Sappiamo tutti che l'art. 67 della Costituzione, sancisce che ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza "vincolo di mandato"; e sappiamo pure , invece, che c'è chi ora vorrebbe introdurre tale vincolo.
Già, ma bisognerebbe chiedersi vincolo riguardo a che cosa: al "programma" o al "partito"?
Verrebbe da rispondere: al "programma del partito".
Sarebbe una risposta logica, la quale, però, non tiene conto di due fatti:
- che spesso, prima delle elezioni, i partiti (e soprattutto i movimenti) non presentano programmi sufficientemente circostanziati;
- che non di rado i partiti agiscono in modo difforme dai programmi che avevano presentato prima delle elezioni (come è accaduto di recente).
Ed allora, qualora su un determinato tema il programma preelettorale tacesse, o fosse ambiguo, ovvero e il partito lo disattendesse (come è accaduto di recente), A COSA IL PARLAMENTARE DOVREBBE ATTENERSI, E DA COSA DOVREBBE SENTIRSI VINCOLATO?
I casi sono due:
- o si lascia al parlamentare di decidere in coscienza quale scelta legislativa, secondo lui, è più consona alle promesse fatte agli elettori prima delle elezioni;
- oppure si lascia stabilire la cosa al partito di appartenenza, ed il parlamentare deve limitarsi ad obbedire.
Nel secondo caso, però, secondo me, più che un vincolo al "mandato" degli elettori, sarebbe un vincolo di "sudditanza" al partito (e/o al suo capo); cosa che non ritengo ammissibile, perchè, sempre in base all'art. 67 della Costituzione, i membri del Parlamento "rappresentano la NAZIONE" e non singoli soggetti o gruppi di essi (partiti, movimenti, "lobby" ecc.)
In altre parole, a mio avviso, l'eventuale "vincolo di mandato" (sempre che lo si voglia introdurre, cosa a cui io sono personalmente contrario) dovrebbe essere limitato alle promesse fatte in sede elettorale (per come le interpreta il candidato), e non ad un "vincolo di disciplina", con l'obbligo di dover obbedire sempre e comunque agli "ordini di scuderia" del partito di appartenenza.
Ed infatti, in base alla Costituzione, si votano i "candidati" appartenenti ad un partito, E NON i "partiti" di appartenenza (anche se ormai non si fa più caso alla differenza,visto come è fatta la scheda elettorale).
E' vero che un illustre e compassato esponente politico, sostenitore dell'introduzione del vincolo di mandato , ha eccepito che, però, così facendo, "l'eletto può fare, usando un eufemismo, il cazzo che gli pare"; questo può anche darsi, ma che l'eletto, invece, debba fare solo "il cazzo che pare a LUI"...a me non sembra affatto la soluzione ideale! :D
Voi cosa ne pensate?
Io penso che la cosa migliore sia che l'eletto, in quanto ELETTO, faccia il cazzo che vuole il suo elettorato. Sarei dunque d'accordo sul vincolo di mandato legato al programma preciso, chiaro e dettagliato,, e, qualora nel corso del mandato si presentassero imprevisti, deve comunque perseguire il piú possibile tutto ciò che era previsto nel programma. Io purtroppo non vedo polici davvero in gamba e risoluti, ma diciamo che se dovessi votare per forza qualcuno, il meno peggio, voterei Salvini, ma solo ed esclusivamente per quello che dice di voler fare, e se fosse eletto Presidente del Consiglio è tenuto a realizzare quanto promesso, non deve cambiare programma come accade ormai sempre, come fan tutti, motivo per cui molti cittadini non vanno piú a votare. Il mio prossimo voto sarà anche l'ultimo (sono stanca di sentirmi preaa in giro), dopodiché, se nulla cambierà... per me la democrazia sarà morta.
Ciao Farenight,
anche io potrei es :) sere d'accordo sul vincolo di mandato legato ad un programma preciso, chiaro e dettagliato; ed infatti, se di dovesse decidere di prevedere l'obbligo di mandato, dovrebbe anche essere previsto l'obbligo, per i partiti, di fornire sempre ai cittadini, prima delle elezioni, un programma preciso, chiaro e dettagliato.,
Ma, qualora nel corso del mandato si presentassero imprevisti, è vero che il parlamentare dovrebbe comunque perseguire il piú possibile tutto ciò che era previsto nel programma; ma chi è che lo stabilisce?
Il partito?
Un Gran Giurì?
Un comitato dei Garanti?
Non è mica facile deciderlo.
E poi, quali sanzioni si dovrebbero applicare a chi non si attiene al mandato, e chi dovrebbe applicarle?
Mah!
Quanto a chi votare, ovviamente, ognuno ha le sue opinioni! :)
.
Il problema è molto più vasto di quel che sembra.
Cominciamo a distinguere la democrazia rappresentativa (quella vigente) e quella diretta.
In quella diretta c'è un portavoce più che un eletto, in quanto dovrebbe essere il popolo a rattificare una legge o accettare un compromesso, quindi il soggetto sarebbe il popolo.
Ricordo che l'unica forma di democrazia diretta (molto annacquata) dovrebbe e potrebbe essere il referendum.
Nella democrazia rappresentativa, che è quella vigente ovunque, il primo problema sono i candidati ad essere eletti.
Deve esserci un buon rapporto fra società civile( il popolo) e società politica( deputati, senatori, partiti, associazioni) affinchè le scelte dei candidati possano essere oculate.
Il primo problema è quindi il "filtro" della società civile che offre candidati per la società politica.
La mediazione è da sempre rappresentata dai partiti ,che è una forma di associazione con un proprio statuto.
Quindi un partito ha una sua identità, collocazione nella dialettica storica (progressista, conservatore, di sinistra ,di destra, di centro).
Nella situazione attuale la realtà ci dice che non c'è un buon rapporto fra società civile e politica, che i partiti hanno perso una chiara identificazione ( in realtà si assomigliano soprattutto con la fine delle ideologie).
Altro aspetto importante è il come vengono quindi scelti candidati all'interno dei partiti e le condizioni legislative in merito alle elezioni (maggioritario, proporzionale).
La forma di Governo è ancora un'altro problema, in quanto se si è obbligati alle coalizioni fra partiti è ovvio che il "manifesto elettorale" viene negoziato insieme ad altri manifesti di altri partiti per trovare un compromesso e avere la maggioranza parlamentare.
Il risultato è che la forma democratica rappresentativa nel nostro Stato è ancora un gran "casino",che non contribuisce alla chiarezza fra il rapporto società civile e politica ,creando quella sfiducia che viene rappresentata dai voti "in bianco" e dall'astensionismo-
Nel merito, quel manifesto elettorale del partito e del candidato non può essere un inno qlle illusioni.
Perchè l'importante è prendersi il mandato, con i relativi privilegi e immunità e fregandosene altamente del bene comune per farsi affari privati che gli serviranno quando ritornerà, se ritornerà nella società civile.
Una cosa è opportuna fare, non si possono creare partiti o cambiare partito durante il mandato elettorale, pena le dimissioni.E' incivile prima ancor che impolitico "cambiare bandiere" o crearne altre.
Bisognerebbe anche compensare con i referendum non solo abrogativi, la democrazia diretta su alcune forme legislative .
Caro Paul11,
indubbiamente, il problema è molto più vasto di quel che sembra.
Esaminiamolo insieme.
DEMOCRAZIA DIRETTA
Nel caso della democrazia diretta <<a prescindere dal fatto che l'unica forma di democrazia diretta attualmente prevista dalla Costituzione è soltanto quella che si estrinseca con i referendum>>, il problema del vincolo di mandato non si pone proprio, perchè il cittadino decide direttamente lui, "omisso medio".
DEMOCRAZIA INDIRETTA
Quanto al fatto che, nella democrazia rappresentativa, che è quella vigente ovunque, debba esserci un buon rapporto fra società civile e società politica, affinchè le scelte dei candidati possano essere oculate, penso che siamo tutti d'accordo.
Così come siamo d'accordo che il primo problema è il "filtro" della società civile che offre candidati per la società politica, e che la mediazione è da sempre rappresentata dai partiti.
Quanto al fatto che oggi i partiti abbiano ancora una loro identità e una precisa collocazione nella dialettica storica, ne dubito molto; ed infatti, come tu giustamente scrivi, nella situazione attuale la realtà ci dice che NON c'è un buon rapporto fra società civile e politica, e che i partiti hanno perso una chiara identificazione ( in realtà si assomigliano soprattutto con la fine delle ideologie).
Non avrei saputo scriverlo meglio di così!
Di conseguenza, quello che è cruciale è il SISTEMA ELETTORALE, nonchè la FORMA PARLAMENTARE (e governativa) che ne scaturirà.
Però non sono molto d'accordo con le tue conclusioni.
Ed invero, pur ammettendo che il "manifesto elettorale" del partito e del candidato non può che essere un inno alle illusioni, e che per molti candidati l'importante è prendersi il mandato, con i relativi privilegi e immunità e fregandosene altamente del bene comune per farsi affari privati che gli serviranno quando ritornerà, se ritornerà nella società civile, da questo, però, non ne consegue che sia lecito, opportuno ed utile, demandare tutto alla "disciplina" di partito, obbligando i parlamentari ad obbedire ai "capibastone" (come tanti obbedienti Ascari), anche quando detti "capibastone" assumono orientamenti e decisioni palesemente diverse da quelle proclamate prima delle elezioni; ed invero, anche volendo ammettere che la maggior parte dei candidati siano dei "mezzi delinquenti", allora bisognerebbe di conseguenza pure ammettere che alcuni partiti sono delle "vere e proprie associazioni a delinquere", capitanate da Ducetti che fanno il comodo loro.
Per cui, consentire a questi ultimi "poteri di vita e di morte" (parlamentare), sui parlamentari del loro schieramento, mi sembra la cosa più dissennata che si possa fare.
Caro Eutodemo,
stante la situazione attuale è fondamentale il sistema elettorale e la forma di governabilità .
Arriverei persino a dire che la magistratura dovrebbe essere eletta dal popolo, così come ovviamente il il Parlamento, e forse sarebbe meglio il presidenzialismo con voto diretto da parte del popolo(come in USA).
Sulle conclusioni forse non mi sono fatto capire, perchè è tutt'altro quello che desideravo esprimere.
Bisogna cercare di farla finita con il marketing politico, vale dire presentare i candidati come spot pubblicitari.
la politica, se è ancora una cosa seria, non è una merce da acquistare illudendo il potenziale consumatore e quindi torna il tuo problema posto nella discussione sul vincolo di mandato e/o di disciplina.
Il problema che già appariva al tramonto dei partiti ideologici è la rincorsa verso il "centralismo". Non essendoci più una vera destra e una vera sinistra, ma un entro-sinistra e un centro-destra, il voto è diventato di fato di scambio e non per fede politica e ideale sociale. Il marketing politico appare appunto per la tipologia di consenso elettorale da catturare con il voto essendo finito il voto per fede o ideale.
