forma personale si può benissimo sostituire con quella impersonale, "apparenza" come accadimento integrale in se stesso, non bisognoso di alcunché di ulteriore per darsi realmente.

Pretendere che una coscienza sia necessariamente le coscienza di qualcuno (di qualche soggetto) é pretendere che quanto sarebbe da dimostrare sia dimostrato (una petizione di principio).

La questione delle allucinazioni, sogni, ecc. si pone solo una volta ammesso (per fede, indimostrabilmente) l' esistenza di "cose in sé" indipendenti dalle percezioni fenomeniche coscienti.
Infatti un' allucinazione o un sogno non si distingue in alcun modo da un' esperienza "autentica" in sé e per sé (prescindendo da qualsiasi altra considerazione), ma invece solo presupponendo l' esistenza di cose in sé reali che nelle sensazioni fenomeniche, di cui sono "oggetti", si "manifestano" ad altre (o riflessivamente a sé medesime a seconda dei casi), che ne sono soggetti; e in particolare:
ammettendo (indimostrabilmente, per fede) l' esistenza di se stessi come soggetti di esperienza cosciente, di altri soggetti da se stessi diversi e di ulteriori cose in sé che delle esperienze coscienti sono oggetti;
ed accettando per vero (indimostrabilmente, per fede) il carattere autenticamente linguistico di quanto (ci) dicono altri parlanti (fenomenicamente constatabili) e in generale, "di norma" la loro sincerità o veridicità;
date le quali premesse indimostrabili si può verificare empiricamente se i fenomeni miei sono meramente soggettivi (solo io li provo: allucinazioni o sogni), oppure intersoggettivi (analogamente presenti, in condizioni di osservazione appropriate, nell' abito anche di qualsiasi altro soggetto di esperienza fenomenica cosciente oltre a me) in quanto considerabili manifestazioni fenomeniche delle medesime cose in sé, che ne sono oggetti, a qualsiasi soggetto (li può provare chiunque: esperienze "autentiche").

Dunque concordo che "il criterio di verità [mi sembra più corretto dire "autenticità", riservando quello di "verità" a quei peculiari fenomeni che sono le proposizioni o giudizi"] dei fenomeni non è ad essi immanente, ma consiste in una realtà oggettiva extrafenomenica, di fronte a cui i fenomeni possono assumere livelli di maggior o minor concordanza"; solo che penso che non lo si possa dimostrare.

Per me i fenomeni non sono l' unica realtà possibile, ma ' unica realtà empiricamente verificabile, di cui può darsi certezza per immediata constatazione empirica (infatti non ho mai negato l' esistenza reale di me come soggetto né di altre cose come oggetti della mia esperienza cosciente, in certi casi a loro volta soggetti di altre).
Altre realtà extrafenomeniche credo pertanto esistano; solo mi rendo anche conto criticamente che questa credenza é "fideistica", indimostrabile empiricamente né logicamente.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 29 Aprile 2020, 07:36:06 AM
L'uomo ha due 'io': l'Io Reale immortale detto [/size]Atman[/size][/color] o [/size]Purusha[/font][/size][/color] e l'Io relativo, effimero, falso, [/size]ahamkara[/font][/size][/color]. In tenera età, quando le impressioni e l'ambiente non hanno ancora messo su di noi l'impronta impura, il piccolo diffonde a volte attorno a sé bagliori del Sé Reale Assoluto; ma man mano che avanza nella conoscenza delle vie del mondo, dove le azioni e il comportamento influenzano l'appetito e i desideri, il confort e il progresso, egli inizia a tessere un vestito chiamato personalità, con il quale il mondo lo conosce. L'ordito illusorio, effimero, la tessitura e il filo di questo abito sono fatti dalle abitudini, dai pregiudizi, dalle emozioni, dai modi di pensare e di agire, dai desideri e dalle ambizioni. Una forte personalità può essere utile, fino ad un certo punto, per spianare il cammino di vita e per permetterci di realizzare le ambizioni, ma non anche per la rivelazione del Vero Io. L'aspirante autentico allo stato di [/size]Yoga[/font][/size][/color] diventa meno interessato al suo impatto sul mondo e cerca con ardore la piena rivelazione del suo Io Reale Divino.[/size]Attraverso la meditazione profonda egli impara a distinguere ciò che è veramente Reale da ciò che non è valoroso e degno di considerazione, e si domanda: "Chi e che cosa sono Io in essenza?" Lui analizza e conosce Se stesso, domanda, apre la porta dell'intuizione e della percezione spirituale, penetrando così sulla via che porta al SAMADHI. Secondo la filosofia Yoga, il Sé non esiste assolutamente nel senso di essere parte del mondo manifestato, oggettivo o soggettivo; esso è eterno, non nato, non cresce, resiste ad ogni cambiamento, non decade (non si altera) mai e non muore, essendo onnipotente ed immortale.Nell'essere, il SE' è l'espressione della VERITA' ULTIMA. La BHAGAVAD GITA afferma che il SE' DIVINO (Atman) si trova nei cuori di tutti gli uomini ed è il nostro Io eterno, interiore, più profondo. Solo quando realizziamo, attraverso la rivelazione, questo SE' ETERNO e conquistiamo noi stessi, possiamo unificarci con il Supremo Infinito (DIO).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: davintro il 29 Aprile 2020, 19:05:38 PM
Citazione di: giopap il 28 Aprile 2020, 19:06:24 PM
Citazione di: davintro il 28 Aprile 2020, 17:56:30 PM

