La scienza si vanta con alterna fortuna di poter leggere il futuro a partire dalla considerazione del presente, fidando che un futuro vi sia, mentre la religione auspica al minimo un eterno presente, fidando ancor meglio in un ritorno al passato, considerato quale sia il presente.
Ma in verità la scienza ammette di non sapere dove andiamo , mentre la religione lo crede, perché in fondo si tratta di percorrere al contrario una strada gia' fatta.
Tanta fatica per nulla. Che peccato. Meglio sarebbe stato se non ci si fosse mai mossi.
Il primo passo per tornare indietro è quindi fermarsi ,trasformando già così il presente in un futuro certo, in attesa di un radioso regresso futuro.
Un futuro certo solo per chi ricorda e riconosce la giusta via.
Ciao Iano, non vedo per quale motivo dovremmo tornare indietro. E' vero quel che dici su religione e scienza però non dai molto peso al valore della scienza. Quanto è libera la scienza? Non sarà certo il metodo scientifico a determinarlo. A noi poveri individui resta però l'unica scienza libera che esista attualmente, ed è questa la filosofia. Manca un semplice modello verbale di chi sia l'essere umano ... E' l'unica speranza. Ho fatto una ricerca personale e ho scoperto che c'è un errore nella nostra mente. Tale errore darebbe una visione distorta della realtà. Cosa facciamo?
Citazione di: iano il 10 Maggio 2021, 01:22:22 AM
La scienza si vanta con alterna fortuna di poter leggere il futuro a partire dalla considerazione del presente, fidando che un futuro vi sia, mentre la religione auspica al minimo un eterno presente, fidando ancor meglio in un ritorno al passato, considerato quale sia il presente.
Ma in verità la scienza ammette di non sapere dove andiamo , mentre la religione lo crede, perché in fondo si tratta di percorrere al contrario una strada gia' fatta.
Tanta fatica per nulla. Che peccato. Meglio sarebbe stato se non ci si fosse mai mossi.
Il primo passo per tornare indietro è quindi fermarsi ,trasformando già così il presente in un futuro certo, in attesa di un radioso regresso futuro.
Purtroppo è vero che Dio/o gli dei delle principali religioni vivono in un eterno presente è sono entità eterne, per Epicuro gli dei vivevano negli intermundi, spazi tra un mondo e l'altro, già Boezio riguardo al dio cristiano chiarisce che il suo attributo deve essere l'eternità (guardare il mondo dal centro del tempo come si potrebbe guardare un teatro, che a quei tempi era circolare, dal suo centro) e non l'onnitemporalità.
Però nell'ebraismo e ancora di più nel cristianesimo, la rivelazione, cioè il modo in cui questo Dio eterno si rivela ai sensi, alle conoscenze e alle tradizioni agli uomini che eterni non sono, prevede l'idea che il futuro sia migliore del presente, ed è per questo che le religioni abramitiche sono incompatibili con il pensiero filosofico Greco classico, che prevede l'idea che il futuro di per sé sia uguale ed equivalente al presente, quantomeno finché non interviene la virtù umana a tentare di cambiarlo solo temporaneamente in meglio, o sia addirittura peggiore del presente, configurandosi nel presente una decadenza da una precedente "età dell'oro".
Insomma nella logica della rivelazione il concetto di intermundia come spazio per Dio è invertito, la pienezza dell'esistenza di Dio, la rivelazione del suo eterno presente, si ha, se immaginiamo una linea semiretta o meglio ancora un segmento del tempo, nel punto di massimo passato (prima della creazione dell'oggetto di creazione mondo/uomo, insomma nella coincidenza
pre-temporale di Dio col nulla) e nel punto di massimo futuro, quando tutte le cose si saranno compiute e il piano di Dio per l'uomo si sarà realizzato: ad essere finita nell'intermundia è tutta la parte di mezzo e consistente del segmento, la storia come svolgimento intermedio del cammino e luogo possibile dell'esperienza umana è svalutata e ridotta a puro mezzo, serve ad andare dalla creazione all'apocalisse ma non ha valore di per sé, così come l'uomo in quanto creatura è un puro nulla senza Dio; rimane solo l'ineliminabilità dell'evidenza della sofferenza, tale per cui, appunto, in questa concezione, il passato è il problema a cui il futuro pone rimedio, si soffre per avere eventualmente la fortuna di essere consolati e di trovare incommensurabilmente più felicità fuori dal mondo di quanta infelicità si sia trovata nel mondo, ma appunto il tempo e il mondo non sono l'inizio e la fine di ogni cosa, sono creati, e quindi rimandano inevitabilmente ad "altro".Questa concezione del tempo con il futuro migliore del presente e quindi vera rottura tra età classica ed età cristiana dell'occidente, secondo il noto filosofo Umberto Galimberti ben lungi dall'esaurirsi nella modernità, ha poi ispirato il marxismo, la scienza galileiana e psicoanalisi, che sono tutte concezioni del mondo, per quanto assolutamente e apparentemente anticristiane per certi versi, in cui sempre il futuro è migliore del presente, in cui sempre il presente è il problema a cui il futuro è chiamato a trovare la soluzione (malattia e cura, progresso, rivoluzione eccetera), e io sono abbastanza d'accordo con quest'idea.Il fatto è che finché non immaginiamo il tempo come eterno, e quindi increato, e infinito, antecedente e fuori della portata anche di eventuali esseri divini stessi, noi stessi non riusciamo a immaginare la nostra esistenza come in grado di "attraversare" l'eternità e l'infinita e giungere finalmente nel presente; se c'è tempo infinito dietro di noi eppure noi ci siamo, un lasso di tempo infinito passa per farci essere, e se questo sembra un paradosso, il paradosso va risolto immaginando una struttura e un contenuto del tempo tale da risolverlo...
Salve niko. Il tempo è l'essere. Ovvero la "dimensione" al cui interno di realizzano gli eventi. Niente eventi, niente tempo. Nè fuori di noi nè dentro di noi.
Ormai alla nausea, ripeto la mia definizione dell'l'essere : "LA CONDIZIONE PER LA QUALE LE CAUSE GENERANO DEGLI EFFETTI". Ciòè l'essere è ovviamente il generatore degli eventi.
Gli eventi sempre furono, sempre sono e sempre saranno. Saluti.
Citazione di: viator il 10 Maggio 2021, 12:56:25 PM
Salve niko. Il tempo è l'essere. Ovvero la "dimensione" al cui interno di realizzano gli eventi. Niente eventi, niente tempo. Nè fuori di noi nè dentro di noi.
Ormai alla nausea, ripeto la mia definizione dell'l'essere : "LA CONDIZIONE PER LA QUALE LE CAUSE GENERANO DEGLI EFFETTI". Ciòè l'essere è ovviamente il generatore degli eventi.
Gli eventi sempre furono, sempre sono e sempre saranno. Saluti.
Questo tuo post nella sua stringatezza sembra possedere buoni spunti di riflessione, ma pure in questo poco spazio sei riuscito a farci stare dentro una evidente contraddizione.
Prima dici che il tempo è il "contenitore" degli eventi, ma poi dici che senza eventi non c'è tempo.
Magari allungando il brodo e togliendo il moscerino che vi nuota dentro potresti aprire un nuovo argomento molto interessante secondo me.
La scienza insegna e propone cose FALSE (e lo sa anche.....) e le spaccia per vere a volte in malafede. Fin dalla prima infanzia ai bambini vengono inculcate falsità assolute, come il fatto che l'uomo derivi dalla scimmia, e si fanno vedere nei libri di testo quelle foto di scimmioni che prima camminano a quattro zampe e poi successivamente diventano eretti sino all'Homo sapiens. L'uomo discende dalla scimmia? FALSO! Infatti l'uomo ha 46 cromosomi mentre le scimmie ne hanno 48, quindi per produrre l'uomo sarebbe stata necessaria la perdita di ben due cromosomi. Ma nell'essere umano basta la perdita di un solo cromosoma (anzi che dico, anche solo di un gene di un cromosoma....) per produrre sindromi incompatibili con la vita, in pratica se manca un cromosoma il feto viene abortito. L'unica sindrome compatibile con la vita che comporta la perdita di un cromosoma è la sindrome di Turner della coppia 23 di cromosomi (quelli sessuali), ma anche in questo caso si ha patologia, non evoluzione, gli individui che hanno questa sindrome (tutte donne) hanno una serie notevole di problemi e sono sterili. Non solo, anche se c'è l'aggiunta di un cromosoma si hanno solo malattie e sindromi a non finire (sindrome di Down, di Turner, per citarne solo alcune, ecc.) non si ha affatto evoluzione, poiché evoluzione significa miglioramento e invece queste mutazioni creano solo malattie e peggioramenti a non finire. Da tutto questo emerge quella che secondo me è una verità: "Il codice genetico non è fatto per produrre evoluzione (cioé miglioramenti) attraverso le mutazioni, soprattutto se tali mutazioni riguardano la perdita di cromosomi o materiale genetico".
L'evoluzione non è scienza, è solo una teoria non supportata dai fatti e che va contro i principi di verifica e di ripetibilità tipici della scienza galileiana, poiché in realtà da quando esiste l'uomo sulla Terra ogni specie si riproduce secondo la sua specie e la natura ha dei meccanismi eugenetici di protezione della specie, in pratica quasi sempre impedisce che si verifichino incroci tra specie diverse ponendo una barriera tra le diverse specie (gli ibridi in natura sono molto rari e sono sterili). Da ciò si deduce che la natura non è fatta per far mutare le specie e trasformarle in qualcos'altro di geneticamente diverso. Se l'evoluzionismo fosse vero, allora là fuori dovremmo osservare tantissime specie che sviluppano organi di transizione, specie a metà strada tra un soggetto ed un altro, ma questi individui non esistono.
Allora perché sui libri di testo si vedono quegli scimmioni ominidi che si trasformano? Il motivo sta nel fatto che l'uomo è stato creato originariamente perfetto da Dio e solo successivamente si è ibridato con esseri animaleschi (gli incroci tra i figli di Dio e i figli degli uomini di cui parla la Genesi nel capitolo 6) e quindi ha perso le caratteristiche originarie: gli scienziati non riescono a distinguere la specie umana perfetta da quelle animali poiché la prima si è talmente mimetizzata con il regno animale da diventare irriconoscibile. Solo successivamente Dio ha guidato una rievoluzione parziale della specie, per cui quella che gli scienziati chiamano evoluzione è soltanto una "RIEVOLUZIONE guidata", ma prima c'era stata la caduta.
Per Socrate. La scienza insegna cose fondate su prove, a differenza della religione, e le prove a favore della teoria evoluzionistica sono talmente tante, che mi rifiuto di ripeterle per la centesima volta.
Il fatto che vi sia una differenza nel numero dei cromosomi non è certo un problema per la teoria evoluzionistica. Il nostro codice genetico è diverso anche da quello dello scimpanzè, anche se solo del 1, 8 per cento, così come nel numero di cromosomi. Immagina che la differenza di codice genetico fra un individuo sapiens e l'altro è di poco inferiore all'uno per cento, eppure facciamo parte della stessa specie.
Inoltre la nostra specie non si è sviluppata a partire da quelle che tu definisci scimmie. Questa è una semplificazione ingenua. La nostra specie deriva dai molti ominini di cui si trovano bellissimi scheletri in molti musei sparsi in tutto il mondo. Homo ergaster o homo erectus o homo denisoviani o homo florensiensis non sono descritti in alcun testo sacro più o meno inventato, ma i loro crani o altre parti dello scheletro sono osservabili da tutti.
In generale la teoria evoluzionistica ci propone un modello in cui tutte le forme viventi siano tuttie collegate: noi, esseri viventi, per riprodurci usiamo, "tutti", dai batteri, passando per le felci, fino alle balene, lo stesso identico sistema, ovvero quello del DNA_RNA.
Insomma, che vi sia un Ente superiore non sto qui a discuterlo, ma se esiste ha comunque adottato questo sistema DNA_RNA, per creare la vita e la vita si è evoluta, modificando la morfologia e la funzionalità organica degli esseri viventi nel corso non "nei secoli dei secoli" (ovvero un arco di tempo piuttosto infimo in termini evoluzionistici) come dice una nota liturgia, ma nei "milioni di anni". La nostra distorsione cognitiva deriva dalla incapacità di abbracciare questa lunga distanza temporale, all'interno della quale la Natura è in grado di fare tutti gli esperimenti che vuole, compreso quello di trasformare i dinosauri in uccelli.
Puoi anche non crederci, e pensare che la Scienza reclamizzi notizie "false", ma in realtà le prove dimostrabili che deriviamo in sostanza dai batteri primordiali sono così tante da poter considerare la teoria neoevoluzionista con la stessa dignità della teoria relativistica. Al momento non c'è una spiegazione più adatta e confermata sul campo dello sviluppo della vita sulla terra. A differenza delle religioni, la scienza però, lascia sempre la porta aperta a successive future soluzioni migliori, proprio perchè lo statuto della scienza non può essere dogmatico.
Sul fatto che il codice genetico non è adatto alle mutazioni, direi che è proprio vero che non si vuol vedere ciò che non ci piace. Quello che accade in modo così eclatante di questi tempi, ovvero le continue mutazioni genetiche di COV_Sars_II sono la prova che il codice genetico cambia in continuazione. Ovvio che più le forme genetiche sono semplici, più è facile che le modifiche siano frequenti. Un organismo altamente complesso come homo sapiens ha in realtà moltissimi meccanismi di difesa proprio contro le modifiche genetiche, che potrebbero mettere a rischio la sua stessa sopravvivenza. Inoltre in questo momento siamo i dominatori del mondo, perchè mai i principi evoluzionistici dovrebbero modificarci? Le modifiche avvengono quando l'ambiente mette a rischio la sopravvivenza della specie o quando c'è una competizione (mascelle forti contro velocità, veleno contro resistenza al veleno, forza fisica contro capacità di creare artefatti di difesa e offesa, e così via).
In ogni caso, come ho già detto altrove, la vera domanda non riguarda l'evoluzione, che è un dato accertato e storicamente dimostrabile, ma come sia stato possibile il passaggio dall'inorganico all'organico. A questa domanda non c'è risposta (al momento).
Ciao Socrate.
Non è vero che la scienza affermi che evoluzione equivalga a miglioramento, ma semmai a cambiamento.
Seppure l'uomo discendesse dalla scimmia non vi è alcun criterio scientificamente obiettivo che possa stabilirne la superiorità in nessun senso.
Inoltre è falso dire che l'uomo discenda dalla scimmia, come sarebbe falso dire che tu discendi da tuo cugino.
Buongiorno a tutti
Secondo me ha ragione Niko quando parla di anti-cristianesimo che però ripete la concezione salvifica cristiana del tempo e della storia. La tensione al progredire, al migliorare è tipicamente cristiana, è nata negli orti botanici e nelle farmacie dei monasteri, nella volontà di dominio sulla natura, sullo sfruttamento della stessa in funzione dell'uomo. La scienza è antropocentrica ancor più del Cristianesimo e se ultimamente sembra interessarsi al destino del globo è sempre in funzione dell'uomo, del suo progresso e ben-essere. non c'è reale amore , ma scelte interessate, purtroppo anche funzionali ad un sistema finanziario capitalistico che vede nel green la nuova cuccagna per fare business. La scienza ha subito un bello scrollone dalla pandemia. Si è visto quanto si è ancora in bala della forza indifferente della natura. Noi che pensavamo ormai di controllarla. Un' illusione collettiva che si è infranta. Si è visto che il re è ancora nudo. Bisogna progredire ancora e mettersi ancor più in sicurezza. La religiosità e la scienza si somigliano nel tentativo di nascondere sotto il tappeto la morte. Non la morte in sé, ma l'evento morte vissuto dal soggetto, la separazione. In un'altra cosa scienza e religione si somigliano: hanno ambedue un che di degenerativo in esse. La religione ce l'ha nella superstizione; mentre la scienza ce l'ha nello scientismo. Ambedue poi non disdegnano di leccare l'interesse economico e il potere. Sembrano peggio delle capre in questo. L'ipocrisia è poi fortemente rappresentata in tutte e due le discipline: santi con lo spadone in mano e scienziati che progettano bombe terrificanti. La religione ha perso l'amore per la ricerca della saggezza, ripiegando nella ritualità, mentre la scienza non si preoccupa del senso e delle conseguenze del suo inarrestabile "progredire", quasi come fosse cieca.
Citazione di: Jacopus il 10 Maggio 2021, 14:27:44 PM
In ogni caso, come ho già detto altrove, la vera domanda non riguarda l'evoluzione, che è un dato accertato e storicamente dimostrabile, ma come sia stato possibile il passaggio dall'inorganico all'organico. A questa domanda non c'è risposta (al momento).
Concordo.
Ma mi chiedo nel sottolineare questa domanda come fondamentale, quanto in me e in te vi è parte del nostro amico Socrate.
Se cioè parlare di inorganico e organico come cose ben distinte, dei quali uno si genera dall'altro, non equivalga a parlare di scimmie e uomini come entità ben distinte che parimenti si generano uno dall'altro.
Secondo logica non vi è alcuna necessità che cose ben distinte debbano generarsi una dall'altra, ma è vero che si può ipotizzare ciò solo in virtù di una netta distinzione.
Tutto ciò di cui disquisiamo nasce però solo da nostre convenzioni che distinguendo ciò che per sua natura non è dimostrabile esser distinto, rende plausibile una domanda su cosa genera cosa, che diversamente equivarrebbe a chiedersi come cosa generi se stessa.
Non devo certo essere io a spiegare a te le cose, ma volevo solo suggerire quale sia "la genesi" delle forti convinzioni di Socrate e delle nostre, che di fatto hanno un antenato comune nella convenzionalità, della quale abbiamo ereditato in diverso grado consapevolezza.
Non direi mai che le mie idee discendano da Socrate , ma gli voglio comunque bene come un cugino.😅
L'atteggiamento progressista è comune a tutti gli umani, indipendentemente dall'ambito scientifico o religioso. In ogni situazione ciascun uomo fa le scelte possibili, migliori, giuste, buone secondo il suo punto di vista. Perciò la morale e la politica sono comunque progressiste, sia che si rivolgano al futuro che al passato.
Per quanto mi riguarda considero un grande progresso la fine delle religioni attuali, sostituite dalla scienza, dalla filosofia, dalla morale e politica umane, senza assurde rivelazioni divine. Alla cultura propagandata dalle religioni preferisco la cultura dei bonobo, decisamente più intelligente considerando le differenze biologiche.
Probabilmente non esiste nulla di ciò che crediamo, ma ciò che crediamo ha i suoi effetti, e siamo soliti credere tutti indistintamente che ogni effetto abbia una causa., ma ci distinguiamo per la logica usata nell'indurla.
Ciò che crediamo ha comunque conseguenze , e tanto più quanto in base a quelle credenze ci costituiamo in "società per azioni conseguenti".
Ciò che crediamo è tutto meno che un innocuo e innocente esercizio filosofico.
Ma tanto più vi crediamo tanto meno ci sentiamo responsabili delle nostre azioni.
Il dubbio è certamente salutare, ma nemico dell'azione.
Il rischio per chi ami esercitare il dubbio è che diventi il suo solo esercizio, e io credo di essere campione in questo sport, augurandomi di essere parte utile di un ingranaggio più complesso dove c'è chi fa' tanto pensando poco e credendo molto, e viceversa.
A volte in seguito a d alcune nostre azioni, ci viene chiesto chi ci crediamo dì essere.
Mai domanda fu' più centrata.
Antonio Zichichi, che è uno scienziato, ha affermato più volte che l'evoluzionismo NON è scienza, perché non ha nessun requisito di verificabilità e di ripetibilità in laboratorio delle sue acquisizioni. Zichichi ha detto chiaramente che Darwin ha elaborato una teoria non supportata dai fatti, ha detto "Secondo me è così...", ma non ha affatto provato in laboratorio le sue supposizioni, quindi Zichichi afferma chiaramente che l'evoluzionismo è proposto come scienza, ma non lo è
Infatti Zichichi afferma che da 100.000 anni circa, cioé da quando è apparso l'uomo Sapiens, non si è riscontrato nessun cambiamento nella struttura dell'uomo, l'uomo è sempre lo stesso insomma, al netto delle variazioni individuali che però non costituiscono un benché minimo mutamento di specie. Gli organi sono sempre gli stessi, non ci sono organi nuovi in fase di passaggio che compaiono, ecc. Nelle profondità della Terra, inoltre, vi sono fossili che appartengono a specie diverse esistite nei milioni di anni, ma non ci sono fossili di transizione, cioè fossili che testimoniano un passaggio graduale da una specie all'altra e che quindi testimonierebbero l'esistenza di soggetti a metà strada. Nessuno ha mai spiegato COME si è verificata la perdita di due cromosomi (da 48 delle scimmie ai 46 cromosomi dell'uomo) che ha portato il passaggio dalla scimmia all'uomo, e se l'evoluzionismo fosse una legge di natura ancora adesso si dovrebbe constatare l'esistenza di uomini con 45 cromosomi che procreano e danno alla luce una prole con caratteristiche in via di evoluzione, ma non accade questo, basta che manchi un cromosoma al corredo genetico della specie umana perché il feto venga ABORTITO, quindi la natura non vuole che si muti.
Di conseguenza io NON CREDO nell'evoluzionismo e ritengo che sia molto più una fede che vera scienza riproducibile e verificabile.
Citazione di: Socrate78 il 10 Maggio 2021, 15:33:31 PM
Di conseguenza io NON CREDO nell'evoluzionismo e ritengo che sia molto più una fede che vera scienza riproducibile e verificabile.
Concordo sul fatto che alla scienza, come alla religione , si possa credere liberamente per soggettive ragioni che non necessariamente siamo chiamati ad esporre.
Ma tu perché ti ostini a distorcere le ragioni della scienza per supportare il tuo credo.
Perché ti ostini a dire che secondo la scienza l'uomo discenda dalla scimmia, quando ogni evoluzionista a partire da Darwin lo nega?
Se ogni volta sei costretto a citare Zichichi e nessun altro....allora non hai molte frecce nel tua arco.
Io ho assistito molti hanno fa' a una sua conferenza scientifica dalla quale sono uscito molto deluso.
Mia nonna era molto più brava a raccontare le favole.
Non sto dicendo che Zichichi non sia stato uno scienziato, ma che nell'ambito scientifico conta molto la reputazione , che si misura in quante volte vieni citato dai colleghi nelle pubblicazioni scientifiche, e Zichichi in questo senso è a zero.
Non basta dire quello è uno scienziato.
Se astraiamo la reputazione dallo scienziato, come la mancanza di filtri consentita da internet di fatto attua, poi ci ritroviamo con mille immunologhi intervistati e mille teorie diverse, come se ognuno fosse investito parimenti dalla scienza a dare i sacramenti.
Uno scienziato non è un sacerdote investito dalla scienza.
Non è autorizzato da solo a dare i sacramenti.
E men che meno Zichichi.
A me non importa se una teoria abbia nome scienza o religione.
Mi importa quanto bene spieghi i fatti noti, e che si mostri flessibile nell'inquadrare i sempre nuovi fatti che si presentano.
A te sembra che i fatti interessino solo mella misura in cui riescono a far quadrare il tuo inflessibile quanto libero credo.
Citazione di: iano il 10 Maggio 2021, 13:36:53 PM
Citazione di: viator il 10 Maggio 2021, 12:56:25 PM
Salve niko. Il tempo è l'essere. Ovvero la "dimensione" al cui interno di realizzano gli eventi. Niente eventi, niente tempo. Nè fuori di noi nè dentro di noi.
Ormai alla nausea, ripeto la mia definizione dell'l'essere : "LA CONDIZIONE PER LA QUALE LE CAUSE GENERANO DEGLI EFFETTI". Ciòè l'essere è ovviamente il generatore degli eventi.
Gli eventi sempre furono, sempre sono e sempre saranno. Saluti.
Questo tuo post nella sua stringatezza sembra possedere buoni spunti di riflessione, ma pure in questo poco spazio sei riuscito a farci stare dentro una evidente contraddizione.
Prima dici che il tempo è il "contenitore" degli eventi, ma poi dici che senza eventi non c'è tempo.
Magari allungando il brodo e togliendo il moscerino che vi nuota dentro potresti aprire un nuovo argomento molto interessante secondo me.
Salve iano. Guarda che io ho parlato di DIMENSIONE, non di CONTENITORE. Hai presente la classica distinzione tra materia, energia, spazio e tempo ?.
Ti ringrazio dell'interesse che dimostri per le mie argomentazioni ma, mi dispiace, attualmente il mio tempo (!) libero sta diminuendo e certi concetti non potrei svolgerli come meritano. Buone cose a te e tutti.
Per Socrate. Il fatto che non vi siano state modifiche genetiche negli ultimi 100.000 anni è facilmente spiegabile a partire dal successo evolutivo di homo sapiens. In Natura vale la stessa regola che vige nello sport: "squadra che vince non si cambia". Inoltre più le strutture sono complesse più le modifiche genetiche sono rese anch'esse complesse, perché il sistema omeostatico dell'organismo dovrà attentamente controllare la riproduzione cellulare. Il nostro successo filogenetico inoltre ci ha permesso di spazzare via le specie più simili a noi. Fino a 40.000 anni fa coesistevano 4 specie di ominini con altro sviluppo cognitivo: homo sapiens, homo neanderthanlensis, homo denisoviani e homo florensiensis. Di due specie abbiamo ancora dei residui genetici (tranne i neri africani, che, alla faccia dei razzisti, sono dei purissimi homo sapiens). Se non avessimo avuto questo successo spettacolare, avremo probabilmente continuato ad ibridarci con denisoviani e neanderthaliani e potrebbero esserci oggi ulteriori specie di ominini, così come ci sono svariate specie di canidi (iene, lupi, cani, coyotes...).
Su Zichichi non mi pronuncio, ma nella scienza effettivamente vige il principio del riconoscimento da parte della comunità scientifica e se dovessi fare l'elenco degli scienziati neoevoluzionisitici, vi annoierei. Tra le altre cose, Zichichi è un fisico che vuole occuparsi di teoria evoluzionistica. Mi sembra una posizione ben poco scientifica.
In realtà l'evoluzionismo, ripeto, non è affatto così elementare, logico e lampante come molti scienziati (la maggior parte) affermano. La documentazione fossile anzi va semmai contro l'evoluzionismo. Infatti nei fossili sono stati rinvenuti insetti come libellule e formiche risalenti a circa 100 milioni di anni fa, e sono uguali a quelle di oggi, gli squali di 400 milioni di anni fa hanno la stessa struttura di quelli di oggi e i pipistrelli di 50 milioni di anni fa sono uguali senza apprezzabili differenze a quelli di oggi.
Non ci sono testimonianze di esseri intermedi tra una specie e l'altra, vale a dire che non esistono nei fossili testimonianze di esseri con branchie che stanno mutando in polmoni, di rettili che sviluppano ali, di pinne che diventano pian piano arti, non ci sono insomma esseri a metà tra una specie e l'altra. Inoltre, cosa più importante, i fossili testimoniano che nel periodo Cambriano (500 milioni circa di anni fa) vi è stata un'esplosione di forme di vita testimoniate dalla documentazione fossile, ma queste forme di vita complesse (500 specie diverse) sono apparse all'improvviso e non sono stati trovati gli antenati precedenti che avrebbero potuto testimoniare un passaggio, una trasformazione verso queste forme di vita. Quindi l'idea evoluzionistica secondo cui "Natura non facit saltus" (la natura evolve gradatamente, senza salti), è smentita dalla documentazione fossile che attesta l'apparire improvviso della vita complessa nel Cambriano ed è smentita dall'assenza di fossili intermedi di transizione. La natura nel Cambriano il salto lo ha fatto, eccome. Non mi sembrano obiezioni da poco. L'evoluzionismo quindi è fatto solo di ipotesi e di supposizioni a cui in un'ultima analisi si può dare un'adesione che è di fede, non di scienza, e io, ripeto, mi tengo ben stretto il mio forte scetticismo sull'idea evoluzionistica della vita e sul concetto che mutazioni genetiche casuali, in un lento arco di tempo, abbiano portato alla formazione di forme di vita in cambiamento e transizione.
Inoltre per quanto riguarda il fatto che Zichichi non ha una buona reputazione in ambito scientifico, può esser vero, ma purtroppo la reputazione di uno scienziato è condizionata dal fatto che egli aderisca o meno alle teorie dominanti, e siccome Zichichi non aderisce all'idea evoluzionista e a teorie che in definitiva sono atee del mondo (molti scienziati infatti sono atei/agnostici), ecco che non viene considerato molto dalla comunità scientifica, poiché è fuori dal coro.
@ Socrate.
I grandi scienziati sono sempre fuori dal coro, perché eretici rispetto alle opinioni correnti .
Solo il giudizio del tempo vale per stabilirne la vera grandezza.
Ma dimmi perché io dovrei sobbarcarmi il compito di smentire le tue affermazioni, quando tu non ti impegni nel verificare che l'idea di una discendenza dell'uomo dalla scimmia è del tutto estranea all'evoluzionismo.
Quale fonte hai usato?
Se tutte le tue affermazioni derivano dalla stessa fonte siamo a cavallo, si, ma di ronzinante, che a malapena sostiene il cavaliero dalla triste figura.
Ma io di certo non sono Sancho Panza che per convenienza sopporta le tue stramberie.
Sei stato più volte sollecitato di farlo , ma ti rifiuti di appurare che che l'evoluzionismo non affermi che l'uomo discenda dalla scimmia, e ogni tua altra affermazione ne uscirà discreditata a priori, e non certo perché fuori dal coro, visto che si tratta di un motivo di successo da qualche millennio in qua', e che Zichichi si è limitato a ricantare, ma sbagliando coro.
Tu non sei chiamato a cambiare coro, ma a rispondere su un fatto semplice.
Dicci l'autorevole fonte che afferma l'uomo derivare dalla scimmia.
Nessuno di nessun coro canta questa canzone, meno che tu.
Socrate. Ammettiamo che l'evoluzionismo sia una teoria strampalata. Vorrei a questo punto la spiegazione dell'esistenza di così tante specie che si sono estinte e di specie che le hanno sostituite. Nel pianeta terra vi sono state finora sei estinzioni di massa, l'ultima delle quali provocata da un meteorite che ha colpito il Messico 65 milioni di anni fa. Dopo queste estinzioni di massa la terra si è ripopolata con nuove forme di vita, come quelle del Cambriano di 600 milioni di anni fa. A partire da quali leggi vengono create le nuove forme di vita, una volta che le vecchie si estinguono? Chi ha deciso la creazione dell'uomo di Neanderthal e poco dopo dell'homo Sapiens?
E perché l'uomo di Neanderthal si è estinto? Quale disegno vi è in questo continuo rimescolamento, creazione, vita e morte di innumerevoli specie diverse, sia animali che vegetali? Perché è stato concesso ad homo sapiens il privilegio di far estinguere centinaia di specie viventi, privilegio precedentemente detenuto solo dalle catastrofi naturali?
Il modello evoluzionistico, con il supporto della teoria genetica attuale risponde in modo semplice e coerente a queste domande.
Ovvero possono esistere specie che durano milioni di anni, come i dipnoi, pesci con branchie e polmoni e specie non adattive che si estinguono dopo poche centinaia di migliaia di anni. Le variazioni genetiche sono un flusso continuo che agiscono anche oggi in homo sapiens. Gli abitanti del Nepal, ad esempio, hanno sviluppato nel corso di poche migliaia di anni una migliorata capacità a vivere in ambienti con meno ossigeno. Se quella popolazione continuasse a vivere isolata potrebbe generare una nuova specie di ominini nel giro di qualche centinaia di migliaia di anni. Ma se l'ambiente diventasse ostile in breve tempo, si accorcerebbero anche i tempi delle mutazioni oppure vi sarebbe l'estinzione della specie. Gli abitanti umani delle zone paludose hanno sviluppato un carattere sanguigno chiamato "microcitemia" che è caratterizzato da globuli rossi piccoli. Questa mutazione permette di essere quasi immuni dalla malaria, che infesta le zone paludose, anche se può scatenare l'anemia mediterranea, se entrambi i genitori sono microcitemici.
Ripeto che la nostra difficoltà a percepire bene il mutamento biologico dipende dalla gran mole di tempo che serve per questi mutamenti. Diecimila anni, in questo campo, hanno la durata di un istante.
Citazione di: viator il 10 Maggio 2021, 12:56:25 PM
Salve niko. Il tempo è l'essere. Ovvero la "dimensione" al cui interno di realizzano gli eventi. Niente eventi, niente tempo. Nè fuori di noi nè dentro di noi.
Ormai alla nausea, ripeto la mia definizione dell'l'essere : "LA CONDIZIONE PER LA QUALE LE CAUSE GENERANO DEGLI EFFETTI". Ciòè l'essere è ovviamente il generatore degli eventi.
Gli eventi sempre furono, sempre sono e sempre saranno. Saluti.
Quello che dici Viator nella tua definizione e che io approvo è che si tratta di una condizione. Questa, come io l'intendo, prevederebbe in apparenza rinunciare all'immutabilità dell'essere. D'altra parte la definizione "L'essere è tempo" reca a mio avviso una contraddizione giacché il tempo implica il movimento. Quella che invece tu chiami condizione potrebbe rappresentarsi in una legge immutabile che determini l'esistenza del tempo ... Ciao intanto
Un concetto estraneo alle possibilità di immaginazione di Socrate78 secondo me è quello di "permanenza all'interno della evoluzione".
Il trovare dei fossili di individui praticamente identici agli individui di specie attuali non dimostra affatto l'assenza di fenomeni evolutivi della specie.
Semplicemente, la biologia, mentre genera l'evoluzione di una piccola parte degli individui di una specie esistente (i quali, attraverso la propria discendenza e per "cumulo di mutazioni", genereranno una propria ulteriore specie poco o tanto diversa)..........non agisce sul "grosso" degli individui della specie più vecchia od "originaria" e ne conserva le caratteristiche attraverso il tempo.
Ciò perchè la vita è una piramide biologica disposta a strati, i più bassi ed antichi dei quali devono venir a tutti i costi conservati perchè rappresentano il basamento, il terreno sempre potenzialmente fecondo dal quale far nascere o rinascere il nuovo, l'evoluto, il più complesso.
Tutte le costruzioni originarie in natura vengono conservate, indipendentemente dal successo evolutivo di una parte dei loro esemplari. Per la ovvia ragione (ma per Socrate78 incomprensibile poichè egli crede nell'opera creatrice divina, così più semplice da immaginare) che - qualora gli strati superiori e più recenti della evoluzione venissero spazzati via - si potrà tranquillamente ricominciare dagli strati vitali più bassi. Salutoni.
Nelle enciclopedie in rete si trovano ottimi riassunti degli studi scientifici sull'evoluzione graduale dell'uomo dai primati:
https://it.wikipedia.org/wiki/Evoluzione_umanahttps://www.treccani.it/enciclopedia/evoluzione-genetica-dell-uomo_%28Enciclopedia-della-Scienza-e-della-Tecnica%29/La paleontologia non ha affatto falsificato l'evoluzionismo, semmai l'ha confermato, corroborato.
Citazione di: viator il 10 Maggio 2021, 18:58:17 PM
Un concetto estraneo alle possibilità di immaginazione di Socrate78 secondo me è quello di "permanenza all'interno della evoluzione".
Il trovare dei fossili di individui praticamente identici agli individui di specie attuali non dimostra affatto l'assenza di fenomeni evolutivi della specie.
Semplicemente, la biologia, mentre genera l'evoluzione di una piccola parte degli individui di una specie esistente (i quali, attraverso la propria discendenza e per "cumulo di mutazioni", genereranno una propria ulteriore specie poco o tanto diversa)..........non agisce sul "grosso" degli individui della specie più vecchia od "originaria" e ne conserva le caratteristiche attraverso il tempo.
Ciò perchè la vita è una piramide biologica disposta a strati, i più bassi ed antichi dei quali devono venir a tutti i costi conservati perchè rappresentano il basamento, il terreno sempre potenzialmente fecondo dal quale far nascere o rinascere il nuovo, l'evoluto, il più complesso.
Tutte le costruzioni originarie in natura vengono conservate, indipendentemente dal successo evolutivo di una parte dei loro esemplari. Per la ovvia ragione (ma per Socrate78 incomprensibile poichè egli crede nell'opera creatrice divina, così più semplice da immaginare) che - qualora gli strati superiori e più recenti della evoluzione venissero spazzati via - si potrà tranquillamente ricominciare dagli strati vitali più bassi. Salutoni.
Immagino si possa criticare quel che scrivi solo da un punto di vista filosofico perché va' da se' che da un punto di vista scientifico non ha fondamento quel che scrivi.
Ma non è chiaro quale difficoltà dovrebbe avere Socrate ad aderire a questa filosofia della " natura non getta mai via gli stampi" se decidesse di farlo.
Vale la pena aggiungere che dal punto di vista scientifico si è constatato che specie diverse, che partono quindi da stampi diversi, convergono in specie del tutto simili, seppur distinte, e questo dimostrerebbe che all'evoluzione non occorre ricorrere agli stampi, ma è sufficiente che due specie diverse insistano sullo stesso ambiente, trovandosi ad affrontare gli stessi problemi e trovando le stesse soluzioni evolutive, quando non si estinguono prima.
Non è strano che stesse cause generino effetti simili, senza bisogno di uno stampo.
Le mutazioni sono casuali ma sterili ai fini del cambiamento evolutivo se non si hanno significativi cambiamenti nella nicchia ecologica di interesse.
Questo spiega perché alcune specie si siano conservate nel corso di milioni di anni mentre altre siano cambiate nel corso di un secolo.
Ma anche piccoli cambiamenti nell'ambiente possono portare all'estinzione se la popolazione non è al di sopra di una soglia critica che garantisca un numero sufficiente di mutazioni casuali nella popolazione.
Quando reintroduciamo animali in ambienti dai quali sono spariti non sopravviverebbero, stante l'esiguo numero, senza la nostra assistenza. Una volta che hanno raggiunto il numero critico possiamo lasciarli al loro destino, che però è solo una nella favola. Se vogliamo che gli animali sopravvivano nel "nostro ambiente" il meglio che riusciamo a fare è conservarne lo "stampo" in attesa di sperimentare coabitazioni più simbiotiche.
Considerate il duro lavoro che spetterà agli archeologi del futuro, presumibilmente atterrati da un altro pianeta a studiare cosa è accaduto su questo. Delle specie sul pianeta a rischio di estinzione in questo momento, solo del 10% abbiamo disponibili dei fossili, il restante 90% si estinguerà senza lasciare traccia, perchè fossilizzarsi non è un diritto animale (come entrare in coppia sull'arca) ma un occorrenza piuttosto rara, i fossili poi rischiano di andare persi\distrutti più passa il tempo. Immagino perciò che anche questi archeologi\genetisti venusiani, dovranno alle conferenze stampa fronteggiare i teorici dell'"anello mancante" venusiani, che immancabilmente e non diversamente di quelli terrestri, punteranno il dito contro la mancanza di fossili nella sequenza genetica, pensando di avere in mano chissà quale argomento infallibile, e offriranno come alternativa: il mito venusiano del Dio Zuturacchio che creò tutto roteando in senso orario il batacchio.
Concordo.
Anche i miti hanno il loro senso.
