Intelligenza umana: può parlarsi di un "effetto Logos"?

Aperto da Luther Blissett, 04 Novembre 2025, 19:15:19 PM

Discussione precedente - Discussione successiva

Luther Blissett

L'intelligenza umana risiede nel cervello, vero? E perché questa strana domanda per una cosa che dovremmo dare tutti per scontata? Riferisco ora un raccontino che potrà farvi venire dei dubbi in merito. Un raccontino che ho utilizzato anche su altri siti e in altre occasioni, e che servirà anche qui per seminare un dubbio che forse qualcuno di voi ancora non aveva avuto finora.
      ...
Ulma, cittadina della Germania meridionale, primavera dell'anno 1879.
 La cittadina è in subbuglio per il rapimento di un neonato dicono portato via da una donna. Il bimbo si chiama Albert. Il viavai a casa dei genitori Hermann e Pauline in Bahnhofstrasse è incessante. Invano si tenta di mettere insieme qualcosa di preciso su questa donna, giacché la cameriera Hilde che pare sia l'unica ad averne visto fuggevolmente lo scialle che indossava, nemmeno riesce a rammentare alcun altro dettaglio utile alle indagini, se non il minimo particolare di una spillina dai riflessi argentati che ornava lo scialle. Segnalazioni su una donna con uno scialle e un bambino piccolissimo arrivano da ogni dove. Ma purtroppo i giorni e poi le settimane e poi i mesi passano e del bambino non si sa più nulla. Dov'è Albert? Ad Ulma rimane a lungo negli anni seguenti la paura ogni volta che avviene una nuova nascita, e tutti sono divenuti più guardinghi. Dov'è Albert? Hermann e Pauline sono persone forti e capaci di assorbire la tremenda esperienza. Non si lasciano demolire dalla domanda di dove sia Albert e non smettono di vivere, non rinunciano a vivere, e decidono di abbandonare la piccola cittadina di Ulma per trasferirsi a Monaco di Baviera. E arriva il 1881, l'anno in cui mettono al mondo Maja. Passano molti altri anni. E arriva il 1895.
 Schwarzwald (Foresta Nera), autunno del 1895.
 La polizia è stata chiamata a catturare un misterioso animale che starebbe terrorizzando i contadini di una zona non distante dalla cittadina di Staufen. Corrono strane voci perfino sulla comparsa in zona di lupi mannari. Di più probabile però risulterebbe solo che in zona sono scomparse alcune galline. Kurt, poliziotto di Friburgo e cacciatore con buona conoscenza di quei luoghi, ha più fortuna degli altri suoi colleghi e infine riesce a catturare con una ingegnosa trappola il misterioso animale che era stato segnalato. Sì, si tratta proprio di lui: Albert!
 E quanto ce n'è voluto per capire che si trattava di Albert. Ferito dalla tagliola, totalmente lurido nella sua totale nudità animale, il volto contratto da un ghigno bestiale, non si sarebbe potuto mai identificarlo in Albert se non fosse stato per quella spillina argentata che era scomparsa insieme a lui e ora era stata ritrovata in quella che si presume fosse divenuta la tana dove Albert aveva trovato rifugio.
 E la spillina non apparteneva ai suoi genitori, era evidente che si trattava di quella che era stata osservata dalla cameriera Hilde sullo scialle della misteriosa rapitrice. Senza quel particolare della spillina non si sarebbe potuto associare così logicamente il piccolo Albert rapito 16 anni prima con quell'assurdo essere selvatico catturato da Kurt il poliziotto.
 Mistero totale su come avesse fatto a sopravvivere 16 anni nella foresta. Di lui si presero cura alcuni studiosi della vicina università di Friburgo. Tantissima curiosità avvolse il suo caso che divenne celeberrimo come il caso Albert Einstein, il bambino-lupo della Foresta Nera.
 Questa appena descritta è una vicenda da storia alternativa, o allostoria o ucronia.
 Interroghiamoci su dove sarebbe stata da ricercarsi la grandissima intelligenza di Albert Einstein, se una misteriosa donna con lo scialle e una spilla argentata lo avesse rapito ancora in fasce e condotto a vivere affidato alla precarietà assoluta della vita selvaggia in una natura lontana da ogni scintilla di umanità.
 Dove ricercare l'intelligenza di Einstein, dunque, davvero nel suo cervello?

