Piccola proposta di una nuova teologia

Aperto da Luther Blissett, 24 Ottobre 2025, 02:00:00 AM

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Luther Blissett

Citazione di: iano il 25 Novembre 2025, 23:31:59 PMInsomma, mi ero illuso, che gli dei delle trazioni volessi ridurli tutti a un dio minore.
Quando è stata scoperta l'elettricità si è cercato di ridurre tutto ad elettroni, o tutto ad informazione quando è salita in cattedra la relativa teoria.
Però sono tutte mode passeggere a cui non c'è da dolersi se le neuroscieinze non abbiano partecipato  dettando una loro tendenza.
Tu vuoi recuperare per loro la chance persa?
Sto seguendo un percorso che tiene presenti sullo sfondo tutte le vie già tracciate ma che cerca di prescinderne in toto, per evitare di farmene invischiare.   Se ci pensi un momento, adesso che stai seguendo piuttosto bene la presente discussione e quindi conosci le linee essenziali del teosolipsismo, devi accorgerti che una teologia più o meno come la mia poteva spuntare fuori anche 25 secoli fa, prima ancora che nascessero le grandi religioni che spuntarono fuori a quel tempo quasi tutte assieme pur sparpagliate nei diversi luoghi del mondo. Pensa per un momento, poteva darsi che quest'idea del teosolipsismo poteva benissimo venire in mente a un qualunque Aristogitone, e anzi non escludo nemmeno che possa pure essere accaduto così, ma chissà, può darsi che i contemporanei di questo incauto Aristogitone lo abbiano scoraggiato facendogli notare l'assurdità di base che di primo acchito sembra emanare da una novità tanto spericolata che può impedire a chiunque di accettare un'ipotesi stravolgente come questa, considerazione che in fondo per i più può valere ancora oggi.
Adesso che ripenso ai tanti spunti che mi vennero in mente consultando il "Manuale delle teologie induiste di Jose Pereira" (Ubaldini editore), sarei più propenso a immaginarmi un precursore indiano, piuttosto che greco, forse un aderente alla scuola indiana dei Carvaka. Sono proprio convinto che già 25 secoli fa poteva nascere quindi questa mia teologia, di cui allora adesso sarei divenuto un epigono.
Oggidì è ancora incredibilmente possibile tirare fuori, e poi trovarla sensata e nient'affatto escludibile a priori, una ipotesi così profondamente presocratica come la mia, ipotesi che avrebbe potuto nascere quasi identica alla mia già 25 secoli fa, prima ancora che si affermassero poi sistematizzandosi le grandi tradizioni religiose, e perché avviene questo?  Si può o no tentare di fare un bilancio sia pure approssimato dei risultati della baraonda di dibattiti che sempre hanno accompagnato la storia convulsa del pensiero religioso?     Le religioni vorrebbero presentarsi come compatte e sicure dei propri  assunti, ma i teologi più avvertiti di ogni culto, almeno in alcuni istanti fatidici del loro travaglio interiore, lo intuiscono, di essere ancora lontani dalla mèta.  Come i marinai di Colombo, i teologi più avvertiti di ogni culto si guardano bene dal prematuro gridare "¡Tierra! ¡Tierra!".
Ritengo che una teologia come la mia, se fosse già iniziata ad esistere 25 secoli prima di tutta questa baraonda, a questa baraonda avrebbe discretamente resistito, poiché la avverto come  non lontana dai fondamenti della Realtà.
Mi è venuta in mente questa considerazione leggendo una recensione sull'ultimo libro della teologa Annamaria Corallo  "La bussola del transteismo" (Gabrielli editori) .  Già dalla recensione traspare il groviglio interiore , le inquietudini, i richiami al tormentato Paul Tillich, insomma una mente in fermento,  sicuramente un libro interessante, e però la sciabolata più forte, di quelle che ci fanno balenare la verità, su quella che crediamo la verità,  spunta  fuori inaspettata, e ferisce, ed è questa (brillante citazione di Sandra Schneiders):
"La Trinità?  Due uomini e un uccello".  E non escludo che potrebbe  davvero rivelarsi l'unica verità attendibile uscita in sostanza da quel libro. :)

iano

#106
Citazione di: Luther Blissett il 26 Novembre 2025, 20:50:02 PMAdesso che ripenso ai tanti spunti che mi vennero in mente consultando il "Manuale delle teologie induiste di Jose Pereira" (Ubaldini editore), sarei più propenso a immaginarmi un precursore indiano, piuttosto che greco, forse un aderente alla scuola indiana dei Carvaka. Sono proprio convinto che già 25 secoli fa poteva nascere quindi questa mia teologia, di cui allora adesso sarei divenuto un epigono.
Ma questi precursori sono esistiti veramente, o sono un modo di raccontare la storia individuando  un protagonista , pur non essendo una storia individuale, ma una storia di individui?