Salve a tutti. Mi sembra che ad ogni post che viene messo in giro, all'interno di esso si verifichi un decadimento pressoché costante su discorsi che nulla hanno a che fare col post. Che relazione vi è tra il Post di Iano con le diatribe circa la teoria dell'evoluzione? Tutto ciò influisce sulla qualità e sulla partecipazione al forum. Io penso di essere un eretico ad esempio, ma se voglio mettere sul banco degli accusati la scienza penso di dover avere l'onestà intellettuale di farlo dall'interno delle sue regole che son poi le regole della ragione, senza cioè spacciare pochi indizi come prova di qualcosa. Detto ciò volevo chiedere a Iano cosa intenda dire quando sostiene che la chiesa auspica un ritorno al passato invocando ad un presente eterno. Poi dice che meglio sarebbe stato non esserci mai mossi. Siccome a me vien da dire che la civiltà umana sia un grande sogno che spero prima o dopo si ridimensioni a fronte di qualcosa, nondimeno non riterrei che si debba tornare indietro, sempre che con questo termine si voglia esprimere un ritorno all'età dell'innocenza. A mio giudizio dovremmo infatti andare avanti con altro metro di misura, sempre però corroborato dalla ragione. Se la ragione giusta fosse quella che sostiene che tutti (innanzitutto e per lo più) auspicano pace e giustizia, mentre ottengono in realtà guerra e ingiustizia, per me significa che c'è qualcosa che non quadra. Oppure si abbia il coraggio di dire che l'unica ragione buona è quella che il più forte debba sottomettere il più debole e non se ne parli più
Citazione di: iano il 10 Maggio 2021, 01:22:22 AM
La scienza si vanta con alterna fortuna di poter leggere il futuro a partire dalla considerazione del presente, fidando che un futuro vi sia, mentre la religione auspica al minimo un eterno presente, fidando ancor meglio in un ritorno al passato, considerato quale sia il presente.
Ma in verità la scienza ammette di non sapere dove andiamo , mentre la religione lo crede, perché in fondo si tratta di percorrere al contrario una strada gia' fatta.
Tanta fatica per nulla. Che peccato. Meglio sarebbe stato se non ci si fosse mai mossi.
Il primo passo per tornare indietro è quindi fermarsi ,trasformando già così il presente in un futuro certo, in attesa di un radioso regresso futuro.
Provo a raccolgo l'invito a rimanere sul tema del post.
La religione (non solo il cristianesimo) contempla l'idea della trascendenza, un "altrove" che fedeli, appartenendo alla realtà immanente, si raffigurano in termini di spazio-tempo. A mio avviso questa riduzione del trascendente all'immanente è un'errore (teo)logico: la "pienezza dei tempi" della religione cristiana non è il nostro futuro, e il "principio" in cui "era il Logos" non è il nostro passato.
Ma in un ottica laica la trascendenza, il divino, sono concetti assurdi, mentre la religione, pur come costruzione umana, esiste nei fatti, per cui avrà pur assolto a qualche necessità.
E tali presunte necessità sussistono anche dopo la rivoluzione scientifica?
La scienza si occupa certamente di futuro.
Il motto dei positivisti recitava: "Sapere per prevedere, prevedere per potere" (poter agire sulla realtà)
Scopo della conoscenza scientifica è appunto quello di fare previsioni future, cosa utilissima per poter agire sulla realtà con cognizione di causa.
In un ottica laica la religione è assimilabile alla dimensione etica, che ha il compito di valutare la liceità, il valore morale, la desiderabilità delle conseguenze delle nostre azioni.
La scienza potrà dirci , a partire dalle nostre azioni presenti, quale saranno le conseguenze future. Stabilire se tale futuro sia migliore o peggiore, desiderabile o meno, utile o meno al nostro benessere interiore e umano, attiene all'etica, la cui dimensione collettiva (laddove esiste) è la morale, e la religione.
Un saluto
Citazione di: daniele22 il 11 Maggio 2021, 11:08:43 AM
Salve a tutti. Mi sembra che ad ogni post che viene messo in giro, all'interno di esso si verifichi un decadimento pressoché costante su discorsi che nulla hanno a che fare col post. Che relazione vi è tra il Post di Iano con le diatribe circa la teoria dell'evoluzione? Tutto ciò influisce sulla qualità e sulla partecipazione al forum. Io penso di essere un eretico ad esempio, ma se voglio mettere sul banco degli accusati la scienza penso di dover avere l'onestà intellettuale di farlo dall'interno delle sue regole che son poi le regole della ragione, senza cioè spacciare pochi indizi come prova di qualcosa. Detto ciò volevo chiedere a Iano cosa intenda dire quando sostiene che la chiesa auspica un ritorno al passato invocando ad un presente eterno. Poi dice che meglio sarebbe stato non esserci mai mossi. Siccome a me vien da dire che la civiltà umana sia un grande sogno che spero prima o dopo si ridimensioni a fronte di qualcosa, nondimeno non riterrei che si debba tornare indietro, sempre che con questo termine si voglia esprimere un ritorno all'età dell'innocenza. A mio giudizio dovremmo infatti andare avanti con altro metro di misura, sempre però corroborato dalla ragione. Se la ragione giusta fosse quella che sostiene che tutti (innanzitutto e per lo più) auspicano pace e giustizia, mentre ottengono in realtà guerra e ingiustizia, per me significa che c'è qualcosa che non quadra. Oppure si abbia il coraggio di dire che l'unica ragione buona è quella che il più forte debba sottomettere il più debole e non se ne parli più
Meglio sarebbe stato non essersi mai mossi...ovviamente lo dico con ironia Daniele.
Diciamo che per cambiare bisogna prima essere, e queste due cose entrano in conflitto.
Se ho la tensione di cambiare in bene, di chi sto facendo veramente il bene se io non sarò più ciò che sono?
Se c'è' un paradiso vorremmo andarci per quel che siamo ora mantello e sandali compresi.
Insomma, il nostro amor proprio è inevitabilmente limitato nel presente , e anche quando ci proiettiamo nel futuro ci immaginiamo come noi stessi ora.
Il discorso sull'evoluzionismo in qualche modo non è fuori tema.
Il nostro amor proprio , rivolto a noi stessi, adesso, ci rende irricevibili le prove che noi un tempo si fosse diversi da quel che siamo, fidando che continueremo ad essere quel che siamo, perché ovviamente non possono esserci prove che in futuro smetteremo di essere quel che siamo.
Il ritorno al paradiso perduto è l'aspirazione ad essere in modo definitivo ed immutabile , seppur con qualche variabile incidente di percorso cui comunque confidiamo di rimediare.
L'autocoscienza è conservativa.
In quanto individui, per affermarci come tali, non solo entriamo in competizione con gli altri individui, ma anche con i nostri fantasmi del passato e del futuro e come in tutte le competizioni in cui l'importante è vincere, e dove il premio è noi stessi, siamo disposti a giocare sporco.
Se c'è un milione di prove fra queste sceglieremo l'unica che dimostri che noi siamo stati, siamo e saremo quel che siamo.
Possiamo anche proiettare questa nostra aspirazione in un futuro paradiso, ma per noi il vero paradiso è sempre adesso, perché così come siamo adesso ci immaginiamo in quel paradiso..
In questo paradiso ci immaginiamo per quel che siamo. Vorremmo andarci noi in paradiso e non chi sa' chi altro, quell'altro che saremo. Cosa abbiamo noi a che spartire con lui?
Credo che l'autocoscienza sia qualcosa di costruito, anche se noi non abbiamo coscienza del come si sia costituita, ma non per questo dobbiamo ammantarla di mistico mistero.
Abbiamo esempio più in chiaro di come si costituiscono le specie.
Come facciamo a dire infatti che i cavalli sono quel che sono se siamo stati noi a costruirne le razze?
Le leggi dell'evoluzione le abbiamo applicate da molto prima che Darwin le sistematizzasse con criterio.
Di fatto possiamo modificare a piacere le specie, disfacendo le e ricreandole, non perché siamo Dio, ma perché esse nascono da una nostra libera convenzione, che possiamo quindi modificare volendo, e a queste modifiche corrisponderanno nuove specie.
Considerando che l'autocoscienza non può che derivare da meccanismi simili, seppur non noti a noi nei dettagli, e considerando i suoi pro e i suoi contro, non credi che potrebbe essere arrivato il momento di provare a ripensarla?
Come? Credo che lo scopriremo, anche perché è qualcosa in divenire, e ad essa si può risalire dai suoi effetti , specie quando questi effetti non possono ignorarsi a causa della loro evidenza paradossale.
La nostra religione siamo noi, ma la scienza ci invita a non affezionarci troppo a noi stessi, perché domani saremo altro, come altro siamo stati.
Citazione di: inquieto68 il 11 Maggio 2021, 13:19:53 PM
Citazione di: iano il 10 Maggio 2021, 01:22:22 AM
La scienza si vanta con alterna fortuna di poter leggere il futuro a partire dalla considerazione del presente, fidando che un futuro vi sia, mentre la religione auspica al minimo un eterno presente, fidando ancor meglio in un ritorno al passato, considerato quale sia il presente.
Ma in verità la scienza ammette di non sapere dove andiamo , mentre la religione lo crede, perché in fondo si tratta di percorrere al contrario una strada gia' fatta.
Tanta fatica per nulla. Che peccato. Meglio sarebbe stato se non ci si fosse mai mossi.
Il primo passo per tornare indietro è quindi fermarsi ,trasformando già così il presente in un futuro certo, in attesa di un radioso regresso futuro.
Provo a raccolgo l'invito a rimanere sul tema del post.
La religione (non solo il cristianesimo) contempla l'idea della trascendenza, un "altrove" che fedeli, appartenendo alla realtà immanente, si raffigurano in termini di spazio-tempo. A mio avviso questa riduzione del trascendente all'immanente è un'errore (teo)logico: la "pienezza dei tempi" della religione cristiana non è il nostro futuro, e il "principio" in cui "era il Logos" non è il nostro passato.
Ma in un ottica laica la trascendenza, il divino, sono concetti assurdi, mentre la religione, pur come costruzione umana, esiste nei fatti, per cui avrà pur assolto a qualche necessità.
E tali presunte necessità sussistono anche dopo la rivoluzione scientifica?
La scienza si occupa certamente di futuro.
Il motto dei positivisti recitava: "Sapere per prevedere, prevedere per potere" (poter agire sulla realtà)
Scopo della conoscenza scientifica è appunto quello di fare previsioni future, cosa utilissima per poter agire sulla realtà con cognizione di causa.
In un ottica laica la religione è assimilabile alla dimensione etica, che ha il compito di valutare la liceità, il valore morale, la desiderabilità delle conseguenze delle nostre azioni.
La scienza potrà dirci , a partire dalle nostre azioni presenti, quale saranno le conseguenze future. Stabilire se tale futuro sia migliore o peggiore, desiderabile o meno, utile o meno al nostro benessere interiore e umano, attiene all'etica, la cui dimensione collettiva (laddove esiste) è la morale, e la religione.
Un saluto
Io penso che l'uomo si sia inventato la religione principalmente per rispondere alla domanda esistenziale fondamentale sulla coscienza e alla domanda esistenziale sul destino, e dunque, ancora, sulla coscienza, dei defunti.Duplice domanda dunque, quella che secondo me soggiace alla ricerca della verità a cui inizialmente danno risposta i miti e la religione: " 1 chi sono io come essere cosciente, 2 che fine fanno i defunti, quindi, per estensione, che fine farò io".
Abbiamo, penso in generale come esseri umani, non solo i moderni e non solo gli occidentali, abbastanza facilità a concepire il fatto che lo spazio e l'estensione non siano costitutivi della coscienza e non vi abbiano a che fare (Cartesio insegna); andiamo invece in crisi se proviamo a pensare la rottura del nesso tra coscienza e tempo perché il tempo rientra nella coscienza sia come presupposto che come "costitutivo".Quindi credo facilmente che l'aldilà delle religioni non sia, appena si impone un certo livello di astrazione e complessità, un altrove spaziale, ma, non altrettanto facilmente, credo che quello della religione non sia o possa non essere un altrove temporale, perché, in un luogo intemporale o eterno, l'uomo non troverebbe risposte su quello che originariamente lo ha interessato e per cui originariamente si è inventato il mito e la religione, cioè la coscienza come processo e la coscienza dei defunti come processo eventualmente eternamente conservantesi, ma pur sempre processo. L'intemporale può essere bellissimo, essere il mondo platonico delle idee, della bellezza eccetera, ma non si può immaginare di vivere nell'intemporale, quindi l'intemporale non può essere originariamente una risposta sulla vita, ne tanto meno sulla sopravvivenza.Quindi facile a dirsi che quello della religione non è un altrove spaziale o materiale, molto più difficile a dirsi che non sia un altrove temporale, molto più logicamente è un altrove temporale che non è anche nello spazio, quindi la risposta naturale al sentirsi vivi nel senso del sentirsi coscienti, assolutamente differenti dall'ambiente, avere un qualcosa di speciale assolutamente irriducibile allo spazio così come il suo apparire come durata non contiene attimi uguali, e pensare, o quanto meno sperare, di poter sopravvivere in tale condizione anche dopo la disgregazione del corpo.Insomma io non credo che il tempo sia l'essere, l'essere lo identifico più che altro con lo spazio; il tempo, che riempie lo spazio ed è il fondo non visto dell'essere, è il nulla, e la domanda sul nulla non può essere elusa perché ivi, nel nulla rispetto ad un essere di spazio, sembra svolgersi la coscienza fin anche da vivi, e tanto più ivi, nel nulla assoluto, sembra destinata ad andare dopo la morte se non si ammette una qualche forma inesperibile di sopravvivenza della coscienza come processo, anche dopo che non è più manifesto il corpo come elemento materiale dello spazio.
Religione e scienza hanno un'origine comune nella domanda fondamentale di tipo creazionista e causale. Domanda che richiede un certo livello di capacità induttive e deduttive. La tesi teologica ha guidato le danze per millenni e su questo vale la pena di interrogarsi. La risposta che mi dò è che essa rispondeva in pieno al bisogno, altrettanto fondamentale, di senso, protezione, giustizia e immortalità. Questi 4 cavalieri della religione si ritrovano in tutti gli argomenti teologici.
La scienza ha faticato a farsi largo in questo imponente flusso desiderante, dovendo per lo più andarvi controcorrente. Certosinamente ha accumulato le sue prove fino a decostruire, mattone su mattone, l'imponente, millenario (in antropologia l'anzianità fa grado) edificio religioso.
Ma, affetta dallo stesso peccato originale antropologico, ci ha messo meno che niente a convertire i suoi sudati teoremi in nuovi oggetti di fede, supportata in ciò anche dalle rendite di posizione acquisite nella piramide sociale. Il virus desiderante, una volta conclamato, ha rimesso in circolo la religione e queste discussioni.
A salvare l'anima della scienza rimane il suo accurato metodo di indagine, ma anche qui non è il caso di eccedere in trionfalismi salvifici. Statistica, paradigmi e algoritmi permettono alti livelli di mistificazione della realtà e la coperta torna ad accorciarsi.
Citazione di: inquieto68 il 11 Maggio 2021, 13:19:53 PM
Citazione di: iano il 10 Maggio 2021, 01:22:22 AM
La scienza si vanta con alterna fortuna di poter leggere il futuro a partire dalla considerazione del presente, fidando che un futuro vi sia, mentre la religione auspica al minimo un eterno presente, fidando ancor meglio in un ritorno al passato, considerato quale sia il presente.
Ma in verità la scienza ammette di non sapere dove andiamo , mentre la religione lo crede, perché in fondo si tratta di percorrere al contrario una strada gia' fatta.
Tanta fatica per nulla. Che peccato. Meglio sarebbe stato se non ci si fosse mai mossi.
Il primo passo per tornare indietro è quindi fermarsi ,trasformando già così il presente in un futuro certo, in attesa di un radioso regresso futuro.
Provo a raccolgo l'invito a rimanere sul tema del post.
Ma in un ottica laica la trascendenza, il divino, sono concetti assurdi, mentre la religione, pur come costruzione umana, esiste nei fatti, per cui avrà pur assolto a qualche necessità.
E tali presunte necessità sussistono anche dopo la rivoluzione scientifica?
Grazie inquieto68 e buona serata. In un ottica laica la trascendenza al divino non viene neppure presa in considerazione come dici, però un salto cognitivo in terra potrebbe benissimo accadere a cambiar le carte in tavola. Per come io vedo il linguaggio ad esempio, sarebbe a suo tempo accaduto che all'interno della realtà vissuta (sarebbe quella che tu chiami immanente? Scusami ... in quarta liceo venni rimandato in filosofia) qualcuno si fosse reso conto, ascoltando i motteggi vari del gruppo già dedito all'artificio, che esistesse un'azione che poi avrebbero chiamato parlare (mano a mano che gli altri si resero conto con la loro percezione che tale azione effettivamente esisteva). Ecco, per me questo potrebbe essere stato un salto (trascendenza?) di notevoli dimensioni. Ai giorni nostri tale salto in tono minore (riferito cioè solo alla nostra cultura occidentale) si sarebbe compiuto nel passaggio dall'era tolemaica a quella copernicana. Le trascendenze umane sarebbero infine dovute a quanta massa di individui viene coinvolta in una nuova consapevolezza, la quale può rivedere anche radicalmente una conoscenza anteriore sedimentata già da tempo. E' anche per tale motivo che penso che conoscere la nostra identità, che consiste in fondo a mio giudizio scoprire su cosa si fondi il linguaggio, possa costituire un salto cognitivo forse pari a quello che si verificò nel momento in cui scoprimmo di parlare. Va da sé, sempre a mio giudizio, che quando scoprimmo di parlare non avremmo avuto, a quei tempi, un pensiero sensibile alle tematiche filosofiche; e quando scoprimmo i problemi esistenziali eravamo già dimentichi dell'origine e delle tracce delle nostre parole. Giungendo a questa meta forse scopriremo la conclusione del ciclo. Per quel che riguarda le necessità svolte dalla religione di sicuro esistono, ma esiste pure tanta falsità. Ciao
Citazione di: iano il 11 Maggio 2021, 14:11:00 PM
Meglio sarebbe stato non essersi mai mossi...ovviamente lo dico con ironia Daniele.
Pure io lo dico ironia ... Di fatto, fino alle soglie del paradiso vorrei arrivarci riscaldato, ben nutrito e con qualche altro agio, non molti in verità. Il problema è se mi faranno passare, ma il problema è loro e non mio. Saluti Iano
Se si supponesse che sia scienza che religione fossero un falso paradigmatico, vale a dire che lo statuto della condizione umana cerca certezze, per natura umana, non sarebbe né trascendenza e nemmeno l'immanenza la risposta: ci hanno provato da Nietzsche ad Heidegger che non erano ,fra tutte e due, filo religiosi o filo scientisti, ma cercavano , ognuno a suo modo, risposte immanenti sulle domande esistenziali.
Perchè le tre condizioni; filo religiose, filo scientifiche, e la terza via appunto di Nietzsche ed Heidegger falliscono? Questa è la filosofia del futuro che ancora non c'è.
Ognuna delle tre strade da sola ,forse è errata e forse, e ridico forse, è solo prendendo il meglio delle tre strade in una argomentazione solida e forte, che se ne potrebbe uscire.
La religione è forte nella morale e nell'etica, ciò che non lo è affatto la scienza che per sua costruzione è neutra, non si pone giudizi se sia giusto o ingiusto, lascia al diritto la contesa, nel negozio giuridico che oggi come oggi è opportunismo, egoismo, proprietà possesso, cinismo, potere forte, quindi è la contesa delle pratiche nel sociale che costituiscono e modificano il diritto stesso.
La scienza ha la sua forza nell'indagine della natura fisica, attraverso la tecnica, sforna continuamente tecnologia che si applica nelle pratiche, civili e militari. Quindi dà potere fisico, ma in un contesto privo di morali ed etiche( non gli intenti morali che sono diversi da una vera e seria morale)
La terza via "laica" immanente è fingere, ed è questo il problema non risolto, che l'esistere possa essere privato dalla domanda "da dove veniamo", cercando nel "ma siamo nel qui ed ora, ed è inutile porci altre domande impossibili da risolvere", come "ma la morte, il cadavere che vedo è davvero la fine?" A mio parere, ma forse mi sbaglio, la via intentata da Nietzsche e in altro modo da Heidegger non trova risposte, perchè pur non essendo filo scientifici(positivisti) sono più propensi all'aspetto scientifico che religioso.
Quindi in termini, come dire, temporali ,come sono state collocate dal post introduttivo di questa discussione: la religione è forte nel cercare di dare risposte sull' origine e fine, ma è debole nel "quì ed ora".Perchè è nella propria e dalla propria esistenza che sorgono dubbi nella fede, perché comunque questa fede condiziona il vivere e lo scarto fra ciò che dice la fede e ciò che è il mondo vissuto, c'è sempre, quindi è debole nel "qu' ed ora",ciò che stà nel mezzo fra: origine- qui ed ora- fine; ma ritorna forte nel fine, perché si muore solo fisicamente come corpo materico.
La scienza è forte nell'indagine, non nella conoscenza in termini filosofici e religiosi, ciò che era vero ieri è smentito dalle nuove conoscenze dell'oggi che saranno smentite dalle future conoscenze, l'episteme è fondato sulla falsificazione, sul continuare a riequilibrare le dinamiche conoscitive in funzioni di nuove scoperte che modificano teoresi e prassi. E' debole nell'origine e nel fine è forte nel quì ed ora, ed è quindi molto pratica in quanto modificando gli strumenti d'indagine conoscitiva modifica anche le prassi con le sue applicazioni pratiche che entrano nel sociale, a sua volta modificandolo. La scienza corre con la tecnica, è l'uomo che paradossalmente deve aggiornarsi e stare al passo alle modifiche strutturali del sistema conoscitivo, strumentale e quindi pratico.
Le filosofie che sposano una tesi anti religiosa e anti scientifica, non trovano risposte plausibili già nella teoresi e pure nella pratica, non sono quindi più forti delle religioni o della scienza, non avendo né forza morale ed etica dell'una , nè la forza delle pratiche delle seconde.
Quindi se l'origine è il passato, il qui ed ora è il presente, e la fine è il futuro, si avrebbe un paradosso, che solo una società scientifica e al tempo stesso religiosa danno insieme le risposte al passato, presente e futuro. Ma allora perché c'è un muro fra i due fideismi: religioso e scientifico?
Per la concorrenza che si fanno sul parco buoi dei fedeli. Questione che l'umanesimo ha filosoficamente posto da Epicuro in avanti.
La terza via è quella filosofica che supera tanto i feticci della religione, che quelli della scienza (le magnifiche sorti e progressive). Una via perennemente in progress, che i fideisti scambiano per fallimento.
Mentre si tratta di esplorazione e colonizzazione di quell'universo sempre uguale e sempre diverso che è l'umano. Coi suoi Holzwegen e radure assolate, con le sue montagne rigeneranti.
Ipazia ha, tra l'altro, scritto:
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Religione e scienza hanno un'origine comune nella domanda fondamentale di tipo creazionista e causale. Domanda che richiede un certo livello di capacità induttive e deduttive. La tesi teologica ha guidato le danze per millenni e su questo vale la pena di interrogarsi. La risposta che mi dò è che essa rispondeva in pieno al bisogno, altrettanto fondamentale, di senso, protezione, giustizia e immortalità. Questi 4 cavalieri della religione si ritrovano in tutti gli argomenti teologici.
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paul11 ha, tra l'altro, scritto:
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Se si supponesse che sia scienza che religione fossero un falso paradigmatico, vale a dire che lo statuto della condizione umana cerca certezze, per natura umana, non sarebbe né trascendenza e nemmeno l'immanenza la risposta: ci hanno provato da Nietzsche ad Heidegger che non erano ,fra tutte e due, filo religiosi o filo scientisti, ma cercavano , ognuno a suo modo, risposte immanenti sulle domande esistenziali. Perchè le tre condizioni; filo religiose, filo scientifiche, e la terza via appunto di Nietzsche ed Heidegger falliscono? Questa è la filosofia del futuro che ancora non c'è. Ognuna delle tre strade da sola ,forse è errata e forse, e ridico forse, è solo prendendo il meglio delle tre strade in una argomentazione solida e forte, che se ne potrebbe uscire. La religione è forte nella morale e nell'etica, ciò che non lo è affatto la scienza che per sua costruzione è neutra, non si pone giudizi se sia giusto o ingiusto, lascia al diritto la contesa, nel negozio giuridico che oggi come oggi è opportunismo, egoismo, proprietà possesso, cinismo, potere forte, quindi è la contesa delle pratiche nel sociale che costituiscono e modificano il diritto stesso. La scienza ha la sua forza nell'indagine della natura fisica, attraverso la tecnica, sforna continuamente tecnologia che si applica nelle pratiche, civili e militari. Quindi dà potere fisico, ma in un contesto privo di morali ed etiche( non gli intenti morali che sono diversi da una vera e seria morale) La terza via "laica" immanente è fingere, ed è questo il problema non risolto, che l'esistere possa essere privato dalla domanda "da dove veniamo", cercando nel "ma siamo nel qui ed ora, ed è inutile porci altre domande impossibili da risolvere", come "ma la morte, il cadavere che vedo è davvero la fine?" A mio parere, ma forse mi sbaglio, la via intentata da Nietzsche e in altro modo da Heidegger non trova risposte, perchè pur non essendo filo scientifici(positivisti) sono più propensi all'aspetto scientifico che religioso.
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quello che m ha colpito di quanto scritto è che Ipazia parla di:
domanda "creazioniste E causale", a cui scienza e religione secondo lei risponderebbero. Come se le due cose, non tanto creazionismo e causalità, come "ismi" ideologici o sistemi raffinati e complessi di pensiero, ma proprio i due costituenti elementari della sua affermazione, la creazione E la causa, dovessero necessariamente e per forza di cose andare insieme.
E' logico, mi domando io, per l'essere umano tipico, che ogni causa sia un po' anche una creazione, e ogni creazione sia un po' anche una causa? O quanto è meno ana-logico, ovvero nesso tra i due, sia pure non pienamente dimostrabile e giustificabile, è sempre tale per poesia o per metafora?
Paul11, pur dal suo punto di vista ben diverso, su questo punto sembra rincarare la dose quando parla di fallimento, o comunque non completa adeguatezza, della terza via tra scienza e religione, quella secondo lui principalmente ascrivibile a Nietzsche e Heideggher, quando scrive:
"La terza via "laica" immanente è fingere, ed è questo il problema non risolto, che l'esistere possa essere privato dalla domanda "da dove veniamo", cercando nel "ma siamo nel qui ed ora, ed è inutile porci altre domande impossibili da risolvere", come "ma la morte, il cadavere che vedo è davvero la fine?" A mio parere, ma forse mi sbaglio, la via intentata da Nietzsche e in altro modo da Heidegger non trova risposte, perchè pur non essendo filo scientifici(positivisti) sono più propensi all'aspetto scientifico che religioso."
E io, facendo l'avvocato del diavolo (o quantomeno l'avvocato di Nietzsche e Heideggher per come li ha presentati lui) mi domando, e gli domando:
"ma, noi, intendo noi come esseri umani e pensanti, dobbiamo per forza venire (nel senso di pro-venire) da qualche parte?!Nel senso di, da qualche parte del tempo o dello spazio, ma l limite anche "parte" metafisica o intemporale?Con la morte, la vita deve per forza o finire o non finire, terzium non datur?E quindi Nietzsche e Haideggher sono stati un po', diciamo così, con tutto il rispetto, "superficialotti", nel loro sorvolare sul principale di-lemma di tutte le teologie e di tutte le filosofie "serie" e concentrarsi solo sul qui-ed-ora? Hanno glissato sulle due risposte possibili perché non avevano una posizione precisa da prendere?
Insomma spero che si sia già intuito dove voglio andare a parare con tutto il discorso, quando si parla di origine della vita, della coscienza e dell'universo stesso, la creazione (dal nulla e ad opera del dio-nulla) non è la sola forma possibile di causa perché, nella piena dignità di tutto o quasi il pensiero filosofico occidentale pre-cristiano, si può prescindere da una potenza creatrice infinita (potenza che poi finisce, guarda caso, per corrispondere a un dio personale, perché nel suo essere in-finita è anche arbitraira, logica/verbo e volontà divina devono coincidere senza che l'una possa prevalere sull'altra, pena l'implosione di tutto il sistema) e sostituire il concetto di creazione, con il, secondo me molto più soddisfacente concetto di ordinamento dal caos: in principio non vi è il nulla ma la hiule/xora, non nel senso che ci siano davvero un momento A in cui tutto il cosmo è disordinato e un momento B in cui invece è ordinato, ma nel senso che l'eternità pertiene alla materia e la possibilità eterna di ordinamento al caso/forma, generandosi e alternandosi così per sempre "isole" e "momenti" di ordine e di disordine.
(prescindendo un attimo dal caso, a cui Platone non avrebbe mai attribuito importanza creatrice, è interessante leggere e capire il Timeo, sciogliendone la chiave di lettura principale: da una parte viene affermato che "tutto quello che è deve aver avuto non solo una causa, ma anche proprio un'origine nel tempo" dall'atra che "il tempo è l'immagine mobile dell'eternità" è increato e riflesso "simultaneamente" da un principio superiore rispetto a cui sta con lo stesso nesso che c'è tra realtà e immagine, quindi, per chi comprende davvero profondamente, l'apparentemente da prendere alla lettera "origine nel tempo di tutte le cose", si riduce a un principio ordinativo formale agente appunto su una non meglio definibile materia).
Se siamo in questo, nemmeno eterno, ma direi omminitemporale senso, "ordinati dal caos" e non mai "creati dal nulla", bisogna passare ai due grandi filosofi della modernità più legati all'antichità classica, Nietzsche e Haideggher, che i due se ne infischino della presunta domanda fondamentale "da dove veniamo" perché proprio in alcuni sistemi di pensiero, come i loro, la domanda non ha senso: il tempo è estensivamente infinito ma, a differenza del Dio cristiano, non ha potenza infinita, contiene solo gli elementi e gli attimi che può contenere, e tra questi elementi e attimi, ordinati in un certo modo, ci siamo anche noi umani, ed ecco tutto.
Senza pretendere nemmeno lontanamente che questa sia una sintesi, direi che è questo quello che hanno in comune Nietzsche Heidegger e antichi greci: c'é sempre spazio e c'è sempre tempo, queste due grandi, misteriose cose, sono increate e non iniziano, quindi i pensieri dell'inizio, devono riferirsi a cosa accade e a cosa può accadere, per caso, per libertà o per necessità che sia, nel tempo, all'interno del tempo, che non è oggetto di creazione, ma di composizione secondo la sua facoltà di contenere e mostrare eventi diversi fra loro.
L'affermazione per cui "ogni causa è anche una creazione", si risolve nel suo contrario: "nessuna causa è anche una creazione"
Il mondo è da sempre e per sempre, e, presso l'increato "operano", eternamente, cause increate. Naturalmente, Paradossi vi sono in questo modo di porre le cose, come paradossi vi sono nel pensare la possibilità della creazione del nulla; principalmente per provare anche solo un minimo a risolvere i paradossi nell'ipotesi dell'increato, è importante che il circolo causale, oltreché spaziale o temporale, sia chiuso, e l'effetto ultimo possa re-innescare o sostenere la causa prima, insomma retroazione del futuro sul passato.
E, sempre in questo ambito di pensiero e a proposito di questo modo di mettere la questione, chiedersi se dopo morti si sopravviva o non si sopravviva, non è un dilemma, ma può essere un tri o multi-lemma, si muore e si vive secondo l'ordine del tempo e naturalmente, finché non è dimostrata l'unità compositiva dell'uomo, resta lecito affermare che alcune parti compositive di esso alla morte si annichiliscano e altre sopravvivano.
Spesso mi trovo a dire e a pensare, che l'idea teologico-cristiana della creazione dal nulla (che poi, molto probabilmente, la bibbia presa alla lettera e per lo spirito dei tempi di come alla lettera fu scritta, con l'inizio di Genesi intende un ordinamento dal caos simile alla concezione greco classica) e l'ipotesi scientifica del big bang per come la concepiscono, probabilmente in modo inesatto, la maggior parte delle persone, hanno in comune questa idea della creazione del mondo dal nulla, che è un'idea secondo me sbagliata e perniciosa se presa in modo assoluto e non confrontata e ponderata criticamente con altre idee di origine e causa che si possono altrettanto legittimamente avere, come l'eternità di spazio e tempo e l'origine come ordinamento dal caos; deduciamo il big bang principalmente dal fatto che l'universo si espande e dal fatto che la singolarità puntiforme è una soluzione possibile delle equazioni relativistiche. ;a ad esempio un'opera divulgativa di Tonelli:
Genesi, il grande racconto delle origini
spiega molto bene che il vuoto quantistico in cui si originò il big bang, non solo non è un nulla ma è un qualcosa brulicante di eventi che lo rendono spazialmente e temporalmente definibile, ma anche un qualcosa che il big bang stesso come evento (tra gli eventi possibili nel vuoto) ha trasformato in alcuni suoi aspetti e non sostituito del tutto: l'energia complessiva dell'universo è zero, il che significa che l'universo è un tipo particolare di vuoto, rientrante tra le trasformazioni e le permutazioni possibili del vuoto, il che implica che il suo inizio potrebbe non essere davvero primo e la sua fine non davvero ultima, e anche la sua localizzazione nello spazio non unica.
Citazione di: paul11 il 12 Maggio 2021, 00:25:41 AM
Se si supponesse che sia scienza che religione fossero un falso paradigmatico, vale a dire che lo statuto della condizione umana cerca certezze, per natura umana, non sarebbe né trascendenza e nemmeno l'immanenza la risposta: ci hanno provato da Nietzsche ad Heidegger che non erano ,fra tutte e due, filo religiosi o filo scientisti, ma cercavano , ognuno a suo modo, risposte immanenti sulle domande esistenziali.
Perchè le tre condizioni; filo religiose, filo scientifiche, e la terza via appunto di Nietzsche ed Heidegger falliscono? Questa è la filosofia del futuro che ancora non c'è.
Ciao Paul11, ciò che dici è più che giusto. Per come la vedo io la mia domanda esistenziale sta nello scoprire perché tutti proclamano pace e giustizia realizzando soprattutto guerra e ingiustizia. Forse è una domanda terra terra, magari gli altri pretendono altre certezze che sconfinano oltre la vita. Vai a sapere cosa pretende l'altro. Non conosco Nietzsche se non di lui qualche aforisma o brandello di pensiero che porto con me come cosa viva. Di Heidegger conosco solo la spiegazione condensata di "essere e tempo" vista su youtube a cura del professor Bancalari. Ti dirò in verità che mi son chiesto più volte, fintanto che guardavo e riguardavo il video, se il mio pensiero non coincidesse col suo. C'era però un punto del pensiero del filosofo che non mi convinceva, ed è il punto che esprime l'inautenticità dell'esserci. Com'è possibile? Il mio pensiero è che non vi sia alcuna inautenticità anche se non so approfonditamente cosa si intenda con tale termine. D'altra parte è vero che debba giustificarsi questa dedizione spasmodica verso l'ente. Però a me sembra che questo ricorso all'inautentico faccia restare l'uomo ancora dentro alla sua bolla. A mio giudizio Heidegger ha fallito poiché ha sbagliato la domanda. [/size]CITAZIONELa terza via "laica" immanente è fingere, ed è questo il problema non risolto, che l'esistere possa essere privato dalla domanda "da dove veniamo", cercando nel "ma siamo nel qui ed ora, ed è inutile porci altre domande impossibili da risolvere", come "ma la morte, il cadavere che vedo è davvero la fine?" A mio parere, ma forse mi sbaglio, la via intentata da Nietzsche e in altro modo da Heidegger non trova risposte, perchè pur non essendo filo scientifici(positivisti) sono più propensi all'aspetto scientifico che religioso.Vorresti dire che i filosofi fingono? Forse i professionisti, almeno spero. Io non ho contatti col mondo dei filosofi quindi non posso dir nulla.
[/size]CITAZIONEQuindi se l'origine è il passato, il qui ed ora è il presente, e la fine è il futuro, si avrebbe un paradosso, che solo una società scientifica e al tempo stesso religiosa danno insieme le risposte al passato, presente e futuro. Ma allora perché c'è un muro fra i due fideismi: religioso e scientifico?
Probabilmente perché le persone sono governate da istituzioni, le quali, essendo entità, si comportano come noi singoli, ovvero perseguono il loro esistere. L'idea di un Dio antropocentrato sta diventando sempre più debole. Non so se credo in Dio, ma in fondo Dio rappresenta solo quello che più profondamente non sai. Io mi accontento di sapere perché tutti proclamano pace e realizzano guerra e la curiosità della morte me la tengo stretta. A risentirci
Creazione e causalità vanno a braccetto fin dalla preistoria sulla base del modo induttivo/deduttivo dell'intelligenza umana. I moderni (FN e MH) se la sfangano allegramente bypassando la questione perché si sono resi conto che la questione è ontologicamente, e quindi anche filosoficamente, insolubile. Già Epicuro metteva in guardia i suoi contemporanei dal porsi domande che non hanno risposta (gli dei, se ci sono, si fanno i fatti loro) e Socrate, a forza di testare l'infondatezza delle verità di fede, si trovò a bere la cicuta.
La scienza ha fatto propria la lezione di millenni di riflessione filosofica sulle cause e i causanti primi , confezionandoci una cosmogonia plausibile (bigbang) con le sue brave pezze d'appoggio scientifiche, che ha pure il vantaggio, scansando l'intenzionalità, di non dover sottoporre gli eventuali soggetti trascendenti ad un processo etico da cui difficilmente uscirebbero indenni.
Lo snodo di tale passaggio metafisico epocale lo dobbiamo al tornitore di lenti ebraico-olandese che, analogamente a Socrate, venne scomunicato addirittura due volte dai depositari della verità del suo tempo, cristiani e giudei. I cristiani lo scomunicarono per definizione in quanto ebreo, e gli ebrei, con vista più acuta, perchè il passaggio dal Deus sive Natura al Natura sine Deus era così breve da saltare agevolmente l'abisso sottostante. Cosa di cui pure i cristiani si accorsero ben presto di fronte alle orde di illuministi che in quel passaggio si avventarono come orsi verso un mare di miele. Passaggio divenuto sempre più agevole per chi si occupa di filosofia e scienza. Al punto che la contrapposizione tra scienza e religione appare superata sul piano filosofico e rimane soltanto come residuo ideologico di politiche di dominio che si servono tanto dell'una che dell'altra, secondo le necessità e gli interlocutori da sottomettere.
Citazione di: Ipazia il 11 Maggio 2021, 15:54:11 PM
Religione e scienza hanno un'origine comune nella domanda fondamentale di tipo creazionista e causale. Domanda che richiede un certo livello di capacità induttive e deduttive. La tesi teologica ha guidato le danze per millenni e su questo vale la pena di interrogarsi. La risposta che mi dò è che essa rispondeva in pieno al bisogno, altrettanto fondamentale, di senso, protezione, giustizia e immortalità. Questi 4 cavalieri della religione si ritrovano in tutti gli argomenti teologici.
La scienza ha faticato a farsi largo in questo imponente flusso desiderante, dovendo per lo più andarvi controcorrente. Certosinamente ha accumulato le sue prove fino a decostruire, mattone su mattone, l'imponente, millenario (in antropologia l'anzianità fa grado) edificio religioso.
Ma, affetta dallo stesso peccato originale antropologico, ci ha messo meno che niente a convertire i suoi sudati teoremi in nuovi oggetti di fede, supportata in ciò anche dalle rendite di posizione acquisite nella piramide sociale. Il virus desiderante, una volta conclamato, ha rimesso in circolo la religione e queste discussioni.
