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Filosofia - Forum filosofico sulla ricerca del senso dell’essere.
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Vecchio 14-01-2008, 16.58.41   #1
arsenio
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"giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

“giusto e “sbagliato” sono pregiudizi?

I giudizi morali sarebbero solo pre-giudizi che ci si propone di “dimostrare” per persuadere a indotti comportamenti, come notò Nietzsche?
I doveri assoluti dei 10 comandamenti, che si obbediscono senza discutere analiticamente sulle loro possibili conseguenze, in che senso sono “virtù” giuste e buone? Perchè lo dice l'infallibile parola biblica di Dio? Ad esempio sarebbe stato sbagliato e immorale uccidere Hitler per salvare la vita di tante persone? La guerra approvata dai teologi quale “giusta”, in quali casi e per chi lo è veramente Chi lo stabilisce? “Dio è con noi”, Dio lo vuole”; in nome di Dio, ecc. Per chi intende ricordare furono alibi sinistri.

In altro senso anche Kant non giudica la moralità di un'azione secondo le conseguenze. Alla base dev' esserci il senso del dovere, e nemmeno un impulso emotivo dovuto a un'inclinazione caratteriale è giusto, buono,meritevole. Così anche chi disapprova la tortura per un impulso emotivo non meditato, con intento di coinvolgere altri, non agirebbe secondo “morale”. Ma il “senso del dovere è a tutt'oggi invocato dagli aguzzini dei campi di sterminio nazisti!

Viceversa il consequenzialismo giudica “giusto” e sbagliato” in base alle conseguenze, che possono essere previste o meno. L'”eterogenesi dei fini” infatti riconosce che le azioni umane possono conseguire effetti diversi da quelli che si volevano perseguire.
E le teorie relativistiche? Sono valide solo se relativizzano pure se stesse, perchè non esistono verità assolute. Se non si considerano le “verità” sempre e solo con le virgolette non si può parlare di filosofia né di etica.
Anche Nietzsche teorizzò un “oltreuomo” non definitivo, né statico,ma perpetuamente in divenire. Doveva superare se stesso e la sua mediocrità, se si rendeva necessario. Altrimenti una “volontà di potenza”, nei suoi intenti intesa come capacità di donare, non avrebbe avuto senso.

Su certi problemi bioetici nemmeno la filosofia può dare risposte definitive. Infatti, coerentemente con i suoi scopi, può solo offrire un orientamento di pensiero e l'oculatezza e opportunità di formulare domande mirate; un lessico indispensabile alla disciplina e i termini chiave su cui si confrontarono i grandi pensatori d'ogni epoca e scuola.

“Dio” può imporre eroismi a chi per natura è pusillanime? A chi per impulso istintivo si astiene da un' altruistica abnegazione? Si dovrebbe decidere ponderando caso per caso? Ma ne conseguirebbero comunque interpretazioni, di origine pure teologica. Perfino “ama il prossimo” e “non uccidere” sono precetti che possono essere ideologizzati a propria interpretazione di comodo o da dogma.

A parer mio si dovrebbe insegnare che ogni ideologia, politica o religiosa, come cristianesimo, islamismo, buddismo, specie nelle versione intransigenti dell'integralismo , del fondamentalismo, e relative interpretazioni dei testi sacri o di “Verità rivelate, sono nichilistiche in quanto acciecano e annullano l'uomo, il suo “essere”, il suo libero e autonomo diventare, con imposizioni dogmatiche di cos'è “giusto” o “sbagliato”. Poi ognuno sarebbe libero di scegliere ciò che crede. Ideologie moralisticheggianti e generalizzate, visioni del mondo, sistemi chiusi che suggestionano verso determinati comportamenti,credenze, idee, valori, sono sovente pensieri distorti che travisano la realtà al fine di favorire occultati interessi. Le stesse implicazioni sulla morte assumono connotazioni diverse, attraverso tradizioni ed emanazioni del potere.