Professor Aristigittone, quarant'anni di insegnamento buttati via con quegli scavezzacollo.:))

Quanti ce ne sono stati, e quanti ce ne sono?
Tanti, di modo che all'occorrenza, quando arriva il momento di raccontare la storia, almeno uno lo si possa individuare.
Tu non stai provando a ripercorrere la storia come poteva essere e quindi come potrebbe essere  , ma il suo racconto.
I precursori in sostanza non esistono, se non come necessari espedienti narrativi, nei quali tu cerchi di immedesimarti.
la storia la si racconta come impresa di eroi, che però col senno di poi si dubita che siano veramente esistiti, o se siano stati veramente tali. In ogni caso, che siano veri o falsi, si tratta di eroi per caso, impossibili da predeterminare.
Il tuo esperimento non perciò è privo di valore, ma dovremmo assegnargliene un altro, e su questo io ragionavo, sentendomene cavia consenziente.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Luther Blissett

Citazione di: iano il 25 Novembre 2025, 23:31:59 PMPerò sono tutte mode passeggere a cui non c'è da dolersi se le neuroscieinze non abbiano partecipato  dettando una loro tendenza.
Tu vuoi recuperare per loro la chance persa?
Iano, mi son reso conto che, allungandomi come mi viene spontaneo fare, ho finito per non rispondere alla tua puntuale domanda.
È vero che il teosolipsismo è una teologia molto influenzata e corroborata dalla neuroscienze, ma appunto come ho appena scritto nel precedente post, avrebbe potuto benissimo essere venuta in mente anche agli uomini di 25 secoli fa.  Le neuroscienze portano semplicemente in ausilio molti convincenti argomenti, ma il nucleo della teologia prescinde da questa novità del nostro tempo, ed è vicina ai fondamenti nel suo essenziale, e cioè nel comprendere che, se esiste un Dio personale, Costui non è un giudice che sta ad osservarci dall'esterno, ma è uno come noi che ci Si è insinuato dentro, e insediato dentro di noi Si vive la nostra vita di conserva con noi fino alla nostra morte, godendoSi fino all'ultima stilla del nostro sangue anche i nostri momenti tragici.
Costui attraverso noi vive-due-volte, dapprima simultaneamente,  poi può rivederSi quando Gli va anche replicandoSi tutti i nostri vissuti successivamente. E quando Si rivede le nostre vite, le può finalmente apprezzare direttamente sentendoSi Dio. Soltanto la prima volta dentro ognuno di noi Si dimentica del tutto di essere Dio.
Costui è separato da noi solo da un'esile barriera probabilmente bucherellata come lo sono viste da vicino tutte le barriere: una speciale Amnesia, messa in atto come un meccanismo che Esso Gli ha permesso. Tale barriera è difettosa, come lo sono inevitabilmente tutte le barriere, e tutte le creazioni di Esso.  La barriera amnestica è potenzialmente permeabile a qualche tecnica meditativa e talvolta può esserlo anche accidentalmente o per qualche patologia. Ripetiamo che Esso è un Meccanismo imperfetto che crea imperfetti tutti i meccanismi.  Se fosse stato perfetto, allora sarebbe stato un vero Dio, ma in tal caso non ci avrebbe creato, poiché un vero Dio non crea imperfezioni.  Anche a Sua volta il nostro Dio minore è dunque imperfetto, ed approfitta del privilegio che Gli è stato dato, di poter utilizzare miliardi di creature a Lui subordinate per compensare una Sua fondamentale infelicità. In fondo, anche a noi esseri umani, a nostra volta, Esso ha dato miliardi di microcreature che vivono dentro di noi lavorando per noi (il microbiota).  Tutto ciò che esiste è imperfetto, ed è per questo che esiste.