A salvare l'anima della scienza rimane il suo accurato metodo di indagine, ma anche qui non è il caso di eccedere in trionfalismi salvifici. Statistica, paradigmi e algoritmi permettono alti livelli di mistificazione della realtà e la coperta torna ad accorciarsi.
Ciao Ipazia. Concordo con quel che sostieni. In particolare quando dici che la scienza è affetta dallo stesso vizio antropologico di cui soffre la religione. Il riferimento alle rendite poi è proprio la questione fondamentale del mio percorso di ricerca che era quello infine di scoprire fino in fondo cosa ci fosse dietro la nostra tanto cara e amata lingua, che tanto ingannò i figli suoi. Confido nella purezza animale dell'essere umano. A proposito, chi sono i moderni FN e MH che compaiono nel tuo post successivo? Buona serata
Salve Ipazia. Sempre appropriata per chi conosce. Ma mi chiedo : sei mai stata animata dalla preoccupazione di risultare comprensibile a degli eventuali lettori occasionali, ad aspiranti (poveri loro !!) nuovi iscrivendi al Forum, al cosiddetto pubblico generalista ?. Oppure preferisci rivolgerti solo a degli interlocutori abituali ?.
Naturalmente ciascuno scriverà come preferisce o come può ma.......... non ti sembra un pò troppo gergale il riferimento a FN (noto idolo delle casalinghe), MH (penultimo vincitore de "Il Grande Fratello"), un famoso tornitore di "lenti" (facente parte forse di qualche orchestra da ballo ?) ?. Saluti.
Citaz. Iano
"ma, noi, intendo noi come esseri umani e pensanti, dobbiamo per forza venire (nel senso di pro-venire) da qualche parte?
La risposta è Sì. Lo dice la storia umana, lo dicono tutti i popoli umani, nessuno escluso, che hanno costitutivamente una cosmogonia/cosmologia che dà loro il significato di "essere nel mondo", non solo l'essere ontologico, ma il perché il mondo funziona in un certo modo. La modalità è la forma che costruisce la morale. C'è sempre una guerra : fra dei e titani, fra angeli e demoni, c'è sempre un discendente forte che uccide un padre o un ascendente, c'è sempre un'invidia, una gelosia, un atto di disobbedienza che spiega poi un destino. Poco importa che ci si creda o meno, perché sta di fatto che coloro che vi credono vi costituiscono il loro modo di essere(che è anche la loro moralità) e il loro modo di comportarsi (etica). Il fatto che siano presenti in tutte le culture è ineludibile, non si può fingere o scrollare il testone.
Il cuore del problema è un altro: è possible farne a meno? Ritengo di NO e la riflessione la pone proprio la modernità dell'Occidente in cui viviamo, che ha perso la morale; non esiste, purtroppo, uno spontaneismo morale umano "benigna" sposata da Nietzsche. Quindi un altro problema a me caro è la natura umana, l'ESSERE umano. L'esser-ci heideggeraino non trova senso nell'orizzonte della propria esistenza se non si risponde prima all'essere. E l'essere è origine, non qui ed ora , per questo falliscono rivoluzioni e rivoluzionari che pensavano di cambiare il mondo.
Il quesito meramente scientifico dell'origine dell'universo, come la cosmologia della teoria del Bg Bang, non spiega, come mai ci sia un vuoto quantistico e l'energia già bella e pronta al tempo zero dell'orologio dell'universo. Ribadisco, questa scienza moderna con il modello sperimentale non può riuscire a dare risposte sull'origine e fine del "Tutto". E non è giocando con l'infinito matematico, vale a dire non rispondendo alla richiesta della domanda di senso umano, modalità fra l'altro novecentesca, perché l'infinito è un termine poco usato o del tutto assente prima di diventare una moda moderna di usarlo per non rispondere alle domande, oserei dire che anticamente il sistema era "chiuso" non infinito. Tant'è che i sistemi erano ciclici e non lineari . L'infinito è un modo per eludere domande perché è sconfinato, è fuori dal quel vedere che essendo il discrimine della prova scientifica sperimentale non è percepibile ai sensi quindi non è prova scientifica, è fuori dal metro metodico dell'indagine. La scienza è più restrittiva dell'evidenza .Perchè è evidente razionalmente che qualcosa o qualcuno abbia prodotto gli enti, gli essenti, le cose dell'universo, gli esseri che esistono, se lo chiese prima la filosofia delle religioni e infatti alcuni scrissero di cosmologie, a me pare ovvio che la ragione umana necessita di una causa prima, all'origine del tutto.
Lo scientismo, non la scienza, ha talmente inculcato agli occidentali moderni che quelle erano favole, che noi siamo i più progrediti, i più moderni , i più bravi, i migliori , ci ha educati al fideismo scientista, tanto da crederci e non cercare di porci più domande esistenziali essenziali, spacciandola pure per libertà. Libertà poi da che cosa? Libertà poi per che cosa? Ogni umano è un fedele di qualcosa, che si chiami Dio, o Scienza, o Tecnica, o "tasca mia" o "conto-in-banca".
Fingerlo è ipocrisia pura.
L'essenza del Timeo di Platone dice concetti fondamentali: che la verità risiede nel tempo eterno non nel divenire, quindi è all'origine non nel "quì-ed-ora", il divenire delle apparenze, il divenire a cui si riferisce la scienza moderna ,non è l'essenza della verità , è la doxa delle apparenze.
Quindi i riferimenti di verità, in Socrate e Platone, risiedono nell'eternità; i comportamenti umani nel "quì-ed-ora" trovano i referenti non nel "si dice" e nel "si fa" delle convenienze opportunistiche ed utilitaristiche dei tempi umani , non nell'origine cosmologica.
Perchè la morale non può essere "ad uso e consumo" di un tempo storico o di un luogo geografico, non può inventarselo un umano per sua opportunità e convenienza come accade oggi . Quando un costume culturale si allontana dalla propria fondazione identitaria di socialità che non è solo la convenienza dell'unirsi per avere più forza, ma riconoscersi in quel che si crede come fondativo del sistema sociale stesso che non può essere la doxa degli "usi e costumi" che formano mutevoli convenzioni, decade inevitabilmente la relazione fra individuo e società, cadendo nella frattura individualistica, tipica di una società che non si riconosce più in nulla, se non per abitudine.
Non penso affatto che sia Nietzsche che Heidegger, che sono intelligenti, pensino al tempo infinito, chissà perché l'uno dice di un eterno-ritorno e l'altro di un orizzonte di senso esistenziale.
Forse l'uno pensa che il tempo in fondo sia ciclico e l'altro che il senso della vita sia da ricercarlo nel proprio arco temporale dell'esistenza , nella sola propria vita. E qualcosa di vero in entrambi ,nella contestualizzazione temporale, a mio parere, c'è. E' ovvio che se penso, quel pensare è durante l'arco temporale in cui vivo, in un "io penso perché son vivo e finché son vivo". Quindi la problematica del senso della vita è durante il proprio arco di esistenza in vita.
citaz.Iano
si muore e si vive secondo l'ordine del tempo e naturalmente, finché non è dimostrata l'unità compositiva dell'uomo, resta lecito affermare che alcune parti compositive di esso alla morte si annichiliscano e altre sopravvivano.
Questo è ammettere che il tempo è diviso in eterno e in divenire. Se la vita è nel divenire, la verità non può essere nella vita , ma ciò non implica, al tempo stesso, che il pensiero sia solo "esperienziale" e quindi solo in divenire, per cui l'uomo può formulare durante la propria vita e riconoscere che una verità ,se è verità, non può essere accomodata ai fini umani utilitaristici e opportunistici. Un comandamento, una morale, non possono essere soggette al tiramolla delle convenienze umane ( cosa che il diritto, la scienza giuridica invece fa), quindi sono immutabili, eterne. Il tempo, inteso come eterno e in divenire, eterno=verità, divenire= opinione(doxa).
Questo schema semplificato è tipico sia della filosofia metafisica che della religione cristiana, l'una vi arriva per ragione, l'altra per rivelazione, ma non è vero che seppur la vita sia in divenire debba essere interpretata in subordine, per non dire, negativamente rispetto all'eterno, ma proprio perché se il divenire è complementare all'eternità ne fa comunque parte, e quindi è in relazione e quindi apre a sua volta ala tentativo nitzcheano ed heideggeriano nel rapporto vita – natura del primo e essere-tempo del secondo, ma e lo ribadisco non può la vita stessa in sé essere rivelatrice, proprio perché è in subordinata all'origine che è eternità. E' nella relazione eternità e divenire che sta la vita.
Fammi capire questa "creazione dal nulla" cosa significherebbe ? Creare da qualcosa sono capaci tutti, la tecnica infatti trasforma non crea. Lavoisier dice "nulla si crea e tutto si trasforma", è ovvio è il catalano della modernità, dice una cosa ovvia e banale (forse non al suo tempo) , ma da dove viene tutto ciò che si trasforma? Quindi è ovvio che creare significa che un qualcosa, qualcuno (dio) di preesistente all'universo deve esserci e non sono le teorie dei rimandi all'infinito come il multiverso o universi a dodici dimensioni, che costituiscono scienza, queste sono elucubrazioni.
Cosa vuol dire eternità di spazio tempo? Non è nemmeno un concetto scientifico moderno, perché il big bang e la cosiddetta "inflazione" successiva è correlata alle quattro forze interagenti: elettromagnetismo, nucleare debole e nucleare forte e gravità. Sono loro che dilatano l'energia e creano materia , per cui si ritiene che l'espansione dell'universo sia da loro mosso. Se non fosse così cadono le teorie fondamentali delle particelle.
Cosa significa ordinamento del caos? E' già intrinseco prima dell'apparizione della forza elettromagnetica, quando la luce appare come uno "scoppio" del Big Bang che le quattro forze siano già presenti e appaiono via via, per ultima la gravità. Vi è una cronologia dei tempi infinitesimali in quanto brevissimi e sono correlati alla fisica delle particelle, alle loro teorie.
Ciao Paul 11
Non sono citazioni mie, quelle del tuo precedente post. :)
Citazione di: Ipazia il 12 Maggio 2021, 16:43:33 PM
Creazione e causalità vanno a braccetto fin dalla preistoria sulla base del modo induttivo/deduttivo dell'intelligenza umana. I moderni (FN e MH) se la sfangano allegramente bypassando la questione perché si sono resi conto che la questione è ontologicamente, e quindi anche filosoficamente, insolubile. Già Epicuro metteva in guardia i suoi contemporanei dal porsi domande che non hanno risposta (gli dei, se ci sono, si fanno i fatti loro) e Socrate, a forza di testare l'infondatezza delle verità di fede, si trovò a bere la cicuta.
La scienza ha fatto propria la lezione di millenni di riflessione filosofica sulle cause e i causanti primi , confezionandoci una cosmogonia plausibile (bigbang) con le sue brave pezze d'appoggio scientifiche, che ha pure il vantaggio, scansando l'intenzionalità, di non dover sottoporre gli eventuali soggetti trascendenti ad un processo etico da cui difficilmente uscirebbero indenni.
Lo snodo di tale passaggio metafisico epocale lo dobbiamo al tornitore di lenti ebraico-olandese che, analogamente a Socrate, venne scomunicato addirittura due volte dai depositari della verità del suo tempo, cristiani e giudei. I cristiani lo scomunicarono per definizione in quanto ebreo, e gli ebrei, con vista più acuta, perchè il passaggio dal Deus sive Natura al Natura sine Deus era così breve da saltare agevolmente l'abisso sottostante. Cosa di cui pure i cristiani si accorsero ben presto di fronte alle orde di illuministi che in quel passaggio si avventarono come orsi verso un mare di miele. Passaggio divenuto sempre più agevole per chi si occupa di filosofia e scienza. Al punto che la contrapposizione tra scienza e religione appare superata sul piano filosofico e rimane soltanto come residuo ideologico di politiche di dominio che si servono tanto dell'una che dell'altra, secondo le necessità e gli interlocutori da sottomettere.
Forse non sono stato abbastanza sintetico da farmi capire, ma io ho risposto a te a a Paul11 perché:
Ipazia, tu parli di nesso tra causalità e creazione,
paul11 dell'ineludibilità della domanda "da dove veniamo?"
Ma non vi viene in mente, gente, che, assumendo che il mondo/cosmo sia ingenerato e imperituro (e in qualche non immediatamente evidente ma reale senso noi con esso!), la famosa ed epica domanda "da dove veniamo", possa semplicemente essere mal posta?
Da dove veniamo "noi", ma noi chi? Mi viene in mente il recente argomento sul logos eracliteo, se il
logo è impersonale, e guadagna verità progredendo nell'intersoggettivo fino a culminare nel non-soggettivo, non c'è neanche un "noi"/"io" che possa provenire da qualche parte...
Ci sono sistemi di pensiero in cui le domande sulle origini non esistono, o meglio, soprattutto, non esistono in senso creazionista. Banalmente, ad esempio, i filosofi che si sono rotti la testa sulla differenza tra creazione ed emanazione, e hanno a vario titolo sostenuto la seconda escludendo la prima (direi Platone e tutti i neoplatonici a seguire), penso che ci credevano veramente in quello che sostenevano, non erano, diciamo così, nella modalità mentale dell'accontentarsi del discorso sul possibile per non poter attingere l'impossibile, o del parlare per metafore.
Quindi non è che la domanda sulle origini sia impossibile, e dunque il filosofo, messo di fronte a tale dura impossibilità, psicologicamente sublima/surroga, gnoseologicamente aggiusta il tiro, occupandosi di altro; io credo piuttosto sia interno alla buona filosofia accogliere la domanda sulle origini solo ed esclusivamente nella misura in cui essa è utile alla felicità terrena.
Qualcuno ha parlato di "vivere nel qui e ora" come se fosse una questione esclusivamente etica, e ha visto in una certa misura la scienza corrispondere bene a questa funzione da cicala propria di un certo tipo di filosofia, immanente e immanentista, mentre la religione sarebbe la formica propria di un certo altro tipo, diciamo così della trascendenza o più teologico.In realtà anche qui il banco secondo me deve saltare, rispetto alla domanda sulle origini, e sulla vita dopo la morte, e sulle altre domande fondamentali, "viviamo nel qui e ora", dico io, nella misura in cui ci identifichiamo e ci entifichiamo come esseri viventi con la nostra coscienza e conoscenza, e dunque da questa prospettiva in cui si è solo coscienza/conoscenza, in cui si è totalmente lucidi e trasparenti come un diamante o non si è, è giocoforza assumere l'equivalenza tra ignoto e nulla; quindi viviamo eccome "nel qui e ora", ma non per qualche etos derivante da qualche phisis tramite un qualche nomos, bensì perché, proprio dal punto di vista del qui e ora, ignoto=nulla, e quindi, per contro, qui e ora=essere.Per uscire da questa eterna condizione di cicale e cominciare a fare un po' anche le formiche, nell'equilibrio che serve per la felicità, che della filosofia dovrebbe essere il vero scopo, non ci vuole un' altro tipo di etica, perché non è un problema etico che ci ha portato a fare le cicale (progressiste, pragmatiste e scientiste e quant'altro), ma un problema di identificazione e auto-identificazione; non è dal punto di vista della conoscenza che si può sopperire all'ignoto (che ci circonda e circonda le nostre origini e destinazioni finali, come un grande nulla intorno a un piccolo essere) con altre indispensabili facoltà umane quali l'immaginazione, la mitopoiesi, e la buona filosofia stessa, perché, dal punto di vista della conoscenza, queste soluzioni vengono riassorbite nella conoscenza umana stessa e nella trasparenza dello scibile nel momento stesso in cui vengono poste, quindi allargano i confini del noto senza mai, in nessun caso, entrare nel merito dell'apparente inconoscibilità delle origini e della fine, allargano il campo l'originato senza entrare nel merito dell'origine. e dunque, è solo spostando il campo di identificazione, ed identificandosi non con la coscienza/conoscenza, ma con la vita/esperienza in tutte le sue contraddizioni, anche sensoriali, psicosomatiche e corporee, che si può apprezzare la differenza sottile, e non a comodamente portata di mano, intercorrente tra quanto supportato dai sensi e dal senso comune, e quanto posto solo immaginativamente e speculativamente, la differenza tra verità e certezza, che contraddistinguerà la filosofia moderna da Cartesio in poi, mentre potrei dire che quella antica era segnata dalla differenza tra verità e opinione: non è dal punto di vista della conoscenza, che una fiaba su Zeus o su Babbo Natale o su Dio si differenzia da una verità attestata dai sensi (come "oggi piove") o confermata dal metodo scientifico (come "la luna è un satellite"), ma dal punto di vista dell'esperienza (nessuno ha mai visto Babbo Natale, mentre la luna si vede, la pioggia si sente e gli esperimenti scientifici dovrebbero essere standardizzati e ripetibili); e l'esperienza è vita, ed è proprio facendo esperienza del fatto che le risposte sulle origini necessariamente non sono esperienza, che le risposte sulle origini si possono provare dare in quanto tali, si possono dare trascendendo e sapendo di trascendere l'esperienza, ma non la conoscenza e segnando così intenzionalmente il confine tra le due. E' come la differenza tra sognare e basta e sapere di sognare, che è già difficile a concettualizzarsi, e tanto più difficile a mettersi in pratica: le facoltà che ci portano a inventare i miti sulle origini, sul dopo morte, su quello che si vuole, si attivano sempre spontaneamente e ci caratterizzano come umani, ma la filosofia è la storia del riconoscimento e della negazione/determinazione di tali facoltà come tali, quindi non sono le domande sulle origini a sfumare o a essere abbandonate in quanto insolubili nella mente del filosofo, ma le risposte tipizzate, banalizzate, strumentalizzate e logore a tali domande, compresa, forse prima tra tutte, la presa alla lettera della domanda stessa.
Citazione di: iano il 12 Maggio 2021, 23:31:02 PM
Ciao Paul 11
Non sono citazioni mie, quelle del tuo precedente post. :)
scusa.......
il mio post precedente è da intendere come citazioni di Niko
Citazione di: daniele22 il 12 Maggio 2021, 15:38:34 PM
Citazione di: paul11 il 12 Maggio 2021, 00:25:41 AM
Se si supponesse che sia scienza che religione fossero un falso paradigmatico, vale a dire che lo statuto della condizione umana cerca certezze, per natura umana, non sarebbe né trascendenza e nemmeno l'immanenza la risposta: ci hanno provato da Nietzsche ad Heidegger che non erano ,fra tutte e due, filo religiosi o filo scientisti, ma cercavano , ognuno a suo modo, risposte immanenti sulle domande esistenziali.
Perchè le tre condizioni; filo religiose, filo scientifiche, e la terza via appunto di Nietzsche ed Heidegger falliscono? Questa è la filosofia del futuro che ancora non c'è.
Ciao Paul11, ciò che dici è più che giusto. Per come la vedo io la mia domanda esistenziale sta nello scoprire perché tutti proclamano pace e giustizia realizzando soprattutto guerra e ingiustizia. Forse è una domanda terra terra, magari gli altri pretendono altre certezze che sconfinano oltre la vita. Vai a sapere cosa pretende l'altro. Non conosco Nietzsche se non di lui qualche aforisma o brandello di pensiero che porto con me come cosa viva. Di Heidegger conosco solo la spiegazione condensata di "essere e tempo" vista su youtube a cura del professor Bancalari. Ti dirò in verità che mi son chiesto più volte, fintanto che guardavo e riguardavo il video, se il mio pensiero non coincidesse col suo. C'era però un punto del pensiero del filosofo che non mi convinceva, ed è il punto che esprime l'inautenticità dell'esserci. Com'è possibile? Il mio pensiero è che non vi sia alcuna inautenticità anche se non so approfonditamente cosa si intenda con tale termine. D'altra parte è vero che debba giustificarsi questa dedizione spasmodica verso l'ente. Però a me sembra che questo ricorso all'inautentico faccia restare l'uomo ancora dentro alla sua bolla. A mio giudizio Heidegger ha fallito poiché ha sbagliato la domanda.
CITAZIONE
La terza via "laica" immanente è fingere, ed è questo il problema non risolto, che l'esistere possa essere privato dalla domanda "da dove veniamo", cercando nel "ma siamo nel qui ed ora, ed è inutile porci altre domande impossibili da risolvere", come "ma la morte, il cadavere che vedo è davvero la fine?" A mio parere, ma forse mi sbaglio, la via intentata da Nietzsche e in altro modo da Heidegger non trova risposte, perchè pur non essendo filo scientifici(positivisti) sono più propensi all'aspetto scientifico che religioso.
Vorresti dire che i filosofi fingono? Forse i professionisti, almeno spero. Io non ho contatti col mondo dei filosofi quindi non posso dir nulla.
CITAZIONE
Quindi se l'origine è il passato, il qui ed ora è il presente, e la fine è il futuro, si avrebbe un paradosso, che solo una società scientifica e al tempo stesso religiosa danno insieme le risposte al passato, presente e futuro. Ma allora perché c'è un muro fra i due fideismi: religioso e scientifico?
Probabilmente perché le persone sono governate da istituzioni, le quali, essendo entità, si comportano come noi singoli, ovvero perseguono il loro esistere. L'idea di un Dio antropocentrato sta diventando sempre più debole. Non so se credo in Dio, ma in fondo Dio rappresenta solo quello che più profondamente non sai. Io mi accontento di sapere perché tutti proclamano pace e realizzano guerra e la curiosità della morte me la tengo stretta. A risentirci
Il "fingere" dei filosofi è metaforico, direi che volutamente fanno delle scelte filosofiche e nel caso proposto, volutamente non gli importa di dare risposte alle domande fondamentali, fanno delle scelte sulla loro impostazione filosofica che non condivido, Una filosofia priva dei fondamenti teoretici è una filosofia "alla moda" dei tempi ,si storicizza in quel determinato tempo e perde di consistenza con il passare del tempo. Non è un caso che i classici greci ...sono eterni, perchè trattano dei fondamenti.
Il Dio "antropocentrato" sarebbe come dire un "dio" umanistico, nel tempo in cui l'uomo si ritiene al centro dell'universo e pensa che tutto ruota attorno ai suoi voleri: è alla conquista del mondo con la tecnica, è il delirio di onnipotenza. Religiosamente non esiste, praticamente invece sì, è quello del "dio personalizzato", dove ognuno costruisce una propria religione. Un conto è dire che ognuno vive la religione a modo suo, un altro aspetto è dire che ognuno si costruisce la religione che vuole.
Citaz Ipazia
I moderni (FN e MH) se la sfangano allegramente bypassando la questione perché si sono resi conto che la questione è ontologicamente, e quindi anche filosoficamente, insolubile.
E qui siamo daccapo alla solita filosofia scientista. Io posso pensare a Dio? Se lo penso lo creo, forse questo non lo hai ancora capito. Tu credi in Marx? Credi al comunismo? Un profeta ha scritto la sua bibbia. Dimmi ontologicamente dove sta la differenza? Troverai antimarxisti così come anticomunisti. Ma cosa è che ti spinge a crederci?
Non esiste proprio una filosofia insolubile. Perchè Nietzsche crede a qualcosa ,così pure Heidegger. Che cosa ha mai motivato il loro pensiero? Nel momento in cui hanno scritto: hanno creato.
Nietzsche piace? Quale sono le "rivelazioni" che spingono a dire "mi piace"?
Nel loro "piccolo" ognuno rivela qualcosa, anche se non è propriamente una religione.
Ontologicamente i fondativi sono necessari, quanto lo è un pensiero, quanto lo è un cervello umano dove vi sono collocati "mentalmente". O pensiamo per nulla e allora riteniamo che a nulla serve, ma veniamo smentiti dalla creazione umana: la cultura. L'edificazione di una cultura presuppone un pensiero originario e non ha importanza se si origina per scienza moderna, religione o filosofia o chissà altro.
Citaz.Ipazia
Già Epicuro metteva in guardia i suoi contemporanei dal porsi domande che non hanno risposta (gli dei, se ci sono, si fanno i fatti loro) e Socrate, a forza di testare l'infondatezza delle verità di fede, si trovò a bere la cicuta.
Siamo al livello di ...mi cascano i cosiddetti.
Epicuro è un insignificante filosofo che nella storia della filosofia è poco meno di niente.
Se non ci ponessimo domande saremmo ancora a "Wilma ....dammi la clava!" ai cartoni animati degli Antenati.
Socrate ha dato senso e significato alla propria vita e tutti sanno chi è più di duemila anni dopo.
Tanti insignificanti umani nel frattempo hanno vissuto, vivendo senza sapere di vivere: come gli animali.
Citaz, Ipazia
La scienza ha fatto propria la lezione di millenni di riflessione filosofica sulle cause e i causanti primi [/i], confezionandoci una cosmogonia plausibile (bigbang) con le sue brave pezze d'appoggio scientifiche, che ha pure il vantaggio, scansando l'intenzionalità, di non dover sottoporre gli eventuali soggetti trascendenti ad un processo etico da cui difficilmente uscirebbero indenni.
...e infatti senza un soggetto "trascendente" e senza una morale, questa teoria non spiega nulla della vita e dei fondamenti costitutivi universali, ci lascia semplicemente .....indifferenti.
Citaz. Ipazia
Lo snodo di tale passaggio metafisico epocale lo dobbiamo al tornitore di lenti ebraico-olandese che, analogamente a Socrate, venne scomunicato addirittura due volte dai depositari della verità del suo tempo, cristiani e giudei. I cristiani lo scomunicarono per definizione in quanto ebreo, e gli ebrei, con vista più acuta, perchè il passaggio dal Deus sive Natura[/i] al Natura sine Deus[/i] era così breve da saltare agevolmente l'abisso sottostante. Cosa di cui pure i cristiani si accorsero ben presto di fronte alle orde di illuministi che in quel passaggio si avventarono come orsi verso un mare di miele. Passaggio divenuto sempre più agevole per chi si occupa di filosofia e scienza. Al punto che la contrapposizione tra scienza e religione appare superata sul piano filosofico e rimane soltanto come residuo ideologico di politiche di dominio che si servono tanto dell'una che dell'altra, secondo le necessità e gli interlocutori da sottomettere.
Infatti Spinoza ( e faresti meglio a scriverlo senza giocare ai sottointesi) piace ai materialisti perché di fatto è un panteista. E' di moda, ma conta zero come Epicuro, nella formulazione religiosa. Epicuro un antesignano materialista e Spinoza, un panteista sono di moda nel tempo dell'esaltazione materialistica , ma non contano nulla culturalmente.
Citazione di: paul11 il 12 Maggio 2021, 00:25:41 AM
Quindi in termini, come dire, temporali ,come sono state collocate dal post introduttivo di questa discussione: la religione è forte nel cercare di dare risposte sull' origine e fine, ma è debole nel "quì ed ora".Perchè è nella propria e dalla propria esistenza che sorgono dubbi nella fede, perché comunque questa fede condiziona il vivere e lo scarto fra ciò che dice la fede e ciò che è il mondo vissuto, c'è sempre, quindi è debole nel "qu' ed ora",ciò che stà nel mezzo fra: origine- qui ed ora- fine; ma ritorna forte nel fine, perché si muore solo fisicamente come corpo materico.
Per quel che ci capisco mi sembra la tua la migliore risposta fra tutte.
La religione si candida a dare risposte sull'origine e sulla fine dell'essere, in quanto non pone dubbi sull'essere.
Non lo definisce perché non occorre.
Per la scienza l'umanità è una specie animale la cui origine è nella convenzione che la definisce in base ad un criterio arbitrario, che tale può non apparire solo nella misura in cui non ne abbiamo coscienza.
Scienza e religione concordano sull'esistenza, ma non sull'essere.
Per la religione ogni essere è parte dell'esistenza. Quindi possiede l'esistenza. È in se'.
Per la scienza ogni essere è una astrazione dell'esistenza. Quindi non possiede l'esistenza. Non è in se'.
Se qualcosa non è in se', ha in se' la sua origine è la sua fine.
Nasce nel momento in cui lo si astrae, e muore nel momento in cui si smette di astrarlo.
I nostri concetti, in particolare quelli di continuo e discontinuo, sono attrezzi "astrattori".
L'esistenza in se' non è ne' continua ne discontinua .
La filosofia e la scienza dicono ora che è continua, e poi che è discontinua, quindi ancora continua in una staffetta infinita.
Un paradosso?
Se ciò si può tradurre con, usa ora il cacciavite, e poi la pinza, e poi ancora il cacciavite, non ci sarebbe alcun paradosso.
Il mondo non è fatto ne di cacciaviti ne' di pinze, anche se da sempre ci si prova a spiegarlo così.
Questo è il complesso del falegname per il quale il mondo è fatto di seghe, e finché si limita a fare il falegname non c'è cosa migliore a cui possa credere.
In questo modo noi crediamo nell'essere delle cose animate e inanimate.
Il falegname è un lavoratore è il dubbio è nemico di chi lavora.
Tutto ben finché c'è lavoro.
Ma se il lavoro inizia a mancare inevitabile il dubbio si insinua, se ha scelto il mestiere giusto.
Citazione di: niko il 12 Maggio 2021, 23:43:54 PM
Forse non sono stato abbastanza sintetico da farmi capire, ma io ho risposto a te a a Paul11 perché:
Ipazia, tu parli di nesso tra causalità e creazione,
Sì, è la questione dell'uovo e della gallina. Gli umani ragionano così, per induzioni e deduzioni, ma le risposte che si danno, se non sono verificate sperimentalmente, restano congetture e desideri del tipo:
Citazionepaul11 dell'ineludibilità della domanda "da dove veniamo?"
Che elude la domanda della plausibilità della risposta (desiderante). Per cui concordo pienamente con:
CitazioneMa non vi viene in mente, gente, che, assumendo che il mondo/cosmo sia ingenerato e imperituro (e in qualche non immediatamente evidente ma reale senso noi con esso!), la famosa ed epica domanda "da dove veniamo", possa semplicemente essere mal posta?
Ma non porrei la risposta in questi mischioni tra fisica e metafisica...:
CitazioneDa dove veniamo "noi", ma noi chi? Mi viene in mente il recente argomento sul logos eracliteo, se il logo è impersonale, e guadagna verità progredendo nell'intersoggettivo fino a culminare nel non-soggettivo, non c'è neanche un "noi"/"io" che possa provenire da qualche parte...
Ci sono sistemi di pensiero in cui le domande sulle origini non esistono, o meglio, soprattutto, non esistono in senso creazionista. Banalmente, ad esempio, i filosofi che si sono rotti la testa sulla differenza tra creazione ed emanazione, e hanno a vario titolo sostenuto la seconda escludendo la prima (direi Platone e tutti i neoplatonici a seguire), penso che ci credevano veramente in quello che sostenevano, non erano, diciamo così, nella modalità mentale dell'accontentarsi del discorso sul possibile per non poter attingere l'impossibile, o del parlare per metafore.
...che eternano la fallacia metafisica di voler dare risposte metafisiche ad una questione che è esclusivamente fisica: l'origine del tutto di cui abbiamo percezione e contezza.
CitazioneQuindi non è che la domanda sulle origini sia impossibile, e dunque il filosofo, messo di fronte a tale dura impossibilità, psicologicamente sublima/surroga, gnoseologicamente aggiusta il tiro, occupandosi di altro; io credo piuttosto sia interno alla buona filosofia accogliere la domanda sulle origini solo ed esclusivamente nella misura in cui essa è utile alla felicità terrena.
La domanda sulle origini potrebbe anche non essere impossibile, ma la risposta che il tutto sia utile alla felicità terrena è sicuramente sbajata, perchè si ricade nel desiderio inverificato. A meno che il filosofo non sia di spessore tale da farci digerire la pillola senza ingannarci sul male. Qualcuno, antico e moderno, c'è stato e sono i grandi maestri dell'umanità.
CitazioneQualcuno ha parlato di "vivere nel qui e ora" come se fosse una questione esclusivamente etica, e ha visto in una certa misura la scienza corrispondere bene a questa funzione da cicala propria di un certo tipo di filosofia, immanente e immanentista, mentre la religione sarebbe la formica propria di un certo altro tipo, diciamo così della trascendenza o più teologico.
In realtà anche qui il banco secondo me deve saltare, rispetto alla domanda sulle origini, e sulla vita dopo la morte, e sulle altre domande fondamentali, "viviamo nel qui e ora", dico io, nella misura in cui ci identifichiamo e ci entifichiamo come esseri viventi con la nostra coscienza e conoscenza, e dunque da questa prospettiva in cui si è solo coscienza/conoscenza, in cui si è totalmente lucidi e trasparenti come un diamante o non si è, è giocoforza assumere l'equivalenza tra ignoto e nulla; quindi viviamo eccome "nel qui e ora", ma non per qualche etos derivante da qualche phisis tramite un qualche nomos, bensì perché, proprio dal punto di vista del qui e ora, ignoto=nulla, e quindi, per contro, qui e ora=essere.
Certo è così. La confusione deriva dal voler mettere il carro davanti ai buoi, invertendo le cause con gli effetti. Dio, l'eternità, il nomos trascendente che si incarna in ethos, e persino in physis che lo riflette, esistono perchè noi desideriamo tutto ciò e inondiamo il tutto di un senso che irrompe dal nostro desiderio. Insomma, per dirla con Eraclito: il mondo di un bambino. Ma prima o poi bisogna crescere e rimettere in ordine la catena causale.
CitazionePer uscire da questa eterna condizione di cicale e cominciare a fare un po' anche le formiche, nell'equilibrio che serve per la felicità, che della filosofia dovrebbe essere il vero scopo, non ci vuole un' altro tipo di etica, perché non è un problema etico che ci ha portato a fare le cicale (progressiste, pragmatiste e scientiste e quant'altro), ma un problema di identificazione e auto-identificazione; non è dal punto di vista della conoscenza che si può sopperire all'ignoto (che ci circonda e circonda le nostre origini e destinazioni finali, come un grande nulla intorno a un piccolo essere) con altre indispensabili facoltà umane quali l'immaginazione, la mitopoiesi, e la buona filosofia stessa, perché, dal punto di vista della conoscenza, queste soluzioni vengono riassorbite nella conoscenza umana stessa e nella trasparenza dello scibile nel momento stesso in cui vengono poste, quindi allargano i confini del noto senza mai, in nessun caso, entrare nel merito dell'apparente inconoscibilità delle origini e della fine, allargano il campo l'originato senza entrare nel merito dell'origine.
F.Nietzsche associava la religione al ragno che tesse la tela, non alla formica che vi resta intrappolata. Formiche sono semmai coloro che hanno servito la casta religiosa sulla cui etica meglio stendere un minuto di silenzio. Non me la sento neppure, sibarita quale sono, di rinunciare alla cicala che si gode il suo bravo "qui e ora" senza paturnie metafisiche. Come fanno pure i nostri affezionati animali da compagnia. Rimettendo in ordine la catena causale si parte da physis (bigbang) che
a sua insaputa determina un nomos (Natura sine Deus) che evolutivamente produce un ethos, entro il cui dominio arriviamo noi, che acquisiamo coscienza di tutto ciò e interagiamo et(olog)icamente con tutto l'ambaradan. L'etica arriva alla fine di tutto il processo evolutivo e si modifica con esso. Rimessa la realtà coi piedi per terra si può guardare avanti. E pure indietro. Con un po' più di cognizione di causa (non creazionista).
Citazionee dunque, è solo spostando il campo di identificazione, ed identificandosi non con la coscienza/conoscenza, ma con la vita/esperienza in tutte le sue contraddizioni, anche sensoriali, psicosomatiche e corporee, che si può apprezzare la differenza sottile, e non a comodamente portata di mano, intercorrente tra quanto supportato dai sensi e dal senso comune, e quanto posto solo immaginativamente e speculativamente, la differenza tra verità e certezza, che contraddistinguerà la filosofia moderna da Cartesio in poi, mentre potrei dire che quella antica era segnata dalla differenza tra verità e opinione: non è dal punto di vista della conoscenza, che una fiaba su Zeus o su Babbo Natale o su Dio si differenzia da una verità attestata dai sensi (come "oggi piove") o confermata dal metodo scientifico (come "la luna è un satellite"), ma dal punto di vista dell'esperienza (nessuno ha mai visto Babbo Natale, mentre la luna si vede, la pioggia si sente e gli esperimenti scientifici dovrebbero essere standardizzati e ripetibili); e l'esperienza è vita, ed è proprio facendo esperienza del fatto che le risposte sulle origini necessariamente non sono esperienza, che le risposte sulle origini si possono provare dare in quanto tali, si possono dare trascendendo e sapendo di trascendere l'esperienza, ma non la conoscenza e segnando così intenzionalmente il confine tra le due.
Essì, come insegna Newton bisogna rifuggire le finte ipotesi, che tali rimangono finchè non vengono dimostrate. Legittimo è desiderare, ma non creare accrocchi ideologici che invertono il rapporto tra desiderio e realtà. Non basta desiderare l'eternità perchè si inveri. Al massimo ci si può fare poesia o filosofia poetante motorizzata da metafore. Diciamo pure che in tale filosofeggiare gli antichi erano infinitamente più scusabili e creativi dei moderni.
CitazioneE' come la differenza tra sognare e basta e sapere di sognare, che è già difficile a concettualizzarsi, e tanto più difficile a mettersi in pratica: le facoltà che ci portano a inventare i miti sulle origini, sul dopo morte, su quello che si vuole, si attivano sempre spontaneamente e ci caratterizzano come umani, ma la filosofia è la storia del riconoscimento e della negazione/determinazione di tali facoltà come tali, quindi non sono le domande sulle origini a sfumare o a essere abbandonate in quanto insolubili nella mente del filosofo, ma le risposte tipizzate, banalizzate, strumentalizzate e logore a tali domande, compresa, forse prima tra tutte, la presa alla lettera della domanda stessa.
Possiamo trascenderla in una di quelle
metafore proibite che ogni tanto ci azzeccano a muovere il sole e l'altre stelle; non dell'universo fisico, ma di quello umano certamente.
Possiamo ben evitare di chiederci l'origine delle cose, se non nella misura in cui non abbiamo coscienza che si originano in noi nel rapporto con la realtà .
O se preferite esistono in noi, e nascono e muoiono quando e se ci pare, e il fatto che abbiano carattere intersoggettivo non ne muta la natura, ma rafforza la bontà del criterio che ci definisce.
L'intersoggettivita' avrebbe valore se accompagnata dalla perfetta indipendenza dei soggetti.
Cioè se non ci potessimo definire umanità.
Si tratta comunque di una definizione variabile.
Varia con inerzia perché non riguarda il singolo.
È arrivato il momento di allargare la definizione.
È arrivato il momento di cambiare mestiere.
È arrivato il momento di smettere di credere che il mondo sia fatto di seghe.
Dobbiamo inventarci un nuovo attrezzo e un nuovo mestiere.
Abbiamo creduto a tante baggianate, possiamo pure fare un piccolo atto di fede sui nostri sensi e sull'immanenza che ci circonda.
Citazione di: Ipazia il 13 Maggio 2021, 01:48:22 AM
Abbiamo creduto a tante baggianate, possiamo pure fare un piccolo atto di fede sui nostri sensi e sull'immanenza che ci circonda.
Ma perché scusa, finora a ieri cosa abbiamo fatto?
Lungi da me il volere screditare i sensi.
Difenderli è la mia battaglia di sempre.
Una scienza buona è quella che impara da essi.
I sensi non ci illudono tanto quanto la scienza non ci dice la verità.
