La vita spirituale al di là della disputa teismo-ateismo

Aperto da Koba, 01 Novembre 2025, 10:16:13 AM

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Koba

Facciamo un po' di chiarezza sulla disputa tra teismo e ateismo, nella speranza che ce la si lasci alle spalle una volta per tutte data la serietà del compito che ci attende: la ricostruzione di una nuova vita spirituale.
Entrambe le posizioni esprimono la fede in un fondamento.
Per il teismo è ovviamente Dio.
Per la maggior parte delle forme contemporanee di ateismo il fondamento è la realtà in sé: quella nozione di realtà che ci viene dal senso comune e dal realismo ingenuo della scienza, da cui l'ateismo prende le mosse per dimostrare l'inesistenza di Dio. È solo da questa premessa gnoseologica che si può negare Dio.
Come si vede, entrambe le posizioni sono legate alla metafisica. Alla metafisica in quanto espressione di un fondamento, di un'origine, di un inizio. Alla metafisica in quanto espressione di valori morali assoluti appunto perché basati su una verità incontrovertibile (Dio per gli uni, la finitezza materiale per gli altri).

Detto questo proviamo a fare un passo avanti.
Il che significa farlo al di fuori di quella filosofia del fondamento.
Partiamo proprio dall'assenza di qualsiasi fondamento. Naturalmente questo non significa non essere consapevoli delle nostre esigenze materiali, delle nostre basi biologiche, ma nemmeno fingere che il desiderio di una vita spirituale sia solo l'espressione di pulsioni oscure e ataviche paure.
Se questa esigenza esiste, se viene percepita come essenziale, allora bisogna essere in grado di andare avanti al di là di quello che pensa di sapere l'ateismo (che parlerà in termini di riduzionismo psicologico o farà riferimento ad una generica nostalgia metafisica).
Fatto questo, inizia il vero lavoro di costruzione: quali i contenuti? Quali i simboli da conservare delle religioni storiche? Quali gli elementi della tradizione in cui perseverare – per esempio la liturgia e la preghiera – senza che il Dio a cui ci si rivolge sia vero fondamento?

Koba

Mi chiedo: potrebbe esistere una spiritualità simile a quella religiosa, che comporti quindi abbandono, adorazione, devozione, ascetismo, senza che questa sia orientata verso un Dio?
"Dio" è una parola troppo carica di storia. Rivolgersi a Dio, pur avendolo dichiarato inconoscibile, non significa essere di nuovo catturati dall'ebrezza metafisica?
Forse no. Ma in questo caso mi domando: l'attenzione del devoto allora verso cosa è rivolta? Concretamente a che cosa pensa? Forse è questo il punto? Un'immersione quasi onirica nei simboli di salvezza, redenzione, fine di ogni dolore.
Non si adorerebbe più un Oggetto, un Ente supremo, ma si custodirebbe – per esempio nella prassi della preghiera e della liturgia – una promessa di senso.

iano

#2
Citazione di: Koba il 01 Novembre 2025, 10:16:13 AMPer la maggior parte delle forme contemporanee di ateismo il fondamento è la realtà in sé:
E le rimanenti?
Se lo dobbiamo adorare,  tanto vale tenerci il solito Dio.
Però esprimere sorpresa, meravigliarci ed estasiarci, quello magari possiamo continuare a farlo.
Io ripartirei dunque da una ''realtà non in se'', che comunque conserva caratteristiche di Dio come ad esempio l'inconoscibilità, perchè una realtà non in se non è conoscibile, ma solo evocabile con atti, immagini e parole, che è ciò che già crediamo di poter fare con la cosiddetta realtà in se, convertendo ciò che diciamo materiale in metafisica, non essendo riusciti a fare il contrario.
Basta convincersi che della metafisica non si possa fare a meno, come siamo adesso convinti per la materia, ma in fondo senza sapere bene il perchè, e non saperlo per non saperlo, allora anche con la metafisica  val bene tentare.
E' un percorso che la scienza già ci indica, ma che ci risulta indesiderabile, perchè annichilisce la realtà in se in cui crediamo di vivere, che poi essendo una cosa in se  non è ulteriormente conoscibile, e si pone come limite alla conoscenza.
In questo apparente annichilamento ciò che la scienza salva, e anzi potenzia, superando i limiti che la cosa in se pone alla conoscenza, è la nostra interazione con la realtà, anche se non si sa bene più ben con cosa, e comunque senza più la presunzione di sapere a priori ciò da cui si vuole spremere conoscenza , manipolando enti teorici che non sembrano avere una realtà materica, ma che pure sembrano comunicare con noi con il linguaggio dei segni che si lasciano dietro.

