Curiosità romane

Aperto da doxa, 11 Maggio 2025, 16:41:21 PM

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doxa

Ieri a Roma cielo sereno e piacevole giornata di primavera.

Ho partecipato ad una visita culturale nel  rione "Pigna" (vi consiglio di leggere tramite Internet il perché si chiama così), tra piazza del Collegio Romano e  piazza  del Pantheon, affollata di turisti.

Sulla piazza del Collegio Romano prospettano l'omonimo edificio, un lato del  maestoso Palazzo Doria-Pamphili, l'ex chiesa di Santa Marta, ed altro.

Il palazzo del Collegio Romano è un complesso monumentale. Già sede dell'omonimo istituto d'istruzione gesuitico dal 1584 al 1870, l'edificio ospita nell'ala orientale  la sede centrale del  Ministero della Cultura, nell'ala occidentale il liceo classico dedicato a "Ennio Quirino Visconti".


veduta del "Collegio romano"


Nella parte opposta della piazza c'è l'ex chiesa di "Santa Marta (di Betania) al Collegio Romano". 

la facciata

L'interno a navata unica con abside semicircolare e cappelle laterali quadrate, è ricco di stucchi e di  colonne in marmo rosso.  Nella volta c'è un affresco  dipinto dal pittore genovese  Giovan Battista Gaulli detto il Baciccio (1639 – 1709).

Prima di questa chiesa nell'area c'era la cosiddetta "Casa di Santa Marta", fondata da Ignazio di Loyola nel 1543 per accogliere le "malmaritate", oppure "le donne coniugate in peccato pubblico senza timor d'Iddio et senza vergogna delli uomini" che volevano riabilitarsi.

La povertà induceva molte donne a prostituirsi per vivere e far vivere la propria famiglia.

Dopo la morte di Sant'Ignazio la casa divenne un monastero con annessa chiesa.

Nel 1560 gli edifici furono assegnati alle monache agostiniane, ma nel 1872 furono confiscati dallo Stato Italiano.

L'ex monastero è ora sede del I Distretto di Polizia della città, mentre l'ex chiesa, di proprietà del Ministero per i Beni e le attività culturali,  viene usata per convegni, mostre e concerti.

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#1
Ignazio di Loyola dopo aver fondato il Conservatorio di Santa Caterina per "zitelle pericolanti figlie di cortigiane", nel 1542 istituì il "Rifugio  di Santa Maria delle Grazie" per accogliere le malmaritate e le meretrici pentite, stanche del loro "lavoro" e dei loro sfruttatori.
 
Per la costruzione della casa di accoglienza Ignazio di Loyola fece vendere alcuni marmi "cavati dalle ruine" di Roma nella piazza davanti la sua chiesa, e "fattone cento scudi li offerse per sua parte, del cui esempio molti altri si mossero e si diede principio all'opera".

"Donne non più incorrotte, ex peccatrici e traviate, sia nubili che malmaritate, decise a lasciare la malavita ma non chiamate alla perfetione religiosa". Esse non accettavano i tre voti solenni per la vita consacrata: povertà, castità e obbedienza, né  entrare in clausura nel convento delle convertite di Santa Maria Maddalena in via del Corso.

Nel 1543 il pontefice Paolo III con la Bolla "Divina summaque ", istituì la "Compagnia di Santa Maria della Grazia" per amministrare  il rifugio.

Vari anni dopo, nel 1562,  il cardinale Carlo Borromeo, nipote del pontefice Pio IV,  si occupò del trasferimento delle donne ospitate nella "Casa Santa Marta" per dedicare l'intero edificio a monastero, in uso delle Agostiniane, le quali lo utilizzarono come  collegio per nobili fanciulle.

Alle donne trasferite fu concesso un edificio poco distante, adiacente alla chiesa di Santa Chiara all'Arco della Ciambella. La struttura venne denominata "Casa Pia", in onore del pontefice Pio IV,  e gestita dalle monache clarisse.

Dopo l'Unità d'Italia il monastero fu confiscato dallo Stato Italiano e la chiesa venne sconsacrata,  con la conseguente distruzione di vari affreschi, perché tutta la costruzione fu adibita a magazzino militare e sede della Questura Centrale.

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Dopo la sosta in piazza del Collegio Romano abbiamo percorso un breve tratto di strada e siamo andati nella mia amata basilica di Santa Maria sopra Minerva, che prospetta sul lato sinistro del Pantheon, guardandolo dall'entrata.


attuale facciata della basilica.