Buongiorno a tutti
Atto di fede su dei sensi che sappiamo già limitati e che forniscono solo visioni parziali dell'"immanente"? E sulla base di visioni parziali stabilire con certezza che esiste solo quella parzialità? Una formica può credere con certezza che esista solo l'erbetta del giardino, ma solo perché non ha mai visto una montagna. I sensi ci illudono eccome, sono deputati a questo. Un semplice strumento per farci adattare al "giardino" che noi assumiamo come vero.
...Pensiamo solo all'ipotesi che l'essere umano fosse privo del senso della vista. Non esisterebbe alcuna cosmogonia...
Citazione di: iano il 13 Maggio 2021, 01:51:14 AM
Citazione di: Ipazia il 13 Maggio 2021, 01:48:22 AM
Abbiamo creduto a tante baggianate, possiamo pure fare un piccolo atto di fede sui nostri sensi e sull'immanenza che ci circonda.
Ma perché scusa, finora a ieri cosa abbiamo fatto?
Lungi da me il volere screditare i sensi.
Difenderli è la mia battaglia di sempre.
Una scienza buona è quella che impara da essi.
I sensi non ci illudono tanto quanto la scienza non ci dice la verità.
Buon Giovedì. Da quando frequento questo forum percepisco molte affinità con ciò che penso. Ma a volte mi sento un pesce fuor d'acqua. A parte la battuta di Viator (era una battuta?) non ho ancora capito chi siano i moderni FN e MH. In ogni caso non è questo il problema.
I sensi c'entrano poco con le nostre definizioni della realtà. Insomma, non si è ancora capito che la realtà è soltanto una proiezione delle nostre preoccupazioni? Non si è ancora capito che la realtà è sinonimo perfetto di conoscenza? Non si è ancora capito che le cose servono alla mente solo per tenere i piedi per terra? La pietra per un essere umano non è la pietra per una mosca. Eppure potrebbe benissimo essere che nel suo mondo esista qualcosa di analogo alla nostra pietra. Ma cosa sono infine le cose? Una cosa, dico io, è tutto ciò che la mente può imbrigliare tanto da poterne parlare, anche a vanvera. Le cose non esistono di per sé. Siamo noi a crearle. Se tutto ciò fosse noto tanto peggio, giacché significherebbe una brutta fine per tutti.
Citazione di: daniele22 il 13 Maggio 2021, 10:19:34 AM
Citazione di: iano il 13 Maggio 2021, 01:51:14 AM
Citazione di: Ipazia il 13 Maggio 2021, 01:48:22 AM
Abbiamo creduto a tante baggianate, possiamo pure fare un piccolo atto di fede sui nostri sensi e sull'immanenza che ci circonda.
Ma perché scusa, finora a ieri cosa abbiamo fatto?
Lungi da me il volere screditare i sensi.
Difenderli è la mia battaglia di sempre.
Una scienza buona è quella che impara da essi.
I sensi non ci illudono tanto quanto la scienza non ci dice la verità.
Buon Giovedì. Da quando frequento questo forum percepisco molte affinità con ciò che penso. Ma a volte mi sento un pesce fuor d'acqua. A parte la battuta di Viator (era una battuta?) non ho ancora capito chi siano i moderni FN e MH. In ogni caso non è questo il problema.
FN è Friedrich Nietzsche, MH è Martin Heidegger, chiamati in causa da Paul11 nella sua lunga requisitoria contro il pensiero scientifico. Chiamati in causa intorno ai concetti metafisici di
infinito ed
eterno su cui il pensiero religioso, sin dalla notte paleolitica dei tempi, si interroga e va a nozze. Colgo l'occasione per replicare. Questi due pensatori tirano all'estremo le possibilità della metafisica di restare nell'ambito della tradizione dei massimi sistemi filosofici, inaugurata da Platone e Aristotele. Lo fanno consapevoli del livello insopportabile della sfida in due momenti storici in cui il pensiero tecnoscientifico travolgeva tutto, nel bene e nel male. Con essi si chiude, alla grande, l'utopismo metafisico che va dalla Repubblica di Platone al transumanesimo marxista e nicciano. Il quale ultimo, con l'Ecce Homo, ci riconsegna la spugna inzuppata di acqua salata dell'esistere, non più supportato da massimi sistemi. Neppure quelli oggi tanto intronati della BigScience. La quale ...
CitazioneI sensi c'entrano poco con le nostre definizioni della realtà. Insomma, non si è ancora capito che la realtà è soltanto una proiezione delle nostre preoccupazioni? Non si è ancora capito che la realtà è sinonimo perfetto di conoscenza? Non si è ancora capito che le cose servono alla mente solo per tenere i piedi per terra? La pietra per un essere umano non è la pietra per una mosca. Eppure potrebbe benissimo essere che nel suo mondo esista qualcosa di analogo alla nostra pietra. Ma cosa sono infine le cose? Una cosa, dico io, è tutto ciò che la mente può imbrigliare tanto da poterne parlare, anche a vanvera. Le cose non esistono di per sé. Siamo noi a crearle. Se tutto ciò fosse noto tanto peggio, giacché significherebbe una brutta fine per tutti.
... ha tutto da perdere ad assumere aure palingenetiche, andando a fare compagnia, nella discarica della storia del pensiero, ai massimi sistemi di cui sopra. Invece essa deve limitarsi, caro daniele 22, a ciò che l'evoluzione naturale ci ha fornito, ovvero i nostri sensi, potenziati e amplificati da quello più specifico e specista che dà ragione del nostro successo evolutivo, la ratio o ragione. La quale ci ha permesso di declinare un modello di realtà, plasmabile e conoscibile, sulla quale prospera ogni tipo di vita umana, compresa quella di chi lo rifiuta. Proponendo cosa ? Il ritorno ai massimi sistemi. Nostalgia. Ritorno a casa del dolore (etimo) incapace di cogliere l'infinito e l'eterno presenti in ogni attimo qui ed ora. Fuggente, certo, nel rispetto della legge eraclitea che va presa, niccianamente, per quel che è, con lo spirito affermativo dello Jasager che quel fato ha imparato ad amare.
Citazione di: Alexander il 13 Maggio 2021, 09:08:04 AM
...Pensiamo solo all'ipotesi che l'essere umano fosse privo del senso della vista. Non esisterebbe alcuna cosmogonia...
Certo che esisterebbe. Anche i ciechi pensano, e con gli altri sensi si fanno un'immagine della realtà perfettamente comunicabile a chi ci vede, il quale a sua volta impara ad interagire e comunicare con essi secondo l' "immagine" della realtà che si sono formati. Per una cosmogonia non basta e non è nemmeno necessaria la vista. E' necessario l'intelletto. Quello che gli antichi chiamavano nous, logos, atman,...
A ben guardare, o meglio sentire, l'infinito e l'eterno hanno più a che fare con l'udito che con la vista. Di fronte alla musica, non ce n'è per nessuno. L'aveva compreso persino una persona filosoficamente limitata come Wagner. A sua insaputa. Ma non del suo giovane ammiratore FN. Storia lunga che risale ai pitagorici.
Citazione di: Alexander il 13 Maggio 2021, 08:35:13 AM
Buongiorno a tutti
Atto di fede su dei sensi che sappiamo già limitati e che forniscono solo visioni parziali dell'"immanente"? E sulla base di visioni parziali stabilire con certezza che esiste solo quella parzialità? Una formica può credere con certezza che esista solo l'erbetta del giardino, ma solo perché non ha mai visto una montagna. I sensi ci illudono eccome, sono deputati a questo. Un semplice strumento per farci adattare al "giardino" che noi assumiamo come vero.
I sensi non ci illudono tanto quanto la scienza non ci dice la verità.
Però se credi che la scienza tenda al vero , con visioni sempre meno parziali, allora i sensi ci illudono.
Ma tu dici queste visioni parziali ci permettono di adattarci al giardino.
E una visione completa servirebbe invece a farci adattare a cosa?
Come fanno i sensi a smettere di illuderci, anche quando potenziati dagli strumenti della scienza, se ci illudono.
Non è che la verità te la danno al supermercato dopo che haii completato l'album dei bollini.
Ieri si vinceva l'erba, oggi la montagna ,e domani cosa?
Per giungere alla verità occorrerebbe un salto di qualità, che per alcuni è la scienza.
Ma tu credi davvero in queste salvifiche discontinuità?
Se non è uno spirito santo che cade dal cielo, allora sale laicamente dalla terra, reiterando il discontinuo atto creativo..
E se le visioni non fossero parziali, ma fossero visioni?
Puoi dire che una visione sia parziale solo se possiedi già la visione intera.
Se invece possiedi una visione ha senso chiedersi di quale completa visione sia parte?
Come si fa' a riconoscere la completezza di una visione , se a quella tendi?
Come si fa' a sapere quando l'album è completo, se non c'è lo hanno dato?
Più elegantemente la religione ci dice che non si può acquisire la verità, ma si può solo perdere, e infatti, non avendola, la pone nel passato, mentre la filosofia, non avendola parimenti, la pone nel futuro, mentre Ipazia saggiamente gli ha dato un calcio.
Tu però continui ad illuderti con le tue visioni.
Buongiorno Iano
Tantissim domande brevi...
Rispondo un po' lapidariamente, per questione di tempo, scusami.
cit.Ma tu dici queste visioni parziali ci permettono di adattarci al giardino.
È una visione completa servirebbe invece a farci adattare a cosa?
Teoricamente a farci adattare perfettamente. Ma è un'illusione ovviamente. La natura non tende alla "perfezione".
cit.:Come fanno i sensi a smettere di illuderci, anche quando potenziati dagli strumenti della scienza, se ci illudono.
Non possono infatti, non è il loro compito.
cit.Non è che la verità te la danno al supermercato dopo che haii completato l'album dei bollini.
Ieri si vinceva l'erba, oggi la montagna ,e domani cosa?
Qualcos'altro, ma sempre relativo.
cit.Per giungere alla verità occorrerebbe un salto di qualità, che per alcuni è la scienza.
Ma tu credi davvero in queste salvifiche discontinuità?
No.
cit.E se le visioni non fossero parziali, ma fossero visioni?
Lo sono ma, essendo relative a qualcosa di parziale non possono essere che parziali.
Se invece possiedi una visione ha senso chiedersi di quale completa visione sia parte?
Ha senso per me essere consapevoli che si tratta di una visione parziale. La visione completa sarebbe ipoteticamente possibile solo a un Dio, se esiste. Penso che questa prospettiva aiuiti ad allargare la visione.
cit.:Come si fa' a riconoscere la completezza di una visione , se a quella tendi?
Non si può, ma si può ampliarla sempre restando al fatto che è parziale. Più salgo sulla montagna più vedo l'insieme della valle, ma non vedo la valle oltre l'altra montagna.
cit.Come si fa' a sapere quando l'album è completo, se non c'è lo hanno dato?
Se intendi "l'album della conoscenza" (scientifica) non so se sarà mai completo. ma potrebbe rivelarsi anche poco interessante, dopo tutto, se in un futuro sarà possibile. Forse che la vita di Alexander è più piena e felice di quella di Teodosio lo spurgalatrine di Bisanzio? M'illudo di sì, ma forse Teosio, pur conoscendo (scientificamente) meno, si divertiva di più, chi lo sa!
Salve iano. Citandoti : "si muore e si vive secondo l'ordine del tempo e naturalmente, finché non è dimostrata l'unità compositiva dell'uomo, resta lecito affermare che alcune parti compositive di esso alla morte si annichiliscano e altre sopravvivano".Perdonami ma - secondo me - non ci siamo proprio : anche convenendo con te (cosa che contrasta con le mie convinzioni) circa la (es.: dualità) compositiva dell'uomo (corpo+anima) i conti non tornano.Alla morte nessuna parte può annichilirsi : i componenti materiali ed energetici di un corpo non lo possono fare poichè la loro fisicità sarà soggetta alle leggi della termodinamica, le quali negano la possibilità di creazioni o scomparse nel "nulla" (il quale, come tu saprai, è solo un concetto filosofico e non certo una dimensione fisica), prevedendo solamente la disorganizzazione, la dispersione di ciò che è fisico. Perciò la continuazione, sotto altre forme, della loro esistenza fisica.
A tal punto - se un annichilimento deve a tutti i costi esserci - non potrebbe che riguardare i componenti spirituali (anima, spirito etc.). Ma ciò vorrebbe dire che non potrebbe esistere l'immortalità spirituale (il nulla, se vogliamo farlo esistere a tutti i costi, sarebbe la mancanza sia della materialità che della spiritualità, no?).E quindi, quali sarebbero i componenti di noi stessi destinati a sopravvivere ? O anche qui siamo di fronte ai misteri della fede ??. Saluti.
Non è una mia citazione quella riportata nel tuo precedente post, Viator. 😊
Alcune precisazioni.
Citaz. Niko #42
Ma non vi viene in mente, signori che assumendo che il mondo/cosmo sia ingenerato e imperituro (e in qualche non immediatamente evidente senso noi con esso!), la domanda
"da dove veniamo" possa semplicemente essere mal posta?
Semplicemente perché un universo "ingenerato" e "imperituro" non è né religione e neppure scienza.
Chi parlò di "ingenerato e imperituro" fu un certo Parmenide della scuola di Elea riferito all'ESSERE. Quando Parmenide sostiene che l'essere non può diventare non-essere, attribuisce i sopra indicati attributi. Un universo ingenerato e imperituro come fa a diventare non- universo? Come fa a divenire, sarebbe eterno e senza tempo ,come fanno a formarsi galassie ,stelle sistemi planetari e le stelle avere internamente reazioni di fusioni atomica fino ad esaurirsi. E' l'evidenza prima ancora che la scienza a dichiarare che c'è una dinamica temporale universale. E perché noi viventi , nasciamo e moriamo se il sistema universale sarebbe ingenerato e imperituro?
Citaz. Niko
io credo piuttosto sia interno alla buona filosofia accogliere la domanda sulle origini solo ed esclusivamente nella misura in cui essa è utile alla felicità terrena.
E cosa si intende per felicità, la mia senza la tua, la nostra escludendo qualcuno, insomma quella egoistica o quella sociale? Direi più semplicemente che una buona filosofia è colei che speiga il motivo per cui debba esserci un "buon governo" della polis, della società e indichi i motivi e argomenti perché sia necessario esservi e come vi si giunge (la Repubblica e Leggi di Platone sono un buon esempio)
citaz. Niko
Qualcuno ha parlato di "vivere nel qui e ora" come se fosse una questione esclusivamente etica,
Beh, potresti indicare chi è quel "qualcuno", non mi offendo. Si può vivere anche senza morale, che per me è interpretabile come concetto razionale, nulla a che fare con istinti animali o pulsioni psicoanalitiche che da oltre un secolo si fanno elucubrazioni senza cavare un ragno nel buco, ma c'è sempre un'etica. L'etica la intendo come comportamento sociale, costruito quindi da miriadi di atti sociali: es. acquistare un giornale in edicola, fare un cenno di saluto, fare la coda....ai vaccini.
Nascono da convenzioni sociali, educazione famigliare e scolastica. Questo spiega perché ogni popolo umano, pur essendo tutti i popoli umani, hanno diversi comportamenti sociali: è la cultura che indirizza un modo di essere e di fare . Un'etica senza morale diventa essenzialmente fondata dalle forme giuridiche che limitano i singoli comportamenti sociali in funzioni di concetti ritenuti fondamentali nella società, ma può benissimo non fondarsi assolutamente su una morale.
Ma accade, come avviene periodicamente e poco tempo fa, che alti funzionati dell'antimafia, o il Presidente della Repubblica giustamente indichino che se la corruzione è molto diffusa è perché manca la moralità.........noi stiamo decadendo proprio in questo e le leggi non possono entrare nelle coscienze di ogni indviduo, non è questo il compito della scienza giuridica , manca educazione e "buon esempio" a cominciare dalle famiglie...che infatti decadono. La moralità è arrossire, avere una remore , avere il pudore della coscienza che un atto anche semplicemente di scortesia,come saltare una coda o fare i "furbetti" non si deve fare . Oggi si uccide ,si bruciano i cadaveri, si tengono in frigo........."fuori di testa" . Se non capiamo ancora che stanno saltando le più elementari remore, quei "freni inibitori" dettati dalla psicologia ,che sono evidenti sempre più i "malcostumi".....bisogna essere allenati alla cecità per non vedere che decadiamo sempre più.
La moralità non può insegnarlo la scienza moderna, che al massimo dice "è utile", "è opportuno", quindi tratta la morale come se fosse economia, come convenienza egoistica. Applica la teoria dei giochi alle teorie delle scelte e delle decisioni, ......come se fossimo algoritmi. E a me, pare chiaro dove l'umanità andrà a finire. Se non si compiono serie riflessioni che non sono solo di ambito disciplinare o interdisciplinare, come antropologia, sociologia, psicologia, che continuano a menarla da un secolo sull'utilitarismo, perché sono mainstream del sistema ,assecondano il sistema culturale in atto ,sono loro stesse ancelle del sistema culturale, finiremo male: a me pare sicuro. Cosa me ne faccio di una casa domotica ,dell'auto "connessa" a tik tok, facebook,....se ho paura dei miei simili , se tutto mi appare così precarizzato e mi fido della scienza ,ma non dei miei fratelli e sorelle? E' chiaro perché la morale è così importante? Si può essere allora felici per i comfort, ma chiusi in casa e con la paura a mezzanotte su un marciapiede quasi solitari di sentire passi dietro di sé e pensare male? La sicurezza, la felicità , la danno i comfort ?
Buon pomeriggio. Dato il mio post di stamattina che forse avrei dovuto citare, ma non mi va di citarmi scemo che sono. Rispondo un po' a tutti perché non riesco a rendermi conto se sapere che c'è un presunto errore nel quale siamo incappati inconsapevolmente e che troverebbe sede nella nostra odierna valutazione sul fenomeno dell'apprendere sia un motivo di interesse. Se non lo fosse, tolgo il disturbo da questo forum, anche con amarezza e delusione. Ciao
Citazione di: iano il 13 Maggio 2021, 14:01:59 PM
Non è una mia citazione quella riportata nel tuo precedente post, Viator. 😊
Salve iano. Mi scuso e, confermando le mie obiezioni, reindirizzo a niko. Saluti ad entrambi.
Buongiorno Daniele22
Puoi spiegare più dettagliatamente cosa intendi per "errore...che troverebbe sede nella nostra odierna valutazione sul fenomeno dell'apprendere"..Non riesco a interpretarlo bene. Grazie
FN è Friedrich Nietzsche, MH è Martin Heidegger, chiamati in causa da Paul11 nella sua lunga requisitoria contro il pensiero scientifico. Chiamati in causa intorno ai concetti metafisici di infinitoed eternosu cui il pensiero religioso, sin dalla notte paleolitica dei tempi, si interroga e va a nozze.
Chiariamo: non sono affatto un anti-scientifico. Il problema , e noto che è generalizzato al forum, è la tendenza a ragionare di scienza come nell'Ottocento. A differenza vostra conosco abbastanza bene religioni, scienze e filosofie e ognuna di queste forme di conoscenze ha dei limiti. Se appaio anti-scientifico è perché conducete voi stessi in maniera fideistica la scienza, facendola apparire come verità e certezza, cosa che la scienza stessa nega.
La scienza fisica e naturale conosce bene i suoi limiti, sa benissimo che nell'evoluzionismo non c'è una teoria unificatrice, come non c'è fra la meccanica classica, relatività e quantistica. Ma qui si esternano "verità" scientifiche come per contrappasso dantesco alle verità rivelate religiose.
Nessuna, religione, filosofia, scienza, ha una verità assoluta così potente da dire: "abbiamo capito tutto",............ci tocca fidarci e cercare, verificare ,riflettere, correlare,... se si fa esegesi ed ermeneutica come filologia è implicito che nessuna "scrittura" è così chiara in sè da dare a tutti, come dire, la conoscenza "suprema", possono indicare, segnalare per avere ognuno di noi un tentativo di risposta, una credenza su cosa siamo noi e che ci facciamo nel mondo, paracadutati da chissà quale destino, o pensarla in maniera opposta.
Ma dobbiamo capire, e lo ribadirò alla nausea, che quello che noi crediamo, fra verità e menzogna, edifica una cultura.
C'è chi crede nel Tao, chi al libretto rosso di Mao, chi pratica il buddismo, chi è islamico, chi cerca nelle particelle fisiche il segreto dell'universo, chi cerca esopianeti come la Terra in altri sistemi stellari e planetari, eccetera. Per edificare una cultura, non è necessario che sia sia trovata una verità, se la cultura è socialità l'importante è che quella cultura sia condivisa e costituisca una identità, come una bandiera, come un inno nazionale.
Le scienze non possono edificare da sole una cultura, le religioni sì. Le scienze sono un surplus culturale, un di più. Per questo indigeni nel cuore dell'Amazzonia vivono benissimo senza tecnologie scientifiche, ma non toglietegli la loro religione, perdono l'identità, perdono la bussola quella ragione intima che li tiene vivi.
La scienza, per quanto la cultura ormai da secoli tenti di esaltarla contro la religione, non ha le caratteristiche della religione, ed è quello che tento di far capire , non ne ha la stessa "forza", perché la scienza moderna, la tecnica, risponde ancora meno dell'assenza di DIO che non risponde. La scienza indaga nell'ignoto, Dio è anche e soprattutto l'ignoto e questa è una differenza abissale fondamentale. La scienza riempie lo spazio dell'indagine riportando conoscenze, ma Dio è tutto, è già presente da sempre nell'ignoto ,nello sconosciuto e conosciuto . E noi abbiamo paura dell'ignoto, di ciò che non possiamo controllare, di una malattia, di un imprevisto, di una perdita di lavoro, di una fine di un amore, di una morte, tutte cose che non rientrano nella scienza , perché vanno al di là della nostra volontà e la scienza è soprattutto volontà, ma non molto di più di questo.
Così trovo ridicole a mia volta, affermazioni che un tempo i miti erano favole.
Come dire che al bar sport dell'eden Adamo ed Eva per ammazzare il tempo con "dio" giocando a tresette con il morto si inventano genesi.........sono argomentazioni che qualunque studioso appena serio di archeologia, religioni, di civiltà antiche non si sognerebbe nemmeno di dire. Nelle origini sta la nostra identità, come nel luogo dove ciascuno di noi è nato.
Quando si parla di scienza si dimentica che dall'elettricità in poi, la scienza è "invisibile" ai sensi, oppure vedete le frequenze dell'elettricità , la velocità del fotone: siete supereroi ?
L'elettricità la si percepisce ......come un dito che prende la scossa. La relatività, la meccanica quantistica, tutto ciò che è particella, il coronavirus, la biochimica del DNA, le nanotecnologie............internet. intesa come rete virtuale il cloud, tutto invisibile, tutto fuori controllo dai sensi che sono adattamento all 'ambiente terrestre non alla tecnologia. Il cervello fa fatica a capire, perché conosce sempre meno per via esperienziale sensoriale, è solo apprendibile dai concetti teorici che applicano le tecnologie.
Il mondo cultural-tecnico-tecnologico, e se si pensa anche orami all'immaterialità del denaro che è "elettronico", è fuori dal controllo dei sensi . Questo costituisce un problema filosofico, chi utilizza e consuma conoscerà sempre meno del progetto e del progettista, come mi pare nell'esempio in una discussione di Phil sulle automobili autoguidate, automatiche, saremo sempre meno in grado di controllare. La morale è intrinseca al progetto, la privacy è nei cookies dei siti internet per sapere i nostri gusti e stili di vita e proporci quindi pubblicità personalizzata, il denaro è un chip elettronico, tutto questo sociologicamente è una nuova forma di divisione sociale delle conoscenze, di divisone delle organizzazioni e ulteriori proliferazioni e complessità , ma dove dal progettista all'utilizzatore/consumatore vi saranno sempre meno addetti essendo sempre più automatizzato il processo. L'utente/consumatore avrà quindi sempre più a che fare con voci umane elettroniche, "digita 1....digita 4......attendere operatore........"lo sconforto è la perdita di riferimenti umani rispetto a problemi reali quotidiani. Amo le scienze, per davvero, ma non sono affatto fideistico nei loro confronti e vedo disumanizzazione nel futuro, umani clonati, semiautomibiologici , cervelli ipercondizonati, A.I. che prende il totale sopravvento sull'uomo. Questa non è fantascienza, questo è il potere delle tecnica che l'uomo moderno ha fidelizzato e ormai è inarrestabile in questa cultura.
Quindi o si capisce la malattia della tecnica e quindi le sue controindicazioni e poi si cercano soluzioni, oppure questa è fede nel nichilismo, .....proprio come è espresso nella parusia ed escatologia cristiana.
Salve paul11. Citandoti : "Per questo indigeni nel cuore dell'Amazzonia vivono benissimo senza tecnologie scientifiche, ma non toglietegli la loro religione, perdono l'identità, perdono la bussola quella ragione intima che li tiene vivi".Gli indigeni o chiunque altro........non sappiamo proprio come vivano senza la tecnologia o che altro (spiritualità inclusa !) per la semplice ragione che la CONDIZIONE ESISTENZIALE delle persone (cioè il grado di sodisfazione individuale offerto dal proprio sopravvivere, dal proprio vivere.....e persino dal proprio trascendere !) NON E' MAI - ASSOLUTAMENTE - SOPPPESABILE da alcuno che non sia l'individuo stesso. Per farla semplice : nessuno può affermare che tizio sia più o meno felice di Caio.......attraverso l'osservazione delle condizioni esteriori della sua esistenza.Mi dispiace, ma trovo del tutto grottesca la tua opinione che considera la mancanza di ciò che non si è mai conosciuto.............quale possibile fonte di un "vivere benissimo senza.......". Evidentemente, a tuo parere, i cavernicoli erano convinti di vivere in paradiso o comunque sarebbero stati da te giudicati abitanti di luoghi strabordanti di misticismo.Che le scienze non possano da sole edificare una cultura, lo affermi tu : .............dipende solo dal significato che si vorrà dare al termine "cultura". Accumulo di conoscenze ? Creazione di un'etica ? Sistematica per il controllo delle coscienze ? Eredità storica fatta di miti, riti,totem, tabù e feticci ? Fedi e spiritualismi inoltre hanno avuto migliia e migliaia di anni a disposizione per radicarsi diventando "irrinunciabili"
Tutto ciò a detta di chi afferma di conoscere molto bene religioni, scienze e filosofie. Ottimi risultati deduttivi, allora, i tuoi. Saluti.
Ciao a tutti. Penso di dovervi delle scuse per essermi introdotto in questo forum in un modo a dir poco invadente. Unica attenuante è che vi sono approdato un po' logoro. Saluti intanto
Citazione di: paul11 il 13 Maggio 2021, 21:19:24 PM
... Le scienze non possono edificare da sole una cultura, le religioni sì. Le scienze sono un surplus culturale, un di più. Per questo indigeni nel cuore dell'Amazzonia vivono benissimo senza tecnologie scientifiche, ma non toglietegli la loro religione, perdono l'identità, perdono la bussola quella ragione intima che li tiene vivi.
Mi limito a questo rigettando ciò che viene prima in cui te la canti e te la suoni. Mi pare che nessuno in questo forum "filosofico" abbia mai feticizzato la scienza come si feticizza assai più facilmente la religione in quanto il feticcio è nel suo dna. Se per cultura si intende quella cosa integralista che intendi tu, purtroppo anche la scienza è capace di crearne una sulla quale, in contraddizione a ciò che dici qui, ti spertichi a fine post. Si chiama scientismo e costituisce un'identità aporetica come quella dell'integralismo religioso.
CitazioneCosì trovo ridicole a mia volta, affermazioni che un tempo i miti erano favole.
Come dire che al bar sport dell'eden Adamo ed Eva per ammazzare il tempo con "dio" giocando a tresette con il morto si inventano genesi.........sono argomentazioni che qualunque studioso appena serio di archeologia, religioni, di civiltà antiche non si sognerebbe nemmeno di dire. Nelle origini sta la nostra identità, come nel luogo dove ciascuno di noi è nato.
I primi a ritenere favolistiche le teatralizzazioni religiose furono proprio i filosofi del loro tempo ed il mito platonico della caverna è eloquente a tal proposito. Le mitologie, inclusa quella ebraica da te citata, sono funzionali alla conservazione del potere da parte delle caste religiose che al bar sport del palazzo lo esercitavano da appena gli umani cominciarono a giocare coi simboli e le narrazioni. I romani, pragmatici come sempre, deificarono l'imperatore e chiusero senza tanti fronzoli il circolo del potere.
Il finale è la solita geremiade contro la tecnoscienza con morale inumana incorporata. Non credo che la morale che per secoli, ed anche oggi, è intrinseca alle guerre e persecuzioni religiose, abbia pulpiti onorabili da cui poter lanciare le sue condanne. Meglio darsi una calmata e gestire il presente secondo un'etica che non nasce in nessun iperuranio teologico ma esclusivamente, se ce ne sono, dagli uomini di buona volontà.
Buonasera a tutti
Sono d'accordo con Paul11 quando afferma che su questo forum si feticizza in modo fideistico la scienza, dalla gran parte di coloro che scrivono ( al limite dell'odiosità in alcuni interventi. Cosa che potrebbe forse far desistere molti dal partecipare). Dico anche che sembra di tutta evidenza e le veementi smentite non fanno che confermare che è un punto "dolente".
Mi complimento con Paul per il suo post, che anche se non condivido tutto, dà sempre spunti interessanti su cui riflettere. Soprattutto sulla ricerca di senso e sullo "spazio esistenziale" del soggetto, chiamato a vivere l'alienazione.
Citazione di: paul11 il 13 Maggio 2021, 21:19:24 PM
Ma dobbiamo capire, e lo ribadirò alla nausea, che quello che noi crediamo, fra verità e menzogna, edifica una cultura.
C'è chi crede nel Tao, chi al libretto rosso di Mao, chi pratica il buddismo, chi è islamico, chi cerca nelle particelle fisiche il segreto dell'universo, chi cerca esopianeti come la Terra in altri sistemi stellari e planetari, eccetera. Per edificare una cultura, non è necessario che sia sia trovata una verità, se la cultura è socialità l'importante è che quella cultura sia condivisa e costituisca una identità, come una bandiera, come un inno nazionale.
Quando si parla di scienza si dimentica che dall'elettricità in poi, la scienza è "invisibile" ai sensi, oppure vedete le frequenze dell'elettricità , la velocità del fotone: siete supereroi ?
L'elettricità la si percepisce ......come un dito che prende la scossa. La relatività, la meccanica quantistica, tutto ciò che è particella, il coronavirus, la biochimica del DNA, le nanotecnologie............internet. intesa come rete virtuale il cloud, tutto invisibile, tutto fuori controllo dai sensi che sono adattamento all 'ambiente terrestre non alla tecnologia. Il cervello fa fatica a capire, perché conosce sempre meno per via esperienziale sensoriale, è solo apprendibile dai concetti teorici che applicano le tecnologie.
Ho sempre detto che è importante avere coscienza della propria filosofia , perché influenza la nostra vita, in quanto singoli, e possiamo sceglierla. È la nostra unica chance, in quanto non scegliamo la cultura, e di fatto neanche la religione.
Non scegliamo neanche i nostri sensi e quindi ereditiamo una percezione del mondo .
Condividiamo quindi questa percezione , e questo è un punto importante.
Se i sensi ci illudono, ci illudiamo insieme. Se ci ingannano ci inganniamo insieme.
Qualunque cosa pensiate dei sensi, vale per tutti insieme.
Ci concentriamo sulla critica dei sensi e dimentichiamo di sottolineare che qualunque cosa facciano, in positivo o in negativo, non avrebbe alcun valore e alcuna conseguenza di fatto, se non li condividessimo.
Non importa sapere come si sia arrivati a questa condivisione . Non tutto cio' facciamo passa per la nostra coscienza, tanto più se viene da lontano.
Lo stesso vale per la scienza. Il suo potere non sta nel fatto che ci dica o meno la verità , ma nel fatto che sia un impresa condivisibile e di fatto condivisa.
Amiamo raccontarla come l'invenzione di pochi geni, ma si tratta di una impresa collettiva.
Essa , al pari della percezione ci da' una visione comune, e conta più che sia comune, più che corrisponda a verità.
Conta poter sbagliare insieme per correggersi insieme.
Conta di meno invece il fatto che la "scienza sia invisibile , anche perché in effetti è solo "diversamente visibile".
Naturalmente non si tratta di una visione immediata, come avviene per i sensi .
E non è immediata, perché diversamente che per i sensi, è mediata dalla coscienza.
E' un modo diverso di vedere le cose, con i suoi pro e i suoi contro.
Ha il vantaggio della flessibilità. Possiamo modificare questa visione a piacimento se occorre, anche nel breve tempo.
I sensi invece vengono da lontano e vanno lontano .
Sono immodificabili. Se colonizziamo il pianeta dell'infrarosso e dell'ultravioletto ci ritroveremmo ciechi, se non fosse per la scienza.
Con la scienza possiamo vedere qualunque "invisibile sensoriale".
Quindi in sostanza concordo con te, ma ho credito di dover completare il tuo discorso.
La relatività di Einstein è partita da una immagine che ossessionava il giovane scienziato, dove egli si vedeva sfrecciare accanto a un raggio di luce, e non la vedeva com gli occhi.
Si dice che il modo in cui vediamo il mondo derivi dal successo , e quindi dalla condivisione dello spazio e del tempo Newtoniani , e che prima di allora gli uomini lo vedessero diversamente. Come dire che vediamo ciò che crediamo, angeli e madonne comprese.
Lo stesso non ha fatto è non farà' la Meccanica quantistica.
Ma questi sono solo dettagli.
Ciò che conta è la condivisibilta' e la condivisione, e in questo la scienza si affianca alla religione nell'opera di costruzione di società coese, nel bene e nel e nel male, immagine più, immagine meno.
Nel momento in cui la scienza smette di essere condivisa , l'impresa fallisce.
Sarebbe come se ognuno avesse i suoi sensi particolari, e ognuno andasse per la sua strada, che solo lui vede.
P.S. Poi non è neanche vero che la percezione sia immodificabile, ma questa è un altra storia.
Citazione di: daniele22 il 13 Maggio 2021, 22:48:36 PM
Ciao a tutti. Penso di dovervi delle scuse per essermi introdotto in questo forum in un modo a dir poco invadente. Unica attenuante è che vi sono approdato un po' logoro. Saluti intanto
Siamo con te Daniele. Fatti coraggio.
Ciao a tutti. Grazie Iano per la solidarietà. Confesso che ho trovato un attimo di smarrimento che è quello smarrimento che ti coglie quando ti sei preparato ad affrontare una questione e vedi che quella questione non esiste più. Noto con sollievo che il problema per qualcuno esiste, visto anche i post di Alexander e di Paul11. Mi chiedevo infatti come si possa affrontare una prassi che possa essere d'aiuto come strumento di governo facendo finta che non esistano le menzogne. L'unica soluzione sarebbe che Mattarella o chi per esso dicesse: Cari signori, qui mentono più o meno tutti, quindi regolatevi di conseguenza. D'altra parte Ipazia si affida ad una fantomatica etica fatta da uomini di buona volontà. Chi siano queste persone di buona volontà, auspicabili peraltro, non le vedo. Ho visto a suo tempo il partito dell'Italia dei Valori, poi ho visto il movimento 5 stelle. Io sto coi piedi per terra e sostengo che il ricorso alla menzogna è un istinto specialmente umano, ma non solo umano, dato che si è riscontrato che pure gli scimpanzé mettono in atto delle menzogne. Per quel che riguarda MH, per la minima conoscenza che ne ho, e qui chiedo senz'altro a voi che siete sicuramente più preparati, vorrei riferirmi alla "cura". E' chiaro che nell'istante del presente siano presenti sia l'esser davanti a se, che l'esser già in e l'esser presso, ma in questa tripartizione sembra, e dico sembra, che l'affettività o lo stato emotivo siano avulsi dal fenomeno della comprensione mentre a mio giudizio non vi sarebbe comprensione senza l'affettività. Per questo motivo penso che Heidegger abbia fallito. Il significato di un sostantivo, visto che la speculazione si rivolge alle cose (gli enti) è composto di due parti, una affettiva e una razionale. Noi ci dimentichiamo spesso della parte affettiva, ma a mio giudizio questo è un comportamento quasi scellerato se non scelleratissimo (forse scellerato è già un superlativo assoluto). Saluti
Buongiorno Daniele22
Il problema è che non serve certo Mattarella per capire che tutti noi mentiamo. Mentire è però un termine non del tutto esatto. Se io conosco ciò che è vero e consapevolmente lo nego, allora mento (in primis a me stesso), ma noi non conosciamo ciò che è "vero" e quindi escogitiamo un sistema collettivo di illusioni che ci appaia almeno vero-simile. Questo sistema ci permette di controllare la fondamentale angoscia esistenziale che proviamo. Il bisogno di sicurezza psicologica è fortissimo: la mente ha bisogno di sentirsi al sicuro, in qualche modo. Ecco allora che strumenti come la religione e la scienza hanno un grande potere di fascinazione. Un sistema di pensiero che affascina e che rassicura è cibo nobile per la mente umana ( naturalmente poi di tutti e due ci si fa sopra pure un bel business). Ognuno, in modo diverso, cerca questa sicurezza e tanto più un pensiero è collettivo tanto più aumenta , illusoriamente, questa rassicurazione ("Se tutti lo credono, allora dev'essere vero.Meglio che ci creda anch'io"...è questo più o meno il ragionamento interiore che si fa). Un menzogna collettiva, per fare un esempio, tipo: "La natura è bella", finisce per costruire un mondo, indipendentemente dal fatto che lo sia, o che tutti provino questo sentimento verso di essa . L'importante è che, nella rassicurazione collettiva, si affermi la menzogna/illusione/fascinazione. Naturalmente poi diventa luogo comune, tendenza, moda e quant'altro serva per cementare questa menzogna collettiva, rendendola così apparentemente più "reale". E se la natura tradisce questa fascinazione, come è successo con la pandemia, allora si escogitano pensieri collettivi che tentano di salvare l'illusione, "estraendo" una parte dal tutto e utilizzando nuovamente il fascino dato da termini come "lotta", "guerra", ecc., da sempre utilizzati dall'umanità, per dare un senso all'imprevedibilità che ha colpito proprio la sicurezza illusoria. La fascinazione che proviamo dal contatto dei sensi con quel qualcosa che c'è "là fuori" è già una ricerca di senso, si può dire.
P.S. Anch'io sono piuttosto logoro. E non lo dico per "rassicurarti" :'(
Citazione di: Alexander il 13 Maggio 2021, 23:42:06 PM
Buonasera a tutti
Sono d'accordo con Paul11 quando afferma che su questo forum si feticizza in modo fideistico la scienza, dalla gran parte di coloro che scrivono ( al limite dell'odiosità in alcuni interventi. Cosa che potrebbe forse far desistere molti dal partecipare). Dico anche che sembra di tutta evidenza e le veementi smentite non fanno che confermare che è un punto "dolente".
Mi complimento con Paul per il suo post, che anche se non condivido tutto, dà sempre spunti interessanti su cui riflettere. Soprattutto sulla ricerca di senso e sullo "spazio esistenziale" del soggetto, chiamato a vivere l'alienazione.
Hai voja a contare le vagonate di alienazione che ci siamo cuccati in millenni di feticismo religioso. E meno male che oggi ci dobbiamo sorbire solo quelle della tecnoscienza che non avendo la verifica nell'iperuranio, e nei suoi trafficanti terreni, è molto più facilmente riformabile. Non so che "spazio esistenziale" avessero Galileo o Giordano Bruno quando non c'era l'alienazione tecnoscientifica, ma sono convinta che se la sarebbero sfangata assai meglio ai tempi nostri.