   ...
Ho qui dovuto contenere al minimo il mio raccontino per evitare che straripasse a divenire un romanzo, ma è possibile che nel mio impeto all'essenziale l'abbia sfrondato di troppi rami.
 Cerco di rimediare focalizzando soprattutto un punto che può essere sfuggito.
 Torniamo per un momento ad immaginare come realmente accadute le vicende da me descritte del piccolo Albert rapito. Albert bebè riesce fortunosamente a sopravvivere nella foresta forse anche grazie al riflesso istintivo di accudimento da lui suscitato in qualche mammifero femmina che come può capitare si sarà lasciata intenerire da un cucciolo non suo e nemmeno appartenente alla sua specie (cfr. effetto Eibl-Eibesfeldt).
 Albert è nato nel 1879, viene ritrovato in margine alla foresta nel 1895, e dunque ha ormai 16 anni: è troppo tardi per recuperarlo alla condizione umana. Non sto esagerando: il suo cervello, sto parlando del cervello di Einstein, è perduto e non più utilizzabile nel senso umano del termine. Albert ha vissuto nella foresta senza contatti umani da zero a 16 anni, e ora egli non sarebbe in grado di confrontarsi nemmeno con un suo coetaneo affetto da sindrome di Down (la trisomia 21 dei cosiddetti mongoloidi) che di sicuro lo sovrasterebbe in ogni test di valutazione cognitiva. E' apparentemente ancora un essere umano da ogni punto di vista. Ed integro potrebbe essere probabilmente ancora il suo cervello. Ma dato che non è stato in contatto con alcun essere umano nella fase delicatissima della prima infanzia, non lo si può più considerare appartenente alla nostra specie! Forse, con enormi difficoltà e dopo molti e lunghi anni di riabilitazione si potrebbe ancora combinare qualcosa. La casistica dei bambini-lupo è tuttora estremamente carente e aiuta ben poco a stabilire quali possibilità residue di recupero sarebbero possibili in un caso come questo: possiamo affermare che per un essere umano che abbia raggiunto la pubertà senza mai essere stato in contatto fin dalla più tenera età con alcuna persona della specie umana è troppo tardi tentare un recupero soddisfacente.
 Da quanto detto traiamo la conclusione che per fare compiutamente un essere umano occorre il necessario concorso dei seguenti due imprescindibili ingredienti:
 disporre di un corpo appartenente alla specie Homo sapiens;
 disporre di una adeguata relazione con esseri umani: si osservi che non è indispensabile si tratti della madre, infatti potremmo adoperare il più generico termine caretaker (chi si prende cura di). E' insomma sufficiente che il bambino sia in un qualunque modo in una qualche relazione sia pur minima e difettosa con esseri umani.
 Qualora manchi ogni traccia di relazioni umane entro il lasso di tempo sensibile, non ha più modo di nascere la straordinaria capacità cognitiva tipicamente umana di intrattenere uno scambio simbolico sia verso l'esterno con altri esseri umani, sia verso se stessi nella riflessione autoconsapevole.
 Fatte queste dovute precisazioni, possiamo tornare a chiederci: dove si origina l'intelligenza, nel cervello o nella società umana?

  ...
Ecco la  mia autorisposta, che  è conseguente al ragionamento appena fatto: l'intelligenza umana si è formata nella società costituita dagli esseri umani, mentre il nostro cervello ha soltanto il compito di recepirla. L'intelligenza umana, quindi, è come un pacchetto di informazioni e programmi formatisi nella comunità umana, pacchetto che è assolutamente necessario venga correttamente trasferito al cervello del neonato. Se un qualche ostacolo interferisse in questa delicata fase impedendo il corretto trasferimento di questo pacchetto verso il cervello di un neonato, il suo cervello ne risulterebbe irreversibilmente danneggiato, al punto che il soggetto perderebbe le caratteristiche tipiche della nostra specie. La condizione umana richiede ovviamente il possesso di un cervello da Homo sapiens, ma essa è assimilabile a un pacchetto di dati e programmi da trasferire correttamente da una generazione all'altra: la condizione umana è quindi qualcosa di trasferibile. Con molte cautele, penso si possa ricorrere all'analogia che ci viene proposta dall'informatica, della società umana intesa come generatrice del "software-condizione-umana", da installare nell'"hardware" del singolo essere umano, cioè nel suo cervello.
 L'intelligenza umana si è formata nella società e non nell'individuo. Senza il software-condizione-umana correttamente installato, l'individuo tornerebbe a ritrovarsi, ed essere, un primate simile alle altre scimmiette, ma più precario ed inetto perfino di queste.

Può parlarsi di un "effetto Logos"?

Luther Blissett

Formiche e api sono esempi di animali sociali, animali cioè che sarebbero da considerarsi organizzati a due diversi livelli di complessità: animali che per certi versi ci assomigliano.
Se un'ape è un organismo, l'alveare possiamo pensarlo come un super-organismo. Il linguaggio delle api, decifrato da Karl von Frisch, non sarebbe propriamente il linguaggio delle api, bensì dell'alveare.
Un superorganismo, costituito da più organismi, viene acquisendo per sinergia proprietà emergenti che diverranno disponibili anche per gli organismi costituenti il superorganismo stesso.
Anche tra uomo e società umana può pensarsi esista un effetto analogo.  Ho proposto la denominazione di "effetto Logos".
 La parola sarebbe da considerarsi una trasduzione esterna all'organismo umano dei neuromessaggi interni a tale organismo.    Attraverso la parola le menti umane con-vengono a saldarsi stabilendo una continuità funzionale che supera e trascende la loro discontinuità fisica: per tale con-venzione verrebbe a formarsi una super-mente sociale che, per analogia con ciò che accade dentro gli organismi umani, anche al di fuori di essi arriverebbe a creare una rete protonubecolare* di logotrasmettitori **
 
(* protonubecolare= come un miniprotocloud di dati;
** logotrasmettitori= neologismo proposto per indicare il concetto di parola quando considerata nel contesto del superorganismo "società umana")

iano

#2
Citazione di: Luther Blissett il 04 Novembre 2025, 19:15:19 PME' apparentemente ancora un essere umano da ogni punto di vista. Ed integro potrebbe essere probabilmente ancora il suo cervello. Ma dato che non è stato in contatto con alcun essere umano nella fase delicatissima della prima infanzia, non lo si può più considerare appartenente alla nostra specie! Forse, con enormi difficoltà e dopo molti e lunghi anni di riabilitazione si potrebbe ancora combinare qualcosa. La casistica dei bambini-lupo è tuttora estremamente carente e aiuta ben poco a stabilire quali possibilità residue di recupero sarebbero possibili in un caso come questo: possiamo affermare che per un essere umano che abbia raggiunto la pubertà senza mai essere stato in contatto fin dalla più tenera età con alcuna persona della specie umana è troppo tardi tentare un recupero soddisfacente.
Però , diversamente da come si credeva, la plasticità del cervello non si perde dopo i sei mesi di vita.
Essa anzi è tale che il cervello riesce a riorganizzarsi per compensare accidentali menomazioni a qualunque età, ed esistono tecniche  capaci di accelerare questo processo.