Il problema è il progetto e il programma politico, economico sociale è quì che i partiti hanno smesso di essere associazione culturale, promotori e coagulatori sociali di confronto.Quella disciplina di partito era fondata su un programma o di governo o di opposizione, ma con contenuti.Francamente oggi si vede poco o nulla di originale, ma temo anche per mancanza nella società civile di idee, direi addirittura per mancanza di filosofia politica più che di scienza politica. Per esempio Antonio Gramsci, Benedetto Croce, Giovanni gentile, erano uomini di cultura, filosofi,
Ma ancor più il mio timore maggiore è la voluta scelta dei partiti di non avere più a che fare con la uomini di cultura e cultura in generale, ma con personaggi che costruiscono lì"immagine", che scrivono ciò che l politico dirà e come dovrà dirlo ,Noi siamo, ma lo è da tempo gli USA soprattutto, dentro un immenso spot politico, dove iil controllo dei mass media e il consenso con i proprietari editoriali , è diventato fondamentale.
Ma quanto è cosciente di tutto questo il popolo? Forse non c'è una coscienza culturale della politica sufficiente, ma sicuramente c'è una profonda disillusione che allontana i giovani dal desiderio e dalla passione di far politica culturalmente, di progettare, di creare nuove vie ,di riformulare storicamente il pensiero politico.
Il popolo semplicemente reagisce non votando , perchè si può illudere una volta, magari due, poi anche un consumatore una volta acquistato il prodotto se si accorge che è stato preso in giro ,non riacquista.
Come ho scritto nel precedente post il vincolo di mandato almeno si esplica nel non poter cambiare bandiera politica, perchè se un candidato è stato eletto in una lista partitica ha creato gioco forza un legame con quel programma politico essendone compatibile.
Un uomo politico può benissimo essere contrario al programma politico dei congressi che si succedono nei partiti e contro la mozione finale,Ma quì deve fare una scelta di compatibilità e opposizione interna al partito oppure se ne va se è stato eletto nelle file di quel partito, si deve dimettere se vuole essere coerente,
E' ovvio che il partito conta, perchè cambiano gli uomini, ma il partito ha una sua continuità storica che lo identifica, ma sono nello stesso tempo gli uomini che fanno il partito,che costruiscono le gerarchie fino al segretario politico, quindi è ovvio che c'è una disciplina interna, perchè è il segretario politico del partito che negozia,contratta con gli altri partiti per la formazione del Governo, nell'attuale sistema.
Caro Paul11,
hai ragione: un uomo politico può benissimo essere contrario al programma politico dei congressi che si succedono nei partiti e contro la mozione finale; ma, in tal caso, dovrebbe fare una scelta di compatibilità e opposizione interna al partito oppure dovrebbe andarsene da quel partito. :)
Però, nel caso in cui sia il partito a disattendere le promesse "programmatiche" fatte agli elettori prima delle elezioni, mentre invece il parlamentare vorrebbe mantenerle, perchè mai costui dovrebbe dimettersi anche da parlamentare, se volesse esprimere un voto coerente col programma sulla base del quale è stato eletto?
Uscire da partito, lo capisco, ma dimettersi da parlamentare no, in quanto il rapporto di fiducia prevalente è con gli elettori, non con il partito; ed invero, per quanto possa essere rilevante il ruolo dei partiti, i cittadini eleggono "i parlamentari" (che potrebbero anche non far parte di nessun partito), mica "i partiti". ;)
Citazione di: Eutidemo il 10 Aprile 2017, 07:08:24 AMCaro Paul11, hai ragione: un uomo politico può benissimo essere contrario al programma politico dei congressi che si succedono nei partiti e contro la mozione finale; ma, in tal caso, dovrebbe fare una scelta di compatibilità e opposizione interna al partito oppure dovrebbe andarsene da quel partito. :) Però, nel caso in cui sia il partito a disattendere le promesse "programmatiche" fatte agli elettori prima delle elezioni, mentre invece il parlamentare vorrebbe mantenerle, perchè mai costui dovrebbe dimettersi anche da parlamentare, se volesse esprimere un voto coerente col programma sulla base del quale è stato eletto? Uscire da partito, lo capisco, ma dimettersi da parlamentare no, in quanto il rapporto di fiducia prevalente è con gli elettori, non con il partito; ed invero, per quanto possa essere rilevante il ruolo dei partiti, i cittadini eleggono "i parlamentari" (che potrebbero anche non far parte di nessun partito), mica "i partiti". ;)
Caro Eutidemo, bene, ecco che si evidenziano le ambiguità che persino il "novello" 5Stelle ha suo malgrado: da gestire.Chi decide le liste elettorali e le gerarchie (capolista a poi a discendere) nei vari distretti elettorali se non il partito nelle sue sedi locali ocentrali?Il popolo vota il partito o la persona? Più ci allontaniamo dal paesino in cui tutti si conoscono e allarghiamo allo smisurato sistema Stato e più dobbiamo fidarci senza conoscere la persona, ci fidiamo del suo "spot" pubblicitario, per forza di cose sì.Quindi il problema diventa :quale controllo ha il popolo nell'attuale sistema elettorale?Ci dobbiamo fidare dell'onestà intellettuale, morale del candidato e perchè "ci piace"? Ad adesso direi di sì perchè questo è il sistema.Il problema diventa che una volta che si eletti, bisogna tenerseli sino alla fine del mandato che la Costituzione ha sancito, salvo "cadute" dei Governi, e scioglimento delle Camere da parte del Presidente della repubblica., a prescindere dall'onestà o disonestà intellettuale
Quindi il voto per l'eletto è del popolo , ma il filtro del partito è fondamentale.
Il deputato o senatore generalmente una volta fuoriuscito dal partito di origine va nel gruppo misto di centro sinistra/ destra: e nn conta niente.
E' fortemente ambiguo questo nostro sistema attuale, perchè la Costituzione sottovaluta il ruolo fondamentale dei partiti nella formazione delle liste, nelle gerarchie delle liste stesse, nel ruolo della mediazione negoziale nella formazione del Governo, nel ruolo della consultazione da parte del presidente della repubblica, nel ruolo di portavoce in camera o Senato.
Il problema è che IL VERO E REALE POTERE POLITICO se lo hanno i partiti e non i singoli eletti, in quanto il partito è il luogo della "presa di posizione" su leggi e negoziazioni interne nell'agone politico", il sistema Costituzionale dovrebbe decidere e sancire i ruoli chiarendo i rapporti democratici. Se i segretar idi partito sono fondamentali ,allora si vada al sistema Presidenziale, con voto diretto del Popolo, perchè questo attuale sistema non evidenzia le trame del sottobosco politico (formazione candidature, governi ombra,ecc.), negando quel principio di TRASPARENZA che l'elettorato, vale a dire il popolo sovrano deve necessariamente conoscere per poter scegliere. Lo sappiamo tutti che nel voto alle leggi si evidenziano "franchi tiratori" perchè il partito decide se accettare ,opporsi o astenersi da una legge in quanto la mediazione negoziale fra i partiti e non fra i deputati singoli e i senatori ha portato a determinate scelte, per cui il singolo eletto è comunque controllato dal partito e non dal popolo in Parlamento.
Il problema è togliere le ambiguità e dare trasparenza al popolo sovrano.
Quanti partiti abbiamo visto nascere e sparire negli ultimi trent'anni (senza andare all'inizio della Repubblica)?
Il partitismo diventa il luogo dello scranno sepolcrale a vita di troppi personaggi che campano per prendersi i privilegi e contare praticamente nulla. politicamente. Questo non è pluralismo democratico, questa è cacofonia politica.
Se pochi contano è inutile fingere e costruire ridondanze di false democrazie che portano a plutocrazie,
.
Bisogna far emergere chi conta davvero, i segretari politici usciti dai congressi di partito e chiedere loro trasparenza, perchè sono loro a decidere il "disciplinario" interno al partito con organismi come i probiviri o il controllo dei finanziamenti e spese interne.
Se vogliamo toglier il "bluff", il sistema deve rapportarsi al reale potere politico e non alla pseudo democrazia, vale adire la Costituzione deve aggiornarsi al reale potere politico
Eutidemo dice: "Ma, qualora nel corso del mandato si presentassero imprevisti, è vero che il parlamentare dovrebbe comunque perseguire il piú possibile tutto ciò che era previsto nel programma; ma chi è che lo stabilisce?
Il partito?
Un Gran Giurì?
Un comitato dei Garanti?"
Per esempio si potrebbe adottare il sistema del M5S, cioè attraverso le consultazioni online.
Paul, il popolo non reagisce soltanto non votando (almeno non nel mio caso), ma alcuni cercano di creare qualcosa di nuovo, com'è succeso col M5S, probabilmente nasceranno nuovi movimenti e nuovi partiti perché la gente è stufa non solo di essere presa in giro, ma di non essere rappresentata affatto, di veder soccombere tutti i valori in cui credeva e i diritti conquistati e probabilmente si sceglierà la democrazia diretta, con la speranza che questo accada prima di attraversare il punto di non ritorno, perché con lo sciocco libertarismo europeo, l'egualitarismo ebete portato avanti dalle sinistre e l'immigrazione selvaggia cui stiamo assistendo passivamente dementi e sorridenti, tipo "cornuti e contenti", non vorrei ci ritrovassimo tra qualche decennio con una sorpresa non gradita, di partiti politici tendenti alla teocrazia che cominceranno a dettare leggi davvero. Badate bene che non è fantapolitpca, il rischio c'è, basta essere realisti e guardare cosa si agita intorno... alle nostre democrazie. Se l'Occidente ha tentato (invano) di "esportare" la democrazia in Oriente, il Medio Oriente sta tentando di infiltrare la teocrazia in Occidente. Ci riuscirà? Sí, se non ci libereremo della sinistra, di questa sinistra, a mio avviso malata, fallimentare (che probabilmente non piace neanche a molti di voi di sinistra) ma che vuole sopravvivere a tutti i costi.
Paul dice: "La mediazione è da sempre rappresentata dai partiti ,che è una forma di associazione con un proprio statuto. Un partito ha una sua identità, collocazione nella dialettica storica (progressista, conservatore, di sinistra ,di destra, di centro)."
Ecco ciò che manca per esempio al M5S; è un Movimento senza una chiara identià (e questo non consente di far nascere un movimento analogo ma decisamente di destra) ; non si capisce se è progressista, conservatore, di sinistra, di centro o di destra, anche se molti esponenti sono evidentemente di sinistra, manca tuttavia di una chiara definizione ideologica di base, prende (e cambia) decisioni di volta in volta, l'unico filo conduttore che unisce i suoi elettori ed i suoi militanti è il suo unico cavallo di battaglia: l'onestà. Ma l'onestà, pur essendo un requisito fondamentale per il buon governo, non è e non può essere l'unico, occorre anche definire valori e ideologia di riferimento su cui basare programmi e scelte politiche.
