Non so voi, ma io questo corona virus lo sto vivendo malissimo e mi deprime vedere Bisceglie il paese in cui vivo: verdeggiante e pieno di vita, che ora è diventato un luogo desolato che dà spazio solo alla diffidenza...
E voi come lo vivete?
Con filosofia.
Impagabili i silenzi riconquistati, che non saranno mai più tali una volta finita la quarantena.
Finalmente si sentono i suoni della natura e non il baccano degli umani. Con qualche accortezza si può passeggiare per strade divenute luoghi vivibili a misura d'uomo e non di macchina. La primavera in fioritura aiuta a rasserenare l'animo. Ancora più privilegiato chi ha la fortuna di vivere in luoghi di pregio naturalistico, marini o montani, di cui, scansando le ronde, può gustare la bellezza riconquistata, liberata dalle frotte di vacanzieri il cui raggrupparsi in mandrie numerose, ora fortunosamente vietato, è elemento di degrado che si aggiunge al degrado meccanizzato.
Il giardino di Villa Sariputra risuona in ogni angolo di canti d'uccelli. Proprio sul calicanto presso la finestra della biblioteca un merlo sta preparando il nido con anche dei pezzetti di spago di un pacco, arrivatomi da Piacenza e lasciato all'aperto in quarantena...In lontananza si sente il rumore di un trattore che sta lavorando in un campo. Mia figlia sta scrivendo, appollaiata su un melo che ho finito di potare. Gli ho appena urlato di mettersi un berretto perché, a Marzo e con questo sole, è un attimo prendersi un raffreddore. Tutti i mesi con la "R" sono facili a provocare "r"affreddori...Tra qualche ora ha in programma una 'videoconferenza' con delle amiche e si annoia. Abbiamo in programma una passeggiata nel giardino, lato nord. Forse più tardi anche un'altra lato est, dove scorre la roggia, adesso in secca per lavori del consorzio di bonifica. Dovevano venire, nei prossimi giorni, a potare la gigantesca magnolia che s'innalza, sempre sul lato est della Villa, verso il cielo terso, ma è tutto bloccato e mi hanno rimandato di quindici giorni. Poscia si vedrà...
Alla sera c'è un silenzio totale e si sentono solo le campane del tempio cristiano che suonano, alle otto e mezza, un motivo melanconico, di chiusura della giornata. In lontananza rare auto passano veloci...Si colgono, intensi, suoni desueti...
Come un fatto straordinario, che metterà alla prova la mia vita come quella di tutti.
Voglio continuare con dignità e piacere a vivere, senza sgomitare, come ho sempre cercato di fare.
Ognuno lo vive come gli pare, ma a me dispiace di non vedere più gente felice di esistere e invece preoccupata di sopravvivere...
Effettivamente la situazione è abbastanza deprimente e limitante..
il silenzio che anche io amo lo si può tranquillamente ritrovare anche nel mezzo del caos di una terra priva di emergenze sanitarie o sociali
anche solo facendo quattro passi in un bosco o in città al chiaro di luna.. il silenzio del coprifuoco è tutt'altro che serenità..
Sperando in una possibile organizzazione -personale e non solo- nella situazione di emergenza
forse possiamo riprendere a sentirci un po' meno tristi di fronte a situazioni che non sempre dipendono dal nostro controllo..
ci troviamo faccia a faccia con una legge di non onnipotenza.. non sempre è gratificante..
spinge a domande che esigono risposte non superficiali ma anche una certa dose di tolleranza verso la nostra mancanza di onnipotenza..
