La scala di Kardashëv (e il futuro delle religioni)

Aperto da Luther Blissett, 11 Dicembre 2025, 20:02:09 PM

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Luther Blissett

Mi sto rendendo conto che il finale coi puntini di sospensione del mio post precedente sembra convergere piuttosto bene con la tesi principale sostenuta dalla nuova teologia creata dall'interazione tra me ed Eru, teologia che si era chiamata dapprima teologia del Puer aeternus o puerologia, poi teosolipsismo e infine teolistica o teolismo.
Mi permetto di  illudermi che questa nuova teologia possa pure permettersi di scomparire nel nulla per ora, per poi realizzarsi nel più iper-remoto dei futuri, allorché sarà arrivato il tempo estremista di quegli scriteriati che giocano a divertirsi a far morire tutti i loro sé "avatariati"  O:-)
 

iano

#16
Citazione di: Luther Blissett il 13 Dicembre 2025, 19:07:50 PMTentando di rispondere,  potrei dire che noi umani siamo arrivati a divenir tali per approssimazioni successive di processi evolutivi, e apparentemente tutti i passaggi sono stati frutti del caso nonché di cieche e inflessibili leggi della natura, eppure tale risposta non chiude la questione come si potrebbe credere a prima vista.
 Nulla esclude che l'intero sistema della realtà sia stato congegnato così a bella posta per apparirci frutto del caso
 Quelli che sono stati chiamati i "maestri del sospetto" (Darwin, Nietzsche, Freud) ci hanno insegnato appunto a sospettare anche di sé medesimi, e anche l'idea che il caso e la materia siano gli ingredienti necessari e sufficienti a formare tutto ciò che siamo e conosciamo, non possiamo essere affatto sicuri che ciò possa bastarci per considerare risolto il problema.
Il problema è quello di interagire con la realtà, che nella misura in cui cambiamo, cambiando la nostra interazione, non ha una soluzione definitiva.
Il caso, qui lo dico e qui lo nego, è ''onnipotente'', ma per usarlo abbisogna di molta energia, e quella la avremo, potendo  fare così a meno dell'intelligenza.
L'intelligenza in fondo è un modo efficiente di operare, facendosi bastare la relativa poca energia a disposizione, mentre quella consumata dall'intelligenza artificiale è tale per cui si avvia a divenire insostenibile, cioè non è per nulla intelligente, in attesa della energia da fusione nucleare.
Disponendo di una tale energia, virtualmente infinita, colonizzeremo i pianeti del sistema solare, rendendoli abitabili.
Costruiremo quindi un telescopio grande quanto il sistema solare, che ci permetterà di osservare meglio l'universo, con ricadute pratiche sulla nostra vita quotidiana, come oggi ce l'ha la colonizzazione dello spazio attorno alla terra.
E tutto questo darsi da fare a quale scopo? Continueremo a non saperlo.
Lo scopo in effetti non è un problema che la vita si pone, se non nella sua forma cosciente , come effetto collaterale, coscienza che si incrementerà, perchè  diverrà sempre più energeticamente  sostenibile.
Assumeremo così il pieno controllo della nostra evoluzione, bloccandola tendenzialmente, sogno oggi proibito di quella filosofia che tende a negarla, per affermare l'Uomo, del quale dio è solo la controfigura.
O anche no, nel senso che la tecnologia a cui sempre più deleghiamo il nostro essere continuerà ad evolversi, sempre che quei filosofi accettino di allargare il nostro essere.

Non sono tutte cose desiderabili a prima vista, quantomeno se commisurate a ciò che crediamo di essere la nostra essenza, ma siccome poi questa essenza non la conosciamo, e continueremo a non conoscerla, non mi preoccuperei più di tanto.

Lo stesso dicasi per le cosiddette leggi naturali, che non credo siano così cieche, se hanno i nostri occhi e in alternativa i nostri strumenti, ne così inflessibili, se finora non si sono dimostrate tali, e non potendosi dimostrare che lo saranno mai.

Del caso e del determinismo continueremo a fare uso, ma con la crescente consapevolezza che si tratti solo di utili ipotesi operative.
Quello che sappiamo è solo che la realtà è congegnata in modo che sia utile usarle, e domani potremo escogitarne di nuove, laddove non saremo psicologicamente bloccati dall'avere a che fare col caso e col determinismo come cose in se.
Noi non usiamo la realtà siccome è fatta in un certo modo, per quanto in modo imperfetto la consociamo, ma la descriviamo secondo come la usiamo, e la  perfezione quindi non c'entra nulla.
Inizieremo così a mettere da parte, uno dopo l'altro, tutti quegli attributi che assegniamo a Dio, come la perfezione ed altro, che già oggi ci appaiono come fonti di contraddizione.