Citazione di: Fharenight il 10 Aprile 2017, 10:39:38 AMEcco ciò che manca per esempio al M5S; è un Movimento senza una chiara identià (e questo non consente di far nascere un movimento analogo ma decisamente di destra) ; non si capisce se è progressista, conservatore, di sinistra, di centro o di destra, anche se molti esponenti sono evidentemente di sinistra, manca tuttavia di una chiara definizione ideologica di base, prende (e cambia) decisioni di volta in volta, l'unico filo conduttore che unisce i suoi elettori ed i suoi militanti è il suo unico cavallo di battaglia: l'onestà. Ma l'onestà, pur essendo un requisito fondamentale per il buon governo, non è e non può essere l'unico, occorre anche definire valori e ideologia di riferimento su cui basare programmi e scelte politiche.
Quello è un movimento molto moderno, addirittura ipermoderno: in una società nichilistica come quella odierna nessun valore e nessun fine è più concepibile, per cui hanno inventato un movimento basato esclusivamente sul mezzo, sugli strumenti per decidere (anche se sono ancora in via di "implementazione" con il nuovo software Rousseau), ove il merito della decisione non ha importanza alcuna. Il non avere alcuna idea di base riconoscibile e la necessità intrinseca di esprimerne di contraddittorie (né di destra né di sinistra) è funzionale all'acquisizione del consenso poichè ognuno, di qualunque "fazione" faccia parte, vi si può almeno parzialmente riconoscere e l'espressione sempre criptica e mai chiara e definita di queste "idee secondarie" mette chiunque in condizione di poterle interpretare adattandole al proprio modo di pensare. Una dimostrazione plastica di questa schizofrenia politica sta nel fatto che dopo il fallito tentativo di allearsi con i liberali europei due deputati al Parlamento Europeo sono usciti dal movimento andando a piazzarsi in formazioni fra loro antitetiche (uno con i verdi e l'altro con la Le Pen).
Per quanto concerne l'onestà questa parola non significa solo "non rubare", ma anche e soprattutto "non ingannare" e da questo punto di vista i pentastellati sono fra i più disonesti che vi siano: se non hanno rubato soldi pubblici (ma del resto è l'occasione che fa l'uomo ladro e loro non è che abbiano avuto 'ste grandi occasioni, poi vedremo) hanno però ingannato milioni di persone facendo credere loro che erano più capaci, più competenti, più bravi, più intelligenti di quegli altri, e poi si sono visti e si vedono quotidianamente i risultati. Forse che i "vertici" del movimento hanno l'onestà intellettuale di ammettere che vorrebbero governare l'Italia pur non essendo in grado di gestire nemmeno una paninoteca? La loro disonestà sta appunto nel non ammettere la loro totale incompetenza, la loro completa inesperienza (come il deputato che possedeva una latteria e per questo voleva fare il ministro dell'agricoltura), e il fatto che centinaia di loro siano profumatamente pagati con soldi pubblici per andare nelle istituzioni ad "imparare" quando di solito prima si impara a proprie spese e solo dopo coloro che hanno imparato meglio potranno esprimersi nelle istituzioni è molto simile ad un furto, come uno studente di medicina che inizia ad operare al primo anno con lo stipendio di un primario, e quindi anche dal punto di vista del "non rubare" l'onestà è quantomeno in dubbio.
Caro Paul11,
bella domanda: ll popolo vota il partito o la persona?
In effetti, hai ragione nel dire che, più ci allontaniamo dal paesino in cui tutti si conoscono e allarghiamo allo smisurato sistema Stato e più dobbiamo fidarci dei partiti, senza conoscere la persona; però, se questo era vero al "cento per cento" all'epoca dei MEDIA A STELLA (TV e giornali), adesso è un po' meno vero ai tempi dei MEDIA A RETE, in cui la comunicazione è orizzontale, e puoi conoscere chiunque direttamente sui suoi blog, su FB, twitter e altrove.
Il mondo stesso è diventato un "paesino", non solo l'ITALIA (proprio ieri il mio Avatar stava discutendo con quello di un cinese di Shangai, su Second Life)!
Però hai pur sempre ragione: il voto per l'eletto è del popolo , ma il "filtro" del partito è importante.
Ma un conto è un "filtro", ed un altro conto è un "giogo"!
Peraltro, non è affatto vero che il deputato o senatore una volta fuoriuscito dal partito di origine va nel gruppo misto di centro sinistra/ destra, e non conta più niente; ed infatti si vota "pro capite", non "per schieramenti" (come negli Stati Generali).
Però è vero che è fortemente ambiguo questo nostro sistema attuale, perchè:
- la Costituzione sottovaluta un po' il ruolo dei partiti nella formazione delle liste, nelle gerarchie delle liste stesse, nel ruolo della mediazione negoziale nella formazione del Governo;
- i partiti, invece, sopravvalutano un po' troppo la loro funzione, volendosi rendere "domini" assoluti delle deliberazioni parlamentari (anche, magari, su temi etici);
Quanto al sistema Presidenziale, con voto diretto del Popolo, credo che sia il sistema meno adatto per un popolo uso a farsi abbindolare da carismatici "istrioni"; che poi li aggiogano come somari al loro carro.
Dio ce ne guardi! ::)
Cara Fharenight,
il sistema del M5S, cioè attraverso le consultazioni online, forse, potrà andar bene quando tale sistema sarà soggetto a più idonee forme di garanzia e controllo informatico; il che, almeno per ora, non mi sembra ancora che sia.
Però è un ottima idea, e forse, in futuro potrà essere adottato anche per le elezioni politiche vere e proprie!
Quanto ai tuoi timori circa l'instaurazione di una "teocrazia" di tipo semita in occidente, sinceramente mi sembra un rischio molto ipotetico; sebbene bisogna riconoscere che al Papa, circa 1500 anni fa, il colpaccio riuscì perfettamente! :D :D :D
Quanto a liberarsi della sinistra, per eliminarla, bisognerebbe prima riuscire a scovarla; ma, per ora, qualunque ricerca è risultata senza esito. :D :D :D
Quanto al M5S, in effetti, è un Movimento senza una chiara identià; non si capisce se è progressista, conservatore, di sinistra, di centro o di destra; il suo unico cavallo di battaglia è l'onestà.
Ma direi che questo è il "minimo sindacale" per tutti, dall'idraulico al chirurgo; e, se devo essere operato, non è che la prima cosa di cui mi vado a preoccupare è di sapere se il chirurgo è onesto e incorruttibile!
Voi? ;D ;D ;D
Caro Donquixote,
Hai perfettamente centrato il "trucco" strategico del M5S.
Ed infatti il non manifestare alcuna idea di base riconoscibile, e il fatto di esprimerne di contraddittorie (né di destra né di sinistra) è funzionale all'acquisizione del consenso poichè ognuno, di qualunque "fazione" faccia parte, vi si può almeno parzialmente riconoscere; è lo stesso sistema che usava il movimento Qualunquista di Guglielmo Giannini.
Ed invero, a parte il fatto che dopo il fallito tentativo di allearsi con i liberali europei due deputati al Parlamento Europeo sono usciti dal movimento andando a piazzarsi in formazioni fra loro antitetiche (uno con i verdi e l'altro con la Le Pen), ancora più sintomatico della strategia di cui sopra, è che, riguardo all'EURO, dicono TUTTO E IL CONTRARIO DI TUTTO.
Però, al riguardo, sono tutti d'accordo su una sola cosa: cioè, di lasciar decidere al popolo con un REFERENDUM (cioè, pilatescamente, "fate vobis").
Peccato, però:
1) Che, in tale materia, il REFERENDUM non si possa fare (ex art. 75 della Costituzione), per cui, al massimo, ci si dovrebbe limitare a promettere di proporre una legge di riforma costituzionale che lo consenta; per la quale, però, non saranno mai in grado di raggiungere la "maggioranza qualificata" necessaria.
2) Che, in tale tecnicissima materia, non si può semplicemente demandare una scelta "secca" al popolo, perchè, anche posto che si voglia uscire dall'EURO, quello che si deve necessariamente fare è scegliere COME; e questo lo può fare solo un Governo (serio).
Sono anche d'accordo con te, sul fatto che, il non ammettere la loro incompetenza e la loro inesperienza, in fondo, è anche questa una forma di disonestà.
***
Il guaio è, però, che, pur dicendo tutto il male possibile del M5S, non è poi che io trovi molto meglio da dire delle altre forze politiche.
Per cui penso proprio che, sulla scheda elettorale, darò un "voto" eguale a tutti, scrivendo sotto il simbolo di ognuno: TRE MENO MENO (studia meglio la prossima volta, e forse ce la farai ad arrivare al QUATTRO alle prossime elezioni). ;D ;D ;D
Cosa che, vi confesso, HO FATTO SUL SERIO ALLE ULTIME ELEZIONI.
***
Citazione di: Eutidemo il 10 Aprile 2017, 15:47:18 PM
Quanto ai tuoi timori circa l'instaurazione di una "teocrazia" di tipo semita in occidente, sinceramente mi sembra un rischio molto ipotetico; sebbene bisogna riconoscere che al Papa, circa 1500 anni fa, il colpaccio riuscì perfettamente! :D :D :D
Eh, visto? :D Quindi, mai abbassare la guardia!
E pensa che il colpaccio del Papa (ormai son tutti pacifisti e quest'ultimo è pure di sinistra) in confronto al colpaccio che potrebbero fare altri teocratici semiti non è niente!
Non sono molto tranquilla, se quelle che vediamo attualmente sono le premesse, un pochino mi preoccupo, non perché credo nella particolare astuzia dei "teocratici allogeni", quanto per il sempre piú evidente ottundimento della ragione dei laici occidentali... di sinistra.
Citazione
Quanto a liberarsi della sinistra, per eliminarla, bisognerebbe prima riuscire a scovarla; ma, per ora, qualunque ricerca è risultata senza esito. (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/cheesy.gif) (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/cheesy.gif) (https://www.riflessioni.it/logos/Smileys/default/cheesy.gif)
E la sinistra mi preoccupa anche per altri motivi. Forse non è la sinistra che piace a te, quella che non vedi piú, ed infatti si è trasformata, è diventata rappresentanza del neo capitalismo. Altro che progressista! Il vero progresso che sta tutelando e favorendo è quello del capitale che, come ho già scritto in un altro topic, nel frattempo ha già raggiunto vertici enormi con la globalizzazione (tanto amata dalla sinistra) e la sua grandiosa corsa verso l'annichilimento dei diritti e delle conquiste sociali (attraverso la precarizzazione del lavoro ma anche grazie all'immigrazione di massa fatta passare per fenomeno normale).
Forse mi dovrò assentare per qualche tempo, oppure fare interventi "a scartamento ridotto".
Per cui scusatemi se non risponderò tempestivamente a tutti :)
Citazione di: Eutidemo il 10 Aprile 2017, 15:26:04 PM
Caro Paul11,
...................................................
Quanto al sistema Presidenziale, con voto diretto del Popolo, credo che sia il sistema meno adatto per un popolo uso a farsi abbindolare da carismatici "istrioni"; che poi li aggiogano come somari al loro carro.