la necessità di un passaggio logico verso il riconoscimento di una realtà extrafenomenica sta proprio nella definizione di "fenomeno", cioè "ciò che si manifesta". "Ciò che si manifesta implica l'esistenza di un soggetto dotato di coscienza che riceve la manifestazione (come si può parlare di manifestazione senza nessuno a cui la manifestazione è data?), avente una propria realtà sostanziale. Nessun fenomeno sussiste di per sé, come sostanza reale, ma solo come accadimento,evento psichico il cui essere è tale come interno alla coscienza, non trascendente questa. Per negare la necessità logica della realtà extrafenomenica, dovremmo ammettere come sensata l'ipotesi che il complesso dei fenomeni abbia in se stesso la sua ragion d'essere, la sua causa come immanente ad esso, senza bisogno di postulare una realtà ulteriore ad essi che sia la causa che li produce. Ma se accettassimo questo autofondarsi dei fenomeni, dovremmo escludere in assoluto proprio la possibilità dell'illusione, dell'inganno, di fenomeni che non corrispondono al reale, come nel caso dell'allucinazione o del daltonismo. Essendo i fenomeni l'unica realtà possibile, il loro coincidere con la verità sarebbe una proprietà essenziale ad essi, senza possibilità di deviazioni, dato che un giudizio vero è definito come quello che predica un contenuto fenomenico corrispondente alla realtà oggettiva. Ogni fenomeno, come tale esprimerebbe sempre il vero. Questa ipotesi è assurda, dato che resta sempre la possibilità di immagini sulla realtà tra loro contrastanti, che non possono dunque tutte essere vere, ma che dovrebbero porsi a diversi livelli di distanza rispetto a un riferimento extrafenomenico, in relazione a cui le idee (fenomeni) sarebbero più o meno rispecchianti la verità. Inoltre, lo stesso Giopap (come chiunque altra/o) ogniqualvolta esprime una sua opinione, come in questa discussione, in opposizione ad altre considerate erronee, sta implicitamente e necessariamente affermando questa realtà extrafenomenica, come criterio regolativo in relazione a cui la sua opinione sarebbe vera, cioè aderente ad esso, mentre le opposte, essendo nel torto, divergerebbero. Negando questa trascendenza del reale rispetto ai fenomeni, anche solo a livello generico-formale, questi rimarrebbero l'unica realtà possibile e avrebbero in se stessi, nelle coscienze di cui sono il contenuto, in quanti tali il criterio di verità, rendendo impossibile che alcuni possano contravvenire al criterio, scadendo nel torto, o anche ad un livello di verità inferiore o meno "centrata" rispetto ad altri. La possibilità dell'illusione, dell'errore è ciò che dimostra che il criterio di verità dei fenomeni non è ad essi immanenti, ma consiste in una realtà oggettiva extrafenomenica, di fronte a cui i fenomeni possono assumere livelli di maggior o minor concordanza, ma sempre in relazione a un principio non da essi posto


Secondo me il fenomeno ("ciò che appare", "ciò il cui essere reale consiste nell' apparire") non necessita necessariamente, oltre all' esperienza cosciente di cui fa parte, nell' ambito della quale accade, di un ulteriore suo soggetto: l' ipotesi che solo i dati sensibili ("ciò che appare e basta") e null' altro di ulteriormente persistente anche in loro mancanza, sia reale non é logicamente scorretta, contraddittoria, insensata; dunque ciò cui allude può ben realmente darsi.
La questione del parlare di "manifestazione -sottinteso: a qualcuno- senza nessuno cui la manifestazione sia data" é puramente "tecnica linguistica": la forma personale si può benissimo sostituire con quella impersonale, "apparenza" come accadimento integrale in se stesso, non bisognoso di alcunché di ulteriore per darsi realmente.

Pretendere che una coscienza sia necessariamente le coscienza di qualcuno (di qualche soggetto) é pretendere che quanto sarebbe da dimostrare sia dimostrato (una petizione di principio).

La questione delle allucinazioni, sogni, ecc. si pone solo una volta ammesso (per fede, indimostrabilmente) l' esistenza di "cose in sé" indipendenti dalle percezioni fenomeniche coscienti.
Infatti un' allucinazione o un sogno non si distingue in alcun modo da un' esperienza "autentica" in sé e per sé (prescindendo da qualsiasi altra considerazione), ma invece solo presupponendo l' esistenza di cose in sé reali che nelle sensazioni fenomeniche, di cui sono "oggetti", si "manifestano" ad altre (o riflessivamente a sé medesime a seconda dei casi), che ne sono soggetti; e in particolare:
ammettendo (indimostrabilmente, per fede) l' esistenza di se stessi come soggetti di esperienza cosciente, di altri soggetti da se stessi diversi e di ulteriori cose in sé che delle esperienze coscienti sono oggetti;
ed accettando per vero (indimostrabilmente, per fede) il carattere autenticamente linguistico di quanto (ci) dicono altri parlanti (fenomenicamente constatabili) e in generale, "di norma" la loro sincerità o veridicità;
date le quali premesse indimostrabili si può verificare empiricamente se i fenomeni miei sono meramente soggettivi (solo io li provo: allucinazioni o sogni), oppure intersoggettivi (analogamente presenti, in condizioni di osservazione appropriate, nell' abito anche di qualsiasi altro soggetto di esperienza fenomenica cosciente oltre a me) in quanto considerabili manifestazioni fenomeniche delle medesime cose in sé, che ne sono oggetti, a qualsiasi soggetto (li può provare chiunque: esperienze "autentiche").

Dunque concordo che "il criterio di verità [mi sembra più corretto dire "autenticità", riservando quello di "verità" a quei peculiari fenomeni che sono le proposizioni o giudizi"] dei fenomeni non è ad essi immanente, ma consiste in una realtà oggettiva extrafenomenica, di fronte a cui i fenomeni possono assumere livelli di maggior o minor concordanza"; solo che penso che non lo si possa dimostrare.