Alla fine un unico mistero resterà inviolato, noi, che in quanto osservatori non possiamo osservarci, per quanto, come della realtà di cui siamo parte, ci vantiamo di conoscerci.

Affronteremo problemi sempre più pesanti, ma con maggior leggerezza, non senza serietà, ma non diversa da quella che mettono nel gioco i bambini.
Allora il gioco si farà per davvero serio.




Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#17
In breve. L'energia virtualmente infinita si trova nella piccola scala, quella degli atomi, ed è pure  pulita, e non c'è bisogno di andarla a prendere nella galassia per averla in grande quantità, e ci permetterà di allargare ad essa la nostra scala esistenziale, e oltre, senza alcun limite predefinito.
Poi un giorno incontreremo anche gli alieni, ma non sapremo dire se sono una evoluzione della nostra diaspora, così come li abbiamo già incontrati sulla terra, mostri ed animali, prima che Freud e Darwin ci dicessero di guardare bene dentro di noi, per capire chi fossero davvero.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

fabriba

Citazione di: Luther Blissett il 11 Dicembre 2025, 20:02:09 PMRiuscite a immaginarvi come potrebbero evolvere in futuro le religioni, e quale impatto potrebbe avere su di esse il probabile incontro umano con altre forme di vita anche estremamente evolute?
Non riesco, più che altro perché non credo che sapremmo come usarla l'energia di tutto il sistema solare: ci manca la conoscenza prima, e l'energia -secondo me- poi.


Ma sulla religione, non siamo già semidivini a questo punto? Stiamo andando verso la amortalità, creiamo intelligenza, per tirare due esempi a caso... se arrivassimo al livello tecnologico di raccogliere tutta l'energia del sole, con tutta la conoscenza che questo implica, quale sarebbe la differenza tra la nostra specie e il divino, e serve ancora una religione a quel punto?

Clarke in 2001 Odissea nello spazio, racconta la storia di come l'uomo da scimmia si evolve fino a diventare dio. In quel viaggio,  la figura di Dio (forse una razza aliena) è un modello da imitare. Del resto nella tradizione abramitica, ci ha fatto a sua immagine e somiglianza, e che cos'è questo se non uno stratagemma per spronarci a diventare divini noi stessi, la razza umana?

Koba

Il vostro esercizio nell'immaginare il futuro contiene un errore: il cambiamento tecnologico, il potenziamento illimitato della forza a disposizione, se si rimane invischiati nella stessa visione di che cos'è homo sapiens, non portano affatto ad un miglioramento.
Questo è il grande fallimento del cristianesimo che voleva farci capire che Dio non è onnipotenza ma abbassamento e ammissione di una fragilità universale: abbiamo creato l'IA ma continuiamo a considerare gli altri come schiavi o macchine, creature resistenti ai nostri attacchi, alle nostre manipolazioni, ai nostri interessi.
Se assimilassimo fino in fondo l'idea che la nostra caratteristica di base consiste nella debolezza e nella vulnerabilità e non nella forza e nell'ingegnosità, anche ora, con i mezzi e le risorse limitate a disposizione, potremmo trasformare radicalmente il mondo.
Questo discorso vuole essere anche una risposta al topic sui cambiamenti della storia tramite la forza e la violenza.

Alberto Knox

Citazione di: Jacopus il 12 Dicembre 2025, 10:15:56 AMoltre che svincolato da ogni proiezione in un mondo ultraterreno.
Gli antichi Greci impostavano la propia vita al meglio sapendo che dovevano morire , infatti per dire uomo dicevamo "mortali" . Il colpo di Genio della Religione è stata propio quella di dirci "voi non morirete" . 
Forse qualcosa della psiche sopravvive dopo la morte fisica del corpo . Però io credo che non sia quella che la religione Cristiana professa da due millenni. Ma del resto nessuno è in grado di poterla definire. E credo anche che non sia quella la cosa piu importante su cui concentrarsi , cioè la vita oltre la vita.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Eʀυ

#21
Citazione di: Luther Blissett il 13 Dicembre 2025, 19:07:50 PMLa morte potrà essere sconfitta con varie modalità, ad esempio sintetizzando in vitro i nuovi nati umani integrati bionicamente a divenire cyborg e concepiti in maniera modulare, ossia  a moduli sostituibili: ogni persona sarà costituita da una unità centrale che verrà blindata in un bunker iperprotetto a protezione ridondante, e tale unità sarà interfacciata con unità secondarie avatara deperibili che nel caso andassero distrutte per un qualche incidente richiederebbero il recupero della scatolina nera mnestica da ricaricare presso l'unità centrale se la persona non vorrà perdere esperienza del vissuto circostanziato da tale avatara.
Colgo l'occasione offerta dalla tua vasta e generosa rêverie per trarne la mia riflessione dipendente:

Immagino che, se in un futuro remoto la morte cessasse di essere irreversibile, il problema non sarebbe più morire, ma restare interessanti a sé stessi.
Allora le religioni, se dotate di intelligenza, per sopravvivere non prometterebbero più la vita eterna, ma criteri per non dissolversi nella ripetizione: una sorta di etica dell'"intensità sensata".
Potrebbero offrire pratiche di oblio selettivo, l'arte di dimenticare quanto basta per poter davvero riscoprire, e ritmi di morte e rinascita volontarie, ovvero cicli di "piccole morti" interiori, reset parziali dell'identità. Oppure, più radicalmente, l'invito all'abbandono consapevole delle scatole nere, il sacrificio della memoria totale.
La religione persisterebbe per contrastare quel pensiero cinico: "Non sono davvero io colui che muore", introducendo il peccato supremo della dissociazione tra l'io-centrale e l'io-vissuto.
Forse il comandamento fondamentale risuonerebbe così: Non dissociarti. Non tradire l'incarnazione presente per la sicurezza astratta dell'unità che ti sovrasta.
Una religione post-avatar insegnerebbe la sacralità di ogni incarnazione: anche se tecnicamente sacrificabile, ogni avatar è una manifestazione reale del sé. Direbbe:
"Sei davvero tu colui che muore, finché lo stai vivendo. Non ridurre mai una vita a una prova tecnica solo perché è reversibile.
Questa vita conta perché è stata abitata.
Questa morte conta perché è stata attraversata."
Una simile religione credo sarebbe strutturalmente immune al trauma del contatto extraterrestre, perché non formula affermazioni sulla realtà esterna che possano essere smentite.
Le religioni tradizionali crollano, o si torcono in reinterpretazioni, quando le scoperte incrinano le loro cosmologie.
Questa, invece, si occupa della struttura dell'esperienza vissuta, non dell'architettura del cosmo.
È pragmatica, non dogmatica; fenomenologica, non metafisica.
Non importa chi abbia creato cosa, gli alieni possono raccontare qualunque storia sull'origine dell'universo: ciò non invalida il fatto che anche loro, forse, debbano confrontarsi con il problema del significato nella durata.
"Funziona o non funziona nel mantenere l'intensità?": questo criterio è empiricamente accessibile a chiunque, umano o alieno. Il problema del restare interessati all'esistere potrebbe essere trans-specie.

Hai ragione quando osservi che tutto ciò si accorda con la neo-teologia, perché quella descritta è, a tutti gli effetti, una forma di immortalità solipsistica: un "vero sé" blindato, al sicuro, ma anche isolato, composto dalle narrazioni delle vite vissute dai suoi avatar.
Dal punto di vista dell'avatara, la morte è reale, totale, terrorizzante.
Dal punto di vista dell'unità centrale, la morte è un'esperienza intensa, archiviabile, reversibile.
L'unità centrale ricerca vite sempre più rischiose, perché il rischio estremo produce emozioni estreme, e le emozioni forti sono l'unico antidoto alla noia in un mondo privo di morte definitiva.
È un mondo in cui l'immortalità non genera saggezza, ma dipendenza dall'intensità, e la morte sopravvive come spettacolo privato.


La religione dell'intensità sensata, più che agli umani, servirebbe al Dio del teolismo, nel suo stadio tecnologicamente più sofferente (l'era dell'Avatar). Sarebbe, in sostanza, un meccanismo per costringere l'Unità Centrale (Dio) a rendere significativa e reale l'esperienza dell'avatar (essere umano).
La frase iniziale "il problema non sarebbe più morire, ma restare interessanti a sé stessi" è, in fondo, una riformulazione teologica del problema dell'angoscia di eternità di Dio.
Il teolismo spiega l'origine del sogno; questa religione impedisce che il sogno si svuoti, fungendo da auto-inganno istituzionalizzato, progettato per tenere Dio al riparo da Sé stesso.
Mi spiego meglio:
L'incarnazione funziona a una sola condizione: che Dio non sappia di esserlo mentre lo è.
Anzi, per meglio contestualizzare: Dio può permettersi di dissociarsi solo se l'avatar non gode dello stesso privilegio.
Nel momento in cui l'uomo impara a guardare la propria vita come un'esperienza archiviabile, reversibile, tecnicamente sacrificabile, l'asimmetria crolla.
In quel momento Dio, attraverso l'avatar, ricomincia a percepire la propria eternità. La Coscienza incarnata smette di essere opaca a sé stessa. La fuga fallisce.
Non è necessario che l'avatar sappia, in senso teologico, di essere Dio. Basta che sappia, operativamente, che nulla è davvero in gioco.
La religione dell'intensità sensata introduce pratiche, tabù, criteri non per dire "com'è fatto il mondo", ma per ricostruire artificialmente quell'opacità perduta.
E finché l'avatar crede davvero di essere finito, l'inganno riesce: il tempo ha sapore, le scelte pesano, la morte fa paura, la vita conta.
Quando la religione dichiara all'uomo del futuro: "Questa vita conta perché è stata abitata", al contempo ammonisce Dio: Non guardarti vivere, viviti.
Condannando la dissociazione dell'uomo, essa favorisce quella di Dio, costituendo un argine contro il ritorno della meta-consapevolezza.