Dio ce ne guardi! ::)
Eppure obbliga i partiti a coalizzarsi subito prima delle elezioni, come con le elezioni dei sindaci e quindi c'è più chiarezza sul mandato
Per quanto riguarda 5Stelle e i partiti in generale, sono d'accordo sulle analisi di Donquixote.
Il grande problema che una volta esisteva una destra sociale e una sinistra sociale. Si è persa la cultura e la capacità di analisi politica de ltessuto civile e sociale e gli opportuni metodi amministrativi e organizzativi delle funzioni dello Stato.
Oggi abbiamo un cretinismo galoppante trasversale, sbagliano persino le stesure delle normative.
Oggi vivono su statistiche di opinioni generali perdendo il contatto con le problematiche che vive quotidianamente il popolo
Se un politico perde la sensibilità sociale, vuol dire che anche un eskimese potrebbe comodamente governarci dal circolo polare artico senza conoscere l'Italia, basta guardare qualche indicatore e pensare di governarla ..........in remoto......ed è quello che si sta facendo.
Cara Fharenight,
sarei anche d'accordo sulle tue critiche alla sinistra, se la destra non stesse facendo anche di peggio:
Ed invero, la "destra" manifesta palesemente due anime radicalmente diverse:
1) Una "moderata" e "pro-establishement".
2) Una "sciovinista" e "anti-establishment".
E' un po' la stessa antitesi che c'era, "once upon a time", tra PLI e MSI.
Non vedo cosa mai possano combinare insieme! ::)
l'essere favorevoli o contrari al vincolo di mandato rimanda a una questione classica e più ampia: la politica è un mestiere o no? Cioè, il fare politica, cioè il saper adeguatamente rispondere alle istanze della comunità presuppone delle doti particolari, un certa formazione culturale, gli inglesi direbbero background, oppure è sufficiente un sapere generico, tanto che a fare carriera politica in modo più o meno brillante, si sono succeduti economisti, avvocati, imprenditori, filosofi, persino calciatori... Nel primo caso il vincolo di mandato andrebbe respinto in quanto sovrapporrebbe alla necessità per un politico di prendere decisioni impopolari ma giuste, decisioni che fanno nel lungo periodo bene alla comunità, ma che la comunità potrebbe nell'immediato non capire, gli umori e gli istinti spesso irrazionali della maggioranza. Nel secondo caso invece sarebbe necessario introdurre il vincolo: cioè nel momento in cui viene negata alla politica un proprio sapere specifico che ne funga da base, l'unico criterio per valutare il bene della politica è il consenso maggioritario quantitativo, dunque se un politico finisce con l'agire in contrasto con il programma con cui è stato eletto a maggioranza allora tradisce il mandato con gli elettori e dovrebbe essere rimosso. Personalmente pur avendo dubbi sulla legittimità della definizione di "mestiere", credo che la politica un proprio sapere tecnico specifico lo abbia, che non possa essere fatta da tutti, (se così non fosse non ci sarebbero politici migliori di altri, che cosa farebbe la differenza?) che spesso le decisioni migliori finiscono con l'essere quelle nell'immediato più impopolari, e quindi che sia necessario, nella dinamicità delle situazioni storiche, che un politico si trovi costretto a modificare il proprio programma elettorale iniziale per garantire il bene comune in modo più efficace che una rigida fedeltà a quel programma, oppure il politico può valutare a posteriori che alcuni punti di quel programma iniziale era in partenza errato e quindi cerchi di approntare delle modifiche. Senza contare che potrebbe essere lo stesso corpo elettorale a cambiare idea rispetto al programma che aveva inizialmente sostenuto a maggioranza, e in questo caso sarebbe proprio la fedeltà al programma che condurrebbe il candidato a non essere più rappresentativo della volontà popolare! Insomma il vincolo di mandato sarebbe un'inutile stress che intralcerebbe il lavoro del politico che consiste nel prendere decisioni che sono razionali ma a volte impopolari. Io credo che regolari elezioni al termine di un intero mandato, 4 o 5 anni, sia un compromesso sufficiente tra due princìpi entrambi basilari in una democrazia matura, rappresentatività da un lato e rispetto di alcune competenze che il politico dovrebbe possedere e che potrebbero portarlo ad agire per il bene comune meglio di quanto potrebbe nell'immediato concepire la maggioranza della comunità dall'altro. 4, 5 anni dovrebbero essere un periodo sufficiente perché il popolo possa rendersi contro in modo sufficientemente razionale delle competenze di chi ha eletto, un buon equilibrio che eviti gli errori estremi e tra loro opposti della demagogia e della tecnocrazia
Alcune riflessioni provocatorie sulla democrazia e sul ruolo del politico-amministratore in relazione al vincolo di mandato.
Sebbene non sia un difensore dell'attuale Costituzione Italiana, l'articolo in questione che esclude il vincolo di mandato è una norma saggia, da salvaguardare. Il principio dell'autonomia, indipendenza di ogni assemblea è strettamente correlato al fatto che le decisioni, deliberazioni siano votate dai singoli componenti dell'assemblea in piena libertà.
E' naturale che i sedicenti sostenitori della democrazia diretta non comprendano la portata di questo principio: infatti l'unica assemblea valida in coerenza con il principio della democrazia diretta sarebbe quella formata dall'intero popolo, da tutti i cittadini con diritto di voto. Discutere di vincolo di mandato da parte di chi propone la democrazia diretta è una contraddizione in termini, segno di confusione e di ignoranza. L'unica giustificazione è che esempi di democrazie dirette finora non si sono avuti, il che mi sembra molto indicativo: nemmeno la gestione di una piccola associazione bocciofila è realizzabile sulla base della democrazia diretta degli associati.
Personalmente trovo che il riferimento alle figure giuridiche del mandante o del rappresentante per giustificare il ruolo del politico funzionario pubblico siano fuorvianti, mistificatorie. Un pessimo lascito di una concezione della politica come servizio altruistico: immaginare che il politico faccia gli interessi degli altri sacrificando i propri è un inganno. In realtà il politico è un amministratore che fa principalmente e prioritariamente i propri interessi, sulla base di un proprio progetto o programma, quando prende le decisioni all'interno dell'assemblea, non gli interessi del partito né tanto meno del popolo.
Caro Paul11
è vero, obbliga i partiti a coalizzarsi subito prima delle elezioni, come con le elezioni dei sindaci e quindi c'è più chiarezza sul mandato; però, dopo le elezioni, le coalizioni si sfaldano, e i "partitini" in Parlamento diventano ancora più numerosi che in un sistema proporzionale.
In quest'ultimo caso, almeno, si sa a cosa si va incontro, ed il numero dei partiti in parlamento è limitato dalle "soglie di sbarramento".
Quanto al passato, in effetti, il panorama era un po' più articolato, perchè esistevano:
- sia una destra sociale (fascista) rappresentata dal MSI;
- sia una destra economica (capitalista) rappresentata dal PLI;
- sia una sinistra non marxista rappresentata dal PRI;
- sia una sinistra marxista, rappresentata dal PSI (moderato) e dal PCI (estremista).
Per il resto, condivido la tua analisi quando scrivi che ormai si è persa la cultura e la capacità di analisi politica del tessuto civile e sociale e gli opportuni metodi amministrativi e organizzativi delle funzioni dello Stato; e che oggi impera un cretinismo ed una ignoranza trasversale galoppanti.
Forse non era del tutto sbagliato quanto avveniva ai tempi dei Liberi Comuni italiani, che, proprio per mantenere la propria libertà, nominavano per governarli un "Podestà Straniero" (visto che le fazioni interne miravano solo ai loro interessi privati, ed a prevalere sulle altre).
Davinto, parti dal presupposto che il popolo sia costituito da una massa, se non di imbecilli, certamente di incompetenti, ma non è così, anzi, oggi urge più che mai il dovere di ogni cittadino di informarsi e farsi una cultura politica proprio per poter scegliere adeguatamente sia la persona da eleggere che un programma politico, poi sarà il politico, ben preparato e capace, a portare avanti le istanze del suo elettorato e già per questo godrà di privilegi e di un lauto stipendio; per il resto deve svolgere il suo dovere: fedeltà all'elettorato. Altrimenti cadiamo nella trappola della "teoria delle élites", degli oligarchi, cioè di quei pochi eletti, ritenuti, a ragione o a torto, i soli capaci di sapere e decidere come devono andare le cose. Sinceramente io ne ho piene le scatole di questo modo di fare (per noi di subire) politica, che è poi, in effetti, quella attuale; si vedano tutte le decisioni della Ue.
Caro Davintro,
siamo d'accordo "quasi" su tutto!
Ed infatti, a mio avviso, quello del "politico", pur non essendo un mestiere, "dovrebbe" indubbiamente presupporre un certa specifica formazione culturale (che gli inglesi denominerebbero "background"), come, in effetti, avveniva nei grandi partiti politici di una volta; ma, se non proprio una formazione culturale specifica, quantomeno un minimo di cultura generale.
Tuttavia, in una democrazia liberale, non si può certo imporre il superamento di un esame, per candidarsi alle elezioni; dovrebbero essere gli elettori a sottoporre i candidati a tale esame (anche se mi rendo conto che si tratta di una visione MOLTO ottimistica e ben POCO realistica, purtroppo).
Occorre, comunque, distinguere (come dici giustamente tu) la figura dello "statista" da quella del semplice "politico", il quale "statista" deve saper prendere decisioni impopolari ma giuste, decisioni che fanno nel lungo periodo bene alla comunità, ma che la comunità potrebbe nell'immediato non capire.
Tutto ciò, però, non mi sembra avere molto a che fare con il "vincolo di mandato", giacchè sulla scheda elettorale non è mica possibile distinguere tra:
- STATISTA, che può agire per il bene della collettività, essendo per questo sciolto da qualsiasi "vincolo di mandato";
- POLITICO "semplice", che, invece, è soggetto al "vincolo di mandato".
Peraltro, nel caso in cui si scelga di optare per il "vincolo di mandato" A COSA IL PARLAMENTARE DOVREBBE ATTENERSI, E DA COSA DOVREBBE SENTIRSI VINCOLATO?
Come dicevo, infatti casi sono due:
a) o si lascia al parlamentare di decidere in coscienza quale scelta legislativa, secondo lui, è più consona alle promesse fatte agli elettori prima delle elezioni;
b) oppure si lascia stabilire la cosa al partito di appartenenza, ed il parlamentare deve limitarsi ad obbedire.
Ma io mi chiedevo:
- CHI (in seno al partito) dovrebbe verificare che ha agito in contrasto con il programma con cui è stato eletto a maggioranza?
- DA COSA dovrebbe essere rimosso, dal suo partito o dal ruolo di parlamentare?
- COME dovrebbe essere rimosso?
Tutte domande a cui è difficle rispondere!
Personalmente, perciò, io sono contrario al "vincolo di mandato", perchè, come giustamente osservi tu, nella dinamicità delle situazioni storiche (se REALI), può talvolta rivelarsi inevitabile che un politico si trovi costretto a modificare il proprio programma elettorale iniziale per garantire il bene comune in modo più efficace che una rigida fedeltà a quel programma.
