Il congiuntivo è morto? - Valeria della Valle, Giuseppe Patota – Sperling & Kupfer – 2011
Breve saggio molto chiaro sul modo verbale che mette in crisi anche chi ritiene di conoscere bene l'italiano. Da tempo si lamenta la morte di questo modo verbale, tutt'altro che morto.
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Il congiuntivo è morto? . Sempre meno italiani, quando parlano, esprimono un dubbio, quasi tutti hanno opinioni categoriche su ogni argomento.
La crisi del congiuntivo non deriva dalla pigrizia ma dall'eccesso di certezze, più la fretta con cui scriviamo.
Pochi oggi "pensano, credono e ritengono", tutti "sanno e affermano". L'assenza di dubbio è una caratteristica della nuova società italiana. Chi non esprime cautela e usa il congiuntivo rischia di passare per insicuro. E' tempo solo di constatazioni e non più d'ipotesi?
Oggi hanno fortuna i periodi attorcigliati, i tecnicismi, periodi oscuri, subordinate per dimostrare superiorità intellettuali in cui la trasparenza del dire è considerata riprovevole. Il linguaggio diventa come una cortina fumogena per nascondere qualcosa. Per omologazione alla modernità
Se rileggessimo i nostri scritti? Se evitassimo le imitazioni, i collage wikipedici? Potremmo verificare se abbiamo più dubbi o certezze e se ci comprendiamo veramente, o se soltanto facciamo finta di capirci.
Personalmente il congiuntivo non mi ha mai messo in crisi (e nemmeno il condizionale).
Ho studiato nell' ottima scuola italiana di una volta...
In crisi é purtroppo la lingua italiana quotidianamente violentata dall' inglese (maccheronico, l' "inglesorum"), nella colpevole indifferenza complice di chi istituzionalmente dovrebbe tutelarla, nonché dall' ignoranza abissale dei giornalisti.
Molto interessante, e come ben detto non si tratta semplicemente di una questione linguistica
o d'ignoranza nell'uso dei modi verbali...
Si conferma quel che alcuni vanno dicendo da tempo (e che io spesso riprendo all'interno di questo
forum): l'essere umano è troppo debole per sopportare l'angoscia suscitata dal divenire.
Quindi, l'Inflessibile, o "sacro" che dir si voglia, si va ricostituendo in forme nuove (non
più quelle della tradizione religiosa o filosofico/epistemica) ma non per questo meno, diciamo,
"assolutizzanti".
Il costume linguistico è solo un sintomo di qualcosa di molto più grande e profondo.
saluti
Anche io trovo interessante questa analisi, dove è nell'uso della grammatica che si sedimentano e rintracciano gli abiti del pensare.
L'uso dei modi verbali, in particolare, ci dà indicazioni sul movimento del pensiero stesso, i suoi azzardi, le sue cautele, le sue certezze, reali o presunte. Sono piuttosto combattuta se ritenere nelle concause che determinano la mancanza di utilizzo del congiuntivo, concorra in maggior misura l'ignoranza di uno strumento a non permettere la nobile arte delle ipotesi al pensiero, o, viceversa, sia una cultura incentrata ai "dati di fatto" e alla semplice presenza ad averci educato a un pensiero fatto di sentenze che non sa proporsi e porsi al di là d'esse, in un ambito di valutazione ed esplorazione dei suoi limiti, con piedi di piombo, in terreni soggettivi, sdrucciolevoli di incertezze e di non facili posizioni.
Credo che Marta è andata a casa.
Credo che Marta sia andata a casa.
Non riesco a trovare significative differenze tra queste due frasi.
Non considero una grave perdita la graduale estinzione del congiuntivo (o della lingua italiana).
Secondo la tesi, chi usa correttamente il congiuntivo si presume quindi che sia in grado di distinguere con assolutezza il certo dall'incerto.
Io invece una differenza ce la trovo: nel primo esempio, "perchè lo credo, è", nel secondo si insinua una domanda:"ma, quel che credo, è?"
Citazione di: baylham il 11 Marzo 2019, 18:32:05 PM
Credo che Marta è andata a casa.
Credo che Marta sia andata a casa.
Non riesco a trovare significative differenze tra queste due frasi.