LAWRENCE D. ROSENBLUM
LO STRAORDINARIO POTERE DEI NOSTRI SENSI
GUIDA ALL'USO
Bollati Boringhieri.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#3
Citazione di: Luther Blissett il 04 Novembre 2025, 19:15:19 PM L'intelligenza umana si è formata nella società e non nell'individuo. Senza il software-condizione-umana correttamente installato, l'individuo tornerebbe a ritrovarsi, ed essere, un primate simile alle altre scimmiette, ma più precario ed inetto perfino di queste.
Può parlarsi di un "effetto Logos"?
Si può parlare di un effetto logos come caso particolare dell'effetto tecnica.
Non mi sorprenderei, per quanto detto nel post precedente, se il ragazzo, più che ritrovarsi alla casella del via dell'evoluzione, ci fosse tornato, riconvertendo la sua parte di cervello riservata al logos, a quella che era prevalentemente la sua destinazione originaria, acuendo la sua vista, cosa certamente più utile del logos, nella condizione in cui si è trovato a vivere. Nel caso fosse successo, si tratta comunque di un processo reversibile.
Dove non arriva la vista arriva il lume della ragione, e Viceversa. Dipende da cosa conviene farci  col cervello relativamente alle condizioni in cui ci si trova.

Una scimmia riesce a memorizzare decine di immagini che appaiono sullo schermo di un computer per un tempo così piccolo, che noi non le vediamo nemmeno.
Questo significa che oggi una tigre coi denti a sciabola ci mangerebbe senza che ce ne accorgiamo.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#4
Citazione di: Luther Blissett il 06 Novembre 2025, 17:11:26 PMLa parola sarebbe da considerarsi una trasduzione esterna all'organismo umano dei neuromessaggi interni a tale organismo.    Attraverso la parola le menti umane con-vengono a saldarsi stabilendo una continuità funzionale che supera e trascende la loro discontinuità fisica: per tale con-venzione verrebbe a formarsi una super-mente sociale che, per analogia con ciò che accade dentro gli organismi umani, anche al di fuori di essi arriverebbe a creare una rete protonubecolare* di logotrasmettitori
Le mie critiche comunque non inficiano questa possibilità, perchè le premesse che hai fatto non mi sembrano necessarie per giungere alle tue conclusioni.
Però, per convenire con te sulla super-mente dovrei sapere cosa si intende per mente, e io non credo di saperlo abbastanza.
Per quel poco che immagino però una super-mente non è possibile, oppure è possibile, ma allora la mente non è ciò che immagino. A naso, per quanto non sensibile come quello di un scimmia, direi che  la seconda è una buona ipotesi, facendo virtù di ignoranza, perchè certo, ci aiuterebbe a capire il comportamento, diversamente incredibile, degli insetti sociali.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

Citazione di: Luther Blissett il 06 Novembre 2025, 17:11:26 PMLa parola sarebbe da considerarsi una trasduzione esterna all'organismo umano dei neuromessaggi interni a tale organismo.
L'individuo si relaziona con gli altri individui, ed è fatto di parti in relazione fra loro.
Dal punto di vista delle relazioni, se avessero una coscienza, l'individuo è una parte funzionale come un altra, ma non dal punto di vista di una parte che ha coscienza di se, cioè noi.
Per quanto noi ci percepiamo come un corpo, con un dentro e fuori, potremmo provare ad andare oltre la nostra percezione, definendoci come parti in relazione con altre senza un dentro e un fuori.
In fondo il corpo è solo il modo in cui ci percepiamo, e ciò che percepiamo può non coincidere necessariamente con ciò che siamo.
Se costruire l'intelligenza artificiale è equivalso ad avere esternato la nostra intelligenza, allora perciò non è più nostra?
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Jacopus

I paragoni con altre specie animali e homo sapiens sono stimolanti perché ci illustrano come la nostra specie appartenga in ultima istanza al regno animale. Ma sono anche fuorvianti, poiché lo sviluppo del mondo culturale umano è di una qualità e quantità completamente estranea ad ogni cultura comunicativa di ogni altra specie prosociale come le formiche, i lupi o i bonobo.
La combo ipercervello-accumulazione del sapere-cultura ha creato le premesse per essere quello che siamo, una specie in grado di intraprendere le più diverse direzioni comportamentali, perché siamo (apparentemente) esonerati dalla più cruda lotta per la sopravvivenza e questo ci permette da qualche centinaia di migliaia di anni di sperimentare le più diverse azioni e società, unico esempio nel mondo animale di questa straordinaria diversità. Quindi, sì il logos è stato un eccezionale booster della intelligenza umana, ma non va interpretato come uno strumento univoco verso un progressivo miglioramento della condizione umana, come si potrebbe dedurre. L'accumulazione di risorse, di potere, di sapere, crea le premesse per disconnessioni e conflitti che poco hanno in comune con il mondo integrato degli alveari. Quindi il logos come pharmakon, antidoto e veleno allo stesso tempo. Inoltre sulla metafore hardware-software, obietto che il cervello non è di sua natura una macchina ma un sofisticato organo che unisce capacità computazionali e capacità affettivo-emotive. Nessun hardware, al momento è riuscito a clonare questa duplice natura del cervello dell'uomo (in realtà di tutti i mammiferi ed uccelli, noi abbiamo solo esagerato). Un'ultimo accenno su come, grazie a questa libertà delle "visioni del mondo", il fatto di credere il cervello come hardware lo modella realmente come hardware, facendogli perdere le sue funzioni affettive, con conseguenze socio-politiche importanti. Noi siamo anche delle forme modellate dalle interazioni e dai messaggi che riceviamo (per questo motivo esistono così tanti modelli diversi di società).
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

