Un sogno quasi lucido

Aperto da Luther Blissett, 28 Novembre 2025, 20:59:55 PM

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Luther Blissett

Stanotte ho fatto un sogno strano come è normale che siano i sogni, soltanto che assomigliava a un sogno lucido, poiché sembrava molto realistico in quanto non vi succedeva quasi niente di speciale, e però la stranezza stavolta consisteva proprio in questa ordinaria quasi-normalità. Senonché mi son trovato che camminavo per anonime strade urbane che non riconoscevo, era notte anche nel sogno, ed era quasi normale che non incontrassi proprio nessun altro viandante, nemmeno le macchine però. Eppure non mi pareva di essere solo, mentre però continuavo a non incontrare nessuno lungo le vie. Ma d'un tratto, sono sbucato a sorpresa in piazza Navona.
Sulla piazza mi sono diretto verso la mia panchina preferita, che era per me quasi un piccolo monumento marmoreo ai miei ricordi. Vado per sedermi che ecco che sta finalmente arrivando un altro viandante, e viene a sedersi proprio accanto  a me.  Cerco di capire chi è ma non lo riconosco. Il suo volto non riesco proprio a focalizzarlo, ma intanto  il sogno continua con una nitidezza da sogno lucido. Ed ecco che mi rivolge la parola, che però non mi sembra provenire da lui ma da dentro di me. "Ma come? Sul serio non mi riconosci?"
Io taccio preoccupato, per non sentire altre parole pensate da me ma rivoltemi da costui. Si tratta davvero di un sogno lucido, dato che riesco ad avere qualche iniziativa consapevole, e questo non accade nei sogni ordinari.  Ma ecco che all'improvviso lo riconosco, e la sorpresa mi fa svegliare di botto.
 
Al resoconto di questo sogno parzialmente lucido devono seguire note esplicative che però so bene che non spiegheranno abbastanza, poiché sono alluvionato da mille interrogativi.
Il sogno mi è parso collocabile temporalmente verso la fine degli anni '70, ma nel sogno non ero giovane come ero allora ma già vecchio come sono ora.
Conosco molto bene quella piazza, e soprattutto in gioventù ho frequentato parecchio sia quella piazza che praticamente tutte le vie limitrofe.  E quindi le vie che nel sogno stavo percorrendo prima di sfociare in quella piazza non c'entravano nulla con quella piazza, e mi erano completamente sconosciute. Ho moltissimi ricordi di persone incontrate in quella piazza; tra gli altri, ricordo come da giovane per qualche settimana di seguito, in piena notte, seduto su una delle panchine, cioè proprio quella che divenne la mia preferita, chiacchieravo intanto giocando a scacchi con un pittore straniero ma ormai quasi romanaccio, di quelli che facevano ritratti per i turisti.  Una notte si avvicinò un signore a guardarci da vicino, noi due, io e il pittore,  mentre stavamo giocando a scacchi. Era ormai notte fonda, ed eravamo rimasti in pochi nella piazza.  Un pochino m'incuriosiva il fatto che uno sconosciuto fosse così interessato a due giocatori che molto lentamente, senza orologio, giocassero a scacchi e intanto discutessero tra loro tranquillamente.  Assistere a una lenta e ragionata partita a scacchi fatta da altri, almeno per me,  sarebbe risultato noiosissimo. Ma ad un certo punto, è il mio interlocutore pittore che mi spiega chi era quel signore che ci stava osservando, e lo fa all'incirca con queste parole: "Lo sai chi è questo signore impiccione che ci sta osservando mentre ci stiamo raccontando i cazzi nostri? " Ed io, sorridendo: "-Ah proprio no, e chi sarebbe? n'artro pittore?"  E lui, più seriamente;: "No, no, che pittori, noi sulla piazza siamo imbrattatele.  Questo signore qui invece è un vero artista, però non dipinge, fotografa, ma lo fa con Fellini e non solo, anzi, dato che a te piace tanto stare a parlà de cose strane, me pare strano che tu non lo conosca, conosci tutti ma non conosci questo signore qua!?"   "Embè mica conosco tout le monde, e poi tu hai parlato di fotografi e di Fellini, mai frequentato quei giri. Io poi lo sai, non frequento artisti, tu sei un'eccezione".  E lui: "-Diglielo tu Franco, perché invece voi due ve dovete conosce. Ma lo sai, xy <il mio nome>, che sapevo che era di passaggio a Roma e per questo gli avevo dato appuntamento stanotte qui per favve conosce a voi due?"
Ed io: "-Accidenti, la cosa si fa interessante. È per caso qualcosa che ha che fare con l'analisi junghiana cui si sarebbe sottoposto Fellini?" E lui:"-Daje, voi due presentàteve, e io intanto me ne vado e ve saluto, sospendiamo la partita, tanto c'ho la memoria fotografica, la riprendiamo la prossima volta da questa situazione. Ciao ciao a tutt'e due"
Siamo rimasti io e Franco sulla panchina. Ci siamo presentati, ed aveva proprio ragione il mio amico pittore.  Mi parve incredibile che io questo signore non lo avessi conosciuto ancora.
 