Luther Blissett

Professor Aristigittone, quarant'anni di insegnamento buttati via con quegli scavezzacollo.:))
:D

iano

Citazione di: Luther Blissett il 26 Novembre 2025, 21:48:32 PMProfessor Aristigittone, quarant'anni di insegnamento buttati via con quegli scavezzacollo.:))
:D
Era un professore di Arbore e/o di Boncompagni, entrato a far parte della nostra storia, suo malgrado, immagino. :))
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Luther Blissett

(Inizio quasi normale con finale deriva delirante cosmicomica)
Semplificando, si può dire che per primi miliardi di anni la nostra Terra è stata abitata soltanto da batteri e da virus. Solo i batteri erano esseri viventi propriamente detti, aventi un programma genetico e in grado di riprodursi molto semplicemente: la cellula batterica, quando si fosse accresciuta oltre una certa misura, si divideva in due, divenendo due cellule batteriche pressoché identiche, poiché si sdoppiavano il medesimo programma genetico. I virus non potevano definirsi esseri viventi, semmai potevano considerarsi dei semplici pezzetti vaganti di qualche programma genetico spezzato che, protetti da un involucro proteico, vagavano appunto prima o poi incontrandosi con dei batteri, e riuscivano spesso a penetrare in alcuni di questi batteri, che pertanto infettavano.   Quando un virus incontrava dei batteri, e riusciva a penetrarne uno infettandolo, si poteva essere certi che sarebbe riuscito a infettare rapidamente tutti gli altri batteri simili a quello infettato, e in tal modo vi erano stragi continue di ogni colonia batterica.   La natura ha escogitato il sesso come modalità nuova di riproduzione dei batteri, per evitar loro di essere sterminati in massa dai virus, grazie al fatto che la riproduzione sessuata permette di diversificare il genoma ereditato dalle cellule figlie.   La modalità sessuale di riproduzione è stata poi adottata da tutti gli animali progressivamente emersi dall'evoluzione.
(Il teosolipsismo sostituirebbe il termine "natura" con Esso, ma tutto il discorso rimane invariato, ed è compito interamente da assegnare agli scienziati, poiché più volte è stato detto che di Esso una teologia non dovrebbe occuparsi, a meno che non si venga sollecitati a farlo da motivate obiezioni.)
Dato che in questo momento mi è venuta comunque voglia di straparlarne, di Esso, lascio sbrigliare la mia fantasia accordandola per qualche istante alla sguaiata libertà erratica di Esso.
Clicco qui e ora in me la modalità di funzionamento random e quindi vi spruzzo addosso il mio conseguente flusso d'incoscienza.          
  O:-)
Il Vuoto cosmico non può cadere insieme, ovvero coincidere, con Esso. Non potendo coincidere con Esso, non può dunque essere Esso.
Un Vuoto cosmico va chiamato così per dire che è un vuoto in grado di essere riempito.
 Il Vuoto cosmico può  dunque essere una Yoni cosmica, ovvero una Vagina cosmica.
E dunque ecco cosa sarebbe Esso, un Lingam cosmico. Ecco cosa è Esso, è ciò che entra riempiendo Essa. :))

