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Vecchio 10-11-2014, 22.06.52   #1
maral
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L'alta cultura e le contraddizioni di Sini

Ascoltavo questa piacevole conversazione di Sini (definirla lectio magistralis come da titolo mi pare davvero eccessivo): https://www.youtube.com/watch?v=Cc4SDgxtgag&feature=em -subs_digest
Il filosofo parte da considerazioni in cui dice (e in qualche modo lamenta) del tramonto della cultura alta, quella elitaria di pochissimi di un tempo beneficiati dal poter vivere di rendita dedicandosi alla crescita spirituale, tramonto irreversibile innescato dal pensiero illuminista che ha via via determinato quella democratizzazione culturale che oggi si è ridotta irreversibilmente alla cultura informatica, quella di un sapere facilitato prét à porter, ma anche sempre più iperspecialistica e chiusa nelle sue competenze. La cultura, lamenta Sini, che era cultura di tradizioni e di valori, è vista ormai alla luce del solo valore ammesso: quello del mercato con tutta la miseria che ne consegue.
Da un lato dunque il rischio di creare una cultura frammentata e incomunicabile nella sua esigenza di specializzazione sempre più spinta, dall'altra la perdita del valore del linguaggio che si riduce a puro strumento retorico "gorgiano", la cui parola è sempre più incapace di esprimere autenticamente. E dunque il rischio che questa cultura democratica annulli ogni capacità di resistenza critica alle imposizioni di un unico dettato per nulla democratico.
A fronte di questi problemi Sini auspica un superamento degli specialismi culturali e rivendica il dovere di fare della cultura un bene comune (lamentando la desertificazione degli istituti umanistici, che rischiano di ridursi a un ruolo solo museale). Ma questo auspicio non è in diretta contraddizione con le premesse da cui Sini era partito, ossia la perdita di ogni alto valore culturale a tutto vantaggio di una democratizzazione condizionata dal mercato? Non so, mi pare sia il classico volere la botte piena e la moglie ubriaca, ossia le aule piene con però l'alto valore qualitativo di una cultura di alto significato elitario.
Voi cosa ne pensate? E' il problema che è mal formulato? Oppure la contraddizione è tutta interna a Sini stesso? E' possibile conciliare queste evidenti contraddizioni dei luoghi del pensiero oggi o bisogna rassegnarsi?
maral is offline  
Vecchio 11-11-2014, 16.50.12   #2
Juanne Pili
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Riferimento: L'alta cultura e le contraddizioni di Sini

Citazione:
Originalmente inviato da maral
Ma questo auspicio non è in diretta contraddizione con le premesse da cui Sini era partito, ossia la perdita di ogni alto valore culturale a tutto vantaggio di una democratizzazione condizionata dal mercato? Non so, mi pare sia il classico volere la botte piena e la moglie ubriaca, ossia le aule piene con però l'alto valore qualitativo di una cultura di alto significato elitario.
Voi cosa ne pensate? E' il problema che è mal formulato? Oppure la contraddizione è tutta interna a Sini stesso? E' possibile conciliare queste evidenti contraddizioni dei luoghi del pensiero oggi o bisogna rassegnarsi?

Salve, è la prima volta che scrivo qui. Ne approfitto anche per presentarmi.

Dunque, secondo me non c'è contraddizione. Proprio perché parla di una "specializzazione" a fronte quindi di una "formazione" reale negli istituti, che stanno diventando dei meri "laureifici". La "democratizzazione" della cultura tramite i mass media - che come insegna Habermas è sempre stata fin dalle origini mercatistica - non è altro che parte di questo processo; ovvero un suicidio della cultura. Oggi anche il gossip e certi deliri complottisti vengono fatti passare per "cultura".

