Sul senso delle cose in generale

Aperto da daniele22, 20 Novembre 2025, 08:28:18 AM

Discussione precedente - Discussione successiva

Melisso

#15
"Il piano "inconscio" della scienza è azzerare completamente il simbolico in modo che la funzionalità sia finalmente completamente oggettiva."

è esattamente quello che fa la filosofia (non la metafisica) DA SEMPRE. (pur dovendo, per dirlo, inevitabilmente, usare il linguaggio)
non cè bisogno di aspettare che quella sgualdrina della Scienza ci arrivi...
(a meno che ovviamente non si intenda per scienza, filosofia: ma da 500 anni in qua nessuno la intende così)
Condividi:

Koba

Citazione di: iano il 23 Novembre 2025, 12:16:41 PMSembra però che tu questo ''simbolico'' lo voglia cariche di una funzione che non è la sua, quella di preservare la tua inviolabile identità di fondo, distorcendone la funzione.
Il simbolo ha la funzione di stare ''al posto di'', e fra le cose al posto di cui può stare non ci sei tu, perchè tu, in modo più o meno conscio, sei quello che gli da significato, significato che lui può accogliere perchè di suo non ne ha alcuno.


Tu confondi il segno con il simbolo (dando poi per scontata la convenzionalità del segno-simbolo, cosa tutt'altro che certa).
Ma tornando al simbolo, non si capisce come il suo contraccolpo possa rimandare all'identità, essendo l'identità una forma più o meno statica che emerge piuttosto dalle interazioni sociali, quindi in esperienze del tutto opposte a quella del simbolo, che sospinge invece il soggetto ad una rottura con il reale della vita quotidiano, per lasciare che si possa immergere dentro di sé o fuori di sé, contemplativo e sognante, secondo la disciplina del kokoronauta, già descritta in altro topic.
Condividi:

iano

Citazione di: Koba il 23 Novembre 2025, 14:37:54 PMTu confondi il segno con il simbolo (dando poi per scontata la convenzionalità del segno-simbolo, cosa tutt'altro che certa).
Ma tornando al simbolo, non si capisce come il suo contraccolpo possa rimandare all'identità, essendo l'identità una forma più o meno statica che emerge piuttosto dalle interazioni sociali, quindi in esperienze del tutto opposte a quella del simbolo, che sospinge invece il soggetto ad una rottura con il reale della vita quotidiano, per lasciare che si possa immergere dentro di sé o fuori di sé, contemplativo e sognante, secondo la disciplina del kokoronauta, già descritta in altro topic.
Si, in effetti li considero sinonimi. 
Condividi:
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

