Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Aperto da iano, 08 Ottobre 2025, 02:40:50 AM

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Alberto Knox

Citazione di: iano il 18 Ottobre 2025, 13:18:05 PMIo però parlavo di quello, e su quello tu mi hai risposto, e anzi hai gettato nella discussione un ''è impossibile'', dandomi comunque l'impressione di aver risposto in tema.
quello che tu intendevi merita senz altro un approfondimento. Ma ora che hai capito di cosa stavo parlando nel contesto specifico vuoi dare una risposta?
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

iano

Citazione di: Alberto Knox il 18 Ottobre 2025, 13:21:57 PMquello che tu intendevi merita senz altro un approfondimento. Ma ora che hai capito di cosa stavo parlando nel contesto specifico vuoi dare una risposta?
Può darsi che non ti ho capito , come può darsi che tu non abbia capito me, perchè io la risposta l'ho data, o meglio ti ho esposto, come promesso, la mia definizione di ordine.
Io mi aspettavo in cambio la tua definizione di ordine.
Se l'hai data e io non l'ho capita, tanto che non l'ho vista, prova a dirla con altre parole.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Koba-san

#92
Citazione di: Alberto Knox il 18 Ottobre 2025, 11:36:28 AM[...] Allora il nostro successo nell'aver mandato un astronauta sulla luna e fatto tornare a casa sano è salvo è stato solo un caso fortunato? abbiamo scelto l ordine naturale azzeccato per puro culo? oppure questo fatto , ovvero il successo ottenuto mediante la scienza e la matematica, mette in evidenza una sintonia profonda e significativa tra la mente umana e l organizzazione che sta alla base del mondo naturale?

Stai ripetendo la stessa domanda di qualche post fa.
E la domanda, così come è articolata, continua ad essere sbagliata...
Infatti la domanda presuppone l'indebita identificazione di efficacia e capacità di rappresentare l'oggetto in sé, per cui alla fine, se si rifiuta la soluzione realista, cioè se si rifiuta la corrispondenza tra descrizione e realtà, sembra che ci si trovi nella situazione imbarazzante di dover ammettere la straordinaria fortuna di aver azzeccato la descrizione giusta (tra le infinite possibili) che ci consente di andare sulla Luna.
Ma l'insieme delle conoscenze che hanno permesso l'allunaggio vengono da un immenso lavoro di creazione di modelli e di selezione di essi attraverso l'interazione con il mondo.

Koba-san

Citazione di: iano il 18 Ottobre 2025, 12:26:44 PMQuestione ben posta, ma mi sento di dover precisare e aggiungere qualcosa.
Di progressivo credo ci sia solo l'incremento di uso della coscienza, e direi meglio che la conoscenza valga il nostro adattamento alla realtà.
La conoscenza è ciò che ci separa dalla realtà, e questa separazione c'è sempre stata, se possiamo pensare a una conoscenza inconscia che dia conto dei comportamenti istintuali.
La mancanza di coscienza, o meglio la non ammissione di questa separazione, è il realismo, perchè quando la coscienza manca del tutto si è naturalmente realisti.
Il problema è che il realista e il relativista condividono lo stesso grado di coscienza, e ciò comporta per ognuno una difficolta da superare, con maggior fatica credo per il realista, laddove tende a difendere una condizione non più attuale, mentre al relativista rimane di dar conto del perchè la realtà continui ad apparirgli nella sua evidenza.
D'altronde il linguaggio che lo stesso relativista ancora usa ricorda quella condizione di apparente non mediazione, con termini appunto come evidenza.
Al relativista per lo più resta ancora da capire che non c'è nulla da capire, nella misura in cui  lega  ancora la comprensione all'evidenza, ricavando in subordine  evidenze posticce da possibili analogie, finché è possibile trovarle, e senno getta la spugna, lamentando l'indebita invasione della matematica.
La mancanza di questo passaggio è tradita ancora dal chiedersi se l'AI comprenda ciò che dice, per potersi equiparare a quella umana, quando è la non necessità di comprendere che gli ha dato l'abbrivio.
Sì, credo di capire cosa intendi quando scrivi che al relativista "resta da capire che non c'è più niente da capire": cioè che deve liberarsi definitivamente dell'idea di conoscenza come rispecchiamento dell'oggetto.
Però detta così la frase – e tenendo presente anche ciò che dici alla fine del post sulla IA – sembra che tu ritenga che, una volta abbandonata la vecchia idea di "capire", la conoscenza si riduca ad una specie di elaborazione quasi automatica di segni, un gioco senza soggetto, privo di intenzionalità.
È così?