Rimanemmo a chiacchierare su quella panchina fino all'alba.
Il suo nome era Franco Pinna, fotografo che divenne noto per aver lavorato con Fellini.
Ma il motivo per cui al mio amico pittore era sembrato strano che io non lo conoscessi ancora era che Franco Pinna aveva collaborato anche con Ernesto De Martino, e che al fianco di questo grande studioso di antropologia delle religioni si fosse interessato proprio di quei fenomeni di presunta magia spesso presenti nel mondo popolare subalterno.
Da lui venni a conoscere cose ai confini della realtà di cui era stato diretto testimone, cose che io non potevo derubricare al mio solito modo, dato che mi resi conto che si trattava di una persona solida e più che attendibile.
Purtroppo la nostra amicizia durò assai poco, poiché di lì a poco morì.
Era lui su quella panchina.
Ciò che penso dei sogni l'ho già detto, e lo ripeto anche ora che ho avuto questo sogno qui.
Noi stessi siamo gli autori dell'intero contenuto dei nostri sogni, e anche quando ci sembra che qualcosa o qualcuno ci si introduca dall'esterno, si tratta soltanto di rielaborazioni di residui diurni di ciò che abbiamo percepito dal mondo esterno.
I sogni non sono mai chiari, nemmeno quando vorrebbero sembrarci chiari.
E anche questo sogno in fondo non è riuscito a darmi alcun accenno di segno,  e poi la solita beffa di svegliarmi di botto proprio come fanno nei serial, per lasciarmi in sospeso.
Il regista dei miei sogni è un regista mediocre, e in fondo, almeno finora,  più che prevedibile.
Mi si dirà che da quel che ho finora detto, il regista dei miei sogni sarei io stesso, e quindi mi sarei dato del mediocre da me stesso.  Non ci tengo a divenire un bravo regista onirico,  di quelli capaci di farmi credere anche a cose che non sono vere.
Ammetto che comunque il sogno mi ha disturbato.
 

