Significato della vita

Aperto da doxa, 12 Ottobre 2025, 12:32:41 PM

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Ronald Gower, Amleto, 1888. La statua in bronzo è al  William Shakespeare Memorial, Bancroft Gardens di Stratford Upon Avon, Warwickshire,  Regno Unito.
Amleto , contempla lo scheletro di un cranio e s'interroga sul significato  della vita.

Nella filosofia, psicologia, letteratura e poesia la domanda sul senso della vita è un tema ricorrente.

A proposito di questa, ho rinvenuto tra le mie carte sparse un  vecchio articolo del 9 – 8 – 2020 pubblicato sull'inserto settimanale "Domenica" del "Il Sole 24 Ore e scritto dal prof. Vittorio Pelligra, docente di politica economica e comportamentale nell'Università di Cagliari.

Pelligra si chiede "In che modo tentare di cogliere il significato della propria esistenza ?
'Dare un senso' (= significato)  vuol dire raccontare la propria storia, evidenziare  la trama della nostra vita, i suoi protagonisti principali e i comprimari, gli antefatti, le svolte, i colpi di scena.

Se qualcuno ci chiedesse di descriverci e come le esperienze che abbiamo vissuto ci hanno reso ciò che siamo o ciò che crediamo di essere.

La risposta alla domanda 'chi sono io?' non può che essere data in forma di narrazione, di un racconto capace di integrare nella sua struttura ciò che pensiamo ci definisca in maniera univoca: i nostri valori, le nostre capacità, la nostra storia passata, i nostri successi, gli sbagli, le giustificazioni, e poi il presente e ciò che ci aspettiamo e desideriamo per il futuro, nostro e delle persone a cui teniamo di più.

Una storia ben raccontata è capace di mettere ordine nella caotica confusione della vita, del nostro microcosmo.

Lo studio della personalità  è  capire che ciò che siamo dipende da ciò che ci raccontiamo di essere. Il nostro sviluppo e la nostra crescita individuale dipendono in maniera cruciale da questo continuo gioco di rimandi tra la realtà e il modo in cui rappresentiamo tale realtà, modo che, a sua volta, plasma e determina quella stessa realtà, per il semplice fatto di descriverla. Questo processo di costruzione di significato (sense-making) che raccontiamo risponde ad uno dei bisogni dell'essere umano: la comprensione del proprio io. E, per rispondere in maniera adeguata a questo bisogno, il racconto della nostra storia deve condurci a soddisfare alcuni bisogni specifici che, insieme, danno struttura e forma al racconto.

segue

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L'immagine raffigura un libro aperto da cui prendono vita personaggi e scenari: un pirata con un forziere del tesoro e una nave a vela, evocano il potere della narrazione  e della lettura, di trasportare il lettore in mondi fantastici e avventurosi.

Secondo lo psicologo sociale Roy Baumeister i quattro bisogni fondamentali cui il racconto di una esistenza deve dare soddisfazione per produrre una visione significativa e compiuta, sono:

la finalità. Gli eventi che viviamo e le azioni che mettiamo in atto acquistano un significato nel tempo e nello spazio solo nel momento in cui riusciamo ad attribuirgli una finalità capace di unire ciò che abbiamo fatto, ciò che siamo stati e ciò che oggi viviamo.
Gli ideali della vita, i sogni della giovinezza, i progetti e le passioni, ma anche le svolte dolorose che ci aprono nuove strade o che ci bloccano il cammino.
La finalità genera significato in quanto inserisce gli eventi e le nostre scelte in una catena intellegibile di causalità, in una sequenza di cause ed effetti attraverso la quale possiamo provare a dar conto del nostro vissuto. Ma la finalità non basta. Occorre che il nostro personale racconto abbia la capacità di giustificare ciò che descrive:giustificare ciò che ci capita e ciò che facciamo. Uno schema che ci consenta di attribuire la valenza di "giusto" o "sbagliato" a eventi e azioni. Mentre la finalità genera significato inserendo gli eventi un una catena di cause ed effetti, la giustificazione lo fa situando i fatti dell'esistenza all'interno di un codice morale personale.