..un forte abbraccio solidale a tutti.. :-)
Molto bene, anche se normalmente questo era il periodo dove cominciavano ad arrivare stranieri a farmi compagnia, e invece ho le prenotazioni saltate fino ai primi di maggio. Normalmente arrivo stufo di gente ad ottobre, chiudo, e quando arrivo a marzo sono di nuovo felice di ospitare viaggiatori, questa primavera è diversa, anche perchè ormai siamo tutti nell'ottica del distanziamento sociale, niente barbecue in giardino, niente camminate, niente bottiglia di vino sotto il porticato alla sera. In fin dei conti anche se fossi libero di ospitare, sarebbe un ospitalità monca e fredda, perciò non penso di averci perso granchè (a parte i soldi). Sono circa a metà dell'ettaro di castagneto che ho preso in carico di pulire, parto la mattina con ascia gasolio e cane, venti minuti di camminata nel bosco e torno alla sera. Ho fatto legna per i prossimi tre anni, e questo mi conforta, ho perso i soldi delle prenotazioni ma per un pò non dovrò pagare il gas. Ci sono le ultime olive e gli ultimi filari di uva da potare, progetto un ampliamento per le galline, sto finendo il tetto del nuovo appartamento, nota dolente mi sono piallato due dita come un idiota, ho due polpastrelli spolpati, ma ricresceranno. La mia compagna è tornata dal Kenya due giorni prima che iniziasse la zona rossa nazionale, era atterrata nel veneto e le sarebbe stato difficile arrivare, magari la zona rossa ci avrebbe separato per mesi, invece è arrivata e si è fatta la sua quarantena. La mia famiglia si è divisa a coppie di due a stretto contatto, con i più anziani isolati, non si mangia più insieme alla domenica ma il resto è uguale. Vedo tante notizie confortanti quando apro internet, tanta falsità e ipocrisia sta venendo a galla, sono tempi molto interessanti ed eccitanti.
Citazione di: Lady Joan Marie il 15 Marzo 2020, 11:12:41 AM
Non so voi, ma io questo corona virus lo sto vivendo malissimo e mi deprime vedere Bisceglie il paese in cui vivo: verdeggiante e pieno di vita, che ora è diventato un luogo desolato che dà spazio solo alla diffidenza...
E voi come lo vivete?
Questa crisi mi sta dando l'occasione di sperimentare una limitazione della libertà d'azione, che, ad essere onesta, riflettendoci, non so quanto mi potrebbe stare stretta sul lungo periodo. Spero di abituarmi.
Esco una volta la settimana a fare la spesa, vivo a casa che è un alloggio, con la mia famiglia, lavoro da casa in smart working, non possiedo cani, nè cinghiali, nè draghi e così non esco a portare a passeggio animali, i luoghi all'aperto, a pochi passi il fiume e la campagna, ma che ad uno ad uno vengono interdetti e pattugliati data la troppa affluenza. Esco sul balcone, l'aria è pulita, do un po' d'acqua ai germogli nei vasi che si sono risvegliati, mi siedo sulla sdraio, osservo la strada semideserta, rada di auto, che si dipana tra i condomini. In fondo la scuola elementare, sulla destra la scuola dell'infanzia e l'asilo nido. Il dilagare di un tempo sempre più dilatato e immoblile nel silenzio rotto da vigili che passano di tanto in tanto con l'auto e megafono che avvertono di non uscire di casa, qualche ambulanza, qualche rumore di attrezzi da giardinaggio, qualche schiamazzo di bambini che in alcuni giardini o dai balconi giocano. Torno in casa, mi assicuro che le mie figlie seguano le videolezioni, preparo i pranzi e le cene e è ritornato il rito di sederci tutti e quattro a tavola, insieme dato che a pranzo e i sabati sera, spesso non si mangia insieme, la sera leggo.
Ci sono lati positivi e negativi in tutte le cose...
Ma se penso che devo restare chiusa in casa, io che amo uscire, la cosa mi deprime!
E' una prova a cui non sappiamo come reagiremo sulla distanza.
Vedremo di che pasta siamo fatti.
Io scommetto su noi.
Un abbraccio.
Rispetto al mio post precedente siamo passati al carcere duro. Né serve a molto consolarsi con link come
questo; sapere che esiste pure un'Europa civile dove la prevenzione e il buongoverno vince sulla repressione e la cialtroneria.
Ultimamente un pensiero mi ricorre frequente: l'assalto degli Argentini al palazzo della Moneda e l'immagine di una poltrona del potere abbandonate sul piazzale antistante in un deserto metafisico in cui un mantra si ripete sempre più martellante:
que se vayan todos...
...
Questa straordinaria esperienza (nel bene e nel male) la si vive a seconda del proprio ordinario modo di essere.
Da sostanziale ottimista tendo a viverla un po' come Sariputra e la Ipazia del primo intervento.