iano

#7
Citazione di: Jacopus il 07 Novembre 2025, 08:01:50 AMNessun hardware, al momento è riuscito a clonare questa duplice natura del cervello dell'uomo (in realtà di tutti i mammiferi ed uccelli, noi abbiamo solo esagerato).
Premesso che le teologie non hanno senso, ma danno un senso, proviamo a fare una applicazione della teologia di Luther.
Turing pensa al computer....e il computer fu.
Il computer non è una clonazione di Turing, ma del suo pensiero, che da modo a Turing  di confrontarsi con esso in un modo nuovo, ad esempio con dei test.
Esso non è vivo più di quanto lo sia la nostra immagine nello specchio , per quanto si comporti come un essere vivente, perchè il nostro pensiero non ha una sua vita indipendente, anche se siamo riusciti a divinizzarlo.
L'altro da noi è motivo di confronto in genere, che genera autoconoscenza, ma il confronto qui avviene con ciò che abbiamo reso altro da noi, fino a disconoscerlo per un semplice pregiudizio di località, che ci fa pensare a noi come un corpo separato da ciò con cui entra in relazione, perchè se c'è una relazioni allora devono esistere i soggetti della relazione.
Allo stesso tempo abbiamo la prova di essere il prodotto di una relazione fra corpi che fino a ieri consideravamo come estranei in casa nostra, ma che oggi sappiamo essere per noi vitali, come virus e batteri, coi quali abbiamo condiviso perfino quel DNA che ci dovrebbe fare speciali fra i viventi.

Quel logos che è... la teoria degli insiemi, sembra essere vestire ad hoc  la descrizione che abbiamo fatto, dove la distinzione fra insieme e suoi elementi è convenzionale, perchè ognuno può assumere a turno l'uno e l'altro ruolo, un gioco logico di matrioske capace di arrivare ad abbracciare  Gea per intero , dalla quale per miopia ci siamo creduti separati, con le conseguenze che oggi stiamo vivendo.
In effetti siamo esseri sociali ben oltre ciò che crediamo.

Un corpo e una mente è ciò che percepiamo, ma quali prove abbiamo di ciò?
Per Cartesio la prova era la stessa percezione.
Si può andare oltre?
Difficile, o forse l'abbiamo già fatto, perchè i  sensi coi quali indaghiamo la realtà si sono in effetti moltiplicati, ma non ce ne siamo accorti, avendoli esternati.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#8
Avendoli esternati, e non avendoli quindi più intesi come nostri, immaginando anzi che ci portassero a verità, non essendone noi capaci, fidando nella loro alterità, così come già abbiamo fatto con Dio.
 Essi però, se pur non sono noi, sono a nostra immagine.

Così, per buon peso, ho aggiunto anche, e senza averlo premeditato, una applicazione della teologia cristiana, perchè evidentemente dentro a quella teoria vivo, e mi viene perciò naturale farlo.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Luther Blissett

Citazione di: iano il 06 Novembre 2025, 23:11:18 PM
CitazioneE' apparentemente ancora un essere umano da ogni punto di vista. Ed integro potrebbe essere probabilmente ancora il suo cervello. Ma dato che non è stato in contatto con alcun essere umano nella fase delicatissima della prima infanzia, non lo si può più considerare appartenente alla nostra specie! Forse, con enormi difficoltà e dopo molti e lunghi anni di riabilitazione si potrebbe ancora combinare qualcosa. La casistica dei bambini-lupo è tuttora estremamente carente e aiuta ben poco a stabilire quali possibilità residue di recupero sarebbero possibili in un caso come questo: possiamo affermare che per un essere umano che abbia raggiunto la pubertà senza mai essere stato in contatto fin dalla più tenera età con alcuna persona della specie umana è troppo tardi tentare un recupero soddisfacente.
Però , diversamente da come si credeva, la plasticità del cervello non si perde dopo i sei mesi di vita.
Essa anzi è tale che il cervello riesce a riorganizzarsi per compensare accidentali menomazioni a qualunque età, ed esistono tecniche  capaci di accelerare questo processo.


LAWRENCE D. ROSENBLUM
LO STRAORDINARIO POTERE DEI NOSTRI SENSI
GUIDA ALL'USO
Bollati Boringhieri.
Grazie, iano, per le tue risposte molto puntuali.
Non conoscevo questo Autore che hai citato.  L'ho subito cercato su eMule, e purtroppo lì non ce n'è traccia.
Comunque, per dirimere la questione occorrerebbero riscontri sul campo, ma per fortuna i casi effettivi di bambini selvaggi sono estremamente rari e, quei pochi, insufficientemente documentati.
Per farsene un'idea approssimativa, basterebbe dare un'occhiata alla voce "ragazzo selvaggio" su Wikipedia.
...
La mia ipotesi è che dovremmo applicare anche sulla specie umana quella doppia lettura che più facilmente comprendiamo sia necessaria quando ad essere oggetto di studio  sono gli insetti sociali.
È facile capire quanto sarebbe diverso studiare una ape in quanto singola ape, dallo studiare il suo alveare.
La sorprendente maggior complessità del suo alveare ci fa sùbito intuire che deve per forza esserci un qualche principio più generale finora sfuggito di sintalità.
Ritengo ipotizzabile esista un concreto livello gerarchicamente superiore a quello dell'uomo come individuo, e dovremmo renderci conto che non potrebbero allora non esserci conseguenze di una sorta di effetto alveare anche per quanto riguarda la specie umana, e trattandosi dell'uomo come specie invasiva e davvero speciale, un iper-effetto alveare.
Esiste già una caterva di parole che sembrano voler anticipare la sostanziazione di un tale concetto, un campo semantico affollato di apparenti sinonimi di gruppo e società.
L'intuizione fondamentale già è stata fatta: l'insieme è superiore alla somma delle parti che costituiscono l'insieme.
Ma ancora oggi sembra sfuggire ad esempio che alcune potenti idee che si sono insediate nella nostra psiche non riguardano propriamente noi in quanto individui ma noi in quanto umano alveare.
Applichiamo sùbito.
L'idea di Dio, ad esempio.  Chi riguarda? A quale livello ci riguarda? Quando in un libro centrale nella storia umana come la Bibbia è scritto, e tante volte ripetuto, "figlio dell'uomo", non sembra proprio che lì si stia parlando di noi in quanto individui.