Per me i fenomeni non sono l' unica realtà possibile, ma ' unica realtà empiricamente verificabile, di cui può darsi certezza per immediata constatazione empirica (infatti non ho mai negato l' esistenza reale di me come soggetto né di altre cose come oggetti della mia esperienza cosciente, in certi casi a loro volta soggetti di altre).
Altre realtà extrafenomeniche credo pertanto esistano; solo mi rendo anche conto criticamente che questa credenza é "fideistica", indimostrabile empiricamente né logicamente.





concordo con il fatto che "autenticità" sia un termine più appropriato di "verità" riguardo i fenomeni. Avevo provato a chiarire che quando scrivevo di "verità dei fenomeni", la intendevo nel senso di vedere i fenomeni come già contenuti dei giudizi, già logicamente correlati, e non nella loro datità immediata con cui manifestano, prima di trattarli come qualcosa su cui si possono formulare giudizi oggettivi. Comunque la tua è una precisazione molto opportuna.


c'è un implicazione logica necessaria tra illusorietà dei fenomeni e posizione di una realtà extrafenomenica, ma non nel senso che quest'ultima sia un pregiudizio arbitrario già contenuta nel riconoscimento della possibile illusorietà dei fenomeni, condizione che porterebbe a un circolo vizioso, ma nel senso, se si vuole, inverso, che è la possibile illusorietà dei fenomeni la base da cui dedurre l'esistenza della realtà extrafenomenica, in quanto se i fenomeni fossero l'unica realtà possibile, sarebbe impossibile concepire torti e ragioni, dato che non esisterebbe nessun criterio oggettivo in base a cui giudicare un'opinione corretta o scorretta, e dunque la stessa opinione per la quale non esiste alcuna realtà extrafenomenica, cioè extrasoggettiva, dovrebbe autoinvalidarsi, mancando del riconoscimento del principio logico che ne garantirebbe la correttezza e di converso sancirebbe l'illusorietà della tesi opposta. Resterebbe, a sua volta un fenomeno, un'impressione, non un giudizio in senso stretto, come invece si presenta. E, come logica insegna, se una tesi è autocontraddittoria, cioè falsa, necessariamente sarà vera l'opposta, cioè "esiste una realtà extrafenomenica". Quindi, se i fenomeni sono l'unica realtà verificabile empiricamente (ma io non parlerei di "realtà", ma di vissuti, manifestazioni, i fenomeni sono per definizione i contenuti di esperienza, per cui, come tali, diventa tautologico dire che i fenomeni sono i soli contenuti che l'esperienza ci offrirebbe), la dialettica (verificazione logica di una tesi dopo aver ridotto ad absurdum la tesi opposta) invece comprova l'esistenza di una realtà oggettiva, extrafenomenica ed exstrasoggettiva, come criterio necessario su cui fondare ogni possibile giudizio
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 29 Aprile 2020, 21:14:33 PM
Citazione di: daniele75 il 29 Aprile 2020, 07:36:06 AM
L'uomo ha due 'io': l'Io Reale immortale detto [/size]Atman[/size] o [/size]Purusha[/size] e l'Io relativo, effimero, falso, [/size]ahamkara[/size].
Suggerirei di riprendere tale dualismo (struttura che ben si addice al discorso logico), per scendere sotto il manto cultuale e "populista" addobbato di varie divinità, trascendenze, verità ultime, assoluti, etc. e partendo da Nagarjuna (anche nel senso di allontanarsene) e la sua distinzione fra «realtà convenzionale-relativa» e «realtà ultima» (nel senso che non se ne vede una ulteriore; questione più di "topologia" che di mistica), ragionare secondo un "realismo alogico" che considera il concetto di sunyata (vuoto come indeterminazione logica, non come nulla ontologico) "pervasivo" di quello di svabhava (essenza dell'ente, identità), senza tuttavia indulgere nelle velleità e promesse soteriologiche tipiche di una dottrina spiritual-religiosa.
Questa stessa concezione del concetto di sunyata, come disillusione dalla convenzionalità logico-culturale, è a sua volta "vuota" o "piena"? Essendo formulata secondo il linguaggio logico-convenzionale non può che esser "piena" di un senso, sebbene il suo referente, ciò a cui rimanda, è un vuoto di senso. Una prospettiva che quindi indica (non «è») la soglia del valico dell'illusione convenzionale; il che significa capire e farsi carico della funzione condizionante del prospettivismo nietzchiano, dell'"illusione dell'io", del pensiero logico-calcolante, del Samsara (che, per alcuni, è il Nirvana pensato e identificato "fuori" dalla sua vacuità), etc.

Similmente, riflettendo sulle dimensioni e la funzione di una tenaglia normale (convenzionale), si capisce (non «intuisce») che non ci si può prendere né il tronco di un albero né la punta di un capello. Non c'è nulla di mistico o spirituale, solo consapevolezza del ruolo (e dei limiti strutturali) dello strumento, del medium. Ciò non significa che lo strumento non possa ottenere dei risultati concreti: infatti la tenaglia ben stringe e svita bulloni (v. la famosa abilità tecno-scientifica di mandare sonde nello spazio), semplicemente c'è anche qualcosa che tale strumento non può cogliere, anche se questo non ne inficia comunque la funzionalità. Cos'è che sfugge alla tenaglia? Anzitutto, la possibilità di afferrare il suo stesso perno o il suo stesso manico, ovvero di (com)prendere se stessa. D'altronde, una tenaglia "vede" il mondo circostante classificato secondo la sua dicotomia prospettica di prendibile/non-prendibile; sebbene, al di là dell'aporia del non poter prendere sé stessa (aporia che è connaturata al suo stesso esser tenaglia e quindi ne fonda la funzionalità), c'è stata anche qualche tenaglia che ha osservato, fenomenologicamente, che è proprio la sua stessa interazione con il mondo circostante a farlo sembrare tutta una questione di prendibile/non-prendibile (vero/falso, giusto/sbagliato, etc.). Nel momento in cui si è consapevoli di come si funziona in quanto tenaglia, è spontaneo capire che la (com)prensibilità del mondo è una prospettiva convenzionale da tenaglie, una mappatura sovrastrutturale che le tenaglie impongono sul mondo (nel loro interagire empirico con esso); e in fondo non potrebbero fare altrimenti... almeno finché si adoperano "solo" a prendere/non-prendere (attività non certo scevra da difficoltà e rischi) o, come si direbbe più ad oriente, attaccarsi/non-attaccarsi.