Insomma, la cosa in se condiziona la conoscenza ponendovi un limite con la sua inconoscibilità, ma  io credo che non siamo in grado di andare oltre nella sua conoscenza, perchè essa è già conoscenza. e non si può conoscere oltre ciò che già si conosce.
Andare oltre nella propria conoscenza significa prima di tutto poterla negare, ma per poterla negare devi prima sapere di possederla, e la cosa in se è appunto quella conoscenza che non sappiamo di avere, che perciò non possiamo negare.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#3
Citazione di: iano il 01 Novembre 2025, 16:04:51 PMAndare oltre nella propria conoscenza significa prima di tutto poterla negare, ma per poterla negare devi prima sapere di possederla, e la cosa in se è appunto quella conoscenza che non sappiamo di avere, che perciò non possiamo negare.
E quindi come ha fatto la scienza ad andare oltre nella conoscenza, se come io credo c'è riuscita?
Divenendo metodo di conoscenza, cioè meccanismo teorico cui abbiamo delegato la conoscenza, attenendoci meccanicamente ad esso, e che in quanto tale ''privo in se  di conoscenze di in se'', capaci di mettersi di traverso nel progredire della conoscenza.
Con il metodo scientifico Simo riuscito ad aggirare l'impossibilità di negare la cosa in se, che perciò, senza neanche bisogno di negarla, sembra essere svanita, rimanendo relegata alla  percezione sensoriale della realtà, realtà che possiamo ora rivedere come una forma di conoscenza di una realtà che sta sotto, inconoscibile quindi solo nel senso che non c'è una forma di conoscenza univoca.
La cosa in se è apparsa insuperabile proprio perchè con quel ''fare univoco'' si poneva di fronte a noi.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Koba

Ora vorrei provare a fare chiarezza sulla parola "Dio" – quella parola che ritorna nei miei libri prediletti di eremiti e monaci del deserto, nei Salmi, nelle mie preghiere.
Non posso adorare un Dio "persona", e tanto meno un Dio onnipotente.
Dio, per me, è soltanto la promessa di una pienezza: la promessa che il simbolo possa essere ricomposto, che la metà mancante possa raggiungerci nella preghiera, nella liturgia, nei sogni.

Pienezza? Cosa intendo esattamente? Questa è la vera domanda. E la risposta non può che essere personale. Per me: una pienezza che si esprime solo nei frammenti della promessa di un'altra vita (terrena), come immagini oniriche in cui abbandonarsi durante il tempo prezioso della tregua. Poiché la vita, per lo più, al di fuori di questi tempi "morti", è una battaglia completamente insensata. Una battaglia in cui l'obiettivo spesso inconsapevole è quello di usare gli altri e sfruttare se stessi, per soldi, narcisismo, vendetta, non importa quale sia il motivo.

Il cristianesimo è un racconto. Bisogna partire da qui. Riscrivere tutto. Una luce intravista e letta dai "testimoni" secondo una teologia antropomorfa. Ma la teologia non è più possibile. Rimane però l'esperienza della luce.
Il Vangelo: non Dio che si incarna in un ebreo marginale, ma Gesù che mostra ciò che va considerato divino con il suo modo di vivere: ecco vedi, ti avrebbe detto, è questa gioia, questa comunanza, questa tenerezza, a essere divino. Ma sono solo sprazzi di una Luce vasta e profonda e inesauribile. Finché il ricordo di essa non verrà del tutto soffocata dall'illusione che la tecnica possa sciogliere ogni inquietudine, compresa quella della morte.