Perché  "sopra Minerva" ?  In epoca romana nell'area c'era il Tempio dedicato a  Minerva Chalcidica, (= Minerva portiera) poi sostituito nell'VIII secolo da un oratorio cristiano dedicato alla Vergine. 

Nel 1280 fu iniziata la costruzione dell'attuale chiesa gotica  a tre navate da parte dei frati domenicani, che ebbero l'aiuto finanziario del papa Bonifacio VIII.
Gli architetti si ispirarono alla basilica fiorentina  di Santa  Maria Novella.



parziale veduta dell'interno



la bellissima volta stellata  con allegorie




L'altare maggiore con il sepolcro di Santa Caterina da Siena.

La basilica ospita le tombe di altri personaggi, numerose opere d'arte, sparse anche nelle cappelle laterali, tra le quali quella dedicata all'Annunziata.

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anthonyi

A Santa Maria sopra Minerva c'era l'inquisizione, é il luogo dove é stato detenuto e "interrogato" Giordano Bruno. 

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Ciao Anthonyi, l'Inquisizione aveva sede nell'edificio dei domenicani a fianco la chiesa. Vi  fu interrogato e condannato anche Galileo Galilei. Uno dei suoi inquisitori era San Roberto Bellarmino  :-[


Nel precedente post ho detto alcune cose sulla basilica di Santa Maria Sopra Minerva. Voglio aggiungere che all'interno di questa chiesa c'è la Cappella dell'Annunciazione.
In precedenza era dedicata a San Giacomo Apostolo. Nel 1460 il cardinale domenicano Juan de Torquemada (1388 – 1468) la eresse a sede della Confraternita della SS. Annunziata.


Antonio Aquili, detto Antoniazzo Romano, Annunciazione, tempera su tavola, fondo oro,  1500 circa, Cappella dell'Annunziata, basilica di Santa Maria sopra Minerva, Roma.

Nel dipinto, nella parte alta sulla sinistra,  è raffigurato Dio benedicente; verso il centro una colomba  che simboleggia lo Spirito Santo vola verso la Vergine;  al di sotto, sulla sinistra, in piedi  c'è l'arcangelo Gabriele, con un fiore bianco nella mano, che annuncia alla Vergine Maria il concepimento di Gesù, mentre lei sta consegnando tre sacchetti contenenti il denaro (la dote) per le tre ragazze povere vestite di bianco,  presentate dal cardinale  Juan  de Torquemada, raffigurato inginocchiato con l'abito domenicano ma la cui carica è segnalata dal rosso cappello cardinalizio poggiato sulla sua gamba.

Il cardinale Torquemada  e le giovani ragazze sono raffigurati  più piccoli rispetto all'angelo  per differenziare l'ambito umano (le fanciulle e il cardinale) da quello soprannaturale: la Madonna e l'Arcangelo Gabriele.

La  caritativa dote in denaro veniva offerta a selezionate giovani ragazze povere per dare loro la disponibilità economica sufficiente per sposarsi ed evitare attività come la prostituzione, oppure per dedicarsi alla vita religiosa.

Al pittore Antoniazzo Romano questa pala d'altare  gli fu commissionata dalla Confraternita dell'Annunziata, fondata dal Cardinal Juan de Torquemada, zio del famoso inquisitore spagnolo  Tomás de Torquemada (1420 – 1498) che fu  priore del convento domenicano della Santa Cruz di Segovia e confessore dei regnanti cattolici Isabella di Castiglia e Ferdinando II d'Aragona. Nel 1483 ebbe l'incarico di organizzare il tribunale dell'Inquisizione,  e fu inquisitore generale di Castiglia e León, Aragona, Catalogna e Valencia.

Tomàs de Torquemada nacque a Valladolid nel 1420 da una famiglia di ebrei convertiti (conversos).

Da aggiungere che  nella  predetta cappella dell'Annunziata, nelle pareti ai lati dell'altare centrale,  ci sono i monumenti funebri del cardinale Benedetto Giustiniani e del cardinale domenicano Juan  de Torquemada.

Sulla parete sinistra della cappella c'è anche  la tomba del papa Urbano VII, morto nel 1590 dopo soli 12 giorni di pontificato. Fu uno dei benefattori della confraternita dell'Annunziata, alla quale donò 30 mila scudi.