La terza necessità è quella dell' efficacia. La possibilità di leggere le nostre azioni come capaci di "fare la differenza", di avere un impatto su ciò che riteniamo buono e di modificare la probabilità che ciò che desideriamo si avveri.

La quarta necessità che la narrazione deve soddisfare per poter generare  significato fa riferimento all'idea di valore di sé (self-worth). Nella storia della nostra esistenza ci è necessario trovare ragioni per descriverci come degni di valore e apprezzamento.

Aveva colto l'importanza di questo aspetto già Adam Smith nella sua "Teoria dei sentimenti morali", quando sottolineava che: 'L'individuo desidera naturalmente non solo di essere amato, ma di essere amabile, ovvero di essere un naturale e appropriato oggetto d'amore [...] Non desidera solo la lode, desidera esserne degno, cioè desidera essere oggetto naturale e appropriato di lode, anche se non lodato da nessuno'."

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Abbiamo bisogno di un racconto nel quale ci rappresentiamo come degni di lode anche se non lodati da nessuno.

Il valore di sé è valore nei confronti della propria coscienza.

La costruzione di un racconto personale che riesce rispondere a questi bisogni fondamentali è a un'operazione capace di attribuire senso all'esistenza, anche attraverso gli avvenimenti dolorosi, travagliati.

Il processo di costruzione di senso attraverso la narrazione è importante per il modo in cui ciascuno di noi vive e affronta gli eventi negativi e le oggettive difficoltà che la vita spesso ci presenta. Essere capaci di dare significato alle cose, anche agli eventi più traumatici e difficili, ha come conseguenza una migliore salute psicologica.

La capacità di raccontarsi una storia significativa rispetto alle avversità della vita è un procedimento efficace attraverso il quale impariamo a gestire delusioni, conflitti e sofferenze.

Questo processo narrativo non è esente da rischi. C'è, per esempio, la patologia dell'autoinganno sempre in agguato, l'eccesso di fiducia e di ottimismo, così come l'opposto, invincibile insoddisfazione.

C'è, infine, un altro aspetto da considerare che va sotto il nome di "riflessività". Una caratteristica determinante del processo di costruzione narrativa del senso della nostra vita è l'interazione tra le nostre storie personali e la "grande storia" del nostro tempo.

La "grande storia" rappresenta lo sfondo delle nostre storie individuali, come un canovaccio corale rispetto ai ruoli dei personaggi in commedia. Ma, allo stesso tempo, i personaggi non sono passivi esecutori del ruolo assegnato loro dall'autore, ma, a loro volta, attivi co-sceneggiatori della storia.

Molto, dunque, nella costruzione del racconto delle nostre vite, impattano le storie che collettivamente ci stiamo raccontando circa la nostra società, la politica, l'economia, il futuro. E come in quella letteraria, anche in questa "grande storia", osserviamo bei racconti e pessime narrazioni, lavori di qualità e altri scontati e banali. Racconti avvincenti, portatori di verità profonde e illuminanti e altri, invece, che ingannano con la loro superficialità e mancata comprensione delle dinamiche dell'animo umano.

Che storie ci stiamo raccontando ? Non si tratta solo di distinguere le notizie vere da quelle false o di renderci meno vulnerabili alle manipolazioni mediatiche. Si tratta di capire se la cornice culturale nella quale ci muoviamo possieda o meno tutti gli strumenti necessari a consentirci di dare senso, individualmente e collettivamente, all'esperienza delle nostre esistenze.

Le scienze cognitive definiscono come "ipo-cognizione", un'insufficienza a questo riguardo. Si tratta della mancanza di quelle idee di cui si ha bisogno per cogliere il significato di eventi importanti per l'esistenza di ciascuno di noi: la sofferenza, l'assenza, la rottura, il mancato riconoscimento, l'avversità, la sconfitta, l'abbandono.