P.s.
In rete ho pescato il Mulamadhyamakakarika (testo integrale seguito da un commentario) purtroppo solo in inglese, qui.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 30 Aprile 2020, 09:30:18 AM
Citazione di: davintro il 29 Aprile 2020, 19:05:38 PM

c'è un implicazione logica necessaria tra illusorietà dei fenomeni e posizione di una realtà extrafenomenica, ma non nel senso che quest'ultima sia un pregiudizio arbitrario già contenuta nel riconoscimento della possibile illusorietà dei fenomeni, condizione che porterebbe a un circolo vizioso, ma nel senso, se si vuole, inverso, che è la possibile illusorietà dei fenomeni la base da cui dedurre l'esistenza della realtà extrafenomenica, in quanto se i fenomeni fossero l'unica realtà possibile, sarebbe impossibile concepire torti e ragioni, dato che non esisterebbe nessun criterio oggettivo in base a cui giudicare un'opinione corretta o scorretta, e dunque la stessa opinione per la quale non esiste alcuna realtà extrafenomenica, cioè extrasoggettiva, dovrebbe autoinvalidarsi, mancando del riconoscimento del principio logico che ne garantirebbe la correttezza e di converso sancirebbe l'illusorietà della tesi opposta. Resterebbe, a sua volta un fenomeno, un'impressione, non un giudizio in senso stretto, come invece si presenta. E, come logica insegna, se una tesi è autocontraddittoria, cioè falsa, necessariamente sarà vera l'opposta, cioè "esiste una realtà extrafenomenica". Quindi, se i fenomeni sono l'unica realtà verificabile empiricamente (ma io non parlerei di "realtà", ma di vissuti, manifestazioni, i fenomeni sono per definizione i contenuti di esperienza, per cui, come tali, diventa tautologico dire che i fenomeni sono i soli contenuti che l'esperienza ci offrirebbe), la dialettica (verificazione logica di una tesi dopo aver ridotto ad absurdum la tesi opposta) invece comprova l'esistenza di una realtà oggettiva, extrafenomenica ed exstrasoggettiva, come criterio necessario su cui fondare ogni possibile giudizio

Dal fatto che se i fenomeni fossero l'unica realtà possibile non esisterebbe nessun criterio oggettivo in base a cui giudicare la natura illusoria-onirica (cioé meramente soggettiva, constatabile unicamente nella singola esperienza postulabile essere propria di ciascun unico soggetto) oppure non fittizia (cioé postulabile essere constatabile in linea di principio nell' ambito di qualsiasi esperienza propria di qualsiasi soggetto) dell' esperienza dei fenomeni stessi consegue non che esiste la realtà in sé oltre ai fenomeni, ma che l' esistenza (comunque indimostrabile né tantomeno -per definizione- empiricamente provabile) della realtà in sé deve necessariamente essere creduta (sempre e comunque per fede) se si crede alla possibilità di compiere veracemente questa distinzione fra esperienza fenomenica non fittizia (intersoggettiva) e fittizia (meramente soggettiva) e si vuole essere logicamente coerenti, evitando di cadere in contraddizione.
Dunque il carattere non illusorio delle esperienze non fittizie non é perciò garantito con certezza, otlre ogni possibile dubbio dall' esistenza delle cose in sé, anche se ne ha bisogno; si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente.

Nella tua affermazione finale [che per parte mia correggerei solo marginalmente in questo modo: Quindi, ***se*** i fenomeni sono l'unica realtà verificabile empiricamente in quanto vissuti, manifestazioni, i fenomeni essendo per definizione i contenuti di esperienza, per cui, come tali, diventa tautologico dire che i fenomeni sono i soli contenuti che l'esperienza ci offrirebbe, la dialettica (verificazione logica di una tesi dopo aver ridotto ad absurdum la tesi opposta) invece comprova l'esistenza di una realtà oggettiva, extrafenomenica ed exstrasoggettiva, come criterio necessario su cui fondare ogni possibile giudizio] per quanto mi riguarda evidenzierei fortemente il "se": non é certo che così stiano le cose, ma devono stare così qualora questo criterio di valutazione fonata circa i fenomeni fosse (come credo per fede) effettivamente possibile (a rigore grammaticalmente é un periodo ipotetico della possibilità, non della realtà).
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Ipazia il 30 Aprile 2020, 09:46:52 AM
Citazione di: Phil il 29 Aprile 2020, 21:14:33 PM
Similmente, riflettendo sulle dimensioni e la funzione di una tenaglia normale (convenzionale), si capisce (non «intuisce») che non ci si può prendere né il tronco di un albero né la punta di un capello. Non c'è nulla di mistico o spirituale, solo consapevolezza del ruolo (e dei limiti strutturali) dello strumento, del medium. Ciò non significa che lo strumento non possa ottenere dei risultati concreti: infatti la tenaglia ben stringe e svita bulloni (v. la famosa abilità tecno-scientifica di mandare sonde nello spazio), semplicemente c'è anche qualcosa che tale strumento non può cogliere, anche se questo non ne inficia comunque la funzionalità. Cos'è che sfugge alla tenaglia? Anzitutto, la possibilità di afferrare il suo stesso perno o il suo stesso manico, ovvero di (com)prendere se stessa. D'altronde, una tenaglia "vede" il mondo circostante classificato secondo la sua dicotomia prospettica di prendibile/non-prendibile; sebbene, al di là dell'aporia del non poter prendere sé stessa (aporia che è connaturata al suo stesso esser tenaglia e quindi ne fonda la funzionalità), c'è stata anche qualche tenaglia che ha osservato, fenomenologicamente, che è proprio la sua stessa interazione con il mondo circostante a farlo sembrare tutta una questione di prendibile/non-prendibile (vero/falso, giusto/sbagliato, etc.). Nel momento in cui si è consapevoli di come si funziona in quanto tenaglia, è spontaneo capire che la (com)prensibilità del mondo è una prospettiva convenzionale da tenaglie, una mappatura sovrastrutturale che le tenaglie impongono sul mondo (nel loro interagire empirico con esso); e in fondo non potrebbero fare altrimenti... almeno finché si adoperano "solo" a prendere/non-prendere (attività non certo scevra da difficoltà e rischi) o, come si direbbe più ad oriente, attaccarsi/non-attaccarsi.

