Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Aperto da iano, 08 Ottobre 2025, 02:40:50 AM

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iano

Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 09:49:48 AMNon hai risposto alla domanda.
La domanda è: perché la descrizione A è più oggettiva (per me, per te, per tutti) della descrizione B?
Es.: perché la spiegazione psichiatrica della psicosi è più oggettiva di quella fatta dall'astrologia?
Che cosa determina la maggiore o minore oggettività di una descrizione? - dato per scontato che si tratta appunto di descrizioni e non della realtà stessa (nella traccia si sottolineava di tenere ferma una posizione anti-realista, quindi nella valutazione delle due descrizioni si assume che ci sia consapevolezza che si tratta di interpretazioni o descrizioni, e non di rappresentazioni capaci di restituire fedelmente l'oggetto).
Che bisogno hai di descrivere l'oggetto in modo oggettivo se per te è già di per se oggettivo?
Per me l'oggetto è il prodotto di una descrizione della realtà che non conosco.
Se la conoscessi che bisogno avrei di descriverla?
La descrizione della realtà segue alla presa di coscienza di sapere di non sapere.
Cioè la descrizione inizia dove finisce l'illusione di oggettività, e produce quindi cose di quella illusione  privi.
Cose tipo spazio-tempo e quanti, per intenderci, privi di oggettività, o possessori di una oggettività quantomeno da ridefinire.
L'alternatività delle descrizioni è una ricchezza, non un problema.
Il problema è secondo nella loro difformità.
Mi spiego meglio.
Bisogna cioè dare al quanto la concretezza di una palla da biliardo, oppure dare alla palla da biliardo l'astrattezza di un quanto.
A me pare più feconda la seconda operazione.








Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Koba-san

Tu vivi già all'interno di un mondo abitato da descrizioni/interpretazioni che orientano le tue scelte e i tuoi giudizi.
La domanda riguarda il criterio di robustezza con cui ti affidi ad una descrizione piuttosto che ad un'altra.
Perché pensi che la descrizione A sia più solida della descrizione B?
Avevo già precisato che il termine "oggettività" era da intendersi in un contesto non realista.
Quindi ti invito a non tornare continuamente sulla distinzione tra descrizione e realtà, ma ad affrontare direttamente il problema che ho posto:
qual è il criterio che determina la maggiore credibilità o solidità di una descrizione rispetto a un'altra?

iano

Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 09:49:48 AMNon hai risposto alla domanda.
Se togliere senso a una domanda, vale una risposta, io ho risposto alla tua domanda.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Koba-san

Citazione di: iano il 13 Ottobre 2025, 11:37:15 AMSe togliere senso a una domanda, vale una risposta, io ho risposto alla tua domanda.

Secondo te la domanda che ho posto, chiarita (come sempre) con due o tre post, non ha senso?
Dimmi solo questo: se onestamente, rileggendo quello che ho scritto, non ti sembra che si tratti di un interrogativo filosofico su cui vale la pena riflettere un po'?

Jacopus

La domanda di Koba San è interessante. Ritengo, da "duale epistemologico", che vada distinto il campo delle scienze dure da quelle soffici. Nel campo delle scienze dure prevalgono i protocolli scientifici classici, sperimentabilità, ripetibilità, documentabilità, conferma della peer community, ecc. Nelle scienze soffici subentrano altri elementi che hanno a che fare con la nostra natura ambigua, siamo egoisti o siamo altruisti, siamo uguali o siamo diversi, siamo liberi o siamo determinati, siamo animali o siamo qualcosa d'altro, siamo violenti o siamo miti, siamo autoritari o siamo libertari? Nel campo mondano delle scienze soffici, non possiamo attenerci alla ripetibilità o alla dimostrazione sperimentale e allora è qui che subentra l'importanza della domanda di Koba. Cosa orienta il nostro credere reale a proposito dell'uomo delinquente che vada imprigionato piuttosto che decapitato? Cosa orienta il nostro credere che il denaro sia meglio tenerlo sotto un mattone invece che investirlo in una multinazionale e così via?

