Mi sembra che, su quanto riguarda tutto ciò che chiamiamo "spiritualità", esista una confusione tra ciò che da una parte è adesione, condivisione e ciò che dall'altra è apprezzamento, stima. Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: apprezzare e stimare che nell'Egitto dei faraoni si siano create tradizioni spirituali di grande valore non significa necessariamente acconsentire all'idea che il faraone fosse davvero un dio. Oppure: stimare l'importanza di Marx non significa necessariamente essere d'accordo con le sue teorie.
Il risultato di quando invece si fa confusione è che, solitamente, realtà aventi a che fare con la spiritualità, come per esempio la Bibbia, oppure lo yoga, vengono conosciute e studiate soltanto da quanti hanno deciso di aderire a certe dottrine o a certi modi di pensare. Con questa diffusa mentalità, tante altre persone, che non si sentono di aderire a certi tipi di insegnamenti, si autoprivano, automaticamente, di tutti i contenuti validi, preziosi, importanti, di cui è possibile usufruire in qualsiasi spiritualità, al di là della scelta di aderirvi o meno.
Un esempio che per certi versi va contro questo tipo di mentalità, ma per altri vi si adegua, è la scuola: la scuola ti obbliga a studiare, per esempio, Dante Alighieri, non importa che tu sia d'accordo con lui o no: Dante fu un grande e quindi è giusto che tutti lo studino, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue idee.
Perché non fare qualcosa di simile con la spiritualità, o meglio, le spiritualità? Perché non partire, per esempio, dall'idea che il Buddhismo è comunque portatore di enormi valori spirituali e quindi è giusto e necessario conoscerlo, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue dottrine?
Il nocciolo del problema mi sembra consistere nel fatto che oggi le singole spiritualità vengono coltivate e approfondite quasi soltanto dagli aderenti; è praticamente inesistente una mentalità di studio delle spiritualità da un punto di vista non confessionale, non di fede, ma semplicemente scientifico, umanistico, spassionato, volto ad apprezzare quanto è apprezzabile da tutti, indipendentemente dalle scelte di pensiero personale.
Perché allora non cominciare a coltivare questo tipo di prospettiva sulle spiritualità, una prospettiva volta ad evidenziare in ogni spiritualità tutto quanto vi è di apprezzabile, ma da un punto di vista che si sforzi di essere indipendente dal credere o meno nelle sue dottrine? Mi sembra che ciò contribuirebbe a diffondere presso tutti dei tesori che oggi invece rimangono riservati solo a quanti aderiscono intimamente alle singole spiritualità.
È ovvio che il punto di vista dell'aderente sarà comunque diverso dal quello dello spassionato: è normale che un marxista convinto possa evidenziare del marxismo degli aspetti a cui un non marxista non attribuirà grande importanza o che addirittura farà fatica a comprendere. In questo senso la prospettiva neutrale che sto proponendo non intende affatto proporsi come sostitutiva delle prospettive degli aderenti, ma soltanto come un lavoro volto a diffondere quanto può essere apprezzato anche da chi non è aderente; in altre parole, eliminare il preconcetto che, per esempio, la Bibbia possa essere compresa solo dai Cristiani o solo dagli Ebrei: senza dubbio Cristiani ed Ebrei praticano sulla Bibbia dei punti di vista che consentono loro di apprezzarne finezze e grandezze che difficilmente un non credente riuscirà ad apprezzare; ma ciò non significa che nella Bibbia non esista nulla che un non credente possa apprezzare ed è proprio questo che la mia ipotesi cercherebbe di coltivare in dettaglio.
Che ne pensate?
Intanto ti do il benvenuto e visto che non ci conosciamo ancora, ti espongo quando vado affermando in questo Forum.
Bisogna vedere cosa una persona cerca. Se cerca di acculturarsi sul piano teologico fa o dovrebbe fare quello che tu proponi in maniera molto chiara, ma questo nulla a che fare con la spiritualità.
La persona spirituale non è quella che conosce la teologia, le scritture o che ricopre un incarico nelle gerarchie religiose, anche se ne fosse il capo.
La persona spirituale è quella che confida nel Signore Dio e Lo considera tutto in tutti.
La sua spiritualità la si vede dal suo completo distacco dal mondo di cui si serve solo per i bisogni materiali, ma sempre pronto a rinunciarci senza fatica per passare ad altra vita.
Non è Lui che guida i suoi passi, non è Lui che parla, non è Lui che ama, non è Lui che costruisce la Pace, ma è il Signore Dio fa tutto tramite Lui.
Costui può anche conoscere la teologia o avere una cultura religiosa - vedi San Paolo - ma gli serve solo per essere completo e per sapere cosa il Signore ha fatto ed ha detto nel passato e spiegarlo a chi cerca una via per arrivare alla spiritualità, ma ciò non fa ne aumentare ne diminuire la sua spiritualità. Questa via si chiama via della purificazione.
Penso che sia un atteggiamento saggio, aperto alla conoscenza, all'esplorazione dell'essere.
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Maggio 2016, 12:22:44 PM
Mi sembra che, su quanto riguarda tutto ciò che chiamiamo "spiritualità", esista una confusione tra ciò che da una parte è adesione, condivisione e ciò che dall'altra è apprezzamento, stima. Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: apprezzare e stimare che nell'Egitto dei faraoni si siano create tradizioni spirituali di grande valore non significa necessariamente acconsentire all'idea che il faraone fosse davvero un dio. Oppure: stimare l'importanza di Marx non significa necessariamente essere d'accordo con le sue teorie.
Il risultato di quando invece si fa confusione è che, solitamente, realtà aventi a che fare con la spiritualità, come per esempio la Bibbia, oppure lo yoga, vengono conosciute e studiate soltanto da quanti hanno deciso di aderire a certe dottrine o a certi modi di pensare. Con questa diffusa mentalità, tante altre persone, che non si sentono di aderire a certi tipi di insegnamenti, si autoprivano, automaticamente, di tutti i contenuti validi, preziosi, importanti, di cui è possibile usufruire in qualsiasi spiritualità, al di là della scelta di aderirvi o meno.
Un esempio che per certi versi va contro questo tipo di mentalità, ma per altri vi si adegua, è la scuola: la scuola ti obbliga a studiare, per esempio, Dante Alighieri, non importa che tu sia d'accordo con lui o no: Dante fu un grande e quindi è giusto che tutti lo studino, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue idee.
Perché non fare qualcosa di simile con la spiritualità, o meglio, le spiritualità? Perché non partire, per esempio, dall'idea che il Buddhismo è comunque portatore di enormi valori spirituali e quindi è giusto e necessario conoscerlo, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue dottrine?
Il nocciolo del problema mi sembra consistere nel fatto che oggi le singole spiritualità vengono coltivate e approfondite quasi soltanto dagli aderenti; è praticamente inesistente una mentalità di studio delle spiritualità da un punto di vista non confessionale, non di fede, ma semplicemente scientifico, umanistico, spassionato, volto ad apprezzare quanto è apprezzabile da tutti, indipendentemente dalle scelte di pensiero personale.