Phil

Ovviamente "il relativista" e "il realista" sono figure da Bar Sport; entrambi gli articoli che ho citato spiegano come si tratti di due orientamenti variegati al loro interno, qui li usiamo per amor di semplificazione, ma consiglierei comunque, pur mantenendo la dicotomia, di non snaturarli troppo.
Citazione di: Koba-san il 18 Ottobre 2025, 11:29:09 AMSe noi siamo sempre dentro al linguaggio, alla cultura, se per noi gli oggetti sono già fin dall'inizio – già a partire dall'esperienza sensoriale – riconosciuti tramite immagini concettuali (che hanno una lunga storia) come possiamo pensare che una nostra costruzione mentale all'improvviso possa varcare questo confine?
Perché ciò che distingue il realista dal relativista è proprio la fede di poter varcare questo confine.
Per quel che so nessuno dei due ambisce a (né ha fede in) "varcare il confine" della propria soggettività per proporre una descrizione perfettamente oggettiva, per avere una costruzione mentale così calzante da sconfinare oltre il suo essere costruzione mentale (l'articolo insiste molto su questo, perfezionare il "costruito mimetico" non è attingere l'originale; originale che, potremmo aggiungere, non è nemmeno reale "in sé" perché già la sua stessa individuazione è una costruzione, ma non complichiamo troppo). Tu stesso sottolinei tale assenza di "fede nel varco" parlando del realista: «Anche se ammette l'impossibilità di dar conto dell'oggetto in sé, anche se ammette che non può conoscere l'albero se non attraverso concetti» e «la rappresentazione sia quindi in grado, per quanto in modo incompleto, di ricostruire la struttura reale dell'oggetto».
Chi è quindi che avrebbe fede di "varcare il confine della costruzione mentale soggettiva"? Rispetto a questa fede sia il relativista che il realista sono atei (e il pragmatista è agnostico); solo il mistico, come nello schema di Gnoli (in cui «realtà» è scritta, non a caso, fra parentesi...), potrebbe forse nutrire tale fede, ma siamo in "fuorigioco" rispetto dall'ambito epistemico.
Citazione di: Koba-san il 18 Ottobre 2025, 16:36:02 PMrelativista [...] che deve liberarsi definitivamente dell'idea di conoscenza come rispecchiamento dell'oggetto.
Questa idea del rispecchiamento non è propria del relativista; non farti fuorviare dal titolo del noto testo di Rorty, che fra l'altro non è certo un "relativista esemplare".

Citazione di: iano il 18 Ottobre 2025, 12:26:44 PMal relativista rimane di dar conto del perchè la realtà continui ad apparirgli nella sua evidenza.
Gli appare come evidenza perché prima di essere relativista è uomo (come altro potrebbe mai apparirgli?), quindi ha dei sensi che trasmettono delle evidenze alla sua mente; è l'elaborazione di tali evidenze a renderlo relativista e a distinguerlo dal realista (sempre semplificando tutto in dicotomia forzata, per mantenere almeno un minimo di rigore superficiale).
Citazione di: iano il 18 Ottobre 2025, 12:26:44 PMAl relativista per lo più resta ancora da capire che non c'è nulla da capire, nella misura in cui  lega  ancora la comprensione all'evidenza
Il relativista non «lega la comprensione all'evidenza» più di quanto lo facciano gli altri pensatori, anzi, in realtà il suo è fra tutti il legame più debole con l'evidenza (il già citato "mito del dato" non fa parte della mitologia relativista, ma di altre).
Sul "restare da capire", il relativista, proprio in quanto tale, è quello che di fatto più ha da capire degli altri, perché può cimentarsi nel capire le differenti prospettive, senza il giogo di doverne salvare solo una (quella "giusta") né tantomeno trovare una verità assoluta, ma valutando per ogni paradigma la sua funzionalità, relativamente al rispettivo ambito e ai suoi "utenti" (senza per questo scadere nel «everything goes» di Feyerabend ricordato nell'articolo o nello stereotipato e parodistico «tutto è relativo»). Chiaramente, questo "molto da capire" va poi contestualizzato anche nelle prassi sociali e individuali, ma anche in ambito di filosofia della scienza può essere fertile terreno di critica, giacché capire qualcosa è il primo passo per criticarlo dall'interno e con cognizione di causa.