Alla luce di recenti ricerche, quali sono le linee prevalenti dei filosofi contemporanei? Indirizzo alla lettura di “Menti morali” - Le origini naturali del bene e del male – Marc D. Hauser – 2007, da cui traggo qualche idea essenziale.
La moralità è un freno all'istinto? Oggi in prevalenza viene analizzata secondo versioni evolutivo-darwiniane.
Per i Greci agire bene significava dimostrare coraggio o prudenza, possedere buone abitudini e disposizione naturali dell'animo, piuttosto che obbedire a regole , e si decideva caso per caso.
Se si seguono “giusti principi” ciò avviene su di un piano conscio. Perchè in realtà valutazioni, decisioni, ecc. che condizionano un giudizio morale e relativo comportamento, avvengono per un processo inconscio. Non nel senso freudiano delle pulsioni represse,ma quale umana attività mentale che non ha accesso alla sfera conscia. La propria effettiva linea morale determinata da una conscia libertà sarebbe inverosimile. Non si nega nemmeno una morale innata parzialmente condivisa con altri animali. Seguendo le teorie di Hume, “giusto” e “Sbagliato” sarebbero giudizi non da regole imposte. Dovuti a un'empatia presente (oggi dimostrata dagli etologi) pure tra gli animali. Ma intelligenza,sentimento, giudizio, non appartengono a un unico sistema. Tuttavia nemmeno l' evoluzionsimo può spiegare certi dilemmi. Né la amorale tende a scopi unici. Come decidere tra giustizia e pietà, tra bene comune e giustizia, ecc. ?

Consiglio ancora “Il gene agile – La nuova alleanza fra eredità e ambiente, di Matt Ridley, 2005. Il “libero arbitrio” viene interpretato al di là dei dilemmi filosofici. Compatibile con i geni, in un processo di cause/effetti, non lineare ma circolare. Nel cervello non ci sarebbe un “Io” ma una configurazione di stati cerebrali in continuo cambiamento. Vi entrano in gioco storie, emozioni, istinto, esperienze, influenze esercitate dagli altri, dal caso, ecc. Importante il capitolo dedicato alla continuità psicologica tra animali e umani.
arsenio is offline  
Vecchio 19-01-2008, 13.51.30   #2
Il_Dubbio
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Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

Secondo me tutte queste domande vanno in una sola direzione:

"qual è il fine ultimo dell'uomo"?

se il fine ultimo è l'onnipotenza dell'uomo ogni azione giusta sarà intesa con il solo scopo di raggiungere l'onnipotenza. Se il fine dell'uomo è la sopravvivenza ogni cosa giusta sarà intesa con lo scopo di sopravvivere.
Se il fine dell'uomo è la felicità ogni azione giusta sarà intesa con lo scopo di raggiungere la felicità. Se il fine dell'uomo è cercare Dio l'azione giusta sarà intesa con lo scopo di trovare Dio.
Se il fine dell'uomo è comprendere qual è il fine dell'uomo, ogni azione giusta sarà di capire qual è il fine dell'uomo.

Qualcuno potrebbe dire: ma è giusto o sbagliato porsi la domanda di quale sia il fine dell'uomo?

A questa domanda io rispondo: se ce lo chiediamo ci sarà una ragione; se non ce lo chiedessimo non avremmo motivi per porci la domanda.

Alla fine troveremo che il fine ultimo dell'uomo è dare delle risposte alle domande come questa: qual è il fine ultimo dell'uomo?

Giusta o sbagliata che sia, la domanda ha solo bisogno di una risposta!
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Vecchio 20-01-2008, 17.01.09   #3
emmeci
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Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