iano

#111
Citazione di: Luther Blissett il 27 Novembre 2025, 09:33:53 AM(Inizio quasi normale con finale deriva delirante cosmicomica)
Semplificando, si può dire che per primi miliardi di anni la nostra Terra è stata abitata soltanto da batteri e da virus. Solo i batteri erano esseri viventi propriamente detti, aventi un programma genetico e in grado di riprodursi molto semplicemente: la cellula batterica, quando si fosse accresciuta oltre una certa misura, si divideva in due, divenendo due cellule batteriche pressoché identiche, poiché si sdoppiavano il medesimo programma genetico. I virus non potevano definirsi esseri viventi, semmai potevano considerarsi dei semplici pezzetti vaganti di qualche programma genetico spezzato che, protetti da un involucro proteico, vagavano appunto prima o poi incontrandosi con dei batteri, e riuscivano spesso a penetrare in alcuni di questi batteri, che pertanto infettavano.  Quando un virus incontrava dei batteri, e riusciva a penetrarne uno infettandolo, si poteva essere certi che sarebbe riuscito a infettare rapidamente tutti gli altri batteri simili a quello infettato, e in tal modo vi erano stragi continue di ogni colonia batterica.  La natura ha escogitato il sesso come modalità nuova di riproduzione dei batteri, per evitar loro di essere sterminati in massa dai virus, grazie al fatto che la riproduzione sessuata permette di diversificare il genoma ereditato dalle cellule figlie.  La modalità sessuale di riproduzione è stata poi adottata da tutti gli animali progressivamente emersi dall'evoluzione.
(Il teosolipsismo sostituirebbe il termine "natura" con Esso, ma tutto il discorso rimane invariato, ed è compito interamente da assegnare agli scienziati, poiché più volte è stato detto che di Esso una teologia non dovrebbe occuparsi, a meno che non si venga sollecitati a farlo da motivate obiezioni.)
Dato che in questo momento mi è venuta comunque voglia di straparlarne, di Esso, lascio sbrigliare la mia fantasia accordandola per qualche istante alla sguaiata libertà erratica di Esso.
Clicco qui e ora in me la modalità di funzionamento random e quindi vi spruzzo addosso il mio conseguente flusso d'incoscienza.         
  O:-)
Il Vuoto cosmico non può cadere insieme, ovvero coincidere, con Esso. Non potendo coincidere con Esso, non può dunque essere Esso.
Un Vuoto cosmico va chiamato così per dire che è un vuoto in grado di essere riempito.
 Il Vuoto cosmico può  dunque essere una Yoni cosmica, ovvero una Vagina cosmica.
E dunque ecco cosa sarebbe Esso, un Lingam cosmico. Ecco cosa è Esso, è ciò che entra riempiendo Essa. :))
Questo vuoto cosmico però, se lo prendiamo in carico, rende la trinità, Esso, dio e noi, non più esclusiva.
E già che ci siamo, hai altro ancora da aggiungere,  cosi non ci pensiamo più? :)
Perchè quattro va bene come tre, purché si definiscano quanti siano.
Quindi dal Vuoto,  da Esso fecondato, nasce dio, il quale poi ci sogna, non potendoci generare, nella sua impotenza, e anche per mancanza di una partner, che porterebbe il conto a cinque.
Il Vuoto ed Esso, generano un figlio, che come tutti i figli diventa altro da loro, ma della cui perdita non proveranno dolore, perchè inconscia è stata questa generazione, mentre il loro figlio i suoi figli non li perderà mai, perchè resteranno  eternamente nella sua fantasia generatrice, coscienti o meno di esserlo.
Devo dire che questo dio somiglia molto alla vita, che nella sua generalità è una, e il vuoto alla non vita, se la materia che si genera dal vuoto è il figlio non riconosciuto, perchè un pò citrullo. :))
Ma così il conto cresce ancora.
Però se diciamo che il batterio è più o meno vivo, non stiamo dicendo cosa è la vita, per cui lo possiamo dire più o meno vivo.
Ma alla fine lo sappiamo o non lo sappiamo cosa è questa vita?
Questa riflessione mi ha ispirato ad aprire una nuova discussione ''Lo so e allo stesso tempo non lo so'' nella sezione filosofica.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Luther Blissett

A ispirarmi l'immagine di Esso in forma di pietra senza pietà è stata la pietra onirica raccontata da Jung e resa molto bene in questo bellissimo filmato dedicato al grande psichiatra svizzero:
https://www.youtube.com/watch?v=S-jgOnp0q6w


Eʀυ

Buonsalve, Luther. Rivolgo un saluto a te e a tutti gli altri partecipanti  :)
Giungo qui su tuo cortese invito, che mi è assai gradito poiché mi introduce a questo spazio fecondo, finora a me ignoto, dove posso ancora una volta leggerti.
Ringraziandoti per l'encomio iniziale che mi hai rivolto, procedo ora a esporre il mio pensiero senza ulteriori indugi.
Ho letto ogni tuo intervento in questo thread, per aggiornarmi su quanto di nuovo sia emerso intorno al teolipsismo (e no, non è un refuso: mi sono arrogata, senza il tuo beneplacito, la libertà di condensare i termini O:-) ).