Perché allora non cominciare a coltivare questo tipo di prospettiva sulle spiritualità, una prospettiva volta ad evidenziare in ogni spiritualità tutto quanto vi è di apprezzabile, ma da un punto di vista che si sforzi di essere indipendente dal credere o meno nelle sue dottrine? Mi sembra che ciò contribuirebbe a diffondere presso tutti dei tesori che oggi invece rimangono riservati solo a quanti aderiscono intimamente alle singole spiritualità.
È ovvio che il punto di vista dell'aderente sarà comunque diverso dal quello dello spassionato: è normale che un marxista convinto possa evidenziare del marxismo degli aspetti a cui un non marxista non attribuirà grande importanza o che addirittura farà fatica a comprendere. In questo senso la prospettiva neutrale che sto proponendo non intende affatto proporsi come sostitutiva delle prospettive degli aderenti, ma soltanto come un lavoro volto a diffondere quanto può essere apprezzato anche da chi non è aderente; in altre parole, eliminare il preconcetto che, per esempio, la Bibbia possa essere compresa solo dai Cristiani o solo dagli Ebrei: senza dubbio Cristiani ed Ebrei praticano sulla Bibbia dei punti di vista che consentono loro di apprezzarne finezze e grandezze che difficilmente un non credente riuscirà ad apprezzare; ma ciò non significa che nella Bibbia non esista nulla che un non credente possa apprezzare ed è proprio questo che la mia ipotesi cercherebbe di coltivare in dettaglio.
Che ne pensate?
In Italia esiste un concordato che demanda l'insegnamento della religione alla Chiesa Cattolica per tutti gli ordini e gradi.
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Maggio 2016, 12:22:44 PMMi sembra che, su quanto riguarda tutto ciò che chiamiamo "spiritualità", esista una confusione tra ciò che da una parte è adesione, condivisione e ciò che dall'altra è apprezzamento, stima. Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: apprezzare e stimare che nell'Egitto dei faraoni si siano create tradizioni spirituali di grande valore non significa necessariamente acconsentire all'idea che il faraone fosse davvero un dio. Oppure: stimare l'importanza di Marx non significa necessariamente essere d'accordo con le sue teorie. Il risultato di quando invece si fa confusione è che, solitamente, realtà aventi a che fare con la spiritualità, come per esempio la Bibbia, oppure lo yoga, vengono conosciute e studiate soltanto da quanti hanno deciso di aderire a certe dottrine o a certi modi di pensare. Con questa diffusa mentalità, tante altre persone, che non si sentono di aderire a certi tipi di insegnamenti, si autoprivano, automaticamente, di tutti i contenuti validi, preziosi, importanti, di cui è possibile usufruire in qualsiasi spiritualità, al di là della scelta di aderirvi o meno. Un esempio che per certi versi va contro questo tipo di mentalità, ma per altri vi si adegua, è la scuola: la scuola ti obbliga a studiare, per esempio, Dante Alighieri, non importa che tu sia d'accordo con lui o no: Dante fu un grande e quindi è giusto che tutti lo studino, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue idee. Perché non fare qualcosa di simile con la spiritualità, o meglio, le spiritualità? Perché non partire, per esempio, dall'idea che il Buddhismo è comunque portatore di enormi valori spirituali e quindi è giusto e necessario conoscerlo, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue dottrine? Il nocciolo del problema mi sembra consistere nel fatto che oggi le singole spiritualità vengono coltivate e approfondite quasi soltanto dagli aderenti; è praticamente inesistente una mentalità di studio delle spiritualità da un punto di vista non confessionale, non di fede, ma semplicemente scientifico, umanistico, spassionato, volto ad apprezzare quanto è apprezzabile da tutti, indipendentemente dalle scelte di pensiero personale. Perché allora non cominciare a coltivare questo tipo di prospettiva sulle spiritualità, una prospettiva volta ad evidenziare in ogni spiritualità tutto quanto vi è di apprezzabile, ma da un punto di vista che si sforzi di essere indipendente dal credere o meno nelle sue dottrine? Mi sembra che ciò contribuirebbe a diffondere presso tutti dei tesori che oggi invece rimangono riservati solo a quanti aderiscono intimamente alle singole spiritualità. È ovvio che il punto di vista dell'aderente sarà comunque diverso dal quello dello spassionato: è normale che un marxista convinto possa evidenziare del marxismo degli aspetti a cui un non marxista non attribuirà grande importanza o che addirittura farà fatica a comprendere. In questo senso la prospettiva neutrale che sto proponendo non intende affatto proporsi come sostitutiva delle prospettive degli aderenti, ma soltanto come un lavoro volto a diffondere quanto può essere apprezzato anche da chi non è aderente; in altre parole, eliminare il preconcetto che, per esempio, la Bibbia possa essere compresa solo dai Cristiani o solo dagli Ebrei: senza dubbio Cristiani ed Ebrei praticano sulla Bibbia dei punti di vista che consentono loro di apprezzarne finezze e grandezze che difficilmente un non credente riuscirà ad apprezzare; ma ciò non significa che nella Bibbia non esista nulla che un non credente possa apprezzare ed è proprio questo che la mia ipotesi cercherebbe di coltivare in dettaglio. Che ne pensate?
Hai messo il dito nella piaga.
non solo sottoscrivo ciò che ha iscritto ,ma indicherei ciò che implicitamente è nelle tue frasi, che è pregiudizio non farlo, ma peggio ancora si precostituiscono certezze senza aver letto nulla , o ancora peggio "per sentito dire".
la spiritualità non è vissuta come sapienza ,ma o come aderenza oppure da boicottare. E' viscerale ormai e ciò boicotta il momento culturale.
Le scelte quindi vengono eseguite passionalmente ,direi "di pancia".
Un esempio, se davvero il cristianesimo ,ma direi tutte le religioni e spiritualità sono entrate nelle tradizioni culturali bisognerebbe che almeno si insinuasse il dubbio di cercare di capire il come e perchè.
L'altro problema è che si confonde istituzione di una tradizione con parola originaria., così come esegetica ed ermeneutica che si storicizza e che quindi muta nei tempi, appunto dall'originarietà.
Che dire, se non si vuole conoscere la propria verità spirituale, cioè chi siamo, il nostro cuore ecc.., altro non resta che buttarsi sulla cultura teologica che nulla o quasi cambia le nostre vite sperando di diventare Caifa, Saul e/o come altri scribi e farisei il più presto possibile.
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Maggio 2016, 12:22:44 PMMi sembra che, su quanto riguarda tutto ciò che chiamiamo "spiritualità", esista una confusione tra ciò che da una parte è adesione, condivisione e ciò che dall'altra è apprezzamento, stima. Faccio un esempio per chiarire meglio il concetto: apprezzare e stimare che nell'Egitto dei faraoni si siano create tradizioni spirituali di grande valore non significa necessariamente acconsentire all'idea che il faraone fosse davvero un dio. Oppure: stimare l'importanza di Marx non significa necessariamente essere d'accordo con le sue teorie.
