Voglio essere scentrato e anche un po' sfacciato come mi ha ispirato Fabriba qualche giorno fa accostando il comico alla
Bibbia, cioè cogliendo il salto di senso che avviene nel leggere oggi quanto fu scritto oltre due millenni e mezzo fa.
La risposta che ho dato lì per lì, non mi è bastata. Vorrei mettere a fuoco il punto e il parallelo conseguente, supposto che tale azzardo... abbia senso. Ditemi voi.
Il punto è il meccanismo cognitivo che esplode in una risata non appena si coglie il vuoto incompatibile fra due mondi di senso che si scontrano: quello dell'aspettativa e quello del fatto sorprendente. Il cortocircuito spiazza il soggetto che ride, scaricando energia psichica.
Non voglio fare un pistolotto che analizzi il rapporto fra il soggetto che ride e l'oggetto (o il fatto) risibile: mi incarterei sicuramente nel descrivere le filosofie di chi vede primariamente l'uno o l'altro (Jeanson vs. Bergson)
Preferisco stare terra terra sottolineando l'aspetto sociale della risata, che condividiamo con altri animali.
Non siamo i soli in grado di comunicare uno scarto nel senso percepito. In occasioni di pericolo o di giocoavviene non so come definirlo, uno switch cognitivo, che scarica una tensione psichica nell'azione fisica e comportamentale.
La proto-risata sonora ha un senso sociale nella articolata comunità delle iene le quali, con un vocabolario espressivo di 28 segni, esplodono nella loro famosa risata per comunicare lo scampato pericolo di un aggressore che non si rivela più tale. Non ho idea se vivano anche un senso di sollievo gioioso per lo scampato pericolo di uno scontro.
Diversi animali concepiscono almeno due modi di pensare la realtà: quella che appare come reale e quella che dice che la realtà è un'altra.
Anche il gioco offre esempi come l'inchino del cane che rivela la sua non aggressività quando invita un suo consimile a far finta di litigare.
Quando il nostro mondo di pseudo tranquillità viene spezzato da un qualcosa che ci fa saltare improvvisamente dentro un diverso mondo di senso – incongruente con il primo - la risposta leggera e transitoria può essere la scossa della risata.
In questo caso non si deve assolutamente spiegare come far combaciare due sensi antagonisti, senza sgonfiare il senso del risibile.
Ciò che scuote è l'assenza di giustificazione del ridere, forse anche la consapevolezza di essersi affacciati a quel vuoto così prossimo all' orror vacui.
Il parallelo con un meccanismo simile lo trovo nella spiegazione dell'origine del sacro, quando la si coglie nell'evento inaspettato e sorprendente (Eliade) o nell'esperienza misteriosa e terribile (Otto) che rivelano un senso "altro" e conseguentemente un "diverso" da sé.
Il meccanismo psichico sottostante mi appare simile non solo per quanto riguarda la cosiddetta mente primitiva, ma anche in quella odierna che affronta l'inaspettato con spiegazioni miracolistiche, non necessariamente di ordine religioso. La nostra ragione galleggia sull'irrazionalità? Forse anche a pari merito, ma diventa un altro discorso.
L'approccio scentrato e sfacciato di cui parlavo all'inizio consiste dunque nel leggere una radice comune alla narrazione di due tipi di mondi, che – pur affacciandosi entrambi al baratro fra due sensi – creano una bolla di sospensione dalla realtà come banalmente la si intende, anche se a prima vista sembrerebbero avere nulla in comune.
Con la narrazione di una barzelletta o di un fatto comico andiamo a colmare un piccolo vuoto cognitivo con una risata, solitaria o sociale. In tal caso la storia ha una durata brevissima, anche se viene reiterata di bocca in bocca. La bolla di quei mondi irreali che però provocano risposte reali e fisiologiche, ha "prodotto" un certo tipo di cultura e di lettura parallela di quello che -per semplificare- chiamiamo il mondo reale.
Con la creazione di un mito, ovvero la narrazione di un reale (!) mondo autocentrato, ci si rassicura e salvaguarda personalmente e socialmente dall'abisso del caos, il quale non a caso è l'inizio di molte teogonie proprio perché il vuoto di senso è profondamente esistenziale. Di conseguenza la durata della narrazione diventa millenaria perchè "fonda" il senso di una cultura . Le conseguenti ritualità permettono talvolta anche di attraversare indenni il caos stesso, rinnovando la stabilità del mondo.
Almeno una di queste ritualità profanizzate ci vede personalmente testimoni anno dopo anno è quella rigeneratrice che ci fa attraversare senza danni la bolla del mondo all'incontrario, cioè il Carnevale.
PS altri approfondimenti sul ridere nell'intervento di Doxa che merita leggere nella sezione Varie.
Molti testimoni di NDE rivelano di avere avuto una percezione di umorismo da parte degli esseri spirituali con i quali si sono incontrati.