daniele22

Citazione di: Koba il 23 Novembre 2025, 11:45:30 AMSono d'accordo sul fatto che il carattere funzionale del linguaggio, da un certo punto in poi dello sviluppo della civiltà, sia stato dominante.
Ma il "residuo" simbolico, che non è solo l'espressione di emozioni semplici, ma anche di quello stato indefinibile che potremmo chiamare "mistero e bellezza della vita" – per quanto la vita sia essenzialmente dolore, su questo, spero, saremo tutti d'accordo – ecco, quel "residuo", resiste con una certa caparbietà, direi, e si fa manifesto per esempio nella poesia, o nei racconti di contemplativi, eremiti, mistici, cioè soggetti che si sono autoesclusi dalla funzionalità della propria società e sono così meno propensi ad accettare la falsa naturalezza di tale oggettività.
Il piano "inconscio" della scienza è azzerare completamente il simbolico in modo che la funzionalità sia finalmente completamente oggettiva.
Il simbolo (così come indicato dalla parola greca symballein da cui deriva) è formato da due metà spezzate. Una, quella che abbiamo tra le mani, il segno visibile o udibile, la parola "casa" per esempio, rimanda all'altra metà, che però non si lascia esaurire in un'unica cosa. La "casa" rimanda sì al rifugio, ma anche al focolare, al calore, al familiare, alla propria infanzia ecc.
Infiniti universi di senso da esplorare.
Ecco perché ogni cosa che non abbia uno specifico significato funzionale dominante (la roccia che ci sta travolgendo e che ci dice: spostati se non vuoi morire!), a seconda delle sue risonanze simboliche, è infinitamente interpretabile. E le letture singole che si possono elencare dipenderanno dalla storia della propria cultura (per noi "casa" è focolare ma anche la fatica nel procurarsi le risorse per averne una; per i nativi americani la stessa parola probabilmente aveva meno ripercussioni socio-economiche, potendosene costruire una in poche ore), e da quella della propria navigazione privata, che è un errare, un girare a vuoto, una sperimentazione da dilettanti...
Scrivere è faticoso... sarebbe molto più riposante ed efficace parlarci seduti su comode poltrone.
Vorrei comunque precisare almeno una cosa. Il passaggio dal linguaggio "scimmiesco" a quello umano, che emergerà nel rendersi conto di parlare e poi di pensare, sarebbe del tutto inconsapevole. Tale inconsapevolezza è responsabile del nostro essere dimentichi del nostro status precedente di "scimmie", e in questa dimenticanza avremmo trascurato che la natura del nostro linguaggio rimane tutt'ora identica a quella del nostro status precedente. Di fatto sarebbe in questo transito che il mio pensiero colloca il famoso "morso della mela proibita"... altro che Adamo ed Eva. Naturalmente noi siamo inorriditi da questa cosa, ma prima o poi dovremo farcene una ragione.
Detto questo, sono perfettamente d'accordo che "quel residuo resiste con una certa caparbietà"; cioè, quel rimando dal segno al significato/senso (il potenziale simbolico) resterà vivo fintanto che noi non si diventi degli automi.
Sarebbero quindi coloro che manipolano la scienza nel tentativo di renderla idolo (quasi ci siamo) che cercano, come dici, di azzerare il simbolico. Fortunatamente però,  umanamente parlando, pure uno dei pilastri del metodo scientifico, quello della riproducibilità dell'esperimento, poggia su di un terreno non proprio solidissimo.
Per il resto, se ho ben capito, sono sostanzialmente d'accordo con te
Un saluto
Condividi:

iano

Citazione di: daniele22 il 23 Novembre 2025, 19:22:03 PMTale inconsapevolezza è responsabile del nostro essere dimentichi del nostro status precedente di "scimmie", e in questa dimenticanza avremmo trascurato che la natura del nostro linguaggio rimane tutt'ora identica a quella del nostro status precedente. Di fatto sarebbe in questo transito che il mio pensiero colloca il famoso "morso della mela proibita"... altro che Adamo ed Eva. Naturalmente noi siamo inorriditi da questa cosa, ma prima o poi dovremo farcene una ragione.
Non è che te la cavi mettendo ''scimmie'' fra virgolette, però. :)
Condividi:
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

daniele22

In relazione al senso delle cose in generale e all'ordine di attenzione che genera il proprio tempo personale occorre dire che il proprio lavoro corrisponde a un buon ordine di attenzione. Detto questo, il senso delle cose poté esprimersi anche così:
"Bisogna colpirli nell'unico punto sensibile che hanno: la cassaforte. Non è con il terrorismo che si ottiene l'emancipazione degli sfruttati. Ma il buon senso e la simpatia del popolo saranno dalla nostra quando dimostreremo di dare la caccia alle ricchezze accumulate alle sue spalle, perché per essere oscenamente ricchi occorre aver sfruttato il sudore e il sangue della povera gente."
Alexandre Marius Jacob, passato alla leggenda come Arsenio Lupin (fonte: Pino Cacucci - Ribelli!)
Condividi:

Koba

Proprio in queste settimane stavo rileggendo Walden di Thoreau (prima che venisse fuori la vicenda della famiglia che vive nel bosco, che non mi interessa granché).
La filosofia è amore della sapienza. Ma sapienza di che cosa? D'istinto potremmo rispondere: della vita. E come capire la vita o il senso filosofico delle cose? Attraverso l'esperimento.
L'esperimento di Thoreau non è stato quello dell'autarchia, perché molto semplicemente vivere solo dei prodotti che si riescono a coltivare o a raccogliere implica una vita totalmente impegnata in questo, non tanto diversa, per fatica, da quella del lavoratore moderno.
Il suo esperimento era finalizzato a isolare l'essenziale.
Concretamente, si chiedeva: quanti soldi mi servono per vivere nella casetta di legno sul lago Walden? Risposta: per un anno circa 60 dollari (paga media netta a metà Ottocento in Massachusetts: 1 dollaro al giorno per lavori quali giardiniere, falegname, muratore ecc.). Ovvero 60 giorni di lavoro all'anno.
Riportando questi calcoli ai nostri giorni, prendendo come media una paga di 60 euro al giorno, risulta 60x60 = 3.600,00 euro all'anno.
Non dovendo pagare un affitto, potendo riscaldare la propria casetta (magari ai margini del bosco, insomma, non proprio nella foresta...) con la legna del bosco stesso, mettendoci le utenze minime, ecco che l'aggiornamento di una vita filosofica essenziale alla contemporaneità implica un importo di 5.000 euro all'anno, poco più di 400 euro al mese.
Il che significa lavorare per quattro mesi all'anno, e passare gli altri otto studiando, scrivendo e curando il proprio orto, come un vero filosofo.
Questo per dire che per chi non ha il talento per il furto l'inizio della ribellione sta forse nell'attività pacifica di individuare tramite esperimento ciò che è sensato per sé, al di là di tutte le sciocchezze che si finisce per interiorizzare e che ci fanno sentire impotenti di fronte ad uno stile di vita insulso (lavorare così tanto che alla fine diventa automatico ricompensarsi con maggiori consumi: si guadagna più di quanto si spenda, quindi si spende senza pensarci, per premiarsi del fatto di essere ancora vivi nonostante lo stress, infine si diventa schiavi di questi consumi come se una vita senza di essi fosse troppo povera e triste... ma è tutto un inganno!).
Condividi:

Adalberto


E quale può essere "la cosa" se non io?
 Su cos'altro posso interrogarmi con una qualche base di frequentazione, perché di conoscenza è sempre esagerato dire?
 
 Ho pure l'impressione che dividere quell'unità di senso in 2 sole parti sia limitativo.
 Non so per quali motivi reconditi dividiamo sempre per 2 le unità in concetti opposti (mente/corpo, bene/male, yin/yang ecc.) , forse perché risulta facile smezzare, forse perchè vediamo le cose con due occhi,  oppure  perché non facciamo parte della famiglia dei polipi che hanno una stupefacente intelligenza distribuita lungo il loro tentacoli, che sono 8 e se mozzati pure ricrescono con I loro neuroni. 
 Sottovoce confesso il sospetto che questo scindere in 2 sia solo un bias cognitivo, ma senza prove non vale.
 

Se solo di me posso parlare, allora che posso dire?

Sono: animale, umano, (poco)socievole...
 Il fatto di sapermi animale e umano mi dissocia.

Il fatto di riconoscermi  individuo stretto in relazioni sociali mi dissocia.
Il fatto di parlare mi dissocia dal sentire.
 Le stesse parole non bastano a racchiudere il pensiero e comuqnue quello che emerge di giorno non collima con quello che di notte si esprime nei sogni.
 Proseguire è superfluo.
 
 Se agisco senza pensare riunifico quelle parti che si sono spezzettate come sopra descritto.
 In quell'attimo di distrazione che è l'azione improvvisata.. sto, ci sono.
 Non racconto l'avventatezza, nè la semplice ricerca di benessere emotivo o impulso naturale, ma fuori da qualsiasi visione mistica parlo di una semplice solidità acquisita e di una consapevole assenza di rimorsi o rimpianti futuri. Però queste sono tutte descrizioni parolaie  che non bastano a rendere un'immagine di vita.