Secondo me Sini non lamenta la scomparsa di pochi privilegiati, soli beneficiari del diritto allo studio e a esprimere nuovi concetti; bensì la scomparsa degli intellettuali in generale. La situazione in sé è contraddittoria. L'avvento dei mass media e l'accesso di massa all'istruzione non ha conservato affatto la figura dell'intellettuale, anzi ne ha accompagnato l'estinzione. Oggi siamo pieni di tecnici specializzati (purtroppo in Italia sono pure in gran parte disoccupati) ovvero ignoranti di tutto il resto, privi degli strumenti utili a usufruire in modo adeguato alla mole di informazioni oggi a disposizione. Chi dovrebbe svolgere il ruolo dell'intellettuale - ovvero di critico della società - si limita a rispecchiarla, considerandola spesso l'unico dei mondi possibili. Questo passaggio in particolare dovrebbe essere la chiave del discorso:

«Da un lato dunque il rischio di creare una cultura frammentata e incomunicabile nella sua esigenza di specializzazione sempre più spinta, dall'altra la perdita del valore del linguaggio che si riduce a puro strumento retorico "gorgiano", la cui parola è sempre più incapace di esprimere autenticamente. E dunque il rischio che questa cultura democratica annulli ogni capacità di resistenza critica alle imposizioni di un unico dettato per nulla democratico».
Juanne Pili is offline  
Vecchio 11-11-2014, 19.39.54   #3
sgiombo
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Riferimento: L'alta cultura e le contraddizioni di Sini

Formidabile questa lezione magistrale (o comunque conversazione colta)!