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#5
Dalle "malmaritate"  alle "ammantate".

La basilica di Santa Maria sopra Minerva, detta brevemente " la chiesa della Minerva" fu anche "teatro" delle cerimonie per la consegna della dote alle "povere zitelle" che volevano sposarsi o monacarsi.  Al rituale partecipava il papa che qui giungeva in fastoso corteo ogni 25 marzo,  giorno dedicato, secondo il calendario liturgico, alla memoria della  "Santissima Annunziata".

Prima della solenne celebrazione eucaristica cantata, numerose fanciulle si riunivano nella vicina  piazza Santa Chiara per  la cosiddetta "processione delle ammantate", in fila per due.  Dovevano indossare un  mantello bianco (perciò dette "ammantate"); avere sul capo  un bianco velo che  lasciava scoperti soltanto i loro occhi; tenere un cero in mano. 



La processione iniziava da piazza Santa Chiara e finiva nella  vicina basilica di Santa Maria sopra Minerva, che per l'occasione veniva addobbata.

Alla fine della messa le ragazze, con il cero in mano, dovevano prosternarsi davanti a "Sua Santità" per il bacio della sua "sacra  pantofola"  nel "sacro piè".



Dopo il rituale del bacio, il pontefice consegnava loro un piccolo sacchetto di tela di colore bianco  con dentro la dote:  50 scudi per quelle che intendevano sposarsi, 100 scudi per quelle che  volevano diventare suore o monache.

L'Arciconfraternita riuscì a salvare circa duecentomila ragazze modificando favorevolmente la loro vita fino al 1870, quando lo Stato Pontificio fu eliminato e Roma scelta come capitale d'Italia.

Quel tradizionale rito, detto "delle zitelle o "zite" fu voluto  dall'influente cardinale domenicano spagnolo Juan de Torquemada. Fu lui nel 1460  ad istituire l'Arciconfraternita della Ss. Annunziata, il cui scopo era quello di compiere opere di carità, come quella di salvare le giovani che per mancanza di mezzi venivano spesso indotte alla prostituzione.

Il pio sodalizio elaborava ogni anno degli elenchi nei quali potevano iscriversi le fanciulle che avevano compiuto 15 anni. Le ragazze appartenevano a famiglie povere o erano figlie di prostitute.

Duecento cittadini della predetta confraternita avevano il compito  di sorvegliare le ragazze che avevano chiesto di essere aiutate.

Dopo tre anni di prova,  e gli opportuni accertamenti, se ritenute meritevoli, alle "zitelle vergini, oneste e di buona reputazione" veniva concessa la dote.

Il 25 marzo, in occasione della Festa dell'Annunziata,  le fortunate che superavano la selezione  avevano il diritto di partecipare alla processione e ricevere  il sussidio al termine della cerimonia sopra descritta.

La dote variava a seconda del bilancio dell'arciconfraternita, a volte riusciva ad offrire fino a 600 donazioni in un anno, tramite  le numerose offerte da parte di  pontefici, cardinali, vescovi, nobili e ricchi cittadini.

Tra questi è degno di menzione il cospicuo lascito testamentario di 30.000 scudi, corrispondente in pratica al proprio intero patrimonio, disposto da papa Urbano VII. Morì il 27 settembre 1590 a causa della febbre malarica,  senza  aver fatto in tempo ad essere incoronato come papa-re.

A Roma,  risultati migliori rispetto alla detenzione in carcere e alla repressione furono  ottenuti da iniziative di tipo sociale e assistenziale da parte dei Gesuiti o  degli Oratoriani di San Filippo Neri, per esempio la Pia Casa di accoglienza per le cortigiane pentite, oppure l'Ospizio per le Vergini Miserabili presso la chiesa di Santa Caterina dei funai (= creatori di cordami) che accoglieva bambine figlie di prostitute sottratte anche con la forza alle loro madri, educate per sette anni, poi fornite di dote e maritate.

A sostenere l'opera di redenzione per le cortigiane pentite c'erano anche, come già detto in un precedente post,  la "Compagnia della Grazia" oppure la "Confraternita di Santa Marta" dedita anche  alle donne che intendevano redimersi senza l'obbligo conventuale.

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A Roma (e in altre città) in quei secoli non mancarono forme di welfare per tutelare i bisognosi, migliorarne la qualità della vita e l'assistenza sanitaria.