La mia prima personale impressione è che vi sia stata da parte tua una vigorosa inclinazione empatica verso Dio, che qui nomino come se si trattasse davvero del Suo nome proprio di Persona, tanto più degno dunque di essere indicato con la maiuscola.
Si tratta di un'empatia di natura cognitiva, che potrei riassumere nel consueto "mettersi nei panni dell'altro", espressione che qui risulta particolarmente calzante.
Di norma è Dio a rivestire i tuoi panni, ma poiché la psiche umana rispecchia per analogia quella divina, sembra che tu abbia compiuto un gesto simmetrico: ti sei collocato nei Suoi, non già nel senso letterale che a Lui sarebbe possibile, bensì nell'unico modo che ci è dato dalla nostra natura finita, ossia mediante immedesimazione. Hai adottato il Suo punto di vista tentando di comprendere la Sua misera condizione, senza mai smarrire la tua identità.
La nostra comprensione umana si fonda infatti sull'accettazione di riconoscersi altri-da-altri, sulla percezione esterna di ciò che gli altri vivono. È una forma di "so che cosa stai provando", più che un "lo provo anch'io". Ciò si chiarisce attraverso la premessa dello stato amnestico, per cui ci percepiamo come persone emancipate dalla Sua.
Descrivere Dio come - per usare le tue parole - un "piccolo Dio infelice, creatura anche Lui come noi" mi comunica una certa finezza d'animo, che non implica necessariamente compassione, benché poi non sia mancata la domanda su ciò che potremmo fare, come umanità, per aiutare noi stessi e il nostro Dio (forse nulla, se non vivere intensamente per nutrire la fame esistenziale divina).
Non ravviso alcuna intenzione di colpevolizzare né di insistere sui difetti; scorgo piuttosto una forma di de-res-ponsabilizzazione, quasi un tentativo di sollevarLo dal peso della Sua stessa Realtà, trasferendolo su una neutralità impersonale, un Esso che, in quanto tale, non si presta ad alcuna nostra identificazione. A tale principio, dunque, si rimandino tutte le colpe del Caso, poiché Esso non patirebbe alcunché e, grazie a questa Sua imperturbabilità, neppure noi ne saremmo afflitti.
Soltanto chi è in grado di provare dolore può infatti essere dai noi compreso, da noi giustificato.
Così, l'immagine angosciata di Dio diviene quasi un imperativo, l'unica soglia che ci permette di afferrare intellettualmente ciò che Lo riguarda. Per noi, l'eternità deve recare in sé, per sua intima natura, un'ombra d'angoscia, affinché il divino possa farsi accessibile ai nostri sensi più emotivi e costituire il punto d'innesco del nostro anelito.
Questo è kantiano al contrario: la sofferenza ci connette a Dio attraverso l'empatia patologica.
La conseguenza teologica radicale è che un Dio perfettamente felice sarebbe incomprensibile e inaccessibile. L'infelicità divina non è un difetto ma la condizione di possibilità della relazione.
Dio è "ciò che deve soffrire per essere pensabile".
La comprensione di Dio non scaturirebbe dall'altezza di una rivelazione, bensì dal fondo delle nostre stesse sensibilità.
Per quale ragione Egli dovrebbe desiderare il nostro dolore, quasi volesse "conformarci alle sensibilità che Gli sono più affini", se non perché il patire è il solo vincolo che realmente ci accomunerebbe a Lui, rendendoci più empatici, più ricettivi alla Sua infelicità originaria?
Che cos'è, dunque, questa pietas che mi assale nel contemplare l'immagine di un Dio infermo e immobile?
Sarebbe forse un segnale favorevole, nel quadro di una terapia, poiché indicherebbe che, in quanto alter, non sono del tutto indifferente né ostile?
O ancora: è la consapevolezza remota che, quando l'Host soffre gravemente, l'intero sistema corre un rischio? Gli alter possono infatti provare dolore per l'Host poiché temono che, se questi dovesse crollare o soccombere, l'intera struttura, con tutte le identità che la compongono, sarebbe trascinata nella rovina.
Si tratterebbe allora di una forma di dolore rivolta alla salvaguardia del sistema nella sua totalità.
E questa empatia che insisto a evocare, in modo paradossale, non annullerebbe affatto la dissociazione, bensì concorrerebbe alla sua persistenza nel mondo teonirico, per virtù di quella "accettazione di riconoscersi altri-da-altri" che costituisce il fondamento stesso della nostra comprensione umana.
Il solo pensare a Dio potrebbe configurarsi, già di per sé, come un atto di separazione. L'unica via che possediamo per accostarci a Lui è anche quella che più incisivamente espone al rischio di una dissociazione ulteriore.