Credo che sia accettabile l'idea che Dio sia umorista, ed apprezzi l'umorismo, però c'é umorismo ed umorismo. Spesso l'umorismo é offensivo nei confronti di qualcuno, che viene deriso, non dimentichiamoci delle barzellette sugli ebrei, che hanno sostenuto la ghettizzazione degli stessi.
C'é poi l'umorismo sconcio, il richiamo ai vizi privati, ad azioni scorrette.
Insomma, una volta scarnite tutte queste situazioni, che si avvicinano al male Piú che a Dio, allora quel poco spazio che rimane può avvicinarci a Dio.
Citazione di: anthonyi il 31 Ottobre 2025, 19:58:06 PMMolti testimoni di NDE rivelano di avere avuto una percezione di umorismo da parte degli esseri spirituali con i quali si sono incontrati.
Credo che sia accettabile l'idea che Dio sia umorista, ed apprezzi l'umorismo, però c'é umorismo ed umorismo. Spesso l'umorismo é offensivo nei confronti di qualcuno, che viene deriso, non dimentichiamoci delle barzellette sugli ebrei, che hanno sostenuto la ghettizzazione degli stessi.
C'é poi l'umorismo sconcio, il richiamo ai vizi privati, ad azioni scorrette.
Insomma, una volta scarnite tutte queste situazioni, che si avvicinano al male Piú che a Dio, allora quel poco spazio che rimane può avvicinarci a Dio.
Mi metti in difficoltà, Anthonyi, perchè non posso avere pensieri su cosa possa apprezzare chi non conosco.
Sebbene mi sia fatta una certa idea dell'evoluzione del senso religioso, che mi fa supporre una aggregazione progressive delle più svariate prerogative divine non so bene come affrontare i monoteismi su questo lato.
Certo è che ci sono state divinità burlone (Hermes e i vari trickster qua e là nel mondo) e divinità che ridono apertamente (Dioniso) , ma non ho mai pensato di approfondire la cosa, se non in questi ultimissimi giorni.
Poi, il punto di vista del divino rispetto al salto di senso insito del ridere sarebbe un tema interessante quanto impegnativo. ... sovrumano, direi.
Ho dovuto aiutarmi per trovare eliade e otto, e naturalmente non sono convinto (d'altronde quasi nulla è convincente leggendo il bigino).
Il parallelo con la risata mi sembra tenere, quello che mi perde è la parte in cui l'incontro con la religione nasce (solo) nel modo che dicono loro.
Che nasca anche cosi invece mi convince.
-
L'immagine del orror vacui mi risulta molto azzeccata, per me però ha più a che fare con la sensazione di fare un passo nel vuoto, sia pensando all'esempio della fede, che all'istante prima di ridere, ed è li che vedo il parallelo al suo meglio.
Ho l'impressione che però siano parallele ma opposte, che tendano a direzioni divergenti, e che si possano addestrare a convergere, ma con grande disciplina.
Come il cadere nel vuoto controllato di un paracadutista è uguale e contrario a quello di una caduta accidentale.
Come il sesso induista e il sesso cattolico, paralleli, ma opposti nel vedere nella sfida impossibile di controllare l'animalità, qualcosa da coltivare o da rifuggire.
Similmente, la risata è un momento di liberazione, istinto, petite mort, e sono rimasto molto stupito quando hai detto (altrove) che nelle tradizioni ebraiche c'è un valore trascendentale nella risata ritualizzata e ripetuta per ore.
L'ebraismo ci ha regalato un libro che ha condizionato l'evoluzione dell'occidente per 2 millenni, ma i riti fuori da quel libro non hanno lasciato quasi traccia nella cultura occidentale.
Il rito del ridere di cui parlavi ha lo stesso sapore del sesso tantrico: fare qualcosa per ore mandandolo in una sorta di saturazione semantica, svuotandolo del senso perché rimanga solo la purezza del gesto, e finalmente poterne godere.
Quella cosa non è occidentale. Non siamo capaci noi. E tradisce la posizione geografica in cui l'ebraismo si è sviluppato, equidistante tra oriente* e occidente.
*Penso fino all'India, non oltre
Per tornare alle rette parallele e opposte: quella disciplina noi non l'abbiamo coltivata, noi abbiamo religiosamente coltivato il controllo, il contegno, la morigeratezza... Tutte quelle cose che si sposavano bene con il vecchio detto "il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi", che oggi sembra venire da un altro millennio, e invece solo qualche decennio fa era considerato saggezza popolare.
--
Siccome mi pare che quello che ho scritto sembra il contrario di quello che voglio dire, chiarisco: ridere può avvicinare al divino** secondo me, anche se richiede disciplina.