Luther Blissett

A psoripoto dlela psilciattà del clevrelo uamno, è narcessieo pravore a frae un stalo di qilautà... oops, mi correggo, e riprendo più correttamente dall'inizio: A proposito della plasticità del cervello umano,  è necessario provare a fare un salto di qualità.
Come si sarà notato, l'effetto scramble della frase incipit di questo post  avrà sulle prime un po' scombussolato il lettore, che però già un istante dopo si sarà immediatamente reso conto di riuscire sorprendentemente ad afferrare il senso delle parole, pur scombiccherate che fossero.
Est modus in rebus, c'è una regoletta da seguire, se si vuole in ogni caso  preservare il senso delle parole, pur strapazzandole: occorre risparmiare rigorosamente le posizioni prime ed ultime delle lettere di ogni parola.  Se non si fa così, allora verrebbe giù tutto.
Responsabile di questa regoletta è la plasticità del cervello umano.  Qualche millennio fa, avendo la specie umana adottato una nuova tecnologia (la scrittura), alcuni nuclei e centri nervosi del nostro cervello si sono piuttosto prontamente adeguati alla nuova situazione, e si sono riciclati riconvertendosi a nuove funzioni.
Esiste un dialogo permanente tra l'uomo faber, ideatore di sempre nuove tecnologie, e il suo cervello sempre pronto ad aggiornarsi.  E questo esempio che si è fatto dimostra quanto può essere rapido il suo svolgimento. Alcuni dicevano che erano necessarie ère intere di parecchi millenni, e invece qui siamo davanti a un cervello che ha appreso a far questo nel giro soltanto di un paio di millenni, ovvero da quando si è andata affermando la nuova tecnologia chiamata scrittura.   Quando questa iniziò a diffondersi seriamente, non mancò che qualche pensatore riflettesse su qualche ipotetico rischio di perdita di memorie.  La sconcertante possibilità di esternalizzare significati e lasciarne traccia all'esterno di sé apparve sconvolgente a taluni: che cosa sarebbe potuto accadere alla facoltà della nostra memoria, che non avrebbe più avuto stimolo ad esercitarsi, ora che era giunta l'ora perigliosa della scrittura?
 ...
C'è un dialogo costante e ascendente e talora ricorsivo tra l'homo faber e la serie incessante delle sue ennesime tecnologie, e tutto questo avviene nell'indeterminatezza  dei confini uomo-mondo, e anzi proprio dei confini io-mondo.
Assolutamente ovvio che prima tecnologia umana e ricorsivamente umanizzante fu la parola, flusso di significati oltre ogni cervello. 
Fu poi la volta della scrittura, uno dei boost più potenti, l'aggiunta di un turbo alla parola, che finiva per poter essere pure incisa sulla pietra.

Luther Blissett

Facciamo pure qualche piccolo esempio controverso.
Ogni nuova tecnologia prepara di per sé accelerazioni e rivolgimenti a non finire.
 Pensate alla stampa a caratteri mobili. L'avevano inventata i cinesi prima di noi, ma a loro serviva poco, data la loro scrittura pittografica costituita tutta da ideogrammi.
A metà del '400 finalmente la inventiamo noi europei, che abbiamo alfabeti fonetici costituiti da poche decine di segni.
In quel finire del secolo XV questa innovazione tecnologica ebbe la risonanza di una vera bomba.
Pensate un momento alla Bibbia: fino alla fine del XV secolo doveva riempire un intero scaffale, essendo costituita da parecchi "libri" tutti rigorosamente scritti a mano da monaci amanuensi.
Quante Bibbie giravano in Europa?  Poche decine di migliaia!  Chi disponeva di una Bibbia in Europa?  Discorso in parte da me già fatto: alcuni nobili colti, l'alto clero e gli ebrei.
Per quanto riguarda i religiosi, oltre naturalmente ai monaci amanuensi, l'alto clero soltanto ne disponeva, dato che la Bibbia costava allora quasi come un appartamento.
Della Bibbia la Chiesa sconsigliava la lettura al popolo, ai "non addetti ai lavori" (e in fondo in fondo aveva ragione), ma era appunto un consiglio inutile, dato che praticamente nessuno del popolo disponeva di una Bibbia.  I sacerdoti stessi, quelli di provenienza popolare, quindi, nemmeno loro disponevano di una Bibbia privata, ma potevano servirsi soltanto di quella esposta sul leggìo che troneggiava dentro le chiese, e quindi quando la leggevano potevano farlo soltanto in pubblico alla presenza di altri. E aggiungiamoci anche che i pochi che allora sapevano leggere non avevano ancora acquisito la capacità di leggere silenziosamente, e quindi erano costretti a far sentire agli altri ogni cosa che stessero leggendo, rinunciando a ogni privacy anche nella lettura. (Sto accennando al fatto che fino a pochi secoli fa non era ancora acquisita da tutti i lettori la capacità di leggere in silenzio, e anche questo conferma come la conquista di ogni nuova tecnologia richieda ma poi produca salti di qualità e plasticità)
Ovviamente, appena fu disponibile la stampa a caratteri mobili, il primo libro a finire stampato fu inevitabilmente la Bibbia, e nel giro di pochi anni vi fu una vera alluvione di bibbie.
Si stima che a quei tempi l'Europa sia stata invasa da almeno mezzo milione di bibbie!
I costi logicamente crollarono.
La Chiesa osteggiò tutto ciò ma non poté impedirlo.
La Chiesa capiva bene come sarebbe andata a finire.
Un Lutero non avrebbe mai potuto compiere quel che fece, senza che fosse prima esistita la stampa a caratteri mobili.
Certo, delle eresie erano comparse anche prima, ma erano tutti eventi più o meno locali e circoscrivibili... valdesi, albigesi, hussiti...
Nel XVI secolo si ebbe la maturazione delle conseguenze della stampa a caratteri mobili: la Chiesa e l'Europa si spaccarono, e a Roma giunse una turba di neoconvertiti alla Riforma che violentarono tutta la città   (anno 1527), e dovettero passare un paio di secoli di guerre di religione, con mezza Europa ridotta ad assomigliare alla Siria di oggi.