Tu aspetti una risposta, Il Dubbio. Dici che per agire nel modo giusto bisogna conoscere qual è il fine dell’uomo. Ho paura che in tal modo rischiamo di non incominciare mai, visto che questa è una domanda che ha da sempre impegnato la nostra mente senza arrivare a una sicura risposta. Anche perché forse bisognerebbe sostituirla con la domanda, ancora più impegnativa, “qual è il fine dell’universo?” o – come recita il motto di questo forum – “qual è il fine dell’essere?” Mentre io credo che la scelta di una decisione, cioè una decisione morale, dipende da qualcosa di più dell’idea di un fine, ed è un gettarsi avanti, perfino un non voler ascoltare ragioni - e non è detto che ne venga fuori un’azione ingiusta o sbagliata, forse anzi qualcosa che è più prossima a quell’assoluto che è il vero movente delle nostre azioni. D’altra parte non è facile determinare quale è il fine dell’uomo o del mondo: la scienza ha escluso perfino che ci possa essere un fine, visto che non c’è intenzione nella natura e ciò che è umano è pari a ciò che umano non è.
E allora non resta che inventarsi un fine, come del resto l’umanità ha fatto fin dalle origini cioè fin da quando ha sollevato il capo e immaginato che il sole illuminasse qualcosa come una meta futura, senza bisogno di filosofi e neppure di uno stralunato sciamano. No, il fine era là, al termine del sentiero della foresta, oltre le orme segnate dai guerrieri della tribù. Poi sono venuti i capi, i profeti, coloro che si investono del diritto di comandare i popoli, e qui sono incominciati i terribili dubbi: vale più il mio o il tuo re? Il mio o il tuo Dio? E’ meglio odiarsi od amare? Obbedire al papa od al re? E quale è l’ordine in tutto questo? Tradizioni, leggi, decaloghi….E quale il fine? Essere schiavi o padroni? Apocalisse, separazione di santi e dannati, paradiso od inferno? Dunque neanche i religiosi sembrano poter concepire il fine dell’uomo, neanche il Dio di una chiesa cattolica e universale…. Il quale rimane là, con la sua corona di spine e la bocca alla fine muta, mentre solo se io cerco di sottrarre Dio alla corona di gloria che gli è imposta dalle religioni, cioè se lo identifico come un assoluto aldilà, mi sembra di poter ammettere che possa essere quello il fine supremo, intangibile dalla furia degli elementi e dalle fatuità della storia.
Eppure può essere proprio la storia, cioè il vivere qui, che illumina in qualche modo la strada invitandoti a cercare in te stesso la risposta a quella domanda, cioè qual è il giusto se non il bene assoluto. Sì, perché forse sta proprio dentro di noi piuttosto che su un altare quella fiamma che si tende verso l’assoluto – anche se ciò a cui si volge può sembrare infinitamente lontano se non misero e inesistente.
Certo, mi dirai che anch’io sono caduto nella trappola delle religioni, anche se la mia è una religione che sovrasta le chiese ed è piuttosto ciò che la materia cela dentro di sé, cioè quell’impulso che viene dalle origini delle cose, da prima che si siano generati quark e fotoni, da quel punto cioè in cui il principio era già il fine perché c’era un universo in quel piccolo seme, e dunque già tutto. E così continua ad essere nell’espansione degli elementi e nella continuità della storia: un principio che è fine, un infinito che è l’assoluto principio.
Sì, purtroppo non riesco con la miglior volontà ad uscire da una sfera mitica. Anche se ammetto che l’universo agisce per sé senza bisogno di essere guidato da un Dio, o solo bisognoso di quello che è tanto al di sopra di tutto da sembrare un dio che non c’è.
(Caro Il Dubbio. So che tutto questo ti parrà uguale a una superstizione o a un inutile volo pindarico: eppure ci sono problemi che hanno bisogno di una mitologia, se non altro nel suo valore di simbolo. E sono i problemi che né la scienza né la filosofia sembrano poter risolvere).
emmeci is offline  
Vecchio 20-01-2008, 23.41.30   #4
Il_Dubbio
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Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

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Originalmente inviato da emmeci

(Caro Il Dubbio. So che tutto questo ti parrà uguale a una superstizione o a un inutile volo pindarico: eppure ci sono problemi che hanno bisogno di una mitologia, se non altro nel suo valore di simbolo. E sono i problemi che né la scienza né la filosofia sembrano poter risolvere).

La scienza sta sicuro di no, essa non sa nemmeno di cosa tu parli.

Cosa sia giusto o sbagliato (lo sappiamo noi) non appartiene alle domande oggettive, ma soggettive.
Si parla tanto di una realtà unica per poi dimenticarsi del soggetto che guarda la realtà. La realtà? E cos'è la realtà?
Un amore, un sentimento, un dolore fisico o morale, non è reale? Il mio pensiero non è reale?

Un giorno dissi a una donna (bhe, per fortuna ho avuto modo di dirlo piu di una volta): "Ti amo".

Per la scienza queste due parole sono solo piccole dosi di chi sa quale sostanza chimica ed elettrica.

La donna a cui dissi "Ti amo" sobbalzo dicendo: "non ci credo il tuo amore non è reale""

Per scienza avrebbe ragione la donna, poichè la mia verità, a lei sussurrata, è indimostrabile.

Probabilmente (un giorno, in un era in cui tutto è razionalizzabile) per scoprire se tu ami per davvero quella donna, non servirà più sussurrarlo, ti basterà portare un certificato medico che attesti che tu ami per davvero la donna in questione.
Questa sarà la realtà, non quella che ti inventi con le tue parole o con le tue sensazioni soggettive; quelle sono fantasie irrazionali e irreali, argomentazioni false e che non aggiungono nulla alla nostra storia. La realtà sarà il tuo certificato medico che attesta quanto sei innamorato di quella donna, e per che no, sarà possibile anche aumentare un tantino l'amore con un piccolo aiutino, tipo le bottigliette che il ciarlatano di Donizetti mette in vendita nella spassosissima opera Elisir d'amore.