Le entrate finanziarie  dello Stato della Chiesa si alimentavano anche con i proventi della tassazione sulle attività delle  prostitute.

È noto che il pontefice  Leone X fece lastricare (con i "sanpietrini") via di Ripetta con le tasse sui lupanari e che Pio IV,  il papa che convocò il Concilio di Trento, zio di San Carlo Borromeo, non si fece scrupoli nel far edificare strade e palazzi a Borgo Pio con i soldi delle "curiali".

Nell'archivio della "Reverendissima Camera Apostolica" si conserva il volume che spiega quanti soldi, tramite le tasse,  furono prelevati alle prostitute per quei lavori.

Chi erano le "donne curiali" ?  Le prostitute ! Per  svolgere la loro attività dovevano chiedere una licenza rilasciata dalla Curia romana o dal tribunale  diretto dal cardinale vicario del papa.

Si calcola che nel XVI secolo a Roma ci fossero circa 13 mila meretrici, con maggior presenza intorno al Vaticano, frequentato da turisti, devoti, e clero. E Roma in quel tempo aveva appena 100 mila abitanti.



La morale cattolica sulla prostituzione è sempre stata molto elastica e realistica.

Alto clero, nobili e borghesi che si erano compiaciuti di trasgressioni e forme di tolleranza, dopo il concilio di Trento e la nuova morale repressiva,  facevano a gara in manifestazioni di pentimento e purificazione, conversioni e conformismo verso il nuovo corso della Chiesa. 

Nel 1566, Pio V Impose alle cortigiane "più scandalose" di lasciare la città e alle altre di trasferirsi  nella zona di  Trastevere: un'ingiunzione che  suscitò polemiche e resistenze. Ci fu l'ostilità dei trasteverini verso le indesiderate "ospiti" ma anche quella dei proprietari di case che videro calare i livelli delle locazioni e il loro reddito.
Alla fine, Pio V capitolò e nel 1566 alle prostitute fu  assegnata una zona tra la riva del Tevere e piazza del Monte d'Oro, denominata "Ortaccio", comprendeva anche via di Ripetta, via degli Schiavoni e la chiesa e l'ospedale di S. Girolamo degli Schiavoni. L'area venne recintata, l'accesso e l'uscita regolate e sorvegliate tramite una porta d'accesso e una d'uscita. Un vero e proprio ghetto, in cui le prostitute erano costrette a risiedere.

Se l'obiettivo era quello di tenere le "cortigiane" lontane dalle vie del centro, dalle piazze trafficate e dalle chiese esso non fu raggiunto: vent'anni più tardi, infatti,  papa Sisto V (1585 – 1590), dopo aver preso atto che queste donne continuavano a esercitare in tutta la città, ce n'erano perfino a Borgo Pio, vicino la basilica di San Pietro, fu costretto a lanciare l'ennesima offensiva contro le prostitute. Tentò, papa Peretti, di restringerle di nuovo nell'Ortaccio ma senza riuscirci, perché, anche in quel caso, emerse che le cortigiane muovevano un 'indotto' che toccava gli interessi di oltre 15.000 persone e numerose categorie economiche della città: commercianti, osti, albergatori, affittuari... Anche Sisto V fu costretto ad accontentarsi di ribadire o accentuare le  proibizioni già in vigore: l'accesso alle strade principali, le gite in carrozza e le passeggiata per le strade dopo l'Ave Maria.

Nel giugno 1586 colpì l'immaginazione dei romani lo spettacolo di una figlia costretta ad assistere al supplizio della madre, che l'aveva prostituita: la ragazza venne ornata dei gioielli che le aveva donato l'uomo cui era stata venduta...
Nello stesso mese di giugno Sisto V condannò al rogo – secondo l'antica usanza – un prete e un ragazzo, rei confessi di sodomia. Poi venne la volta, nel mese di agosto, di una giovane vedova, nobile e ricca, che aveva trescato con due giovani e che fu con essi condannata alla pena capitale.

Nel 1592 il cardinal Rusticucci, governatore di Roma, in un suo bando  scrisse: "Poiché l'esperienza ha mostrato che li luoghi assegnati in Roma per tollerarvi le meretrici et donne disoneste non sono capaci, si dispone di aumentarne lo spazio..."