daniele22

Citazione di: Luther Blissett il 04 Novembre 2025, 19:15:19 PML'intelligenza umana risiede nel cervello, vero? E perché questa strana domanda per una cosa che dovremmo dare tutti per scontata? Riferisco ora un raccontino che potrà farvi venire dei dubbi in merito. Un raccontino che ho utilizzato anche su altri siti e in altre occasioni, e che servirà anche qui per seminare un dubbio che forse qualcuno di voi ancora non aveva avuto finora.
      ...
Ulma, cittadina della Germania meridionale, primavera dell'anno 1879.
 La cittadina è in subbuglio per il rapimento di un neonato dicono portato via da una donna. Il bimbo si chiama Albert. Il viavai a casa dei genitori Hermann e Pauline in Bahnhofstrasse è incessante. Invano si tenta di mettere insieme qualcosa di preciso su questa donna, giacché la cameriera Hilde che pare sia l'unica ad averne visto fuggevolmente lo scialle che indossava, nemmeno riesce a rammentare alcun altro dettaglio utile alle indagini, se non il minimo particolare di una spillina dai riflessi argentati che ornava lo scialle. Segnalazioni su una donna con uno scialle e un bambino piccolissimo arrivano da ogni dove. Ma purtroppo i giorni e poi le settimane e poi i mesi passano e del bambino non si sa più nulla. Dov'è Albert? Ad Ulma rimane a lungo negli anni seguenti la paura ogni volta che avviene una nuova nascita, e tutti sono divenuti più guardinghi. Dov'è Albert? Hermann e Pauline sono persone forti e capaci di assorbire la tremenda esperienza. Non si lasciano demolire dalla domanda di dove sia Albert e non smettono di vivere, non rinunciano a vivere, e decidono di abbandonare la piccola cittadina di Ulma per trasferirsi a Monaco di Baviera. E arriva il 1881, l'anno in cui mettono al mondo Maja. Passano molti altri anni. E arriva il 1895.
 Schwarzwald (Foresta Nera), autunno del 1895.
 La polizia è stata chiamata a catturare un misterioso animale che starebbe terrorizzando i contadini di una zona non distante dalla cittadina di Staufen. Corrono strane voci perfino sulla comparsa in zona di lupi mannari. Di più probabile però risulterebbe solo che in zona sono scomparse alcune galline. Kurt, poliziotto di Friburgo e cacciatore con buona conoscenza di quei luoghi, ha più fortuna degli altri suoi colleghi e infine riesce a catturare con una ingegnosa trappola il misterioso animale che era stato segnalato. Sì, si tratta proprio di lui: Albert!
 E quanto ce n'è voluto per capire che si trattava di Albert. Ferito dalla tagliola, totalmente lurido nella sua totale nudità animale, il volto contratto da un ghigno bestiale, non si sarebbe potuto mai identificarlo in Albert se non fosse stato per quella spillina argentata che era scomparsa insieme a lui e ora era stata ritrovata in quella che si presume fosse divenuta la tana dove Albert aveva trovato rifugio.
 E la spillina non apparteneva ai suoi genitori, era evidente che si trattava di quella che era stata osservata dalla cameriera Hilde sullo scialle della misteriosa rapitrice. Senza quel particolare della spillina non si sarebbe potuto associare così logicamente il piccolo Albert rapito 16 anni prima con quell'assurdo essere selvatico catturato da Kurt il poliziotto.
 Mistero totale su come avesse fatto a sopravvivere 16 anni nella foresta. Di lui si presero cura alcuni studiosi della vicina università di Friburgo. Tantissima curiosità avvolse il suo caso che divenne celeberrimo come il caso Albert Einstein, il bambino-lupo della Foresta Nera.
 Questa appena descritta è una vicenda da storia alternativa, o allostoria o ucronia.
 Interroghiamoci su dove sarebbe stata da ricercarsi la grandissima intelligenza di Albert Einstein, se una misteriosa donna con lo scialle e una spilla argentata lo avesse rapito ancora in fasce e condotto a vivere affidato alla precarietà assoluta della vita selvaggia in una natura lontana da ogni scintilla di umanità.
 Dove ricercare l'intelligenza di Einstein, dunque, davvero nel suo cervello?