Quale spazio allora ci potrà essere a tutte le domande filosofiche, in particolare su ciò che è giusto o sbagliato? Forse l'autore voleva dire che "sbagliato" e "giusto" sono pregiudizi dettati da contingenze che esulano dalla nostra sfera di libertà? Avremo bisogno di un altro certificato medico che attesti cosa sia giusto o sbagliato per noi?

ai posteri l'ardua sentenza

ciao
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 21-01-2008, 08.32.52   #5
emmeci
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Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

Caro Il Dubbio, francamente non riesco a capire se parli con convinzione o con ironia, cioè se credi nel progressivo trionfo della scienza e aspetti il momento in cui saranno in vendita i filtri d’amore con tanto di garanzia (per quanti anni?), o ti fai beffe di queste prospettive fantascientifiche. Dal fatto che ti sei autobattezzato Il Dubbio sarei propenso a credere nella seconda ipotesi. O è un dubbio che soltanto un analista veramente scientifico (e non un semplice psicoanalista) può dissipare? Per intanto, venendo al punto che distingue oggettivo da soggettivo, mi pare che possiamo trovare un illustre esegeta in Edoardo Boncinelli, di cui proprio in questi giorni è uscito “L’etica della vita – siamo uomini o embrioni?”in cui (cito dal Corriere) “descrive con dettagli spesso emozionanti e spiazzanti le sequenze che legano il formarsi dell’individuo dall’oggettività del percorso fisiologico e biochimico innescato dai gameti fino all’emersione soggettiva del sé e del linguaggio, dimostrando come ogni passaggio obbedisca in larga misura alla selezione naturale e all’attivazione dei geni”. Dunque anche la dura scienza ammette che ci sia un passaggio se non un salto oltre le leggi fisiche e chimiche verso…già perché chi può porre vincoli alla natura, anzi al pensiero? Qual è il fine di tutto questo, come chiedevi nel tuo precedente messaggio, e che io interpretavo come fine assoluto? Messici su questa strada potremmo arrivare a concordare con gli idealisti, cioè a credere che sia il soggetto a determinare l’oggetto, che sia la filosofia se non addirittura l’arte a creare la scienza. Già, però adesso anch’io sono in dubbio su ciò che può essere il fine assoluto, se non solo l’incontro di qualche gamete ma il movimento stesso dell’universo sembra conservare il suo enigma, visto che non si sa se debba durare per sempre, finire in un buco nero o risolversi in un seguito di pulsazioni quasi a raffigurare il nietzschiano ripetersi dell’identico mentre io mi illudevo che fosse un muoversi da un assoluto ad un assoluto, qualunque cosa sia quest’assoluto: fisico o metafisico, essere o nulla, odio od amore, la materia o Dio….Quousque tandem? - direbbe chi, come forse tu, aspetta il soccorso della scienza per capirlo senza rinunciare a quel filtro d’amore. Per intanto, meglio l’ironia che la certezza, a scanso di brutte sorprese, come sarebbe se il filtro fosse quello usato da Tristano e Isotta, con tutte le conseguenze del caso.
emmeci is offline  
Vecchio 21-01-2008, 10.28.19   #6
Il_Dubbio
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Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

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Originalmente inviato da emmeci
ti fai beffe di queste prospettive fantascientifiche.

Emmeci, io uso da sempre un paio di occhiali da vista azzurate e quando vedo il sole riesco ad osservarlo senza distogliere lo sguardo come vedo fare a gli altri. Ti posso assicurare che il sole non è poi così abbagliante come si crede, e non capisco perchè quelli non riescano a fissarlo con i loro occhi. Dovrò forse costruire milioni di occhiali da sole azzurrate per tutti, e forse correggere le loro proprietà fisiche dei loro occhi in modo che vedano esattamente come vedo io? Se non ci riesco non potrò dimostrare loro che si può guardare il sole senza distogliere lo sguardo.
Emmeci, sta di fatto che loro però non mi hanno ancora dimostrato come si possa distogliere lo sguardo dal sole.
Forse sono loro a dovermi favorire le loro lenti che usano e le loro qualità fisiche in modo tale che anch'io possa distogliere lo sguardo dal sole? Solo in questo modo riusciranno a dimostrarmi che non si può guardare il sole senza distogliere lo sguardo.
Ma io mi chiedo: quand'anche fosse così che stanno le cose, <<oggettivamente>> chi avrebbe ragione? Io che dico che si può guardare il sole senza distogliere lo sguardo o loro che dicono che non si può guardarlo fisso senza poi distogliere per forza di cose lo sguardo da esso?

