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Spiritualità - Religioni, misticismo, esoterismo, pratiche spirituali.
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Vecchio 22-02-2008, 12.40.47   #541
visechi
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Ad ogni modo ora ti indico un errore logico (dal punto di vista spirituale). Il concetto che il Male non è un epifenomeno ma una realtà stringente e non consente vie di fuga; questo non è vero.
Non perché il male non esiste. Ma perché tutta la realtà non esiste.
O meglio, quello che noi identifichiamo come il nostro mondo fenomenico, altro non è che un costrutto logico: un comodo espediente per le relazioni sociali;ma è privo di sostanzialità ontologica.
Che voglio dire privo di sostanzialità ontologica, che esso può e può non essere. Tmusa, può e può non essere. Egli può essere un santo o un omicida.
O può essere un gruppo di amici che si diverte in una classe di liceo.
Tutta la realtà può e può non essere, quindi non ha sostanza, non ha solidità, essa è diveniente, direbbe Eraclito, impermanente dice il Buddha.
Siccome non esiste nulla, a maggior ragione non esiste un ego. Ecco la risposta di Noor. L'ego principio di ogni male. Perché? perché quando dico che tu scrivi magnificamente di filosofia, soddisfo un tuo bisogno profondo e ineludibile, che è quello di affermare la tua stessa esistenza; tutti noi abbiamo nel nostro codice genetico innanzitutto il bisogno di affermare che esistiamo, e il terrore esistenziale, l'orror vaqui avviene quando qualcuno ci mette in dubbio nei nostri requisiti, la stabilità della nostra personalità. L'ego ha talmente paura di scoprire la sua vaquità che afferriamo di tutto per confermalo.
Potere, soldi, donne, qualsiasi cosa che ci dia la certezza: io esisto.
Ma siccole l'io non esiste..