Citazione di: daniele22 il 14 Maggio 2021, 09:29:06 AM
Ciao a tutti. Grazie Iano per la solidarietà. Confesso che ho trovato un attimo di smarrimento che è quello smarrimento che ti coglie quando ti sei preparato ad affrontare una questione e vedi che quella questione non esiste più. Noto con sollievo che il problema per qualcuno esiste, visto anche i post di Alexander e di Paul11. Mi chiedevo infatti come si possa affrontare una prassi che possa essere d'aiuto come strumento di governo facendo finta che non esistano le menzogne. L'unica soluzione sarebbe che Mattarella o chi per esso dicesse: Cari signori, qui mentono più o meno tutti, quindi regolatevi di conseguenza. D'altra parte Ipazia si affida ad una fantomatica etica fatta da uomini di buona volontà. Chi siano queste persone di buona volontà, auspicabili peraltro, non le vedo. Ho visto a suo tempo il partito dell'Italia dei Valori, poi ho visto il movimento 5 stelle. Io sto coi piedi per terra e sostengo che il ricorso alla menzogna è un istinto specialmente umano, ma non solo umano, dato che si è riscontrato che pure gli scimpanzé mettono in atto delle menzogne. Per quel che riguarda MH, per la minima conoscenza che ne ho, e qui chiedo senz'altro a voi che siete sicuramente più preparati, vorrei riferirmi alla "cura". E' chiaro che nell'istante del presente siano presenti sia l'esser davanti a se, che l'esser già in e l'esser presso, ma in questa tripartizione sembra, e dico sembra, che l'affettività o lo stato emotivo siano avulsi dal fenomeno della comprensione mentre a mio giudizio non vi sarebbe comprensione senza l'affettività. Per questo motivo penso che Heidegger abbia fallito. Il significato di un sostantivo, visto che la speculazione si rivolge alle cose (gli enti) è composto di due parti, una affettiva e una razionale. Noi ci dimentichiamo spesso della parte affettiva, ma a mio giudizio questo è un comportamento quasi scellerato se non scelleratissimo (forse scellerato è già un superlativo assoluto).
Qui si discute e non si mangia nessuno. Si "curano" tutte le posizioni ideologiche con molto rispetto, ma senza fare sconti alle "menzogne". Nessuno dei presenti ignora la condizione di alienazione del presente, ma non nascondiamoci dietro l'argomento dei bei tempi andati quando imperversavano modelli etici religiosi che, con onestà intellettuale, mi pare che di sfracelli ne stiano facendo anche ai tempi nostri in medio oriente e ovunque vi siano contrapposizioni religiose; spesso anche da noi, per quei malcapitati che incontassero l'invasato della vera fede per strada.
La "cura", appunto. Mica te la regala nessuno, ed era ancora meno garantita quando regnavano incontrastate le etiche religiose. Non possiamo certo attribuire al povero Heidegger la responsabilità del miracolo non avvenuto. Non c'è alternativa agli uomini di buona volontà, nè in cielo, nè in terra, nè in ogni luogo. Che poi credano o non credano agli dei è insignificante. E poichè siamo nella sezione spirituale, fuori da ogni illusione e rispondendo ad Heidegger,
solo lo spirito umano ci può salvare. Solo l'umanesimo, che trae la sua ispirazione dall'immanenza e dalla sua problematicità.
Citazione di: Alexander il 14 Maggio 2021, 10:31:43 AM
Buongiorno Daniele22
Il problema è che non serve certo Mattarella per capire che tutti noi mentiamo. Mentire è però un termine non del tutto esatto. Se io conosco ciò che è vero e consapevolmente lo nego, allora mento (in primis a me stesso), ma noi non conosciamo ciò che è "vero" e quindi escogitiamo un sistema collettivo di illusioni che ci appaia almeno vero-simile. Questo sistema ci permette di controllare la fondamentale angoscia esistenziale che proviamo. Il bisogno di sicurezza psicologica è fortissimo: la mente ha bisogno di sentirsi al sicuro, in qualche modo. Ecco allora che strumenti come la religione e la scienza hanno un grande potere di fascinazione. Un sistema di pensiero che affascina e che rassicura è cibo nobile per la mente umana ( naturalmente poi di tutti e due ci si fa sopra pure un bel business). Ognuno, in modo diverso, cerca questa sicurezza e tanto più un pensiero è collettivo tanto più aumenta , illusoriamente, questa rassicurazione ("Se tutti lo credono, allora dev'essere vero.Meglio che ci creda anch'io"...è questo più o meno il ragionamento interiore che si fa). Un menzogna collettiva, per fare un esempio, tipo: "La natura è bella", finisce per costruire un mondo, indipendentemente dal fatto che lo sia, o che tutti provino questo sentimento verso di essa . L'importante è che, nella rassicurazione collettiva, si affermi la menzogna/illusione/fascinazione. Naturalmente poi diventa luogo comune, tendenza, moda e quant'altro serva per cementare questa menzogna collettiva, rendendola così apparentemente più "reale". E se la natura tradisce questa fascinazione, come è successo con la pandemia, allora si escogitano pensieri collettivi che tentano di salvare l'illusione, "estraendo" una parte dal tutto e utilizzando nuovamente il fascino dato da termini come "lotta", "guerra", ecc., da sempre utilizzati dall'umanità, per dare un senso all'imprevedibilità che ha colpito proprio la sicurezza illusoria. La fascinazione che proviamo dal contatto dei sensi con quel qualcosa che c'è "là fuori" è già una ricerca di senso, si può dire.
P.S. Anch'io sono piuttosto logoro. E non lo dico per "rassicurarti" :'(
Concordo, ma come dice Daniele tendiamo a trascurare quella parte emotiva di noi che ci fa' dire ad esempio che la natura è bella.
Ciò razionalmente non significherebbe nulla, ma solo perché non conosciamo il processo che genera il giudizio.
Buongiorno Ipazia.
Chi mai ha parlato di "bei tempi andati" ? e' un argomento che tiri fuori spesso per denigrare il pensiero di chi la vede magari diversamente da te. Sono stupidaggini. Newton, se fosse vissuto ai giorni nostri, cosa ovviamente impossibile, magari si sarebbe dedicato a fare gli oroscopi in Tv, ben remunerato.
Tutta l'argomentazione di Paul11 si regge sulla contrapposizione tra i tempi andati religiosi e la tecnoscienza moderna, come da titolo della discussione. Siccome tu sei tra quelli che sostiene tale posizione, non sto denigrando nessuno ma mettendo i puntini sulle i.
Io non ho letto affatto in quel modo il post di Paul11, nel senso di una contrapposizione. I "tempi" non sono mai stati "belli" e, se adesso c'è gente con più beni materiali di un tempo, ci sono ancora bambini sotto le bombe e milioni che muoiono di fame. Noi abbiamo una visione distorta del mondo perchè siamo ancora dalla parte di quelli "con la pancia piena". Il post di paul11 io l'ho letto come un tentativo di trovare un senso all'interno e soprattutto nel futuro di un'umanità sempre più asservita ad un pensiero unico.O anche come cercare di fare della filosofia invece di una stucchevole diatriba "è meglio questo, no è meglio quello".
E allora Paul11 e chi sostiene le sue tesi deve anche ponderare quanto della cultura che predilige è responsabile anche dei guasti attuali in cui i conflitti più cruenti, insanabili ed eterni sono proprio quelli su base religiosa. E non solo guerre, ma anche procreazione irresponsabile, usata come arma e spesso generata da una cultura della violenza di genere altrettanto fondata su basi culturali religiose. Insomma di carne al fuoco ce n'è tanta prima di arrivare ai misfatti della tecnoscienza.
Salve a tutti. Purtroppo sono di fretta, non ho letto nel dettaglio i vari interventi. Mi ricordo di Ipazia, di sicuro non ci piove Ipazia che tutto è demandato alla Buona Volontà, ma vorrei vedere il povero volgo che è sgomento proprio per questioni che riguardano l'autorevolezza delle istituzioni come reagirebbe se Mattarella gli dicesse che per natura ogni uomo agisce in primo luogo per i propri imperscrutabili interessi. Sarebbe uno schock culturale forse anche di gran lunga superiore a quello che subì il popolo giapponese quando l'imperatore dichiarò che con Dio lui non c'entrava nulla. La pubblicità istituzionale di un fatto non è cosa di poco conto. La filosofia, che niente altro esprime se non una particolare sensibilità per il pensiero e l'azione, dovrebbe farsi anche carico di questo fatto per agire in certa misura nella vita pubblica. Per quanto riguarda Iano: se uno dice che la natura è brutta o bella è solo forse per la sua sensibilità a coglierne gli aspetti più brutti o più belli. Tu dici che non sai da dove arrivi il giudizio; proprio per questo io chiedevo di Heidegger e della conoscenza o comprensione, giacché sarebbe proprio la sensibilità a generare la ragione. Saluti
Buon pomeriggio Ipazia
Che l'uomo si sia servito anche della religione per i suoi misfatti è un fatto, ma non dobbiamo dimenticarci che i due più sanguinosi e devastanti conflitti che abbiamo conosciuto non sono scoppiati per motivi religiosi,ma come approdo dell'imperialismo coloniale perseguito dalle potenze occidentali nella seconda metà dell'Ottocento, ammantandosi poi di una retorica politica ed etnico-razziale e non religiosa. Abbiamo avuto e abbiamo anche esempi all'incontrario, cioè di persecuzioni attuate da stati con politiche atee contro minoranze, e non solo, religiose, come il caso degli Uiguri in Cina, minoranza di origine turco-islamica, o più indietro i massacri perpretati dai Khmer rossi comunisti di Pol Pot contro la popolazione buddhista. Insomma , ne abbiamo per tutti i gusti e quasi tutti i sistemi hanno mani sporche di sangue. Quindi il problema non è la religione o la scienza in sé, ma l'uso che se ne fa.
Mi sembra però che stiamo andando OT.
P.S. Daniele aumenta la dimensione dei caratteri. Così è illeggibile. :)
Perfetto, quindi la contrapposizione non è tra religione e (tecno)scienza, ma nell'uso che di entrambe se ne fa. Sgombrato il mantra anti tecnoscientifico si torna i.t. con lo spirituale umano, restituendogli in toto la responsabilità morale degli strumenti ideologici, teorici e tecnici da esso generati e utilizzati. Responsabilità presidiata dal terzo fin qui escluso: la filosofia e la sua articolazione etica. Che è la vera chiave di volta del problema e unica salvatrice idonea allo scopo.
Bisogna in questo forum avere un sacco di pazienza ...quella biblica.
Cercherò di ripondere in modo pacato e non a veemenze tipiche di antireligiosi e intolleranti .
Quando Viator ritiene che il sottoscritto abbia fatto parametri, fra popolazioni esistenti "primitive" e l'uomo occidentale post moderno, sulla felicità, probabilmente non ha letto bene ciò che ho scritto ,eppure lo ha citato ed evidenziato , E' l'IDENTITA che ho posto non la felicità...... studi di ETNOLOGIA che è una disciplina umanistica ( e non religiosa), branca dell antropologia, di etnologi che hanno studiato vivendo all'interno con quei popoli condvidendone i costumi socio culturali.
Dove è scritto che la mia posizione sia "è migliore il passato dell'oggi"? Continuate a non capire la mia posizone.
Il problema è l'UOMO inteso come umanità, non se si veste di pelli o armani.
L'uomo non è cambiato da millenni, quante volte devo scriverlo nel forum.
L'umanesimo ha fallito quando ha pensato che il progresso tecnico scientifco avrebbe migliorato progressivamente anche l'uomo, non solo la condizione materiale umana, Quindi e lo ribadisco, c'è una bella differenza fra l'uomo che governa se stesso e il mondo delle cose, e dall'altra le conoscenze delle scienze e l'applicazione delle tecnologie. Lo scontro allora sarebbe non fra scienza e religione, ma fra le relazioni uomo/religione e uomo/tecnica, vale a dire l'uomo che vive la religione, e l'uomo che vive la tecnica.
La mia tesi, e la storia lo insegna, è che l'uomo per quanti progressi tecnici possa conseguire, rimane sempre lo stesso, può fare del bene e può fare del male, quindi non è la tecnica che influisce sull'uomo, è l'uomo che si illude che la tecnica possa migliorarlo umanamente. Ci siamo capiti fin qui? Capire non vuol dire necessariamente condividere.
L'altra mia tesi è che proprio per questo motivo, (l'uomo la cui tecnica progredisce non migliora se stesso umanamente ), ha necessità di avere una morale e seguire comportamenti etici .
Nei miei post ho argomentato sui sintomi sociali e umani della differenza fra religione e tecnoscienza. La religione insegna con la morale il limite di "rispetto" verso Dio e i propri simili, la tecnica per sua natura è illimitata e inarrestabile, perché dà potere militare, politico, economico, non ha una morale, è l'uomo che decide come usarla, applicarla
Questo non significa, che l'uomo antico fosse migliore di quello moderno, perché si uccideva, rubava, si facevano guerre , ieri come oggi. Ma la morale fa capire chi sta facendo bene e chi compiva il male, il parametro è la giustizia che nessuna scienza può insegnare.
Può darla o una religione oppure una filosofia metafisica "forte".
Questa morale ,essendo inscritta nelle religioni, era socialemtne condivisa: questo è importante capire. Oggi una persona ha sempre meno una morale condivisa comune, ognuno si fa una propria morale, in base alla propria indole, educazione, quindi la morale è "personale" sempre meno condivisa e sempre più individualistica, quell'individualismo tipico della modernità che esalta l'egocentrismo, a dimostrazione che la tecnoscienza non evolve , ma può e questo a mio parere è accaduto, involve l'uomo., lo fa decadere.
Quando rispondendo alla domanda dell'incipit della discussione ,di come religione e scienze interpetano il passato, presente e futuro , ho posto anche la "terza via" filosofica. Ho scelto due autori "anti-modernisti" che non seguono un pensiero religios e neppure tecnico, anzi ne fanno critiche. La mia tesi è che non è il super uomo o l'eterno ritono di Nietzsche ad indicarmi una via, non è l'orizzonte di senso heideggeraino a darmi senso sull'esistenza se non scioglie il nodo di cosa sia l'Essere, non basta cercare di definire l'esser-ci, ho bisogno di tracciare la linea di senso che passi nell'oggi(il qui ed ora) ma che necessariamente ha un'origine e dopo un fine, il prima e dopo l'esistenza .Vale dire l'esistenza di ogni umano, la vita, ha senso se il percorso ha un'origine e una fine, non è bastevole l'esistenza presa in se stessa.
Questo è a grandi lineee ,ciò che penso.
Ci siamo capiti?....spero.
Ci siamo capiti Paul, e non condivido.
La tecnica non migliora ne' peggiora l'uomo, in quanto essa è l'uomo., e in quanto condivisa è l'umanità.
Legittimamente abbiamo due visioni distinte e diverse di cosa sia uomo, o se preferisci ne diamo una diversa definizione.
Sarebbe legittimo chiedersi quale sia l'origine dell'uomo se fosse scontato cosa esso sia.
Ma così non è, come le nostre diverse visioni dimostrano, e se non si specifica di cosa parliamo, allora non ha senso chiedersi quale sia la sua origine.
E anche quando ne diamo una definizione in chiaro, nel chiedersi quale sia la sua origine ,la risposta non può non risentire della relativa definizione data.
La mia definizione di uomo non è quella giusta, ma nel momento in cui riconosco che non ve ne è una giusta, sono chiamato a giustificare la mia scelta particolare, quantomeno nella misura in cui è stata una scelta cosciente.
Il motivo è che tale definizione esclude che la tecnica sia alienante per l'uomo, evitando così di dover rappresentare ciclicamente lo stesso dramma, dove la nuova tecnica in via di condivisione , quella nuova, interpreta il cattivo e quella passata , ormai pienamente condivisa e quindi inglobata , interpreta il buono.
Così tu non dirai mai che la scrittura peggiori l'uomo, eppure di tecnica si tratta, si, ma del passato, per quanto ancora attuale, tanto da essere indiscutibilmente parte di noi.
Per le stesse religioni possiamo distinguere un prima e un dopo della scrittura.
Un prima e un dopo Radio Maria, e amen , e così via.
Salve paul11. Ci siamo capiti ? Ma se riuscissimo a capirci il forum chiuderebbe. La distinzione che tu fai all'interno dell'umanità è quella tra l'homo idealis e l'homo pragmaticus.
Io sono d'accordo con te nel sostenere che queste due tipologie psichiche (molto, molto molto prima che esistenziali, mentali, filosofiche, culturali etc. etc. etc.) rappresentino la distinzione fondamentale tra gli umani. Solamente, sono profondamente convinto che la prima categoria rappresenti una secca minoranza (della quale io non ritengo di fare parte). Io faccio parte dei pragmatici e quando scrivo lo faccio per sostenere una maggioranza (in sè democratica, come tutte le maggioranze......o no?) e non certo per fare cambiare opinione (dovrei meglio dire : sensibilità interiore) alla minoranza di idealisti cui tu appartieni.
A questo punto, citandoti : "La mia tesi, e la storia lo insegna, è che l'uomo per quanti progressi tecnici possa conseguire, rimane sempre lo stesso, può fare del bene e può fare del male, quindi non è la tecnica che influisce sull'uomo, è l'uomo che si illude che la tecnica possa migliorarlo umanamente. Ci siamo capiti fin qui? Capire non vuol dire necessariamente condividere".
Voglio solo dirti che, mentre da una parte sono d'accordissimo nel trovare che l'"animo" umano non cambia attraverso la storia, dall'altra sono convinto che all'uomo stesso (almeno alla maggioranza del genere umano che ho citato qui sopra) non freghi proprio il "migliorarsi" (non devi neppure spiegarmi cosa intenderesti con tale relativissimo termine : credo per te significhi : "cambiare nel senso desiderato dagli idealisti") ma assai di più lo "stare bene" (che per me significa salute, risorse sufficienti, sicurezza sociale ed altre piccolezze).
Poi , sono anche convinto che gli idealisti possiedano - ad esempio - un QI (Quoziente Intellettivo) seccamente superiore a quello dei pragmatisti-materialisti (è questa la ragione per la quale la maggioranza, essendo meno dotata intellettivamente, è spesso portata AD ESAGERARE nell'accumulo di ciò che è convinta la farà stare BENE (I BENI), mentre invece tale eccesso la farà prima o poi stare male, come osservi giustamente tu).
Ma nei confronti di tale aspetto io resto comunque dalla parte della democrazia, cioè troverei giusto che il mondo sia governato dai pragmatisti anche se essi risultino più stupidi degli idealisti.
Spero di non esserci capiti.................in tal modo la discussione potrà proseguire con giubilo di tutti gli amici forumisti. Saluti.
Citazione di: paul11 il 14 Maggio 2021, 16:00:50 PM
L'uomo non è cambiato da millenni, quante volte devo scriverlo nel forum.
Già questa è un'affermazione totalmente arbitraria. Siamo passati dalla legge della clava al diritto positivo. C'è molto fumo in tale passaggio, ma anche una buona dose di arrosto che si misura in attesa di vita e in un uso più controllato della violenza e della sopraffazione.
CitazioneL'umanesimo ha fallito quando ha pensato che il progresso tecnico scientifico avrebbe migliorato progressivamente anche l'uomo, non solo la condizione materiale umana,
Errore. L'umanesimo è nato con la riscoperta delle humane litterae, ovvero della filosofia classica. Scoperta che permise di uscire dal claustrofobico dogmatismo cristiano in un'epoca in cui la tecnoscienza era di là da venire.
CitazioneQuindi e lo ribadisco, c'è una bella differenza fra l'uomo che governa se stesso e il mondo delle cose, e dall'altra le conoscenze delle scienze e l'applicazione delle tecnologie. Lo scontro allora sarebbe non fra scienza e religione, ma fra le relazioni uomo/religione e uomo/tecnica, vale a dire l'uomo che vive la religione, e l'uomo che vive la tecnica.
Distinzione assai artificiosa e malposta che mette in grandi difficolta qualsiasi ingegnere religioso. Gli uomini vivono di ideologia (religiosa o laica)
e di tecnica. Fin dall'invenzione della ruota e del fuoco.
CitazioneLa mia tesi, e la storia lo insegna, è che l'uomo per quanti progressi tecnici possa conseguire, rimane sempre lo stesso, può fare del bene e può fare del male, quindi non è la tecnica che influisce sull'uomo, è l'uomo che si illude che la tecnica possa migliorarlo umanamente. Ci siamo capiti fin qui? Capire non vuol dire necessariamente condividere.
L'altra mia tesi è che proprio per questo motivo, (l'uomo la cui tecnica progredisce non migliora se stesso umanamente ), ha necessità di avere una morale e seguire comportamenti etici .
Cosa che qualsiasi filosofia umanistica non religiosa, da Epicuro a Marx, ha avuto chiarissima nella sua testa. Ma la migliore morale, la storia insegna, non la dà la religione, legata a dogmi e pratiche incapaci di adattarsi all'evolversi della condizione umana, bensì una cultura laica, non dogmatica, umanistica. Centrata sui bisogni e desideri umani dei quali cerca la sintesi migliore possibile, il
bene comune, senza preclusione alcuna verso tutto ciò che, religioso o profano, al bene comune contribuisce.
CitazioneNei miei post ho argomentato sui sintomi sociali e umani della differenza fra religione e tecnoscienza. La religione insegna con la morale il limite di "rispetto" verso Dio e i propri simili, la tecnica per sua natura è illimitata e inarrestabile, perché dà potere militare, politico, economico, non ha una morale, è l'uomo che decide come usarla, applicarla
Questo non significa, che l'uomo antico fosse migliore di quello moderno, perché si uccideva, rubava, si facevano guerre , ieri come oggi. Ma la morale fa capire chi sta facendo bene e chi compiva il male, il parametro è la giustizia che nessuna scienza può insegnare. Può darla o una religione oppure una filosofia metafisica "forte".
La tecnoscienza non ha alcuna pretesa di illimitatezza, a differenza della religione, perchè confrontandosi quotidianamente con la realtà è ben consapevole dei propri limiti. Che la religione insegni il rispetto verso gli uomini dovresti andarlo a spiegare agli inquisitori medioevali e ai martiri attuali dell'islamismo. Non credo ti darebbero molto ascolto, presi come furono e sono dal "rispetto" verso il loro Dio che non fa prigionieri. La morale si è evoluta anche, per non dire soprattutto, contro la religione. Il fallimento della morale religiosa è, per durata nel tempo, ben più imponente del fallimento dell'umanesimo, che si guarda bene dallo sposare metafisiche "forti", perchè sa che hanno il verme dell'integralismo dogmatico incorporato. L'unica metafisica "forte" che l'umanesimo può mettere in campo è debole per sua natura: l'umano.
CitazioneQuesta morale ,essendo inscritta nelle religioni, era socialmente condivisa: questo è importante capire. Oggi una persona ha sempre meno una morale condivisa comune, ognuno si fa una propria morale, in base alla propria indole, educazione, quindi la morale è "personale" sempre meno condivisa e sempre più individualistica, quell'individualismo tipico della modernità che esalta l'egocentrismo, a dimostrazione che la tecnoscienza non evolve , ma può e questo a mio parere è accaduto, involve l'uomo., lo fa decadere.
Il
socialmente condiviso non garantisce nulla. Anche l'antisemitismo è stato socialmente condiviso da secoli di generazioni cristiane ed abbiamo visto dove ha portato. Il rispetto di un'area etica "personale" è stato conquista di civiltà. Contrapporre maneisticamente società e individuo è fallace tanto sul piano etico che antropologico. La partita in gioco è tra interesse pubblico e interesse privato, ma non è certo una teocrazia, con tutti i suoi dogmi e anacronismi, che può risolverlo. Ci vuole buona filosofia e buona scienza per risolverlo. Ovvero umanesimo.
CitazioneQuando rispondendo alla domanda dell'incipit della discussione ,di come religione e scienze interpetano il passato, presente e futuro , ho posto anche la "terza via" filosofica. Ho scelto due autori "anti-modernisti" che non seguono un pensiero religios e neppure tecnico, anzi ne fanno critiche. La mia tesi è che non è il super uomo o l'eterno ritono di Nietzsche ad indicarmi una via, non è l'orizzonte di senso heideggeraino a darmi senso sull'esistenza se non scioglie il nodo di cosa sia l'Essere, non basta cercare di definire l'esser-ci, ho bisogno di tracciare la linea di senso che passi nell'oggi (il qui ed ora) ma che necessariamente ha un'origine e dopo un fine, il prima e dopo l'esistenza .Vale dire l'esistenza di ogni umano, la vita, ha senso se il percorso ha un'origine e una fine, non è bastevole l'esistenza presa in se stessa.
Questo è a grandi lineee ,ciò che penso.
Ci siamo capiti?....spero.
C'eravamo capiti anche prima e sottoscrivo la risposta di iano. Il punto di di convergenza non può essere nel "prima e dopo l'esistenza" di cui nessuno ha la chiave, e chi dice di averla mente sapendo di mentire. Soltanto nell'esserci qui ed ora è possibile ragionevolmente individuare una "linea di senso" condivisa. Non sposo certo la ricetta nicciana, sepolta a Stalingrado, ed anche quella marxista necessita di una accurata revisione. Il transumanesimo tantomeno può essere quello scientista, inoculato di cattivo infinito capitalistico. Il fuoco del discorso antropologico gravita intorno al senso di comunità e bene comune. Con tante pietre d'inciampo lungo il cammino. Già gestire decentemente l'esserci è impresa titanica. Ben più impegnativa di un Essere e una morale postulati a tavolino.
Citazione di: iano il 14 Maggio 2021, 18:02:40 PM
Ci siamo capiti Paul, e non condivido.
La tecnica non migliora ne' peggiora l'uomo, in quanto essa è l'uomo., e in quanto condivisa è l'umanità.
Legittimamente abbiamo due visioni distinte e diverse di cosa sia uomo, o se preferisci ne diamo una diversa definizione.
Sarebbe legittimo chiedersi quale sia l'origine dell'uomo se fosse scontato cosa esso sia.
Ma così non è, come le nostre diverse visioni dimostrano, e se non si specifica di cosa parliamo, allora non ha senso chiedersi quale sia la sua origine.
E anche quando ne diamo una definizione in chiaro, nel chiedersi quale sia la sua origine ,la risposta non può non risentire della relativa definizione data.
La mia definizione di uomo non è quella giusta, ma nel momento in cui riconosco che non ve ne è una giusta, sono chiamato a giustificare la mia scelta particolare, quantomeno nella misura in cui è stata una scelta cosciente.
Il motivo è che tale definizione esclude che la tecnica sia alienante per l'uomo, evitando così di dover rappresentare ciclicamente lo stesso dramma, dove la nuova tecnica in via di condivisione , quella nuova, interpreta il cattivo e quella passata , ormai pienamente condivisa e quindi inglobata , interpreta il buono.
Così tu non dirai mai che la scrittura peggiori l'uomo, eppure di tecnica si tratta, si, ma del passato, per quanto ancora attuale, tanto da essere indiscutibilmente parte di noi.
Per le stesse religioni possiamo distinguere un prima e un dopo della scrittura.
Un prima e un dopo Radio Maria, e amen , e così via.
Sei però d'accordo quando sostengo che la religione risponde meglio alla suddivisone del passato(origine), prensente (qui ed ora), e fine (dopo la morte fisica), almeno così mi è parso.
Quindi a me pare che sei tu che devi chiarirti e lo dico cortesemente
Se si toglie la cosmogonia/cosmologia alle religioni così come la parusia ed escatologia, cioè l'origine umana e la fine dei tempi universali, persino le Chiese crollano ,come istituzioni clericali secolarizzate , così come spariscono i partiti comunisti se togli la loro idea di comunismo.......diventano altro, ma non sono più portatori di una idea originaria e originale. La tecnoscienza del solo uomo occidentale ha dovuto farne una ideologia, un "cappello" culturale per resistere negli ultimi cinque secoli, se non fosse stato così sarebbe finita anch'essa con le prime "crisi teoriche scientifiche". E mi riferisco alla crisi teorica e pratica delle scienza a cavallo del Novecento, quando hanno riscritto gli assiomi della matematica, della geometria, l'unificazione dell'elettricità con il magnetismo di Maxwell, e poi la meccanica classica insieme a quella della relatività generale e ristretta, la meccanica quantistica.........l'epistemologia ha necessariamente inserito la teoria della "falsificazione"popperiana per sostenere i profondi mutamenti deggi assetti teorici scientifici . Se questa è la scienza allora è ovvio che nasca in filosofia il "pensiero debole" con il relativismo, se la filosofia sposa anch'essa, come ha fatto la grande maggioranza del pensiero filosofico . Una cultura che poggia sulle sabbie mobili, ha poco senso umanamente- Questa non vuole essere una critica antiscientifica, non vorrei daccapo essere male interpretato, questa è la natura tecnoscientifica che non può dare, per sua costante e mutevole pensiero, stabilità e sicurezza. Costruisce continuamente mutevoli scenari anche nel sistema sociale e politico economico . Allora non capisco chi sposa questo pensiero come possa a sua volta non contraddirsi quando critica il sistema socio-economico-politico.
Detto altrimenti, se le religioni dichiarano i primi tempi e gli ultimi tempi, la tecnoscienza non può dirti nemmno fra cinquant'anni come sarà configurato il sistema socio economico .
E a mio parere, non avendo una morale, che può nascere solo da un pensiero "forte",non ha alcun mezzo, alcun pensiero che possa in qualche modo indirizzare la tecnica ad un sistema più umano , a misura dell'uomo non della tecnoscienza con tutte le sue ricadute nel sociale. Non so se sono riuscito a spiegarmi . Chi fa l'anticapitalista dentro il sistema tecnoscientifico è un illuso e ingenuo.
Infine per togliere dei possibili sottointesi.
Io in questa discussione non sostengo la superiorità della religione sulla scienza , è chiaro che una rivelazione divina e un'indagine umana condotto secondo metodi sperimentali costruiscono conoscenze diverse. Quello che sostengo è che la forza della religione è quella di poter rispondere alle esigenze esistenziali umane sicuramente meglio della scienza, ma proprio per natura conoscitiva diversa. Ecco perché sostenevo che non sono in antitesi religione e scienza, nel senso che possono convivere se la scienza non viene ideologicizzata e la religione non diventa teocrazia strumentale ma poggi sulla laicità culturale e che uno scienziato non è in contraddizione se è anche credente.
Citazione di: viator il 14 Maggio 2021, 18:22:34 PM
Salve paul11. Ci siamo capiti ? Ma se riuscissimo a capirci il forum chiuderebbe. La distinzione che tu fai all'interno dell'umanità è quella tra l'homo idealis e l'homo pragmaticus.
Io sono d'accordo con te nel sostenere che queste due tipologie psichiche (molto, molto molto prima che esistenziali, mentali, filosofiche, culturali etc. etc. etc.) rappresentino la distinzione fondamentale tra gli umani. Solamente, sono profondamente convinto che la prima categoria rappresenti una secca minoranza (della quale io non ritengo di fare parte). Io faccio parte dei pragmatici e quando scrivo lo faccio per sostenere una maggioranza (in sè democratica, come tutte le maggioranze......o no?) e non certo per fare cambiare opinione (dovrei meglio dire : sensibilità interiore) alla minoranza di idealisti cui tu appartieni.
A questo punto, citandoti : "La mia tesi, e la storia lo insegna, è che l'uomo per quanti progressi tecnici possa conseguire, rimane sempre lo stesso, può fare del bene e può fare del male, quindi non è la tecnica che influisce sull'uomo, è l'uomo che si illude che la tecnica possa migliorarlo umanamente. Ci siamo capiti fin qui? Capire non vuol dire necessariamente condividere".
Voglio solo dirti che, mentre da una parte sono d'accordissimo nel trovare che l'"animo" umano non cambia attraverso la storia, dall'altra sono convinto che all'uomo stesso (almeno alla maggioranza del genere umano che ho citato qui sopra) non freghi proprio il "migliorarsi" (non devi neppure spiegarmi cosa intenderesti con tale relativissimo termine : credo per te significhi : "cambiare nel senso desiderato dagli idealisti") ma assai di più lo "stare bene" (che per me significa salute, risorse sufficienti, sicurezza sociale ed altre piccolezze).
Poi , sono anche convinto che gli idealisti possiedano - ad esempio - un QI (Quoziente Intellettivo) seccamente superiore a quello dei pragmatisti-materialisti (è questa la ragione per la quale la maggioranza, essendo meno dotata intellettivamente, è spesso portata AD ESAGERARE nell'accumulo di ciò che è convinta la farà stare BENE (I BENI), mentre invece tale eccesso la farà prima o poi stare male, come osservi giustamente tu).
Ma nei confronti di tale aspetto io resto comunque dalla parte della democrazia, cioè troverei giusto che il mondo sia governato dai pragmatisti anche se essi risultino più stupidi degli idealisti.
Spero di non esserci capiti.................in tal modo la discussione potrà proseguire con giubilo di tutti gli amici forumisti. Saluti.
Tutto sommato, almeno per quello che scrivi in questo post, non sei molto distante dall'analisi del mondo contemporaneo che pongo io , solo che tu all'analisi fai corrispondere un giudizio sul "cosa fare per....", che è ,mi par di capire o forse mi sbaglio, come un più o meno velato pessimismo , del tipo se questo è l'uomo, c'è poco da fare. Non so se ho ben interpretato il tuo pensiero ......forse e lo dico con sincera onestà, hai delle buone ragioni o forse a quest'uomo tecnologicus post moderno manca qualcosa che ha perso durante le scelte culturali storiche e quindi provo ad esporre.
L'Homo pragmaticus , a mio parere, ha fallito in tutti i campi pratici. I rivoluzionari che scelgono il riformismo parlamentare: falliti (es. Turati in Italia). La tecnica continua a differenziare i Paesi e i popoli del mondo, poiché il potere tecnico è pratica nelle economie e nel campo militare è potenza e dominio sugli altri .L'economia fondata sul pragmatismo egoista non è vero che crea diffusione sociale migliore, persevera l'iniquità nella produzione e distribuzione della ricchezza .
Semplicemente perché a monte del concetto dell'homo pragmaticus non c'è alcuna morale, anzi , vuole liberarsi dagli impicci morali per assecondare i propri trastulli personali anche a danno di profonde iniquità sociale. Vige il privilegio egoista, non il rispetto dell'altrui, del prossimo.
E non possono esservi ,all'interno di una cultura naturalistica-materiale, nessuna associazione degli "esclusi", degli "ultimi", degli "sfruttati", che possa emanciparsi, perché significherebbe mettere in discussione la cultura stessa dominante. Quindi falliscono anche i pragmatisti rivoluzionari, i pensieri della teoria e prassi rivoluzionaria, visto che falliscono anche le democrazie parlamentari .
Sostengo che non esiste un "Homo idealis", o è fantascienza o è realtà, e morale e religione sono anche storia praticata , semmai non credo più (perché un tempo lo credevo) al "buon selvaggio", ad uomo naturale che è "bene". Il problema dell'ideale che cala nella pratica è consegnata e interpretata dall'uomo: questo è il problema semmai religioso o di pensieri che denomino "forti". Ed è per questo che non ritengo pertinente la suddivisone fra idealità e pragmaticità, c'è sempre una relazione fra teoria e prassi , dalla religione alla scienza, dall'economia alla politica.
Le idee "camminano sulle gambe degli uomini", si può avere un'ottima teoria e venire praticata malissimo per svariati motivi. Quindi come ho scritto nel precedente post, si torna al problema della natura umana. E la natura umana , a parte qualche aspetto innato , è una "tabula rasa" su questo sono d'accordo con il filosofo psicologo Galimberti. Noi abbiamo necessità di essere educati ed istruiti , gli animali invece come nascono sono predisposti a "camminare" quasi subito, ad avere "imprinting". Insomma educazione ed istruzione devono avere una morale fin dai primi anni di vita.
Invece sono convinto che le famiglie non educhino più o se lo fanno , lo fanno sempre meno e male. Lo delegano agli insegnanti scolastici che a loro volta non possono educare ad una morale.
Il gioco a scarica barile è arcinoto. Ma poi ....padri e madri moderni e insegnanti......quale morale avrebbero da insegnare? Non c'è, è sparita con i passaggi generazionali, perché è sparita dalla cultura dominante, forse persino nelle chiese secolarizzate.
Non mi trovi così lontano dal tuo realismo sul fatto che l'uomo oggi non pensa proprio a migliorarsi: ne sono quasi convinto anch'io.
Il concetto è: se non c'è un discrimine fra ciò che è bene e ciò che è male, coma fa a sussistere il giudizio? La ricaduta è l'irresponsabilità personale e sociale e quindi l'accelerazione della decadenza perchè diventa pragmatica l'impunità . Come faccio a giudicare il mondo, dall'economia, alla politica, un comportamento giusto o sbagliato, senza un criterio morale?
Eppure leggo che tutti avete un vostro giudizio su tutto , su fatti di attualità, sulla religione, sulla tecnica, sull' homo idealis, sull'homo pragmaticus.
Capisco che il termine morale.....brrrrr , fa accapponare la pelle perché è stato relazionato a costrizione, prigionia, negazione della libertà....insomma è un termine oserei dire dispregiativo ormai inculcato culturalmente.
Ma tutti abbiamo giudizi morali, magari del tutto personali, ma ci sono...il problema è che dovreste chiedervi: sono fondati su che cosa?
Tocca alla politica gestire la polis. E la politica non ha bisogno di subordinarsi nè alla religione, nè alla tecnoscienza. L'illuminismo che ha portato alla fine del modello assolutista regio e della religione di stato a che tecnoscienza era subalterno ? Ovviamente aveva un suo progetto sociale che, laicamente, non poteva incarnarsi in una escatologia dogmatica ma abbozzare un tipo di società secondo i suoi valori etici trasferiti in politica (libertè, egalitè, fraternitè). Idem per il comunismo, che ha toppato quando è diventato una religione di stato coi suoi dogmi rivelatisi sempre più fuori dal tempo.
Posti dei valori etici forti, la gestione di essi non può restare dogmaticamente fissa in eterno. Il pensiero debole è nato per contrastare l'ossificazione e sclerotizzazione di valori feticizzati in forme non più in grado di assecondare l'evolversi dei bisogni e desideri umani. Il rischio è che con le forme si perdano anche i valori, ma a ciò deve presidiare la politica intesa in senso etico e filosofico, depositaria di un sapere sociale non subalterno a nulla.
Se la politica fallisce, è donchisciottesco fare la guerra ai mulini a vento della tecnoscienza.
Il fondamento morale dell'umanesimo è l'umano. La tutela della vita umana e la soddisfazione dei suoi bisogni innanzitutto. E dei suoi desideri per quanto compatibili con le possibilità materiali ed etiche. Ovvero etologiche.
Ciao Paul.
Mi pare concordiamo sulla importanza della condivisibilita', che in qualche modo sia scienza che religione attuano.
Ma dire che l'uomo non è cambiato nei millenni implica una precisa idea di uomo che non è quella che abbraccio io, preferendone una che mi permetta di descrivere la storia dell'umanità con poche parole.
Così mi pare tutto si semplifichi definendo l'uomo come comprensivo della sua tecnica, la quale pare in effetti a me una esplicitazione di se stesso mediata dalla coscienza.