iano

Citazione di: Phil il 18 Ottobre 2025, 18:01:37 PMSul "restare da capire", il relativista, proprio in quanto tale, è quello che di fatto più ha da capire degli altri, perché può cimentarsi nel capire le differenti prospettive, senza il giogo di doverne salvare solo una (quella "giusta") né tantomeno trovare una verità assoluta, ma valutando per ogni paradigma la sua funzionalità,
Capire quale scelta fare non è propriamente capire, ma scegliere fra le diverse alternative.
Quello che voglio suggerire è che la comprensione nell'ambito della realtà come ci appare, pur restando una scelta fra diverse alternative immaginate, rimane cosa umana, perchè il linguaggio immaginativo non è traducibile in linguaggio macchina, o, non so se lo dico propriamente, in logos.
Cioè suggerisco che non ci siamo ancora del tutto liberati dal ''ci credo se lo vedo'' o in subordine se riesco a immaginarlo.
In altri termini, la meccanica quantistica è del tutto funzionale, ( chi può negarlo ?), ma se non riesco a immaginarla allora non la capisco.


 
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

Citazione di: Koba-san il 18 Ottobre 2025, 16:36:02 PMSì, credo di capire cosa intendi quando scrivi che al relativista "resta da capire che non c'è più niente da capire": cioè che deve liberarsi definitivamente dell'idea di conoscenza come rispecchiamento dell'oggetto.
Però detta così la frase – e tenendo presente anche ciò che dici alla fine del post sulla IA – sembra che tu ritenga che, una volta abbandonata la vecchia idea di "capire", la conoscenza si riduca ad una specie di elaborazione quasi automatica di segni, un gioco senza soggetto, privo di intenzionalità.
È così?

Si, purtroppo è quello che intendo.
La comprensione è quella elaborazione incosciente di segni che produce evidenza. Evidenza che manca quando interviene la coscienza.
E' come se ''l'evidenza'' si spostasse dal risultato al processo che lo produce.
L'evidenza è un dare del tu alla realtà, ma con la scienza possiamo dare del tu solo alle equazioni della fisica, che ammetto non essere una prospettiva desiderabile, anche se si dice esse abbiano ancora una loro bellezza, a saperla ''vedere''.
Volendo cercare un fattor comune fra i due procedimenti di conoscenza, la comprensione potrebbe aversi quando si prende talmente l'abitudine a qualcosa, da ''apparirci'' ovvia.
Cioè la comprensione potrebbe esser il prodotto di un processo di normalizzazione, un fare proprie le cose  attraverso l'abitudine ad esse.
La ripetitività in un caso, e la ripetibilità nell'altro.
Voglio dire, trattandosi di processi di conoscenza, mi pare ragionevole pensare che rispondano a meccanismi simili, evidenti nel caso in cui il risultato manca di evidenza, e diversamente non evidenti.
In altri termini, si tratta dello stesso processo, al di la delle apparenze.
Fortuna vuole, che anche quando lo smascheriamo, il processo continua a funzionare, e nessuno potrà toglierci il piacere di goderci un bel tramonto su una spiaggia dorata.
Però, alla fine, questo incremento nell'uso di coscienza qualcosa dovrà cambiare, o no?
Mi pare che non se ne tenga abbastanza conto, dichiarandosi esseri coscienti solo per esaltarsi.

Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Alberto Knox

Citazione di: Koba-san il 18 Ottobre 2025, 15:51:55 PMl'insieme delle conoscenze che hanno permesso l'allunaggio vengono da un immenso lavoro di creazione di modelli e di selezione di essi attraverso l'interazione con il mondo.
Mi sembra un dettaglio notevole visto l argomento no? Quel successo è dovuto quasi esclusivamente al metodo scientifico; la sperimentazione , l osservazione , l ipotesi, la confutazione. I dettagli non ci riguardano in questa sede, quello che importa è il fatto che la scienza richiede criteri rigorosi di procedimento e di discussione che collocano la ragione al di sopra delle credenze e delle percezioni e sensazioni soggettive della realtà. I modelli di cui parli non sono stati  costruiti ad hoc ,ma sono elaborati sulla base di modelli preesistenti, di leggi naturali, di scoperte . E mentre la scienza procede, e scopre e se andiamo indietro di 10 anni possiamo vedere i progressi che sono stati fatti, la filosofia del realista e del relativista continua a girare attorno al punto di partenza!  tanto che ci si chiede se l albero è così come ci appare indipendentemente da noi oppure no. E mentre loro stan davanti alla pianta a litigare  la scienza colonializza la luna. Se i modelli interpretativi funzionano, non è questo oggetto di discussione che giustifica la mia domanda? se non ci fosse alcuna connessione fra la mente umana e l'organizzazione del mondo come si spiega che i modelli interpretativi funzionano? 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