Luther Blissett

(Questo post vi sembrerà troppo lungo lo stesso, nonostante che l'ho bruscamente sfrondato di molte parti, ma penso di essere riuscito a ricondurlo nei limiti che permettano almeno ai più pazienti di voi di provare a leggermi.)
Doveva essere proprio l'ultimo anno della sua vita quello del nostro incontro su quella panchina di piazza Navona.  Franco mi si rivelò una miniera inesauribile di "cose strane", per dirla come il mio amico pittore.  Me le raccontò con foga febbrile, come se fino a quel momento non avesse avuto occasione di rivelarle ad altri.  Io le trascrissi febbrilmente su un taccuino, che conservo ancora e sto consultando.  Lui aveva collaborato anche con Pasolini a Roma, e di lui rimane oggi un libro che riecheggia anche nel titolo, "L'isola del rimorso", il grande lavoro antropologico di De Martino de "La terra del rimorso". La conversazione convulsa con lui era densissima di rimandi curiosi e perfino di spiritosaggini, era una persona stracarica di forza vitale e emotiva. Tra le curiosità, fu lui a nominarmi per primo quel paesino lucano, che al solo sentirlo nominare tanti tuttora si fanno addosso immaginabili gesti propiziatori (Colobraro).   Tra l'altro gli chiesi come mai coloro che amano così tanto come lui la fotografia preferiscano così tanto il bianco e nero, e lui mi rispose che i colori in realtà non esistono e sulle cose i colori ce li vediamo soltanto noi, la realtà vera è una scala di grigi.
Dato che mi aveva detto di aver visto in azione anche Padre Pio e di avere assistito ad alcuni suoi interventi presso dei contadini, gli chiesi di raccontarmeli. Mi disse allora: "- In un campo coltivato a carciofi infestati dai pidocchi Padre Pio con la mano destra benedisse le piante di carciofi ma poi con la mano sinistra maledisse i pidocchi che a loro volta cadevano stecchiti dalle piante."  "- E tu li hai proprio visti?"  "- Sì, Padre Pio intanto si allontanava e la gente si avvicinava per vedere meglio, e tra la gente c'ero anch'io che ho visto da vicino come sul terreno fosse rimasto un tappeto impressionante di miriadi di afidi morti.  Ma era stato visibile anche da  meno vicino, mentre lui agiva, si vedeva come una cascatella di pallini neri che precipitavano giù come sassolini." "- Puoi essere certo di ciò che hai visto?"  "- Non ti so rispondere"" - Ma tu credi davvero che lui avesse questi poteri?"  "- Me lo chiedo anch'io, e non so rispondermi."   "Ma scusa se insisto, che cosa ne pensi tu, di Padre Pio?" "-Ho chiesto a tanti, e mi han dato più o meno tutti risposte scontate, posso dirti però di due medici, che però mi han dato risposte di tenore opposto".  "- Dimmi dei due pareri dei medici." "- Uno dei medici mi ha detto che Padre Pio era chiaramente un uomo di Dio e diverrà certamente santo. L'altro medico ha detto tutto il contrario, che Padre Pio è un isterico , un truffatore ,un depravato, e che già da bambino, lo raccontò candidamente lui stesso, andava in giro per boschi insieme con un coetaneo per farsi legare a un albero e poi farsi frustare".
Lui mi raccontò molti altri episodi, tra i quali ne riferisco uno che si riaggancia a quel paesino lucano dal nome innominabile, e ridiamo la parola a Franco che ci può parlare ancora grazie alla  ricostruzione che posso farne attraverso il taccuino.
"- Ti racconto di una fattucchiera di paese, me la ricordo bene, come fosse ora, il paesino era quello lì che ti invito a pronunciare con cautela (e intanto sorrideva), Colobraro. Dato che ti vedo che sei un monaco certosino sempre pronto a vergare, ti riferisco anche con certosina precisione il nome e cognome, si chiamava Maddalena Rocca o Maddalena La Rocca, insomma una delle due.
Era una vecchina tutta scura vestita di nero, aveva perso tutti i suoi cari, marito e figli, con la guerra.
Era divenuta la maga del paese, e tutti venivano da lei anche dai paesi vicini. Si rivolgevano a lei
per portarle i bambini affetti da vermi,  e lei i vermi li incantava dopo averne ritualmente scrutato l'orifizio anale o fiutato l'alito. Ma lei era anche la strega del paese, dato che a lei si rivolgevano anche per far le fatture, magia nera insomma, tecnicamente fatta pungendo fotografie o residui corporei della vittima bersaglio."
Mio commento a questo punto: "- Insomma, hai fatto un viaggio non solo nel profondo Sud , ma un viaggio nel tempo passato, quando cose così erano normali ovunque, i tempi in cui su tanta miseria la Chiesa perciò regnava sovrana.  Fammiti dire che mi pare che tu hai distinto tra magia bianca e magia nera. La Chiesa non distingue tra le due forme, sono per lei entrambe magia nera, compresa quella bianca."
"-No, invece lo so anch'io cosa dice la Chiesa. Ho riferito le cose mettendomi istintivamente dalla parte della gente che osservavo, e ho voluto riferire i fatti assieme alle convinzioni popolari che li  concernevano."
"-Allora scusami. Mi ero completamente scordato che il vostro metodo d'indagine era l'osservazione partecipante, ossia il farsi pienamente coinvolgere dall'oggetto di studio, mi rendo conto che  non sarei stato adatto come ricercatore sul campo."
 
 

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