Arrivata a questo punto, temo sia inappropriato chiamarla "religione", in quanto non solleva il velo, bensì lo rinforza.
È qualcosa di più simile a una theo-phylaxis.



iano

#22
Citazione di: Eʀυ il 15 Dicembre 2025, 01:46:24 AM

Quando la religione dichiara all'uomo del futuro: "Questa vita conta perché è stata abitata", al contempo ammonisce Dio: Non guardarti vivere, viviti.




Molte cose di questo tuo interessantissimo post mi sfuggono, ma al comtempo intuisco una profondità di pensiero inusuale.
Limitandomi dunque a intervenire nella minima parte richiamata del tuo post, credo che la coscienza sia ciò che mi pare possa usarsi per definire la vita, e per quanto diversamente distribuita fra i viventi, in essi non manca mai, se appunto così li vorremo definire.
Secondo questa definizione, quando l'essere vivente smetterà definitivamente di guardarsi vivere, per quanto possa guardarsi vivere in modo minimale, al limite dell'inconscienza, allora non sarà più tale, anche detto ''morto''.

Molte delle cose che desideriamo, se ne valutassimo veramente le conseguenze, smetteremmo di desiderarle, e questo mi pare di poter desumere, riassumendolo, dal tuo post, e su ciò nel caso concordo.

Ma sospetto che desiderare la vita eterna sia così vitale, che non smetteremo di desiderarla, continuando a mentire a noi stessi riguardo ai nostri desideri.

Noi sotto sotto ben lo sappiamo quanto insostenibile sarebbe una vita eterna, ma a quanto pare la vita, quando serve, sa far fare alla coscienza un passo indietro, ridimensionandola al momento per quanto serve, per cui quando occorre non sapremo più ciò che sappiamo, facendo un passo mistico all'indietro.




Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Duc in altum!

Citazione di: Alberto Knox il 14 Dicembre 2025, 23:47:18 PMForse qualcosa della psiche sopravvive dopo la morte fisica del corpo . Però io credo che non sia quella che la religione Cristiana professa da due millenni. Ma del resto nessuno è in grado di poterla definire. E credo anche che non sia quella la cosa piu importante su cui concentrarsi , cioè la vita oltre la vita.
Infatti, ribadisco, l''etica del cristiano non è fondata sulla ricompensa nell'aldilà!
E' fondata sul comandamento dell'amore di Gesù, riconosciuto come il miglior modo di vivere la propria esistenza... ossia adesso!

Il cristianesimo certamente è fondato sulla Parusia, ma oltre a farci domandare se c'è davvero una vita dopo la morte biologica, invita a chiederci se c'è una vera vita prima della morte (per esprimere pienamente il nostro individuale essere, esistere e vivere), alternativa all'archetipo di quella vissuta dal Cristo.
"Solo quando hai perduto Dio, hai perduto te stesso;
allora sei ormai soltanto un prodotto casuale dell'evoluzione".
(Benedetto XVI)

niko

#24
Diciamo che se ammettiamo un tempo lineare, l'estremo futuro di questo, ora cosi' inteso, tempo e' SEMPRE (a prescindere cioe' per assurdo dalla realta', variabile, del futuro) Dio, poiche' esso, l'estremo futuro del tempo lineare intendo, e' fonte, delle due, o di salvezza, oppure di un "falso nulla", che impone sempre e comunque una morale nichilistica retroattiva, rivelandosi, nel "luogo" e nel contesto del presente e del passato, correttamente intesi quali immanente passato-di-un-futuro, come un non-nulla.