Immaginavo e mi attendevo quest’obiezione, tant’è vero che avevo subito suggerito di evitare il ricorso al comodo rifugio offerto dal ‘Velo di Maya’. Non importa. Proviamo anche a seguire questo filo (il)logico, bada bene che non potrà che ricondurci al mio quesito originario: perché tutto ciò? Neppure il Buddismo Zen fornisce una risposta. S’avvita, infatti, in un loop senza via d’uscita.
Noi, che ci piaccia o no, siamo immersi in una dimensione – illusoria, falsa, immaginifica, irreale, fai tu – entro la quale consumiamo l’intera nostra esistenza. Viviamo di percezioni, di sensazioni dovute ai sensi (le cinque dimensioni cui ha fatto riferimento Fallible in tal senso sono più che esplicative). Soffriamo, gioiamo e viviamo immersi costantemente in questa dimensione imprescindibile: ci sfamiamo, ci dissetiamo. In essa, nel corso della vita, ciascuno di noi – nessuno escluso – entra in contatto con realtà (effimere, direte voi, vane, direbbe Qoelet) che condizionano e determinano i sentimenti (non necessariamente amorevoli, potendo anche essere di altro e opposto tenore, nel senso che non tutto è amore), i quali sono la vera espressione del profondo. Ciò avviene e ha avvio fin dai primissimi momenti successivi al nostro primo vagito, senza che sia data al nascituro la possibilità di opporre a quest’ineluttabile processo alcuna difesa. Le nostre esperienze di vita ci conducono a visitare gli antri bui del Male, del dolore e della sofferenza, antro che non è una spelonca della nostra mente, annidato nei suoi meandri più reconditi, ma nella dimensione umana – quella che accoglie la nostra volontà di vita – è reale quanto lo potrebbe essere il dolore fisico provocato da un sasso che colpisce la tua testa. La fame non concede spazio alla speculazione filosofica o spirituale che possa negarne la sensazione. Noi siamo qui, non camminiamo, patiamo e gioiamo su un mondo ultramondano iperuranico o noumenico. CI confrontiamo costantemente con altri individui che vivono e conducono consumano l’intero arco di vita su questo piano esistenziale. La realtà stessa – per quanto effimera possa essere ritenuta – è qui, pronta ad avvertirci che il tumore uccide l’uomo, le radiazioni modificano la composizione molecolare di cui i nostri corpi fisici sono costituiti, portandoli al deperimento e al disfacimento. Con il disfacimento del corpo, svanisce anche qualsiasi possibilità concreta di crescita, d’evoluzione spirituale e fisica, svaniscono i nostri sentimenti (effimeri ed illusori, ma cogenti e che significano la nostra esistenza). Anche il samadhi svanisce, le estasi mistiche, l’incanto e la suggestione avvertita al cospetto di un mirabile paesaggio naturale. La stessa crescita e la vita individuale sono un continuo approssimarsi alla morte, perché vivere significa procedere verso l’unico vero destino che accomuna tutti noi – sia illusorio o no -, incanalandone le esistenze. Questo c’è dato esperire. Tu affermi che ciò avvenga perché la Coscienza Superiore ha voluto conoscere se stessa – poteva restare nella sua ignoranza e preservarci dal male gratuito – è proprio la gratuità del male che esclude una sua giustificazione. I nostri sensi e gli organi di percezione sono tarati in maniera tale da rapportarsi e confrontarsi abbastanza proficuamente con il mondo fenomenico; non solo, il raziocinio e i sensi colloquiano anche e forse soprattutto con il mondo interiore, andando a cogliere di quest’abisso il trasparire, sostanzialmente ineffabile, presentendo il tralucere di un sentimento che trascende la ratio e i sensi. Noi non siamo solo la nostra percezione, ma, per assurdo, siamo quel che il mondo, l’altrui individualità e l’altrui ineffabilità scrivono fra le righe non lette, di là delle parole proferite, siamo ulteriorità sostanzialmente inespressa. Siamo il manque di Lacan, la difference di Derrida. Siamo il nostro claudicare, il quale comunica molto di più rispetto alle nostre sicumere e ai nostri Io.
Dici che il Male non è un’entità ontologica, io, invece, ho il sospetto che lo sia, non in una visione manichea, piuttosto perché non può essere negato (neanche dal Buddha, abbiamo visto) che, quando infierisce, fa sentire la stringente inalienabilità, ineluttabilità e imprescindibilità del suo sospiro purulento. Certo, è sempre possibile velare lo sguardo e occludersi i condotti auricolari, ma si tratta di una fuga. La realtà (effimera o vana) s’impone nella sua particolare essenza, intrisa di cose liete ed altre poco piacevoli. Di questo rollio inesausto è totalmente impregnata. L’infiorescenza di un magnifico fiore, che tanta ammirazione suscita, denuncia la sua incipiente sfioritura e morte. Da ciò non è possibile prescindere, se non attraverso un processo auto-ipnotico – d’Illuminazione, diresti tu – che la ri-vela (cioè la veli ulteriormente), negandola e rifiutandola.
Il divenire stesso è mimesi del mutamento e dell’impermanenza che, però, non s’offrono pienamente alla certezza di un ‘centro immobile’ noumenico, o di una Verità. La malattia è annuncio di morte, presagio d’imperfezione. La nostra realtà, entro la quale siamo immersi, è intrisa di quest’imperfezione, di un morbo infetto che infetta l’orizzonte esistenziale. Il divenire è indizio d’instabilità e disequilibrio. Il ‘centro immobile’ è l’imperativo che ci diciamo per fermare il moto irrequieto degli astri, per disconoscere e esorcizzare l’orror vacui che intride l’umanità ed è intuito dal profondo del nostro animo. L’amore incondizionato è un’attesa e una speranza del nostro animo, una sua ipostasi, l’oggettivazione di un suo bisogno. Il segnale che proviene dall’intimo è tradotto in ansia, inquietudine e angoscia esistenziale. La tensione fra il desiderio oggettivato e il presentimento di una falsità di fondo, si esprime in spleen, in malattia dell’anima. In Genesi, il racconto del diluvio è la perfetta perifrasi di questa tensione esistenziale. Il dono della vita non è un dono irreversibile. Il Diluvio è il messaggio che la nostra anima metabolizza e somatizza in timore e terrore e in vocazione per il sacro. Come esiste il farmaco che lenisce il dolore fisico, senza curare il male che l’origina, così pure esiste il farmaco che anestetizza il sentimento, tacitando la voce del profondo. Il farmaco è ambiguo e ambivalente, se da una parte può attenuare il dolore, dall’altra avvelena il sentimento, spegnendo le emozioni, che sono le vere cartine tornasole che indicano la gradazione di Vita che ciascuno di noi conduce.