Anche papa Clemente VIII Aldobrandini (1592 – 1605) si adoperò per restringere le prostitute nell''hortaccio' e anche questa volta l'ennesima prova di forza si concluse con un nulla di fatto:  esse accettarono di evitare di rendersi visibili nelle principali strade dell'Urbe in cambio dell'ampliamento della zona di tolleranza. Non più solo l' 'hortaccio, ma l'intero quartiere che era cresciuto attorno a quell'area malfamata.

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A Roma, capitale della cristianità, la depravazione più scandalosa era quella ecclesiastica, specie durante il pontificato di Alessandro VI (Rodrigo Borgia, 1431 – 1503). Fu papa della Chiesa cattolica dal 1492 alla morte, nel 1503. 

Fu uno dei papi rinascimentali più controversi, anche per aver riconosciuto la paternità di vari figli illegittimi, fra cui i famosi Cesare e Lucrezia Borgia.  Questo cognome  divenne col tempo sinonimo di "libertinismo" e "nepotismo".

Il cronista Stefano Infessura (1435 circa – 1500 circa) nel suo "Diario della città di Roma" scrisse notizie e aneddoti che circolavano nell'Urbe, vere o false che fossero. Egli calcolò  in questa città 6800 prostitute in circolazione nel 1490. Forse fu eccessivo. Gli abitanti erano circa 70 mila e  quasi 7 mila le "mandracche", metaforico sostantivo plurale  derivante da "mandracchio": nelle opere idrauliche è il canale di raccolta per le acque che vengono poi scaricate nel canale emissario per mezzo di idrovore.

Non si sa come quel cronista, che fu anche giudice e docente di diritto romano all'università "La Sapienza", abbia potuto censirle. Ma si sa che odiava la corte pontificia e gradiva screditarla. Il numero delle prostitute era  inferiore, ma comunque cospicuo. E molte di loro venivano "usate" dal cosiddetto "alto clero".

Erano divise in due categorie: le cortigiane e le meretrici.

Le cortigiane erano "mercenarie" di alto bordo, paragonabili alle antiche etere greche. Erano nel contempo "sacerdotesse" di Venere e di Minerva. Amanti e compagne si facevano chiamare "madonne", come la nota "madonna Fiammetta", e vivevano in lussuosi appartamenti nei quartieri "bene" della città. Leggevano i classici, declamavano Petrarca, sapevano ballare e cantare, suonavano l'arpa e il liuto, parlavano di vari argomenti con competenza e garbo, frequentavano teatri e ambasciate. Devotissime alla Chiesa, si confessavano, facevano la comunione ed osservavano i giorni di precetto. Più di una morì in "odor di santità". Quando raggiungevano il benessere economico sposavano un ricco amante o si ritiravano a "vita privata". Alcune diventavano bigotte  e lasciavano tutti i beni alla Chiesa. Altre, la maggioranza, i loro beni economici preferivano goderseli, non trascurando quelle pratiche religiose che le avrebbero salvate dall'Inferno.

Le meretrici (dette a Roma mignotte, zoccole o puttane) invece, erano meno educate e sfortunate. Vivevano alla giornata, o per meglio dire alla nottata, nei bordelli, nei bagni pubblici (centri benessere dell'epoca) o per le strade. Si riconoscevano per le pose provocanti, l'abito vistoso, il trucco eccessivo. Costavano poco e spesso trattate con insolenza.

La "carriera" delle meretrici di solito durava pochi anni e la loro vita era miserevole. 
 
Cortigiane e meretrici affluivano a Roma da ogni parte d'Italia ma anche dall'estero. Le più contese erano le greche, ma ce n'erano poche, a differenza delle spagnole e delle francesi.  I frequentatori più assidui erano gli ecclesiastici, ma anche i nobili, i borghesi, i plebei.

La prostituzione, sebbene molto diffusa per motivi economici, non scalfiva il matrimonio, temperato dall'adulterio. Chi si sposava per interesse non considerava peccato  né reato tradire la moglie, e questa, il marito. Bastava salvare le apparenze.

Fatale conseguenza il pullulare di figli cosiddetti adulterini. Come quelli che Rodrigo Borgia, papa Alessandro VI, ebbe da Vannozza Catanei, la più favorita tra le sue favorite.

Fu anche tale spudorato e impunito andazzo ad accelerare la riforma protestante. La pubblicazione delle tesi luterane a Wittemberg, nel 1517, fu il giusto castigo per la cattolica Chiesa avida, corrotta, arrogante e immorale. Pagò caro il suo scettico, sacrilego edonismo.