Insomma, se poniamo che nel futuro ci aspetti la fredda e nera, e leopardiana, e foscoliana, morte, intesa come assoluto annientamento del se', da cio', da questa premessa e questo fatto assumto come vero, per noi "paradossalmente" non ne deriva [qui e ora] nulla, o tantomeno il nulla, ma, in luogo del nulla, un approccio (secondo me fin troppo) serio e serioso alla vita. Una morale agente e attiva dell'effimero, o della gloria in vita, o peggio ancora, una di tutti e due. "La morte e' un sonno eterno" pare che abbiano scritto nell'acme' dei (loro) tumulti i rivoluzionari francesi. Quale manifesto piu' sintetico possibile manifesto anticlericale e antinobiliare. Ed e' sempre e comunque il punto di vista attuale, quello che conta. Ergo la morte non e' il nulla. Perche' la morte ha conseguenze, e nulla, che abbia conseguenze, puo' essere, per davvero, nulla o il nulla [stante che ex nihilo nihil].

La morte atea ed eterna e' essere, ed e' specificamente l'essere dell'uomo moderno e precontemporaneo, nichilista passivo secondo Nietzsche. La conseguenza, intesa come conseguenza, del nulla della morte, qui, in questo senso e' retroattiva, nel tempo, e crea, nell'eterno retro, di se', quale luce di un'alba oltre le spalle, la figura dell'uomo che teme, o quantomeno che considera, come reale e irreversibile, la morte. Ma ex nihilo, nihil, sia in avanti, che indietro, nel tempo. Quel nulla e' un falso, nulla. L'annientamento, alla morte, dell'io, dietro ogni maschera, e' nient'altro che la verita' "finale", razionale e razionalistica dell'io, altrimenti (se cosi' non fosse) saremmo tutti moralmente e psichicamente paghi del non-annientamemto, alla nostra morte, del (resto del) mondo, insomma del non annientamento degli Altri, e non temeremmo, e non considereremmo come reale la morte.

Ma, dicevo prima, se, cambiate le definizioni e le premesse, il punto estremo del futuro dell'io e del mondo, non e' una fredda e tombale morte, la quale come spero di aver dimostrato crea e genera, retroattivamente rispetto a se' stessa, in una retroattivita' per assurdo eterna, la morale della gloria o dell'effimero quale unico faro orientante l'azione e la riflessione dei viventi attuali, l'unica altra possibilita', e' che esso, il punto estremo del futuro intendo, sia la salvezza. Il bene, il fine del mondo che ne' addolcisce la fine eccetera eccetera.

La salvezza sia tradizionale del dio cristiano, con il suo paradiso e il suo inferno, che quella di tutte le cose dette da alcuni di voi finora, cioe' la salvezza in sostanza basata sulla convinzione che l'estremo futuro del tempo sia salvifico, poiche' nel futuro, vive e vivra' "colui" che volendolo puo' e potra' risolvere, tutti, i problemi attuali, singolari e collettivi, a lui presenti, o addirittura anche a lui retrospettivi, quindi, anche singolarmente e carnalmente, problemi nostri. I nostri piccoli e grandi problemi. Quindi, a ben guardare, sempre Dio.

L'estremo futuro del tempo puo' essere pensato come salvifico, perche' anche in senso ateo, non religioso, puo' essere pensato come la singolarita' etica, e tecologica che, infine e contro ogni spazialmente e temporalmente limitata probabilita', ci salvera'.

Gli alieni ci possono riportare in vita dalla morte, e traghettarci a vivere in un mondo diverso e migliore che ci consolera' e in qualche modo ci salvera', e "gli alieni" questi alieni, possono e potranno ben essere I nostri lontanissimi pronipoti. Basta che imparino, delle due, o a viaggiare nel (loro) passato e cambiarlo, in meglio per tutti secondo una certa interpretazione che in una certa misura non puo' non essere, anche, morale ed etica, o a ripescare, e manipolare, e reincarnare, le tracce mnestiche e coscienziali degli anche remotissimi defunti e morti, a loro spazialmente "sovrapposti", anche senza implicare alcun viaggio nel tempo, ma solo una inedita manipolazione tecnologica del presente, della materia e dello spazio. Se gli alieni/pronipoti sono, in senso etico almeno un po' "buoni", subito dopo, o insieme, alla loro felicita' e concetto di felicita' va abbastanza da se', che si occuperanno, anche, della nostra e del nostro. Naturalmente questo dopo averci in qualche modo contattati e percepiti, quali fantasmi remoti del (loro, attuale) mondo, o in alternativa quali semplici individui viventi incontrati nel corso di un loro (reale) viaggio temporale.

Insomma se (e solo se) non ci sono limiti ne' alla tecnologia ne' all'amore e' sicuro al cento per cento che l'estremo futuro del tempo anche in senso "ateo" ed immanente sia in qualche modo salvifico, e che lo sia anche per noi personalmente e per quello che ci concerne e che dunque tale estremo futuro incarnato in qualche "mano" buona ci salvera'; e' sicuro che la morte di tutti e quindi anche la nostra non sia definitiva eccetera eccetera.