Mi sembra che tenda ad esaltare le caratteristiche personali della gente (o a metterle in particolare evidenza): chi é generoso ha occasione di aiutare gli altri e di condividere le scarse e problematiche risorse disponibili, chi é gretto e meschino grida all' untore (mentre magari per parte sua "unge" ala grande) e vorrebbe per sé l' unico ventilatore che fosse disponibile sottraendolo ad un altro più giovane di lui, contro il principio a me caro del "mantello di san Martino", il quale prescrive che della possibilità di vivere, del tempo della vita (come di tutto) "un po' per uno non fa male a nessuno", come dicevano anche mamma e papà nonché la maestra quando ero piccina.
Citazione di: giopap il 31 Marzo 2020, 09:57:57 AM
Questa straordinaria esperienza (nel bene e nel male) la si vive a seconda del proprio ordinario modo di essere.
Da sostanziale ottimista tendo a viverla un po' come Sariputra e la Ipazia del primo intervento.
Mi sembra che tenda ad esaltare le caratteristiche personali della gente (o a metterle in particolare evidenza): chi é generoso ha occasione di aiutare gli altri e di condividere le scarse e problematiche risorse disponibili, chi é gretto e meschino grida all' untore (mentre magari per parte sua "unge" ala grande) e vorrebbe per sé l' unico ventilatore che fosse disponibile sottraendolo ad un altro più giovane di lui, contro il principio a me caro del "mantello di san Martino", il quale prescrive che della possibilità di vivere, del tempo della vita (come di tutto) "un po' per uno non fa male a nessuno", come dicevano anche mamma e papà nonché la maestra quando ero piccina.
Di contro si potrebbe vedere come sia il proprio ordinario modo d'essere ad essere messo in discussione dalla straordinarietà dell'evento. Forse, "la gente" è chiamata è una trasformazione, le risposte per ognuno di noi potrebbero essere inedite o in linea con caratteristiche sedimentate del nostro carattere.
rispetto a molte altre persone, per le quali l'isolamento domestico comporta rilevanti disagi dal punto di vista lavorativo e familiare, mi ritengo complessivamente fortunato, anche dal punto di vista di una scarsa vita sociale, cosa certamente negativa in tempi ordinari, ma che in questa situazione aiuta a sentire poco la differenza dal solito. Insomma, le mie abitudini non sono cambiate di molto, e anzi forse potrei viverle anche con minor senso di straniamento e di "colpa", essendo il viverle in questo momento una comune necessità. Diciamo che alla lunga l'impossibilità di accedere alle biblioteche dovrebbe portare a qualche impedimento per i miei progetti di studio e ricerca filosofica che in questo momento sto portando avanti, vado avanti con quello che ho casa a disposizione, contando anche di non essere soggetto a scadenze. Spero questi problemi si risolvano presto, ma per ora non c'è urgenza, e nulla a che vedere con disagi molto più impellenti che provano tanti altri. Il sentimento più negativo è certamente una certa dose di ansia per la salute mia e soprattutto dei cari, più avanti negli anni e potenzialmente più esposti ai rischi dell'epidemia. La mia risposta psicologica, come di consueto è la razionalizzazione, autoconvincersi con argomenti più o meno ragionevoli di un rischio, nel mio caso, il fatto che, rispettando fin dall'inizio della quarantena strettamente le disposizioni sanitarie, il contagio se finora non è avvenuto, molto difficilmente ci colpirà. Per quanto l'esperienza spesso ha mostrato, in altre occasioni, la fallibilità di "strategie mentali" simili, mi sembra il massimo che si può fare per la propria serenità interiore
Oltrepassato l'inferno della politica intrecciata con gli affari, per il quale la mia condanna - e mi auguro di molti italiani - è irrevocabile, e inoltrandomi nel terreno più pacificato dell'esistenziale, condivido molto le riflessioni di @davintro, posto che quello che sono lo devo in gran parte al mio rapporto solitario con la parola scritta fin dall'infanzia. Anche dalla caduta degli dei sessantottini mi ha salvato e risuscitato lo studio, ampliando molto i miei orizzonti in quella terra di nessuno tra l'utopia e la cloaca degli anni che sarebbero seguiti.