L’esperienza noetica di cui parli, è una pessima traduzione di un’esperienza ipnotica, cioè di un’esperienza che presume l’apprendimento immediato di un qualcosa che trascende i sensi e la mente. L’ipnosi funziona così!

Ciao
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Vecchio 22-02-2008, 12.50.58   #542
Noor
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quello stanca mi trasmette un senso di "appagamento" ," ho mangiato tanto di quella cioccolata c he mi ha stancato"...bhé! questo non è rinuncia ma ricerca di nuovi piaceri
Difatti accade di cambiar strada,voltar pagina,non solo per rinuncia,ma perchè si è nauseati di quella cioccolata..sino a che ll'ultimo piacere finisce d'invischiarci...naturalmente, per "fine corsa"..
D'altronde chi lo dice che l'unica strada sia la rinuncia
(ammesso che la rinuncia sia un atto volontario o invece si tratti solo di un "accadere"..)?
PS Quel che succede ,in fondo, è uscire da un circolo vizioso,da un processo chiuso ,da un'attrazione polare che si consuma..
Ecco si..un processo che si consuma..
Vedendolo così,si va oltre d'idea duale di bene-male,retta via-errore è c'è solo la Vita..
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Vecchio 22-02-2008, 12.57.47   #543
Yam
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Originalmente inviato da fallible
" ho mangiato tanto di quella cioccolata c he mi ha stancato"...bhé! questo non è rinuncia ma ricerca di nuovi piaceri

Tornando alla parabola essa contiene tutte e quattro le nobili verita' enunciate dal Buddha.
Prima nobile verita': Dukkha, sofferenza.
Il filiol prodigo la sperimenta in se lontano dalla casa del padre come conseguenza del suo godere sfrenato della vita a causa di:
Trsna, la seconda nobile verita', il desiderio compulsivo.
Stanco di tutto questo, nauseato e sofferente egli finalmente guarisce, comprende cioe' che non vi e' che sofferenza nel cercare la felicita' negli oggetti esterni: terza nobile verita': l'estinzione della brama....la cessazione della sofferenza.
A questo punto egli intraprende il sentiero per tornare alla casa del padre: quarta nobile verita', il sentiero.


Qual'è la Nobile Verità della Cessazione della Sofferenza? E’ la completa scomparsa ed estinzione della brama, la rinuncia ad essa e il suo abbandono, la liberazione e il distacco da essa. Ma dove questa brama può essere abbandonata, dove può essere estinta? Ovunque nel mondo vi siano cose apparentemente dilettevoli e piacevoli, là questa brama può essere abbandonata, là può essere estinta. C'è la Nobile Verità della Cessazione della Sofferenza: questa fu la visione, l’intuizione, la saggezza, la conoscenza e la chiarezza che sorsero in me su cose mai udite prima. Questa Nobile Verità deve essere penetrata realizzando la Cessazione della Sofferenza.... Questa Nobile Verità è stata penetrata realizzando la Cessazione della Sofferenza: questa fu la visione, l’intuizione, la saggezza, la conoscenza e la chiarezza che sorsero in me su cose mai udite prima.
[Samyutta Nikaya LVI, 11]


Non possiamo deliberare con un atto di volonta' questo accadimento in noi, possiamo certo impegnarci in molte cose spirituali ma la vera maturazione accade nel cuore dell'uomo.