  ...
Ho qui dovuto contenere al minimo il mio raccontino per evitare che straripasse a divenire un romanzo, ma è possibile che nel mio impeto all'essenziale l'abbia sfrondato di troppi rami.
 Cerco di rimediare focalizzando soprattutto un punto che può essere sfuggito.
 Torniamo per un momento ad immaginare come realmente accadute le vicende da me descritte del piccolo Albert rapito. Albert bebè riesce fortunosamente a sopravvivere nella foresta forse anche grazie al riflesso istintivo di accudimento da lui suscitato in qualche mammifero femmina che come può capitare si sarà lasciata intenerire da un cucciolo non suo e nemmeno appartenente alla sua specie (cfr. effetto Eibl-Eibesfeldt).
 Albert è nato nel 1879, viene ritrovato in margine alla foresta nel 1895, e dunque ha ormai 16 anni: è troppo tardi per recuperarlo alla condizione umana. Non sto esagerando: il suo cervello, sto parlando del cervello di Einstein, è perduto e non più utilizzabile nel senso umano del termine. Albert ha vissuto nella foresta senza contatti umani da zero a 16 anni, e ora egli non sarebbe in grado di confrontarsi nemmeno con un suo coetaneo affetto da sindrome di Down (la trisomia 21 dei cosiddetti mongoloidi) che di sicuro lo sovrasterebbe in ogni test di valutazione cognitiva. E' apparentemente ancora un essere umano da ogni punto di vista. Ed integro potrebbe essere probabilmente ancora il suo cervello. Ma dato che non è stato in contatto con alcun essere umano nella fase delicatissima della prima infanzia, non lo si può più considerare appartenente alla nostra specie! Forse, con enormi difficoltà e dopo molti e lunghi anni di riabilitazione si potrebbe ancora combinare qualcosa. La casistica dei bambini-lupo è tuttora estremamente carente e aiuta ben poco a stabilire quali possibilità residue di recupero sarebbero possibili in un caso come questo: possiamo affermare che per un essere umano che abbia raggiunto la pubertà senza mai essere stato in contatto fin dalla più tenera età con alcuna persona della specie umana è troppo tardi tentare un recupero soddisfacente.
 Da quanto detto traiamo la conclusione che per fare compiutamente un essere umano occorre il necessario concorso dei seguenti due imprescindibili ingredienti:
 disporre di un corpo appartenente alla specie Homo sapiens;
 disporre di una adeguata relazione con esseri umani: si osservi che non è indispensabile si tratti della madre, infatti potremmo adoperare il più generico termine caretaker (chi si prende cura di). E' insomma sufficiente che il bambino sia in un qualunque modo in una qualche relazione sia pur minima e difettosa con esseri umani.
 Qualora manchi ogni traccia di relazioni umane entro il lasso di tempo sensibile, non ha più modo di nascere la straordinaria capacità cognitiva tipicamente umana di intrattenere uno scambio simbolico sia verso l'esterno con altri esseri umani, sia verso se stessi nella riflessione autoconsapevole.
 Fatte queste dovute precisazioni, possiamo tornare a chiederci: dove si origina l'intelligenza, nel cervello o nella società umana?

  ...
Ecco la  mia autorisposta, che  è conseguente al ragionamento appena fatto: l'intelligenza umana si è formata nella società costituita dagli esseri umani, mentre il nostro cervello ha soltanto il compito di recepirla. L'intelligenza umana, quindi, è come un pacchetto di informazioni e programmi formatisi nella comunità umana, pacchetto che è assolutamente necessario venga correttamente trasferito al cervello del neonato. Se un qualche ostacolo interferisse in questa delicata fase impedendo il corretto trasferimento di questo pacchetto verso il cervello di un neonato, il suo cervello ne risulterebbe irreversibilmente danneggiato, al punto che il soggetto perderebbe le caratteristiche tipiche della nostra specie. La condizione umana richiede ovviamente il possesso di un cervello da Homo sapiens, ma essa è assimilabile a un pacchetto di dati e programmi da trasferire correttamente da una generazione all'altra: la condizione umana è quindi qualcosa di trasferibile. Con molte cautele, penso si possa ricorrere all'analogia che ci viene proposta dall'informatica, della società umana intesa come generatrice del "software-condizione-umana", da installare nell'"hardware" del singolo essere umano, cioè nel suo cervello.
 L'intelligenza umana si è formata nella società e non nell'individuo. Senza il software-condizione-umana correttamente installato, l'individuo tornerebbe a ritrovarsi, ed essere, un primate simile alle altre scimmiette, ma più precario ed inetto perfino di queste.