Sono un po' meno d'accordo, invece, sul fatto che il politico possa valutare a posteriori che alcuni punti di quel programma iniziale era in partenza errato e quindi cerchi di approntare delle modifiche, senza che sia sopravvenuta nessuna circostanza specifica che giustifichi il suo cammbio di orientamento; questo, secondo me, lo può fare solo dopo le successive elezioni.
Quanto al fatto che potrebbe essere lo stesso corpo elettorale a cambiare idea rispetto al programma che aveva inizialmente sostenuto a maggioranza, in tal caso il cambiamento di idea in questione, dovrebbe essere verificato istituzionalmente attraverso nuove elezioni dello stesso corpo elettorale (anticipate); altrimenti, chi è che può stabilire che veramente il corpo elettorale ha cambiato idea rispetto al programma che aveva inizialmente sostenuto?
Sono del tutto d'accordo con te che il vincolo di mandato sarebbe un'inutile stress che intralcerebbe il lavoro del politico che consiste nel prendere decisioni che sono razionali ma a volte impopolari.
E sono pure del tutto d'accordo con te che regolari elezioni al termine di un intero mandato, 4 o 5 anni, sia un compromesso sufficiente tra due princìpi entrambi basilari in una democrazia matura, rappresentatività da un lato e rispetto di alcune competenze che il politico dovrebbe possedere e che potrebbero portarlo ad agire per il bene comune meglio di quanto potrebbe nell'immediato concepire la maggioranza della comunità dall'altro; e, cioè, che 4, 5 anni dovrebbero essere un periodo sufficiente perché il popolo possa rendersi contro in modo sufficientemente razionale delle competenze di chi ha eletto, un buon equilibrio che eviti gli errori estremi e tra loro opposti della demagogia e della tecnocrazia
Caro Baylham,
sono d'accordo con te che l'articolo in questione che esclude il vincolo di mandato è una norma saggia, da salvaguardare; ed invero, come giustamente scrivi tu, Il principio dell'autonomia, indipendenza di ogni assemblea è strettamente correlato al fatto che le decisioni, deliberazioni siano votate dai singoli componenti dell'assemblea in piena libertà.
In effetti, almeno per ora, anche secondo me una vera e propria "democrazia diretta" (referendum a parte), è impensabile; sebbene io non escluda che ciò possa avvenire in futuro, quando il sistema di voto elettronico e di elezioni online verrà perfezionato e garantito al massimo, e, soprattutto, quando sarà possibile eseguire un trapianto massivo di cervello nella pancia dei votanti.
Quanto al riferimento alle figure giuridiche del mandante o del rappresentante per giustificare il ruolo del politico funzionario pubblico, oltre ad essere fuorvianti e mistificatorie, sono -a mio avviso- tecnicamente irrealizzabili; senza contare che il candidato eletto, deve perseguire gli interessi della NAZIONE, non dei singoli cittadini che li hanno eletti.
rispondo a Fharenight
lungi da me pensare che il popolo sia una massa di imbecilli, se lo pensassi non avrei aggiunto che il suffragio universale ogni 4 5 anni è un buon equilibrio, che anche la tecnocrazia è un errore, avrei sostenuto che tutto il potere dovrebbe essere lasciato in mano ad un'elite di presunti esperti. Il popolo non è una massa di imbecilli, è una comunità di individui DIVERSI TRA LORO, dotati di differenti inclinazioni, interessi, talenti, e la conseguenza di tale diversità è l'impossibilità per tutti di fare tutto, il fatto che non tutti sono naturalmente portati per occuparsi al meglio delle stesse cose, esiste anche chi non ha tempo e voglia di approfondire al meglio gli argomenti politicamente più rilevanti. Ovviamente informarsi è sempre meritorio, ma non si può realisticamente pensare che sia sufficiente per permettere a tutti di poter svolgere al meglio attività che non corrispondono alle nostre qualità, ai nostri studi. Esiste cioè il diritto a non voler diventare esperti di politica, perché si preferisce dedicare il proprio tempo ad altre cose, così come si è liberi di non essere interessati a diventare esperti di arte, ingegneria, medicina ecc. senza per questo dover essere considerati esseri inferiori. Noi viviamo in una società fondata sulla delega, e sulla divisione di ruoli e compiti, ed è giustissimo che sia così, perché è l'unico modo per garantire il bene di tutti rispettando le diversità, si delega cioè ad altri che sulla base di certi criteri razionali sono reputabili più bravi di noi a svolgere certe funzioni quei ruoli, così come questi altri delegheranno a loro volta ad altre persone dei compiti per cui questi sono meglio di loro ecc. Se ho mal di denti non mi curo i denti da solo, ma delego ad un professionista con alle spalle studi ed esperienze il compito di curarmi e mi fido di lui. Applicare il vincolo di mandato sarebbe come se durante un intervento ai denti io stressassi ogni 3 secondi il mio dentista lamentandomi con lui perché magari mi fa un po' male, minacciandolo di andare da un dentista concorrente, intralciando il suo lavoro, quando invece la cosa più razionale è pazientare un po' e valutare i risultati al termine dell'operazione dando tempo a un professionista per esprimersi al meglio. In politica più o meno è lo stesso, si presume che chi si candida lo faccia a ragion veduta, perché ritiene di avere in testa un programma di governo valido e razionale, poi come è ovvio e giusto che sia la delega non è assoluta, ma condizionata, e temporalmente limitata, se al termine di un mandato ritengo che l'eletto non ha svolto correttamente il suo lavoro per garantire i miei interessi, io elettore ho la piena libertà di non rivotarlo, esattamente come se, anche dopo l'operazione, i denti continuassero a farmi male sono libero di rivolgermi a un altro dentista. Nella gran parte dei casi nella politica i candidati non sono davvero capaci di elaborare dei programmi validi e ad applicarli con coerenza, ma è un problema che si risolve attraverso un'opera di rinnovamento della classe politica, che deve diventare più razionale e competente, credo andrebbero valorizzati su scala sistematica istituti di cultura politica, i cosiddetti "think tank", scuole di partito, corsi di formazione politica, su base sociologica, economica, filosofica, geopolitica. Ma ridurre tutto al demagogico "uno vale uno", come se il mio dentista ne sapesse come me di denti o il mio avvocato ne sapesse come me di codici penali non può essere la soluzione, affidarsi a chi ha maggiori competenze ed esperienze di noi non è elitarismo, ma umiltà e rispetto della professionalità altrui
rispondo a Eutidemo
le tue domande mettono a fuoco le problematiche e difetti del vincolo di mandato. Inevitabilmente sarebbe il partito di appartenenza il titolare per valutare il rispetto da parte di un singolo parlamentare del programma elettorale. Ma il "partito" inteso come entità collettiva di fatto è un'astrazione, chi prende le decisioni son sempre dei singoli. Ora, il singolo o i singoli che si prendono la responsabilità di decidere se rimuovere un parlamentare sulla base del "vincolo", o sono a loro volta dei "non eletti", e allora emerge un vulnus al principio di rappresentanza popolare, in quanto dei "non eletti" decidono della sorte di "eletti", oppure questi titolari ( ad esempio può essere il segretario, o il consiglio nazionale...) sono degli eletti come gli altri, ma allora si verificherebbe un chiaro cortocircuito, perché chi deve decidere sulla eventuale rimozione di un parlamentare sarebbero esso stesso parlamentare, e potrebbero trovarsi a giudicare loro stessi, e come è ovvio, chi avrebbe l'onestà intellettuale da autorimuoversi dalla propria carica? Il punto è che il vincolo di mandato ha senso solo all'interno di un sistema elettorale proporzionale, e le aporie in cui cade finiscono con l'essere responsabilità del proporzionale, un sistema che frappone fra elettore ed eletto un medium, il partito che diviene per gli elettori anche più importante dei singoli parlamentari, determinando una situazione l'eletto vede la sua libertà d'azione limitata da gerarchie, che o non sono elette, oppure sono elette, ma che assumono un potere decisionale che li rende più importanti degli altri, e quindi anche meno controllabili. Ecco perché la piena rappresentatività secondo me è meglio garantita dal maggioritario, che stabilisce un legame diretto tra elettore ed eletto. Per quanto riguarda la possibilità che nel corso del mandato emerga la necessità di modificare alcune parti del programma iniziale, io mi riferivo a situazioni in cui ci sono reali fattori che determinano davvero questa necessità, è un'ipotesi che non può essere tralasciata, ed è il politico razionale che sa interpretare i mutamenti e considerare i casi di aggiornare i programmi in corso d'opera la persona più titolata a valutare la necessità, sempre per il principio delle differenti competenze tra un politico e un non-politico, sul quale mi pare fossimo più o meno d'accordo
Caro Davintro,
non c'è dubbio che il "partito" inteso come entità collettiva, sia di fatto un'astrazione, ma, secondono me, non è necessariamente vero che chi prende le decisioni debbano necessariamente essere dei singoli; ed invero, per certi tipi di decisione, il partito potrebbe e DOVREBBE esprimersi per il tramite di una "votazione interna", che, sebbene non rappresenterebbe la volontà unanime del partito, rappresenterebbe comunque la volontà della MAGGIORANZA dei suoi componenti.
E' ovvio, tuttavia, che se tale "votazione interna" è condizionata dal potere dei Capibastone che formano le "liste", restano pur sempre di fatto dei singoli ducetti ad orientare le scelte del partito; ma questa è patologia, e non fisiologia, della politica.
***
Quanto al fatto che dei "non eletti" decidano della sorte di "eletti" (come è accaduto), questo è ancora più grave.
***
Quanto al fatto che il vincolo di mandato ha senso solo all'interno di un sistema elettorale proporzionale, a dire il vero, non sono riuscito a seguire bene il tuo ragionamento; anche perchè bisognerebbe prima capire bene di che tipo di sistema elettorale proporzionale o maggioritario stiamo parlando.
Comunque, in generale, a mio parere:
- il sistema elettorale maggioritario tende a consentire una maggiore "governabilità" del Paese, a scapito della "rappresentatività";
- il sistema elettorale proporzionale, al contrario, tende a consentire una maggiore "rappresentatività" del corpo elettorale, a scapito della "governabilità"del Paese.
Per cui non capisco proprio perché la piena rappresentatività, secondo te, sarebbe meglio garantita dal maggioritario, che "stabilirebbe un legame diretto tra elettore ed eletto"; ed infatti, è il sistema elettorale proporzionale a garantire tale legame diretto (con tutti i vantaggi e gli svantaggi che la cosa comporta), mentre il sistema elettorale maggioritario tende a "bypassare" tale legame, per favorire (anche tramite ballottagi) il partito di maggioranza relativa, rendendola assoluta.
Ovviamente, stiamo parlando delle elezioni politiche, e non di quelle dei sindaci.