per quanto riguarda il documento proposto da Phil noto che, per  via di molte  cose che ho scritto procedentemente, la mia posizione potrebbe essere intesa vicino a quella di Ferraris , anch'io ho denunciato un costruttivismo estremo nella conoscienza che bisogna ridimensionare.
Poi mi è piaciuto l intervento riferito a Kornad Lorentz e di Campbell sull espistemologia evoluzionistica dove; " si sottolinea  come il nostro apparato percettivo e conoscitivo sia il frutto di una lunghissima evoluzione naturale e quindi se esso, da una parte, ci vincola a ineludibili limiti biologici, dall'altra è anche verosimile che ci permetta di farci un'idea del mondo esterno sufficientemente realistica da permetterci di sopravvivere, riprodurci e, appunto, evolvere."
Dobbiamo essere consapevoli della possibilità che esistano cose la cui spiegazione non potremo mai comprendere propio a causa della nostra specifica conformazione biologica, altri che vanno oltre il potere del ragionamento umano e altre cose che magari non hanno spiegazione alcuna.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Koba-san

Dal momento che i mie tentativi di chiarire il tema hanno suscitato ostilità o derisione (ridurrebbero infatti i termini della questione a macchiette da bar sport), mi fermo qua. Fare così tanta fatica per esprimere il problema in modo che sia chiaro a tutti e poi sentire che l'unico risultato ottenuto è quello di banalizzarlo, direi che è un po' troppo...
 
Per quanto riguarda la reazione di Knox, che continua a chiedere della connessione tra teorie e mondo, e che deride i filosofi davanti all'albero mentre gli scienziati preparano la colonizzazione di Marte, ho già fatto notare che c'è una complessa interazione, ma che l'efficacia di un modello non significa che esso rappresenti la realtà.
Un esempio è il modello classico dell'atomismo. Fino a quando funzionava perfettamente la tendenza era quella di immaginarsi la materia proprio come costituita da particelle ordinate secondo la configurazione del sistema solare. Quindi prima delle anomalie, avresti detto: ma il fatto che funzioni così bene vorrà dire qualcosa, sant'Iddio! Non sarà che il modello coglie la stessa configurazione della realtà?
L'accumularsi delle anomalie e lo sviluppo della teoria quantistica dimostrano che no, quel modello non ricostruiva lo stesso ordine presente nella materia, non era la rappresentazione della stessa configurazione. Indipendentemente dai notevoli successi.
Se ancora non hai capito vai a leggerti Bachelard o Kuhn, io qui ho finito.

Alberto Knox

#100
la creazione di modelli interpretativi sono l invenzione di qualcosa di nuovo che prima non c'era , di conseguenza non pretendono un uguaglianza strutturale ma una rappresentazione interpretativa della realtà.  il modello consiste in un lavoro di astrazione , solitamente di natura matematica . Ma invece di cercare adeguazioni si parla di analogie. Diciamo che per ogni volta che si pensa ad una analogia gia esiste nella nostra mente un modello astratto della realta che poi cerchiamo di rappresentare con un modello. Quello che conosciamo è il fenomeno o il modello costruito per interpretare il fenomeno? e quando diciamo di saper spiegare un fenomeno che cosa spieghiamo? il modello o il fenomeno? dire che il modello rappresenta il fenomeno , quello si che sarebbe metafisica applicata. Perchè non ci sarebbe più nessuna differenza fra il modello e il fenomeno. Itendo dire che bisogna fare una distinzione fra modelli e fenomeni reali perchè i modelli non sono mai perfettamente analoghi o adeguati ai fenomeni. Non esiste matematica in natura ,esistono ricorrenze costanti, descrivibili in funzioni matematiche.
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Alberto Knox