Può parlarsi di un "effetto Logos"?
Essendo agnostico non mi preoccupo molto del cielo se non per eventuali tempeste o siccità.
Sul filo del rasoio di Occam rinuncio all'idea di un'intelligenza collettiva.. assomiglia troppo a un Dio che chissà quando, dopo essersi insediato, chissà come si pronuncerà. Difendo pertanto la causa dell'individuo.. come già detto è l'individuo che dà forma al gruppo e lo fa con la cosiddetta farina del suo piccolo sacco. . robe da mezzo talento insomma.. il grande sacco dei talenti dovrebbe infatti essere già a disposizione di tutti, almeno in teoria.
Secondo me comunque ti affidi a un arbitrio assai fragile. Il bambino selvaggio adatta semplicemente la sua intelligenza a seconda dell'ambiente e da come viene istruito a vivere da chi si è occupato di lui fintanto che non era autosufficiente. Resta in ogni caso intelligente. L'intelligenza risiede quindi nel cervello, come peraltro si riscontra anche in altre specie, e va da sé che un'ape apprenda gli usi delle api così come un umano apprende quelli umani.
Se si vuole pensare quindi a pacchetti di informazioni sospesi chissà dove bisognerebbe innanzitutto rendersi conto che Il mondo ci parla, e per quel che riguarda le informazioni utilizzabili parla soprattutto ai viventi. E i viventi parlano col mondo.
Questo "parlare" si riferisce però a un semplice comportamento, a un movimento nel tempo, si riferisce cioè a un agire. Per comprendere questa semplice idea, la nostra lingua umana dovrebbe essere vista come un comportamento che è sottoinsieme di altro comportamento che infine è il comportamento del corpo-mente. Seguendo questa linea l'analisi su questi pacchetti di informazioni andrebbe pertanto condotta lasciando da parte i contenuti che la nostra lingua umana veicola (teorie, religioni e chiacchiere socializzanti).
Visto così, il comportamento assume la sua più scheletrica veste mettendo solamente in evidenza che si tratta di un comportarsi in ragione del divenire.. l'essere vivente è cioè interessato al tempo futuro, e questo a prescindere dal fatto che lo sappia oppure no.
Il mondo ci parla dicevo. Anche le pietre ci parlano quindi, ci raccontano la loro solidità e il loro permanere quasi fisso nel tempo. Il muoversi del mondo cioè, che ognuno di noi agendo frantuma contribuendo al muoversi della molteplicità delle cose, tale muoversi di tutte queste cose appunto genera ineluttabilmente potenziali messaggi informativi fruibili da un osservatore. La grande pietra ci fa ombra, l'acqua ci disseta, nell'acqua ci si bagna, la tigre può mangiarci.. etc. .
Concludendo, il vivente, nel suo muoversi, più che a qualcosa di semplicemente istruito dall'alto sarebbe invece assimilabile a un'antenna ricetrasmittente con le proprie particolari sintonie di ricezione e trasmissione. Poi c'è l'essere umano che invece è un po' particolare. Sempre di antenna ricetrasmittente si tratta, ma sedotta dal fuoco che gli ha impresso il suo marchio (logos) in ragione del fatto che lo scimmione che ci precedette lo abbia eletto a divinità... una conseguenza di questa devozione sarebbero le tonnellate di energia spese in ragione delle umane paturnie
Un saluto

Adalberto

Solo viaggiando in treno son riuscito a leggere il thread.
Mi torna in mente il film di Herzog "L'enigma di Kaspar Hauser" (titolo originale "Ognuno per sé e Dio contro tutti") che prende spunto da un caso di inizio ottocento che risulta similmente diverso da quello dei giovani Tarzan abbandonati nei boschi e allevati da colleghi animali abitanti di una foresta magica, accogliente e sorella.
Kaspar nel film appare come un giovane disadattato, vissuto recluso, non si sa bene nemmeno cosa accadde nella realtà del fatto realmente accaduto in Baviera, che è alla base del film visionario. Ma non ha grande importanza...

Mi ricordo una frase, un concetto che illustra la capacità  elaborativa di Kaspar che entra ed esce da una casupola: e +/- dice:  "Io sono più grande di questa casa perché posso girarci intorno. Lei non può fare altrettanto."
Ecco, questa è intelligenza: saper dedurre in autonomia anche senza il supporto educativo di una societa (che per lui fu assente) .
Sicuramente la collettività  stimola e moltiplica le capacità intellettive di noi animali sociali, ma al contempo le orienta e sclerotizza su binari che non necessariamente risultano più plausibili dell'affermazione di Kaspar.

Per quanto riguarda invece la mia modesta esperienza di vita, da quella frase ne ho tratto un gran conforto, avendo già intuito vagamente che lo sviluppo di pensieri e visioni parallele possa essere un vantaggio.

Questo per narrare la duplicità de rapporto sociale che all'intelligenza individuale da e toglie.

Ma se dovessi rispondere alla domanda nella risposta aggiungerei ai fattori sociali anche quelli meccanici, ovvero non saremmo intelligenti (sic) senza che le mani avessero tolto funzionalità alla bocca nel reperimento del cibo e non avremmo acquisito una completa posizione eretta, riducendo lo spazio muscolare necessario alle mascelle e ampliando lo spazio cranico per ospitare materia grigia in una testa che ha sviluppato un diverso e originale baricentro. (+/- anche questo)
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

Jacopus

CitazioneMa se dovessi rispondere alla domanda nella risposta aggiungerei ai fattori sociali anche quelli meccanici, ovvero non saremmo intelligenti (sic) senza che le mani avessero tolto funzionalità alla bocca nel reperimento del cibo e non avremmo acquisito una completa posizione eretta, riducendo lo spazio muscolare necessario alle mascelle e ampliando lo spazio cranico per ospitare materia grigia in una testa che ha sviluppato un diverso e originale baricentro. (+/- anche questo)
Assolutamente così. Spesso, memori della lezione medioevale di divisione netta corpo (basso), mente (alta), ci dimentichiamo che il cervello è diffuso in tutto il corpo e che la stessa conformazione del corpo ha aiutato lo sviluppo del cervello, oltre che attraverso la posizione eretta, anche grazie alla laringe che permette l'emissione di suoni articolati e la visione prospettica (e non bilaterale, fatto singolare per una specie che nasce come preda e non come predatoria), che permette una visione tridimensionale sugli oggetti, più facilmente manipolabili. Uno sviluppo sinergico che probabilmente si è lentamente sviluppato verso la stessa direzione, cioè l'incremento di capacità di intervenire sul mondo fisico in modo tecnologico, aumentando così le possibilità di sopravvivenza della specie.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Discussioni simili (3)

755

Aperto da Angelo Cannata


Risposte: 55
Visite: 14242