** Tu dicevi sacro... Vale la proprietà transitiva da divino a sacro? Voto si.
Rispondendo alla domanda del titolo: certamente che ridere (ma non deridere) ci avvicina al sacro. Voglio raccontare un aneddoto, un fatto occorso al mio bisnonno materno che, quindi, io ho sentito riportato da mia mamma di cui lui era nonno. Mio bisnonno era un fervente cristiano cattolico praticante e osservante. Un venerdì di Quaresima, si dimenticò che fosse proprio venerdì e, essendo il mio bisnonno analfabeta, non poteva sicuramente leggere che giorno fosse sul calendario. Quindi mangiò una fettina di salame, di quelle fettine sottili. Poi, improvvisamente si ricordò che era venerdì e, probabilmente, credendo di aver già un piede nell'inferno, il mio bisnonno corse a confessare questo peccato "mortale". Il prete allora gli chiese quanto fosse grande la fetta di salame e se insieme ci avesse messo qualcos'altro. Il mio bisnonno rispose che la fettina era sottile e che ci aveva messo insieme due belle fette di polente. Il confessore per tutta risposta lo assolse da quel peccato grave e da tutti gli altri che avesse commesso, facendogli presente che la fetta di salame, circondata da tutta quella polenta, non era stata percepita dal suo organismo.
Il mio bisnonno tornò a casa e iniziò a ridere di gusto!
In ogni caso, è noto il valore terapeutico della risata. Lo ha stabilito la medicina occidentale, ma anche lo yoga e tante altre discipline. Per esempio, esiste lo yoga della risata, ma anche la clown terapia, con cui alcune persone si vestono da clown e vanno nei reparti ospedalieri dove sono ricoverati bambini affetti da diverse malattie croniche, tra cui i tumori.
Nei centri di OSHO si pratica la Mystic Rose: una tecnica in cui si ride per qualche ora al giorno, per una settimana, poi si fa altrettanto col pianto e quindi, nella terza settimana ci si ascolta, per capire se vi siano stati dei cambiamenti dentro di noi.
Quindi sì, la risata avvicina al Sacro, che poi, secondo me il Sacro inizia dentro di noi: la nostra Anima e il nostro spirito (la parte più importante dell'Anima) sono già il Sacro, quindi, l'avvicinarsi a esso, significa riuscire a incontrare la nostra Anima e il nostro Spirito, che fanno parte dell'Anima e dello Spirito cosmici.
Citazione di: fabriba il 01 Novembre 2025, 01:29:57 AM... Vale la proprietà transitiva da divino a sacro? Voto si.
E allora... facciamo un po' di campagna elettorale intorno a questo referendum! :)
Voto no, perché sostengo che il sacro ha dato vita al divino. C'è un prima e un dopo.
Lo esprimo come un gioco, senza contrapposizione di verità, che peraltro non conosco, Fortunatamente.
Non possiamo osservare solo l'oggi, dove le esperienze del divino e del sacro si sovrappongono confondendosi. Anzi il primo ha egemonizzato il secondo, determinando attraverso le religioni cosa sia sacro e cosa no per mezzo di regole rivelate e poi scritte. L'invenzione della scrittura è stato un salto cognitivo di vasta portata.
Sacro e divino non sono esperienze tramandate attraverso la narrazione orale (in versi? cantati? supportati da suoni musicali?) da una generazione all'altra appoggiando la memoria dei loro racconti a oggetti simbolici naturali (pietre significative) o manufatti in 3D o raffresentazioni figurate in 2D che – qualcuno dice - dover essere successive alle prime.
Non so se sia possibile attribuire al linguaggio la capacità umana di sviluppare inizialmente la capacita di rappresentazione simbolica oppure se sia stata l'attività onirica o le allucinazioni casuali o autoprodotte, ma sicuramente i racconti hanno trasmesso di generazione in generazione queste esperienze emotive..
Scoprire l'altro da sé che sconcerta e/o terrorizza perché emerge da un vuoto di comprensione in presenza di eventi inaspettati si può definire l'epifania del sacro: ierofania.
Fu esperienza individuale, mistica, poi comunicata al gruppo
La religione che è organizzazione viene dopo.
Il dado viene dopo il brodo. E poi lo ricrea in un eterno ritorno alle origini.
Così il rapporto fra sacro e religione: le origini durante i secoli si smarriscono o si mimetizzano.
Ancor prima della scrittura la rivoluzione agricola ha sicuramente fatto fare un salto sociale economico e in particolare cognitivo enorme, necessitando di una nuova forma di coesione sociale che necessitava di un potente collante, ovvero di forme religiose e di potere temporale unite e/o complementari l'una all'altra.
Non ho la pretesa che sia davvero accaduto così... Mi rendo conto che questa visione mi sembra plausibile perché sono nato immerso in una cultura che ha spezzato il concetto di eterno ritorno preesistente alle religioni monoteistiche e/o al mondo della scrittura di cui presumo esse siano figlie.
Trovo che il concetto di "inizio", ovvero di una visione lineare ed evolutiva della storia, sia diverso dal concetto di "fondazione" di culture che nella la loro circolarità eterna si rigenerano, forse prendendo ad esempio da cicli naturali.
Sulla base di questo filone evolutivo penso che la concezione magina abbia preceduto quella religiosa strettamente intesa e che poi le divinità celesti abbiano soppiantato quelle ctonie e che la separazione fra bene e male di cui la nostra cultura occidentale è pregna sia avvenuta tutto sommato recentemente, da radici greche ed ebraiche.