Spezzerei oggi una lancia in favore di quella tecnoscenza che, se nella cloaca postutopistica ha celebrato i suoi banchetti più ricchi, ha pure prodotto questi strumenti social che permettono di mantenere una vita sociale anche in una situazione di reclusione come l'attuale.
Le biblioteche sono chiuse, ma si può attingere a strumenti come
MLOL cui io accedo attraverso l'iscrizione alla biblioteca della mia città. Di questi tempi un tablet, come una cyclette, sono quasi un must per sopravvivere. Il tablet permette anche di evidenziare e fare ricerche sul testo decisamente più gratificanti di quello che si può fare sulla carta stampata. Che però continuo, forse irrazionalmente, a prediligere per diletto, rinunciandovi quando la lettura diventa produzione intellettuale e il confronto col mezzo moderno non regge più nell'ordine del tempo e della memoria dei miei neuroni stagionati.
Quasi tutta l'ansia del mondo si è spostata sul coronavirus , lasciando sguarnite le altre postazioni.
Ciò comporta una sensazione che ci si augura non vivremo più, ma che sarebbe perciò un peccato non vivere.
Un abbozzo di prima descrizione di questa sensazione , nella misura in cui mi è dato viverla , è un rapporto con gli altri , seppur a distanza , più vero , senza tante balle.
Insomma , c'è un muro che non abbiamo cercato che ci divide , e viene meno la necessità di costruire i soliti nostri muri , dei quali meglio si prende coscienza in questa condizione .
È una sensazione di leggerezza , di spontaneità, che vorrei portarmi dietro quando cadrà il muro, perché che cadrà è l'unica certezza che abbiamo adesso.
Speriamo che cadrà! E' l'unica cosa che spero in questo momento!
Il filosofo e sociologo francese Paul-Michel Foucault (1926 – 1984) scrisse il saggio titolato "Sorvegliare e punire. Nascita della prigione". Nella terza parte del terzo capitolo dedicato al "panoptismo" argomenta anche sulla peste.
"Panoptismo" è una parola di origine greca derivante da "panòpticon, lemma composto da "pan" (= tutto) + "opticon" (= visione completa). Fa riferimento al carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham per permettere ad unico sorvegliante di osservare (opticon) tutti (pan) i soggetti e le strutture dell'istituzione carceraria. E' una costruzione ad anello al cui interno si trovano tante celle e al cui centro è posizionata una torre per mezzo della quale viene esercitato il controllo.
Il nome panòpticon evoca il mito greco di "Argo Panòptes": un gigante con un centinaio di occhi disposti in tutte le direzioni; dormiva chiudendone cinquanta per volta, perciò considerato un ottimo guardiano.
Foucault usò il termine panòpticon come metafora del potere invisibile che ha la possibilità di spiare tutto e tutti.
La descrizione dell'epidemia di peste riportata dall'autore è tratta dagli archivi militari di Vincennes (Francia) della fine del XVII secolo e somiglia in parte alle odierne pratiche di quarantena e misure di sicurezza messe in atto per contrastare il propagarsi del COVID 19.
La città idealmente divisa in settori amministrativi e chiusa alla circolazione anche nel circostante territorio agricolo. Interdizione di uscirne, pena la vita. Tutti gli animali randagi venivano uccisi. Ogni strada era sottoposta all'autorità di un sindaco. Se la lasciava incontrollata veniva ucciso.
In un giorno pre-determinato ogni famiglia doveva rimanere in casa. Il sindaco chiudeva dall'esterno le abitazioni e le chiavi le consegnava all'intendente di quartiere, che le conservava fino alla fine della quarantena.
Ogni famiglia aveva le provviste, gli alimentari che non avevano venivano forniti e introdotti in casa tramite tubature in legno o ceste issate con le carrucole o le corde.
Se era assolutamente necessario uscire di casa, poteva farlo uno alla volta. Nelle strade giravano soltanto il sorvegliante, l'intendente, i soldati di guardia e i cosiddetti "corvi", "persone da poco che trasportano i malati, interrano i morti, puliscono e fanno molti servizi vili e abbietti".