La rinuncia si puo' utilizzare, per esempio non bevo alcol perche' mi fa male....ma e' ben diverso non bere perche' non se ne sente proprio il bisogno....
Yam is offline  
Vecchio 22-02-2008, 16.20.48   #544
visechi
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SE noti, caro Yam, anche tu giri intorno al problema. Non affondi la lama nel bubbone, non lo guardi negli occhi, dimostri di avere un timore reverenziale nei suoi confronti. Il Danno è Dio, direbbe Padre Turoldo. Ti concentri sulla strada del ritorno, ma non guardi la causa prima che indusse l’abbandono. Oltre il principio – rappresentato dal desiderio compulsivo, che poi tradotto in termini spiccioli è il desiderio di conoscere – c’è un altro principio. Prima dell’incipit della Bibbia, c’è un’ulteriorità, il Principio del principio. Là risiede l’origine, la causa causante dell’incipit della narrazione sacra. Oltre quel principio, ben espresso dalla prima nobile verità, ce n’è un altro, quello che determina l’essere del Dukhka, del dolore, del male. Una dimensione ontologica, metafisica che si ripercuote nella fisicità del mondo fenomenico. Per Buddha la prima considerazione, la prima consapevolezza è: Tutto è dolore. Ma mai si sogna di spiegare il perché questa nirvanica coscienza superiore abbia disposto le cose in tal senso. Anche rilevare che il dolore è un effetto delle passioni (la seconda nobile verità), non affonda la lama nel bubbone. Buddha trattiene il suo braccio sulla soglia del baratro, senza sprofondarsi al suo interno. Sarebbe interessante poter domandarne alla Coscienza Superiore la ragione di questa brama e voluttà. C'è il dolore perché in noi c'è voluttà; ma c'è voluttà perché? La conoscenza di se stessa l’espone al ludibrio e al sospetto di una volontà supernamente egoistica. Il Libero arbitrio di matrice occidentale ben maggiormente si approssima alla fonte, ma da essa attinge solo in minima parte. Se, infatti, la libertà riconosciuta alla creatura può anche essere una risposta sensata, per altri versi si offre ad un’altra inquietante interrogazione: perché questa libertà ha condotto così lontano esseri originariamente coesi al Padre? Egli, il Padre, ella, la Coscienza Superiore, non potevano ignorare il danno emergente dalla loro brama d’amarsi. Per amor proprio, sia l’uno che l’altra, hanno sacrificato il creato, hanno sacrificato il Tutto. Questa è una volontà originaria, ante principio, da ripudiare e da maledire.
IL resto credo siano solo giustificazioni che non reggono all’ultima estrema verifica.

Ciao
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Vecchio 22-02-2008, 17.19.21   #545
fallible
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Salve e buon pomeriggio!
ammesso che la rinuncia sia un atto volontario o invece si tratti solo di un "accadere"..)?
Tutto ciò che siamo è generato dalla mente.
E' la mente che traccia la strada.
Come la ruota del carro segue
l'impronta del bue che lo traina,
così la sofferenza ci accompagna,
quando sventatamente parliamo o agiamo
con mente impura.

Tutto ciò che siamo è generato dalla mente.
E' la mente che traccia la strada.
Come la nostra ombra incessante ci segue,
così ci segue il benessere
quando parliamo o agiamo
con purezza di mente
. inizia così il dhammapada

se invece crediamo che si tratti solo di un "accadere c'è il pericolo che si cada nel nichilismo e questo non è sicuramente un karma positivo...se poi mettiamo in discussione il karma...siamo su un piano di esistenza che non percepisco
La rinuncia si puo' utilizzare, per esempio non bevo alcol perche' mi fa male....ma e' ben diverso non bere perche' non se ne sente proprio il bisogno....

se non becvo perchè mi fa male non è rinuncia ma cura di se stessi...se non né sento il "bisogno" è ovvio che non bevo, la rinuncia è bere con moderazione senza lasciarmi trascinare dal piacere di qualcosa che è impermanente; la vera rinuncia è la "comprensione" che il soddisfaciente è in realtà nnon-soddisfaciente perchè legato alle due prime nobili verità, alla brama e alla sofferenza che essa causa claudio
(
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Vecchio 22-02-2008, 17.29.20   #546
Noor
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Noi, che ci piaccia o no, siamo immersi in una dimensione – illusoria, falsa, immaginifica, irreale, fai tu – entro la quale consumiamo l’intera nostra esistenza. Viviamo di percezioni, di sensazioni dovute ai sensi (le cinque dimensioni cui ha fatto riferimento Fallible in tal senso sono più che esplicative). Soffriamo, gioiamo e viviamo immersi costantemente in questa dimensione imprescindibile: ci sfamiamo, ci dissetiamo. In essa, nel corso della vita, ciascuno di noi – nessuno escluso – entra in contatto con realtà (effimere, direte voi, vane, direbbe Qoelet) che condizionano e determinano i sentimenti (non necessariamente amorevoli, potendo anche essere di altro e opposto tenore, nel senso che non tutto è amore), i quali sono la vera espressione del profondo.
..profondo quanto mai,sempre irreale è..
Se c'illudiamo di essere quel sogno illusorio senza riuscire a vederlo..allora siamo vittime della vita-sogno che ci creiamo .
C'è un corpo che nasce ,che soffre, gioisce.. muore.Dentro questo gioco a moscaceca, non può che esserci un rincorrere o una fuga..da una parte all'altra del Sipario.
Ma ..nessuno mai nasce o muore..
Perchè non siamo quel corpo.
Quel nome..quell'ego..