Prima i termini delle opposizioni rimanevano uniti come complementari, nelle diadi divine della mitologia (p.e. i dioscuri Castore e Polluce in Grecia, piuttosto che il dio del cielo e la dea della terra, il dio del sole e quello della luna i cui nomi indiani mi risultano impronunciabili)
Faccio un ulteriore azzardo, auspicando qualche studioso di linguistica e di mitologia mi possa correggere o aggiustare o censurare del tutto.
Ho l'impressione che l'espressione grammaticale del duale (presente nel greco antico e poi scomparso forse con l'affermarsi della nuova visione promossa da presocratici e colleghi successivi) si sia affermato qua e là durante le migrazioni grazie al protoindoeuropeo che lo ha diffuso insieme alla concezione divina delle diadi, che necessitavano del duale per rivolgersi a loro.
PS quanto alla mia domanda iniziale non so rispondere, trovo delle affinità nel processo di conoscenza. E' il massino di vicinanza che posso concepire per avvicinarmi a comprendere un fenomeno che non conosco, ma estremamente diffuso.
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 01 Novembre 2025, 09:15:59 AMRispondendo alla domanda del titolo: certamente che ridere (ma non deridere) ci avvicina al sacro. Voglio raccontare un aneddoto, un fatto occorso al mio bisnonno materno che, quindi, io ho sentito riportato da mia mamma di cui lui era nonno. Mio bisnonno era un fervente cristiano cattolico praticante e osservante. Un venerdì di Quaresima, si dimenticò che fosse proprio venerdì e, essendo il mio bisnonno analfabeta, non poteva sicuramente leggere che giorno fosse sul calendario. Quindi mangiò una fettina di salame, di quelle fettine sottili. Poi, improvvisamente si ricordò che era venerdì e, probabilmente, credendo di aver già un piede nell'inferno, il mio bisnonno corse a confessare questo peccato "mortale". Il prete allora gli chiese quanto fosse grande la fetta di salame e se insieme ci avesse messo qualcos'altro. Il mio bisnonno rispose che la fettina era sottile e che ci aveva messo insieme due belle fette di polente. Il confessore per tutta risposta lo assolse da quel peccato grave e da tutti gli altri che avesse commesso, facendogli presente che la fetta di salame, circondata da tutta quella polenta, non era stata percepita dal suo organismo.
Il mio bisnonno tornò a casa e iniziò a ridere di gusto!
In ogni caso, è noto il valore terapeutico della risata. Lo ha stabilito la medicina occidentale, ma anche lo yoga e tante altre discipline. Per esempio, esiste lo yoga della risata, ma anche la clown terapia, con cui alcune persone si vestono da clown e vanno nei reparti ospedalieri dove sono ricoverati bambini affetti da diverse malattie croniche, tra cui i tumori.
Nei centri di OSHO si pratica la Mystic Rose: una tecnica in cui si ride per qualche ora al giorno, per una settimana, poi si fa altrettanto col pianto e quindi, nella terza settimana ci si ascolta, per capire se vi siano stati dei cambiamenti dentro di noi.
Quindi sì, la risata avvicina al Sacro, che poi, secondo me il Sacro inizia dentro di noi: la nostra Anima e il nostro spirito (la parte più importante dell'Anima) sono già il Sacro, quindi, l'avvicinarsi a esso, significa riuscire a incontrare la nostra Anima e il nostro Spirito, che fanno parte dell'Anima e dello Spirito cosmici.
Mi piacciono i tuoi richiami ai tempi andati perché aiutano a farne sopravvivere il senso. Ricordo anche le ricerche dei tuoi avi. Invece io sono nato da genitori che avevano già una certa età e quindi le mie memorie familiari si fermano alle loro esperienze del primo dopoguerra. Forse per questo sono un po' disancorato, anzi mi piace esserlo. :)
Ti ringrazio per gli esempi. Non sapevo delle tecniche degli "arancioni", così una volta chiamavamo i seguaci di Rajneesh con un po' di sussiego, lo confesso, ma anche con simpatia proveniendo Valcarenghi dall'esperienza di Re Nudo: una rivelazione, per molti della mia generazione.
Come sai non sono credente e ho difficoltà con le concezioni che esprimi, però forse ne capisco e condivido il senso.
Considero il sentimento intimo che noi proviamo valido tanto quanto la nostra mente razionale e nel dubbio fra i due... vince la prima, mentre spetta alla seconda gestirmi tatticamente per evitare eventuali guai.
A mio parere il ridere continua a non essere un verbo sintonizzabile con il Sacro.
Faccio fatica a immaginarmi persone sorridenti mentre sono in procinto di partecipare a un rito sacro, anche in altre culture diverse dalla nostra, salvo eccezioni particolari.
Ho ancora discreta memoria di tante Messe cui partecipai in gioventù, e mi è rimasta la sensazione di non aver mai visto nessuno sorridere dentro una chiesa. Soltanto quando vi era presenza scomposta di tanti ragazzini, potevano sentirsi delle risate. Il Sacro, nell'intimo delle persone, mi pare irrimediabilmente correlato a cose serie.