Il professore secondo me fa una “diagnosi” pressocché inappuntabile.
Il problema aperto e difficile, come lui stesso sostiene (senza usare queste metafore sanitarie) è quello della “terapia”.
Dal mio punto modesto di vista credo di intravedere qualche barlume di speranza.
Con mia grande soddisfazione il professore cita fra gli altri Engels a proposito del rapporto quantità/qualità (en passant: dice che lo ricavò da Marx, ma io ho qualche dubbio che si tratti di un lapsus per Hegel; secondo me fu piuttosto Marx a desumere da Engles -se non appunto direttamente da Hegel- questo problematico concetto; e ad applicarlo proficuamente e genialmente. Sono un dilettante della filosofia e potrei avere scritto delle sciocchezze, ma lo reputo un rischio che vale la pena di correre, anche perché Engels è certamente uno dei quattro o cinque miei massimi e più laicamente venerati maestri di cultura e di vita; e fra tutti loro il più generalmente sottovalutato).
Secondo me abbiamo in sorte di vivere un momento delicato e decisivo della storia umana (e della stessa storia naturale; so che questa impressione può sembrare sospetta perché ogni generazione tende soggettivamente a collocarsi “al centro della storia”, sopravvalutando l’ importanza delle scelte e dei problemi che le si pongono).
Secondo la concezione del materialismo storico, fondato a mio modesto parere innanzitutto e in misura preponderante proprio da Engels (anche tenendo conto dell’ importantissimo contributo di Marx) e di cui sono seguace, la storia umana, per dirlo in soldoni, non procede linearmente e costantemente ma attraversa fasi di sviluppo alternate a fasi di crisi dalla quali esce o ricadendo verso la barbarie o attraverso salti di qualità verso superiori livelli di civiltà.
Ogni conquista di progresso contiene inevitabilmente contraddizioni ed elementi contrastanti che per lungo tempo possono non apparire rilevanti, ma prima o poi i nodi vengono al pettine e si pongono nuove drammatiche questioni (con possibili esiti positivi di ulteriore progresso oppure regressivi).
La straordinaria diffusione quantitativa della cultura che, come giustamente sostiene il professore, ha le sue premesse ideali in tutta la storia della filosofia e della cultura stessa e uno snodo decisivo nell’ illuminismo (e le sue premesse materiali, a mio parere di materialista storico ben più determinanti in ultima analisi, nella rivoluzione industriale) ha avuto come “inevitabile elemento di contraddizione” un tendenziale deterioramento qualitativo.
Oggi i nodi vengono al pettine: o si compie un ulteriore salto di qualità verso la civiltà e il progresso che potrebbe favorire un tendenziale sviluppo anche qualitativo della cultura (recuperando e ulteriormente sviluppando questo aspetto antiteticamente rispetto a una fase precedente -l' attuale postilluministica- in cui era negato; in quello che Marx ed Engels chiamavano, non so quanto correttamente secondo altri discepoli di Hegel diversi da loro, anche odierni, un “superamento dialettico”), oppure si rischia fortemente una ricaduta in una nuova (e probabilmente peggiore delle precedenti) barbarie.
Come minimo.
Infatti purtroppo tutto ciò si intreccia ancor più drammaticamente con un’ altra formidabile contraddizione, pure a proposito della quale i nodi vengono sempre più inevitabilmente al pettine, quella fra lo sviluppo tendenzialmente illimitato di produzioni e consumi di beni in qualche misura “spirituali” ma soprattutto in altra ineludibile misura materiali da una parte e la limitatezza delle risorse naturali di fatto (e non: fantascientificamente!) disponibili all’ uomo dall' altra.
La soluzione di queste decisive questioni (positiva o negativa non è possibile dire in anticipo: chi vivrà, se vivrà, vedrà, oppure nessuno vivrà per vederlo) secondo me avverrà secondo l’ ultima delle marxiane tesi su Feuerbach: o i filosofi (e il proletariato loro erede per Marx) cambieranno il mondo, oppure, se non sapranno cambiarlo per tempo, il mondo li distruggerà.
Ritengo infatti che gli assetti sociali capitalistici attualmente dominanti (anche prescindendo dalla loro evidente iniquità), imponendo inevitabilmente la concorrenza fra singole, reciprocamente indipendenti unità produttrici di beni e servizi per la realizzazione a breve termine e a qualsiasi costo (umano individuale e sociale, morale, ambientale, ecc.) del massimo profitto individuale di impresa possibile, impongano (fra le altre deprecabilissime e iniquissime cose) un uso e consumo tendenzialmente illimitato, dissennato, irrimediabilmente distruttivo delle risorse naturali necessarie alla sopravvivenza umana, che sono invece limitate.
Se questi assetti sociali verranno superati per tempo attraverso l’ instaurazione rivoluzionaria della proprietà collettiva sociale dei mezzi di produzione e una loro oculata gestione complessivamente calcolata e pianificata secondo criteri di prudenza (fra l’ altro con un’ inevitabile decrescita quantitativa complessiva di produzioni e consumi materiali), allora l’ umanità sopravvivrà e continuerà la sua storia (la storia umana) e lo sviluppo qualitativo della sua civiltà.
In caso contrario l’ umanità si estinguerà “prematuramente e di sua propria mano" (Sebastiano Timpanaro; altro mio grande e laicamente venerato maestro), unitamente a tantissime altre specie biologiche, e l’ evoluzione della vita (la storia naturale) continuerà “imperterrita” senza di essa.
Non si tratterebbe certo della prima estinzione di massa della storia della vita terrestre.