In questi casi subentrano fattori emotivi profondi che modellano in modo inconsapevole il nostro cervello e ci fanno propendere per una parte o per l'altra. Un processo parallelo è quello propagandistico, per cui si cercherà di influenzare il modo di pensare attraverso i media e in questo caso meno strumenti critici si avranno a disposizione e più facilmente si rischia di essere condizionati da questi processi. La verità supposta è inoltre modellata anche dal gruppo di pari, che inevitabilmente condiziona il nostro modo di interpretare il mondo.
La visione del mondo di ognuno di noi è pertanto il risultato delle nostre interazioni con l'ambiente comunicativo del mondo stesso.
Poi però accade anche che il mondo va avanti e si decide che far lavorare i bambini è infame, e questa interpretazione è una "novità" che non può provenire dall'ambiente, o meglio, proviene dall'ambiente ma un gruppo la rinforza e la rimodella, diventando a sua volta "creatore di un nuovo ambiente" nel quale far lavorare i bambini è infame.

Si potrebbe aggiungere che adottare modalità creative di interpretazione del mondo è a sua volta una dinamica ambientale, per cui è possibile ipotizzare società più dinamiche e creative e società più statiche.

Un ultima osservazione che vale una nuova discussione: l'interpretazione del mondo è sempre legata al potere che si esercita sul mondo.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

daniele22

Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 08:15:10 AMEcco allora un problema filosofico da risolvere.
Traccia del problema: abbiamo due descrizioni di uno stesso fenomeno o di una classe di fenomeni.
La descrizione A e la descrizione B.
Spiegare perché la descrizione A risulta essere più oggettiva della descrizione B, tenendo fermo che ciò non può dipendere dal fatto che la descrizione A conterrebbe rappresentazioni più adeguate del suo oggetto (cioè tenendo fermo l'anti-realismo).
Le spiegazioni che si rifanno ad un generica convenzionalità o fede delle descrizioni (quindi A sarebbe più oggettiva perché in questa fase storica suscita in qualche modo una maggiore fede) saranno considerate nulle in quanto modi retorici di evitare di affrontare il problema: cioè dar conto della struttura stessa dell'oggettività.
Supplemento (solo per veri filosofi): sviluppare il tema seguente "Etica: l'oggettività come compito".
Avete sette giorni di tempo.
Buon lavoro.
Che cosa determina la maggiore o minore oggettività (solidità) di una descrizione?
Secondo me il valore con cui si confrontano dialetticamente le due descrizioni

iano

Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 11:31:30 AMTu vivi già all'interno di un mondo abitato da descrizioni/interpretazioni che orientano le tue scelte e i tuoi giudizi.
La domanda riguarda il criterio di robustezza con cui ti affidi ad una descrizione piuttosto che ad un'altra.
Perché pensi che la descrizione A sia più solida della descrizione B?
Avevo già precisato che il termine "oggettività" era da intendersi in un contesto non realista.
Quindi ti invito a non tornare continuamente sulla distinzione tra descrizione e realtà, ma ad affrontare direttamente il problema che ho posto:
qual è il criterio che determina la maggiore credibilità o solidità di una descrizione rispetto a un'altra?
il mondo in cui vivo è il prodotto di una descrizione, e nella misura in cui di ciò non ho coscienza posso credere che sia abitato da descrizioni.
Io vivo dentro una descrizione, che nella misura in cui è unica  vale la realtà, come è stato fino a un certo punto della nostra storia, ed in parte ancora lo è per alcuni, e che vale un ''mondo di vivere'' la realtà che si mostra tanto più solido quanto meno ne ho coscienza.
Infatti i mondi della scienza in cui oggi proviamo a vivere non hanno alcuna solidità per chi ne ha piena coscienza.
L'unica descrizione solida è stata e continua ad essere quella della realtà come ci appare.
Tutte le altre non lo sono, ma mostrandosi non meno utili, non userei il discrimine della solidità per giudicarle.
Tu stai chiedendo a chi non crede nella verità quale descrizione sia  più credibile.
Cosa ti aspetti che ti risponda?
Posso solo provare a spiegarti qual'è la mia visione, e che dentro a quella visione la tua domanda non ha senso dovresti arrivarci da solo.
Io la tua visone della realtà la comprendo bene, perchè ci hi vissuto dentro, ma non ci vivo più.
Comprendo benissimo dunque le domande che da quella visione derivano, e che tu mi poni, ma non posso rispondere senza contraddire la mia visione della realtà.







Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

Tu stai chiedendo a colui per il quale la verità non esiste, quale descrizione sia più credibile, che si avvicini cioè di più alla verità.
Nella misura in cui il mondo/descrizione in cui viviamo ci sembra vero, il discrimine è la sua vivibilità.
Il vero problema quindi per me è un altro.
Noi uomini non abbiamo vissuto fino a un certo punto nello stesso mondo, oggi messo in discussione dalla scienza, ma gli uomini sono coloro che fino a un certo punto hanno vissuto nello stesso mondo.
Ora che i mondi si sono moltiplicati, a causa o grazie alle nuove descrizioni scientifiche, la scommessa è di continuare a viverci ancora tutti insieme, cioè di restare uomini.
Non sono le specie a vivere dentro alle nicchie ecologiche, ma è il viverci a determinare le specie.
I nuovi mondi disegnati dalla scienza hanno il valore di quelle nicchie ecologiche.
Nei tuoi discorsi è sottinteso che l'umanità resti tale, a prescindere da quale descrizione della realtà vorrà adottare, per i motivi che vorrà, ma non è così.
Andando alla ricerca della verità stiamo perdendo di vista il nostro bene più grande, ciò che ci fa uomini, se all'essere uomini diamo un valore, l'intersoggettività, passata in secondo piano, una volta stabilito che essa non porta alla verità.

Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Koba-san

Teniamo l'esempio fatto da Jacopus.
Prospettiva A: far lavorare i bambini è sempre sbagliato.
Prospettiva B: non sempre il lavoro dei bambini è sbagliato, dipende da certe condizioni.
Ora, sono sicuro che 100 utenti su 100 voterebbero A. E non solo per delle ragioni etiche. Sentiremmo cioè tutti per istinto che B è assurda. Meno razionale. Che A non è soltanto preferibile dal punto di vista morale ma anche più vera. Per esempio saremmo tutti spinti a pensare ai danni dello stress del lavoro sullo sviluppo psicofisico di un bambino.
Ma in questo modo non avremmo risolto correttamente il problema posto.
La premessa, infatti, era di spiegare il criterio di maggiore oggettività dell'interpretazione A senza ricorrere al realismo.
Ora, pensare allo "sviluppo psicofisico normale di un bambino" significa già assumere di possedere una rappresentazione più adeguata — cioè più oggettiva — della crescita umana.
Allora questa convinzione di una maggiore robustezza, se non può essere spiegata facendo ricorso all'immagine della natura del bambino, da cosa è dovuta?

Per Jacopus è determinata dalla profonda influenza che l'ambiente socio-culturale esercita sul singolo. Quindi questa solidità, questa maggiore "verità", è il risultato di una manipolazione culturale (in questo caso benigna – anch'io ho votato A...). Se dunque ci trovassimo ad affrontare un dibattito di fronte a una giuria di persone estremamente razionali poco soggette alla commozione, come potremmo convincerle della maggiore oggettività di A? Dovremmo rinunciare?

Per daniele22 invece dipende dal valore con cui si confrontano A e B. In questo caso il valore in gioco è "l'importanza della cura dell'infanzia". Quindi la maggiore oggettività di A dipende dal fatto che per noi è importante la cura dell'infanzia. Ma allora la domanda è: perché la cura dell'infanzia è per noi "oggettivamente" importante?

Iano invece ritiene che per lui non abbia senso spiegarci (e spiegare a se stesso) perché sceglie A e non B, in quanto "non crede alla verità". In realtà, è proprio il contrario: avendo assimilato nella propria filosofia il rifiuto del realismo, proprio perché rifiuta l'idea di una descrizione privilegiata della realtà, diventa interessante capire da dove nasce quella sensazione di maggiore solidità di A.

iano

Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 17:21:03 PMIano invece ritiene che per lui non abbia senso spiegarci (e spiegare a se stesso) perché sceglie A e non B, in quanto "non crede alla verità". In realtà, è proprio il contrario: avendo assimilato nella propria filosofia il rifiuto del realismo, proprio perché rifiuta l'idea di una descrizione privilegiata della realtà, diventa interessante capire da dove nasce quella sensazione di maggiore solidità di A.
Nasce dalla nostra intersoggettività.
Nasce quindi da ciò che abbiamo in comune, e che ci porta a vederla tutti allo stesso modo.
Se ciò a te non risulta, perchè ad esempio noi due non la vediamo allo stesso modo, è perchè questa è la parte che emerge dell'iceberg, l'unica che possiamo mettere in discussione, comunicando fra di noi.
La parte sommersa è invece quella che ci permette di comunicare, e che ha maggior peso nelle nostre scelte, determinando una uniformità di vedute, non diversamente spiegabile, se non con il realismo.
Rifuitare il realismo non significa disconoscere la realtà, ma includere con pari peso l'osservatore.
Il metodo scientifico, che nasce come tentativo di escludere dai risultati trovati la soggettività dell'osservatore, si limita in effetti a farci agire come un sol uomo con la sua soggettività, e in ciò sta la sua potenza, e non nello scongiurare la soggettività come inquinante della verità.






Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Jacopus

CitazionePer Jacopus è determinata dalla profonda influenza che l'ambiente socio-culturale esercita sul singolo. Quindi questa solidità, questa maggiore "verità", è il risultato di una manipolazione culturale
In realtà non è così semplice.
1) l'ambiente socio-culturale influenza il singolo e la sua stessa architettura cerebrale e quindi il processo è circolare perché l'architettura cerebrale, a sua volta, influenzerà l'ambiente socio-culturale rinforzando la stabilità del sistema.
2) evoluzionisticamente però possono sorgere nuovi modelli culturali, che sostituiscono totalmente o parzialmente i precedenti, oppure formano un sistema a matrioska.
3) questa evoluzione è lenta e lascia sempre le tracce dei processi culturali originari. Anche in questo caso può esserci d'aiuto la biologia. Il bauplan di tutti i vertebrati è lo stesso, con la duplicazione degli organi su un asse che regge il sistema. Sei sei una balena o un pipistrello questo modello organizzativo non cambia.
4) questo è il "respiro lungo della storia" di Braudel, oppure in chiave eroica di negazione, l'eterno ritorno di N., che ritiene possibile la formazione dell'uomo nuovo solo cancellando la storia.
5) Quindi quando diciamo che "il bambino non si sfrutta", dobbiamo fare i conti con questo processo.
6) Contemporaneamente però possiamo anche accettare lo sfruttamento minorile al di fuori di un certo perimetro, adottando un sistema del reale molto diverso da quello scientifico (per questo ho detto sistema duale).
7) il respiro lungo della storia assomiglia all'inconscio. È un deposito di conoscenze immenso ma sfumato, pieno di sentieri interrotti, di messaggi contrastanti.
8 ) Al di sopra di esso agisce il controllo dell'informazione come sistema di orientamento che definisce cosa è reale, cioè giusto.
9) Ad un altro livello ancora agisce il gruppo degli "intimi", famiglia, amici, colleghi che costituiscono un insieme che condiziona fortemente le nostre scelte di cosa è reale.
10) Non va dimenticata la dimensione, che è forse la più importante, dei nostri sistemi emotivi di base, che ci dicono geneticamente che "bisogna prendersi cura della prole", che "bisogna amare", che bisogna "giocare", che bisogna "ricercare", che bisogna "arrabbiarsi", che talvolta si soffre per "l'isolamento e la perdita", che talvolta si ha "paura".
11) Infine, la realtà in cui noi crediamo ci viene trasmessa soprattutto emotivamente. I grandi maestri sono maestri emotivi e non freddi eruditi.
12) la realtà nelle scienze soffici è anche una questione di abitudine. Se siamo abituati a pensare che la razza ariana è più intelligente e lo pensiamo da cinque anni, sarà difficile ed energivoro cambiare opinione.

Se ci pensate però questa carrellata serve più a confermare che la realtà delle scienze soffici è sostanzialmente statica. Tutto sembra cercare di confermare già ciò che è, piuttosto che cambiare.

E quindi la domanda è "cosa ci permette di cambiare il nostro giudizio sulla realtà nel mondo delle relazioni umane"? Dubito comunque che qualcuno abbia letto fin qui e se lo ha fatto gli concedo una pausa e diritto di replica.


Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

daniele22


Koba-san

Il problema filosofico l'ho tratto da un libro di Thomas Nagel, di cui ho letto solo l'introduzione.
È interessante perché pone nel modo più chiaro il problema del criterio di oggettività, che ha naturalmente conseguenze essenziali nell'etica.
Ora, lui cerca una via che riesca ad evitare sia il realismo ingenuo che la metafisica. Evitare cioè sia l'idea che il soggetto possa conoscere l'oggetto così com'è in sé, come se bastasse perfezionare le proprie rappresentazioni per raggiungere la realtà, sia l'idea che il soggetto possa assumere il punto di vista assoluto di Dio.
Il suo approccio consiste in questo: nel far dipendere la maggiore oggettività di una descrizione/interpretazione dalla distanza del soggetto. Cioè nel momento in cui il soggetto amplia la propria prospettiva, facendo un passo indietro, e, costruendo un punto di vista che includa la precedente posizione (la distanza precedente e lo stesso soggetto che guardava quel determinato fenomeno), si ha una maggiore oggettività. Questa distanza non è fisica, ma riflessiva: consiste nel comprendere anche il proprio sguardo come parte del mondo osservato.
Secondo Nagel l'essere umano, riflettendo, riesce a prendere le proprie esperienze, emozioni, persino i propri giudizi morali e a guardarli "da fuori", come se appartenessero al mondo. Ma ogni volta che compie questo passo, può ancora fare un ulteriore passo indietro, e guardare anche la posizione da cui guardava prima.
È un'espansione dello sguardo, non una negazione del soggetto.
L'oggettività, quindi, non è un dato ma un compito: un continuo esercizio di distanziamento e inclusione.

Naturalmente non sto dicendo che Nagel abbia ragione. È solo una delle possibili soluzioni al problema filosofico posto su cui vale la pena riflettere. Tutto qua.

Koba-san

Citazione di: Jacopus il 13 Ottobre 2025, 20:20:12 PMIn realtà non è così semplice.
1) l'ambiente socio-culturale influenza il singolo e la sua stessa architettura cerebrale e quindi il processo è circolare perché l'architettura cerebrale, a sua volta, influenzerà l'ambiente socio-culturale rinforzando la stabilità del sistema.
2) evoluzionisticamente però possono sorgere nuovi modelli culturali, che sostituiscono totalmente o parzialmente i precedenti, oppure formano un sistema a matrioska.
3) questa evoluzione è lenta e lascia sempre le tracce dei processi culturali originari. Anche in questo caso può esserci d'aiuto la biologia. Il bauplan di tutti i vertebrati è lo stesso, con la duplicazione degli organi su un asse che regge il sistema. Sei sei una balena o un pipistrello questo modello organizzativo non cambia.
4) questo è il "respiro lungo della storia" di Braudel, oppure in chiave eroica di negazione, l'eterno ritorno di N., che ritiene possibile la formazione dell'uomo nuovo solo cancellando la storia.
5) Quindi quando diciamo che "il bambino non si sfrutta", dobbiamo fare i conti con questo processo.
6) Contemporaneamente però possiamo anche accettare lo sfruttamento minorile al di fuori di un certo perimetro, adottando un sistema del reale molto diverso da quello scientifico (per questo ho detto sistema duale).
7) il respiro lungo della storia assomiglia all'inconscio. È un deposito di conoscenze immenso ma sfumato, pieno di sentieri interrotti, di messaggi contrastanti.
8 ) Al di sopra di esso agisce il controllo dell'informazione come sistema di orientamento che definisce cosa è reale, cioè giusto.
9) Ad un altro livello ancora agisce il gruppo degli "intimi", famiglia, amici, colleghi che costituiscono un insieme che condiziona fortemente le nostre scelte di cosa è reale.
10) Non va dimenticata la dimensione, che è forse la più importante, dei nostri sistemi emotivi di base, che ci dicono geneticamente che "bisogna prendersi cura della prole", che "bisogna amare", che bisogna "giocare", che bisogna "ricercare", che bisogna "arrabbiarsi", che talvolta si soffre per "l'isolamento e la perdita", che talvolta si ha "paura".
11) Infine, la realtà in cui noi crediamo ci viene trasmessa soprattutto emotivamente. I grandi maestri sono maestri emotivi e non freddi eruditi.
12) la realtà nelle scienze soffici è anche una questione di abitudine. Se siamo abituati a pensare che la razza ariana è più intelligente e lo pensiamo da cinque anni, sarà difficile ed energivoro cambiare opinione.

Se ci pensate però questa carrellata serve più a confermare che la realtà delle scienze soffici è sostanzialmente statica. Tutto sembra cercare di confermare già ciò che è, piuttosto che cambiare.

E quindi la domanda è "cosa ci permette di cambiare il nostro giudizio sulla realtà nel mondo delle relazioni umane"? Dubito comunque che qualcuno abbia letto fin qui e se lo ha fatto gli concedo una pausa e diritto di replica.