Il risultato di quando invece si fa confusione è che, solitamente, realtà aventi a che fare con la spiritualità, come per esempio la Bibbia, oppure lo yoga, vengono conosciute e studiate soltanto da quanti hanno deciso di aderire a certe dottrine o a certi modi di pensare. Con questa diffusa mentalità, tante altre persone, che non si sentono di aderire a certi tipi di insegnamenti, si autoprivano, automaticamente, di tutti i contenuti validi, preziosi, importanti, di cui è possibile usufruire in qualsiasi spiritualità, al di là della scelta di aderirvi o meno.
Un esempio che per certi versi va contro questo tipo di mentalità, ma per altri vi si adegua, è la scuola: la scuola ti obbliga a studiare, per esempio, Dante Alighieri, non importa che tu sia d'accordo con lui o no: Dante fu un grande e quindi è giusto che tutti lo studino, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue idee.
Perché non fare qualcosa di simile con la spiritualità, o meglio, le spiritualità? Perché non partire, per esempio, dall'idea che il Buddhismo è comunque portatore di enormi valori spirituali e quindi è giusto e necessario conoscerlo, indipendentemente dall'aderire o meno alle sue dottrine?
Il nocciolo del problema mi sembra consistere nel fatto che oggi le singole spiritualità vengono coltivate e approfondite quasi soltanto dagli aderenti; è praticamente inesistente una mentalità di studio delle spiritualità da un punto di vista non confessionale, non di fede, ma semplicemente scientifico, umanistico, spassionato, volto ad apprezzare quanto è apprezzabile da tutti, indipendentemente dalle scelte di pensiero personale.
Perché allora non cominciare a coltivare questo tipo di prospettiva sulle spiritualità, una prospettiva volta ad evidenziare in ogni spiritualità tutto quanto vi è di apprezzabile, ma da un punto di vista che si sforzi di essere indipendente dal credere o meno nelle sue dottrine? Mi sembra che ciò contribuirebbe a diffondere presso tutti dei tesori che oggi invece rimangono riservati solo a quanti aderiscono intimamente alle singole spiritualità.
È ovvio che il punto di vista dell'aderente sarà comunque diverso dal quello dello spassionato: è normale che un marxista convinto possa evidenziare del marxismo degli aspetti a cui un non marxista non attribuirà grande importanza o che addirittura farà fatica a comprendere. In questo senso la prospettiva neutrale che sto proponendo non intende affatto proporsi come sostitutiva delle prospettive degli aderenti, ma soltanto come un lavoro volto a diffondere quanto può essere apprezzato anche da chi non è aderente; in altre parole, eliminare il preconcetto che, per esempio, la Bibbia possa essere compresa solo dai Cristiani o solo dagli Ebrei: senza dubbio Cristiani ed Ebrei praticano sulla Bibbia dei punti di vista che consentono loro di apprezzarne finezze e grandezze che difficilmente un non credente riuscirà ad apprezzare; ma ciò non significa che nella Bibbia non esista nulla che un non credente possa apprezzare ed è proprio questo che la mia ipotesi cercherebbe di coltivare in dettaglio.
Che ne pensate?
Condivido totalmente con quanto hai esposto e mi permetto di aggiungere una mia opinione.
Spiritualità e religione sono due concetti che non sempre coesistono: la religione dovrebbe aiutarci a trovare la spiritualità e tutte le religioni possono concorre in questa ricerca.
Grazie del benvenuto.
Mi sembra che l'andamento della discussione richiederebbe una qualche definizione, almeno provvisoria, del termine "spiritualità", altrimenti non solo non sarà chiaro di cosa stiamo parlando, ma potrebbero verificarsi disaccordi inutili o condivisioni non reali. Nel mio messaggio ho detto in proposito solo un generico "tutto ciò che chiamiamo spiritualità".
Una definizione già condivisa mi sembra che non esista, proprio perché chi vi aderisce visceralmente oppure la boicotta avanza implicitamente la pretesa di possederne la definizione più vera o migliore. Il termine in sé è portatore di disaccordi, perché che cosa sia "spirito" non è certo un concetto chiaro e condiviso e in se stesso sembra contenere implicitamente l'idea di un altro mondo invisibile, il mondo appunto dello spirito. Se però
anche gli atei rivendicano una loro spiritualità, credo che ci siano buone speranze di liberare la parola "spirito" da un necessario rinvio a qualche mondo metafisico. Ciò non significa escluderlo, ma soltanto non renderlo obbligatorio.
Cosa intendere allora con "spiritualità"? Guidato dal tentativo di individuare quanto possa essere valido per chiunque, compresi i materialisti, io abbozzerei una definizione provvisoria dicendo che spiritualità è semplicemente l'esperienza di provare qualcosa. Al momento non aggiungo altro per non essere troppo prolisso. Questa definizione non si propone in alternativa o in sostituzione di ciò che altri intendono per spiritualità, ma soltanto come tentativo di evidenziarne un "massimo comune denominatore" che possa valere per chiunque, compresi atei e materialisti. Questo però credo comporti già uno sforzo di apertura mentale, cioè rinunciare a pensare che "la spiritualità vera è quella intesa come dico io". Sia credenti che atei sono in grado di avanzare questa pretesa, ma credo che ciò equivarrebbe semplicemente ad affermare la propria intenzione di non avere nessuna apertura al dialogo. Credo che l'atteggiamento migliore sarebbe invece un lavoro in costante tentativo di conciliare la propria definizione personale con la ricerca del confronto con chi la pensa diversamente, consapevoli che in questo mondo nessuno, nemmeno il vocabolario, ha il monopolio del significato delle parole.
Scusa Angelo ma prima ancora di definire la spiritualità a me manca un altra cosa, il soggetto. Chi sono questi che disattendono il tuo, stimabilissimo, punto di vista idealistico? Quelli che tu chiami "aderenti" giusto? Gli zeloti.. Beh io da un certo punto di vista li capisco, leggono, e ripetono, cosa altro dovrebbero fare? La maggior parte delle ideologie è gelosa dei propri adepti, li protegge dalle contaminazioni, li confina, li divide, li impaurisce.. Sono zeloti proprio perchè sprovvisti di pensiero critico, è una causa non una conseguenza..Questa sorta di mondialismo spirituale che tu proponi (e al quale tralaltro fino ad un certo punto aderisco) ha unico nemico, le ideologie e dottrine stesse, che sono estremamente gelose dei loro adepti e non hanno alcun interesse nello studio del diverso, sono l'ovile di milioni di pecore e questo vogliono rimanere perchè accettare la tua visione significherebbe per forza di dire ammettere di aver sbagliato, su tantissimi punti, e questo non è previsto in un ideologia. Lo dico semplicemente perchè seppur condividendo il tuo post, sembra che l'accento sia impostato su una sorta di "errore d'approccio" , mentre io vorrei sostenere che il partitismo che vedi è tutt'altro che il frutto di un errore, ma della più ferrea ed elaborata volontà di chi tu vorresti unire.