"Scherza con i fanti e lascia stare i santi" veniva detto non soltanto a coloro che arrivavano a bestemmiare, ma anche a coloro che raccontavano innocenti barzellette alla Giobbe Covatta.
Rimane sempre facile che se qualcuno si proponesse di avvicinarsi al Sacro con qualche nota di comicità, non manchi qualcun altro che obietterebbe che non sarebbe il caso.
Rimane invece molto più facile che si continui a usare l'umorismo per criticare il mondo che gravita attorno al Sacro.
Ricordo un professore di storia delle religioni, simpaticissimo e umorista nato, e critico delle religioni, Alfonso Di Nola, che durante le sue lezioni riusciva spesso a far ridere tutta la platea degli studenti.
Ho presente il discorso sulla differenza che c'è tra "ridere con" e "ridere su", e dico che ridere insieme a chi frequenta il Sacro lo trovo molto più difficile dell'altra opzione.
Citazione di: fabriba il 01 Novembre 2025, 01:29:57 AMSiccome mi pare che quello che ho scritto sembra il contrario di quello che voglio dire, chiarisco: ridere può avvicinare al divino** secondo me, anche se richiede disciplina.
Bellissimo, concordo e grazie!
A proposito:
"
Il contrario di un popolo cristiano è un popolo rriste" - Georger Bearnos
Ripresa da don Tonino Bello e trasformata da Papa Francesco: "
un cristiano che non ride, non è un cristiano credibile".
Sempre Papa Francesco: "
il senso dell'umorismo è una grazia che io chiedo tutti i giorni, perché esso ti fa vedere il provvisorio della vita e prendere le cose con uno spirito di anima redenta. Certo è un atteggiamento umano, ma è il più vicino alla grazia di Dio".
Woody Allen invece, rifacendo un proverbio yiddish: "
quando l'uomo pensa, Dio ride", fa dire a un personaggio in suo film: "
se vuoi far ridere Dio, raccontagli i tuoi progetti". :)) :)) :))
Siamo stati fatti a Sua immagine e somiglianza... sostiene qualcuno! O:-)
Pace&Bene
Citazione di: Luther Blissett il 01 Novembre 2025, 20:03:15 PMHo ancora discreta memoria di tante Messe cui partecipai in gioventù, e mi è rimasta la sensazione di non aver mai visto nessuno sorridere dentro una chiesa.
Caspita questo mi ha risvegliato per contrasto un ricordo che contraddice in parte quello che ho detto sopra:
le messe anglofone... quelle nelle chiese inglesi, come quelle della tradizione nera americana; le messe gospel, o comunque cantate... c'è gioia vera, e anche una certa quantità di risate in quel rito.
Forse si può buttare via metà di quello che ho detto con "noi occidentali non siamo capaci"... non sono sicuro, mi hai colto di sorpresa, ci devo pensare :)
--
In un certo senso risponde anche a te questa cosa, di traverso... la vedo diversamente nel senso che penso che la nostra esperienza sia relativa, però sono d'accordo che nella nostra esperienza la fede sia una cosa seria, non si è mai sentito nessuno dire "questo principio è sacro" metre sorrideva dalle nostre parti, l'idea stessa di sacro impone di prendere le cose sul serio.
Citazione di: Luther Blissett il 01 Novembre 2025, 20:03:15 PMA mio parere il ridere continua a non essere un verbo sintonizzabile con il Sacro.
Faccio fatica a immaginarmi persone sorridenti mentre sono in procinto di partecipare a un rito sacro, anche in altre culture diverse dalla nostra, salvo eccezioni particolari.
Ho ancora discreta memoria di tante Messe cui partecipai in gioventù, e mi è rimasta la sensazione di non aver mai visto nessuno sorridere dentro una chiesa. Soltanto quando vi era presenza scomposta di tanti ragazzini, potevano sentirsi delle risate. Il Sacro, nell'intimo delle persone, mi pare irrimediabilmente correlato a cose serie.
"Scherza con i fanti e lascia stare i santi" veniva detto non soltanto a coloro che arrivavano a bestemmiare, ma anche a coloro che raccontavano innocenti barzellette alla Giobbe Covatta.
Rimane sempre facile che se qualcuno si proponesse di avvicinarsi al Sacro con qualche nota di comicità, non manchi qualcun altro che obietterebbe che non sarebbe il caso.
Rimane invece molto più facile che si continui a usare l'umorismo per criticare il mondo che gravita attorno al Sacro.
Ricordo un professore di storia delle religioni, simpaticissimo e umorista nato, e critico delle religioni, Alfonso Di Nola, che durante le sue lezioni riusciva spesso a far ridere tutta la platea degli studenti.
Ho presente il discorso sulla differenza che c'è tra "ridere con" e "ridere su", e dico che ridere insieme a chi frequenta il Sacro lo trovo molto più difficile dell'altra opzione.