Possiamo raccontare la storia degli esseri viventi solo dopo che li abbiamo messi a catalogo nei bestiari che diventa il prologo di quella storia dove subito se ne tratteggiano i protagonisti.
Concordiamo anche sul fatto che si possa essere scienziati e credenti allo stesso tempo, e io aggiungerei anche altro ed eventuale andando a pescare nell'inconscio, cioè in quel che siamo ma non sappiamo di essere.
La scienza non include la morale nella misura in cui è inclusa nell'uomo, mentre la morale riguarda la religione nella misura in cui essa sta fuori dell'uomo, ed è solo con un atto di fede e di adesione che possiamo sposarla, adeguandoci così alle sue istanze etiche.
La scienza no. Ad essa non occorre aderire, perché è da sempre aderente a noi. Dobbiamo solo prenderne coscienza.
Il nostro agire e quindi le nostre azioni, in parallelo al bestiario e all'erbario, possono essere poste nell'eticario dividendole in specie cui Andy Luotto darebbe nome , buono e non buono.
La scienza non dice quale azione sia buona e quale non buona, perché essa è colei che agisce, non colei che giudica le azioni e nell'azione l'uomo muta e la sua morale cambia.
Citazione di: Ipazia il 14 Maggio 2021, 22:16:09 PM
Tocca alla politica gestire la polis. E la politica non ha bisogno di subordinarsi nè alla religione, nè alla tecnoscienza. L'illuminismo che ha portato alla fine del modello assolutista regio e della religione di stato a che tecnoscienza era subalterno ? Ovviamente aveva un suo progetto sociale che, laicamente, non poteva incarnarsi in una escatologia dogmatica ma abbozzare un tipo di società secondo i suoi valori etici trasferiti in politica (libertè, egalitè, fraternitè). Idem per il comunismo, che ha toppato quando è diventato una religione di stato coi suoi dogmi rivelatisi sempre più fuori dal tempo.
Posti dei valori etici forti, la gestione di essi non può restare dogmaticamente fissa in eterno. Il pensiero debole è nato per contrastare l'ossificazione e sclerotizzazione di valori feticizzati in forme non più in grado di assecondare l'evolversi dei bisogni e desideri umani. Il rischio è che con le forme si perdano anche i valori, ma a ciò deve presidiare la politica intesa in senso etico e filosofico, depositaria di un sapere sociale non subalterno a nulla.
Se la politica fallisce, è donchisciottesco fare la guerra ai mulini a vento della tecnoscienza.
Il fondamento morale dell'umanesimo è l'umano. La tutela della vita umana e la soddisfazione dei suoi bisogni innanzitutto. E dei suoi desideri per quanto compatibili con le possibilità materiali ed etiche. Ovvero etologiche.
Sarà' perché io non sono in grado di immergermi nei dettagli della storia, che, come disse la volpe, mi appare come uva acerba, ma devo e/o preferisco semplificare.
Tralasciamo anche il come nasca la morale. Basti dire che è cosa umana e che non mancherà di accompagnare l'uomo come ha sempre fatto. Perché dovrei infatti temere che esso la perda se non so' come ha fatto a trovarla?
L'uomo cambia in quanto comprensivo della sua tecnica che cambia, e in quanto animale socievole riorganizza la società in conseguenza.
Mi pare tu spesso parli di desiderio, e io credo che l'unico desiderio dell'uomo sia essere sempre se' stesso, e per far ciò deve continuamente riorganizzarsi socialmente in virtù dei suoi mutamenti, facendo ogni tot il tagliando alla morale.
Il vero problema di cui parliamo senza dargli nome è la velocità insolita cui avvengono i cambiamenti tanto da farci mancare la terra sotto i piedi come dice Paul.
Aristotele affermava, in base alla sua idea di moto, che un cavallo che corre debba avere sempre almeno una zampa che tocchi terrà.
Con l'invenzione della fotografia si è dimostrato ciò essere falso.
Si può procedere anche senza toccar terra.
L'uomo cambia in continuazione e di conseguenza cambia la sua morale.
Non è ne' bene ne' male che cambi.
È dunque un male che la morale cambi?
Ciò si può sostenere solo ammettendo che l'uomo non cambi, dandone una definizione che ciò dimostri, o, peggio, dandola per scontata, così come fanno le religioni.
Esse ci dicono il passato e il futuro dell'uomo, l'origine e le possibili fini, si , ma di quale uomo parlano?
Questo dovremmo saperlo tutti, e quindi non occorre dirlo.
Buona mattinata. Scrissi in carattere piccolo per non farmi sentire. Ho letto un po' quel che nel frattempo si è detto e ho letto pure qualche bestialità. Trovandomi dalla parte di Paul11 (origini dell'uomo importanti) ho pensato per quale motivo altre persone non la ritengono importante. L'etica è ciò che dovrebbe risolvere la questione secondo loro. Mi fa sempre sorridere tra l'altro l'ironia di Viator quando dice "Spero di non esserci capiti.................in tal modo la discussione potrà proseguire con giubilo di tutti gli amici forumisti", paradigma che mi ricorda il Gattopardo. Sono pure disposto a rinunciare all'origine (cosa che peraltro ritengo presuntuosamente di avere risolto) quando tale etica fosse chiara data pure la mancanza sul campo di uomini di buona volontà. Potrebbe essere benissimo infatti che l'etica proposta possa scuotere le persone facendole diventare persone di buona volontà. Ma quale sarebbe questa Etica? Visto che io sto dalla parte di Paul11, e immagino pure Alexander, per quel che mi riguarda l'etica giusta sarebbe quella proposta da un movimento il cui nome sarebbe "Movimento democratico destinazione anarchia" il cui ruolo sarebbe quello di porre in atto una sapiente e meticolosa decostruzione della normativa che governa tutti gli apparati istituzionali. Saluti
Citazione di: paul11 il 13 Maggio 2021, 15:05:42 PM
Alcune precisazioni.
Citaz. Niko #42
Ma non vi viene in mente, signori che assumendo che il mondo/cosmo sia ingenerato e imperituro (e in qualche non immediatamente evidente senso noi con esso!), la domanda
"da dove veniamo" possa semplicemente essere mal posta?
Semplicemente perché un universo "ingenerato" e "imperituro" non è né religione e neppure scienza.
Chi parlò di "ingenerato e imperituro" fu un certo Parmenide della scuola di Elea riferito all'ESSERE. Quando Parmenide sostiene che l'essere non può diventare non-essere, attribuisce i sopra indicati attributi. Un universo ingenerato e imperituro come fa a diventare non- universo? Come fa a divenire, sarebbe eterno e senza tempo ,come fanno a formarsi galassie ,stelle sistemi planetari e le stelle avere internamente reazioni di fusioni atomica fino ad esaurirsi. E' l'evidenza prima ancora che la scienza a dichiarare che c'è una dinamica temporale universale. E perché noi viventi , nasciamo e moriamo se il sistema universale sarebbe ingenerato e imperituro?
Citaz. Niko
io credo piuttosto sia interno alla buona filosofia accogliere la domanda sulle origini solo ed esclusivamente nella misura in cui essa è utile alla felicità terrena.
E cosa si intende per felicità, la mia senza la tua, la nostra escludendo qualcuno, insomma quella egoistica o quella sociale? Direi più semplicemente che una buona filosofia è colei che speiga il motivo per cui debba esserci un "buon governo" della polis, della società e indichi i motivi e argomenti perché sia necessario esservi e come vi si giunge (la Repubblica e Leggi di Platone sono un buon esempio)
citaz. Niko
Qualcuno ha parlato di "vivere nel qui e ora" come se fosse una questione esclusivamente etica,
Beh, potresti indicare chi è quel "qualcuno", non mi offendo. Si può vivere anche senza morale, che per me è interpretabile come concetto razionale, nulla a che fare con istinti animali o pulsioni psicoanalitiche che da oltre un secolo si fanno elucubrazioni senza cavare un ragno nel buco, ma c'è sempre un'etica. L'etica la intendo come comportamento sociale, costruito quindi da miriadi di atti sociali: es. acquistare un giornale in edicola, fare un cenno di saluto, fare la coda....ai vaccini.
Nascono da convenzioni sociali, educazione famigliare e scolastica. Questo spiega perché ogni popolo umano, pur essendo tutti i popoli umani, hanno diversi comportamenti sociali: è la cultura che indirizza un modo di essere e di fare . Un'etica senza morale diventa essenzialmente fondata dalle forme giuridiche che limitano i singoli comportamenti sociali in funzioni di concetti ritenuti fondamentali nella società, ma può benissimo non fondarsi assolutamente su una morale.
Ma accade, come avviene periodicamente e poco tempo fa, che alti funzionati dell'antimafia, o il Presidente della Repubblica giustamente indichino che se la corruzione è molto diffusa è perché manca la moralità.........noi stiamo decadendo proprio in questo e le leggi non possono entrare nelle coscienze di ogni indviduo, non è questo il compito della scienza giuridica , manca educazione e "buon esempio" a cominciare dalle famiglie...che infatti decadono. La moralità è arrossire, avere una remore , avere il pudore della coscienza che un atto anche semplicemente di scortesia,come saltare una coda o fare i "furbetti" non si deve fare . Oggi si uccide ,si bruciano i cadaveri, si tengono in frigo........."fuori di testa" . Se non capiamo ancora che stanno saltando le più elementari remore, quei "freni inibitori" dettati dalla psicologia ,che sono evidenti sempre più i "malcostumi".....bisogna essere allenati alla cecità per non vedere che decadiamo sempre più.
La moralità non può insegnarlo la scienza moderna, che al massimo dice "è utile", "è opportuno", quindi tratta la morale come se fosse economia, come convenienza egoistica. Applica la teoria dei giochi alle teorie delle scelte e delle decisioni, ......come se fossimo algoritmi. E a me, pare chiaro dove l'umanità andrà a finire. Se non si compiono serie riflessioni che non sono solo di ambito disciplinare o interdisciplinare, come antropologia, sociologia, psicologia, che continuano a menarla da un secolo sull'utilitarismo, perché sono mainstream del sistema ,assecondano il sistema culturale in atto ,sono loro stesse ancelle del sistema culturale, finiremo male: a me pare sicuro. Cosa me ne faccio di una casa domotica ,dell'auto "connessa" a tik tok, facebook,....se ho paura dei miei simili , se tutto mi appare così precarizzato e mi fido della scienza ,ma non dei miei fratelli e sorelle? E' chiaro perché la morale è così importante? Si può essere allora felici per i comfort, ma chiusi in casa e con la paura a mezzanotte su un marciapiede quasi solitari di sentire passi dietro di sé e pensare male? La sicurezza, la felicità , la danno i comfort ?
Ciao non ti rispondo su tutto ma mi pare ovvio che universo ingenerato e imperituro non significa immodificabile gli esempi di pensatori greci che ti posso fare sono tantissmi gli atomisti. Empedocle gli stoici. lo stesso Aristotele secondo cui certo il mondo non e' creato e non finira' mai. Lo stesso esiodo secondo cui in principio vi era il caos e non il nulla quindi implicitamente l'universo e ordinato dal caos e non creato dal nulla
il cocentto di infinito spaziale o temporale poi rientra nel pensiero greco ancora quantomeno con Aristotele per cui lo spazio e' finito ma il tempo e' infinito .con gli atomisti per cui sono infiniti spazio e tempo con .melisso per cui l'essere di Parmenide comincia a coincidere con l'infinito spaziale temporale e naturale. insomma il cosmo secondo i greci antichi e' ingeneraTo e imperituro lo affermo perché ne sono abbastanza sicuro.
anche quelli come Parmenide che lo vedevano immodificabile in senso forte poi ammetteva il divenire sia pure come apparenza ma se l'essere e' eterno e immodificabile anche la falsa apparenza di divenire che proietta o emana sui sensi degli uomini e' altrettanto eterna
Quindi ne risulta sia pure come illusione per l'ennesima volta un cosmo ingenerato e imperituro.
Citazione di: daniele22 il 15 Maggio 2021, 09:35:05 AM
Buona mattinata. Scrissi in carattere piccolo per non farmi sentire. Ho letto un po' quel che nel frattempo si è detto e ho letto pure qualche bestialità. Trovandomi dalla parte di Paul11 (origini dell'uomo importanti) ho pensato per quale motivo altre persone non la ritengono importante. L'etica è ciò che dovrebbe risolvere la questione secondo loro. Mi fa sempre sorridere tra l'altro l'ironia di Viator quando dice "Spero di non esserci capiti.................in tal modo la discussione potrà proseguire con giubilo di tutti gli amici forumisti", paradigma che mi ricorda il Gattopardo. Sono pure disposto a rinunciare all'origine (cosa che peraltro ritengo presuntuosamente di avere risolto) quando tale etica fosse chiara data pure la mancanza sul campo di uomini di buona volontà. Potrebbe essere benissimo infatti che l'etica proposta possa scuotere le persone facendole diventare persone di buona volontà. Ma quale sarebbe questa Etica? Visto che io sto dalla parte di Paul11, e immagino pure Alexander, per quel che mi riguarda l'etica giusta sarebbe quella proposta da un movimento il cui nome sarebbe "Movimento democratico destinazione anarchia" il cui ruolo sarebbe quello di porre in atto una sapiente e meticolosa decostruzione della normativa che governa tutti gli apparati istituzionali. Saluti
L'etica è quella cosa che
nel bene e
nel male ha sempre risolto i problemi antropologici seguendo lo spirito del tempo. Con alti e bassi come la storia ci insegna.
Qui nessuno rinuncia all'origine che è quella della scena iniziale di 2001 Odissea nello spazio. Da allora ci siamo evoluti (sempre nel bene e nel male) e abbiamo istituito e costituito i nostri concetti di bene e male (ethos: "Ma quale sarebbe questa Etica ?") e di giustizia che ne sono la ricaduta, implementazione, sociale istituzionale (nomos). Nulla è nato sotto un fungo o nell'iperuranio. Le tavole mosaiche, prescindendo dai numi, formulano principi etici validi anche oggi, cominciando dal non uccidere che è
fondativo etico e giuridico principale di tutte le giurisdizioni attuali. E non a caso.
Tutte le rivoluzioni hanno operato una "decostruzione della normativa che governa tutti gli apparati istituzionali", politici, religiosi, consuetudinari. Non c'è nulla da inventare ex novo, ma umilmente prendere il testimone da chi ci ha preceduto e svolgere onorevolmente il nostro compito generazionale. Con la radicalità dovuta alle circostanze storiche.
Citazione di: paul11 il 14 Maggio 2021, 16:00:50 PM
Nei miei post ho argomentato sui sintomi sociali e umani della differenza fra religione e tecnoscienza. La religione insegna con la morale il limite di "rispetto" verso Dio e i propri simili, la tecnica per sua natura è illimitata e inarrestabile, perché dà potere militare, politico, economico, non ha una morale, è l'uomo che decide come usarla, applicarla
Questo non significa, che l'uomo antico fosse migliore di quello moderno, perché si uccideva, rubava, si facevano guerre , ieri come oggi. Ma la morale fa capire chi sta facendo bene e chi compiva il male, il parametro è la giustizia che nessuna scienza può insegnare.
Può darla o una religione oppure una filosofia metafisica "forte".
Questa morale ,essendo inscritta nelle religioni, era socialemtne condivisa: questo è importante capire. Oggi una persona ha sempre meno una morale condivisa comune, ognuno si fa una propria morale, in base alla propria indole, educazione, quindi la morale è "personale" sempre meno condivisa e sempre più individualistica, quell'individualismo tipico della modernità che esalta l'egocentrismo, a dimostrazione che la tecnoscienza non evolve , ma può e questo a mio parere è accaduto, involve l'uomo., lo fa decadere.
Quando rispondendo alla domanda dell'incipit della discussione ,di come religione e scienze interpetano il passato, presente e futuro , ho posto anche la "terza via" filosofica. Ho scelto due autori "anti-modernisti" che non seguono un pensiero religios e neppure tecnico, anzi ne fanno critiche. La mia tesi è che non è il super uomo o l'eterno ritono di Nietzsche ad indicarmi una via, non è l'orizzonte di senso heideggeraino a darmi senso sull'esistenza se non scioglie il nodo di cosa sia l'Essere, non basta cercare di definire l'esser-ci, ho bisogno di tracciare la linea di senso che passi nell'oggi(il qui ed ora) ma che necessariamente ha un'origine e dopo un fine, il prima e dopo l'esistenza .Vale dire l'esistenza di ogni umano, la vita, ha senso se il percorso ha un'origine e una fine, non è bastevole l'esistenza presa in se stessa.
Questo è a grandi lineee ,ciò che penso.
Ci siamo capiti?....spero.
Detto in amicizia, perchè non vorrei spazientirti, ma secondo me fai confusione tra fenomeni e cause. Da una parte c'è quello che potremmo chiamare "disincantamento" dall'altra quello che -purtroppo dovremo- chiamare "post-modernismo", i due sono sicuramente correlati, ma non è detto che vi sia un altro nesso. Ci sono parecchie nazioni che sono importanti culture tecnoscientifiche, in cui il fascino delle grandi narrative uniche non è mai passato di moda (Cina in primis, paesi arabi poi, etc) come concili l'ingombrante esistenza di queste realtà con la tua teoria? Un conto è sostenere che avendo l'uomo abbandonato le grandi religazioni annaspi nello cercare qualcos'altro che possa avere un valore oltre l'individuale e abbia momentaneamente trovato la scienza, un altro conto è sostenere che proprio perchè l'uomo ha trovato la scienza che ha abbandonato le tradizionali religioni. In ogni caso, la tecnica non porta necessariamente dove ha portato l'occidente, e la prova è il resto del mondo.
Cerco di rispondere seguendo la cronologia degli interventi, per cui accanto al nome del forumista pongo il numero del post di riferimento di questa discussione.
@Ipazia #85
già in epoca greco-romana-cristiana ci sono molte basi di tutto il diritto storico futuro.
Quando affermo che l'uomo non è cambiato nell'ultimo millennio, intendo il suo ESSERE e fare . I desideri, i piaceri, la morale, le virtù, non è dalla tecnica che muta la psiche , l'anima, la sostanza umana. Il sesso, il mangiare, la convivialità, basta leggersi i dialoghi socratici, sono gli stessi problemi in sostanza. Muta la scenografia storica, non il soggetto umano, oggi si corre in auto, allora con le bighe, c'erano palestre, terme, come ora. Basta leggersi la vita e costumi greci e romani descritti dagli storici di allora.
Il vero spartiacque fu Bacone fra medioevo e rivoluzione moderna con l'appoggio alla scienza galileana.
Non capisco l'adattamento. Se è vero che l'uomo necessariamente è adattato per sopravvivere alla natura, l'uomo dovrebbe adattarsi alla cultura da lui stesso prodotta, come se la cultura fosse un oggetto a lui alieno? Non è la stessa cosa; se il sistema culturale aliena l'uomo, significa che è sbagliato e non che l'uomo deve adattarsi a ciò che ha creato sbagliando. Allora bisogna analizzare cosa si ritenga sbagliato di una cultura per potervi apporre soluzioni. In fondo Marx, a suo modo, non fa questo? Ma deve esserci un criterio e questo implica una scelta. Se nell'esempio di Marx il criterio è l'ingiustizia applica un arbitraggio, non esiste un analisi "neutra" , per quanto io stesso possa pensare che sia giusto il criterio dell'ingiustizia, qualcun altro può leggere la storia dell'umanità sotto un altro criterio, ad es. che sia giusto che i ricchi vivano meglio dei loro simili perché sono "i migliori". Sono solo esempio.
Entri in contraddizione con il tuo pensiero sociale se accetti che un "buon" sistema deve assecondare piaceri e desideri, perché questo attuale lo ritengo il migliore in assoluto mai apparso nella storia dell'umanità nel suo assecondare i "desiderata" umani Il consumismo e il "rincoglionimento" di massa contraddistinguono questo sistema e se è così è proprio perché è intrinseco nel suo nocciolo culturale, la tecnica deve sfornare comfort, tools, affinché siano soddisfatti piaceri e desideri . Basta vedere lo sfogo attuale da compressione della pandemia recente. La gente non è abituata alla solitudine, a riflettere, va in tilt mentalmente, necessita del cazzeggio dei social. Questa è la società dello spettacolo, dell'eterno grande fratello, del voyeurismo, del gossip portati all'estremo .
L'unico limite della tecnoscienza è il suo stesso campo di indagine e trasformazione la "risorsa" fisica/naturale, ed è la cultura moderna che la sollecita e la sospinge in avanti.
E' illimitata perché è spinta proprio dai piaceri e desideri umani, che sia la super villa a Beverly Hills, o il supereroe automatico per bambini, che siano i parchi giochi, o sia il laboratorio segreto dove modificano geneticamente virus e batteri per armi biologiche. La richiesta viene dal sistema militare, economico, civile, politico , dai loro desideri di potere e divertimento. Se desideri e piaceri anche poteri ovviamente ci sono sempre stati, oggi c'è proprio l'esaltazione al di là del limite, illimitati sono i desideri e illimitata deve essere la tecnica.
Mi pare lampante che una virtù , una morale deve avere dei custodi, è come la Corte Costituzionale che incarna il ruolo di custode dei principi costituzionali italiani .
Nelle forme amministrative pubbliche ci sono organismi attivi, di controllo e di consultazione.
Citaz. Ipazia
Il punto di di convergenza non può essere nel "prima e dopo l'esistenza" di cui nessuno ha la chiave, e chi dice di averla mente sapendo di mentire .
Questa affermazione ha dei sottointesi culturali che sono il nocciolo del pensiero ridotto ad opinione e del relativismo culturale, meriterebbe una discussione a sé , cercherò di rispondere più tardi.
Per ora ti dico che la tua è un'affermazione altrettanto assolutistica quanto lo è la verità rivelata delle religioni ed è questa la grande contraddizione e aporia della modernità e post modernità.
@ Ipazia # 88
Non nego le buone intenzioni dell'umanesimo, dell'illuminismo, ecc. ma che "le strade dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni, il senso di responsabilità è la conseguenza dell'azione".
Quando nascono pensatori come Nietzsche, catalogato come "irrazionalista" e Heidegger, catalogato come "esistenzialista" (ma lui non era d'accordo) che sono di fatto anti-modernisti per i loro scritti, è perché avvertono nel sistema socio culturale, nella stessa struttura del mainstream culturale ,già allora, che il positivismo, figlio dell'illuminismo, alimentava il vento culturale della tecnica e l'uomo diventava macchina. I migliori pensatori a cavallo del Novecento o prima con il pensiero socialista, avvertono che la cultura, che l'uomo sta decadendo .
Un bravo filosofo ha dichiarato anni fa che Nietzsche e d Heidegger fanno un "buon" naufragio. Significa che per quanto possa essere ritenuto il loro pensiero , ognuno con le sue specificità, non risolutivo per le problematiche, hanno enormi spunti da cui praticamente tutti i filosofi a seguire hanno dovuto fare i conti. Ecco direi che non sono fallimentari i loro pensieri (in fondo quale pensiero non è mai fallito....) perché offrono analisi sull'uomo, sull'esistenza ,sui significati culturali. E' passato un secolo e più circa, non ne sono sorti di altri di questa statura: perché?
C'è un vuoto enorme culturale, un appiattimento al "trattato filosofico sull'orgasmo dell'orangotango" (ovviamente scherzo, ma il livello è questo), nessuno discute più, o sono rari, sui massimi sistemi. Allora Nietzsche, Heidegger avevano torto? Tutto va bene, la tecnoscienza funziona, l'uomo non è mai stato bene come oggi, è in pace con se stesso e il mondo. Perchè mi pare ovvio che sussista anche questa considerazione. Sicuramente lo è la parte del mondo Occidentale, dove non muore più nessuno di fame, dove c'è un minimo di sussitenza sociale: sanità, scuole. Verissimo, è innegabile, è evidente. Ma l'uomo è solo materia, ha superato le domande fondamentali: perché siamo al mondo, che senso e significato ha vivere, dove andiamo a finire?
Perchè se così fosse se qualunque adombramento che scuota la nostra quotidianità: la morte, un amore finito, insomma avevo già scritto, oggi è ancora più....meno capito, meno vissuto.
I funerali diventano raduni rock, le tombe nei cimiteri ostentazioni faraoniche pagane, finisce un amore si buttano acido, si incendiano amanti, si uccidono genitori per denaro....i sintomi a me appaiono evidenti che c'è un malessere crescente umano , il timore ossessivo dentro di sé di qualche cosa che la tecnoscienza non può né misurare né qualificare. C'è un malessere che qualcuno può definire psichico, altri dell'anima, che cresce.
Salve daniele22. Citandoti : "l'etica giusta sarebbe quella proposta da un movimento il cui nome sarebbe "Movimento democratico destinazione anarchia" il cui ruolo sarebbe quello di porre in atto una sapiente e meticolosa decostruzione della normativa che governa tutti gli apparati istituzionali"...........................mi permetto di commentare l'accostamento tra i termini "democrazia" ed "anarchia".
Non capisco cioè come una società anarchica (basata quindi sulla cooperazione spontanea e paritetica degli individui) possa risultare anche democratica.
La democrazia consiste nell'esercizio del potere da parte di una maggioranza. In pratica ed idealmente, la migliore democrazia sarebbe quella in cui una maggioranza di elettori dotata dei migliori valori etici (lasciamo perdere i dettagli filosofici dell'etica) vota ed elegge dei rappresentanti anch'essi esprimenti il meglio delle etiche in circolazione. A tal punto si creerebbe una società composta da una maggioranza di virtuosi e da una minoranza di meno virtuosi, entrambe governate da una minoranza di eletti che rappresentano però solo la maggioranza dei virtuosi. Naturalmente tale forma di governo resta nella realtà un pio sogno, oltre che estranea ai principi dell'anarchismo (semplicemente perchè, essendo composta da una maggioranza e da una minoranza, non risulterebbe egualitaristica !).
Ogni forma di democrazia diversa da quella descritta qui sopra, risulterebbe chiaramente ancor meno anarchistica ed egualitaristica. Se all'interno del meccanismo democratico (che resterà comunque quello basato su maggioranza/minoranza) noi sostituissimo il parametro "miglior etica possibile" con "miglior merito possibile", oppure "massimo consenso possibile", o "maggior intelligenza".......abilità, furbizia o qualsiasi altra dote o difettosità immaginabili...................non faremmo altro che confermare la mancanza di egualitarismo del sistema che si vorrebbe in questo modo costruire.
La questione "anarchismo" io l'ho sempre trovata incomprensibile (a livello di buonsenso, non di ragione) : poichè al mondo ci sarà sempre un (es.:10%) di persone più abili ed intelligenti delle restanti (es. : 90%)..........non comprendo in qual modo si potrà impedire che tale minoranza del 10%, facendo uso anche solamente lecito delle proprie "fortune naturali".........si eriga al potere.
Certo, è giusto che i talenti e le "fortune naturali" vengano moderati dalle Leggi (vedi il mio precedente richiamo alla liceità), ma vedo che secondo alcuni tali aspetti dovrebbero invece venir "piallati" in nome dell'eguaglianza (concetto che viene usato a raffica ed a sproposito per renderlo falsissimo sinonimo di "parità" !).
Il problema non si risolve attraverso le utopie, ma unicamente attraverso le scelte, la fondamentale delle quali – ad esempio - io non ho mai visto affrontata seriamente qui dentro.
Ma è meglio (o più giusto) venir governati da chi è come noi oppure da chi è in qualche modo "migliore" di noi ? Saluti.
@ Iano #89
L'uomo nel suo essere non è cambiato nell'ultimo millennio ,come ho scritto a Ipazia.
La relazione culturale fra uomo e tecnica sta nel fatto che prima che la tecnica fosse ritenuta pensiero , era solo strumento. Il controllo della tecnica era determinato dalla cultura . Ma se si pone la tecnica come paradigma culturale ,allora l'uomo diventa funzionale alla tecnica, non lo domina, ne è dominato: questo è accaduto. O devo raccontare come dal luddismo ottocentesco , dove la tecnica toglieva manodopera, dalla moneta digitale.....l'invisibilità della tecnica emerge quando dirompe a livello sociale. In nome della tecnica e del denaro si muove la cultura, e l'uomo è solo "risorsa" come il petrolio, come una materia prima, un costo economico . Allora cosa c'entra l'umanesimo quando è l'uomo che subisce la tecnica? Non è l'uomo al centro del sistema, lo è la tecnica.
A mio parere non basta più nemmeno prendere coscienza, che sarebbe il primo passo, perché molti pensatori dal Novecento ad oggi hanno denunciato le problematiche sociali e culturali, ma nessuno ha capito che sta nel paradigma dell'umanesimo l'errore, quello di aver pensato che la tecnica non solo avrebbe aiutato l'uomo materialmente, nella conoscenza scientifica, ma che avrebbe emancipato l'umanità . Il cavallo su cui l'umanesimo ha montato si è imbizzarrito quasi subito , l'uomo è caduto e il cavallo è andato avanti......e l'uomo lo insegue.
Ciò che accomuna questo tempo ,padroni e servi, privilegiati e succubi, è che nessuno nemmeno i padroni riuscirebbero a domare quel cavallo che configurerà e riconfigurerà in continuazione scenari a cui l'uomo dovrà......adattarsi. Questo sistema non è affatto a misura di uomo e il fatto che siamo fortunati, in generale, perché stiamo dalla parte del mondo dove materialmente tutto sommato stiamo bene.........non giustifica il menefreghismo o il fatto di dire che questo sitema è il migliore possibile. Non bastano "aggiustamenti", manutenzioni, o si arriva alla radicalità del paradigma fallito oppure quell'"autenticità" di vissuto nietzscheano e heideggeriano è definitivamente tramontato.
Buon sabato Daniele22
cit.:il cui ruolo sarebbe quello di porre in atto una sapiente e meticolosa decostruzione della normativa che governa tutti gli apparati istituzionali
Sono fondamentalmente in sintonia con te, quando parli di "decostruire" la struttura organizzativa e istituzionale moderna.Il "cul -de -sac" in cui sembra si stia ripiegando l'umanità per essere superato però avrebbe necessità di un'alternativa valida da opporre, che purtroppo non esiste. Lo spirito rivoluzionario delle religioni sopravvive in alcune frange estremiste islamiche, che però non propongono un modello alternativo di società ma un impossibile sogno di "return to medieval" teocratico. Persino la chiesa ha ormai abdicato all'equazione che fonda la nostra società che io riassumo così:
+ soldi = + beni materiali=+ benessere= + felicità
La dottrina sociale attuale si riassume così: + equa distribuzione delle risorse. Molto interessante, ma che i ricchi dividano equamente (alla chiesa basterebbe un mediocre "+ equo", tanto ha capitolato ormai) le ricchezze è come chiedere al leone di dividere equamente la zebra catturata con la povera iena che gli gira attorno. Solo nel momento in cui il leone ha la pancia che scoppia si decide a lasciare qualche ossa spolpata alla iena. E così fanno i ricchi filantropi odierni. Leggevo che la fondazione di Bill Gates ha destinato diversi miliardi ad opere di utilità sociale e sanitaria; poi però mi sono trovato a leggere del capitale di cui dispone la famiglia Gates, che si sta separando. E allora vedi che proprio di ossa spolpate si tratta, quello che è destinato ai poveracci. Il leone resta leone, è la sua natura. Non solo, la fondazione fattura più di quello che distribuisce. Significa che si fanno soldi elemosinando soldi. Geniale! Capiamoci: tanto di cappello! Non è semplice farlo e non vorrei sembrare il classico rosicone. Il modello di società in cui viviamo è questo: da Occidente ad Oriente la gente persegue questo, sogna il benessere materiale ed è pronta a seguire il ricco di turno che si dà alla politica (perché fare politica è ormai appannaggio dei ricchi. Basta andare a vedere le possibilità economiche dei vari leaders politici) e che promette + benessere materiale per tutti (un pò più di ciccia sulle ossa, sarebbe più esatto). Non vorrei far arrabbiare molti forumisti, ma questo è inevitabilmente l'approdo sociale del materialismo. Non è colpa della scienza, è sicuramente colpa delle religioni che hanno fallito (basta andare a leggersi qualcosa sulle prime comunità cristiane e quello che poi ne hanno fatto i chierici), ed è anche colpa delle tecnoscienze che ormai sono la longa manus del sistema finanziario-capitalistico, che controlla ormai ogni aspetto del vivere sociale (compreso anche il pensiero, visto che, a parte rari casi che non incidono minimamente, non si leva straccio di rivolta. Nessuno sa cosa opporre in effetti). In libreria ho adocchiato un libro di un filosofo francese, di cui non ricordo il nome, ma forse qualcuno qui lo ha letto, che parlava dell'avvent del male e della catastrofe finale. Il curioso era che questo filosofo che non è un cristiano apocalittico, ma è invece ateo e antireligioso, di area marxista, sosteneva che la fine è inevitabile. Ovviamente prima faceva una profonda disamina della situazione da cui traeva queste infauste previsioni. Sosteneva poi che "gli ultimi tempi" forse saranno più piacevoli da vivere degli attuali perché nessuno avrà più qualcosa da perdere e allora tutti potremo finalmente essere "noi stessi" e darci dentro con il soddisfare i nostri desideri ( una specie di superuomo apocalittico). mi sono detto: se siamo a questo punto; se persino gli intellettuali non religiosi credono questo quello che ormai manca un pò a tutti è una cosa semplice: la speranza.Un'altra ne segue( e che fa felice Viator): ma noi siamo disposti a dividere equamente?
Citazione di: paul11 il 15 Maggio 2021, 12:27:58 PM
@Ipazia #85
già in epoca greco-romana-cristiana ci sono molte basi di tutto il diritto storico futuro.
Quando affermo che l'uomo non è cambiato nell'ultimo millennio, intendo il suo ESSERE e fare . I desideri, i piaceri, la morale, le virtù, non è dalla tecnica che muta la psiche , l'anima, la sostanza umana. Il sesso, il mangiare, la convivialità, basta leggersi i dialoghi socratici, sono gli stessi problemi in sostanza. Muta la scenografia storica, non il soggetto umano, oggi si corre in auto, allora con le bighe, c'erano palestre, terme, come ora. Basta leggersi la vita e costumi greci e romani descritti dagli storici di allora.
Il vero spartiacque fu Bacone fra medioevo e rivoluzione moderna con l'appoggio alla scienza galileana.
Il vero cambiamento degli ultimi 1000 anni fu la riscoperta della cultura antica e l'uscita dal monopolio culturale cristiano (scuole, istituzioni, stato). Anche l'ESSERE, inteso come spirito, è cambiato, con tutte le aspettative ed escatologie connesse. E pure il fare: altro che 1000 anni ! E' cambiato solo rispetto a 40 anni fa con la rivoluzione telematica. Ne sanno qualcosa le professioni burocratiche sopravvissute allo tsunami tagliateste.
CitazioneNon capisco l'adattamento. Se è vero che l'uomo necessariamente è adattato per sopravvivere alla natura, l'uomo dovrebbe adattarsi alla cultura da lui stesso prodotta, come se la cultura fosse un oggetto a lui alieno? Non è la stessa cosa; se il sistema culturale aliena l'uomo, significa che è sbagliato e non che l'uomo deve adattarsi a ciò che ha creato sbagliando. Allora bisogna analizzare cosa si ritenga sbagliato di una cultura per potervi apporre soluzioni. In fondo Marx, a suo modo, non fa questo? Ma deve esserci un criterio e questo implica una scelta. Se nell'esempio di Marx il criterio è l'ingiustizia applica un arbitraggio, non esiste un analisi "neutra" , per quanto io stesso possa pensare che sia giusto il criterio dell'ingiustizia, qualcun altro può leggere la storia dell'umanità sotto un altro criterio, ad es. che sia giusto che i ricchi vivano meglio dei loro simili perché sono "i migliori". Sono solo esempio.
La cultura è sovrastrutturale rispetto alla struttura sociale la quale si regge sulla violenza istituzionalizzata. In ciò sta la forbice tra cultura/controcultura e realtà sociale. Marx questo l'ha insegnato e rimane valido anche oggi.
CitazioneEntri in contraddizione con il tuo pensiero sociale se accetti che un "buon" sistema deve assecondare piaceri e desideri, perché questo attuale lo ritengo il migliore in assoluto mai apparso nella storia dell'umanità nel suo assecondare i "desiderata" umani Il consumismo e il "rincoglionimento" di massa contraddistinguono questo sistema e se è così è proprio perché è intrinseco nel suo nocciolo culturale, la tecnica deve sfornare comfort, tools, affinché siano soddisfatti piaceri e desideri . Basta vedere lo sfogo attuale da compressione della pandemia recente. La gente non è abituata alla solitudine, a riflettere, va in tilt mentalmente, necessita del cazzeggio dei social. Questa è la società dello spettacolo, dell'eterno grande fratello, del voyeurismo, del gossip portati all'estremo .
Mentre lo spirito si può ingannare, più difficile è farlo con la pancia. E in ciò sta il mio rispetto per i pensieri di pancia. Quindi partirei dai bisogni. Non quelli indotti dall'alienazione capitalistica, ma quelli imposti da mamma natura: cibo, tana, protezione e salute, che sono il must di ogni "buon" sistema. Poi ci sono bisogni di natura sociale che hanno pure un valore originario essendo l'umano animale sociale. Infine i desideri che sono la parte più sensibile all'indottrinamento. Mica solo politico/economico, anche ideologico e religioso. In tale indottrinamento la funzione sbufalante della filosofia è l'unica zattera di salvataggio di cui disponiamo. Ma è evidente che fin dal "divide et impera" e il "panem et circenses" chi ha il potere è osso duro da sbufalare. E ci sa giocare alla grande:
CitazioneL'unico limite della tecnoscienza è il suo stesso campo di indagine e trasformazione la "risorsa" fisica/naturale, ed è la cultura moderna che la sollecita e la sospinge in avanti.
E' illimitata perché è spinta proprio dai piaceri e desideri umani, che sia la super villa a Beverly Hills, o il supereroe automatico per bambini, che siano i parchi giochi, o sia il laboratorio segreto dove modificano geneticamente virus e batteri per armi biologiche. La richiesta viene dal sistema militare, economico, civile, politico , dai loro desideri di potere e divertimento. Se desideri e piaceri anche poteri ovviamente ci sono sempre stati, oggi c'è proprio l'esaltazione al di là del limite, illimitati sono i desideri e illimitata deve essere la tecnica.
...usando, e non essendo usato, dalla tecnoscienza con cui usa gli schiavi moderni
CitazioneMi pare lampante che una virtù , una morale deve avere dei custodi, è come la Corte Costituzionale che incarna il ruolo di custode dei principi costituzionali italiani .
Nelle forme amministrative pubbliche ci sono organismi attivi, di controllo e di consultazione.
I custodi sono tali se derivano da un accordo inter pares sempre negoziabile. Altrimenti sono custodi carcerari.
CitazioneCitaz. Ipazia
Il punto di di convergenza non può essere nel "prima e dopo l'esistenza" di cui nessuno ha la chiave, e chi dice di averla mente sapendo di mentire .
Questa affermazione ha dei sottointesi culturali che sono il nocciolo del pensiero ridotto ad opinione e del relativismo culturale, meriterebbe una discussione a sé , cercherò di rispondere più tardi.
Per ora ti dico che la tua è un'affermazione altrettanto assolutistica quanto lo è la verità rivelata delle religioni ed è questa la grande contraddizione e aporia della modernità e post modernità.