Mettendomi nei panni dell'umile tenaglia, evidenzio la sua memoria di essere stata essa stessa presa e forgiata da altre tenaglie e da un maglio che le ha dato la forma in cui potersi manifestare nella sua prensile natura. Non del tutta avulsa da una sua capacità speculativa nel vedere agire altre tenaglie simili a lei per funzione e sostanza. Autocoscientemente maturando la consapevolezza della sua insostituibilità ogni volta che il mondo incappa in qualche bullone da avvitare o svitare. E trovando alfine la sua gloria nel canto di chi, nella "chiave a stella", ne colse e narrò la grande bellezza siderea.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: Phil il 30 Aprile 2020, 15:03:53 PM
Citazione di: Ipazia il 30 Aprile 2020, 09:46:52 AM
Mettendomi nei panni dell'umile tenaglia, evidenzio la sua memoria di essere stata essa stessa presa e forgiata da altre tenaglie e da un maglio che le ha dato la forma in cui potersi manifestare nella sua prensile natura. Non del tutta avulsa da una sua capacità speculativa nel vedere agire altre tenaglie simili a lei per funzione e sostanza.
Concordo, questa è esattamente la civiltà della specie "tenaglia sapiens": accomunate per sostanza, per range di capacità operative, per struttura materiale, per modalità di interazione con il mondo secondo il dualismo prendibile/non-prendibile, per storia evolutiva delle tenaglie, per rivoluzione delle tecniche di prensione, etc. e ne ha costruite molte di opere mirabili, questa stirpe di tenaglie («canaglie» tuonerebbe forse Madre Natura, ma meglio non accavallare troppo le metafore).

Citazione di: Ipazia il 30 Aprile 2020, 09:46:52 AM
Autocoscientemente maturando la consapevolezza della sua insostituibilità ogni volta che il mondo incappa in qualche bullone da avvitare o svitare.
Qui la relazione disillusa che proponevo è invece rovesciata: non è il mondo ad incappare in bulloni da svitare, ma è la tenaglia, in quanto tale, a vedere nel mondo bulloni da girare; un pennello vedrebbe bulloni da dipingere (e magari non li chiamerebbe nemmeno «bulloni»); ognuno secondo la sua naturale prospettiva.

Come detto, l'esser consapevoli del proprio esser-tenaglia è il punto di partenza per disilludersi che il mondo sia solo una questione di girar bulloni, anche se così facendo si è storicamente costruito già molto. Lasciarsi attanagliare dal dubbio che tutto ci paia prensibile/non-prensibile solo perché siamo tenaglie, può aiutarci a capire l'illusione che la (com)prensibilità, che la nostra prospettiva impone al mondo, coincida con la realtà assoluta del mondo: come suggerito, ibridando Nagarjuna con Husserl, la "realtà ultima" (invalicabile, fino a prova contraria) è probabilmente quella in cui, lasciando fenomenologicamente tra parentesi il nostro esser tenaglia e il connaturato criterio di (com)prensibilità, non c'è nulla da (com)prendere e, a ben vedere, nemmeno nessuna "tenaglia" (intesa come identità convenzionale e permanente).
In breve, sunyata zen demistificato, realismo alogico (il termine etimologicamente esatto sarebbe «nichilismo», se non fosse già così stracarico di storia, concettualizzazioni, pregiudizi, etc.).

Citazione di: Ipazia il 30 Aprile 2020, 09:46:52 AM
E trovando alfine la sua gloria nel canto di chi, nella "chiave a stella", ne colse e narrò la grande bellezza siderea.
Per me, più che nella decodifica siderale, la (vana)gloria delle tenaglie è forgiata nella fucina di Efesto: "gloria operaia" del formicaio di industriose (ed industriali) creature, che risolvono con la "tecnica della complessità" il complesso di inferiorità verso gli altri animali. Naturalmente, più vogliono esser prime per pienezza di conoscenza, più si allontanano dalla vacuità della realtà ultima.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 01 Maggio 2020, 14:44:21 PM
Tutti nasciamo con un pacchetto hardware preinstallato, con dei codici primari, gli istinti. Questo è quello che c'è di reale. Tutti hanno questo pacchetto, diverso per ogni specie. Poi nasce l'esperienza, subiamo l'insegnamento. La memoria comincia a memorizzare dati su dati, sino a concepire una realtà illusoria basata sulla concettualizzazione e sui sensi, qui nasce l'io, esso è un miraggio, che gestisce l'altro miraggio che è l'esperienza degli insegnamenti ricevuti, ecco che la suddivisione ha inizio, siamo divisi dal resto degli esseri, dalla natura. Il pacchetto iniziale continuerà a dirigere le giostre, sotto forma di pulsioni e codici. Ogni uomo può essere chiunque, dipende dalle credenze installate, in realtà abbiamo un io generato dalle credenze, esso ha la facoltà di decidere in parte come muoverci, come agire. Ma ricordiamoci che è solo il pacchetto iniziale ad essere eterno e reale, comune a tutti, diverso a seconda della razza. Il resto è illusorio come un miraggio, è una costruzione, un puzzle costruito dalla cultura. L'essere consapevole di questo dimostra che l'uomo è immortale, se si considera il pacchetto iniziale, sprovvisto di un io e di una memoria scritta, le esperienze. Siamo un tutt'uno all'inizio.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 01 Maggio 2020, 16:00:50 PM
Citazione di: giopap il 30 Aprile 2020, 09:30:18 AM
Citazione di: davintro il 29 Aprile 2020, 19:05:38 PM