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#8


Copia di epoca romana  della Afrodite cnidia. E' conservata a Roma nel Palazzo Altemps, una delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano.
La statua originale, considerata il primo nudo femminile nella storia della scultura greca,  la realizzò lo scultore  ateniese Prassitele nel 360 a. C. circa per  ornare il naos (la cella interna) del tempio dedicato ad Afrodite Euplea (protettrice della navigazione) nell'antica città greca denominata Cnido, fondata dai Dori del Peloponneso nei pressi di Alicarnasso,  l'attuale Bodrum, in Turchia.

Si narra che la modella sia stata Mnesàrete (il suo nome significa "colei che fa ricordare le virtù"), meglio conosciuta col soprannome di Phrýne (= Frine), un'etèra,  celebre per la sua bellezza.

Questa marmorea Afrodite cnidia è in un momento intimo.  Perché  è nuda ? Deve lavarsi oppure ha già fatto il "bagno" ? Con gesto pudìco si copre il pube con la mano destra, con l'altra mano prende o depone la veste poggiata su un'idria, usata per contenere l'acqua.
Se si copre il pube significa che si è accorta di essere guardata. In tal caso prende l'abito poggiato sull'idria.

In alcune versioni la mano destra regge un asciugamano che copre le gambe della dea.

Come le altre sculture di Prassitele, anche questa statua è fatta per essere vista preferibilmente in posizione frontale, l'unica che consenta di coglierne appieno la grazia.

Tornando a Frine, l'etèra. Nell'antica Grecia chi erano le etère ? Erano particolari "donne  di compagnia", colte,  indipendenti,  assimilabili alle cortigiane. Solitamente forestiere o liberte, oltre alle  "prestazioni sessuali", offrivano compagnia, erano brave nella danza, nel suonare alcuni strumenti musicali e spesso intrattenevano con i clienti relazioni prolungate,  a volte riuscendo anche ad esercitare un'influenza notevole su importanti  personaggi pubblici.

Esse indossavano sempre abiti eleganti. Potevano essere delle compagne occasionali oppure concubine, potevano uscire a loro piacimento, avere una vita pubblica, coltivare libere frequentazioni e prender parte ai simposi maschili, dai quali le altre donne erano invece generalmente escluse.

Non devono essere confuse con le "pornai"  prostitute di strada o da bordello. Lo status di etèra era contrapposto  a quello della  prostituta.

Nell'Urbe rinascimentale simili alle etère erano le cosiddette "cortigiane honeste", che oggi chiameremmo "escort".

Sapevano come comportarsi nella cosiddetta "alta società", come intrattenere i propri frequentatori. Colte, capaci di comporre madrigali o sonetti, di recitare, cantare in pubblico, discutere di letteratura, di musica e di arti. Alcune diventarono ricche. Con la loro astuzia e intelligenza  riuscirono ad avere i favori  da uomini che avevano potere.

Nella Roma cattolica del papa-re (che per calcolo politico  attribuiva il titolo cardinalizio anche  giovani rampolli di famiglie nobili,  tenuti solo a rispettare il celibato e non la castità fino al compimento dei 36 anni) si svolsero le vite straordinarie di belle "cortigiane honeste". Erano le consigliere più ascoltate dalle élites del tempo, le accompagnatrici più ricercate ad eventi mondani.

Nel rione Ponte, vicino al Vaticano,  c'erano palazzi, taverne e negozi di proprietà delle cortigiane "honeste" più stimate e amate dell'epoca. Nella stessa zona c'è  ancora oggi "piazza Fiammetta":  è dedicata  a una delle più belle e sagaci donne che fra gli altri  "accompagnava" il ricco  cardinale Jacopo Ammannati Piccolomini e Cesare Borgia, meglio conosciuto come il duca Valentino.

Lei, "Madonna Fiammetta" si chiamava Fiammetta Michaelis o de' Michaelis. Quando morì lasciò un'ingente eredità al figlio  e alla chiesa di Sant'Agostino.

Altre "donne honeste"  diventate ricche furono Tullia d'Aragona, Giulia Campana, Vannozza Cattanei, Beatrice Ferrarese, Imperia Cognati e Lucrezia Porzia.

E' facile immaginarle con figli e amanti,  con problemi di gelosie e rivalità.