Anche qui debbo tirare in ballo il già menzionato mio bisnonno che, mentre faceva parte del corteo funebre che accompagnava la bara in cui c'era un suo amico di infanzia, venendogli in mente tutte le marachelle che avevano combinato insieme, iniziò a ridere di gusto, senza riuscire a trattenersi. Non poteva farci nulla, sebbene gli altri partecipanti al funerale lo guardassero in malo modo. Quando morì prematuramente un mio amico (aveva 54 anni e un aneurisma se e me lo portò via in men che non si dicesse), io riuscii a trattenermi a stento. Ne avevamo combinate tante e la nostra fortuna fu l'assenza di internet e di social media! :)
Nessuno ha tirato in ballo Jorge da Burgos, personaggio di fantasia del nome della rosa, papa nero e vero governante della biblioteca, per quanto cieco e ossessionato dalla presenza nel "finis africae" di un libretto di Aristotele sulla poetica e sul riso. Per Jorge "ridendo, l'insipiente dice semplicemente che Deus non est".
Ci sono diverse dispute fra Jorge e Guglielmo da Baskerville, proprio sul riso, anche perchè l'ìntero rom anzo gira sulla ricerca del famoso libretto, imbevuto da Jorge di veleno. Il messaggio di Eco è di incompatibilità fra il riso e il divino, almeno in quella accezione benedettina di Jorge, che non era quella domenicana di Guglielmo e neppure quella francescana del suo aiutante Adso da Melk. Il riso denota la capacità di deridere che, a sua volta, denota, la nostra debolezza, i nostri lati fragili e mortali. Ma vi può essere anche la risata per la gioia di una persona ritrovata dopo tanto tempo, o il sorriso di una madre verso il proprio figlio. Le risate non sono tutte uguali, ma quelle che esprimono le nostre debolezze sono particolarmente pericolose per le religioni che si fondano su entità soprannaturali potenti e immortali. La risata, in qualche modo, esprime una sua volontà critica, l'esercizio del dubbio sull'assetto del mondo. Era, ad esempio, la funzione del buffone di corte e al giorno d'oggi delle trasmissioni satiriche sui potenti di turno.
Per accettare il connubbio fra Dio e il riso, nella sua accezione di messaggio critico, sarcastico, ironico e auto-ironico, bisognerebbe accettare quel Dio Minore evocato da Blisset in una diversa discussione di questo forum.
Citazione di: Luther Blissett il 01 Novembre 2025, 20:03:15 PMA mio parere il ridere continua a non essere un verbo sintonizzabile con il Sacro.
A mio parere il ridere continua a non essere un verbo sintonizzabile con il Sacro.
Non era quella la mia intenzione, quanto il confrontare come una crisi di senso in un soggetto possa determinare due risposte così diverse come la risata o la dimensione sacra, caratterizzati entrambi da una risposte fisiologiche e di perdita del sé. Risposta temporanea nella risata, ma che spalanca un altro mondo con le ierofanie per come le spiega Eiliade.
Hai presente Stendhal che sviene? L'emozione e il conseguente collasso del sé di fronte all' epifania estetica penso possano rendere l'idea di quello che intendo dire: non aveva incontrato il Dio, ma qualcosa che per lui era il Sacro.
L'elemento scardinante della sopresa e dell'emozione non la si vedono nelle messe cattoliche? Be', non è quella l'unica forma di culto.
Io non so e non frequento, ma mi fa piacere che altre forme espressive di partecipazione gioiosa siano concretamente realizzate in ambito religioso o spirituale, oltre a quella che avevo citato inizalmente legata al mondo ebraico (Isacco, rabbbino Nauchman di Breslov, che ho approfondito un po', ma annoierei).
Citazione di: Jacopus il 02 Novembre 2025, 16:34:08 PMNessuno ha tirato in ballo Jorge da Burgos, personaggio di fantasia del nome della rosa, papa nero e vero governante della biblioteca, per quanto cieco e ossessionato dalla presenza nel "finis africae" di un libretto di Aristotele sulla poetica e sul riso. Per Jorge "ridendo, l'insipiente dice semplicemente che Deus non est".
Ci sono diverse dispute fra Jorge e Guglielmo da Baskerville, proprio sul riso, anche perchè l'ìntero rom anzo gira sulla ricerca del famoso libretto, imbevuto da Jorge di veleno. Il messaggio di Eco è di incompatibilità fra il riso e il divino, almeno in quella accezione benedettina di Jorge, che non era quella domenicana di Guglielmo e neppure quella francescana del suo aiutante Adso da Melk. Il riso denota la capacità di deridere che, a sua volta, denota, la nostra debolezza, i nostri lati fragili e mortali. Ma vi può essere anche la risata per la gioia di una persona ritrovata dopo tanto tempo, o il sorriso di una madre verso il proprio figlio. Le risate non sono tutte uguali, ma quelle che esprimono le nostre debolezze sono particolarmente pericolose per le religioni che si fondano su entità soprannaturali potenti e immortali. La risata, in qualche modo, esprime una sua volontà critica, l'esercizio del dubbio sull'assetto del mondo. Era, ad esempio, la funzione del buffone di corte e al giorno d'oggi delle trasmissioni satiriche sui potenti di turno.