"Tutto è vanità" significa proprio questo.. Tutto è illusione da riconoscere.
Ma non certo l'ego,esso stesso identificato con l'illusione.
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Vecchio 22-02-2008, 17.32.31   #547
Yam
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Visechi per me dio non esiste, o almeno il dio che concepisci tu con la tua mente. Da tempo non mi faccio piu' le domande che tu "ti e ci fai". Quel padre e quel figlio non sono due cose distinte e separate...quando incontriamo la nostra stessa natura profonda..incontriamo il padre..in noi stessi.

Ora vorrei riportare l'ultima pagina di Siddharta, di Hesse, che ritengo molto profonda e on topic in questo 3d. La dedico in particolare agli amici con cui ho interagito perche' li sentivo vicini al mio cuore...soprattutto a Tmusa autore di questo 3d...e a Fallibile che insiste col voler fare il Buddista...(.....a how..e sveiiiate! )

Govinda discepolo del Buddha, monaco e praticante incontra il suo vecchio amico Siddharta dopo molto tempo sulla riva del fiume.

dall'ultimo capitolo (Ed. Adelphi)

.....eccoti ora una dottrina della quale riderai: l'amore, o Govinda, mi sembra di tutte la cosa principale. Penetrare il mondo, spiegarlo, disprezzarlo, può essere l'opera dei grandi filosofi. Ma a me importa solo di poter amare il mondo, non disprezzarlo, non odiare il mondo e me; a me importa solo di poter considerare il mondo, e me e tutti gli esseri, con amore, ammirazione e rispetto». « Questo lo capisco » disse Govinda. « Ma appunto in ciò egli, il Sublime, riconobbe un inganno. Egli prescrisse la benevolenza, la generosità, la compassione, l'indulgenza, ma non l'amore; egli ci proibì di vincolare il nostro cuore nell'amore di cose terrene». « Lo so » disse Siddharta, e il suo sorriso pareva ora raggiante. « Lo so, Govinda. E, vedi, qui siamo proprio nel cuore delle opinioni, dei contrasti di parole. Poiché io non posso negare che le mie parole sull'amore non siano in contrasto, in apparente contrasto con le parole di Gotama. Appunto per questo diffido tanto delle parole, perché so che questo contrasto è illusorio. So che son d'accordo con Gotama. Come potrebbe non conoscere l'amore, lui che aveva riconosciuto tutta la caducità, la nullità del genere umano, eppure amava tanto gli uomini da impiegare tutta una lunga vita laboriosa unicamente a soccorrerli, ad ammaestrarli! Anche in lui, nel tuo grande maestro, mi son più care le cose che le parole, la sua vita e i suoi fatti più che i suoi discorsi : sono più importanti gli atti della sua mano che le sue opinioni. Non nella parola, non nel pensiero,vedo la sua grandezza, ma nella vita, nell'azione ».
Tacquero a lungo i due vecchi. Poi Govinda parlò, mentre s'inchinava per prendere congedo : « Ti ringrazio, Siddharta, di avermi rivelato qualcosa dei tuoi pensieri. Sono pensieri singolari, in parte, e non tutti mi sono riusciti immediatamente chiari. Ma comunque sia, ti ringrazio, e ti auguro giorni di pace ». (Ma in segreto pensava: Questo Siddharta è un uomo stupefacente, meravigliosi pensieri esprime, e la sua dottrina sembra un po' pazzesca. Ben altrimenti suona la pura dottrina del Sublime, più chiara, più pura, più razionale, e non contiene nulla di bizzarro, di pazzesco o di ridicolo. Ma ben altro che i suoi pensieri mi sembrano le mani e i piedi di Siddharta, i suoi occhi, la fronte, il respiro, il sorriso, il modo di salutare, di camminare. Mai, dacché il nostro sublime Gotama entrò nel nirvana, mai ho incontrato un uomo del quale sentissi così distintamente: costui è un santo! Soltanto lui, questo Siddharta mi ha fatto questa impressione. La sua dottrina può esser strana, pazzesche possono suonare le sue parole, ma il suo sguardo e la sua mano, la sua pelle e i suoi capelli, tutto in lui irradia una purezza, una pace, irradia una serenità e mitezza e santità, quale non ho mai visto in nessun uomo dopo la morte del nostro sublime maestro). Mentre Govinda svolgeva questi pensieri, e una contraddizione si dibatteva nel suo cuore, l'amore lo trasse a inchinarsi ancora una volta a Siddharta. Questi sedeva tranquillamente, e Govinda gli fece un profondo inchino. « Siddharta, » disse « tutti e due siamo diventati vecchi. Difficilmente ci rivedremo ancora in questa forma umana. Vedo, amico, che tu hai trovato la pace. Io riconosco di non averla trovata. Dimmi ancora una parola, o degnissimo amico, dammi qualcosa ch'io possa afferrare, ch'io possa comprendere! Dammi qualcosa che mi accompagni nel mio cammino. Spesso è gravoso il mio cammino, e spesso oscuro, Siddharta».
Siddharta taceva e lo guardava con quel suo sorriso tranquillo, sempre uguale. Govinda lo guardava fisso in volto, con ansia, con desiderio. La sofferenza d'un eterno cercare era scritta nel suo sguardo, la sofferenza d'un eterno non trovare. Siddharta guardava e sorrideva. « Chinati verso me! » sussurrò piano all'orecchio di Govinda. « Chinati verso di me! Cosi, ancora più vicino! proprio vicino! Baciami sulla sulla fronte. Govinda! ».