Questo è quindi un punto cruciale: il cristianesimo è un racconto in cui non si arriva a capire che quell'uomo marginale è Dio (con attributi quindi che gli uomini credono appartenere a Dio, cioè poter compiere miracoli - il potere, anche se potere sovrannaturale per eccesso di amore), ma è un racconto che serve a farci capire che cosa è divino concretamente, e la figura di Gesù, nel suo modo di affrontare la vita ci spiega che cosa è il divino, che cosa dobbiamo pensare quando pensiamo a Dio. Questa rotazione dei termini, che presuppone da parte nostra una specie di epoché fenomenologica, una liberazione da ciò che crediamo essere il divino, ci mostra poi nel corso della narrazione immagini di luce che sono appunto quella pienezza che cerchiamo.

Koba

@iano
Le tue osservazioni mi sembrano un po' fuori tema, essendo il topic dedicato a come dare forma a una vita spirituale al di fuori della tradizione teologica e metafisica (la meraviglia per le conseguenze delle sorprendenti costruzioni della "nuova" fisica non è sufficiente a farne qualcosa che possa alimentare una vita spirituale).
Nel caso mi stia sbagliando, chiarisci meglio cosa intendi dire. 

iano

#6
Citazione di: Koba il 01 Novembre 2025, 17:53:35 PM@iano
Le tue osservazioni mi sembrano un po' fuori tema, essendo il topic dedicato a come dare forma a una vita spirituale al di fuori della tradizione teologica e metafisica (la meraviglia per le conseguenze delle sorprendenti costruzioni della "nuova" fisica non è sufficiente a farne qualcosa che possa alimentare una vita spirituale).
Nel caso mi stia sbagliando, chiarisci meglio cosa intendi dire.

Ciò che voglio dire lo hai esemplificato nel tuo post precedente.
Limitando l'ateismo a quello che si riferisce alla cosa in se ( e del rimanente cosa ne facciamo, ho chiesto io?) , almeno al momento, sembra che tu stia risolvendo la disputa ateismo- teismo a favore del teismo, senza quindi superare la loro opposizione, e superandola comunque in modo incompleto in caso di successo.

Chiarito quindi che l'opposizione che tenti di superare è fra un teismo pieno e un ateismo monco ( che mi sembra perciò  partire in svantaggio, tacitandone una parte), possiamo procedere col tema nel modo in cui lo hai posto, se lo reputi ancora opportuno.


 
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Koba

Citazione di: iano il 01 Novembre 2025, 18:09:56 PMCiò che voglio dire lo hai esemplificato nel tuo post precedente.
Limitando l'ateismo a quello che si riferisce alla cosa in se ( e del rimanente cosa ne facciamo, ho chiesto io?) , almeno al momento, sembra che tu stia risolvendo la disputa ateismo- teismo a favore del teismo, senza quindi superare la loro opposizione, e superandola comunque in modo incompleto in caso di successo.

Chiarito quindi che l'opposizione che tenti di superare è fra un teismo pieno e un ateismo monco ( che mi sembra perciò  partire in svantaggio, tacitandone una parte), possiamo procedere col tema nel modo in cui lo hai posto, se lo reputi ancora opportuno.


Le altre forme di ateismo sono rappresentate da filosofie che criticano i fondamenti metafisici e teologici, filosofie post-metafisiche, che non entrano però nella disputa vera e propria ma la dissolvono dall'interno.
Diciamo che io, in questo esperimento di vita spirituale, mi vorrei porre dopo di esse, avendone accolto la lezione, ma non volendo rinunciare appunto al conforto di una cura di sé aperta a immagini di senso che le tradizioni religiose hanno cercato di esprimere. Tenendo però fuori Dio, o almeno tenendo fuori ciò che abbiamo sempre pensato sia Dio.

Non è comunque un problema per me tornare sulle premesse, approfondire cioè la struttura della disputa teismo-ateismo.
Sono però due momenti differenti: uno filosofico, l'altro prettamente spirituale.

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