Foucault dice che le ispezioni erano continue: ogni giorno il sindaco passava per la strada di cui era responsabile; si fermava davanti ad ogni casa; faceva mettere tutti gli abitanti alla finestra e chiamava ciascuno per nome; si informava sul loro stato di salute; erano obbligati a dire la verità per non rischiare la vita; se qualcuno non si presentava il sindaco chiedeva la motivazione: "In questo modo scoprirà facilmente se si dia ricetto a morti o ad ammalati".
Vigeva un sistema simile a quello carcerario, quando la guardia passava di cella in cella, batteva sulla porta e il prigioniero doveva presentarsi.
La sorveglianza degli abitanti si basava su un sistema di registrazione permanente: rapporti dei sindaci agli intendenti, degli intendenti agli scabini o al sindaco della città.
All'inizio della "reclusione" veniva stabilito il ruolo di tutti i cittadini. Sui registri venivano annotati "il nome, l'età, il sesso, senza eccezione di condizione": una copia per l'intendente del quartiere, un'altra per l'ufficio comunale, ed ancora un'altra per il sindaco della strada, per poter fare l'appello giornaliero.
Tutto ciò che veniva osservato nel corso delle visite (morti, malattie, reclami, irregolarità) veniva trascritto e trasmesso agli intendenti e ai magistrati. Questi sovrintendevano alle cure mediche, attribuivano un medico e nessun altro sanitario poteva curare l'infermo, nessun farmacista poteva preparare i medicamenti, nessun confessore poteva visitare un malato, senza aver ricevuto un'autorizzazione scritta "per evitare che si dia ricetto e si curino, all'insaputa del magistrato dei malati contagiosi".
Dopo cinque o sei giorni dall'inizio della quarantena si procedeva alla disinfezione delle case. Gli abitanti venivano fatti uscire all'esterno. In ogni stanza venivano spostati mobili e merci, chiuse le finestre e diffuse delle essenze. Al termine gli addetti alla disinfezione venivano controllati, per vedere se avevano rubato oggetti di valore nelle abitazioni. Dopo quattro ore gli abitanti potevano rientrare in casa.
Alla peste si rispondeva con gli ordini da parte delle autorità costituite, per evitare le confusioni create dalla paura e dalla morte a seguito della malattia e del contagio che si diffondevano rapidamente quando i corpi delle persone erano ravvicinati.
Foucault afferma che oltre alla paura della peste c'era il timore per le rivolte, i crimini, il vagabondaggio, lo sciacallaggio. L'epidemia suscita il desiderio dell'ordine, della disciplina, sorveglianze e controlli, intensificazione e ramificazione del potere.
La prossima volta rinasco
qui.
La prossima volta rinasco [/size]
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La maggior parte degli italiani odiano i teteski e la Germania, ma bisogna essere onesti...sono semplicemente ad un altro livello...non c'è proprio competizione. :( [/size]
cliccate sul link per due filmati
(http://[url=https://www.youtube.com/watch?v=wQZd2XMYt0s%5Dhttps://www.youtube.com/watch?v=wQZd2XMYt0s%5B/url%5D)
https://www.youtube.com/watch?v=wQZd2XMYt0sla paura e la superstizione popolare non hanno confini.
Stasera vi allieto lo spirito parlandovi dei monatti.
Monatto: dal dialetto milanese "monatt", di etimo incerto.
Nei secoli XVI e XVII nei periodi di epidemia pestilenziale i monatti erano gli incaricati dai Comuni per il trasporto degli appestati nel lazzaretto o nelle fosse comuni dei morti di peste. Eseguivano anche le sepolture e la distruzione degli oggetti dei defunti che potevano essere latori di contagio. Per la triste mansione venivano scelti condannati a morte, carcerati, o persone guarite dal morbo perciò immuni da esso. Proprio per la loro origine spesso malavitosa, erano inizialmente sorvegliati da commissari e soggetti a regole e norme, ma, con il passare del tempo e il dilagare dell'epidemia, i monatti sfuggirono ad ogni forma di controllo: "
...si fecero, i monatti, principalmente, arbitri d'ogni cosa [...] Sono considerati un flagello nel flagello dell'epidemia. Indossano vestiti dai colori accesi, quali il rosso, con pennacchi e fiocchi di vari colori che quelli sciagurati portavano come segno di allegria, in tanto pubblico lutto(A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXXII).