Non considero una grave perdita la graduale estinzione del congiuntivo (o della lingua italiana).
Secondo la tesi, chi usa correttamente il congiuntivo si presume quindi che sia in grado di distinguere con assolutezza il certo dall'incerto.
Non commento il resto.
Ma chi sa usare il congiuntivo non pretende affatto di distinguere con assoluta certezza il dubbio dal sicuro, ma sa senz' altro distinguere come correttamente si espone una tesi ipotetica da come se ne esprime una perentoria (avrei potuto scrivere "dubbia" e "certa", ma mi piace parlare e scrivere bene nella mia splendida lingua, evitando se appena possibile ripetizioni; anche se non te ne frega niente).
Ho piacere che il tema sul congiuntivo ha suscitato qualche interesse,, D'accordo sui vari commenti,, come i giornalisti, - e politici - che non possiedono molta competenza linguistica.
Il congiuntivo, oltre altre funzioni, è il modo della possibilità, dell'ipotesi. Quindi volendo rafforzare tale senso è più appropriato "credo che Mata sia ..." al posto di Marta è ...
Saluti
Ciao Sileno, non riesco a trovare la pubblicazione. Ma questo assunto è basato su dei dati statistici? Ci sono periodi di riferimento per esempio?
E poi intende che il congiuntivo viene sbagliato sempre più spesso grammaticalmente, o che viene evitato a priori? Grazie.
Citazione di: InVerno il 11 Marzo 2019, 20:05:42 PM
Ciao Sileno, non riesco a trovare la pubblicazione. Ma questo assunto è basato su dei dati statistici? Ci sono periodi di riferimento per esempio?
E poi intende che il congiuntivo viene sbagliato sempre più spesso grammaticalmente, o che viene evitato a priori? Grazie.
E' probabile che il volumetto non si trovi più nelle librerie, io l'ho trovato nell'usato.
Ci sono verbi che reggono sia l'indicativo sia il congiuntivo, con significati diversi. Poi ci sono casi in cui l'uso del congiuntivo è sbagliato.
Può essere una questione di stile, di non voler dare un senso , perentorio, che non ammette obiezioni.Comunque indiscutibile è che il congiuntivo sia ... ( meglio forse, è ) un modo poco usato, mi pare anche nelle nostre dissertazioni filosofiche.
Saluti
Citazione di: Lou il 11 Marzo 2019, 17:51:37 PM
Anche io trovo interessante questa analisi, dove è nell'uso della grammatica che si sedimentano e rintracciano gli abiti del pensare.
L'uso dei modi verbali, in particolare, ci dà indicazioni sul movimento del pensiero stesso, i suoi azzardi, le sue cautele, le sue certezze, reali o presunte. Sono piuttosto combattuta se ritenere nelle concause che determinano la mancanza di utilizzo del congiuntivo, concorra in maggior misura l'ignoranza di uno strumento a non permettere la nobile arte delle ipotesi al pensiero, o, viceversa, sia una cultura incentrata ai "dati di fatto" e alla semplice presenza ad averci educato a un pensiero fatto di sentenze che non sa proporsi e porsi al di là d'esse, in un ambito di valutazione ed esplorazione dei suoi limiti, con piedi di piombo, in terreni soggettivi, sdrucciolevoli di incertezze e di non facili posizioni.
Ciao Lou
Io la penso sempre come Nietzsche: "nell'eterno fluire delle cose di nulla potremmo dire che è"...
(o, in maniera più moderata, come Kant: "l'io penso è l'unità originaria dell'appercezione" - che
significa che mai potremmo dire: "questa cosa è"; ma sempre: "io penso che questa cosa sia...").
saluti
Eh, diciamo che il congiuntivo da corso alla prospettiva di una filosofia trascendentale, che è, per l'appunto una possibilità.
Citazione di: baylham il 11 Marzo 2019, 18:32:05 PMSecondo la tesi, chi usa correttamente il congiuntivo si presume quindi che sia in grado di distinguere con assolutezza il certo dall'incerto.
Chi usa correttamente l'indicativo e il congiuntivo, sa scegliere se presentare il processo verbale come qualcosa di constatato (un fatto) o come qualcosa di pensato (opinione/dubbio/ipotesi). L'indicativo è il modo dell'oggettività, il congiuntivo della soggettività.