Citazione di: Koba-san il 19 Ottobre 2025, 10:06:00 AMho già fatto notare che c'è una complessa interazione, ma che l'efficacia di un modello non significa che esso rappresenti la realtà.
Non ho mai posto la domanda in questi termini, cioè che i modelli interpretativi rappresentano la realtà . Se si va a leggere ho sempre parlato di organizzazione o ordine . In questi termini sto dicendo che i principi di organizzazione del mondo sono nel nostro intelletto (per quanto la cosa sembri assurda) così come con la matematica possiamo spiegare la natura così come con la logica possiamo organizzare l esperienza. 
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

Phil

Citazione di: Koba-san il 19 Ottobre 2025, 10:06:00 AMi mie tentativi di chiarire il tema hanno suscitato ostilità o derisione (ridurrebbero infatti i termini della questione a macchiette da bar sport)
Per ricordare la complessità del discorso (altrimenti non avrei postato articoli stracolmi di nomi e distinzioni) ho usato un'espressione leggera (scherzosa?), quella dei "tipi da bar", che non voleva deridere nessuno (tantomeno i bar). Avrei potuto scrivere che sia il relativista che il realista di cui parliamo hanno in realtà personalità multiple; il concetto sarebbe stato lo stesso. Se non ci si ferma alla prima riga (perché già alla seconda riga scrivo «usiamo», quindi mi includo in quella che sarebbe un'autoderisione?), nel resto del post cerco di distinguere meglio i due personaggi, con la premura di invitare a non snaturarli (quindi me ne curo), proprio perché mi interessa(va) seguirne le avventure gli sviluppi teoretici.

Alberto Knox

io non ho nulla di cui dovermi giustificare, a proposito del progresso fra scienza e filosofia realista/relativista non ho fatto altro che dire la verità e c'è tutto il papiro postato da Phil a confermarlo. E non ho preso affatto in giro nessuno.  
Noli foras ire , in teipsum redi, in interiore homine habitat veritas.

daniele22

@Koba-san
@Phil
Ritorno a questioni lasciate in sospeso circa l'idea di un'etica che si ispiri a criteri di scientificità.
Ai tempi in cui non era noto che lo spazio percorso era funzione della velocità (pure se in un certo senso già lo sapevano), un individuo che fosse uso percorrere una data distanza e che reputasse pericoloso viaggiare col buio sapeva bene che per giungere a meta prima che facesse buio avrebbe dovuto muoversi entro un determinato momento del giorno.
Analogamente a quanto già detto sull'aver cura di sé piuttosto che "fregarsene" di sé a fronte della semplice conoscenza che tutti si debba infine morire, il pensiero sopra esposto vuole evidenziare che la via della conoscenza, la fisica in questo caso specifico, sarebbe in un certo senso una possibilità e non una necessità.
Di conseguenza si può ben sostenere l'idea che la via della conoscenza (colloquialmente "la scienza") corrisponda solo a una delle due polarità in cui può esprimersi una cultura umana.
Riporto ora di seguito il mio primo post in questo forum, quello che di recente iano ha definito infelice, e che per me non lo è.
"Secondo me gli animali sanno benissimo quel che fanno. Certo, agiscono d'istinto, ma nessuno ha mai dimostrato che noi non lo facciamo. Potrebbe benissimo essere che noi d'istinto ci si rivolga alla ragione, e questa, di conseguenza, moduli nei modi più convenienti l'istinto selvaggio. Se si prova a immaginare un mondo senza regole orali o scritte, probabilmente anche noi vivremmo di puro istinto".
Poter vivere di puro istinto presuppone quindi riferirsi a costumi consolidati, ovvero a schemi che consentono automatismi d'azione senza il bisogno di ricorrere al pensiero (al ragionamento). Ma una "novità ambientale" può intervenire al punto da far sì che noi si possa considerare che l'azione istintiva consolidata risulti controproducente in relazione alle nostre aspettative, quelle nel nostro presente intendo, materiali o spirituali che siano.
Questo semplice fatto sembra rivelare che la dottrina che regge il nostro comportamento sia comunque assoggettata a un fine (le nostre aspettative). E se vi è un fine mi sembra evidente che il comportamento collettivo debba essere trattato scientemente; prima, è necessario però determinare che cosa è bene e che cosa è male...........ciò che risolve la questione sarà decidere quale sia il verso (mentale) giusto di una grandezza vettoriale (la società umana); verso, a mio giudizio, fino a oggi sbagliato. 
Concludo rispondendo alla domanda di Koba su chi decreta il vincitore di un confronto dialettico: essendo che il futuro sarebbe a mio vedere "aperto", il vincitore è il pensiero che ottiene maggior consenso, come sempre

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