Citazione di: InVerno il 19 Maggio 2016, 17:49:24 PM
Scusa Angelo ma prima ancora di definire la spiritualità a me manca un altra cosa, il soggetto. Chi sono questi che disattendono il tuo, stimabilissimo, punto di vista idealistico? Quelli che tu chiami "aderenti" giusto? Gli zeloti.. Beh io da un certo punto di vista li capisco, leggono, e ripetono, cosa altro dovrebbero fare? La maggior parte delle ideologie è gelosa dei propri adepti, li protegge dalle contaminazioni, li confina, li divide, li impaurisce.. Sono zeloti proprio perchè sprovvisti di pensiero critico, è una causa non una conseguenza..Questa sorta di mondialismo spirituale che tu proponi (e al quale tralaltro fino ad un certo punto aderisco) ha unico nemico, le ideologie e dottrine stesse, che sono estremamente gelose dei loro adepti e non hanno alcun interesse nello studio del diverso, sono l'ovile di milioni di pecore e questo vogliono rimanere perchè accettare la tua visione significherebbe per forza di dire ammettere di aver sbagliato, su tantissimi punti, e questo non è previsto in un ideologia. Lo dico semplicemente perchè seppur condividendo il tuo post, sembra che l'accento sia impostato su una sorta di "errore d'approccio" , mentre io vorrei sostenere che il partitismo che vedi è tutt'altro che il frutto di un errore, ma della più ferrea ed elaborata volontà di chi tu vorresti unire.
La logica sottostante a questo ragionamento è condivisibile, ma non occorre unire quelli che non vogliono essere uniti, bensì quelli che lo vogliono.
Esempio: Tu,che dici di sentirti parte di questo mondialismo spirituale, sei disposto a credere per poi affinare la tua fede prendendo il meglio da ogni religione o nei vuoi parlarne tanto per fare bla bla bla ba?
InVerno, apprezzo il tuo sforzo di individuare le cause dovute a volontà, piuttosto che ad errori o casualità. Credo che però questo tipo di approccio non favorisca la soluzione dei problemi, mi sembra nient'altro che un colpevolizzare, che distoglie da una ricerca ulteriore delle cause.
In altre parole, mi sembra che il tuo approccio sia non storico, non scientifico. Per esempio, se vogliamo capire come mai Garibaldi fece certe cose, non credo che sia un buon servizio alla storia dire che le fece perché era molto bravo oppure molto cattivo; mi sembra più produttivo cercare di individuare tutti gli elementi di fatto che contribuirono a far sì che Garibaldi facesse le cose che fece. Ciò non significa che storicamente la cattiva o la buona volontà non esistano, significa solo che è un approccio non produttivo, un approccio che chiude la ricerca piuttosto che stimolarla.
Condivido l'idea che le ideologie, le religioni e le spiritualità contengano delle spinte partitistiche, campanilistiche, spinte alla chiusura, magari dettate dal fatto che la chiusura favorisce l'esercizio di un potere sul gregge. Questo però m'induce a riflettere ulteriormente: se tra i promotori di una spiritualità s'innescano meccanismi di chiusura e interessi di potere, credo che ne consegua che quella spiritualità sia carente proprio di spiritualità. È una spiritualità illusoria.
Ciò comporta delle conseguenze riflessive importanti. Per esempio: dobbiamo concludere che, se nella storia della Chiesa, come tutti sappiamo, si sono esercitati meccanismi di potere e anche di oppressione, vuol dire che la spiritualità cristiana è carente di spiritualità? Per andare ancora più alla radice della questione: può essere corretto attribuire i peccati degli apostoli ad una carenza di spiritualità in Gesù e nel suo insegnamento? Cioè, può essere sensato in questo caso applicare l'idea che il pesce puzza dalla testa, e quindi, se ci sono difetti nel cristianesimo, li si debba cercare in Gesù stesso o in Dio? Dipende da come sarà questa ricerca: se si risolverà in una colpevolizzazione di Gesù o di Dio, saremo punto e a capo, visto che prima ho detto che colpevolizzare è improduttivo. Ma nulla vieta di effettuare una ricerca di meccanismi strutturali che già nella spiritualità stessa di Gesù producano effetti negativi. Tanto più che quest'autocritica la fece già Gesù stesso, per esempio quando prese atto del fatto che il suo moltiplicare pani, almeno in certe persone poteva servire a nient'altro che a suscitare il vizio di mangiare gratis (Giovanni 6,26: "...voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati"). Ovviamente i credenti risponderanno che questi non sono difetti della dottrina di Gesù, ma del peccato che è negli uomini. Questa però è una risposta teologica, di fede, non è una risposta che cerchi di essere storica. Io invece vorrei individuare una spiritualità che si muova con mentalità storica, cioè aiuti a non accusare nessuno e piuttosto tenti di risolvere i problemi giustificando, cioè individuando le cause materiali che hanno contribuito a certi comportamenti umani; una spiritualità che possa dirsi a pieno titolo addirittura "scientifica", così come la storia si sforza di muoversi con mentalità scientifica, almeno per quanto umanamente ci riesce di fare.
Lungi da me porre la questione da un punto di vista manicheo, e altrettanto colpevolizzare. Però rimane che le ideologie siano dei sistemi complessi, che si poggiano su diversi principi e agiscono sulle persone come dei meccanismi, come degli orologi. Orologi che sono stati raffinati nel corso del tempo per funzionare con quell'esatto numero di rotelle e molle, toglierne una (quella che potremmo chiamare "dell'adesione") non garantisce per nulla il corretto funzionamento dell'orologio, le altre parti sono a mio avviso intrinsecamente collegate ad essa e nella maggior parte dei casi l'orologio o smetterà di funzionare, o funzionerà in maniera sufficientemente diversa da rendere ingiusta la pretesa di aver letto l'ora esatta. O almeno per me è sempre stato cosi, non avendo mai aderito a niente volendo conservare il mio spirito fondamentalmente anarchico, non ho mai preteso di aver avuto reale esperienza di quelle realtà, ma di esserne solo un osservatore esterno di esse. Penso che la necessità tribale di "fare gruppo" di costruire un identità settaria e di sentirsi parte di una "comunità" che aderisce agli stessi principi, non sia sacrificabile senza falsificare profondamente i percorsi spirituali che le linee guida dei testi sacri propongono nella maggior parte delle dottrine (il buddismo forse è un caso a parte). Persino l'esistenza di antagonisti (vedasi "infedeli") per come la vedo io, non è sacrificabile senza avere come risultato un esperienza spirituale estremamente diversa .Ne rimasi piuttosto deluso quando lo avvertii chiaramente, quest'idea di avere un secchiello con il quale attingere il meglio da tanti diversi pozzi non è facile da percorrere come attraversare i banchi di un supermercato, ma è certamente un nobile proposito. Buona ricerca e discussione quindi, auguri!
Sono pienamente d'accordo, d'altra parte l'avevo già espresso nelle ultime righe del mio primo messaggio:
Citazione... senza dubbio Cristiani ed Ebrei praticano sulla Bibbia dei punti di vista che consentono loro di apprezzarne finezze e grandezze che difficilmente un non credente riuscirà ad apprezzare
Qui aggiungerei che ritengo vero anche il contrario: ci sono aspetti di una qualsiasi spiritualità che possono essere colti adeguatamente solo da chi ne è all'esterno.