Mi chiedo però se la spiegazione dell'evoluzione storica, culturale e biologica del convincimento della maggiore verità di A sia alla fine un'arma utile per persuadere qualcuno a non scegliere B.
Infatti se attentamente analizzata la posizione B non è del tutto ripugnante. A 10 anni, verso la fine degli anni '50, mio padre lavorava per un panettiere. La cosa non gli ha impedito di finire gli studi e di avere uno sviluppo psico-fisico normale. Una generazione dopo, io che a 16 anni lavoro nei cantieri edili durante l'estate. Stessa cosa: nessun trauma, anzi, qualche soldo in tasca e la consapevolezza di cosa significhi lavorare sul serio. Arriviamo ad oggi con nessuna famiglia italiana (non affetta da problemi economici gravissimi) che mai e poi mai si sognerebbe di mandare il proprio figlio adolescente a lavorare (a meno che il ragazzo si rifiuti di andare a scuola e se ne stia a casa tutto il giorno).
Dunque B, almeno in certe condizioni, non appare del tutto scandalosa. Questo non significa che sia giusta, ma che la sola evoluzione storica dei valori non basta a rendere A intrinsecamente più "vera".
E allora eccoci di fronte a un conflitto di interpretazioni: come posso convincere una persona che sia A la posizione preferibile? L'evoluzione culturale, storica, il fatto che in generale l'ambiente la prediliga non è sufficiente nel momento in cui l'interpretazione opposta, B, inizia a rivelare sorprendentemente qualcosa di interessante.
Nel confronto cioè avremmo bisogno di qualche argomento che sia da una parte dal punto di vista epistemologico non ingenuo e dall'altra, nello stesso tempo, capace di indicare la maggiore "oggettività".
Nel caso non fossimo in grado di fare questo ci troveremmo nella situazione di non poter contrastare le trasformazioni dei valori della nostra società. Assistere impotenti a queste trasformazioni. E vedendo ciò che sta accadendo oggi, la reazione culturale opportunamente manipolata che cerca di rimettere in discussione valori legati alla costellazione della giustizia sociale e della democrazia, non è più il caso di illudersi che esista un progresso.

Phil

Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 17:21:03 PMProspettiva A: far lavorare i bambini è sempre sbagliato.
Prospettiva B: non sempre il lavoro dei bambini è sbagliato, dipende da certe condizioni.
Ora, sono sicuro che 100 utenti su 100 voterebbero A.
Spero di non passare per "guastatore": 99 su 100. Se devo essere onesto voterei B, perché in alcuni contesti attuali (non in Occidente) o storici (anche in Occidente, Koba-san docet) il lavoro dei bambini ha (avuto) un suo senso contestuale (e andrebbe poi chiarito quali sarebbero queste condizioni di lavoro, quali lavori, a quale età, etc.).
Giusto/sbagliato è invece questione di etica e l'etica, fino a prova contraria (v. antropologia e tutte le scienze umane che si occupano di etica), non è questione né di realismo né di oggettività, anche se ci piacerebbe poterla trattare come una hard science in modo da poter sperare di mettere tutti d'accordo (nobile intento), facendo appello ad una oggettività epistemologica e "monistica" (forma mentis ereditata dalla metafisica, il cui imprinting sulla concezione dell'etica fa ancora parte del DNA culturale più diffuso).
E visto che sono in fase di "outing": la prospettiva di Nagel, per come è stata sintetizzata (non l'ho letto), a mio avviso confonde oggettività con mondanità: accatastando strati di interpretazioni consapevoli ci si allontana dall'oggettività, la si ricopre di operazioni soggettive (attribuzione di senso, parametrizzazione, etc.). Si rischia quindi di confondere la (postulata) oggettività della realtà con l'oggettività della sua deformazione da parte del soggetto (detto altrimenti: se guardo le lenti, magari per vedere quanto sono sporche, perdo di vista l'altro oggetto che vorrei guardare, con o senza lenti; guardare sia le lenti che l'oggetto che vorrei guardare, richiede uno "strabismo" non so quanto praticabile, ma comunque complicazione rispetto al guardare l'oggetto direttamente, dando per scontato che inevitabilmente lo guarderei tramite il medium della vista: occhi, mente, etc. v. prospettivismo).

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