Questo non implica insomma la capacità di distinguere infallibilmente il certo dall'incerto, ma solo la facoltà di scelta, presente nella morfologia dell'italiano e di altre lingue, fra due diversi atteggiamenti mentali del parlante in rapporto al processo verbale.
Citazione di: Lou il 12 Marzo 2019, 00:03:18 AMEh, diciamo che il congiuntivo da corso alla prospettiva di una filosofia trascendentale, che è, per l'appunto una possibilità.
Non dev'essere un caso se questo tipo di filosofia si è sviluppata storicamente in Grecia e in India, dove erano parlate lingue estremamente complesse e ricche di potenzialità già a livello morfologico. Questa complessità, particolarmente evidente nel sistema verbale, testimonia la complessità di pensiero degli uomini, remotissimi nel tempo, che elaborarono le varietà indoeuropee del greco e del sanscrito. Solo molto più tardi, nella filosofia, si manifestarono le potenzialità in un certo senso già implicite nella lingua. O almeno, sono relativamente recenti le testimonianze (scritte) che noi ne abbiamo.
Usare il congiuntivo è solo la regola grammaticale specifica alla nostra lingua per formulare un ipotesi, altre lingue pur non possedendo il congiuntivo formulano tranquillamente le ipotesi in altre forme (per esempio con un condizionale di "secondo grado"). Perciò è importante sapere di che cosa stanno parlando gli autori, perchè potrebbe tranquillamente essere che il congiuntivo stia degenerando ma le ipotesi vengano formulate "sgrammaticate" (ma pur sempre ipotesi) e perciò non ci sia nessuna relazione con il modo di pensare degli Italiani. E' lo stesso discorso che si fece quando gli sms "costringevano" ad abbreviare, ed alcuni avevano ipotizzato l'apocalisse della grammatica. Il punto è che se scrivo "ke" il lettore legge "che", perciò c'è una "sgrammaticatura" ma il messaggio funzionalmente non cambia (e infatti nessuna apocalisse della grammatica ci ha colpito). Con questo non voglio condonare la grammatica scorretta, ma le ipotesi portate dagli autori, che hanno dei risvolti culturali notevoli, non mi sembrano granchè supportate? A partire dal fatto, che gli errori sul congiuntivo, per esperienza personale (e perciò chiedevo dati statistici) mi paiono equamente distribuiti tra generazioni. O perlomeno non mi è mai parso che le generazioni precedenti potessero essere considerate come quelle dei "maghi del congiuntivo" perciò non avverto questo declino che viene prospettato.
Sono molto d'accordo con chi afferma che il congiuntivo è un tempo verbale "nobile" per il fatto che prende in considerazione, esamina, ipotizza, ventila, suggerisce. Insomma è molto più umile e possibilista del presente. Non a caso, qualcuno afferma, e sono ancora d'accordo, che lo smisurato allargarsi del presente è anche segno dei tempi ingenerosi, dittatoriali (anche se cammuffati dal politically correct) che si stanno affermando ogni giorno di più. Credo anche che non vada sottovalutata la musicalità di una lingua bella e ricca come quella italiana. Quando sento o leggo il congiuntivo le mie orecchie si deliziano mentre quando sento e leggo le sostituzioni, a mio giudizio spesso improprie, operate dal presente, avverto una disarmonia. Sempre fastidiosa e a volte stridente.
E' tuttavia purtroppo o per fortuna vero che la lingua è viva e si adatta, inevitabilmente, al mutare dei tempi. Che non a caso, sono decisamente al di sotto di quella che, scolasticamente, definirei la sufficienza.
Non comprendo il rimpianto dei tempi passati, mi sembra che manchi totalmente il senso della storia.
Penso ai miei genitori che erano semianalfabeti. Al loro tempo la maggioranza della popolazione era analfabeta, parlava dialetto, non sapeva né scrivere né leggere. Usavano il congiuntivo nel loro parlato dialettale?
Il congiuntivo sta scomparendo? Succede anche al passato remoto, al trapassato remoto e al futuro anteriore.
C'è una spiegazione psicologica, filosofica adatta anche per loro?