SU 'IL MONDO ESTERNO' DELLA ESTETICA RAZIONALE, KANT E IL POSSIBILE DISASTRO.

Aperto da PhyroSphera, 17 Maggio 2025, 19:33:14 PM

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PhyroSphera

Quest'oggi ho studiato Il mondo esterno, di Maurizio Ferraris. Leggevo in presenza di una collaboratrice domestica cui non impedivo visione del titolo assieme a mia fronte corrucciata.

Darei al lavoro di Ferraris sottotitolo ironico: piccolo mondo antico, anche se non appare il vero mondo greco, quello che con Talete e gli altri dopo di lui pensava gli elementi cosmici. Acqua, aria, terra, fuoco, lo imbarazzano al solo pensare uno sporco sotto un'unghia, ed anche solo per questo reputa la teodicea insostenibile.
Il punto di partenza dunque è un orizzonte che non accetta tutto il negativo del reale, evidentemente in un ambiente ben difeso che non lascia intravedere altro da un destino tanto civile quanto ignorante delle proprie precarietà e ignoranza.
L'autore nondimeno riesce a smascherare una illusione positivistica, la pretesa che gli schemi razionali della scienza siano direttamente applicabili ed esaustivi: un asino tira dritto senza Euclide! Sinceramente plaudo a tali risultati del filosofo, che mostrano il lato imprevedibile, inaspettato direi, del suo e non solo del suo mondo mostrando una inflazione epistemologica cui opporre opportuna deflazione con l'ontologia. Questa però la assume nella sua forma logica chiusa, metafisica, ed invece ne esiste apertura, logica anch'essa, alla fisica. Certo, l'ente è astratto; ma si può assumerlo nella concretezza di cosa (senza arrivare all'assurdità del prof. Severino che dava idea che le cose sono eterne, accademicamente la tesi di costui è l'eternità dell'essente cioè il suo non nientificarsi, niente di più).
Intesa metafisicamente, ignorando i risultati completi degli operati e studi di Husserl e Heidegger, si resta con la solita mezza confusione tra essere ed esistere, cercando di compensare il conseguente precipitare nel puro esistere con una spiritualizzazione. Fenomenico ed ontico si sovrappongono, allora per non morire di apparenze ci si rifugia nell'essere dello spirito. È il protrarsi di un'interpretazione medioevale–scolastica del pensiero di Elea... due scuole spesso in rotta di collisione. Kant scoprì una prova ontologica trasportata a livello empirico. La stessa - aggiungo io - che faceva o fa ritenere un prete adatto a fare il papa solo perché in una felice successione cosmica, in tanta energetica vicinanza alla Scaturigine, requisito per un sacerdote di Giove. Il contraltare di questo errore era già anticamente ad Alessandria, quando i carcerati erano sottoposti ad esperimenti fisici per raddrizzarne il destino e uniformarli alla virtù della Causa Prima. Giustamente i cristiani protestavano (la neoplatonica Ipazia fu ritenuta anch'essa colpevole, ma come avrebbe potuto se neoplatonicamente non si dà possibilità dell'errore fisicalista?) ma nell'Europa cristiana alla uniformazione causalista seguì quella causalistica, più penosa perché stravagante, fino a sfociare nella moderna e contemporanea omologazione a una falsa Causa Prima. In una scena del film Arancia Meccanica si vede la rieducazione del teppista assassino dare i suoi frutti: lui ama piamente il martirio di Gesù, ma è a favore dei suoi nemici. Ugualmente la gerarchia cattolica che vorrebbe frenare l'esuberanza naturale e necessaria della sessualità avvalendosi di ragionamenti su virtù decadute da universali a mondane e buone solo a creare confusioni ai credenti... Insomma Kant aveva la sua ragione nel criticare e molti nel cattolicesimo e altrove sono ingiusti col rifiutarne. Una delle tattiche degli oppressori è il mettere da parte la Critica della ragion pratica e usare quella del Giudizio per chiudere la Ragion pura in sé stessa. Esiste anche la ragion pura pratica, ma vale maggiormente la distinzione critica, possibile però se non si tagliano i ponti. M. Ferraris nel dire del mondo esterno nega che tra gli schemi della scienza e il mondo oggetto d'essa vi è un ordinamento della realtà e con ciò divide indebitamente la pratica dalla teoria. È vero che gli asini non hanno bisogno di conoscere la geometria euclidea per giungere a destinazione e neppure gli umani ingenui, tuttavia il Teorema di Euclide e tutte le altre conclusioni scientifiche non derivano da una intuizione semplice come quella di un poeta ma sono mediate, lo si sappia o no, da una cosmologia. Per restare entro (ma anche oltre) un altro esempio di Ferraris, l'immedesimazione in una ciabatta, dirò: lo scienziato non deve presumere che quell'oggetto prodotto dalla tecnica inventata con la scienza sia comodo come i suoi schemi teorici parrebbero suggerire; ma perderebbe l'occasione di saggiarne tutta la confortevolezza se non si accorgesse che v'è una conformità. L'epistemologia non deve sostituire il semplice approccio empirico ma è necessario allargarla fino alla realtà cosmica, in vicinanza alla gnoseologia. Altrimenti il rapporto col mondo esterno diventa rischioso per il nostro esistere. Pericoloso per il prosieguo della filosofia pare lo stesso autore, che avendo caritatevolmente stabilito dell'indipendenza degli asini da Euclide vorrebbe sostenere la dipendenza di Kant da Gauss, Taurinus, Schweikart, insomma dai fautori della geometria non euclidea. Ma l'indipendenza del filosofo dagli scienziati, dove la mettiamo? E il fatto che geometria euclidea / non euclidea sia dicotomia affermatasi dopo Kant?
Ma c'è anche altro da obiettare.