E ritorna la domanda: in quale canovaccio ci troviamo coinvolti?

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autobiografia

Autodefinirsi  e descriversi è difficile. Un breve esempio che riguarda me stesso. Come ho già scritto in passato nel forum, da alcuni anni  i miei interessi culturali sono eclettici e mobili. Mi piace frequentare le mostre d'arte, i musei, le pinacoteche, le chiese, vado nelle "case-museo" di noti personaggi del passato.

Parte del tempo libero lo dedico a capire ed osservare le varie forme d'arte e all'archeologia. Insieme ad altri partecipo alle visite guidate da docenti universitari, archeologi, guide locali. La loro cultura suscita ammirazione.

Essi, con piacere, condividono con gli altri il loro pensiero e sapere. Hanno la capacità di rendere la loro competenza  lineare e fruibile dal maggior numero di persone: sono divulgatori che in modo piacevole attirano l'attenzione  dell'ascoltatore e gli fanno germogliare la voglia di saperne di più.

Ma ci sono anche individui  con straordinaria erudizione (intesa come insieme di  conoscenze e competenze in uno o più settori del sapere) che sembrano vivere la loro identità personale manifestando in modo ossessivo la loro cognizione, con l'autocompiacimento della cripticità consapevolmente cercata, per avere una presunta superiorità intellettuale. Cercano applausi e non la condivisione, con antipatici effetti di estraniamento di molte persone nella "platea". Infatti la saccenza da erudizione è antipatica e respingente.

Lo psicologo statunitense  Jerome Seymour Bruner, studioso della psicologia cognitiva, della psicologia culturale e della psicologia dell'educazione, scrisse: "Alla fine il processo culturale, cognitivo e linguistico che guida l'auto-narrazione della nostra vita acquista il potere di strutturare l'esperienza della percezione, di organizzare la memoria, di segmentare e di attribuire finalità agli eventi della vita. Così noi diventiamo la stessa autobiografia attraverso la quale raccontiamo delle nostre vite" ("Life as narrative". Social Research, 1987, 54, pp. 11-32).

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Raccontarsi e raccontare fa bene alla salute mentale. Infatti la psicoterapia è anche esercizio immaginativo che forma la storia della propria vita. 

La narrazione può divenire cura di sé non solo per consentire al soggetto narrante di riconciliarsi con la propria storia, ma soprattutto per integrare la propria esistenza attorno a un nucleo significativo: raccontare e raccontarsi non serve solo per scoprire il senso della vita e del vissuto, ma anche per dargliene uno nuovo.

Raccontarsi  è il modo attraverso il quale ognuno di noi ha traccia di sé, della propria vita, della propria storia,  in tal modo può autodefinirsi, avere un'identità, perciò si dice che narrarsi, raccontarsi e scrivere di sé ha potere terapeutico. E' "kosmos nel caos del proprio vissuto".

Nella mitologia greca Kosmos fa riferimento alla ricerca di ordine, significato, armonia, anche all'interno dell'esperienza personale, spesso percepita caotica,  indeterminata, conflittuale.

"Kosmos nel caos del proprio vissuto": questa frase indica un processo di auto-organizzazione e di costruzione di significati, di dare unità e struttura coerente  alle proprie vicende personali.

Ci auto-comprendiamo tramite le storie che ci raccontiamo e nelle quali siamo il personaggio principale.
Quando il racconto di quel che abbiamo fatto, amato, sofferto, inizia a prendere forma diventa scrittura di sé e alimenta il desiderio di voler lasciare  la propria traccia nel passaggio sulla Terra a chi verrà dopo di noi  o a chi ci è vicino.

L'autobiografia può divenire cura di sé, consente al soggetto narrante di riconciliarsi con la propria storia, ma soprattutto per integrare la propria esistenza attorno a un nucleo significativo: raccontare e raccontarsi non serve solo per scoprire il senso della vita e del vissuto, ma anche per dargliene uno nuovo. Amen !  :D

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