***
Infine, per quanto riguarda la possibilità che nel corso del mandato emerga la necessità di modificare alcune parti del programma iniziale, sono pienamente d'accordo; anche se, in pratica, non è molto semplice discriminare tra situazioni in cui ci siano reali fattori che determinano davvero la necessità di aggiornamento del programma, e situazioni in cui, invece, tali fattori siano soltanto soggettivamente supposti.
Citazione di: Eutidemo il 14 Aprile 2017, 07:14:00 AMCaro Davintro, non c'è dubbio che il "partito" inteso come entità collettiva, sia di fatto un'astrazione, ma, secondono me, non è necessariamente vero che chi prende le decisioni debbano necessariamente essere dei singoli; ed invero, per certi tipi di decisione, il partito potrebbe e DOVREBBE esprimersi per il tramite di una "votazione interna", che, sebbene non rappresenterebbe la volontà unanime del partito, rappresenterebbe comunque la volontà della MAGGIORANZA dei suoi componenti. E' ovvio, tuttavia, che se tale "votazione interna" è condizionata dal potere dei Capibastone che formano le "liste", restano pur sempre di fatto dei singoli ducetti ad orientare le scelte del partito; ma questa è patologia, e non fisiologia, della politica. *** Quanto al fatto che dei "non eletti" decidano della sorte di "eletti" (come è accaduto), questo è ancora più grave. *** Quanto al fatto che il vincolo di mandato ha senso solo all'interno di un sistema elettorale proporzionale, a dire il vero, non sono riuscito a seguire bene il tuo ragionamento; anche perchè bisognerebbe prima capire bene di che tipo di sistema elettorale proporzionale o maggioritario stiamo parlando. Comunque, in generale, a mio parere: - il sistema elettorale maggioritario tende a consentire una maggiore "governabilità" del Paese, a scapito della "rappresentatività"; - il sistema elettorale proporzionale, al contrario, tende a consentire una maggiore "rappresentatività" del corpo elettorale, a scapito della "governabilità"del Paese. Per cui non capisco proprio perché la piena rappresentatività, secondo te, sarebbe meglio garantita dal maggioritario, che "stabilirebbe un legame diretto tra elettore ed eletto"; ed infatti, è il sistema elettorale proporzionale a garantire tale legame diretto (con tutti i vantaggi e gli svantaggi che la cosa comporta), mentre il sistema elettorale maggioritario tende a "bypassare" tale legame, per favorire (anche tramite ballottagi) il partito di maggioranza relativa, rendendola assoluta. Ovviamente, stiamo parlando delle elezioni politiche, e non di quelle dei sindaci. *** Infine, per quanto riguarda la possibilità che nel corso del mandato emerga la necessità di modificare alcune parti del programma iniziale, sono pienamente d'accordo; anche se, in pratica, non è molto semplice discriminare tra situazioni in cui ci siano reali fattori che determinano davvero la necessità di aggiornamento del programma, e situazioni in cui, invece, tali fattori siano soltanto soggettivamente supposti.
Avevo già pensato all'idea di votazioni interne a maggioranza all'interno del partito per decidere di esautorare parlamentari considerati non in linea col programma di governo. Tuttavia anche questa soluzione comporta anch'essa parecchi problemi. La maggioranza che all'interno di un partito sostiene il leader potrebbe usare questa possibilità come arma per silenziare il dibattito e il confronto con l'opposizione interna, minacciando esponenti della minoranza di indire plebisciti per rimuoverli, finendo con l'instaurare una sorta di dittatura della maggioranza. Senza contare la possibilità che a tradire il patto programmatico con gli elettori non siano singoli parlamentari isolati, bensì la stessa linea maggioritaria del partito espressa dal leader, che coincidendo con la maggioranza nella votazione interna, finirebbe sempre con l'autoassolversi, e questa sarebbe una situazione più pericolosa dal punto di vista della rappresentatività democratica rispetto al caso nel quale ad essere "infedeli" fossero qualche isolato parlamentare. Inoltre il lavoro ordinario dei parlamentari consiste nello studiare, discutere, rifinire, votare, proporre i disegni di legge, ed è un lavoro di grande responsabilità, e non credo lasci molto tempo a compiti egualmente difficili come il controllo dei comportamenti di ogni singolo parlamentare. Non si può ridurre un partito in una sorte di "grande fratello" dove ci si guarda in cagnesco, si innescano fenomeni di gelosia, invidia, minacce, ricatti, delazioni, tutti fenomeni che la possibilità di poter cacciare chi si ritiene non essere fedele al programma non potrebbe che esaltare, un partito ha bisogno di concordia, armonia tra diversità. No, la strategia più efficace per il controllo da parte del popolo dei propri eletti è quella di lasciare che sia il corpo elettorale stesso a valutare il rispetto delle esigenze dei parlamentari nelle elezioni ordinarie, dando un tempo limitato ai parlamentari per poter lavorare in tranquillità, lavoro che comprende anche la possibilità di alcune eventuali deviazioni del programma se le contingenze le richiedessero come necessarie
Per quanto riguarda il discorso maggioritario-proporzionale, ritengo che il maggioritario sia più rappresentativo da un certo punto di vista (diverso da quello che tu hai esposto e che comunque comprendo), in quanto un sistema in cui un candidato vince prendendo anche un solo voto in più dell'avversario stimola ogni candidato a presentarsi agli elettori con un'idea di maggioranza di governo già concordata con degli alleati, cosicché l'elettore sa già PRIMA delle elezioni che il voto che da contribuirà a formare un determinato governo e non un altro, è già consapevole del tipo di governo che contribuisce con il voto a creare, e il suo voto sarà certamente più consapevole. Il sistema è più rappresentativo perché con il maggioritario l'elettore non sceglie solo il parlamentare, ma anche la maggioranza di governo, chi vince governa, chi perde sta all'opposizione, e non a caso dal '94 in poi grazie ad una legge elettorale prevalentemente maggioritaria gli elettori scegliendo una coalizione già delineata, Polo, Ulivo, sceglievano anche il governo (anche se l'avvento dei 5stelle, che ha interrotto la logica bipolare ha di molto complicato le cose). Invece con il proporzionale si indicano solo i partiti, che dopo le elezioni sono liberi di formare maggioranze di governo in molti casi impreviste e malvolute dagli elettori che a quei partiti hanno espresso consenso. cioè la formazione della maggioranza di governo viene determinata dai partiti e non più direttamente dagli elettori come invece è nel maggioritario. Nella prima repubblica (proporzionale) accadeva che un cattolico antifascista, che in linea coi suoi valori votava DC, vedeva DOPO il voto il suo partito costretto ad accordi di governo con i neofascisti del MSI, oppure un uomo di destra che votava PLI, vedeva il suo partito entrare in una maggioranza di governo comprendente partiti di sinistra come quello socialista. Non solo nel maggioritario la volontà popolare si esprime oltre che nel programma anche nella scelta della persona chiamata ad interpretarlo (invece delle liste bloccate dei partiti), ma di fatto anche nell'indicazione della maggioranza di governo
Caro Davintro,
non hai tutti i torti.
Ed infatti, nel caso di votazioni interne a maggioranza all'interno del partito per decidere di esautorare parlamentari considerati non in linea col programma di governo, la maggioranza che all'interno di un partito sostiene il leader potrebbe usare questa possibilità come arma per silenziare il dibattito e il confronto con l'opposizione interna, minacciando esponenti della minoranza di indire plebisciti per rimuoverli, finendo con l'instaurare una sorta di dittatura della maggioranza.
Sottoscrivo parola per parola.
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VINCOLO DI MANDATO
Così come anche sottoscrivo che potrebbe essere la stessa linea maggioritaria del partito (espressa dal leader), a tradire il patto programmatico con gli elettori; come, di fatto, è accaduto con la maggioranza PD, la quale, tradendo le promesse elettorali, aveva varato unilateralmente la RIFORMA COSTITUZIONALE, mentre singoli parlamentari isolati, per rispettare tali promesse, si erano dissociati dalla linea del partito.
Per cui, come peraltro ho già detto, sono d'accordo sul fatto che, SENZA VINCOLO DI MANDATO, la strategia più efficace per il controllo da parte del popolo dei propri eletti, sia quella di lasciare che sia il corpo elettorale stesso a valutare il comportamento dei propri eletti, alle previste scadenze elettorali; lasciando liberamente ad essi anche la possibilità di alcune eventuali deviazioni del programma se le contingenze le richiedessero come necessarie.
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RAPPRESENTATIVITA'
Ora ho capito in che senso intendi il concetto di "rappresentativita", cioè nel senso che con un sistema maggioritario, l'elettore sa già PRIMA delle elezioni che il voto che da contribuirà a formare un determinato governo e non un altro; ma, secondo la Costituzione, noi non dobbiamo eleggere il GOVERNO, bensì i componenti del PARLAMENTO, il quale sarà lui, poi, in un certo senso, ad "eleggere" il GOVERNO.
I nostri "rappresentanti" sono i parlamentari, e NON i membri del Governo; i quali non solo possono benissimo non essere nostri rappresentanti eletti (Renzi non lo aveva eletto nessuno), ma, anche qualora lo fossero, non agiscono in rappresentanza degli elettori, bensì di quelle che ritengono le esigenze del Paese.
Il POTER LEGISLATIVO è una cosa diversa dal POTERE ESECUTIVO, sebbene essi interagiscano tra di loro molto strettamente.
Per cui, secondo me, il sistema elettorale che garantisce meglio la "rappresentatività" (del Parlamento, e NON del Governo), è quello proporzionale; con adeguate soglie di sbarramento per garantire la governabilità.
***
GOVERNABILITA'
Con una legge elettorale prevalentemente maggioritaria, invece, potendo gli elettori scegliere una coalizione già delineata, si privilegia indubbiamente la GOVERNABILITA'; che è una cosa diversa dalla RAPPRESENTATIVITA', ma egualmente necessaria.
Però, purtroppo, senza vincolo di mandato (che sembra non piaccia ad entrambi), spesso accade che il frazionamento in partiti e gruppi parlamentari diversi, avviene esattamente nello stesso modo che con un sistema elettivo proporzionale; l'unica differenza è che, con un sistema elettivo proporzionale "ce lo sai da prima" che in Parlamento ti ritroverai più di un parito, mentre, un sistema elettivo maggioritario, dopo esserti illuso che in parlamento ci sarebbero stati al massimo due o tre schieramenti (in effetti dovrebbero essere solo due), te ne ritrovi in campo una VENTINA.
Per l'esattezza, 19:
http://www.camera.it/leg17/46
:D :D :D
Si sta dimenticando che la forma proporzionale della rappresentanza fu imposta e voluta dai vincenti della Seconda Guerra Mondiale agli Stati perdenti. per essere chiari fu l'USA che impose a Giappone, Germania e Italia, seppur connotate da forme istituzionali diverse una STABILITA' politica che impedisse a risorgenti nazismi, fascismi e quant'altro, il PCI italiano era il più forte partito comunista occidentale, di togliere quella stabilità politica .
Il sistema proporzionale è tipico di democrazie in nascita, non in quelle mature.