Manzoni descrive i monatti nell'epidemia di peste a Milano nel 1630: "serventi pubblici ... addetti ai servizî più penosi e pericolosi della pestilenza: levar dalle case, dalle strade, dal lazzeretto, i cadaveri; condurli sui carri alle fosse, e sotterrarli; portare o guidare al lazzeretto gl'infermi, e governarli; bruciare, purgare la roba infetta e sospetta"(Promessi Sposi, cap. XXXII).
Raramente i monatti mostrarono segni di compassione e di rispetto nei confronti dei morti e delle loro famiglie. Nell'episodio della madre di Cecilia (cap. XXXIV), il monatto pur definito inizialmente turpe, mostra invece un atteggiamento difforme a quello dei suoi compagni descritti in precedenza; la diversità dei modi della donna lo induce a un insolito rispetto e ad una esitazione involontaria, fino alla finale gentilezza nei confronti del corpo morto di Cecilia:
"Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affaccendò a far un po' di posto sul carro per la morticina".Sull'uscio di casa la madre di Cecilia parla con il monatto mentre sorregge tra le braccia il corpo esanime della bambina.(https://www.ilpost.it/wp-content/uploads/2020/02/B9C8EE7C-0845-4942-9C53-75179D3CE09F.jpeg)
Altra dolorosa incombenza era quella degli "apparitori": avevano l'incarico di annunciare il passaggio dei carri dei monatti e dei "commissari" incaricati di vigilare su queste attività. Per il loro annuncio gli apparitori usavano dei campanelli legati alle caviglie o alla cinta dei pantaloni, avvertivano "col suono d'un campanello, i passeggeri che si spostassero" (cap. XXXII). Nel capitolo XXXVI de "I Promessi Sposi" Renzo alla ricerca di Lucia a Milano, si "traveste" da apparitore per riuscire a introdursi indisturbato nelle corsie femminili del lazzaretto di Milano, indossando al piede un campanello, ma un commissario gli rivolge degli ordini, decide allora di sbarazzarsi del campanello, ritenendo di poter avere più problemi che vantaggi da quel travestimento.
Manzoni dice che gli apparitori e i monatti venivano accusati di ruberie e "c
he lasciassero cadere apposta dai carri robe infette, per propagare e mantenere la pestilenza" (cap. XXXII).
Nella bassa padana, al di là del fiume Po, nella città di Piacenza, nella grida "Regole et ordini", i monatti venivano distinti tra "brutti" e "netti". "...alla porta della casa che si dovrà espurgare, mandandosi dentro di quella solamente li monatti brutti, che entravano per primi nella case infette, facendo la prima purgazione, esponendosi fortemente al contagio"; i monatti netti ripetevano la disinfezione in condizioni igienico-sanitarie meno rischiose per distruggere ed eliminare potenziali microrganismi patogeni.
Strano il come si sia "estinta" questa discussione pur non estinguendosi la pandemia.
Citazione di: atomista non pentito il 17 Settembre 2020, 15:47:12 PM
Strano il come si sia "estinta" questa discussione pur non estinguendosi la pandemia.
Il problema non è la pandemia ma gli esperti, politicanti e SSN.
Vorrei solo che ci dessero ogni giorno il numero dei malati e non quello dei 'contagiati'.Infatti il virus è ormai endemico nel mondo e non se ne andrà più,come gli altri coronavirus che ci sono in circolazione e che provocano adesso dei raffreddori,ma all'inizio erano anche loro tosti.Il numero dei malati darebbe un'immagine giusta dell'evolversi della situazione.Fare 235.000 tamponi come ieri in GB e dire che ci sono 3.000contag.è solo fare una 'fotografia' della presenza del virus ma non del fatto se la situazione migliora o peggiora dal punto di vista degli ospedali o delle T.Int.Secondo me è inutile continuare a tamponare centinaia di migliaia di persone al giorno ormai.Che i buoi siano scappati da un pezzo lo sanno tutti.C'è un leggero peggioramento dei ricoveri,quello è importante sapere e quindi,visto che arriva l'autunno,stare tutti più attenti,senza panico che è ingiustificato perché il virus si è smosciato abbastanza (o noi ci stiamo poco a poco adattando a esso).