Prima o poi, l'amore ci trovera' e la potenza ci salvera'. Per assurdo, proprio l'eternita' del tempo e l'infinita' dello spazio, proprio quello di piu' obliquo e di piu' oscuro che noi temiamo nella morte e nella "realta' " della nostra morte, in mancaza, naturalmente ipotetica, di questi limiti etici e tecnologici allo sviluppo del vivente giocano, cento per cento a nostro favore. Se la morte e' definitiva > significa che c'e', davanti a noi o un limite o alla potenza tecnologica dei viventi o uno all'amore, al loro amore, o uno a tutti e due; che chi  secondo noi e la nostra inestinguibile speranza ci dovrebbe salvare, alla fine, secondo verita', non potra' e/o non vorra', farlo.

Se ipoteticamente togliamo i due limiti, ecco che tutte le speranze delle principali religioni, si realizzano, si devono, giocoforza realizzare, solo, lievemente  traslate in senso tecnologico, con gli alieni o gli uomini dell'estremo domani al posto di aureole e angioletti.

La morte [non] e' nulla, perche' se essa e' definitiva, se poniamo come vero che lo sia, porta con se' una morale, a ben guardare ben precisa e vincolante, dell'effimero e/o della gloria, se non e' definitiva, se poniamo che non lo sia, porta con se' una, in realta' altrettanto invadente e non al passo coi tempi, morale della consolazione e della speranza. Stante che il tempo sia lineare, e quindi che esista, che ci sia, un estremo futuro del tempo. Estremo futuro che soggettivamente, per ognuno e' la morte, oggettivamente, e' lo stato di morte ultima del cosmo o lo stato del cosmo in cui tutti i suoi abitanti sono morti. Redimibile dall'amore o dalla potenza divina o tecnologica, da cui ne' deriverebbe un'altra, e diversa, postura esistenziale consona e un'altra morale, ma sempre comunque una morale.

Io credo in un tempo ciclico, quindi non credo in nessun estremo futuro del tempo. Se c'è un estremo futuro del tempo, ne' deriva, per forza, delle due, o una morale della speranza o una dell'effimero. Nel tempo lineare, le cose vanno a finire necessariamente o male o bene, terzo non dato, ma il punto secondo me fondamentale e' che noi qui e ora, in quanto abitanti di un punto intermedio del tempo, comunque non siamo mai, fino in fondo "liberi", perche' c'e' un modo, un protocollo in grande misura tradizionale predefinito corretto di ragionare e di comportarsi nell'ipotesi che le cose vadano a finire male (edonismo, consumismo, epica titanica e al limite: serenita' paradossa epicurea) e un'altro, altrettanto predefinito e altrettanto corretto di comportarsi, nell'ipotesi che vadano a finire bene (speranza nell'aldila' che relativizza i mali e i beni della vita, ascesi, altruismo ingenuo, sostanzialmente vivere per la morte e non nonostante la morte).

Per liberarsi di tutte le morali predefinite, e' necessario affermare il tempo ciclico. La morte qui e' davvero nulla, perche' non ne deriva, nulla. Ex nihilo, nihil. Di significatuvo per la mia vita, di implementabile nel presente. Non ti consola, ne' Lei stessa, in quanto Grande Consolatrice, in quanto portatrice della Falce che rescinde ogni Legame, ne' la sua sia pure possibile e percorribile, luminosa e numiniosa, negazione. Sei semplicemente responsabile davanti all'eternita', singolare, di una vita comunque finita e mortale. Le cose, non vanno a finire ne' bene, ne' male. Non vanno a finire proprio.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Alberto Knox

Citazione di: Duc in altum! il 15 Dicembre 2025, 14:10:12 PMInfatti, ribadisco, l''etica del cristiano non è fondata sulla ricompensa nell'aldilà!
E' fondata sul comandamento dell'amore di Gesù
Sì va bene l amore di Gesù,  ma stavo definendo come ha vinto il Cristianesimo sulla mente e sulla conversione  dei popoli Duc. il Cristianesimo ha vinto perchè ha avuto la geniale idea di dire che la vita è eterna. L'unica cosa che vuole l 'io in punto di morte è sussistere nel suo essere ! 
è necessario riuscire  a liberarci dall io che vuole , vuole e vuole. l'io vuole perchè noi siamo anche volontà, non solo di vivere, ma di godere della vita appieno.  Perciò, quando è stata data speranza all io dall angoscia di non esistere più, l'io l ha presa . Questo non per sminuire l alto valore dell insegnamento di amore di Gesù ma è solo per ribadire che la promessa di una vita eterna è stata senz altro una potentissima e inaspettata novella nelle predicazioni e alle conversioni delle genti. Accetta Gesù come tuo personale salvatore. Salvati da cosa? 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Luther Blissett