Ma mentre Govinda obbediva alle sue parole, meravigliato, eppure attratto dal grande amore e da una specie di presentimento, e si accostava a lui e gli sfiorava la fronte con le labbra, gli accadde qualcosa di meraviglioso. Mentre i suoi pensieri ancora s'occupavano delle meravigliose parole di Siddharta, ancora si sforzava invano, e con una certa ripugnanza, di pensare l'abolizione del tempo, d'immaginarsi nirvana e samsara come una cosa sola, mentre perfino un certo disprezzo per le parole dell'amico combatteva in lui con l'amore sconfinato e col rispetto, ecco quel che gli accadde: Non vide più il volto del suo amico Siddharta, vedeva invece altri volti, molti, una lunga fila, un fiume di volti, centinaia, migliaia di volti, che tutti venivano e passavano, ma pure apparivano anche tutti insieme, e tutti si mutavano e rinnovavano continuamente, eppure erano tutti Siddharta. Vide il volto d'un pesce, d'un carpio, con la bocca spalancata in un dolore infinito, un pesce in agonia, con gli occhi che scoppiavano - vide il volto d'un bimbo appena nato, rosso e pieno di rughe, contratto nel pianto - vide il volto d'un assassino, e vide costui piantare un coltello nella pancia d'un uomo -vide, nello stesso istante, questo malfattore incatenato e in ginocchio davanti al boia, che gli mozzava la testa con un colpo della mannaia -vide i corpi d'uomini e donne nudi, negli atti e nella lotta di frenetico amore - vide cadaveri distesi, tranquilli, freddi, vuoti - vide teste d'animali, di cinghiali, di coccodrilli, d'elefanti, di tori, d'uccelli - vide dèi, vide Krishna, vide Agni - vide queste immagini e questi volti mescolati in mille reciproci rapporti, ognuno aiutare gli altri, amarli, odiarli, distruggerli, rigenerarli, ognuno avviato alla morte, ognuno testimonianza appassionatamente dolorosa della loro caducità, eppure nessuno moriva, ognuno si trasformava soltanto, veniva un'altra volta generato, riceveva un volto sempre nuovo, senza che, tuttavia, ci fosse un intervallo di tempo fra l'uno e l'altro volto - e tutte queste immagini e questi volti giacevano, fluivano, si generavano, galleggiavano e rifluivano l'uno nell'altro, e sopra tutti v'era costantemente qualcosa di sottile, d'impalpabile, eppure reale, come un vetro o un ghiaccio sotti-lissimo, interposto, come una pellicola trasparente, un guscio o una forma o una maschera d'acqua, e questa maschera sorrideva, e questa maschera era il volto sorridente di Siddhar-ta, che egli, Govinda, proprio in quell'istante sfiorava con le labbra. E, così parve a Govinda, questo sorriso della maschera, questo sorriso dell'unità sopra il fluttuar delle forme, questo sorriso della contemporaneità sopra le migliaia di nascite e di morti, questo sorriso di Siddhar-ta era appunto il medesimo, era esattamente il costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multiru-goso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l'aveva visto centinaia di volte con venerazione. Così - questo Govinda lo sapeva - così sorridono i Perfetti.
Senza più sapere che cosa fosse il tempo, senza più sapere se questo brivido fosse durato un secondo o un secolo, senza più sapere se esistesse un Siddharta, o un Gotama, un Io o un Tu, ferito nel più profondo dell'anima come da una saetta divina, la cui ferita fosse tutta dolcezza, affascinato e sciolto nell'intimo suo, Govinda rimase ancora un poco chinato sul tranquillo volto di Siddharta, che aveva giust'ap-punto baciato, ch'era stato giust'appunto teatro di tutte quelle immagini, di tutto quel divenire, di tutto quell'essere. Il volto era immutato, dopo che la profondità delle mille rughe s'era di nuovo chiusa sotto la sua superficie, ed egli sorrideva tranquillo, sorrideva dolce e sommesso, forse molto benignamente, forse molto schernevole, esattamente com'egli aveva sorriso, il Sublime.
Profondamente s'inchinò Govinda, sul suo vecchio viso corsero lacrime, delle quali egli nulla sapeva, come un fuoco arse nel suo cuore il sentimento del più intimo amore, della più umile venerazione. Profondamente egli s'inchinò, fino a terra, davanti all'uomo che sedeva immobile e il cui sorriso gli ricordava tutto ciò ch'egli avesse mai amato in vita sua, tutto ciò che nella sua vita vi fosse mai stato di prezioso e di sacro.
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Vecchio 22-02-2008, 17.39.25   #548
fallible
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salve !
ho letto e risposto egoicamente prima di leggere il post dell'amico visechi che vede un dio cretore e quindi causa dell'inadeguatezza umana ma nelle parole del buddha e nel suo pensiero e nel , per quello che conta , mio sentire non c'è volontà creativa , il buddha prende atto di una situazione (le prime due nobili verità) e traccia una Via per uscirne fuori... il suo pensiero è molto più pragmatico di quanto si creda ciao claudio