Un ottimo metodo per capire quale sia oggettivamente la verità è ammettere almeno per un istante che non c'è una sola verità.

Allora tu mi aiuterai con un pò di filosofia: cos'è quella cosa in sè se no ciò che io vedo attraverso un paio di occhiali da vista azzurate? E per rimanere in tema, sarà <<giusto>> o no, con i miei occhiali da vista azzurate, distogliere lo sguardo dal sole solo perchè non riesco a dimostrare a gli altri che si può guardare fisso il sole senza per questo distoglierne lo sguardo?
Come posso dimostrare a gli altri che io percepisco qualcosa di diverso, e vedo qualcosa che tu non puoi vedere se no fornendoti le mie qualità personali (oltre ai miei personalissimi occhiali da vista azzurrate), senza per questo passare per pazzo, falso e irrazionale?

Questa è la dura storia dell'oggettivo e del soggettivo resa ancora più obbligata dalle stesse scoperte scientifiche che ammettono, e pongo il dubbio, che sia proprio il soggetto ad essere determinante per la stessa realtà che noi facciamo esperienza.

Quella cosa in se rimarrà in se e interpretata costantemente da occhiali da sole di vario colore, comprese tutte le proprietà che accomunano tutti e che fanno spesso la gran coscienza collettiva di cose oggettive, ma a ben guardare questo criterio è distorto perchè quelle appartengono alle caratteristiche comuni e non alla visione oggettiva della cosa in se.

Distolgo lo sguardo critico sulla oggettivazione, e ritorniamo al punto: cosa puo farmi comprendere che qualcosa sia sbagliato o invero giusto se non mi fornisci la tua interpretazione soggettiva e la confronto con la mia? Non è questa la stessa cosa che può avvenire dotandoci tutti degli stessi occhiali da sole e delle stesse caratteristiche fisiche? Non è questo soltanto un modo per illuderci che esista qualcosa di oggettivo, quando è solo un modo comune di guardare la realtà, che in sé, se ne frega di come la guardiamo, tanto sarà sempre diversa se non ci spogliamo di fantomatici occhiali da sole e fantomatiche proprietà fisiche?

ciao
Il_Dubbio is offline  
Vecchio 21-01-2008, 10.47.43   #7
arsenio
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Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Secondo me tutte queste domande vanno in una sola direzione:

"qual è il fine ultimo dell'uomo"?

se il fine ultimo è l'onnipotenza dell'uomo ogni azione giusta sarà intesa con il solo scopo di raggiungere l'onnipotenza. Se il fine dell'uomo è la sopravvivenza ogni cosa giusta sarà intesa con lo scopo di sopravvivere.
Se il fine dell'uomo è la felicità ogni azione giusta sarà intesa con lo scopo di raggiungere la felicità. Se il fine dell'uomo è cercare Dio l'azione giusta sarà intesa con lo scopo di trovare Dio.
Se il fine dell'uomo è comprendere qual è il fine dell'uomo, ogni azione giusta sarà di capire qual è il fine dell'uomo.

Qualcuno potrebbe dire: ma è giusto o sbagliato porsi la domanda di quale sia il fine dell'uomo?

A questa domanda io rispondo: se ce lo chiediamo ci sarà una ragione; se non ce lo chiedessimo non avremmo motivi per porci la domanda.

Alla fine troveremo che il fine ultimo dell'uomo è dare delle risposte alle domande come questa: qual è il fine ultimo dell'uomo?

Giusta o sbagliata che sia, la domanda ha solo bisogno di una risposta!

Il “senso della vita può indicarlo solo la religione :amare Dio per raggiungere la vita eterna
Altrimenti, anche per i credenti, alla prova dei fatti, il fine, lo scopo ,il senso, la pulsione,l'istinto porta inevitabilmente alla motivazione di evitare la sofferenza, ognuno a propria misura. (ho affrontato tale problema in “quale droga fa per noi”, a psicologia.
E' ozioso girare vanamente intorno a quelle domande che non possono avere risposta, e che comunque porterebbero sempre a ulteriori domande prive di senso, come perchè esiste Dio, ecc. ecc.
Perfino nel medioevo tali dissertazioni inutili erano criticate,rientrando nella categoria del tipo “quanti angeli possono danzare sulla capocchia di uno spillo?