Citazione di: Eʀυ il 15 Dicembre 2025, 01:46:24 AM
Colgo l'occasione offerta dalla tua vasta e generosa rêverie per trarne la mia riflessione dipendente:
Immagino che, se in un futuro remoto la morte cessasse di essere irreversibile, il problema non sarebbe più morire, ma restare interessanti a sé stessi.
Allora le religioni, se dotate di intelligenza, per sopravvivere non prometterebbero più la vita eterna, ma criteri per non dissolversi nella ripetizione: una sorta di etica dell'"intensità sensata".
Potrebbero offrire pratiche di oblio selettivo, l'arte di dimenticare quanto basta per poter davvero riscoprire, e ritmi di morte e rinascita volontarie, ovvero cicli di "piccole morti" interiori, reset parziali dell'identità. Oppure, più radicalmente, l'invito all'abbandono consapevole delle scatole nere, il sacrificio della memoria totale.
La religione persisterebbe per contrastare quel pensiero cinico: "Non sono davvero io colui che muore", introducendo il peccato supremo della dissociazione tra l'io-centrale e l'io-vissuto.
Forse il comandamento fondamentale risuonerebbe così: Non dissociarti. Non tradire l'incarnazione presente per la sicurezza astratta dell'unità che ti sovrasta.
Una religione post-avatar insegnerebbe la sacralità di ogni incarnazione: anche se tecnicamente sacrificabile, ogni avatar è una manifestazione reale del sé. Direbbe:
"Sei davvero tu colui che muore, finché lo stai vivendo. Non ridurre mai una vita a una prova tecnica solo perché è reversibile.
Questa vita conta perché è stata abitata.
Questa morte conta perché è stata attraversata."
Una simile religione credo sarebbe strutturalmente immune al trauma del contatto extraterrestre, perché non formula affermazioni sulla realtà esterna che possano essere smentite.
Le religioni tradizionali crollano, o si torcono in reinterpretazioni, quando le scoperte incrinano le loro cosmologie.
Questa, invece, si occupa della struttura dell'esperienza vissuta, non dell'architettura del cosmo.
È pragmatica, non dogmatica; fenomenologica, non metafisica.
Non importa chi abbia creato cosa, gli alieni possono raccontare qualunque storia sull'origine dell'universo: ciò non invalida il fatto che anche loro, forse, debbano confrontarsi con il problema del significato nella durata.
"Funziona o non funziona nel mantenere l'intensità?": questo criterio è empiricamente accessibile a chiunque, umano o alieno. Il problema del restare interessati all'esistere potrebbe essere trans-specie.
Hai ragione quando osservi che tutto ciò si accorda con la neo-teologia, perché quella descritta è, a tutti gli effetti, una forma di immortalità solipsistica: un "vero sé" blindato, al sicuro, ma anche isolato, composto dalle narrazioni delle vite vissute dai suoi avatar.
Dal punto di vista dell'avatara, la morte è reale, totale, terrorizzante.
Dal punto di vista dell'unità centrale, la morte è un'esperienza intensa, archiviabile, reversibile.
L'unità centrale ricerca vite sempre più rischiose, perché il rischio estremo produce emozioni estreme, e le emozioni forti sono l'unico antidoto alla noia in un mondo privo di morte definitiva.
È un mondo in cui l'immortalità non genera saggezza, ma dipendenza dall'intensità, e la morte sopravvive come spettacolo privato.
La religione dell'intensità sensata, più che agli umani, servirebbe al Dio del teolismo, nel suo stadio tecnologicamente più sofferente (l'era dell'Avatar). Sarebbe, in sostanza, un meccanismo per costringere l'Unità Centrale (Dio) a rendere significativa e reale l'esperienza dell'avatar (essere umano).
La frase iniziale "il problema non sarebbe più morire, ma restare interessanti a sé stessi" è, in fondo, una riformulazione teologica del problema dell'angoscia di eternità di Dio.
Il teolismo spiega l'origine del sogno; questa religione impedisce che il sogno si svuoti, fungendo da auto-inganno istituzionalizzato, progettato per tenere Dio al riparo da Sé stesso.
Mi spiego meglio:
L'incarnazione funziona a una sola condizione: che Dio non sappia di esserlo mentre lo è.
Anzi, per meglio contestualizzare: Dio può permettersi di dissociarsi solo se l'avatar non gode dello stesso privilegio.
Nel momento in cui l'uomo impara a guardare la propria vita come un'esperienza archiviabile, reversibile, tecnicamente sacrificabile, l'asimmetria crolla.
In quel momento Dio, attraverso l'avatar, ricomincia a percepire la propria eternità. La Coscienza incarnata smette di essere opaca a sé stessa. La fuga fallisce.
Non è necessario che l'avatar sappia, in senso teologico, di essere Dio. Basta che sappia, operativamente, che nulla è davvero in gioco.
La religione dell'intensità sensata introduce pratiche, tabù, criteri non per dire "com'è fatto il mondo", ma per ricostruire artificialmente quell'opacità perduta.
E finché l'avatar crede davvero di essere finito, l'inganno riesce: il tempo ha sapore, le scelte pesano, la morte fa paura, la vita conta.
Quando la religione dichiara all'uomo del futuro: "Questa vita conta perché è stata abitata", al contempo ammonisce Dio: Non guardarti vivere, viviti.
Condannando la dissociazione dell'uomo, essa favorisce quella di Dio, costituendo un argine contro il ritorno della meta-consapevolezza.
Arrivata a questo punto, temo sia inappropriato chiamarla "religione", in quanto non solleva il velo, bensì lo rinforza.
È qualcosa di più simile a una theo-phylaxis.
Cara Eru, per commentare questo tuo post ci sarebbe voluto un trattato di ermeneutica, tanta è la densità e profondità del tuo scrivere.     
 