Per accettare il connubbio fra Dio e il riso, nella sua accezione di messaggio critico, sarcastico, ironico e auto-ironico, bisognerebbe accettare quel Dio Minore evocato da Blisset in una diversa discussione di questo forum.
😊 Che me ne faccio di un dio minore se non capisco il senso e il significato di quello maggiore? 😊
Non intendo essere irrispettoso con questa domanda, ma solo esprimere che lo scopo di questo mio scritto non chiama in causa alcuna divinità, bensì il sentimento del sacro (mistero, emozione, paura, fascino ecc), non la sua concettualizzazione.
Mi rendo conto che dopo un paio di millenni abbondanti di monoteismi e di conseguenti teorizzazioni, il sacro venga primariamente percepito razionalmente piuttosto che emotivamente, ma il mio tentativo era proprio quello di sdoganare questo secondo aspetto, che è di scoperta e di relazione (che in altre forme di senso trovano empatia nella mia esistenza) invece che di norma o di etica, verso le quali risulto piuttosto algido.
Per un non credente come me, l'unica possibilità di capire l'esperienza dei credenti penso che possa avvenire sondando l' irrazionale con cui ogni essere umano si confronta.
Avendo da tempo superato la fase di contrapposizione fra credenti e non credenti e su chi la sappia più lunga, mi resta solo la curiosità di capire l'esperienza altrui (quella che non comprendo/non vivo) attraverso processi emotivi e cognitivi che abbiano affinità con la mia esperienza. Mi riferisco dunque al sacro come rivelazione, come incontro mistico, con lo scopo di svincolare quell'esperienza dagli aspetti religiosi e rituali che mettono in gioco altri aspetti esistenziali, sociali, culturali e tradizionali che deviano in altre direzioni.
Per avviare questo mio discorso sul sacro avrei potuto sostituire il verbo "ridere" con quello di "amare", ma ero sicuro che si sarebbe scivolati in discorsi retorici o melensi.
In fondo dice bene Fabriba quando parla di "petite mort": la coscienza individuale perde il senso di sé in tutti e tre i casi, come ci confermano le risposte fisiologiche del nostro organismo.
PS andrò comunque a rispolverare il nome della rosa, che ancora profuma.
Ridere in sè non ci porta proprio da nessuna parte, bisogna che la domanda sia più orientata.
Il ridere dell'irona, è diverso del riso dello stolto.
Ma comunque quel riso dell'ironia, è esattamente il sacro che ci parla, dunque non siamo certo noi che ci avviciniamo, ma è Lui "che ci parla".
Naturamente c'è anche la visione freudiana (che dicono ripresa e perfezionata dell'idea di Bergson) ossia la produzione (ll riso) dovuta ad una visione psichica di una desaturazione (scarico) semantica di eventi (traumatici) passati.
C'è poi il riso satanico proposta da Blisseth, che ovviamente allontana da Dio.
E avvicina a Satana (come proposto dalle gnosi contemporanee).
E che giustamente Jacopus avvicina al deridere.
Citazione di: Adalberto il 01 Novembre 2025, 16:35:36 PMVoto no, perché sostengo che il sacro ha dato vita al divino. C'è un prima e un dopo.
Lo esprimo come un gioco, senza contrapposizione di verità,
eh... c'è una certa ridondanza in questo... pensi che il sacro ha dato vita al divino perché (presumo) non credi nel divino, ma se credessi nel divino:
- il divino avrebbe dato origine a tutto,
- non prenderesti la cosa per gioco e senza contrapposizione di verità... perché Una Verità in cui credere ci sarebbe
Il tuo dire che "c'è un prima e un dopo" mi sembra fare riferimento al concetto umano di sacro e di divino, non al sacro e al divino che esistono a prescindere dall'umano - correggimi se sbaglio.
Nella fattispecie:
- il referendum era <Vale la proprietà transitiva da divino a sacro?>
- il tema è <Ridere... ci avvicina al Sacro?>
Allora ti chiedo: a quale Sacro ci vogliamo avvicinare? A quello che esiste a prescindere dall'umano, o al concetto umano di Sacro?
Secondo me ha più senso cercare di avvicinarsi al Sacro prescindente, quello "assoluto", "vero", "universale", e per quello insisto sulla mia arringa a favore della proprietà transitiva (che è ovviamente un gioco quanto la tua).
Se però tu intendevi chiedere <Ridere... ci avvicina al concetto umano di
Sacro?> , allora mi spiazi e non so che rispondere... ho sbagliato completamente a capire la domanda in quel caso!
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 01 Novembre 2025, 09:15:59 AMNei centri di OSHO si pratica la Mystic Rose: una tecnica in cui si ride per qualche ora al giorno, per una settimana, poi si fa altrettanto col pianto e quindi, nella terza settimana ci si ascolta, per capire se vi siano stati dei cambiamenti dentro di noi.
Ogni volta che penso ad Osho mi viene da sorridere, è stato uno dei ricercatori spirituali più simpatici che siano esistiti.
Sì certo, anche un gran burlone e furbacchione, ma le forme di meditazioni che proponeva funzionavano davvero.