Effettivamente c'è un errore in tale affermazione ed è che assai spesso chi mente non sa di mentire. Ma chi ha materia grigia sufficiente lo sa, e trova il punto di convergenza nei valori asseverabili del
qui ed ora, tenendosi "il prima e il dopo", inverificabili, nel luogo riservato della sua coscienza senza imporlo, come nomos, a nessuno.
@Iano #90
La morale nacque come nomos in Grecia antica e lo si ritrova anche nel pensiero di Platone/Socrate.
Il concetto nasce da come funziona la natura , che sia dipendente o meno dagli dei o da "dio" ha poca importanza. Ne derivò il concetto di sovranità, in quanto il sovrano incarnava e aveva l'obbligo di portare l'equilibrio della natura dentro il dominio dell'uomo, nell'individuo nel sociale . C'è un naturalismo "spirituale" ed è quello che accomuna il termine physis antico al pensiero anche di Nietzsche e non corrisponde al termine fisica della tecnoscienza.
La natura ,essendo quindi espressione divina o meno, è il riferimento del sistema socio culturale.
Quella natura ha sia l'espressione "spirituale" ,sia l'espressione di colei che dà il sostentamento all'uomo per poter sopravvivere. La natura è quindi gioia nell'abbondanza e tragedia nella penuria , ma quì vive ancora l'"uomo autentico" in quanto misura fra sé e il mondo naturale ,non c'è artificio tecnico , non c'è sovrastruttura culturale che condiziona nell'inautenticità l'uomo come pensa Nietzsche, per questo osteggia la cultura in generale. La natura non era da sfruttare era da far fruttare che è diverso, è la zona di rispetto dimenticata dall'uomo sempre più tecnico.
Quindi la morale nasce dall'osservazione della natura o nelle religioni da una rivelazione: quindi è esterna all'uomo come concetto. Essendo esterna, non si piega ai mutamenti strutturali del sistema sociale umano, entrerà in crisi quando già in quell'epoca si perderà di vista il "bene comune" sempre più a favore di un "diritto privato". La grande battaglia "morale" fu giocata nelle scienze giuridiche fin da allora ,quando il diritto cominciò ad occuparsi della famiglia della proprietà delle transazioni economiche (diritto romano), la necessità da una parte di regolare gli scambi economici e gli interessi privati . A quel punto muta anche il concetto di sovranità del nomos, divenendo sempre più il riequilibratore di esigenze da una parte dello Stato, sistema pubblico, e dall'altro privato .
A questo punto la morale sfugge, non è più un concetto che nasce esterno all'uomo ,come equilibrio della natura, ma come negozio giuridico privato, cioè iniziano a diventare gli interessi privati , quindi il sistema economico più importanti della morale. Ed è chiaro che se una morale diventa subalterna al sistema economico dove l'interesse personale presiede e non dipende da una morale, quella morale è destinata a sparire. Una scelta morale ha il criterio di bene di male, una scelta economica ha il criterio di utilità e convenienza personale. Faccio la carità per morale, ma sfrutto le persone per mia utilità.
@Daniele 22 #91
rispondo anche ad Ipazia per una sua parte precedente.
La politica nel sistema delle prassi è l'ultima ruota del carro se non lo abbiamo ancora capito.
C'è una crisi di una società economica privata? Stila il numero degli addetti che devono essere licenziati e il sindacato accorre a contrattare. Chiedono magari un tavolo al Ministro del lavoro. Finisce sempre allo stesso modo. Il privato con il suo diritto di intraprendere fa quello che vuole, gli addetti invece di essere licenziati vanno in cassa integrazione. Il potere del diritto privato, che piaccia o no, è superiore al diritto pubblico ,alla faccia del primo articolo della Costituzione italiana.
L'Italsider di Taranto è la prova vivente. L'Alitalia è una storia a sé è quasi un'epica. Electroloux è un altro esempio....vado avanti all'infinito?
In questi anni si è proceduto ad una enorme riconversione dei siti produttivi delle auto, passando a motori ibridi e poi elettrici. Sapete quanti componenti ha un motore elettrico e quanti quello endotermico alimentato a benzina o diesel? A livello economico una cifra incredibile di addetti saranno di fatto licenziati perché un motore elettrico ha molta meno componentistica .
E voilà......si sveglia il sistema politico e inventa il recovery found.
Perchè è ovvio che se si passa ad auto elettriche ,tutto il sistema di produzione e distribuzione dell'energia elettrica deve essere riconvertito , magari utilizzando idrogeno come fonte "pulita", anche se l'idrogeno è un vettore e quindi a sua volta deve essere prodotto green.
Quello che intendo dire che mai com ora è visible che il sistema politico è indietro rispetto alla tecnoscienza .......chilometri e chilometri, dalla Terra al Sole. Il compito della politica è l'assistente sociale dei problemi che nascono nel sistema economico privato. E questo dobbiamo ringraziare gli illuministi, che decisero di dividere i poteri monarchici in tre: esecutivo o di governo, parlamentare o di legislazione, giudiziario nelle aule dei tribunali. Chissà come e perchè non decisero di limitare il diritto privato e tanto meno quello economico .Qualcuno mi sa dire il perché?
Il diritto positivo è prassi, è volutamente rincorrere i costumi sociali mutevoli. Vi accorgete allora che tutte le istituzioni corrono dietro al sistema tecnoscientifico e capitalistico economico?
Non voglio uscire troppo dal seminato di questa discussione, ma si potrebbe comparare come agisce la dottrina positiva delle prassi nell'epoca della pandemia attuale in rapporto alle norme costituzionali , dove il governo, potere esecutivo, esautora il potere legislativo a colpi di DPCM (decreto del presidente del consiglio dei ministri), regolando diritto alla libertà, diritto all'associazione, diritto alla circolazione, diritto alla scuola e addirittura sanzionando con pene amministrative e financo penali...un fatto straordinario è circoscritto nel tempo. Sapete quanti DPCM e quante ordinanza e persino quelli comunali oltre che regionali sono state compiute nell'ultimo anno in deroga ai principi costituzionali? Attenzione a queste abitudini di un presidenzialismo di fatto ......Infatti accade che più di qualcuno ,che non è fesso, impugni una multa e vada davanti al giudice richiamandosi alla Costituzione.
Avete sentito qualche dibattito "serio" in proposito? Io ,che avevo già forti dubbi, ho letto un lungo commento di una insegnante ordinaria di diritto costituzionale e infatti ha corroborato la mia tesi .
Mass media, columnist, filosofi (tranne Agamben e forse qualcun altro...) tutto tacque o addirittura diedero loro contro con veemenza.
Devo parlare della casta dei sacerdoti epidemiologi tecnoscientifici che arrivavano a querelare loro colleghi solo perchè avevano idee diverse? E si pensa davvero che la tecnoscienza non sia una religione atea?
L'ho trovato finalmente, il nome del filosofo e del libro che avevo visto in libreria:
Pierre–Henri Castel- Il male che viene. Saggio incalzante sulla fine dei tempi
Una breve recensione:
...un tentativo stimolante di affrontare l'idea di un orizzonte apocalittico secondo una prospettiva non religiosa...
Sostiene Castel: «Produrre i nostri alimenti in quantità industriale per quello che sembra essere il bene delle masse; alimentare di energia i luoghi in cui viviamo e lavoriamo; disfarci dei nostri rifiuti – in breve, vivere non solo normalmente ma, in molti casi, in stretta conformità con i nostri ideali di benessere individuale e collettivo e perfino con l'idea che ci facciamo della libertà e della giustizia, ecco cosa ci garantisce ormai lo sterminio». Il tutto «sullo sfondo di siccità e inondazioni, di carestie, di ingiustizie sociali dapprima circoscritte e poi generalizzate, di migrazioni, di epidemie, di crisi economiche». In poche parole, è il funzionamento stesso della civiltà, il modello del capitalismo che tutto riduce a merce e vuole riprodursi ovunque, a cospirare alla propria autodistruzione.
Ma l'analisi di Castel resta a livello filosofico e deliberatamente non fa cenno alle iniziative di mobilitazione come i Friday for Future: ciò che gli sta a cuore è delineare il volto del «Male che viene», di quella che Anders chiamava «un'apocalisse senza regno». Pur consapevole di muoversi su un terreno già abbondantemente arato dalle tradizioni religiose, egli non mette in campo nessuna osservazione desunta dal cristianesimo o dal buddhismo e preferisce illustrare ciò in cui consiste l'ateismo vero: «La consapevolezza che il reale non è stato "fatto" (da nessuna potenza divina) né perché lo si conosca, né perché lo si viva, né perché se ne goda». Nichilismo puro? Andiamoci piano, dato che le sue provocazioni vanno prese sul serio. Chiamiamo semmai la sua posizione catastrofismo illuminato.
Recupero e coniugo alcuni spunti:
Citazione di: paul11 il 14 Maggio 2021, 16:00:50 PM
il parametro è la giustizia che nessuna scienza può insegnare.
Può darla o una religione oppure una filosofia metafisica "forte".
Citazione di: paul11 il 14 Maggio 2021, 21:07:51 PM
non avendo una morale, che può nascere solo da un pensiero "forte",non ha alcun mezzo, alcun pensiero che possa in qualche modo indirizzare la tecnica ad un sistema più umano
Citazione di: paul11 il 14 Maggio 2021, 22:04:54 PM
Ma tutti abbiamo giudizi morali, magari del tutto personali, ma ci sono...il problema è che dovreste chiedervi: sono fondati su che cosa?
il
fil rouge implicito mi pare essere la forza del fondamento (e/o il fondamento della forza); la risposta tautologica (ad es. «il fondamento morale dell'umanesimo è l'umano», cit.
Ipazia) dimostra come ogni fondamento sia forte
all'interno del
suo sistema ed ogni sistema abbia la sua forza nell'accettare come veri i propri fondamenti; dinamica autoreferenziale che spazia dalla politica alla matematica, dalla linguistica ai giochi di società. L'appello alla forza richiede un fondamento che sprigioni/spieghi tale forza, ma se tale forza è solo quella dell'adesione/fede nel sistema fondato, non sarà teoreticamente più forte di quella di altri sistemi (risulterà magari più
forte nell'imporsi con vari metodi o nell'avere successo storico, ma ciò non costituisce forza
teoretica). L'appello alla prassi potrebbe essere invece banco di prova
super partes, ma il prezzo da pagare per tale verifica è che i valori morali diventano criteri funzionali/utilitaristici e la teologia cede il passo all'epistemologia, con conseguente perdita del valore (etico) atteso inizialmente. Tornando al fondamento forte: la religione rappresenta il tentativo di fondare con forza nel Cielo (rivelazione più o meno esplicita del divino) un paradigma che non possa essere falsificato dalla terra ma solo consolidato (tradizione), conformando una società coesa e funzionale (oltre che fornire risposte a domande esistenziali). Il rapporto con i paradigmi teologici geograficamente confinanti pone la questione che il cielo del fondamento è troppo affollato e propone fondamenti non sempre compatibili e trasversali; a questo punto o si innesca il conflitto fra teologie o nel tollerare diplomaticamente l'altrui fondamento si indebolisce il proprio, aprendo al dubbio (nemico della fede) la propria autofondazione. L'epistemologia, l'antropologia e altre scienze umane sbrogliano la questione razionalmente e rivelano l'
escamotage dell'
infalsificabile appello al cielo del fondamento divino. Tuttavia ciò non toglie che resta necessario comunque rispondere all'esigenza pragmatica di vivere in società appellandosi a paradigmi terrestri locali, almeno umanamente approntati se non divinamente rivelati, almeno dinamici e mutevoli (v. il mutare delle culture) se non più eterni.
Una volta compreso che il male teologicamente inteso non è altro che il socialmente disfunzionale (investito di trascendenza
ad libitum), declinato differentemente dalle varie culture e società, la morale demistificata si rivela come percezione sociale di valori culturali in una comunità (banalizzando: uccidere non è male perché si va all'inferno o si sporca il
karma, ma soltanto perché se tutti potessero uccidere la società si disgregherebbe, verrebbero penalizzati i più deboli, etc. mentre l'uomo ha da sempre bisogno di vivere in branco per sopravvivere nel mondo, oggi più che mai). Ogni morale è dunque ben forte e salda a casa sua, il problema della debolezza emerge spontaneamente con il confronto (o scontro) fra i propri fondamenti e quelli altrui quando le case sono così confinanti da diventare condomini (o quando le distanze comunicative e relazionali si accorciano al punto che si può nascere cristiani, crescere induisti e morire taoisti senza uscire dal proprio iglù, connessione internet permettendo).
Se si attende/auspica un pensiero forte, di una forza che travalichi le singole culture (e le loro commistioni) che sbrogli le questioni filosofiche "classiche", con al contempo una solidità epistemica minimamente degna della contemporaneità (per non ragionare ancora come metafisici dell'ottocento), ne scaturisce una
impassse metodologica e l'annesso bisogno di "uscirne", ritrovandosi ad oscillare fra utopia, disagio e "messianismo" filosofico/teologico, in totale assenza di indizi plausibili verso un fondamento redimente (e ridimente).
Un'ulteriore domanda, accanto a quelle ereditate da millenni, allora potrebbe essere: siamo sicuri che solo una filosofia forte, meta-culturale, potrà salvarci? Salvarci da cosa e in virtù di quale forza? Se restiamo nell'alveo del pensiero classico, la risposta è scontata: una filosofia forte del suo sapere assoluto ci salverà dall'ignoranza, dal sonno della ragione e magari anche dal male. Progetto "canonico" e certamente in buona fede, ma che pare incagliarsi in una realtà che non presenta le basi epistemologiche per ancorare saldamente tale ambizione (u-topica, senza luogo, se non si compie il salto individuale nella fede). Che le speranze degli antichi siano ereditate e condivise dai moderni, non dimostra che siano speranze ben fondate, sensate o realizzabili. L'alternativa sarebbe affrontare la suddetta domanda da un paradigma più debole, più contingente/immanente o persino più estetico: in gioco non ci sarebbe allora nessuna salvezza né soteriologia, ma "solo" la tangibile interazione storicamente determinata fra culture, paradigmi e filosofie (comprese quelle antiche, quelle postmoderne, le religioni, etc.) senza una forza meta-filosofica che possa idillicamente risolvere le incongruenze e i conflitti facendo leva su un Assoluto. Se ci si rivolge al presente, lasciando che il mondo della materia (biologica e non) sia studiato dalla scienze e dalla tecnologia, la dimensione umana è comprensibile (prima di essere giudicata), nella sua pluralità multiculturale, abbandonando il titanismo del paradigma antico che prevede monismi univoci e redenzioni (se, oltre la filosofia, si accetta con umiltà di imparare anche le lezioni, verificate seppur non assiomatiche, dell'antropologia, della sociologia, etc.).
In fondo, quando formuliamo un giudizio di valore, positivo o negativo che sia, su un filosofo, su una prospettiva, su un periodo storico (attuale o meno), etc. in cosa consiste il fondamento (e quanto è forte?) di tale (pre)giudizio? L'aporia/indecidibilità del fondamento dei valori è il "punto cieco" di ogni prospettiva
giudicante, e se ben inteso rende debole ogni discorso sulla "forza del fondamento" del giudizio
di valore (ma questa stessa prospettiva che individua tale aporia del fondamento, non soffre della stessa aporia? Direi di no, perché non è valutativa o giudicante, ma solo analitica e "meccanicistica", non esprime giudizi di
valore, non afferma che l'aporia di fondo è male/bene, etc.).
Se tuttavia preferiamo restare in un paradigma di valori teologici, dove il bene e il male non sono solo criteri di funzionamento degli ingranaggi sociali, credo concorderemo tutti nel rilevare che chiedere lezioni di etica alla tecnologia o alla scienza è come chiedere lezioni di epistemologia o gnoseologia alla religione: non è il chiedere in sé ad essere "fuori fuoco", ma lo è la scelta del settore/dominio in cui si cerca la risposta. Come scrissi tempo fa, di fronte al cadavere rischiamo di fare il processo alla pistola dimenticandoci che il grilletto non si preme da solo.
Per comprendere la contemporaneità, risulta fondamentale prendere atto (non si tratta di opinione, ma di constatazione) di come la cultura oggi non sia solo di stampo storico-religioso, ma anche scientifico e tecnico: analizzare la cultura (post)moderna che ci circonda senza comprendere, insiemisticamente ed ermeneuticamente, il ruolo della tecnologia significa infilarsi in vicolo cieco (di "cecità analitica"). Ben venga riconoscere l'innegabile
imprinting religioso, ma non è l'unico fattore costituente la nostra cultura attuale: non c'è la cultura come scrigno statico e custode del bene contro la tecnica come parassita malevolo che ne insidia la virtù; sin dai tempi della selce scheggiata
anche la tecnica forgia la cultura che dialetticamente interroga e direziona la tecnica (ad esempio, il contemporaneo successo dei
social non è frutto di imposizione dittatoriale né di obbligo di legge: la tecnica ha dato risposte potenti alla
innata fame di comunicazione e socialità
già ben "irrigate" nella cultura precedente, dalla alfabetizzazione alla televisione, passando per i giornali, la posta, etc. uomini creano/usano tecnologia su altri uomini, la tecnoscienza è burattino e se ne possono agevolmente risalire i fili; si potrebbe poi discutere del tema della "giusta misura" d'impiego, ma basandoci su quali meta-criteri? Si ritorna alla suddetta aporia e conseguente debolezza da calare nel mare delle necessità pragmatiche).
Altrettanto verificabile è la multiculturalità globale (l'apertura al diverso è sempre stato innesco per lo sviluppo della tecnica, ma anche per l'ibridazione/indebolimento dell'identità culturale) e pensare che i denominatori comuni transculturali siano in quanto tali forieri di "verità", è una fallacia tanto logica quanto ontologica; ad esempio, che tutti i popoli antichi spiegassero il mondo e il
post mortem ideando una divinità, non ha valore epistemico o probante, se non in quanto dimostrazione di alcuni meccanismi psicologici, sociali e cultu(r)ali (senza voler sminuire il valore esistenziale della fede individuale, né rinnegare il suddetto ruolo di collante sociale svolto dalla religione) che rendono l'uomo ciò che è.
Qualunque giudizio sulla contemporaneità (alienazione, avversione, ottimismo, etc.) è tanto più "solido" (ebbene sì, anche la debolezza ha le sue gradazioni, non significa affatto che un giudizio valga l'altro) quanto segue una comprensione adeguata e "corrente": leggere l'attualità alla luce di domande e paradigmi inattuali, non può che comportare incongruenze e disappunto; non sempre le domande, una volta poste (come quelle tramandateci dalla nostra tradizione giudaico-ellenica, lasciando da parte il differente "stile di domanda" dell'oriente), vanno ritenute inaggirabili: a volte non c'è riposta perché sono solo malposte o insensate (ed ostinarsi a voler rispondere a tutti i costi può comportare uno scollamento dall'attualità che le ha già decostruite o almeno "diversificate", pluralizzandone ed indebolendone le risposte).
Riconducendo le grandi narrazioni alla loro (debole?) pulsante dimensione culturale e dinamica, al loro valore esistenziale/letterario (più che genuinamente ontologico/gnoseologico), si può apprezzarne il valore estetico senza l'amaro della loro fallibilità logico-epistemica ("ingenuità", in senso buono); non è una questione di prima/dopo, ma principalmente di individuare i fattori che oggi rendono tale e fanno funzionare la nostra cultura; i giudizi di valore in merito, ovvero se essa funzioni bene/male, sono un passo successivo e (se sono riuscito a spiegarmi e se mi si concede l'infelice "
trigger") «relativo» (ad esempio, il contrasto fra differenti prospettive politiche, differenti ideologie e valori, non può essere risolto, in campo morale, semplicemente partendo da fondamenti o assiomi o comandamenti differenti per poi concludere che chi non concorda è in errore; due autoreferenze non fanno una metaverità).
Caro Viator, so benissimo senza che me lo spieghi cos'è l'anarchia e cos'è la democrazia.
Cara Ipazia, non so se la tua fosse un'ironia, comunque l'immagine di 2001 odissea etc non corrisponde per nulla alla mia idea.
Vorrei comunque spiegarmi meglio. L'etica è qualcosa che pertiene al singolo individuo e il comportamento dell'individuo sfuggirà sempre, anche grazie alla menzogna, a qualsiasi ordine imposto dall'alto, dal basso o da qualsiasi parte venga. L'evidenza dei fatti lo dimostra inequivocabilmente. Sarebbe infine solo la paura della punizione a inibire certe nefandezze, nefandezze dalle quali si discosta quella sparuta pattuglia di persone di buona volontà. Per fortuna tali persone esistono e anche questo sembra inequivocabile. Io faccio un semplice ragionamento: i conservatori non sono pervasi molto da ideologie anche se il razzismo sembra affascinarli. Loro si limitano a conservare quel che la storia ci ha dato. L'impero e la gerarchia è il loro ideale, ma nei secoli hanno ceduto parte del potere del grande capo fino a giungere a sopportare la democrazia (volenti o nolenti). La democrazia sembra così essere un punto limite oltre il quale lo stato non può permettersi di andare. Dai ricordi di scuola mi sembra inoltre di ricordare (posso sbagliarmi facilmente) che Hegel avesse giustificato in modo incontrovertibile l'esigenza dell'esistenza dello stato. Quel che manca oggi alla sinistra è un'idea intorno alla quale muoversi. Se voi osservate però, l'anarchico e l'imperatore rappresentano due polarità nella gestione del potere. All'anarchico il potere dell'individuo, all'imperatore il potere dello stato. Perché, mi chiedo, non imbracciare la bandiera anarchica anche senza sapere di poter arrivare chissà un giorno all'anarchia. Ovvio che in questa traversata del deserto potrebbero intervenire incognite imprevedibili, ma chi in fondo, pur non essendo anarchico vorrebbe un po meno di preoccupazioni e un po' più di libertà. Altresì chiaro sarebbe che un movimento di sinistra proteso a questa utopia porterebbe con se tutti i valori della sinistra. Se ora tali valori sono disattesi per vari motivi, uno su tutti senza pensar male la vita del partito (Simone Weil - "manifesto per la soppressione dei partiti politici") tali valori potrebbero divenire più gestibili in virtù di potersi rispecchiare in un'idea (l'anarchia). Non è che l'idea debba essere raggiunta per forza così comei non penso che la destra moderna persegua politiche atte al ripristino di un impero, ma di sicuro quella è la loro idea di riferimento per muoversi. Se non c'è un'idea chiara che direzioni il senso di giustizia che pertiene all'individuo si andrà sicuramente incontro al caos totale, sempre ammesso che non ci si trovi già
Dimenticavo, per Ipazia: le rivoluzioni sono sempre state tradite senza decostruire un bel fico secco, limitandosi a sostituire un ordine ad un altro ordine
Salve. Per fortuna qui siamo nella sezione "Spiritualità". E' da qualche decina di "post" che leggo solo di salumi e formaggi (incluso pure un mio singolo contributo, al quale però ho appena deciso di dare diverso sbocco). In compenso trovo che vi sia un piacevole equilibrio tra tesi profonde e tesi divertenti (preferisco non fare nomi). Saluti.
Citazione di: InVerno il 15 Maggio 2021, 11:56:52 AM
Citazione di: paul11 il 14 Maggio 2021, 16:00:50 PM
Nei miei post ho argomentato sui sintomi sociali e umani della differenza fra religione e tecnoscienza. La religione insegna con la morale il limite di "rispetto" verso Dio e i propri simili, la tecnica per sua natura è illimitata e inarrestabile, perché dà potere militare, politico, economico, non ha una morale, è l'uomo che decide come usarla, applicarla
Questo non significa, che l'uomo antico fosse migliore di quello moderno, perché si uccideva, rubava, si facevano guerre , ieri come oggi. Ma la morale fa capire chi sta facendo bene e chi compiva il male, il parametro è la giustizia che nessuna scienza può insegnare.
Può darla o una religione oppure una filosofia metafisica "forte".
Questa morale ,essendo inscritta nelle religioni, era socialemtne condivisa: questo è importante capire. Oggi una persona ha sempre meno una morale condivisa comune, ognuno si fa una propria morale, in base alla propria indole, educazione, quindi la morale è "personale" sempre meno condivisa e sempre più individualistica, quell'individualismo tipico della modernità che esalta l'egocentrismo, a dimostrazione che la tecnoscienza non evolve , ma può e questo a mio parere è accaduto, involve l'uomo., lo fa decadere.
Quando rispondendo alla domanda dell'incipit della discussione ,di come religione e scienze interpetano il passato, presente e futuro , ho posto anche la "terza via" filosofica. Ho scelto due autori "anti-modernisti" che non seguono un pensiero religios e neppure tecnico, anzi ne fanno critiche. La mia tesi è che non è il super uomo o l'eterno ritono di Nietzsche ad indicarmi una via, non è l'orizzonte di senso heideggeraino a darmi senso sull'esistenza se non scioglie il nodo di cosa sia l'Essere, non basta cercare di definire l'esser-ci, ho bisogno di tracciare la linea di senso che passi nell'oggi(il qui ed ora) ma che necessariamente ha un'origine e dopo un fine, il prima e dopo l'esistenza .Vale dire l'esistenza di ogni umano, la vita, ha senso se il percorso ha un'origine e una fine, non è bastevole l'esistenza presa in se stessa.
Questo è a grandi lineee ,ciò che penso.
Ci siamo capiti?....spero.
Detto in amicizia, perchè non vorrei spazientirti, ma secondo me fai confusione tra fenomeni e cause. Da una parte c'è quello che potremmo chiamare "disincantamento" dall'altra quello che -purtroppo dovremo- chiamare "post-modernismo", i due sono sicuramente correlati, ma non è detto che vi sia un altro nesso. Ci sono parecchie nazioni che sono importanti culture tecnoscientifiche, in cui il fascino delle grandi narrative uniche non è mai passato di moda (Cina in primis, paesi arabi poi, etc) come concili l'ingombrante esistenza di queste realtà con la tua teoria? Un conto è sostenere che avendo l'uomo abbandonato le grandi religazioni annaspi nello cercare qualcos'altro che possa avere un valore oltre l'individuale e abbia momentaneamente trovato la scienza, un altro conto è sostenere che proprio perchè l'uomo ha trovato la scienza che ha abbandonato le tradizionali religioni. In ogni caso, la tecnica non porta necessariamente dove ha portato l'occidente, e la prova è il resto del mondo.
La tecnica soprattutto se è pensiero stesso e non pensiero che governa la tecnica è pragmatismo all'ennesima potenza ed esalta : potere , dominio, egemonia.
Gli altri popoli hanno ancora una identità che sarà ,a mio parere, destinata a svanire. Si sono fatti "corrompere" dall'egemonia, dal potere, dal denaro occidentale. E infatti "non ci guardano bene" i loro radicalismi.
L'indole occidentale è guerrafondaia, espansiva, da conquistatori queste sono parte delle nostre radici .
L'umanesimo ha fatto entrambe le cose, abbandonato il cristianesimo e scelto la tecnoscienza : è un dato di fatto e lo vediamo anche quì nel forum.
Citaz. Inverno
In ogni caso, la tecnica non porta necessariamente dove ha portato l'occidente, e la prova è il resto del mondo.
Dovresti spiegarti meglio. Se intendi ad esempio la Cina, dovresti ricordare che Mao ha usato il celebre "libretto rosso" per togliere il confucianesimo e le dottrine millenarie e radicate nei costumi popolari.
Citazione di: daniele22 il 15 Maggio 2021, 17:25:13 PM
Dimenticavo, per Ipazia: le rivoluzioni sono sempre state tradite senza decostruire un bel fico secco, limitandosi a sostituire un ordine ad un altro ordine
Ciao Daniele, non è vero che nelle rivoluzioni non si decostruisce, al re la testa l'hanno tagliata davvero, solo che poi gli uomini si accorgono che un mondo disordinato non è piacevole e allora ricostruiscono.
@Paul
Tu scrivi che non è l'uomo al centro del sistema, ma la tecnica, e ciò è male..
Quindi intendi sarebbe bene fosse l'uomo al centro del sistema.
Ne deduco che, chiunque stia al centro, tecnica oppure uomo, questi si escludono comunque a vicenda.
Per me invece sono due cerchi concentrici, e invero intendo anche di più, è un cerchio solo.
Quelli di cui sopra sono cerchi concettuali, ma possiamo immaginare anche cerchi reali che racchiudono l'uomo, e cerchi che racchiudono il suo tablet , la sua automobile, etc... che normalmente non sono concentrici ( finché non saliamo sull'automobile 😅 , o ci innestiamo un chip/protesi nel cervello)
Perché non si dia nulla per scontato occorre sottolineare che tu , nel definire cosa sia uomo escludi dal suo cerchio definitorio concettuale le sue protesi tecniche.
Ciò ovviamente è legittimo., e ci permette di dire che l'uomo non è cambiato, seppur abbia perso la sua centralità.
Quindi seguono dotti discorsi che chiamano in causa il come e il perché ciò sia avvenuto.
La specie dominante del pianeta non è stata scalzata da un'altra specie, come da sempre finora avvenuto nei secoli dei secoli, ma da una nuova "specie" inanimata, se pur con inveterato vezzo fantascientifico gli si attribuisce una intelligenza e cose simili.
Riportando il tuo discorso tradotto in questo modo, spero abbastanza fedele, mi pare appaia bene che ci sia qualcosa che non quadri.
Dopo aver perso diverse centralità, dall'essere al centro dell'universo dunque l'uomo è passato a non essere più neanche al centro di se stesso, avendo di fatto concesso delega alla scienza.
Non sembra una bella storia, di quelle col lieto fine.
Io però ho provato a riscriverla col lieto fine.
Alfine l'uomo, scalzato da tutti i centri in cui aveva provato a prender residenza, capi' che era stato un errore pensare di potersi rappresentare come un punto , essendo meglio una figura che si espande e si comprime in relazione al contesto di interesse.
Così, se il contesto è una storia dell'evoluzione definirà come configurare se insieme alle altre specie.
Deciderà quale sarà il carattere dei personaggi della storia, introducendo li nel prologo, e ovviamente la storia cambierà se cambiano i personaggi.
Più in breve il mio parere è che nessuna specie animale debba darsi per cotta e mangiata in termini dell'evoluzione, e che si possa scrivere una storia dell'evoluzione delle specie solo definendo le specie, senza darle per scontate, ciò che equivarrebbe ad una sola possibile storia, con un solo inizio e una sola fine.
Io credo tu dia per scontato l'uomo, come finora di fatto si è fatto tutti.
Non sono quindi qui per dire che "tu" sia in errore.
Ma ti invito a considerare che una definizione di uomo come comprensivo della tecnica rende il racconto della storia più lineare.
Essendo io convinto dell'opportunità di questa definizione, non posso che vedere certi discorsi come , a dir poco, inutilmente complicati, quando non sfiorano il paradosso della tecnica che domina il pianeta.
Non so' però se tu ritieni di aver facoltà di poter considerare una diversa "specie" umana rispetto a quella finora considerata in modo , di fatto ,esclusivo.
Perché proprio in ciò è il nocciolo della questione.
Se l'uomo è in quanto tale ,allora c'è un inizio della storia e una fine , che sia lieta oppure no, come ci dicono un po' tutte le religioni.
Se l'uomo non è in quanto tale, invece no. Ci sono tanti inizi e tante fini quante sono le storie che si possono raccontare cambiando i protagonisti del racconto.
Per la scienza c'è invece un solo inizio comune ad ogni possibile storia, il presente, dal quale si può andare avanti come indietro.
Il creazionismo è la logica conseguenza di specie considerate come cosa in se', ognuna "secondo la sua specie", e che quindi non cambiano.
L'evoluzionismo invece, dicendoci cosa intende per specie, di fatto così le crea, raccontandoci altre possibili storie.
Delle due la seconda spiega meglio i fatti, compreso il fatto che non fai in tempo a definire le specie, che nuovi ritrovamenti fossi soli ti obbligano a nuove edizioni del catalogo dei viventi, per non parlare della loro evoluzione quando ne siamo testimoni in diretta.
Mentre la prima spiega meglio altro, ma non ho ancora capito cosa.
Citaz. Phil #104
Una volta compreso che il male teologicamente inteso non è altro che il socialmente disfunzionale (investito di trascendenza ad libitum), declinato differentemente dalle varie culture e società, la morale demistificata si rivela come percezione sociale di valori culturali in una comunità (banalizzando: uccidere non è male perché si va all'inferno o si sporca il karma, ma soltanto perché se tutti potessero uccidere la società si disgregherebbe, verrebbero penalizzati i più deboli, etc. mentre l'uomo ha da sempre bisogno di vivere in branco per sopravvivere nel mondo, oggi più che mai). Ogni morale è dunque ben forte e salda a casa sua, il problema della debolezza emerge spontaneamente con il confronto (o scontro) fra i propri fondamenti e quelli altrui quando le case sono così confinanti da diventare condomini (o quando le distanze comunicative e relazionali si accorciano al punto che si può nascere cristiani, crescere induisti e morire taoisti senza uscire dal proprio iglù, connessione internet permettendo).
Stai parlando di religioni chiuse, come l'Islam e l'ebraismo, non è così nel cristianesimo.
Si fanno guerra perché la prima in una sura alquanto contraddittoria con il resto delle sure coraniche che dicono l'opposto, si parla di uccidere gli infedeli. Dall'altra gli ebrei sono il "popolo eletto" che ha fatto il patto con Yawheh; non è affatto così per il cristianesimo .
Stai facendo la storia del diritto, qualcosa ho già scritto negli ultimi post.Se una morale si "secolarizza" per garantire i poteri temporali, la morale è destinata a svanire e si fa politica populista. ....come infatti si sta facendo nel "cupolone" romano. La tolleranza è intrinseca nel pensiero originale del Nuovo Testamento, ...cosa poi hanno deciso di interpretare i padri della chiesa, come si è comportata la chiesa in circa duemila anni di storia........ha compiuto teoresi e azioni che non erano affatto coerenti con le Scritture, potevano farlo con analfabeti che non potevano né possedere e tanto meno leggere la Bibbia....ora non più.
La mia posizione come cristiano poggia sul cristianesimo originario , tutto il resto dall'edificazione del potere temporale papalino .... è altro. Con tutto il rispetto che ho comunque con la figura della Chiesa, perché capisco che un conto è una teoresi, ciò che è scritto nei Vangeli, e altra cosa è fare prassi, cioè far vivere nei tempi storici . E' come un ideologo che decide di fare carriera politica entrando in Parlamento. Un conto è la teoresi e un conto è doversi sporcare le mani nelle pratiche. Quindi se è questo che vuoi dire, la morale rimane ferrea, non può adeguarsi ai tempi, perché la morale detta i criteri di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato ,di ciò che è bene e ciò che è male.
Perché se la morale si corrompe secolarizzandosi, la Chiesa diventa altro dal cristianesimo si allontana fino a diventare incompatibile. Per fare un esempio concreto: un comunista che entra nel Parlamento deve verificare la sua compatibilità ideologica con le scelte pratiche, o è coerente o diventerà qualcosa d'altro rispetto al comunismo, così come stanno facendo il movimento 5Stelle, perdono la loro identità originaria diventando qualcosa d'altro .....e si sfaldano come precedentemente hanno fatto le aree socialiste e comuniste, avevano continue rotture e trasformazioni, fino a che sono diventati di fatto altro rispetto alla loro origine.
Quindi una religione se perde la morale ha chiuso, diventa una vestigia La laicità è comunque possibile, come dimostra la storia dei tre monoteismi , non a caso si hanno partiti e da noi sindacati di matrice "confessionale" , l'importante è la compatibilità del pensiero con l'azione .
Nella tua prolusione parti da una pregiudiziale ,che l'attuale cultura sia la migliore e che attraverso di essa sia possible classificare le altre culture.
Ti rispondo semplicemente così: tu pensi che duemila anni fa se io te in quei tempi avessimo ragionato come nei dialoghi socratici , noi intrisi culturalmente di dei o religioni, che sarebbe stato possibile una cultura tecnoscientifica senza dei o religioni(diciamo che non sono "forti" oggi, anche se sono esistenti)? Come fai a dire allora che non ci potrà essere un'altra rivoluzione culturale, su quale base se non su quella dell'attuale cultura? Certamente non sarà domani, e nemmeno dopodomani........poi non si sa e non può certamente predirla l'attuale cultura, come non poteva predirla la passata cultura del sorgere di quella attuale. Posso semmai pensare lo scenario socio economico politico umano dettato da questa cultura. Io penso che l'uomo decadrà ,altri sicuramente penseranno il contrario, perché si fidano della tecnoscienza.
Ho letto e studiato troppi libri per non aver capito che pochissimi pensatori arrivano a pensare ai "massimi sistemi" culturali, a mio parere oggi come oggi non ci sono premesse per una seria analisi culturale, moltissimi semmai hanno analizzato gli effetti e qualcuno in maniera esemplare, ma nessuno ha capito i paradigmi che reggono la cultura tecnoscientifca, o ne additano cause diverse, ci sarebbero vari esempi. Nietzsche non capisce che il problema non è la morale cristiana , ma è la Chiesa, Heidegger colpevolizza Platone e non l'Umanesimo, Severino ritiene che l'aporia del fondamento nasca dal pensiero greco, e gli è indifferente il pensiero umanista: fanno una frittata unica degli ultimi duemila anni seppur hanno capito il problema della Tecnica .
Quindi non so se come disse Fukuyama siamo alla fine della storia, o come disse Heidegger siamo alla fine della filosofia....... e ci vuole un "dio".....so solo che questi tempi culturalmente sono fortemente mediocri , basta guardare il livello dei filosofi del Settecento o Ottocento e quelli attuali, c'è qualcuno che scrive ancora qualcosa di veramente originale? Non ci sono premesse, quindi la tecnoscienza ,almeno per ora, galopperà inarrestabilmente lanciata verso il futuro
@paul11Alcuni chiarimenti circa il mio (lo ammetto, troppo lungo) post precedente:
Citazione di: paul11 il 16 Maggio 2021, 00:32:49 AM
Nella tua prolusione parti da una pregiudiziale ,che l'attuale cultura sia la migliore e che attraverso di essa sia possible classificare le altre culture.
Decisamente no. Tutto il mio dilungarmi sul multiculturalismo, sulla mediazione fra culture, sulla relatività e secondarietà del meglio/peggio (rispetto alla comprensione delle dinamiche culturali), sull'aporia che (s)fonda i paradigmi dei giudizi di valore, sulla necessità di restare contestualizzati nella molteplicità dell'attualità, etc. altrimenti non avrebbe senso, ed è invece il nucleo del mio discorso. L'assenza di un meta-criterio culturale che renda possibile "classificare" le altre culture è un'evidenza teoretica e metodologica che percorre tutto il mio post, sino all'ultima frase.
Citazione di: paul11 il 16 Maggio 2021, 00:32:49 AM
Come fai a dire allora che non ci potrà essere un'altra rivoluzione culturale, su quale base se non su quella dell'attuale cultura?
Infatti non ho affermato questo (puoi ricontrollare), anzi ho evidenziato al contrario come la cultura sia
dinamica e sempre più complicata dall'ibridazione con le culture confinanti (fisicamente o per relazione); questo comporta la difficoltà nella sua adeguata comprensione "in corsa" e rende necessario aggiornare le analisi (e le domande pertinenti) all'attualità (non perché sia bella, buona, giusta, etc. ma semplicemente perché è ciò che ci circonda ed in cui viviamo). Per il futuro non ho proposto né esclusioni né profezie.