Non serve a nulla credere che sia più rappresentativo il candidato nel sistema proporzionale se poi sono i soliti a governare.. La vera democrazia passa per l 'alternanza di governo(oggi vince la sinistra e domani la destra alternando i ruoli di governo e di opposizione, di esecutivo e di controllo istituzionale) e non per la Democrazia Cristiana che ha imperato per decenni con monocolori o governi di coalizione.
Oggi il proporzionalismo e addirittura controindicato perchè esistono partiti "personali", fondati sul leader politico e i fuoriusciti da un partito nel proporzionale prolificano quella moltitudine di partiti che non servono a nulla concretamente.
Nel maggioritario si vota una linea politica impersonata da un leader e dal suo partito, quindi è più chiaro il rapporto rappresentatività e governabilità e non un'antitesi.
E' altrettanto chiaro che i partiti hanno dibattiti interni che si formalizzano in un congresso, con diverse mozioni: chi vince ha la segreteria di partito, la linea politica vincente.
Caro Paul11,
storicamente, non hai tutti i torti; ed invero, il sistema proporzionale è più tipico delle democrazie in nascita, che di quelle mature.
Ciò non toglie, però, che, quando quelle "troppo mature" rischiano di "andare a male", il sistema elettorale proporzionale è forse quello più adatto ad evitare il rischio di una "democratura" leaderistica, fondata sull'istrionismo carismatico del demagogo di turno.
Negli ultimi 23 anni c'è stata una certa alternanza tra opposti poli (si fa per dire); ma non mi sembra proprio che i risultati siano stati particolarmente ragguardevoli.
Anzi!
Tu dici che nel maggioritario si vota una linea politica impersonata da un leader e dal suo partito, e, quindi è più chiaro il rapporto rappresentatività e governabilità; ed invece, secondo me, è solo una forzatura, perchè, visto che attualmente non esiste un leader un partito che possano avere una maggioranza sufficiente, i casi sono due:
- o si formano delle coalizioni pre-elettorali, che poi si sfaldano (alla faccia della governabilità);
- oppure si deve ricorrere ad un "maggioritario spinto", con ballottaggio e premio di maggioranza, per cui al potere potrebbe ritrovarsi anche chi ha solo il 25% dei consensi nel Paese ((alla faccia della rappresentatività).
E' difficile trovare una via di mezzo!
BUONA PASQUA :)
sono d'accordo con l'ultimo post di Paul 11
so benissimo che nella nostra democrazia parlamentare si elegge il parlamento e non il governo, ma scindere i due poteri riferendo la rappresentatività popolare solo al primo rischia di essere un discorso che cade nel formalismo. Nella concreta sostanzialità delle cose il lavoro del parlamento sta proprio nel sostegno e nel controllo all'attività di governo tramite lo strumento delle fiducie o sfiducie. Occorre che ci sia una coerenza tra il lavoro delle due strutture ed è necessario che un elemento più forte di rappresentanza popolare sia presente anche nell'indicazione di governo. Personalmente sono favorevole ad introdurre l'obbligo per ogni lista elettorale di indicare nel simbolo il nome del candidato premier che la lista si impegnerà nel futuro parlamento a sostenere. Questo non sarebbe per forza in contrasto con la centralità del parlamento, non sono per l'obbligo di sciogliere le camere ed indire elezioni anticipate quando cade un governo, la maggioranza parlamentare resterebbe cioè libera nel corso della legislatura di cambiare idea riguardo il sostegno ad un governo nel caso ritenesse che il governo devia in modo troppo netto dal programma elettorale. Ma il punto è che quando eleggo un parlamentare non eleggo solo un individuo, ma eleggo anche un progetto, un programma di governo, cose da applicare in sede governativa. Ed è del tutto astratto pensare che si possa scindere l'indicazione consapevole di un programma dall'indicazione di una maggioranza di governo fatta di forze disponibili a sostenere quel programma, dalla seconda dipende la realizzazione della prima, non si può realizzare un programma senza una coerente maggioranza governativa. Se io voglio votare un partito perché ha in programma la legalizzazione dell'eutanasia non mi basta sapere che quel partito ha effettivamente in programma quel punto, ma ho diritto alla garanzia che gli eletti di quel partito che contribuisco a mandare in parlamento non facciano alleanze di governo con partiti conservatrici contrari alla legalizzazione, altrimenti c'è un chiaro tradimento della fiducia elettorale. Questo non è demagogico leaderismo, io penso che la democrazia parlamentare sia il modello politico migliore possibile, ma vorrei che la rappresentatività sia più consapevole in senso concreto, e questo vuol dire consapevolezza dei modi con cui il parlamento andrà ad agire in reale coordinamento con il governo, rappresentatività nella applicazione di un programma di governo
Caro Davintro
non mi sembra affatto che scindere i due poteri, riferendo la rappresentatività popolare solo al primo (parlamento), rischi di diventare un discorso che cade nel formalismo; secondo me, invece, la separazione dei due poteri (e del terzo) costituisce uno dei pilastri dello Stato di Diritto, come insegnava Montesquieu.
***
Ed infatti, in un sistema parlamentare (come detta giustamente la nostra Costituzione), ai cittadini non spetta di eleggere il GOVERNO, bensì i componenti del PARLAMENTO; il quale sarà lui, poi, in un certo senso, ad "eleggere" il GOVERNO.
Come ho già detto, i nostri "rappresentanti" sono i parlamentari, e NON i membri del Governo; i quali, come pure avevo già detto, non solo possono benissimo non essere nostri rappresentanti eletti (Renzi non lo aveva eletto nessuno), ma, anche qualora lo fossero, non agiscono in rappresentanza degli elettori, bensì di quelle che ritengono le esigenze del Paese.
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Il lavoro del parlamento, cioè del POTERE LEGISLATIVO, sta nel VARARE LE LEGGI, mentre il lavoro del POTERE ESECUTIVO, cioè del GOVERNO, sta nell'ESEGUIRLE; è vero che è principalmente il Governo a presentare i "disegni di legge", ovvero ad emettere direttamente i "decreti legge" (e, su delega, i D.lgs), ma, questo, non deve e non può cambiare il principio della DIVISIONE DEI POTERI.
Sussidiariamente, il lavoro del Parlamento consiste anche nel sostegno e nel controllo all'attività di governo tramite lo strumento delle fiducie o sfiducie; a cui si ricorre fin troppo spesso, per "bypassare" il potere deliberativo del parlamento nell'emanare le leggi.
***
Ovviamente, occorre che ci sia una coerenza tra il lavoro delle due strutture; ma, secondo me, non è affatto necessario che un elemento più forte di rappresentanza popolare sia presente anche nell'indicazione di governo.
Per cui, da parte mia, non sono affatto favorevole ad introdurre l'obbligo, per ogni lista elettorale, di indicare nel simbolo il nome del candidato premier che la lista si impegnerà nel futuro parlamento a sostenere; anzi, la cosa mi sembra anche un po' incostituzionale, perchè, essendo vietato il vincolo di mandato, secondo me gli elettori non possono vincolare gli eletti a nominare un determinato premier.
Quest'ultimo lo devono liberamente scegliere i parlamentari, affinchè il Capo dello Stato lo nomini.
***
E non si tratta solo di mero "formalismo", perchè , a mio avviso, l'indicazione in lista del premier, soprattutto nell'attuale fase storica, aggrava il rischio di una "democratura" leaderistica, fondata sull'istrionismo carismatico del demagogo di turno.
Ed invero, una volta che il nome del Premier venisse CONSACRATO nella scheda dal popolo, potrebbe risultare più difficile, per la maggioranza parlamentare, di cambiare eventualmente idea riguardo il sostegno a tale Leade, nel caso ritenesse che il governo devia in modo troppo netto dal programma elettorale: la "piazza" potrebbe insorgere.
***
E' vero, peraltro, che quando eleggo un parlamentare non eleggo solo un individuo, ma eleggo anche un progetto, un programma di governo; per cui i parlamentari dovrebbero mirare ad un governo che manifesti di voler seguire tale progetto.
Però, se io voglio votare un partito perché ha in programma la legalizzazione dell'eutanasia, secondo me, mi deve bastare di sapere che quel partito ha effettivamente in programma quel punto, ma non ho diritto alla garanzia che gli eletti di quel partito (che contribuisco a mandare in parlamento) non facciano alleanze di governo con partiti conservatrici contrari alla legalizzazione; perchè, altrimenti, tale garanzia, si sostanzierebbe in una violazione del divieto dell'obbligo di mandato.
Ed invero, se gli eletti di quel partito (che contribuisco a mandare in parlamento) faranno disdicevolmente alleanze di governo con partiti conservatrici contrari alla legalizzazione, la volta prossima non li voterò più; e questa sarà la sanzione per il loro ondivago comportamento.
ll tradimento della fiducia elettorale è all'ordine del giorno; ma, purtroppo, non vedo altro rimedio se non quello sopra enunciato.
Altri rimedi, secondo me, sarebbero peggiori del male!
BUONA PASQUA!
.........e a mia volta mi trovo d'accordo con Davintro.
Eutidemo,
vedo che hai timori sulla democrazia in italia, e per carità può anche essere vero.
Ma lo scenario attuale impone riforme costituzionali e il rischio è che le dettino altri ( poteri europei) forzando la mano a nostri governanti, vedi Renzi con l'ultimo referendum.
i tre poteri, legislativo(Parlamento), esecutivo(Governo), giudiziario ( magistratura) c'è da tenerli separati e indipendenti; ma la gestione in attivi, consultivi, controllo devono essere meglio formulati.
Dove si utilizza il maggioritario nel mondo non è che il parlamento è esautorato, anzi come in USA può bloccare, il governante di turno se la forza politica in opposizione al governo ha la maggioranza parlamentare.
Il punto è quali attività legislative può determinare il Governo e quali quelle in Parlamento.
Il vincolo di mandato è automatico ne sistema maggioritario come argomentato da Davintro.
La libertà di iniziativa dell'eletto è garantita dalla sua attività politica che si esplica nel recepire le istanze della società civile e portarle nella politica, nell'attività di partito, nell'attività parlamentare o di governo.
L'obbligo di una chiara definizione in un partito e di una coalizione pre-elettorale garantisce di più dell'attuale sistema di partitismo frazionat dove non è chiaro nel momento delle elezioni come e cosa davvero porterà avanti la lista eletta. Paradossalmente i più coerenti saranno quelli che non contano nulla ai fini del governo, vale a dire tutti i partitini che appaiono e scompaiono da elezione a elezione.
Il Governo amministra politicamente, ciò che non fa il Parlamento, vale a dire che a fronte di e un determinata economia decide cosa e come spendere e come e dove prendersi il denaro con il fisco e altro.
Quindi stabilisce il bilancio economico, attraverso l'amministrazione pubblica di uno Stato.
E' l'astensionismo che decide la rappresentatività nel rapporto fra società civile e politica.
Il convincere e portare alle urne persone che sono sfiduciate sta diventando vitale, alla luce in Italia soprattuto di una parabola discendente e allarmante.