E poi la vera filosofia, a partire da quella classica greca, non fu mai ancella della religione”, se non per un travisamento di tempi oscurantisti, che purtroppo continua ancora nella mente di qualche accademico noto quanto ottuso


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arsenio is offline  
Vecchio 21-01-2008, 16.09.25   #8
Il_Dubbio
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Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

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Originalmente inviato da arsenio
Il “senso della vita può indicarlo solo la religione :amare Dio per raggiungere la vita eterna

Ciao arsenio

non vorrei che tu abbia inteso male ciò che ho detto (forse una maggiore attenzione nella lettura non guasta). Infatti ho poi concluso che infondo si scopre che il fine dell'uomo è rispondere a delle domande.
"evitare la sofferenza" è poi un fine(come da te suggerito), uno di quelli che ci si può prefiggere fra i tanti. Sicuramente però solo quando si è fatto esperienza del dolore, altrimenti non avrebbe senso la domanda: come posso evitare di soffrire?

Leggiti (sicuramente non l'hai letto poiché avremo postato in contemporanea) il tema da me posto sugli occhiali azzurrati.
Una domanda non può giungere alla nostra coscienza se non avessimo la possibilità di farcela. Così se fossimo onnipotenti (con degli occhiali molto speciali) non ci chiederemmo sicuramente come fare per evitare il dolore, perché non ne faremmo esperienza.
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Vecchio 21-01-2008, 17.21.47   #9
Il_Dubbio
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Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

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Originalmente inviato da Il_Dubbio
Così se fossimo onnipotenti (con degli occhiali molto speciali) non ci chiederemmo sicuramente come fare per evitare il dolore, perché non ne faremmo esperienza.

Cambio solo il termine da onnipotente a "uomo che non avverte dolore".

Lo faccio perché, non si sa per quale ragione, quando si pone un termine che può avere tanti significati e nessuno (o centomila) si rischia di introdurre concetti nella mente altrui ormai schematizzati tanto da indurre a preconcetti (o pregiudizi che dir si voglia).

E' ovvio che è un rischio che si corre sempre, per via degli occhiali particolari che ognuno ha. Il linguaggio comune infatti serve proprio per capirsi meglio, ma spesso i contenuti sono diversi (e questo non sempre ce ne accorgiamo) perché le esperienze sono diverse.
Servirebbe spogliarsi di ogni costrizione, ma è proprio quello il problema che sollevo quando parlo di oggettivo e soggettivo, di occhiali particolari e proprietà fisiche particolari con cui noi guardiamo il mondo.
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Vecchio 21-01-2008, 18.42.21   #10
emmeci
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Riferimento: "giusto" e "sbagliato" sono pregiudizi?

Ho perso alcune battute ma rispondo, visto che fai appello alla filosofia. Ma dunque tu, il Dubbio, ora non solo hai smorzato i tuoi dubbi, ma credi addirittura nella filosofia, e non solo in una piccola filosofia ma in Platone e, con un salto acrobatico, in Kant. Perché vedo che il tuo sole assomiglia da una parte alla luce platonica delle idee se non addirittura all’idea di giustizia (tanto per rimanere nel tema) - e non vista riflessa sul fondo di una caverna, ma con i tuoi stessi occhi - mentre nel contempo quel sole assomiglia al noumeno di Kant. Ma ciò che di veramente nuovo apprendo è che tu sei il dubbio, ma anche non lo sei, visto che non dubiti di vedere il sole mentre gli occhi degli altri lo vedono e non lo vedono. E se dici che ognuno ha il suo paio di occhiali, insomma, il tuo paio di occhiali sembra essere senz’altro migliore e lo tieni per te, lasciando che gli altri prendano lucciole per lanterne. Insomma, direi quasi che sembri un seguace di Stirner, che credeva solo in sé stesso giudicando ogni idea più ampia una specie di patologica e ingiustificata ossessione. Comunque complimenti: finalmente sei arrivato a credere in una verità, anche se è una verità solo per te.
Quanto al criterio dell’oggettività: per rimanere nell’atmosfera kantiana che hai evocato, guarda che per vedere un oggetto a Kant non basta un paio di occhiali (come diceva anche quel mio professore di filosofia quando, venendo da Zelo Buon Persico, entrava in classe annunciando: ora vi spiego che cosa dice Kant): non basta, perché ci vuole anche un “io penso”.
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