Sugli esiti dello scontro in atto sono molto pessimista.
Sono di questi giorni le pompose celebrazioni della caduta del muro di Berlino, presso cui in una trentina d’ anni sono state uccise alcune decine di scavalcatori “alla ricerca della libertà [di arricchirsi illimitatamente grazie a lauree e diplomi conseguiti gratis nella DDR, N. d. R]”; in cambio, col venir meno degli aiuti sovietici alle economie del terzo mondo e con le guerre che l’ imperialismo ha potuto impunemente scatenare proprio grazie alla caduta del muro stesso, centinaia o migliaia di onesti lavoratori in fuga dalla miseria e dalla guerra vengono uccisi ogni anno dall’ invisibile muro chiamato “trattato di Shengen” nel canale di Sicilia; per non dire di molto altro: non crederete che l’ attuale selvaggia demolizione dello stato sociale, l' infame e disumana precarizzazione del lavoro e la miseria crescente che ne consegue qui in Occidente non abbiano proprio nulla a che vedere con la caduta del muro?!).
Penso comunque che valga la pena continuare a combattere per un esito positivo, semplicemente per prestare ascolto alla mia coscienza; e se non altro per “vendere cara la pelle come umanità”.
E comunque vada, per lo meno con la “consolazione un po’ religiosa” del pensiero che così come in molti altri pianeti alquanto simili al nostro sparsi nell’ universo la storia naturale potrebbe essersi arrestata con un’ estinzione totale e definitiva della vita non oltre il livello dei procarioti; in altri al livello degli eucarioti unicellulari; in altri ancora prima della comparsa di animali autocoscienti (come sarebbe accaduto anche qui “da noi” se con i dinosauri si fossero estinti anche tutti gli altri vertebrati); così in altri ancora la vita delle specie “similumane” (autocoscienti) probabilmente potrà invece superare la ”strozzatura similcapitalistica” fra tendenziale illimitatezza delle produzioni e consumi e limitatezza delle risorse naturali di fatto disponibili. E probabilmente quelle persone fortunate che ce l’ avranno fatta e avranno proseguito nello sviluppo della loro civiltà penseranno con ammirazione a coloro che, come noi uomini terrestri che ci battiamo per il superamento del capitalismo, hanno comunque lottato su altri pianeti per raggiungere simili superiori conquiste di civiltà e sono stati sconfitti (un po’ come noi pensiamo a chi -Spartaco, Giordano Bruno, Filippo Buonarroti sono i primi che mi vengono in mente- ha lottato in passato per la civiltà e il progresso ed è stato sconfitto).
Credo che i pochi che lo conoscessero troverebbero molto “engelsiane” queste considerazioni

Sono patetico?
Bah, io mi sento semplicemente e sobriamente fiero e soddisfatto della mia vita.
Mi scuso comunque di essere andato ampiamente fuori tema (ma ritengo che le questioni cui ho qui brevemente accennato siano comunque strettamente intrecciate).
sgiombo is offline  
Vecchio 11-11-2014, 22.31.16   #4
Jacopus
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Riferimento: L'alta cultura e le contraddizioni di Sini

"La botte piena e la moglie ubriaca", ovvero cultura di massa ma di un certo livello, è uno dei requisiti dello sviluppo economico e civile di questo scorcio di storia. Se non vi piace la parola economico sostituitela con " del benessere". Ma come si fa? E' una contraddizione!

Premesso che è stata la cultura cosiddetta "tecnica", quella che ci permette di vivere comodamente in un numero piuttosto vasto di persone (dimentichiamoci per il momento dei dannati della terra), affrontiamo la questione.

Le scelte sembrerebbero le solite due:
- mitizzare un tempo in cui i chierici erano realmente "critici" a differenza degli intellettuali omologati e televisivi di oggi. In questo caso la mitizzazione può alludere al medioevo o agli anni 50-60 dello scorso secolo, oppure all'età dei lumi, o se preferite alla Atene classica. In ogni caso vi è una visione "aristocratica". Una élite che sottomette culturalmente la massa del volgo. Una posizione che sarebbe piaciuta ad esempio a Pareto.

- accettare la tecnica e i suoi derivati in termini di massificazione, desertificazione culturale e analfabetismo di ritorno. Insomma ricchi di "cose" ma poveri "dentro". Tanti piccoli e volgari omuncoli che sbavano e stampano faccine sul video.

La realtà, come al solito, è sempre grigia e mai bianca o nera. Vorrei ricordare che Spinoza, tanto per citarne uno, era un tecnico. Molava lenti per occhiali e questo non lo escluse dal dibattito filosofico.

Quello che voglio dire è che una società per crescere, in questi travagliati tempi, dovrebbe favorire la sinergia fra pensiero tecnico ed "umanistico", non vederli come due competitori in lotta fra di loro, secondo la solita visione manicheista del mondo.