La mia seconda impressione è stata quella di ravvisare una, pur tenue, risonanza con la teoagonia di Philipp Mainländer. La sua metafisica prende avvio dall'idea che Dio – qui inteso come Unità pre-cosmica, Essere unico e perfetto – non fosse lieto nella propria perfezione, giacché dimorava nella solitudine e nel patimento di un'esistenza implacabile. L'unico desiderio di questo Dio, a differenza del tuo, era quello di non essere più, di dissolversi nel nulla assoluto.

Tuttavia, l'Essenza di Dio era troppo forte per annientarsi semplicemente con un atto di volontà.
Dio attuò quindi un vero e proprio "suicidio" frammentandosi nel molteplice (l'universo, il mondo, gli individui). In altre parole: Dio è morto, e la sua morte è la vita del mondo. 
Nietzsche lo lesse e ne rimase colpito, pur distanziandosene poi, a causa della sua visione nichilista e passiva.
Mainländer ribalta il concetto centrale di Schopenhauer ("Volontà di Vivere") in una "Volontà di Morte" (o, più precisamente, Volontà di Non-Essere).
Dunque, il tenue parallelismo che intravedo risiede già nel termine stesso di teo-agonia, quale solitudine e sofferenza di un'esistenza implacabile (Dio soffre costitutivamente e il mondo nasce da questa sofferenza), ma non solo, anche nella volontà di morte (sia pure in forme non del tutto sovrapponibili), e in una mia riflessione sulla sua filosofia, che postai qualche mese fa nell'altro forum. La riporto qui di seguito:
"[...] Se tempo ed essere coincidono, allora il passaggio dall'essere al nulla può avvenire solo nel tempo, non al di fuori di esso, poiché senza tempo non v'è successione, né movimento, né trasformazione.
Sarebbe impensabile concepire un ente positivo capace di annullarsi da solo all'istante, perché l'essere ha inerzia, peso ontologico, e deve consumarsi progressivamente. Necessita sempre di un processo temporale per poter svanire.
Dio è anch'egli un ente positivo, e come tutti gli enti positivi, nel momento in cui sceglie di annullarsi, è vincolato a sottostare alla legge dell'essere per uscire dall'essere stesso.
In altre parole, uscire dall'essere significa uscire dal tempo, ma non si può uscire dal tempo senza prima attraversarlo.
Trovo che questo aspetto conferisca una certa solidità concettuale non trascurabile alla sua visione, per quanto essa resti profondamente perturbante."
Dunque, neppure per gli dèi esistono scorciatoie: essi devono pur sempre attraversare il mondo per compiere il loro fine, qualunque esso sia. Dio non può uscire dal Suo nonluogo se non attraversando infinitamente le nostre vite e morti.

La terza osservazione riguarda la questione morale.

Tu dici: "Il nostro Dio non c'entra assolutamente nulla con qualsiasi discorso morale. Lui è un essere privo totalmente di ogni morale."
Un solipsista non può avere morale perché la moralità presuppone l'alterità reale.
Vorrei tuttavia ampliare questo punto: la coscienza di Dio costituisce il terreno germinale da cui scaturiscono tutti i nostri futuri concetti morali. Nel Suo non-luogo, Egli permane come potenza morale che, nel mondo teonirico, si traduce in atto.
La coscienza-in-atto Gli consente di distinguere il Sé dagli Altri Sé, generando così la molteplicità delle Sue identità.
La Sua moralità ha inizio quando riconosce che le Sue azioni, vissute nella forma umana, incidono su un "io" distinto e su un "tu" altrettanto distinto.
E tale moralità si applica unicamente agli atti intenzionali di chi può scegliere come agire. Gli eventi casuali dell'Esso non sono né morali né immorali.
Più che una semplice assenza di morale, credo si tratti della mancanza di una verità morale.
Nel non-luogo dove Egli dimora, solo e immobile, potrebbe sussistere una moralità soggettiva nella sua forma più estrema: quella dell'emotivismo?
Potrebbe Dio essere radicalmente emotivista?
Egli esprimerebbe soltanto bisogni emotivi, "avido e famelico di emozioni umane".
Le Sue scelte sarebbero reazioni emotive alla propria deprivazione ontologica.
Non vi sarebbe logos, ma soltanto pathos e immaginazione.
Una tale moralità Gli servirebbe soltanto a esprimere eternamente emozioni e a influenzare il comportamento degli altri, ossia dei Suoi molteplici Sé. Una congiunzione di componente emotiva e componente persuasiva.