La conseguenza ovvia è che, riguardo alla spiritualità, ma anche riguardo a tutto, non esistono punti di vista privilegiati in grado di cogliere il tutto o il meglio (meglio per chi?). Questo però non dovrebbe servire alla reciproca chiusura, o alla rinuncia a conoscere, ma piuttosto, credo che sarebbe fruttuoso mantenere la consapevolezza che, e mi autocito di nuovo,
Citazione... ciò non significa che nella Bibbia non esista nulla che un non credente possa apprezzare ed è proprio questo che la mia ipotesi cercherebbe di coltivare in dettaglio
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneIo invece vorrei individuare una spiritualità che si muova con mentalità storica, cioè aiuti a non accusare nessuno e piuttosto tenti di risolvere i problemi giustificando, cioè individuando le cause materiali che hanno contribuito a certi comportamenti umani; una spiritualità che possa dirsi a pieno titolo addirittura "scientifica", così come la storia si sforza di muoversi con mentalità scientifica, almeno per quanto umanamente ci riesce di fare.
Le cause materiali del comportamento umano sono la sintesi della fede, credi e poi agisci.
La spiritualità è personale, non può essere per tutti la stessa. Stesso per tutti è il suo principio, il suo fine, e la sua sorgente.
Citazione di: Duc in altum! il 20 Maggio 2016, 20:44:30 PMLe cause materiali del comportamento umano sono la sintesi della fede, credi e poi agisci.
Se implichiamo la fede come condizione necessaria, non siamo più nel discorso che sto facendo io; ne possiamo parlare, ma sarebbe tutto un altro discorso.
Io sto cercando di parlare di una spiritualità che sia valida anche per chi non ha fede, anche per gli atei.
Capisco che, da un punto di vista interno alla propria fede, la fede è indispensabile e Dio esiste per tutti; ma non c'è solo il punto di vista interno alla propria fede: c'è anche quello degli altri. Ho visto che anche giona2068 parla in questo modo, cioè usa un linguaggio che è quello interno alla sua fede. Questo modo di esprimersi non mi sembra che favorisca il dialogo: un credente che nel dialogo con chi la pensa diversamente chiama Gesù "il Signore", equivale a un ateo che chiami Dio "il Dio che non esiste": così non si va da nessuna parte, non si dialoga. Credo che per rendere possibile il dialogo si debba cercare di usare un linguaggio che faccia da ponte tra modi di pensare diversi, e quindi cerchi di evitare tutto quanto è esclusivo della propria prospettiva interna. Ciò non significa affatto vietare ad un credente di chiamare Gesù "il Signore"; significa solo mostrargli che con questo linguaggio non è possibile fare storia, scienza, discipline che si sforzino di valere per tutti.
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneIo sto cercando di parlare di una spiritualità che sia valida anche per chi non ha fede, anche per gli atei.
Ma gli atei hanno già la loro di spiritualità, o pensi che credere nell'Io non abbia la sua liturgia?
La spiritualità che sia valida per tutti, che tu chiami in causa, è l'obbligatorietà della fede a cui nessuno può esentarsi.
E' proprio quello il problema, che la verità è, e dovrebbe essere, una, ma ognuno pensa che sia la propria. Quindi come tentare di rendere valido per tutti una dimensione che includo l'eternità e il carpe diem? Con l'utopia.
CitazioneQuesto modo di esprimersi non mi sembra che favorisca il dialogo: un credente che nel dialogo con chi la pensa diversamente chiama Gesù "il Signore", equivale a un ateo che chiami Dio "il Dio che non esiste": così non si va da nessuna parte, non si dialoga.
Come non si dialoga così?? E' da che esiste il genere umano che non c'è altro mezzo di comunicazione: es. = io sostengo che Gesù è il Signore ed un altro sostiene che il suo Signore è ciò che ha scelto, e così via nell'effettività delle proprie azioni.
Io ho tanti amici e familiari che credono che Dio non esiste, e per conseguenza adorano qualcos'altro, eppure mica non dialoghiamo o non condividiamo le differenti occasioni di riunione? Il problema è che le parole se le porta via il vento, ciò che conta sono le nostre azioni comportamentali, il nostro operare, e lì la scissione è naturale (per volontà personale) e inevitabile (se hai giurato sulla costituzione è incoerente definirsi cattolico ...ossia ci si prende in giro da soli).
CitazioneCredo che per rendere possibile il dialogo si debba cercare di usare un linguaggio che faccia da ponte tra modi di pensare diversi, e quindi cerchi di evitare tutto quanto è esclusivo della propria prospettiva interna.
E quale linguaggio più oggettivo del perdona il tuo nemico e prega chi ti calunnia?!?!
E' impossibile incontrare un punto di comunione con chi, anche sospettando, forse, che in quel linguaggio empatico ci sia tanta verità, al momento dei fatti, si tira indietro, giacché comprende che deve rinunciare al mors tua vita mea, in favore del vita tua mors mea.
CitazioneCiò non significa affatto vietare ad un credente di chiamare Gesù "il Signore"; significa solo mostrargli che con questo linguaggio non è possibile fare storia, scienza, discipline che si sforzino di valere per tutti.
Ma la storia, per chi chiama Signore il Cristo, già è fatta, non c'è più niente da rivelare, da conoscere, da , c'è solo da esistere credendo, affinché la Storia prendi possesso di uno, per far diventare la storia di uno valida per tutti.
Francamente la cosa comincia a delinearsi poco chiara, ci sarebbe da togliere ambiguità al termine spiritualità, ovvero definirla.
L'idealismo ad esempio di un materialista è spiritualità? Trascendere un concetto materiale è spiritualità?
Paul11, mi dai occasione di specificare meglio
la definizione provvisoria che già ho proposto, e che non avevo approfondito per non dilungarmi troppo. Si tratta, come ho detto, di una mia proposta provvisoria, non ho alcuna intenzione di stabilire una volta per tutte che la spiritualità sia ciò che dico io: è solo un punto di partenza per favorire il dialogo.
Ho proposto come definizione su cui discutere "l'esperienza di provare qualcosa". Ora aggiungo: perfino inconsapevolmente. Questa definizione intende dunque come spiritualità tutto ciò che nel nostro cervello è sensazione, esperienza, avvenimento. In questo senso anche un mal di pancia è spiritualità. Per specificare meglio: il contenuto di un ragionamento non è in se stesso spiritualità, ma lo è per le sensazioni che può provocare nel nostro cervello. In questo senso, anche le cose che hai detto tu, cioè l'idealismo di un materialista e trascendere un concetto materiale, vengono senz'altro abbracciate da questa definizione di spiritualità. Se proprio vogliamo essere brutali, si potrebbe dire, tagliando la testa al toro, che secondo questa mia definizione tutto è spiritualità, perfino una pietra è spiritualità. In questo senso spiritualità non è altro che un modo di considerare il mondo, un modo particolare di considerare tutto.