Aforisticamente sarebbe come dire: è necessaria per la cultura una "aristocrazia di massa".
Prendendo a prestito le teoria dei sei stadi morali di Kohlberg, è come se anche a livello culturale si potesse immaginare una elevazione verso stadi più adeguati alla società e alla sua complessità, ma questa adeguatezza non credo sia raggiungibile pensando nostalgicamente a società del passato, ma solo attraverso il confronto costruttivo e fecondo fra arte e tecnica, fra scienza e filsofia, fra psicologia e neuroscienze.
Troppi parassiti sono vissuti alle spalle dei "tecnici" nel corso dei secoli e solo quei "tecnici", a partire da Bacone ci hanno permesso di sfamarci ad un prezzo ragionevole e con una qualità di vita mai raggiunta prima.
Mi rendo conto che non viviamo nel "migliore dei mondi possibili" ma non bisogna neppure, come si suol dire, buttare l'acqua con il bambino dentro, anche perché in ogni caso il bambino si ribellerebbe e probabilmente e non passerebbe dal tubo del lavandino.
Jacopus is offline  
Vecchio 12-11-2014, 12.36.38   #5
maral
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Riferimento: L'alta cultura e le contraddizioni di Sini

Innanzitutto un benvenuto a Juanne Pili che si aggiunge come nuovo ospite al forum

Riguardo l'auspicio di Jacopus per un confronto costruttivo e fecondo fra arte e tecnica, fra scienza e filsofia, fra psicologia e neuroscienze (che poi è lo stesso di Sini ad auspicare condivisibilmente), il problema resta come far dialogare queste discipline che si rinchiudono sempre di più nel loro alveo specialistico, tanto che nemmeno i matematici (come ricorda Sini con riferimento a Geymonat) riescono più a capirsi tra loro, riescono più ad avere un linguaggio comune, ma solo una miriade di linguaggi chiusi iperspecialistici e incomprensibili l'uno all'altro e[forse non è nemmeno solo un problema tecnico, ma più profondo, metafisico (della nascosta metafisica del nostro tempo).
Il punto è che da un lato i linguaggi alti ci sono ancora, ma il loro specialismo tecnico li rende ancor più esclusivi di quelli di un tempo, per nulla condivisibili e quindi non riescono a fornire alcun quadro d'assieme che possa avere un qualsiasi senso, mentre dall'altro abbiamo un linguaggio che volendo dire tutto nel modo più semplice e immediato possibile non viene a dire nulla, un linguaggio del quotidiano in cui l'espressione del significato e la sua comprensione a mezzo della parola è sempre più vago fino al banale assoluto.
Certamente Sini ha ragione quando dice che un laureato in filosofia non può interessarsi solo di Abelardo, ma deve conoscere la fisica e la biologia contemporanee e, aggiungo io, un ingegnere idraulico non dovrebbe sapere solo di meccanica dei fluidi (anche se è solo questo che gli viene chiesto), ma deve sapere anche di filosofia per capire il senso del pensiero che ha portato ai significati della meccanica dei fluidi e quindi il senso profondo del suo fare che precede il saper far funzionare che gli è richiesto. L'auspicio di un confronto tra i saperi che superi la loro orgogliosa separatezza autoreferenziale credo sia assai condivisibile, ma il difficile (difficile anche per Sini, come lui stesso afferma dicendo di non avere soluzioni) è il linguaggio e a monte del linguaggio il tipo di pensiero che occorre per fare questo confronto rendendolo effettivo per superare quell'incomunicabilità che è forse la caratteristica fondamentale del nostro tempo e che sempre di più diventa incomunicabilità anche con se stessi, nonostante tutti i mezzi che abbiamo a disposizione per comunicare tra noi e le incredibili possibilità che la tecnica ci ha garantito proprio per comunicare. Il paradosso è che ormai la stessa estrema rapidità e facilità di comunicare renda sempre più difficile la stessa effettiva comunicazione a ogni livello, da quello culturale più alto a quello quotidiano.
maral is offline  
Vecchio 12-11-2014, 19.51.05   #6
SinceroPan
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Riferimento: L'alta cultura e le contraddizioni di Sini

Russel nella prefazione alla sua Storia della Filosofia Occidentale : un buon motivo x studiar filosofia è che si risparmia tempo.. invece che pensar da sè cose nuove leggiamo e rielaboriamo ciò che altri han già pensato..