Riguardo
Citazione di: paul11 il 12 Maggio 2021, 00:25:41 AMPerchè le tre condizioni; filo religiose, filo scientifiche, e la terza via appunto di Nietzsche ed Heidegger falliscono? Questa è la filosofia del futuro che ancora non c'è.Ognuna delle tre strade da sola ,forse è errata e forse, e ridico forse, è solo prendendo il meglio delle tre strade in una argomentazione solida e forte, che se ne potrebbe uscire.
e
Citazione di: paul11 il 16 Maggio 2021, 00:32:49 AMHo letto e studiato troppi libri per non aver capito che pochissimi pensatori arrivano a pensare ai "massimi sistemi" culturali, a mio parere oggi come oggi non ci sono premesse per una seria analisi culturale [...] c'è qualcuno che scrive ancora qualcosa di veramente originale?
direi che in fondo «la filosofia del futuro»(cit.) di cui parli c'è tuttora intorno a noi (almeno occidentali) ma viene perlopiù ignorata (almeno in alcune sedi), proprio perché spesso si permane nella convinzione "nostalgica" (e, questa sì, pregiudiziale) che solo un nuovo pensiero forte (in stile sistemone hegeliano) ci salverà e che il novecento, pur iniziando con fenomenologia e neopositivismo per poi terminare con il postmodernismo, sia comunque il secolo di Heidegger, Severino e altri esteti continentali "tardometafisici" (non è un'offesa), partendo dai quali l'attualità risulta inevitabilmente un
rebus ancor più complesso perché viene letto con categorie inattuali (la tecnica non è più quella dei tempi di Heidegger, come il lavoro non è più quello dei tempi di Marx, etc. se ci si trincea dentro questi pensieri anziché aggiornarli guardandosi intorno, dove tutto trasuda postmodernità, è inevitabile ottenere un quadro insoddisfacente della realtà, ovvero un giudizio
di valore che tuttavia non è fondato su adeguata comprensione per incompatibilità categoriale). Se si è metabolizzato
tutto il novecento e la sua "originalità" (che richiedi nella tua citazione), auspicarsi "massimi sistemi" oggi, è quello che intendo con "messianismo filosofico": un atto di fede legittimo, ma che,
per ora, non è basato su indizi che diano uno spessore "contenutistico" all'attesa (oltre a non giovare alla comprensione della contemporaneità in atto).
Buona domenica a tutti
Penso che il multiculturalismo sia solo una fase transitoria . Presto avremo una monocultura globale pressoché uniforme e quindi molti giudizi saranno necessariamente semplificati. Già oggi si vede come ci sia molta meno differenza, nei comportamenti, nei costumi e nei consumi (soprattutto nei consumi) tra un italiano e un cinese che non quella che c'era solo 50anni fa tra un cinese e un vietnamita, per dire. Penso che quella che stiamo vivendo sarà anche una fase relativamente breve. La struttura culturale ormai globalizzata delle società è già piuttosto evidente. Quello che desidera possedere o fare un giovane giapponese è praticamente uguale a quello di un danese e il mercato offre e incentiva questo per dinamiche di profitto. Quello che si accentuerà, secondo le previsione e le stime, anche demografiche, saranno le disuguaglianze nell'accesso a questi consumi. Con una monocultura "pensiero forte" o "pensiero debole" praticamente perderanno di reale significato, perché uno sarà il pensiero dominante (ci saranno naturalmente "rivoli" culturali, nicchie, che coleranno dal fiume principale, ma ininfluenti nel corso). Non essendoci confronto non avrà praticamente più senso parlare di pensiero + o - forte, + o - debole. Quello sarà e i cittadini saranno chiamati ad adeguarsi. Ci saranno naturalmente molti parchi a tema culturale. Un tempo si andava allo zoo a vedere gli animali rinchiusi, forse in un futuro prossimo andremo a visitare (stile "linea verde") i "parchi culturali", i "parchi religiosi", ecc. L'unica incognita, ma non è un'incognita di poco conto, è quella di che cosa produrranno le forti disuguaglianze di accesso ai beni future. sarà uno snodo decisivo, penso. AIP
Per agevolare la comprensione di quel che intendo con «categorie adeguate all'attualità», posto la nota tabella (non l'ho trovata completa in italiano) redatta da I. Hassan in un suo testo del 1971 (se non sbaglio):
(https://pbs.twimg.com/media/Ek7WQX6WMAAEY4N.png)
quale delle due colonne, 50 anni dopo la pubblicazione, ci aiuta ancora a comprendere (attenzione: non «valutare») la contemporaneità?
@iano #110
Si possono fare concettualmente usi dell'insiemistica, ma c'è sempre una gerarchia, come denomini il cerchio che comprende tutti i cerchi, cioè l'insieme che comprende tutti gli insiemi?
La religione lo chiama Dio; la filosofia aristotelica motore primo incausato, archè; per me la modernità è tecnoscienza o Tecnica e non uomo.
Se invece si vuole fare dell'antropocentrismo allora diciamo che l'uomo è sempre al centro di ogni cultura, in quanto agente conoscitivo, ma questa è la differenza interpretativa tipica della modernità, in quanto ha esaltato la gnoseologia la conoscenza), perdendo l'ontologia (ciò che "è"),
Innanzitutto bisogna dichiarare cosa significhi conoscere, dimostrare.
La modernità dice che è "vero" solo ciò che è accertabile sperimentalmente, cioè ciò che percepisco con i sensi o l'espansione dei sensi strumentali della tecnica: microscopi, telescopi, radiologia.....
Dio è accertabile dalla scienza? No. E' accertabile la coscienza?NO E'accertabile il cervello? SI. E' accertabile la mente?NO..........
Tutto ciò che esula dalla forma accertativa e che secondo il metodo sperimentale non è accertabile NON E? Vale a dire non esiste, non è ontologicamente.
Quindi la tecnoscienza è la tavola della verità conoscitiva nel sistema culturale moderno e la logica moderna ,come Wittgenstein insegna inventore delle tavole delle verità logiche proposizionali, ne è dipendente. Perchè leggere Wittgenstein e logica senza capire che al centro del suo sistema è il metodo sperimentale scientifico ,significa travisarlo. Semmai lui stesso ammette che vi sono cose che non si possono giudicare vere o false, secondo questo metodo, ad esempio il "mistico".
Vale a dire che tutto ciò che non è ponderabile, misurabile da questo sistema è "infalsificabile".
Allora: il credente in Dio ha le tavole delle leggi, ha la morale di una fede spirituale o religiosa.
L'uomo moderno a sua volta rivolge lo sguardo alle tavole delle verità della tecnoscienza.
Mi si dica adesso cosa cambia sostanzialmente?
Che l'uomo è sempre dipendente da qualcosa che sta "sopra di lui" quel qualcosa(Dio o tecnoscienza) a cui si AFFIDA affinché possa conoscere, possa credere, ai fini di un presunto senso e significato della vita.
Che si chiami Bibbia o che si chiami manuale scientifico sperimentale, l'uomo ha deciso in un tempo diverso di affidarsi e confidare in qualcosa .
Se la Bibbia è scrittura rivelata, lo è sostanzialmente anche un manuale scientifico. Non cambia la sostanza.
E non cambia nemmeno se quei concetti religiosi o della metafisica filosofica vengono dichiarati verità incontrovertibile, assolute e d eterne, oppure nella modernità opinioni falsificabili. Perché anche quest'ultime diventano ASSOLUTI nel momento in cui il sistema di riferimento dell'accertamento della verità dichiara l'impossibilità di una verità assoluta e al suo posto erge l'opinione: di fatto assolutizza l'opinione, Tant'è che l'opinione dichiara l'antica verità o falsa o infalsificabile, ingiudicabile. Anche qui la sostanza non muta. Sono sistemi simili e complementari , cioè sono simili perché un sistema per quanto possa dichiararsi falsificabile essendo sistema di riferimento per accertare e dimostrare è implicitamente assoluto, può dichiararsi quel che vuole se risponde ala paradigma del fondamento del suo sistema, sono complementari perché solo in teoria dichiarano di essere la negazione dell'altro, in realtà convivono perché hanno contenuti gnoseologici e ontologici diversi. Ecco perché il credente può convivere nel sistema occidentale con l'ateo, fin tanto che l'uno o l'altro non si ergano sbandierando la loro fede come superiore all'altra.
In entrambi i sistemi affidandosi l'uomo ne dipende come ricerca di una "verità".
Ecco perché dico che il , o uno, dei problemi fondamentali è prima di tutto la natura umana, intesa non solo fisico/naturale, ma come mente, come psiche, come anima, come spirito, come "mistica".....e la tecnoscienza non può dare risposte in quanto non indagabili.
Il terzo sistema come sarà.........
Il punto, ritornando al post di Iano, è quale vita possa definirsi "autentica", in un orizzonte di senso e questo daccapo, per quanto scritto sopra, non è definibile dalla tecnoscienza, ma nemmeno le rivelazioni bibliche ci dicono per filo e per segno le cose, non tutto è svelato , tant'è che si fa da sempre esegesi dei testi spirituali e soprattutto religiosi: si cerca di capire il detto ,ma anche ciò che non è stato detto o scritto. Cosa è la parte di noi che si dichiara "mistica", che sentiamo in noi ma è così indefinibile da non riuscire a esporla, chiarirla?
Quì ,forse, potrebbero aiutarci anche i "bei naufragi" di Nietzsche ed Heidegger nelle parti, nelle pagine più caratterisitiche e pertinenti. Per aiutarci a capire.......
Noi non siamo esseri "perfetti", abbiamo sempre necessità di completarci nel pensiero, nel sessuale, nelle pratiche........ci manca sempre qualcosa e per questo che nemmeno i piaceri e i desideri si placano, siamo sempre protesi a cercare e cercarci.....questo senso di inadeguatezza per cui eventi della vita ci prendono sempre alla sprovvista per quanto noi si possa aver capito, esserci in qualche modo premuniti.
Io penso per questo che l'uomo non sia mutato negli ultimi millenni è sempre teso verso qualcosa.
Citazione di: Alexander il 16 Maggio 2021, 11:52:53 AM
Buona domenica a tutti
Penso che il multiculturalismo sia solo una fase transitoria . Presto avremo una monocultura globale pressoché uniforme e quindi molti giudizi saranno necessariamente semplificati. Già oggi si vede come ci sia molta meno differenza, nei comportamenti, nei costumi e nei consumi (soprattutto nei consumi) tra un italiano e un cinese che non quella che c'era solo 50anni fa tra un cinese e un vietnamita, per dire. Penso che quella che stiamo vivendo sarà anche una fase relativamente breve. La struttura culturale ormai globalizzata delle società è già piuttosto evidente. Quello che desidera possedere o fare un giovane giapponese è praticamente uguale a quello di un danese e il mercato offre e incentiva questo per dinamiche di profitto. Quello che si accentuerà, secondo le previsione e le stime, anche demografiche, saranno le disuguaglianze nell'accesso a questi consumi. Con una monocultura "pensiero forte" o "pensiero debole" praticamente perderanno di reale significato, perché uno sarà il pensiero dominante (ci saranno naturalmente "rivoli" culturali, nicchie, che coleranno dal fiume principale, ma ininfluenti nel corso). Non essendoci confronto non avrà praticamente più senso parlare di pensiero + o - forte, + o - debole. Quello sarà e i cittadini saranno chiamati ad adeguarsi. Ci saranno naturalmente molti parchi a tema culturale. Un tempo si andava allo zoo a vedere gli animali rinchiusi, forse in un futuro prossimo andremo a visitare (stile "linea verde") i "parchi culturali", i "parchi religiosi", ecc. L'unica incognita, ma non è un'incognita di poco conto, è quella di che cosa produrranno le forti disuguaglianze di accesso ai beni future. sarà uno snodo decisivo, penso. AIP
Difficile darti torto.
Magari avremo anche l'unificazione dei riti e delle feste religiose.
Però non tutto è perso se la diversità culturale persa per i popoli là si recupera a livello individuale nel saper coltivare diversi punti di vista, perché la diversità e' una irrinunciabile produttrice di ricchezza, che non andrà quindi redistribuita se già ognuno ne possiede la fonte.
Mi rendo conto così di peccare di troppo ottimismo, ma chi ha un minimo di conoscenza della storia della scienza avrà' capito che il pensiero unico non produce nulla, per quanto formalmente sia cio' che la scienza, al pari delle religioni, perseguono o cercano di affermare.
Credo che una delle attrattive delle religioni sia quella, aderendovi, di entrare a far parte di una comunità gia' bella e confezionata a kilometro zero.
La scienza però ci propone già un esempio di comunità diffusa a kilometro indeterminato dove la diversità prospera e produce.
Se questa diversità culturale non ci pioverà più dal cielo, non dipendendo dall'accidentale e diverso luogo di nascita con relativo culto annesso, allora occorrerà che ogni individuo se ne curi personalmente , come i'orto sui balconi di casa.
Abbiamo finora potuto perseguire l'uniformità senza danno, credendo anzi fosse un bene perché meccanismi locali, non ancora globalizzati, comunque garantivano la diversità.
Ci toccherà con dispiacere dover rinunciare alle guerre, che facendo scontrare i popoli concentrava proficuamente le loro diversità, trasferendo il conflitto dentro ognuno di noi.
Buona domenica Iano
Concordo con te che bisogna sforzarsi di preservare almeno la diversità personale, lo spirito critico, che sembra ormai l'" ultima rocca" della filosofia. Non vorrei però che diventasse semplicemente la "schiuma" sul fiume. Una diversità apparente sopra dinamiche omogenee e globali. Sarebbe una forma di illusione , magari gratificante per il singolo o il piccolo gruppo, la nicchia appunto, ma ininfluente sui processi determinanti.La religiosità ha già questa dimensione (apparente diversità su comportamenti omogenei sottostanti). la scienza non se ne preoccupa, perseguendo ricerche principalmente orientate alle esigenze di mercato e di finanziamento.
Salve Paul11: Citandoti : "Dio è accertabile dalla scienza? No. E' accertabile la coscienza?NO E'accertabile il cervello? SI. E' accertabile la mente?NO..........".
Scusa ma che significa "accertabile" ? Il possedere la prova sensorialmente apprezzabile e reiterabile della esistenza di qualcosa ?,
In tal caso coscienza e mente secondo me sono accertabilissime, mentre non lo sono le loro "corrispondenze" metafisiche, cioè LO SPIRITO e l'ANIMA.
Prima di addormentarmi io risulto (spero) in possesso sia della COSCIENZA che della MENTE dal momento che se qualcuno mi chiede quanto fa dodici per tre, la mia COSCIENZA (stato e funzione psichica) mi permette di reagire cercando di rispondere alla domanda, mentre la mia MENTE (struttura e funzione intellettiva) mi permette di dar un senso alla risposta, facendomo pronunciare un "trentasei". Non so se tale modalità di accertamento potrà venir da te accettata.
Poi, addormentatomi, magari avrai ragione tu nel trovare inaccertabili sia coscienza che mente, almeno sinchè non arrivi mia moglie a scaraventarmi giù dal letto..................., al che si avvererà il miracolo della resurrezione coscenzial-mentale.
L'unico modo per vanificare l'accertamento dell'esistenza oppure dell'inesistenza sia della coscienza che della mente credo sia quello di prendere a mazzate il cranio di un vivente.
Infine, a proposito di Dio, spirito ed anima...................credo proprio che circa la loro esistenza, il mistero continuerà a regnare. Saluti.
Sempre accurato e illuminante il nostro Phil a cui dedico
questa striscia.
Venendo alla parte che più mi compete:
Citazione di: Phil il 15 Maggio 2021, 15:31:17 PM
il fil rouge implicito mi pare essere la forza del fondamento (e/o il fondamento della forza); la risposta tautologica (ad es. «il fondamento morale dell'umanesimo è l'umano», cit. Ipazia) dimostra come ogni fondamento sia forte all'interno del suo sistema ed ogni sistema abbia la sua forza nell'accettare come veri i propri fondamenti; dinamica autoreferenziale che spazia dalla politica alla matematica, dalla linguistica ai giochi di società. L'appello alla forza richiede un fondamento che sprigioni/spieghi tale forza, ma se tale forza è solo quella dell'adesione/fede nel sistema fondato, non sarà teoreticamente più forte di quella di altri sistemi (risulterà magari più forte nell'imporsi con vari metodi o nell'avere successo storico, ma ciò non costituisce forza teoretica)...
... Una volta compreso che il male teologicamente inteso non è altro che il socialmente disfunzionale (investito di trascendenza ad libitum), declinato differentemente dalle varie culture e società, la morale demistificata si rivela come percezione sociale di valori culturali in una comunità (banalizzando: uccidere non è male perché si va all'inferno o si sporca il karma, ma soltanto perché se tutti potessero uccidere la società si disgregherebbe, verrebbero penalizzati i più deboli, etc. mentre l'uomo ha da sempre bisogno di vivere in branco per sopravvivere nel mondo, oggi più che mai). Ogni morale è dunque ben forte e salda a casa sua, il problema della debolezza emerge spontaneamente con il confronto (o scontro) fra i propri fondamenti e quelli altrui quando le case sono così confinanti da diventare condomini (o quando le distanze comunicative e relazionali si accorciano al punto che si può nascere cristiani, crescere induisti e morire taoisti senza uscire dal proprio iglù, connessione internet permettendo).
La forza del fondamento umanistico, che ne fonda pure la forza effettuale, è che il condominio è sufficiente ampio per farci stare tutti gli umani, racchiudendoli nel medesimo cerchio tautologico in cui vale ciò che ho evidenziato in corsivo. Tale ampiezza comporta qualche rilassamento e mediazione etica poco massimo sistemistica, ma alla fine si porta a casa il risultato di una adesione allo spirito del proprio tempo in sintonia con le problematicità del medesimo, con una forza che deriva dalla materialità dei suoi fondamenti. I quali, spiritualizzandosi, tendono a sublimare in più piccole parrocchie autoreferenziali all'interno di metaetiche di carattere estetico ed esistenziale, non confliggenti però con la metaetica di base che le "comprende" in un'etica comune attenta al benessere dell'intera specie.
Questo per la teoresi. Per la prassi, il congegno storico umanistico ha dato buona prova di sé in tutte le epoche in cui si è posto l'umano, nella sua concretezza psicosomatica, al centro dell'attenzione, con cadute anche verticali quando si è metafisicizzato il tutto in nome di idoli sacri o profani. Le tappe sono note e mi astengo dall'enumerarle. Oggi il filo rosso pare essersi incagliato in una parte bassa del processo antropologico evolutivo, ma come altre volte in precedenza la Krisis è il luogo in cui si recuperano energie e si correggono le strategie per nuovi balzi.
L'umanesimo non ha mai sposato la metaetica tecnoscientifica e Marx, ancor più che Nietzsche, sono sentinelle accurate di tale attenzione. Ma pure Freud e tutta la critica novecentesca dell'alienazione metropolitana dimostrano tale attenzione e preoccupazione. Essendo poi una critica meno ideologicamente delimitata com'è la teologia, ha saputo cogliere con più acume i nodi del processo in atto. E pure cavalcarli nella prassi. Se, come accenna pure phil, la tecnica è destino antropologico fin dalla selce, non sarà rifiutandola che se ne migliorerà, in senso etico, l'uso, posto che una volta sperimentata te la ritroverai sempre davanti (come l'aggeggio al centro della rivoluzione epocale su cui sto scrivendo).
La rivoluzione. Sottoscrivo quanto replicato in vece mia da Anthonyi, con la postilla che il nuovo ordine dovrebbe essere migliore di quello che l'ha preceduto. Dalle latomie ricolme di schiavi alle cooperative e fabbriche sindacalizzate pare sia avvenuto così. Anche se nulla osta che le latomie ritornino e anche la schiavitù evolva in forme più subdole ed efficaci, fin dentro la corteccia neuronica dei nuovi schiavi. Ma allora la risposta non può essere di tipo luddistico o nostalgico, ma tecnica se vuole essere efficace. Detto tra parentesi, le nuove tecnologie sono omologanti, ma faticano assai a controllare ciò che attraverso le medesime omologante non è.
L'incipit di 2001 Odissea nello spazio è uno dei trattati di antropologia più sintetici e ben costruiti per capire come sono andate le cose anche in senso etico. Prima del
primum non nocere viene il
primum non soccombere. Risolto il quale ben vengano le astronavi al posto dell'osso e la musica di J.Strauss al posto dei grugniti e del digrignare di denti.
Citazione di: Alexander il 16 Maggio 2021, 13:06:07 PM
Buona domenica Iano
Concordo con te che bisogna sforzarsi di preservare almeno la diversità personale, lo spirito critico, che sembra ormai l'" ultima rocca" della filosofia. Non vorrei però che diventasse semplicemente la "schiuma" sul fiume. Una diversità apparente sopra dinamiche omogenee e globali. Sarebbe una forma di illusione , magari gratificante per il singolo o il piccolo gruppo, la nicchia appunto, ma ininfluente sui processi determinanti.La religiosità ha già questa dimensione (apparente diversità su comportamenti omogenei sottostanti). la scienza non se ne preoccupa, perseguendo ricerche principalmente orientate alle esigenze di mercato e di finanziamento.
A proposito di coltivare la diversità dentro di se', dopo aver illustrato il mio punto di vista troppo positivo, passo a quello troppo negativo.
In questo mondo che va' così veloce le dinamiche della nascitura società globale digitalizzata fanno già numero e statistica, e una loro possibile lettura ci propone tutt'altro che un villaggio globale, ma tanti villaggi non localizzati, ma ancora più esclusivi di quelli locali, come portatori di diversità non produttiva , in quanto questi diversi villaggi potranno farsi la guerra digitale, senza mai incontrarsi, cioè senza mai poter mettere a proficuo confronto la loro diversità.
Non sembra quindi la nuova società preveda un succedaneo allo scontro incontro fisico come fonte di ricchezza.
I meccanismi della nuova società favoriscono piuttosto che no le radicalizzazioni che sono ormai fatti di cronaca.
Va a finire che ci toccherà resuscitare davvero la pratica filosofica per bilanciare questa aberrazione sociale.
Meno male che noi ci siamo già portati avanti col lavoro. 😊
Inierei col riflettere sul fatto che la conoscenza delle vecchie dinamiche sociali possa aiutarci poco per prevedere e/o prevenire le nuove e la soluzione temo la scopriremo vivendo.
Citazione di: Phil il 16 Maggio 2021, 12:04:28 PM
Per agevolare la comprensione di quel che intendo con «categorie adeguate all'attualità», posto la nota tabella (non l'ho trovata completa in italiano) redatta da I. Hassan in un suo testo del 1971 (se non sbaglio):
(https://pbs.twimg.com/media/Ek7WQX6WMAAEY4N.png)
quale delle due colonne, 50 anni dopo la pubblicazione, ci aiuta ancora a comprendere (attenzione: non «valutare») la contemporaneità?
https://en.wikipedia.org/wiki/Ihab_Hassan
citaz. Phil
L'assenza di un meta-criterio culturale che renda possibile "classificare" le altre culture è un'evidenza teoretica e metodologica che percorre tutto il mio post, sino all'ultima frase.
]Sarebbe questa tabella il meta-criterio? O è un esempio? Ma soprattutto non capisco dove si vuol andare.
Diffido di tutte le dicotomie. Trovarne poi 33 in un colpo dovendole scegliere in blocco mi pare un metodo massimosistemico che rientra dalla finestra dopo essere uscito con gran fanfara situazionista dalla porta. Anni '70 e li mostra tutti. Forse bisognerebbe aggiornare anche parecchie voci della seconda colonna.
@paul11 e @Ipazia
Confermo l'assenza del meta-criterio culturale: ciò che Hassan propone sono infatti criteri (indubbiamente prospettici) per decifrare la postmodernità (per come era osservabile negli anni '70, ovviamente), rilevando come il paradigma interpretativo della (sua) attualità non possa essere più solo quello moderno, perché alcune categorie non sono più applicabili o sono quantomeno indebolite e messe in discussione dalla società.
Chiaramente, in puro spirito postmoderno (riluttante ai "massimi sistemi"), Hassan non propone con la sua tabella "le tavole della legge postmoderna", infatti, come ci ricorda la pagina di wikipedia, egli stesso commenta la suddetta tabella con: «Yet the dichotomies this table represents remain insecure, equivocal. For differences shift, defer, even collapse; concepts in any one vertical column are not all equivalent; and inversions and exceptions, in both modernism and postmodernism, abound.» («Eppure le dicotomie rappresentate da questa tabella rimangono insicure, ambigue. Perché le differenze cambiano, differiscono, addirittura crollano; i concetti in una qualsiasi colonna verticale non sono tutti equivalenti; e le inversioni e le eccezioni, sia nel modernismo che nel postmodernismo, abbondano»).
@paul11
Il senso di quella tabella, che non classifica bene/male, giusto/sbagliato, etc., richiama l'istanza metodologica di usare categorie interpretative adatte ed aderenti all'attualità, anche se ciò significa abbandonare quelle più tradizionali (religiose o meno) e che, individualmente, possiamo trovare "giuste". Il restare fedeli a categorie inattuali rende, come si diceva, problematico decifrare il reale e spinge ad un giudizio negativo fondato su una comprensione viziata da, appunto, categorie anacronistiche; che non significa sbagliate o false, ma solo non più adeguatamente pertinenti per comprendere. Il giudicare, come detto, dovrebbe, secondo me, essere una fase secondaria che non può prescindere da adeguata comprensione; da qui la domanda: quale colonna ci aiuta a capire l'attualità? E rilanciando sull'opportuno suggerimento di Ipazia: come possiamo aggiornare la proposta di Hassan 50 anni dopo?
Questo potrebbe essere uno spunto per una filosofia, più ermeneutica che giudicante, rivolta al futuro partendo dalla comprensione del presente.
Il taglio è molto lacaniano, antipsichiatrico, decostruttivista. Ci può stare. Bisognerebbe spulciare lemma per lemma, perchè spesso si nascondono dei falsi amici. Ad esempio se Irony significa ironia la contrapposizione con metafisica risulta decisamente problematica perché lo sbeffeggiamento non è superamento. Contrapporre alla semantica la retorica può avere molteplici chiavi di lettura. Concordo sulla contrapposizione laddove evidenzia l'aspetto edificante, Bildung, sintetico, "radicale", presente, della modernità contrapposto a quello decostruttivo, antitetico, "rizomatico", assente, della post modernità. Vada pure per l'ultima dicotomia, la più pesante. La modernità, da Hegel a Einstein fino a Pasolini è ancora attratta dalla trascendenza. La post modernità non più.
In ossequio alla sezione in cui siamo e per par condicio: altri esempi di paradigmi con cui interpretare la realtà sociale potrebbero essere certamente rintracciati, seppur magari non in forma di tabella, nell'ultima enciclica papale (sebbene egli non abbia il ruolo di interpretare l'attualità, ma di guidare la comunità di credenti) o in un testo di Severino o in altre fonti filosofiche o teologiche. Lo schema di Hassan l'ho citato solo come esempio concreto (e sintetico) di come non tutte le categorie siano ugualmente "calzanti" nel confrontarsi con l'attualità; fermo restando che è sicuramente possibile approcciare la contemporaneità da altri punti di vista (poi non resta che testare l'efficacia della interpretazione scelta volgendo lo sguardo a ciò che ci circonda, sempre tenendo ben ferma la distinzione fra comprensione ermeneutico-filosofica e giudizio di valore morale). In sintesi: l'interpretazione di Hassan non è certo da assolutizzare né vuole porsi come assoluta, tuttavia, debolezza per debolezza, non mi sembra la più debole nel mettere a fuoco la contemporaneità.
A proposito della tabella di Hassan. Sicuramente può essere accettata come un modo per riflettere sul grande cambiamento dal moderno al postmoderno, ma risente notevolemente dell'atmosfera degli anni '70 dello scorso secolo, al punto che la postmodernità assume dei connotati da pensiero critico (Foucault, Lacan) e dall'immaginario post-sessantottino. Nella visione di Hassan (che confesso di non conoscere) sembra anche che risuonino le categorie del pensiero di Bauman quando descrive l'attuale società liquida. Credo che attualmente il post-moderno possa essere descritto attraverso altre dicotomie, mentre alcune restano ancora valide. Ad esempio a Paranoia ormai è da opporre "Narcissism" e non più "Schizophrenia".
Non conoscevo la tabella soprapostata, ma qualsiasi tentativo di aumentare la chiarezza terminologica è più che benvenuto in "certi topic". Tuttavia mi viene un pò da sorridere, perchè il punto interessante da penetrare sarebbe quello indicato da vettori grafici e che perciò rimane verbalmente incognito, la fenomenologia lessicale lo è molto di meno, compreso le definizioni generali stesse (che sarebbero "prime in ordine di importanza", vedo) ma che in realtà di generale hanno ben poco.
I vettori indicherebbero perciò due diverse spinte, verticali o orizzontali, in qualche modo organizzate e coerenti.Mi trovo in disaccordo su questo ultimo punto, perchè il cosidetto "post-modernismo" non può essere la negazione di sé stesso (cioè essere postmodernisti significherebbe aderire alla narrativa postmodernista), lo stesso problema dei nichilisti che crederebbero di non credere in niente. Non a caso quando poi si tirano le fila su queste definizioni paradossali, viene quasi da dire: meglio quest'altro, "se non altro, ha alla base l'etos"
https://www.youtube.com/watch?v=Rt-YqNr95LE
Sarà forse una contingenza di passaggio, ma mi pare che la pandemia ci abbia riportato di brutto verso le categorie moderniste dello schema di Hassan, sciogliendo come neve al sole tutte le pretese postmoderniste, cominciando dalla paranoia covidemica (Covidemia è il precipitato psicologico, animistico, della malattia pandemica), che lascia isolato lo schizo nel nuovo ordine covidemico.
Il quale, andando in ordine, ha tutti i parametri del modernismo: Forma chiusa (segregazione), Scopo (coartato), Gerarchia, Competenza, Distanza, Totalizzazione, Sintesi (morte all'eretico), Presenza (militarizzata), Centralità, Confine, Paradigma (covidemia), Selezione (salvati e sommersi), Radicalità, Narrazione, Codifica unica del pensiero, Sintomo (desiderio severamente multato), Omologazione, Paranoia, Causalità, Stato padre, Metafisica (del coronavirus), Determinazione (a omologare tutti), e Trascendenza (a questo punto solo un Vaccino ci può salvare).
Il narcisista può attendere. Largo al paranoico.
Ho tralasciato i passi più specialistici ma sono convinta che anche lì avrei trovato conferme.
Essendo reo di aver, per amor di esempio e ben oltre le mie intenzioni, dirottato verso il postmoderno un topic della sezione spiritualità, espio la colpa cercando almeno di fare indegnamente (per impreparazione) l'avvocato di Hassan e del postmoderno in genere:
Citazione di: InVerno il 17 Maggio 2021, 18:17:17 PM
I vettori indicherebbero perciò due diverse spinte, verticali o orizzontali, in qualche modo organizzate e coerenti.Mi trovo in disaccordo su questo ultimo punto, perchè il cosidetto "post-modernismo" non può essere la negazione di sé stesso (cioè essere postmodernisti significherebbe aderire alla narrativa postmodernista), lo stesso problema dei nichilisti che crederebbero di non credere in niente.
aderire alla narrativa postmodernista non è incoerenza per un postmoderno, almeno finché si è consapevoli che sia appunto una
narrativa (mentre i moderni, per ambizione o inconsapevolezza, ritengono la propria interpretazione non solo una narrativa; la modernità è «narrativa» per i postmoderni, non nell'autocomprensione dei moderni) e, soprattutto, la narrativa postmoderna è da «
petit histoire», come esplicitamente dichiarato in tabella.
Redigere una tabella (strumento razionale tipico della tassono-mania moderna) e (auto)commentarla con «Eppure le dicotomie rappresentate da questa tabella rimangono insicure, ambigue. Perché le differenze cambiano, differiscono, addirittura crollano; i concetti in una qualsiasi colonna verticale non sono tutti equivalenti; e le inversioni e le eccezioni, sia nel modernismo che nel postmodernismo, abbondano», è un gesto coerentemente postmoderno, ma anche un "test d'ingresso" al lettore per (auto)verificare di aver capito quale sia lo stile postmoderno (che se letto con criteri moderni risulta incoerente, almeno tanto quanto lo è postare una tabella e poi chiedere di non considerarla come una dicotomia chiusa e definitiva; in fondo, non potrebbe essere altrimenti).
P.s.
L'appello all'autocontraddizione non funzionerebbe nemmeno per i nichilisti, se non per quelli da film, ma ho già dirottato abbastanza.
P.p.s.
@IpaziaLo "stato di emergenza" è infatti una forma della
modernità politica il cui conflitto con la
postmodernità sociale che la precedeva comporta disagio e annesse ripercussioni (psichiche e non solo), tanto maggiori quanto meno si era diventati "liquidi" prima della sgradevole emergenza. Concordo, come già detto, che la tabella sia da aggiornare; personalmente, per la comprensione dell'attualità, la ritengo comunque un passo avanti rispetto ad altri paradigmi classici, messianici e "soltanto" moderni, ed è per questo che l'ho postata, non perché sia "il meglio sulla piazza".
Buongiorno a tutti
Due parole in libertà sul tema
Dubitare è una categoria né moderna né postmoderna. Sembra semplicemente un manifestarsi dell'intelligenza. Chi non dubita, raramente è una persona veramente intelligente. Anche il vero credente, di qualunque cosa o segno, dubita, altrimenti non lo è. Il dubbio è necessario per bruciare il settarismo, l'integralismo, il fideismo cieco. Dubitando si soffre e soffrendo si "cresce". Dubitare permette di rendere relativa la propria prospettiva, anche se naturalmente ad ognuno è cara sommamente la propria, e non è certamente disposto a sbarazzarsene senza tentare almeno di integrarla con prospettive altre. La pandemia ci ha mostrato come , di fronte ad un avvenimento "hard", naturale o supposto tale fino a prova contraria, una società "soft" (o "liquida")sia incapace di affrontare la realtà, rifugiandosi nei soliti schemi e riscoprendo una retorica novecentesca (resistenza-patria-responsabilità-lotta-ecc.) praticamente imposta dall'alto, come avveniva. Di solito si tende a connotare un periodo storico come se il tempo scorresse lungo una retta che va da A a B, quando invece il tempo come azione-avvenimento, quindi creazione, ci mostra l'evidenza di un tumultuoso vagare avanti e indietro piuttosto che un procedere diritto e sicuro. Spesso la storia personale non collima con quella generale, sociale, creando come un mulinello nel corso degli eventi. Il procedere della storia e delle società sembra quasi lo scorrere di miliardi di mulinelli, ognuno con la "sua" vita. Per questo non amo molto le statistiche, la tabelle, i riassunti. Forse sono utili, ma raramente riescono a cogliere questo tumulto. La religione spesso dà speranza quando la scienza non può più darne, e la speranza permette di sopportare la vita.La scienza invece dona conoscenza e dilegua spesso molte ombre che incutono timore, seppur con molti limiti e a volte errori. Trovo che il mondo si impoverirebbe se ci fosse un semplice prevalere dell'una sull'altra e non una possibile sinergia. Ci sarà sempre chi preferisce una all'altra, questo è inevitabile visti i tipi umani, ma penso sia possibile arrivare a trarre il meglio da queste"narrazioni" (visto che siamo in tema), perché ambedue concorrono a rendere la vita più sopportabile. Spesso fallendo, purtroppo.
Citazione di: Alexander il 18 Maggio 2021, 09:10:29 AM
La pandemia ci ha mostrato come , di fronte ad un avvenimento "hard", naturale o supposto tale fino a prova contraria, una società "soft" (o "liquida")sia incapace di affrontare la realtà, rifugiandosi nei soliti schemi e riscoprendo una retorica novecentesca (resistenza-patria-responsabilità-lotta-ecc.) praticamente imposta dall'alto, come avveniva.
La "liquidità" è uno dei tratti più "contronatura" (l'uomo cerca stelle fisse per orientarsi, non stelle cadenti) e quindi meno assimilabili, anche da una società che abbia alcuni connotati postmoderni (ovvero che abbia indebolito e/o rivisitato le categorie della modernità): la tendenza al paradigma forte è evidente anche pensando a come il dirompente effetto del postmoderno degli anni '70 si sia talvolta cristallizzato in una "alternatività" rigida, con le sue intransigenze, diventando ironicamente una seconda modernità ma con il meno davanti (lo spirito adolescenziale da "bastian contrario ad ogni costo"). Considerando come la liquidità non sia sinonimo esaustivo della postmodernità, la società attuale forse è generalmente liquida, ma è solitamente un
liquido non newtoniano: più lo metti sotto pressione e più si solidifica, perdendo quei tratti della postmodernità che sembrava aver assimilato. Questo processo di compressione, dovuto alla pressione della pandemia (o dell'immigrazione o del terrorismo islamico o altro), dimostra come in fondo il postmodernismo si sia diffuso in generale (non per tutti e non ovunque, ovviamente) nei suoi tratti più macroscopici (coscienza sociale globale e non solo nazionale, tolleranza verso le diversità, critica delle ideologie, affabulazione per la tecnologie, gusto estetico trasversale e sperimentale, etc.), ma per quanto riguarda la capacità individuale di reinventarsi in una situazione critica, facendo della liquidità un "vantaggio darwiniano" (adattandosi riducendo i traumi), si tratta di una attitudine postmoderna ancora poco diffusa.
P.s.
Proposte ulteriori al postmodernismo sono il
metamodernismo e l'
ipermodernismo (che confermano, almeno etimologicamente, quanto la modernità sia sempre il punto di partenza per la contemporaneità), ma non voglio essere troppo recidivo nell'andare ulteriormente
off topic.
Buongiorno Phil
Più che stelle fisse io direi che l'uomo cerca un "centro di gravità permanente" (cit. F.Battiato) e una società che vorrebbe invece un'esistenza basata sul continuo "galleggiare" (sul liquido) non può andare incontro a questa profonda esigenza psicologica. D'altronde, forse la più grande conquista di ognuno di noi, insieme al linguaggio verbale, è stata quella di trovare il nostro equilibrio, indispensabile per poter camminare. L'equilibrio come fondamentale istanza di un vivere più possibilmente "sano" è evidente (infatti la malattia è soprattutto squilibrio). Una società che aumenta costantemente velocità va contro questa necessità fisiologica e quindi crea squilibrio. Leggevo un articolo del "Sole" in cui veniva riportato un sondaggio tra imprenditori e manager : il 56% di essi lamentava che il cambiamento digitale era "troppo veloce" e insostenibile per moltissime realtà aziendali (non si fa in tempo a finire un corso di aggiornamento che già è superato dalle nuove applicazioni). Alla fine, non trovando questo "centro di gravità" nella società ognuno se lo costruisce da sè, in base alle proprie preferenze e inclinazioni. Non sono sicuro però che non sia sempre stato così, anche se sicuramente in maniera più lenta, ma con velocità in aumento (tipo trottola). La religione creava questo "centro"? In parte, ma attenzione a non confondere la religiosità, o spirito religioso, con l'adesione sociale ad una data istituzione religiosa. Sarebbe come affermare che tutti oggi aderiscono convintamente alla rivoluzione digitale, quando invece non c'è praticamente possibilità di scelta. Un tempo calava il Dio dall'alto, adesso ti cala Amazon. E bisogna sempre adeguarsi. Ecco, "Adeguarsi" potremmo definirlo quasi un assoluto per l'umanità. Infatti sopravvive ad ogni cambiamento e ad ogni rivoluzione. ;D