Autonomia, antinomia dell'estetica, autonomia del mondo... Non solo va integrata la logica gnoseologica, scoprendo che è tutto solo relativo, che ad altro livello non c'è nessuna estetica e mondo indipendenti... Non solo va detto che la scienza senza cosmologia filosofica è un arrischio... Va pure notato che la ontologia metafisica non consente di cogliere l'evento dell'Essere, tra cui v'è l'evento-Cristo. L'autore pensa di confinare i risultati della critica kantiana nella natura, non avvedendosi che bisogna rivalutare la pratica della ragione e al contempo saperne i limiti. Restando alla pura ragione tutto si chiude nel cerchio della natura e tante affermazioni paiono da refutare; ma dal punto di vista pratico esse suonano diverse, corrette. Le tre Critiche kantiane non vanno isolate e neanche confuse e l'assumerne la prima sottoponendola alla terza è stato il passatempo dei distruttori dell'Occidente: giudizio e purità di ragionamenti... E' giusto fare il percorso a ritroso, dal Giudizio alla Ragion pratica alla Ragion pura, ma per notare che a fronte del Sublime e dell'Infinito l'azione del giudicare è impotente, che solo con l'agire che non esclude l'Alterità e che non dà sentenze si può dirne qualcosa e che in ciò la semplice ragione è insufficiente. Si scopre un Kant incauto col mondo religioso, che polemizzava prima di aver definito l'impotenza dei propri giudizi, ma al contempo resta confermato il suo studio sui limiti dell'esperienza cui può ovviare solo la pratica della ragione, non costruita sull'esperire: metafisica come non quale scienza. Per tali motivi, per il fatto che esiste una conoscenza pratica dell'universo ma che ha pur essa i suoi limiti, esiste anche il problema dell'evento imprevisto, che può essere anche estremo. A ciò fanno fronte le fedi religiose ed in ultimo quella cristiana; e ciò che la ragion pratica attesta è una possibilità e opportunità di agire secondo l'Assoluto, regolare i nostri strumenti sul Fine Ultimo, come uniche possibilità e opportunità a fronte della radicalità del male. Questo significa che non basta notare che il mondo è dominato dall'inaspettato e che sfugge alla pura calcolabilità scientifico-tecnica. Se si dimentica l'ordine cosmico e soprattutto i rischi e pericoli causati dal nostro stare su una soglia senza poterla varcare ovvero davanti a una porta aperta all'ignoto, non c'è rimedio. Difatti pensare all'ordine sotteso alla realtà fenomenica può indurre o induce a un restante ottimismo di troppo, ma non la contemplazione del massimo imprevisto.

Il libro di Ferraris termina con la citazione di frase anonima scritta su un gabinetto del Philosophisches Seminar della Università di Heidelberg: "Oh, do not ask, 'What is it?' Let us go and make our visit".Pare liberatorio 'fare una visita senza domandarsi che', un sollievo per uno che non comprende che anche la sporcizia ha la sua funzione nel mondo. Immaginare un grande scolo e niente più sporco sotto le unghie per una civiltà o (peggio) una civilizzazione asettiche, protese verso la riuscita perché se il mondo è infinito lo è anche la scienza (onnipotente, la dicono i socialisti atei): questo è delirante (non sto invocando interventi sanitari)! Senza cosmologia filosofica non si può avere una scienza stabile e senza una giusta forma di fede può accadere il peggio nonostante la scienza. Sicché: 'facciamo la nostra visita' è affermazione da contestualizzare e la mancanza di un interrogativo di fondo è un'imprudenza di troppo.
Culturalmente Kant muoveva da premesse religiose pietiste, sia pure lasciate fuori dalla propria impresa; il pietismo viene dalla Riforma protestante, anzi ne è interno. Per dimostrare il proprio assunto del servo arbitrio, Lutero ricorse all'esempio di un asino cavalcato o da Dio o da Satana. La visita accade in uno spazio dove non c'è altra scelta: o infinità di Dio o sublimità del mondo; sicurezza o trionfo del Negativo se varchiamo la soglia evitando di ancorarci in Dio, filosoficamente diremmo nell'Assoluto.
Il problema dunque è capire che lo sporco sotto l'unghia può avere una funzione ma a patto di toglierne l'eventuale veleno, senza irridere il pensiero antico greco sugli elementi di cui è fatto l'universo.
La critica a Kant va rovesciata: le teodicee vanno bene se mosse da dottrine di fede, la critica dei limiti dell'esperienza va bene da sola e non ha bisogno di essere compromessa dall'ontologia. Il punto di partenza di Kant, l'empirismo di Hume, era assai poca cosa; proprio per questo bisognerebbe declinare l'epistemologia senza chiuderla nell'empiria per un residuo metafisico di troppo. La metafisica non è finita ma prosegue diversamente nelle attuali istituzioni culturali.

La mia fronte corrucciata col libro in mano e con queste conclusioni già tirate, provocava alla collaboratrice domestica una strana paura, ma se ne aveva antipatia sentiva un principio di terrore pervaderla.



MAURO PASTORE

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