Wittgenstein nella prefazione al suo Tractatus Logico-Philosophicus : solo chi ha già pensato da sè cose simili potrà capire questo libro..

Io : l'unico scopo che persegue il 100% degli esseri umani di tutti i tempi è essere più felici o meno infelici possibile.. anche il suicidio ci stà dentro.. od il martirio ti fa star meglio del non aver avuto il coraggio di seguir una certa virtù.. e così via.. incluse la filosofia la religione il calcio la tecnologia il potere il sesso la famiglia la guerra ecc...

ma perchè oggi le masse preferiscono la tecnologia consumistica alla religione ed alla cultura ? perchè dal loro punto di vista queste curano hic et nunc meglio l'angst rispetto alle vecchie medicine..

da questo punto di vista ciò che differenzia noi pseudo dotti/pensatori dalle masse è solo il MODO con cui tentiamo di curarci dall'angst..
firse non siam nè migliori nè minori.. siam diversi.. e siam nicchia..
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x Sgiombo: condivido pessimismo su quantificazione e solidificazione del mondo moderno.. lo condivide pure Severino.. e Maral.. e Guenon.. e credo Green.. è un fattor comune a quasi tutti i pensatori x altri versi sempre in lite (anti-tesi) fra loro... Severino poi dice che dopo il crack apparirà la Gloria.. may be yes or may be no.. nessuno lo sà--

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Vecchio 14-11-2014, 23.51.47   #7
green&grey pocket
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Riferimento: L'alta cultura e le contraddizioni di Sini

(il video non l'ho visto, parlo di Sini in generale...e penso che nel video non ci possano essere cose assai diverse)

Anch'io all'inizio ho avuto una certa fatica a entrare nella sfera siniana.

Oggi posso dirti Maral, che Sini non intende fare un discorso meramente sociale.

Il suo punto di vista è quello astorico, direi proprio nicciano in cui l'individuo fa fronte allo stato.
E lo fa non in nome di una imprecisata specializzazione, bensì allargando lo sguardo.
Ossia in una posizione filosofica che sia in grado di volta in volta di interpretare il segno a lui frontale, da una posizione a volo d'aquila, quella che permise di costrurire le prime mappe a Babilonia per intenderci, un primo passo, verso una visione globale, intenzionale, fenomenologica, mai banale.

Quello di cui si lamenta non è tanto la tecnica, che al contrario di severino non vede negativamente, per inciso stiamo parlando della stessa tecnica a livello filosofico, ossia della parola e del linguaggio anzitutto.(non si tratta mai del singolo medico o idraulico di turno).

La critica è situata in un problema di nicchia, dove non ci si accorge mai, che ogni pratica è accompagnata sempre da una tecnica.

Il problema allora passa dal significato tecnico, ossia strumentale, a quello della pratica stessa, ossia alle sue motivazioni, a cosa decidiamo di fare con noi stessi e l'altro a partire dalle intenzioni.

Ecco che allora necessita un intendimento allargato del significato di Tecnica.
Significato che oggi è ampiamente travisato dalla scienza in primis, che si concentra sui generi del proprio linguaggio tecnico, con una prospettiva miope, allarmante proprio quando la visione (io direi politica) si allarga a tracciare un orrizonte segnico molto più ampio a cui Sini e allievi tutt'ora stanno lavorando (beh sono a buon punto direi, pur non avendoli ancora affrontati deducendo dai titoli, antropologia politica psicologia fenomenologia etc....).


L'allarme è ovviamente quello detto da Sgiombo o SinceroPan o tu stesso Maral, quello che lo strumento sta superando l'intendimento.
(e dunque in età consumisitica siamo tutti più consumatori che critici ).

In realtà niente di male comunque per Sini, infatti pensare di superare questa determinazione storica, è frutto di una volontà di potenza.

Rimane il singolo con il suo dramma, il suo essere al mondo.

Beh diciamolo, c'è sempre Heideger (o Nietzsche o Spinoza) dietro tutto questo
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