Nel caso in cui, nel sistema maggioritario, salti la coalizione di governo, si va alle elezioni ,senza quella insulsaggine dei governi tecnici manipolati da poteri forti e avulsi dalla rappresentanza democratica espressa dal mandato nelle elezioni.
Buona Pasqua a te , a tutto il forum e al primo anno di compleanno del nuovo forum Logos
Citazione di: Eutidemo il 15 Aprile 2017, 19:21:04 PMCaro Davintro non mi sembra affatto che scindere i due poteri, riferendo la rappresentatività popolare solo al primo (parlamento), rischi di diventare un discorso che cade nel formalismo; secondo me, invece, la separazione dei due poteri (e del terzo) costituisce uno dei pilastri dello Stato di Diritto, come insegnava Montesquieu. *** Ed infatti, in un sistema parlamentare (come detta giustamente la nostra Costituzione), ai cittadini non spetta di eleggere il GOVERNO, bensì i componenti del PARLAMENTO; il quale sarà lui, poi, in un certo senso, ad "eleggere" il GOVERNO. Come ho già detto, i nostri "rappresentanti" sono i parlamentari, e NON i membri del Governo; i quali, come pure avevo già detto, non solo possono benissimo non essere nostri rappresentanti eletti (Renzi non lo aveva eletto nessuno), ma, anche qualora lo fossero, non agiscono in rappresentanza degli elettori, bensì di quelle che ritengono le esigenze del Paese. *** Il lavoro del parlamento, cioè del POTERE LEGISLATIVO, sta nel VARARE LE LEGGI, mentre il lavoro del POTERE ESECUTIVO, cioè del GOVERNO, sta nell'ESEGUIRLE; è vero che è principalmente il Governo a presentare i "disegni di legge", ovvero ad emettere direttamente i "decreti legge" (e, su delega, i D.lgs), ma, questo, non deve e non può cambiare il principio della DIVISIONE DEI POTERI. Sussidiariamente, il lavoro del Parlamento consiste anche nel sostegno e nel controllo all'attività di governo tramite lo strumento delle fiducie o sfiducie; a cui si ricorre fin troppo spesso, per "bypassare" il potere deliberativo del parlamento nell'emanare le leggi. *** Ovviamente, occorre che ci sia una coerenza tra il lavoro delle due strutture; ma, secondo me, non è affatto necessario che un elemento più forte di rappresentanza popolare sia presente anche nell'indicazione di governo. Per cui, da parte mia, non sono affatto favorevole ad introdurre l'obbligo, per ogni lista elettorale, di indicare nel simbolo il nome del candidato premier che la lista si impegnerà nel futuro parlamento a sostenere; anzi, la cosa mi sembra anche un po' incostituzionale, perchè, essendo vietato il vincolo di mandato, secondo me gli elettori non possono vincolare gli eletti a nominare un determinato premier. Quest'ultimo lo devono liberamente scegliere i parlamentari, affinchè il Capo dello Stato lo nomini. *** E non si tratta solo di mero "formalismo", perchè , a mio avviso, l'indicazione in lista del premier, soprattutto nell'attuale fase storica, aggrava il rischio di una "democratura" leaderistica, fondata sull'istrionismo carismatico del demagogo di turno. Ed invero, una volta che il nome del Premier venisse CONSACRATO nella scheda dal popolo, potrebbe risultare più difficile, per la maggioranza parlamentare, di cambiare eventualmente idea riguardo il sostegno a tale Leade, nel caso ritenesse che il governo devia in modo troppo netto dal programma elettorale: la "piazza" potrebbe insorgere. *** E' vero, peraltro, che quando eleggo un parlamentare non eleggo solo un individuo, ma eleggo anche un progetto, un programma di governo; per cui i parlamentari dovrebbero mirare ad un governo che manifesti di voler seguire tale progetto. Però, se io voglio votare un partito perché ha in programma la legalizzazione dell'eutanasia, secondo me, mi deve bastare di sapere che quel partito ha effettivamente in programma quel punto, ma non ho diritto alla garanzia che gli eletti di quel partito (che contribuisco a mandare in parlamento) non facciano alleanze di governo con partiti conservatrici contrari alla legalizzazione; perchè, altrimenti, tale garanzia, si sostanzierebbe in una violazione del divieto dell'obbligo di mandato. Ed invero, se gli eletti di quel partito (che contribuisco a mandare in parlamento) faranno disdicevolmente alleanze di governo con partiti conservatrici contrari alla legalizzazione, la volta prossima non li voterò più; e questa sarà la sanzione per il loro ondivago comportamento. ll tradimento della fiducia elettorale è all'ordine del giorno; ma, purtroppo, non vedo altro rimedio se non quello sopra enunciato. Altri rimedi, secondo me, sarebbero peggiori del male! BUONA PASQUA!
Non mi sogno assolutamente di negare la centralità della divisione dei poteri in un sistema liberaldemocratico, ma credo che essa possa essere correttamente interpretata come divisione di ruoli finalizzata però ad un obiettivo comune che è quello della realizzazione dei valori e delle esigenze che la comunità popolare esprime eleggendo a maggioranza un determinato programma elettorale, che inevitabilmente si fa programma governativo. Mi viene in mente l'analogia con un'azienda, un luogo di lavoro dove il ruolo dell'operaio manovale e quello di un impiegato e di un capo-reparto sono evidentemente molto diversi tra loro, ma entrambi partecipano ad un unico sistema rivolto ad unico obiettivo, il successo economico dell'azienda, e all'interno del sistema i diversi ruoli devono collaborare. Il lavoro del parlamento è efficace nel raggiungimento dei suoi obiettivi, tutelare le esigenze popolari, se coordinato con quello del governo, e se dobbiamo definire l'idea di maggior rappresentatività possibile allora la rappresentatività del parlamento è più forte se accompagnata, entro certi limiti, ad un più forte tasso di rappresentatività nel governo. Per quanto riguarda il discorso della costituzionalità, mi limito a dire che in questo luogo stiamo speculando su un ideale "dover essere", quindi il rischio dell'incostituzionalità, se è un ostacolo alla realizzazione effettiva di tale "dover essere", non andrebbe necessariamente posto come elemento per un giudizio di valore circa il "dover essere" in questione , tanto più che la costituzione non è statico dogma (per volontà degli stessi padri costituenti), e nulla dovrebbe impedirci di teorizzare delle modifiche che possano renderla più valida e politicamente efficiente. Non necessariamente l'indicazione di una determinata maggioranza governativa nel voto costituisce un vincolo di mandato nel senso rigoroso del termine. Io penso che andrebbero distinti due elementi: lo "spirito" e la "lettera" in un programma elettorale. Dal punto di vista dello spirito, delle indicazioni generali, fondamentali, delle priorità di valore, un programma dovrebbe essere rispettato fedelmente, ed è necessario che da questo punto di vista si formi una maggioranza di governo coerente e coesa capace di tradurre in concreto tutto ciò, e l'elettore ha diritto di sapere prima di votare che questa maggioranza possa formarsi realmente, dal punto di vista della "lettera", gli eletti resterebbero liberi di cercare autonomamente i strumenti per applicare efficacemente i punti generali del programma, strumenti riferibili agli aspetti più tecnici della politica, il cui utilizzo presuppone una certa conoscenza specialistica che la gran parte degli elettori non possono avere, e che, si presume, un esperto politico possa avere, ed in questo ambito sono legittime anche limitate deviazioni rispetto al programma originario (dal punto di vista, appunto, della "lettera") rese necessarie a mutamenti di circostanza nel corso della legislatura, nonché eventuali decisioni impopolari. Certamente il confine tra i due piani, lo spirito, le indicazioni generali dell'elettorato da un lato, e la lettera, gli strumenti tecnici appannaggio di un sapere specialistico spesso è labile e incerta, ma proprio qui sta l'autonomia del politico, la sua capacità interpretativa discrezionale per distinguere i piani. Infine, il punto non è che la volta successiva che vedo un partito proporre la legalizzazione dell'eutanasia e poi andare al governo assieme a forze conservatrici che impediscono l'attuazione di quel punto posso non votare più quel partito. Il problema è un problema di sistema, non è che gli eletti di quel partito vanno puniti perché avrebbero tradito gli elettori, perché sono stati cattivi. Il punto è che in un sistema puramente proporzionale dove si vota solo il partito senza indicare fin da subito un certa maggioranza di governo capace di realizzare il programma, quel partito probabilmente si è trovato COSTRETTO ad allearsi con forze ideologicamente distanti da esso, (a meno di non riuscire da soli a raggiungere il 50 più 1% dei voti...) per formare un governo. E il rischio che ciò accada di nuovo si ripresenterà, non solo per quel partito ma per tutti gli altri, anche la tornata successiva, fintanto che resterà in piedi un sistema che costringe di fatto l'elettore a votare alla cieca, votare un partito con il rischio che i punti fondamentali del programma (che sono le ragioni per cui quel partito viene votato) non siano realizzabili perché quei punti sono osteggiati dagli altri partiti con cui quello si trova costretto a coalizzarsi per governare. Non c'entra la buona o cattiva volontà del singolo partito, è proprio il sistema elettorale che è difettoso!
Anche se leggermente in ritardo auguro a te e a tutti gli utenti del forum una buona pasqua! (è circa un anno che sono iscritto e devo dire che per me è stata e continua ad essere una bella esperienza, scusate la parentesi personale!)
Citazione di: Eutidemo il 11 Aprile 2017, 18:32:11 PM
Cara Fharenight,
sarei anche d'accordo sulle tue critiche alla sinistra, se la destra non stesse facendo anche di peggio:
Ed invero, la "destra" manifesta palesemente due anime radicalmente diverse:
1) Una "moderata" e "pro-establishement".
2) Una "sciovinista" e "anti-establishment".
E' un po' la stessa antitesi che c'era, "once upon a time", tra PLI e MSI.
Non vedo cosa mai possano combinare insieme! ::)
O si è d'accodo o no; che significa "se la destra non stesse facendo di peggio? A proposito di onestà intellettuale...
La Destra sta facendo di peggio in cosa? Peggio di quello che fa la sinistra non si può, è impossibile.
Certo, sfortunatamente non abbiamo esponenti di destra particolarmente carismatici, capaci di coaugulare molti piú consensi e unirci. Infatti la destra moderata (il centrodestra pro establishment) non la considero propriprio, ed infatti tutti i simpatizzanti di Salvini e Meloni non vogliono unirsi a questa.
Poi smettiamola coi termini ridondanti e falsi: "sciovinista", riferita alla vera destra, a quella anti-estabilishment. Attualmente la Destra, quella anti-estabilishment, servirebbe per riequilibrare la nave che sta andando a picco.
Citazione di: Fharenight il 27 Aprile 2017, 11:43:25 AMinfatti tutti i simpatizzanti di Salvini e Meloni non vogliono unirsi a questa.
Eh si, vent'anni di stampella di governo (ministeri compresi) e ora ci si compra la verginità al mercato