Qui qualcuno potrebbe obiettare: ma che cosa allora non è spiritualità? La risposta mi sembra semplice: qualsiasi cosa che non intendiamo considerare dal punto di vista del suo poter essere esperienza, sensazione del nostro cervello. Dunque, che cosa è e che cosa non è spiritualità dipende non da cosa sono le cose, gli oggetti, la realtà, ma dal tipo di discorso che volta per volta intendiamo portare avanti. Se voglio portare avanti un discorso in cui spiegare come si costruisce una casa, quella non è spiritualità; ma se voglio parlare di come l'atto di costruire una casa possa essere una particolare esperienza per il nostro cervello, il nostro essere, la nostra personalità, allora quella è spiritualità.
Una volta chiarita questa definizione vastissima, si pone immediatamente la necessità di restringere il campo, appunto perché è troppo vasta. L'operazione di restringimento per me è abbastanza semplice: in mezzo a questa vastità si seleziona ciò che si ritiene maggiormente significativo per l'esistenza vista nella sua globalità. Secondo questo criterio, un mal di pancia, pur essendo un'esperienza spirituale, è poco probabile che assuma un significato determinante per l'intera esistenza, mentre invece, per esempio, una giornata di ritiro in meditazione potrà avere più probabilità di influire sull'intera vita.
A questo punto nascerebbe la domanda: con quale criterio individuare che cosa influisce sull'intera esistenza e che cosa invece è trascurabile? Anche questa mi sembra una questione abbastanza semplice da risolvere: ognuno cercherà di percorrere un proprio cammino, di propria scelta, nella propria libertà, e sarà l'esperienza a fargli scegliere a cosa dare importanza e che cosa invece trascurare.
Questa è la mia definizione provvisoria di spiritualità, in continuazione di
quanto già detto nell'altro messaggio riguardo al significato del termine.
[quote author=paul11 date=1463784987 link=topic=118.msg1641#msg1641]
Francamente la cosa comincia a delinearsi poco chiara, ci sarebbe da togliere ambiguità al termine spiritualità, ovvero definirla.
L'idealismo ad esempio di un materialista è spiritualità? Trascendere un concetto materiale è spiritualità?
Esiste il mondo delle cose materiali, e sappiamo cosa sia, ed esiste e il mondo delle cose immateriali. Tipo la fantasia, l'immaginazione, i pensieri, il dolore, la felicità...ecc..... Se vogliamo possiamo chiamare quest'ultimo: mondo invisibile, ma nulla ha che fare con la spiritualità.
La spiritualità è il mondo dello Spirito che è vivo ed è vita per chi crede. San Paolo dice: Cristo è tutto in tutti. Se è tutto vuol dire che è sufficiente per vivere, è nutrimento, compagno, ecc... La scrittura dice anche: I miei, non avranno sete, non avranno fame, non avranno sonno, non sentiranno la stanchezza, il freddo, il caldo ecc... La conferma la troviamo in Elia che cammina quaranta giorni, senza mangiare ne bere, per arrivare al monte e nel Signore Gesù che digiuna quaranta giorni nel deserto.
Ergo: La spiritualità è vivere dello Spirito.
Il nostro caso è diverso perché saltare un pasto è già tragedia e per questo non siamo esseri spiritual, ma non tutti siamo materialisti allo stesso modo.
Meno l'uomo si affida alla materia più diventa spirituale e più l'uomo si affida allo Spirito più è vivo. Più si affida alla materia più vegeta chiamando vita la morte.
Chi è più spirituale confida meno nella materia, con un intervallo che va zero a cento
Un discorso a parte riguarda il mondo degli spiriti negativi, il mondo degli spiriti del male.
Chi affida agli spiriti negativi per operare il male non è un essere spirituale ma un essere spiritato!
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Maggio 2016, 02:04:55 AM
Paul11, mi dai occasione di specificare meglio la definizione provvisoria che già ho proposto, e che non avevo approfondito per non dilungarmi troppo. Si tratta, come ho detto, di una mia proposta provvisoria, non ho alcuna intenzione di stabilire una volta per tutte che la spiritualità sia ciò che dico io: è solo un punto di partenza per favorire il dialogo.
Ho condiviso il topic iniziale, ma ora ho l'impressione che il discorso vada tramutandosi in un dialogo sul significato della parola " spiritualità " che potrebbe protrarsi all'infinito .
Ritengo che chiunque senta un qualcosa di simile a quanto le religioni inducono a credere non abbia la necessità di complesse argomentazioni e di ragionamenti sulla semantica delle parole.
Se Dio esiste (ed io ci credo) è unico ed il nostro rapporto con Lui può essere favorito da idee prese a prestito dalle più svariate religioni.
Citazione di: Mariano il 21 Maggio 2016, 11:48:28 AM
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Maggio 2016, 02:04:55 AM
Paul11, mi dai occasione di specificare meglio la definizione provvisoria che già ho proposto, e che non avevo approfondito per non dilungarmi troppo. Si tratta, come ho detto, di una mia proposta provvisoria, non ho alcuna intenzione di stabilire una volta per tutte che la spiritualità sia ciò che dico io: è solo un punto di partenza per favorire il dialogo.
Ho condiviso il topic iniziale, ma ora ho l'impressione che il discorso vada tramutandosi in un dialogo sul significato della parola " spiritualità " che potrebbe protrarsi all'infinito .
Ritengo che chiunque senta un qualcosa di simile a quanto le religioni inducono a credere non abbia la necessità di complesse argomentazioni e di ragionamenti sulla semantica delle parole.
Se Dio esiste (ed io ci credo) è unico ed il nostro rapporto con Lui può essere favorito da idee prese a prestito dalle più svariate religioni.
Un po', anzi tanto, strano questo discorso di non dare importanza al significato della parola spiritualità, visto che trattasi del testo dell'argomento. Non si può parlare di "Spiritualità per tutti" se non abbiamo definito il significato della parola di base. Transeat sull'affermazione che dalle religioni si prendono "idee"! Dalle religioni si prendono insegnamenti e comandamenti divini, le idee appartengono e noi uomani e sono la causa di tutti i casini umani!
Citazione di: Angelo Cannata il 18 Maggio 2016, 12:22:44 PM
è praticamente inesistente una mentalità di studio delle spiritualità da un punto di vista non confessionale, non di fede, ma semplicemente scientifico, umanistico, spassionato, volto ad apprezzare quanto è apprezzabile da tutti, indipendentemente dalle scelte di pensiero personale.
Non sono d'accordo su questa affermazione. Esistono studi approfonditi sia in campo sociologico che neurologico. In altro post ricordavo, ad es., il lavoro di A.Newberg.
Sulla spiritualità è difficile cercare di incasellarla in qualche definizione. Se dovessi improvvisarne una forse direi: credere in qualcosa che va oltre la materialità.
Sono d'accordo con te, Elvio, per questo, accanto a "inesistente", avevo messo l'attenuante "praticamente".
Vorrei però precisare che gli studi scientifici come quello di Newberg analizzano che cosa avviene nel cervello quando il soggetto afferma di star vivendo un'esperienza spirituale. Il punto di vista scientifico che io vorrei portare avanti è diverso: io do per scontato che l'esperienza spirituale si può considerare anche come nient'altro che un'interazione di certi neuroni del nostro cervello, ma non m'interessa indagare in che modo questi neuroni interagiscono e quali di essi si attivano (che mi sembra essere l'oggetto degli studi di Newberg).