c'è un implicazione logica necessaria tra illusorietà dei fenomeni e posizione di una realtà extrafenomenica, ma non nel senso che quest'ultima sia un pregiudizio arbitrario già contenuta nel riconoscimento della possibile illusorietà dei fenomeni, condizione che porterebbe a un circolo vizioso, ma nel senso, se si vuole, inverso, che è la possibile illusorietà dei fenomeni la base da cui dedurre l'esistenza della realtà extrafenomenica, in quanto se i fenomeni fossero l'unica realtà possibile, sarebbe impossibile concepire torti e ragioni, dato che non esisterebbe nessun criterio oggettivo in base a cui giudicare un'opinione corretta o scorretta, e dunque la stessa opinione per la quale non esiste alcuna realtà extrafenomenica, cioè extrasoggettiva, dovrebbe autoinvalidarsi, mancando del riconoscimento del principio logico che ne garantirebbe la correttezza e di converso sancirebbe l'illusorietà della tesi opposta. Resterebbe, a sua volta un fenomeno, un'impressione, non un giudizio in senso stretto, come invece si presenta. E, come logica insegna, se una tesi è autocontraddittoria, cioè falsa, necessariamente sarà vera l'opposta, cioè "esiste una realtà extrafenomenica". Quindi, se i fenomeni sono l'unica realtà verificabile empiricamente (ma io non parlerei di "realtà", ma di vissuti, manifestazioni, i fenomeni sono per definizione i contenuti di esperienza, per cui, come tali, diventa tautologico dire che i fenomeni sono i soli contenuti che l'esperienza ci offrirebbe), la dialettica (verificazione logica di una tesi dopo aver ridotto ad absurdum la tesi opposta) invece comprova l'esistenza di una realtà oggettiva, extrafenomenica ed exstrasoggettiva, come criterio necessario su cui fondare ogni possibile giudizio

Dal fatto che se i fenomeni fossero l'unica realtà possibile non esisterebbe nessun criterio oggettivo in base a cui giudicare la natura illusoria-onirica (cioé meramente soggettiva, constatabile unicamente nella singola esperienza postulabile essere propria di ciascun unico soggetto) oppure non fittizia (cioé postulabile essere constatabile in linea di principio nell' ambito di qualsiasi esperienza propria di qualsiasi soggetto) dell' esperienza dei fenomeni stessi consegue non che esiste la realtà in sé oltre ai fenomeni, ma che l' esistenza (comunque indimostrabile né tantomeno -per definizione- empiricamente provabile) della realtà in sé deve necessariamente essere creduta (sempre e comunque per fede) se si crede alla possibilità di compiere veracemente questa distinzione fra esperienza fenomenica non fittizia (intersoggettiva) e fittizia (meramente soggettiva) e si vuole essere logicamente coerenti, evitando di cadere in contraddizione.
Dunque il carattere non illusorio delle esperienze non fittizie non é perciò garantito con certezza, otlre ogni possibile dubbio dall' esistenza delle cose in sé, anche se ne ha bisogno; si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente.

Nella tua affermazione finale [che per parte mia correggerei solo marginalmente in questo modo: Quindi, ***se*** i fenomeni sono l'unica realtà verificabile empiricamente in quanto vissuti, manifestazioni, i fenomeni essendo per definizione i contenuti di esperienza, per cui, come tali, diventa tautologico dire che i fenomeni sono i soli contenuti che l'esperienza ci offrirebbe, la dialettica (verificazione logica di una tesi dopo aver ridotto ad absurdum la tesi opposta) invece comprova l'esistenza di una realtà oggettiva, extrafenomenica ed exstrasoggettiva, come criterio necessario su cui fondare ogni possibile giudizio] per quanto mi riguarda evidenzierei fortemente il "se": non é certo che così stiano le cose, ma devono stare così qualora questo criterio di valutazione fonata circa i fenomeni fosse (come credo per fede) effettivamente possibile (a rigore grammaticalmente é un periodo ipotetico della possibilità, non della realtà).


Devo correggermi, richiamando in articolare l' attenzione di Davintro, discutendo con il quale avevo sostenuto queste affermazioni che ritenendo errate e false.

Infatti a pensarci bene non ritengo vero che:


il carattere non illusorio delle esperienze non fittizie non é perciò garantito con certezza, oltre ogni possibile dubbio dall' esistenza delle cose in sé; e nemmeno ne ha necessariamente bisogno; si tratta di una condizione non sufficiente ma nemmeno, a ben considerare la questione, in modo logicamente corretto, necessaria.


Ovvero che:


Dal fatto che se i fenomeni fossero l'unica realtà possibile non esisterebbe nessun criterio oggettivo in base a cui giudicare la natura illusoria-onirica (cioé meramente soggettiva, constatabile unicamente nella singola esperienza postulabile essere propria di ciascun unico soggetto) oppure non fittizia (cioé postulabile essere constatabile in linea di principio nell' ambito di qualsiasi esperienza propria di qualsiasi soggetto) dell' esperienza dei fenomeni stessi consegue non che esiste la realtà in sé oltre ai fenomeni; ma nemmeno che l' esistenza (comunque indimostrabile né tantomeno -per definizione- empiricamente provabile) della realtà in sé deve necessariamente essere creduta (sempre e comunque per fede) se si crede alla possibilità di compiere veracemente questa distinzione fra esperienza fenomenica non fittizia (intersoggettiva) e fittizia (meramente soggettiva) e si vuole essere logicamente coerenti, evitando di cadere in contraddizione.