Nel dirti tutto ciò, ho compiuto - come già in precedenza - un atto di fede rivolto a te più che a Dio. Era necessario, altrimenti sarei rimasta anch'io, come Lui, locked-in, immobile, congelata nel gelo di alcuni miei pensieri.
Non ho infranto a colpi di piccozza la tua teologia, gesto che probabilmente ti avrebbe coinvolto ben di più. Ma per confutare la validità di un'idea esistenziale non basta pensarla da lontano: occorre anzitutto tentare di sostenerla, darle dimora, offrirle spazio nella mente e lasciarla muovere con noi. Solo allora noi possiamo comprendere se essa possa essere dissolta dalla realtà e dalle sue ripercussioni sull'esistenza.
Sono persuasa che, come per Kierkegaard, la verità non sia un oggetto neutro, dimostrabile in modo disinteressato; essa si conquista soltanto attraverso una scelta ardente e personale.

Luther Blissett

Eru, benvenuta :)
 
Accetto sùbito il tuo ribattesimo del nome: ok al teolipsismo :)
 
Mannaggia a te che pian piano stai scoprendo tutte le mie carte :)
Vero, anche Mainländer è tra gli Autori che mi hanno ispirato. La sua idea della Realtà come processo cosmico di decomposizione del corpo di un Dio che si sta suicidando non poteva non colpirmi, per la sua sconvolgente lucidità: la Grande Esplosione è in fondo l'immagine più autentica che noi possiamo avere del Cielo, il Big Bang sembra degno davvero di essere un autoattentato rivendicato da un Dio.. 
https://www.youtube.com/watch?v=wJq52U9sU6U
 
Eppure, devi riconoscere che, pur avendo radici così disperate, questo benedetto teolipsismo non sembra così disperante.
Noi siamo i Suoi terminali inconsapevoli, ma... fino a quando rimarremo inconsapevoli?  E se si riuscisse a escogitare dei modi per dimostrare che esiste questa barriera amnestica?    Come ho scritto nella discussione "Immaginate che per un incantesimo...",  in questi giorni ci stavo anche provando a reperirne tracce con il metodo dell'imitatio attraverso rêveries, ma ho dovuto rinunciare a proseguire per timore di compromettere la normale fisiologia dei miei sogni, cosa che purtroppo stava già cominciando ad accadere: infatti questi esperimenti andrebbero effettuati non da soli in casa, ma in ambienti universitari ben controllati che purtroppo da anni non frequento più. (Sono così avanti negli anni che almeno da questo punto di vista devo considerarmi piuttosto vicino a scoprire la verità :) )
 
Noi siamo i Suoi terminali? Se ci sta un lettore delle nostre vite a noi sovraordinato, significa che tutti assieme costituiamo un megaorganismo.  Tutti assieme siamo "fusi" in un megaorganismo. Lui stesso non saprebbe come separarsi da noi, tanto siamo fusi insieme.   
Né lo potrebbe.  Né lo vorrebbe.
Dobbiamo studiare questa barriera, la barriera amnestica, che ci separa da Lui consentendoci di svolgere i nostri vissuti da Lui indipendenti, barriera che è probabilmente non impenetrabile, o per via di una sua casuale difettosità, o per via di una qualche patologia, o per via di una qualche tecnica di meditazione o di rêverie.
 

iano

#115
Citazione di: Luther Blissett il Oggi alle 20:24:11 PMDobbiamo studiare questa barriera, la barriera amnestica, che ci separa da Lui consentendoci di svolgere i nostri vissuti da Lui indipendenti, barriera che è probabilmente non impenetrabile, o per via di una sua casuale difettosità, o per via di una qualche patologia, o per via di una qualche tecnica di meditazione o di rêverie.
Una barriera insuperabile è fra osservatore ed osservato, e fra i prodotti della sua osservazione c'è ciò che dice di essere .
Osservo, quindi sono, ma non sono il prodotto delle mie osservazioni, e siccome osservo c'è altro da me, che non è ''ciò che osservo'', ma la causa delle mie osservazioni.





Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

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