Ciò che a me interessa è entrare con criterio scientifico nei contenuti della spiritualità. Faccio un esempio per essere più chiaro. Prendiamo in considerazione Dante che scrive la Divina Commedia. A uno scienziato come Newberg interessa studiare cosa sta succedendo nel cervello di Dante mentre egli scrive la Divina Commedia. A me interessa piuttosto indagare da un punto di vista scientifico i contenuti della Divina Commedia. Per esempio, indagare quante volte una parola si trova nella Divina Commedia: questa è scienza, perché è un fatto misurabile tutte le volte che si vuole e documentabile; oppure indagare in che misura nella Divina Commedia troviamo verbi al passato e in che misura verbi al futuro. A partire da questo tipo di indagini è possibile studiare scientificamente lo stile di Dante, i suoi modi preferiti di esprimersi e perfino la sua personalità.
Se consideriamo una persona che medita in puro silenzio con gli occhi chiusi, a me non interessa indagare cosa sta succedendo nel suo cervello: mi basta solo sapere che certi suoi neuroni stanno lavorando e questo crea in quella persona l'esperienza spirituale. Ma io voglio approfondire scientificamente in che modo quell'esperienza di silenzio può avere delle conseguenze nei comportamenti di quella persona, nei suoi modi di pensare, nel senso che quella persona dà alla sua vita. È chiaro che indagini del genere, se vogliamo eseguirle con massimo criterio scientifico, sarebbero praticamente impossibili, perché troppo complesse. Difatti, quando di Dante si cerca di definire lo stile, non lo si fa certo dopo aver indagato al millesimo tutte le percentuali e tutte le statistiche: sarebbe un lavoro sterminato, umanamente quasi impossibile. Ci si accontenta di raccogliere un numero di prove grosso modo soddisfacenti per poter dire con una certa chiarezza qual è lo stile di Dante, cercando di parlare, nei limiti dell'umanamente possibile, con dati alla mano, quei dati che umanamente ci riesce di raccogliere, cercando di evitare affermazioni campate in aria. I risultati sono poi nient'altro che quello che a scuola ci fanno studiare a proposito di Dante; è scienza, pur con i suoi limiti; si parla in proposito di "scienze umane". Questo è ciò che io riterrei utile fare con la spiritualità e che mi sembra attualmente non fatto, o almeno fatto troppo scarsamente.
Forse è arrogante scrivere questo commento cosi presto, sarebbe più saggio aspettare ancora un po, ma siccome il topic mi era piaciuto proverò a scriverlo in anticipo per vedere se riesco a "salvare il topic".
Ricordo il giorno che uscì il libro di Silvano Agosti "Lettere dalla Kirghisia" , il libro descriveva un utopico paese dove regnava la felicità e il buon senso, un paese a misura d'uomo (in questo caso, l'incipit di Angelo). Forse per il nome realistico, qualcuno pensò si trattasse di un reportage da un posto reale, e non di un utopia, e cominciò ad esclamare "Ma dov'è? Andiamoci a vivere!" - "Voglio crescere la i miei figli! come posso arrivarci?" . Poi qualcuno arrivò con la brutta notizia "La Kirghisia non esiste.. è un utopia" . Allora il tono degli stessi che prima erano entusiasti, tutto ad un tratto mutò all'improvviso .. "imbroglione! ci ha fregato! quel libro è spazzatura!" .. Con le utopie e in generale le buone idee è sempre così, si sarebbe pronti a viverle se qualcuno le avesse già costruite per noi, ma quando è il momento di impegnarsi in prima persona, si danno tutti alla macchia.
InVerno, secondo me alla fine si danno tutti alla macchia perché vivere un ideale in prima persona significa spesso accorgersi di sue contraddizioni che erano invisibili quando esso stava soltanto nella mente. Cioè, il difetto non sta in una qualche vigliaccheria della gente ad impegnarsi in prima persona, o per lo meno, non serve cercarlo in quella direzione: cadremmo nell'errore di colpevolizzare,
di cui ho parlato sopra. Se con un martello mi schiaccio un dito, può essere che io non lo sappia usare, ma può anche essere che si possano escogitare martelli a prova di inesperti, e di fatto questo tipo di ricerca è già stata praticata e la si continua a praticare.
A me sembra che il modo in cui oggi si parla di spiritualità possa essere migliorato, raffinato, riorganizzato, in modo da evitare fanatismi, fondamentalismi, conflitti, addebitabili non solo a difetti delle persone, ma anche alla spiritualità stessa, ed è in quest'ultima direzione che a me interessa ricercare.
Non riesco a capire come si possa indagare sulla spiritualità senza averla prima definita.
Non riesco a capire come e si possa parlare di spiritualità senza averla vissuta.
Non capisco perché ci si ostini a confonderla con tutto ciò che non è materiale.
Non riesco a capire perché gli atei pretendono di sapere tutto a riguardo delle cose dello spirito.
Comunque, titolo a parte, il topic era stato presentato come approfondimento sulla possibilità di attingere "idee" da religione diverse.
Chiarito che le religioni non vendono idee, ma contengono verità rivelate, per vie diverse, portano tutte - o quasi - all'amore, perché provengono tutte dallo stesso cuore. E' quindi possibile prendere qualcosa da tutte. Si può prendere però da tutte a condizione che la persona sia in grado di credere. Se non si è in grado di credere, si può solo chiacchierare coinvolgendo Dante e/o altri senza addivenire ad una conclusione utile, ma sicuramente si arriva a disprezzare, criticare ecc... creando in se stessi una pericolosissima esaltazione che nutre la superbia e l'orogoglio.
E' certamente vero che sulla parola spiritualità si potrebbero spendere trattati e, probabilmente, non si riuscirebbe lo stesso a giungere ad una definizione condivisa da tutti.
Mi permetto dunque di sottoporre alla vostra attenzione la definizione della lingua italiana:
http://www.treccani.it/vocabolario/spiritualita/
https://it.wikipedia.org/wiki/Spiritualit%C3%A0
che ci rimandano alla definizione di spirito:
http://www.treccani.it/vocabolario/spirito/
https://it.wikipedia.org/wiki/Spirito
Freedom, credo che vocabolari ed enciclopedie siano di ben poco aiuto per dare un significato alla parola "spiritualità", perché incappano in due difficoltà:
1) o non fanno altro che rinviare il problema, per esempio rinviando l'utente ad andarsi a cercare cosa significa "spirituale", o "spirito",
2) oppure parlano di "immateriale", o "oltre il materiale", lasciando aperta la questione se l'immateriale esiste e, se sì, in che modo e in che senso esiste.
Se c'imbarchiamo nella questione del punto 2), non la finiremo più e non concluderemo niente, perché equivale alla polemica mondiale tra atei e credenti, tuttora ben accesa in tutto il mondo, e non saremo certo noi qui a poterla portare a conclusione.