Purtroppo non l'ho conosciuto di persona, però ho partecipato a varie cose che lui aveva organizzato.
Citazione di: fabriba il 04 Novembre 2025, 14:40:49 PMeh... c'è una certa ridondanza in questo...
Ridondanza ha un doppio significato: di inutile sovrabbondanza e tecnicamente di una funzione di aumento di affidabilità.
Ma io non sono né l'uno ne l'altro.. sono semplicemente contradditorio 😊 E' su questo versante che accetto la vita nella sua molteplicità., anche di sensiCitazione di: fabriba il 04 Novembre 2025, 14:40:49 PM... pensi che il sacro ha dato vita al divino perché (presumo) non credi nel divino, ma se credessi nel divino:
- il divino avrebbe dato origine a tutto,
- non prenderesti la cosa per gioco e senza contrapposizione di verità... perché Una Verità in cui credere ci sarebbe
Non ho pensieri così profondi. :)
Che il sacro antropologicamente venga prima del divino lo dice per esempio il cardinale Julien Ries (nonché "Cappellano di Sua Santità") attraverso alcune sue pubblicazioni , in primis "le origini delle religioni" , illustratissimo libro di Jaka Book, ma anche la Coscienza religiosa, o Preistoria e immortalità del medesino editore.
Il già citato Rudolf Otto era un pastore luterano che insegnò teologia in tre università tedesche. Il suo studio comparato delle religioni lo portò a conclusioni similari, ovvero che l'esperienza del sacro è pre-razionale e autenticamente all'origine della religiosità. "Il sacro" è un suo saggio in cui ribadisce quanto l'irrazionale esprima la potenza dell'incontro con il "numinoso" che precede la sua razionalizzazione in un sistema religioso.
Non so se Mircea Eliade abbia ricoperto cariche religiose, ma osservante credo proprio lo fosse. Non ho nemmeno idea se sia lui che ad aver inventato il termine "ierofania", mi sembra di no, ma certo è stato una sua bandiera. Fu profondo studioso ma con una visione politca.. terribile.
Non so ben collocare la religiosità di un altro Otto, Walter che scrisse Teofania, analizzando la visione religiosa greca. Mi astengo su altri di cui non conosco la collocazione religiosa.
Citazione di: fabriba il 04 Novembre 2025, 14:40:49 PMNella fattispecie:
- il referendum era <Vale la proprietà transitiva da divino a sacro?>
- il tema è <Ridere... ci avvicina al Sacro?>
Allora ti chiedo: a quale Sacro ci vogliamo avvicinare? A quello che esiste a prescindere dall'umano, o al concetto umano di Sacro?
Non so cosa esiste a prescindere dall'umano se non si rivela all'umano in un qualche modo. Magari non a me, ma sono gli umani che in ogni caso raccontano tale evento con almeno due modalità.
Quindi, più che al "concetto" (teologico/razionale) mi riferivo alla "esperienza" del sacro (mistica/irrazionale), per le sue relazioni emotive, cognitive e fisiologiche, ma ribadisco... è solo colpa tua
😊 che con le tua osservazione sulla Bibbia mi hai fatto accendere una lampadina
😊
Citazione di: fabriba il 04 Novembre 2025, 14:40:49 PM
...
Se però tu intendevi chiedere <Ridere... ci avvicina al concetto umano di Sacro?> , allora mi spiazi e non so che rispondere... ho sbagliato completamente a capire la domanda in quel caso!
La domanda era volutamente ambigua, paradossale, giocata in quel gap che si apre fra due punti di vista, fra due mondi di senso che non hanno relazione. Ma aprono.
Basta domande, E allora, parafrasandoti, tenterei un koan.
"Petite mort ride.Un altro si avvicina"
Citazione di: green demetr il 04 Novembre 2025, 05:08:58 AMRidere in sè non ci porta proprio da nessuna parte, bisogna che la domanda sia più orientata.
Il ridere dell'irona, è diverso del riso dello stolto.
Ma comunque quel riso dell'ironia, è esattamente il sacro che ci parla, dunque non siamo certo noi che ci avviciniamo, ma è Lui "che ci parla".
Naturamente c'è anche la visione freudiana (che dicono ripresa e perfezionata dell'idea di Bergson) ossia la produzione (ll riso) dovuta ad una visione psichica di una desaturazione (scarico) semantica di eventi (traumatici) passati.
C'è poi il riso satanico proposta da Blisseth, che ovviamente allontana da Dio.
E avvicina a Satana (come proposto dalle gnosi contemporanee).
E che giustamente Jacopus avvicina al deridere.
K2
"Il filo si è spezzato.
Avanza il significato."
K3 (*)
"Mai scritto un koan prima d'ora!
Analfabeta è la saggezza."
(*)
I koan, come le barzellette, se si spiegano poi si sgonfiano come un sufflè.
Ma K3 lo devo spiegare...per rassicurarvi. :-)
Infatti me lo sono autoinflitto per dirmi: lo "vedi" che è ora di finirla?