mi sembra di aver letto che ci sono 14 domande al quale il bhudda non ha mai voluto rispondere perchè giudicate fuorvianti e non utili al fine...il raggiungimento del Nibbana ari ciao claudio
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Vecchio 22-02-2008, 17.41.36   #549
Noor
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Originalmente inviato da visechi
perché questa libertà ha condotto così lontano esseri originariamente coesi al Padre? Egli, il Padre, ella, la Coscienza Superiore, non potevano ignorare il danno emergente dalla loro brama d’amarsi. Per amor proprio, sia l’uno che l’altra, hanno sacrificato il creato, hanno sacrificato il Tutto. Questa è una volontà originaria, ante principio, da ripudiare e da maledire.
IL resto credo siano solo giustificazioni che non reggono all’ultima estrema verifica.
Sono domande dell'ego* ferito..che presume di poter fare anche l'escatologico invece di guarirne.
..E dopo liberarsene...
Come un guscio ormai vuoto, oppure per giocarci ancora,
ma sempre riconoscendo che è ..solo un guscio vuoto.

*(Quell'ego non sei tu ,Visechi..e nemmeno il nome Visechi o quello che di solito porti nel quotidiano.Ma sto parlando a Te..Quindi non sentirti giudicato,perchè non lo sto facendo)
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Vecchio 22-02-2008, 18.29.32   #550
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Originalmente inviato da fallible
"così la sofferenza ci accompagna,
quando sventatamente parliamo o agiamo
con mente impura

...così ci segue il benessere
quando parliamo o agiamo
con purezza di mente" dhammapada


se invece crediamo che si tratti solo di un "accadere c'è il pericolo che si cada nel nichilismo e questo non è sicuramente un karma positivo...
Ah sì?
E del wu-wei ,te ne sei dimenticato?
..è forse nichilismo (mente impura)
o è invece "purezza di mente" nell'accadere?
Noor is offline  

 



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