Perché il "senso delle cose" lo scopriamo... vivendole.
Questo "vivere" nella propria esistenza,  che capita raramente, statisticamente parlando nelle mie 24 ore o nei 7 giorni che compongono la settimana. Ma è ovvio che sia così perché la scoperta non è la consuetudine, ma  la sua lacerazione in un nuova ricomposizione, anche se mi irrito con me stesso esprimendomi con solo 2 concetti opposti.
 
 Alla fin fine presumo che  "il senso delle cose" consista nel trovarsi/posizionarsi nelle condizioni tali per cui quell'agire, o meglio quel lasciarsi agire, insomma quel vivere possa capitare abbastanza spesso, magari più spesso. Alla faccia di ogni  contraddizione noi possiamo concepire e di qualsiasi condizionamento altrui ci si stringa addosso.

E quando ciò accade non usiamo certo una parola, né articoliamo un pensiero. Forse nemmeno un gesto, ma nel caso.. un mezzo sorriso.
Condividi:
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

daniele22

Citazione di: Koba il 30 Novembre 2025, 10:48:55 AMProprio in queste settimane stavo rileggendo Walden di Thoreau (prima che venisse fuori la vicenda della famiglia che vive nel bosco, che non mi interessa granché).
La filosofia è amore della sapienza. Ma sapienza di che cosa? D'istinto potremmo rispondere: della vita. E come capire la vita o il senso filosofico delle cose? Attraverso l'esperimento.
L'esperimento di Thoreau non è stato quello dell'autarchia, perché molto semplicemente vivere solo dei prodotti che si riescono a coltivare o a raccogliere implica una vita totalmente impegnata in questo, non tanto diversa, per fatica, da quella del lavoratore moderno.
Il suo esperimento era finalizzato a isolare l'essenziale.
Concretamente, si chiedeva: quanti soldi mi servono per vivere nella casetta di legno sul lago Walden? Risposta: per un anno circa 60 dollari (paga media netta a metà Ottocento in Massachusetts: 1 dollaro al giorno per lavori quali giardiniere, falegname, muratore ecc.). Ovvero 60 giorni di lavoro all'anno.
Riportando questi calcoli ai nostri giorni, prendendo come media una paga di 60 euro al giorno, risulta 60x60 = 3.600,00 euro all'anno.
Non dovendo pagare un affitto, potendo riscaldare la propria casetta (magari ai margini del bosco, insomma, non proprio nella foresta...) con la legna del bosco stesso, mettendoci le utenze minime, ecco che l'aggiornamento di una vita filosofica essenziale alla contemporaneità implica un importo di 5.000 euro all'anno, poco più di 400 euro al mese.
Il che significa lavorare per quattro mesi all'anno, e passare gli altri otto studiando, scrivendo e curando il proprio orto, come un vero filosofo.
Questo per dire che per chi non ha il talento per il furto l'inizio della ribellione sta forse nell'attività pacifica di individuare tramite esperimento ciò che è sensato per sé, al di là di tutte le sciocchezze che si finisce per interiorizzare e che ci fanno sentire impotenti di fronte ad uno stile di vita insulso (lavorare così tanto che alla fine diventa automatico ricompensarsi con maggiori consumi: si guadagna più di quanto si spenda, quindi si spende senza pensarci, per premiarsi del fatto di essere ancora vivi nonostante lo stress, infine si diventa schiavi di questi consumi come se una vita senza di essi fosse troppo povera e triste... ma è tutto un inganno!).
Ho fatto pure io due conti, non serve molto per vivere; pertanto non mi lamenterei più di tanto se riducessero gli stipendi. Per natura sono abbastanza selvatico, non mi serve un granché. Sono stato ricco e sono stato povero. La condizione senza dubbio cambia, almeno dal punto di vista del povero, non proprio del povero in canna, diciamo di quello che sta in vivarella, ma le emozioni che vivi sono le stesse da ricco o da povero. Per quel che mi riguarda in fondo sono uno che assomiglia al famoso filosofo Catalano.. meglio essere intelligenti che scemi, ricchi piuttosto che poveri etc.etc.
Due opposti nella pratica si potrebbe dire dunque: Thoreau e Marius Jacob.
Penso sia facile favorire la legge quando risuona in armonia col proprio sentimento, pur tuttavia e realisticamente parlando nella società vedo più Marius Jacob che Thoreau, però trasfigurati. È successo che Jacob ha perso qualsiasi interesse nei confronti dei poveri e si arrangia a modo suo in equilibrio tra il legale e un più o meno definito illegale; nella migliore delle ipotesi cioè, l'individuo si destreggia tra due tipologie di legalità. È successo invece che Thoreau si sia fissato a salvare il pianeta.. nobile ideale, non c'è che dire, ma la vita nel bosco nel mio immaginario corrisponde più vividamente alla possibilità di tenere viva l'espressione della fantasia. Senz'altro auspicabile sarebbe poi che la fantasia si sbizzarrisse a salvare capra e cavoli; se stessa, noi e la nostra vita sulla terra.
Da ultimo, ho parlato delle due parti (emotiva/razionale) che compongono l'unità di senso dell'evento e ho parlato del nostro fondamento irrazionale. Allora, da irrazionale quale sono, ci sarà pure un motivo irrazionale che mi spinge continuamente a oppormi a tutti, o no?
Certo che c'è ed è più che altro la paura; mi fanno paura persone come il fisico protagonista dell'intervista che riporto in calce. Forse ti stupirà la mia paura, forse no. Eppure penso di essere in grado di sostenerla rivolgendo una severa critica sui contenuti dell'intervista (parte razionale del senso che do io dell'evento/intervista - complemento dell'unità di senso)
Un saluto nel frattempo
Condividi:

daniele22

Mi limito a una osservazione senza entrare nel merito dei contenuti. Dall'intervista emerge tutto lo spirito dei benpensanti, dei moderati. Venga almeno il dubbio a costoro, che per il quieto vivere, per non esercitare la stigmatizzata violenza, forse lascino troppo spago alle personalità più aggressive... Conseguenza di questo, accade così che le pongano al bando (buoni e cattivi for ever). Mai uno, in questa nuova conventicola emergente di intellettualoidi di lega scaduta, che si esponga a concedere grazia ai politici, ai fabbricanti di armi e alle guerre in corso.. A volte sembra che lo facciano, ma ciò che in ultima analisi taglia la testa al toro (poveretto), mai uno tra costoro che metta in dubbio anche le proprie allucinazioni e ne condivida l'esperienza ... basterebbe forse solo questo gesto da parte di costoro a far nascere un'umanità diversa
Condividi:

daniele22

Entrando nel merito dei contenuti dell'intervista, è vero che si tratta pur sempre di un'intervista, ma se io dovessi parlare di qualche cosa che si avvicini all'idea di una novità che deriva dalla rivoluzione scientifica iniziata nel '900 metterei ben in luce questo aspetto, ma qui vedo ben poco.
Partendo dalla seconda risposta, noto invece una certa spensieratezza nel rispondere alla domanda sugli algoritmi. ¿È così sicuro il professore che non siano invece proprio queste differenze più radicate a essere la cifra con cui interpretare la somiglianza di tutti?
Poi se la piglia con i politici europei, solo con quelli che comprano armi tra l'altro, non con tutti, come fosse il comprare armi il fatto che fa emergere l'ipocrisia dei politici. Demagogicamente però, al tempo stesso ci mette in guardia appellandosi alla responsabilità di tutti. Dice cioè che è troppo facile dare la colpa ai politici; senza però risolvere come mai si dia la colpa ai politici. Più estesamente, senza risolvere come mai c'è sempre qualcuno da incolpare di qualcosa. Questo sarebbe dunque il famoso anello mancante che pure per gente come il professor Telmo Pievani, l'evoluzionista, non ci sarebbe. Anello mancante che lascia ovviamente aperta una contraddizione. Per rilevarla, in questo caso specifico, è sufficiente ricordare che prima della guerra in Ucraina, o del covid, ci fossero già buoni motivi e dichiarati per appellarsi alle responsabilità di tutti. E infatti, "lo stato siamo noi" come slogan è nato già da mo'. Ma no.. un momento, ecco! oggi ci sono le implicazioni della fisica moderna... praticamente siamo ancora fermi all'interpretazione di Copenhagen del '27, con l'aggiunta di entanglement e teorie non concilianti tra loro.
Insomma, nella migliore delle ipotesi (sarei curioso di sentire l'opinione di Ipazia) si potrebbe ben dire che il professore, pensando di fare del bene faccia in realtà del male.. direi un classico per noi umani. Ma sarà così?
Sempre secondo il mio modesto parere e dubbio
Condividi:

iano

#26
Citazione di: daniele22 il 06 Dicembre 2025, 08:05:04 AMEntrando nel merito dei contenuti dell'intervista, è vero che si tratta pur sempre di un'intervista, ma se io dovessi parlare di qualche cosa che si avvicini all'idea di una novità che deriva dalla rivoluzione scientifica iniziata nel '900 metterei ben in luce questo aspetto, ma qui vedo ben poco.
Perchè la novità non sta nelle cose, alla cui evoluzione invece è propria una continuità , ma nel modo in cui le raccontiamo quando ne prendiamo coscienza, in modo discontinuo, perchè c'è un tempo per vivere le proprie esperienze e un tempo per prenderne coscienza, e un altro ancora per raccontarle.
E' la presa di coscienza quindi che è discontinua.
Così parliamo di rivoluzioni dove invece non ce ne sono, perchè è la necessita narrativa che richiede di introdurre discontinuità.
Quando poi questi racconti, essendo relativi per loro natura, vengono messi in discussione, ci comportiamo come quelli che hanno scoperto che babbo Natale non esiste, e invece di trarne le corrette conseguenze che dovrebbero farci diventare adulti, accusiamo quelli che raccontano storie, creando una fittizia differenza incolmabile fra noi e loro, quando invece siamo uguali, accomunati dall'essere contatori di storie, anche se poi c'e chi si limita solo ad ascoltarle, per poi criticare chi le racconta, accusandoli come mentitori, ingannatori, poteri forti ''che non ci vogliono dire la verità''.
Questo non significa che siamo tutti uguali, ma che non siamo cosi differenti come le storie che raccontiamo, con la loro esigenza di caratterizzare i personaggi, ci fanno apparire, e come poi può venirci comodo credere andando oltre la necessità del racconto.
La responsabilità che viene richiesta, per diventare veramente adulti, se non superuomini, è quella che deriva dalla coscienza che siamo noi a raccontare le storie, e tanto basta per non dargli più credito del dovuto, e allo stesso tempo capire che c'è un buon motivo per raccontarle, che è quello che noi così viviamo la realtà, anche raccontandola, o forse solo raccontandola come io credo, anche quando ciò non ci appare, e al posto del racconto ci appare la realtà col solo sforzo di aprire gli occhi, perchè tendenzialmente noi siamo proprio portati a crederci a babbo Natale, e questa è la lezione che avremmo dovuto apprendere per diventare adulti, se non superuomini.

Credere a babbo Natale ha la sua utilità, ma il crederci in se non è strettamente necessario, e questo è il passo, se volgiamo, lo concedo, quanto meno ai fini del racconto che sto facendo, rivoluzionario,  a cui la ''scienza ci conduce'', senza  mai dimenticarsi però, che questa scienza, per quanto la possiamo personalizzare nel racconto , siamo sempre noi.

Perchè la storia siamo noi, e nessuno si senta escluso, perchè è la nostra storia, e in essa siamo uguali, come oggetto indifferenziato del racconto, se non per esigenze  narrative.
Condividi:
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

Discussioni simili (5)