Al contrario ritengo sensata, ed indimostrabile sia essere vera sia essere falsa, e che dunque potrebbe tanto darsi quanto non darsi in realtà, anche l' ipotesi di una corrispondenza intersoggettiva di fatto di tutte le esperienze non fittizie (nel solo ambito di quelle esteriori o materiali e non mai comunque nel caso di le interiori o di res cogitans) anche in assenza di cose in sé.


Cioé una perfetta corrispondenza fra tutte le esperienze materiali non fittizie, secondo quanto raccontatoci dagli altri uomini (indimostrabilmente ammettendone la autentica natura linguistica e la verità in generale, salvo eccezioni, e comunque in linea di principio appurabile), potrebbe anche darsi (il pensarlo essendo logicamente corretto, non contraddittorio, sensato) anche in assenza di realtà in sé, per pura e semplice "coordinazione dell diverse esperienze coscienti, eventualmente anche qualora queste esaurissero integralmente la realtà in toto, ovvero in assenza di loro oggetti e soggetti in sé.



Questo per portare conseguentemente fino in fondo la critica razionale delle nostre convinzioni o credenze (e non per negarla o per pretendere impossibilmente di dimostrarla falsa), evidenziandone ogni possibile aspetto di indubilitabilità, di incertezza teorica.



Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: davintro il 01 Maggio 2020, 18:39:45 PM
personalmente faccio una netta distinzione tra oggettività (che indica il non essere fittizio dei fenomeni, cioè l'essere corrispondenti alla realtà in sè) e intersoggettività, indicante la concordanza dei fenomeni, ma da cui non si può dedurre con certezza la corrispondenza di questi circa la realtà oggettiva. L'autenticità, il non essere fittizio, dei fenomeni dipende dall'efficienza qualitativa dei nostri strumenti percettivi, la loro capacità di ricavare dati dalla realtà per come è, senza distorsioni. Questa efficienza è una condizione inerente la qualità dei singoli soggetti, non è qualcosa determinato quantitativamente dalla condivisione intersoggettiva dei fenomeni. Se un'eventuale stato di inefficienza degli apparati percettivi fosse un dato comune alla specie umana, tutti i fenomeni vissuti dai soggetti sarebbero fittizi. Sintetizzando, la verità non è democratica, non è data dalla frequenza quantitativa con cui i fenomeni sono vissuti da più soggetti, ma dall'efficienza qualitativa, che può essere tale indipendentemente dal riferirsi a singoli soggetti, minoranze o maggioranze. Per quanto riguarda il punto di dissenso con Giopap riguarda l'impossibilità di una realtà coincidente con i fenomeni soggettivi, senza alcun necessario riferimento a cose in sè, penso che, forse, potrebbe derivare da differenti impieghi della terminologia, in particolare riguardo la definizione di "realtà". Per me reale è ciò che esiste indipendentemente dall'essere pensato (quantomeno pensato attualmente da qualche mente, sull'indipendenza riguardo la pensabilità della cosa come potenzialità in generale, vorrei rifletterci meglio...), e dunque va da sè che i fenomeni, in quanto contenuti del pensiero, dunque dipendenti da esso, non possano essere identificati con la realtà. Ma chiaramente, mutando le definizioni sarebbe possibile esporre discorsi diversi, non più insensati
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: viator il 01 Maggio 2020, 19:06:19 PM
Salve daniele75. Concordo con il tuo ultimo più recente intervento, dissentendo però circa il tuo considerare l'istinto di sopravvivenza quale HARDWARE (penso ti sia semplicemente confuso con il concetto di SOFTWARE) Saluti.
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: daniele75 il 01 Maggio 2020, 19:23:08 PM
Citazione di: viator il 01 Maggio 2020, 19:06:19 PM
Salve daniele75. Concordo con il tuo ultimo più recente intervento, dissentendo però circa il tuo considerare l'istinto di sopravvivenza quale HARDWARE (penso ti sia semplicemente confuso con il concetto di SOFTWARE) Saluti.
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Si  comi son confuso, intendevo software
Titolo: Re:L'illusione dell'io
Inserito da: giopap il 02 Maggio 2020, 08:34:48 AM
Citazione di: davintro il 01 Maggio 2020, 18:39:45 PM
personalmente faccio una netta distinzione tra oggettività (che indica il non essere fittizio dei fenomeni, cioè l'essere corrispondenti alla realtà in sè) e intersoggettività, indicante la concordanza dei fenomeni, ma da cui non si può dedurre con certezza la corrispondenza di questi circa la realtà oggettiva. L'autenticità, il non essere fittizio, dei fenomeni dipende dall'efficienza qualitativa dei nostri strumenti percettivi, la loro capacità di ricavare dati dalla realtà per come è, senza distorsioni. Questa efficienza è una condizione inerente la qualità dei singoli soggetti, non è qualcosa determinato quantitativamente dalla condivisione intersoggettiva dei fenomeni. Se un'eventuale stato di inefficienza degli apparati percettivi fosse un dato comune alla specie umana, tutti i fenomeni vissuti dai soggetti sarebbero fittizi. Sintetizzando, la verità non è democratica, non è data dalla frequenza quantitativa con cui i fenomeni sono vissuti da più soggetti, ma dall'efficienza qualitativa, che può essere tale indipendentemente dal riferirsi a singoli soggetti, minoranze o maggioranze. Per quanto riguarda il punto di dissenso con Giopap riguarda l'impossibilità di una realtà coincidente con i fenomeni soggettivi, senza alcun necessario riferimento a cose in sè, penso che, forse, potrebbe derivare da differenti impieghi della terminologia, in particolare riguardo la definizione di "realtà". Per me reale è ciò che esiste indipendentemente dall'essere pensato (quantomeno pensato attualmente da qualche mente, sull'indipendenza riguardo la pensabilità della cosa come potenzialità in generale, vorrei rifletterci meglio...), e dunque va da sè che i fenomeni, in quanto contenuti del pensiero, dunque dipendenti da esso, non possano essere identificati con la realtà. Ma chiaramente, mutando le definizioni sarebbe possibile esporre discorsi diversi, non più insensati