Per questo motivo io sto cercando una via che mi sembra possibile per tutti, cioè un discorso che non nega né postula l'idea di mondi, oggetti o soggetti immateriali. Quando dico che l'esperienza spirituale si può considerare semplicemente come l'azione di certi neuroni nel nostro cervello, con questo non nego che a tale azione possa corrispondere una relazione o un contatto con mondi o cose soprannaturali; non lo nego e non lo affermo: semplicemente lo ritengo poco utile ai fini del mio discorso, perché ogni dibattito in proposito sarebbe inconcludente, senza fine.
Per apprezzare la Divina Commedia non c'è bisogno di credere nell'esistenza di inferno, purgatorio e paradiso: anche un ateo è capacissimo di apprezzare tutto il valore letterario del capolavoro di Dante. Lo stesso ritengo possibile riguardo alla spiritualità, ma mi sembra che in questa direzione sia stato fatto finora poco o niente.
Carissimo Angelo Cannata, posso chiederti se sei credente? Se sì, la risposta ce l'hai già, se la risposta fosse no, perché crearsi tanti problemi?
Spero mi degnerai di una risposta.
Giona2068
Forse, se ho ben capito ci vogliono due presupposti:
1) il riconoscere che siamo tutti spirituali in quanto innata ed esigenza
2) dirimere dalle tradizioni millenarie le nette divisioni che hanno costruito steccati
Ammesso che sia praticabile, ne riconosco difficoltà enormi, perchè i nostri sistemi di credenza(intendo come coscienza) non sono solo razionali, ma implichino "agganci" psichici.Così come la cultura ,il percorso storico, ha strutturato una forma di pensiero, così la spiritualità viene vissuta come "nocciolo duro".Il risultato è la difesa di appartenenza in quanto identitaria e sacrale.
Riuscire a costruire una diversa spiritualità, una modalità di viverla in modo più aperto, vorrebbe dire esercitare in modo più critico ed autocritico ciò che ha costruito in noi la spiritualità.
Per me è è facile fare questo esercizio, ma per mie esperienze personali e per una mia modalità di vivere la conoscenza, perchè
implica il concetto di esistenza, la consapevolezza che noi non viviamo in certezze, ma su palafitte spazzate dalle intemperie, che forse crediamo a illusioni, ma nello stesso tempo anche se lo fossero ne abbiamo necessità per proiettarci in un futuro e viverlo sperando migliore. Insomma c'è dentro ragione, psiche e sentimento nella spiritualità e non è possible "lavorare" solo sulla ragione senza implicarne anche gli altri attributi perchè è "viscerale" tanto più una credenza è il nocciolo duro strutturato su altre modalità di viverla, cioè motivazioni, atteggiamenti
paul11, il mio è un tentativo di dare espressione verbale a ciò che viviamo dentro e sono consapevole delle difficoltà, è un lavoro quasi impossibile.
Addirittura aggiungerei perfino immotivato, poiché, se mettiamo in conto crisi della ragione, autocritica, crollo delle certezze, ne viene fuori che non è neanche detto che la spiritualità sia un bene, o per lo meno, soltanto un bene. Ci può anche essere, per esempio la spiritualità del kamikaze, del ladro, del delinquente.
In uno dei miei messaggi precedenti ho scritto
Citazionese tra i promotori di una spiritualità s'innescano meccanismi di chiusura e interessi di potere, credo che ne consegua che quella spiritualità sia carente proprio di spiritualità. È una spiritualità illusoria.
Qui ho l'occasione di precisare che quest'affermazione ha senso solo distinguendo almeno due tipi di spiritualità, visto che
avevo anche detto cheCitazioneperfino una pietra è spiritualità
Secondo me è utile distinguere tra "spiritualità universale" (in cui anche un pietra è spiritualità e anche quella di un omicida è spiritualità) e "spiritualità umana", cioè una ricomprensione della spiritualità universale, nel tentativo di estrapolarne gli aspetti che a nostro umano parere sono da apprezzare come "bene". Anche qui però subentra l'autocritica, a ricordarci che, una volta che ogni idea di bene è relativa, essa andrà perseguita con un atteggiamento sempre in fieri, in divenire, sempre in ricerca, mai contento sé, mai autocompiaciuto.
Vale la pena di fare questo lavoro? Credo che, più che valerne la pena,
come tu hai detto,
Citazionene abbiamo necessità
** scritto da Angelo Cannata:
CitazioneCi può anche essere, per esempio la spiritualità del kamikaze, del ladro, del delinquente.
Io penso che stai confondendo spiritualità con fede, anche se poi la prima dipende e scaturisce solo grazie alla seconda.
Citazioneil mio è un tentativo di dare espressione verbale a ciò che viviamo dentro e sono consapevole delle difficoltà, è un lavoro quasi impossibile.
Ma già esiste l'espressione verbale della spiritualità che per fede sperimentiamo (viviamo) dentro: il nostro essere, il nostro operare, il nostro fare.
Citazione di: Angelo Cannata il 21 Maggio 2016, 19:14:49 PM
Per apprezzare la Divina Commedia non c'è bisogno di credere nell'esistenza di inferno, purgatorio e paradiso: anche un ateo è capacissimo di apprezzare tutto il valore letterario del capolavoro di Dante. Lo stesso ritengo possibile riguardo alla spiritualità, ma mi sembra che in questa direzione sia stato fatto finora poco o niente.
Il motivo è abbastanza ovvio, questo tipo di analisi non è ben accetta dagli adepti e dalle istituzioni religiose, perchè viene considerata alla stregua della declassazione. Declassazione dei testi sacri in letteratura o mitologia che dir si voglia. Prima che mi si taccia di "colpevolizzare" è necessario specificare,
la religione fa riferimento ad un autorità quindi volenti o nolenti essa è responsabile. Immaginate di proporre che i testi sacri vengano insegnati a scuola da un ateo che li tratti come letteratura e faccia particolare riferimento alla loro poetica in senso antropologico, culturale, e letterario, ma non religioso, come si fa della Divina Commedia. Chi sarebbe ad opporsi? Esatto, l'autorità preposta, chiesa o imam che sia. Poi chiamatelo colpevolizzare, ma questo tipo di studio è "impraticabile" e ci sono dei mandanti manifesti, nessuna teoria del complotto. Come studio personale uno è libero di intraprenderlo, per una via tortuosa e solitaria e che rimarrà
largamente minoritaria finchè le premesse di cui sopra non cambieranno. Ad oggi va di moda il bianco o il nero, il grigio un periodo di moda non l'ha mai visto.
InVerno, a me basta che sia una cosa che valga la pena coltivare come minimo per conto mio; non m'interessa essere o non essere minoritario, essere o non essere osteggiato dai tradizionalisti. Per me sarebbe problematico se già come impegno personale risultasse inopportuno, falso, errato, ipocrita, portatore di male; ma se è un'attività che può risultare, oggi, a me e come risultato del confronto con altri, umanamente apprezzabile, allora non manca niente, ci sono tutti i requisiti per sentirmi incoraggiato a coltivarla. Quando una cosa si dimostra umanamente buona e giusta e si confronta volentieri con la critica, allora emarginazione o boicottaggio non meritano di essere presi in considerazione, se non giusto per non dimenticare che esiste anche il male.