Ma soprattutto: forse tu stessa non hai pienamente ancora percepito che c'è anche un nucleo sacro dentro alle tue parole. 

Luther Blissett

Citazione di: iano il 15 Dicembre 2025, 12:21:16 PMMolte cose di questo tuo interessantissimo post mi sfuggono, ma al comtempo intuisco una profondità di pensiero inusuale.
Mi fa piacere che te ne sei accorto anche tu  :)

Eʀυ

Citazione di: iano il 15 Dicembre 2025, 12:21:16 PMMa sospetto che desiderare la vita eterna sia così vitale, che non smetteremo di desiderarla, continuando a mentire a noi stessi riguardo ai nostri desideri.
Anch'io nutro il sospetto che non cesseremo mai di farlo; anzi, lo affermo con una certa fermezza, esponendomi in prima persona.
Mi avventuro ora in una descrizione fenomenologica di stampo intimamente personale, e concedo così un respiro alla dimensione trascendente.
La mia mente - e quella di chiunque vi si riconosca - dalla propria prospettiva interna, non giunge mai a contemplarsi nel pieno dell'interezza. Vi fallisce strutturalmente, poiché si alimenta di istanti presenti, i quali, mutando in passato, si sottraggono irrimediabilmente a ogni possibile stratificazione e, dunque, a qualsiasi contributo al loro stesso "fisico" spessore.
Essa è un abisso senza fondo, che riceve incessantemente, senza trattenere; perciò si ritrova immancabilmente alla medesima posizione di partenza, là dove ogni evento attende ancora di accadere.
Da questa dinamica nasce una perpetua ripetizione del desiderio, che non conosce appagamento definitivo. La coscienza non si stanca, perché non si colma mai. Dimentica quanto basta per supportare - e sopportare - la continuità. In ciò riconosco, su un piano più profondo, quella pratica dell'oblio selettivo cui accennavo in precedenza: l'arte sottile di dimenticare nella giusta misura affinché la riscoperta, fisiologicamente necessaria, possa costantemente rinnovarsi.
Non si tratta, a mio avviso, di una brama consapevole di eternità, concetto per sua natura inattingibile, bensì di un impulso di tipo zenonico, quello di ritrovarsi, senza posa, nei panni di un Achille destinato a non raggiungere mai la propria tartaruga.

Mi ha colpito la tua espressione: "quando occorre non sapremo più ciò che sappiamo, facendo un passo mistico all'indietro". Nel mio vissuto, questo passo all'indietro assume la forma di quella retrocessione temporale dei molteplici presenti accolti dalla mente, affinché essi non giungano mai a costituire una totalità demotivante e al contempo stabilizzante.
È, altresì, una regressione qualitativa. Un ritorno a forme più semplici, un movimento della coscienza verso l'essenziale.

Eʀυ

Citazione di: Luther Blissett il 15 Dicembre 2025, 21:22:19 PM
CitazioneMolte cose di questo tuo interessantissimo post mi sfuggono, ma al comtempo intuisco una profondità di pensiero inusuale.
Mi fa piacere che te ne sei accorto anche tu  :)
Un sentito grazie a entrambi, il cui contributo è altrettanto prezioso  :)

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