Concordo che per oggettività debba intendersi il non essere fittizio dei fenomeni, cioè l'essere corrispondenti alla realtà in sè ; se, come credo ma non può essere dimostrato, la realtà in sé esiste.
Dunque se la realtà in sé non esiste nemmeno può darsi oggettività dei fenomeni "non fittizi", ma solo intersoggettività, ovvero concordanza fra i fenomeni stessi in assenza di qualsiasi riferimento oggettivo, almeno potenzialmente fra tutte le esperienze fenomeniche coscienti (é per questo che ho sempre pignolescamente evitato di parlare di necessaria, indubitabile, provabile "oggettività" dei fenomeni, ma solo di loro eventuale "intersoggettività"; che contrappongo a, che distinguo da "mera soggettività" nell' ambito della comune "soggettività" generica).


Secondo me l' autenticità, il non essere fittizio, dei fenomeni dipende dalle circostanze della realtà in sé, se queste sono reali: allorché un oggetto in sé si trova con un soggetto in sé in certe determinate relazioni, tali che nella seconda di queste entità in sé accadono determinati eventi ai quali, nella rispettiva esperienza fenomenica cosciente, coesistono e biunivocamente corrispondono determinati fenomeni, allora questi ultimi non sono fittizi, sono intersoggettivi in quanto se qualsiasi altro soggetto in sé si viene a trovare in analoghe relazioni con lo stesso oggetto in sé (il medesimo per ogni e qualsiasi esperienza cosciente di ogni e qualsiasi possibile soggetto) i fenomeni accadenti nell' esperienza cosciente di in ogni e ciascuno di essi sono poliunivocamente corrispondenti fra loro (per proprietà transitiva, essendo tutti e ciascuno biunivocamente corrispondenti allo stesso oggetto); invece qualora in un soggetto in sé, per diversi motivi, in diverse circostanze, non dandosi tali rapporti con un oggetto esterno, accadono determinati eventi simili ai predetti (a quelli che accadrebbero se fosse in determinate relazioni con un oggetto in sé), allora a questi eventi in sé del soggetto, nella sua esperienza cosciente) corrispondono fenomeni fittizi, soggettivi (indistinguibili di per sé, a prescindere da quanto accade nella realtà in sé) da fenomeni non fittizi, intersoggettivi).

In questi casi, se qualcuno osservasse, nell' ambito della propria esperienza fenomenica cosciente, i cervelli di chi avesse una determinata esperienza cosciente non fittizia e di chi ne avesse una corrispondente fittizia (di per sé non distinguibili) potrebbe distinguere i due casi dal momento che nei due cervelli osserverebbe sì determinati eventi neurofisiologici (probabilmente in sede corticale) del tutto simili fra loro; i quali tuttavia nel primo caso sarebbero causati da determinate afferenze nervose provenienti da recettori sensoriali stimolati da oggetti esterni, mente nel secondo caso sarebbero causati da determinate altre, diverse afferenze nervose provenienti dall' interno del cervello stesso, da altre sue parti in precedenza "modulate" dall' esperienza memorizzata).

Questo se la realtà in sé é reale; mentre se non la é, allora l' intersoggettività dei fenomeni non fittizi costituirebbe puramente e semplicemente una sorta di "armonia prestabilita" senza alcuna "base" o condizione oggettiva fra le diverse esperienze coscienti; armonia prestabilita difficilmente spiegabile (il grande Leibniz si sentiva costretto ricorrere a Dio!), ma a ben guardare non impossibile in linea teorica, di principio (secondo me non si tratta di un' ipotesi illogica, contraddittoria ma invece pur sempre logicamente corretta, sensata.


Accetto anch' io la definizione per la quale reale è ciò che esiste-accade indipendentemente dall'essere pensato.

Però i fenomeni non sono (non solo, unicamente) contenuti del pensiero, dunque dipendenti da esso, dunque non é vero che non possano essere identificati con la realtà. Sono invece contenuti della coscienza, come lo sno le cose materiali.

I pensieri (e i sentimenti, e le altre sensazioni "interiori" meramente soggettive: la res cogitans), esattamente come la materia (le sensazioni "esteriori", la res extensa), sono esperienze coscienti, fenomeni, il cui "esse est percipi" (l' ha rilevato Hume, nel loro caso; Berkeley nel solo caso di quelli materiali).

E se un pensiero (fenomenico) predica l' accadere realmente di una (altra da esso) esperienza cosciente, materiale o anche mentale, in quanto tale, in quanto fenomeni (il cui "esse est percipi") e non in quanto cose in sé, allora tale pensiero é vero in quanto predica lì esistenza reale (sia pur fenomenica) di qualcosa che é reale (sia pure fenomenicamente) indipendentemente dal pensiero stesso.

Bisogna distinguere fra i diversi concetti di intersoggettività o meno dei fenomeni e verità o meno di (quei peculiari fenomeni che sono i pensieri, e precisamente) i predicati.

L' intersoggettività é la corrispondenza dei fenomeni alle cose in sé quali sono indipendentemente dall' accadere dei fenomeni stessi (o per lo meno, in mancanza di noumeno, ai fenomeni di qualsiasi altra esperienza cosciente in determinate "analoghe" situazioni).

Invece la verità é la corrispondenza di quei particolarissimi fenomeni mentali, (res cogitans) che sono i predicati a ciò che realmente accade (generalmente di fenomenico cosciente, materiale o mentale) indipendentemente dai pensieri stessi.


Grazie per la cortese attenzione.