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Altri vi chiederebbero se "credete" nella vita eterna. Io vi domando solo se questo è il vostro desiderio, in quanto trovo che la vita sia prima sensazione e poi pensiero.
Non mi sfiora la domanda filosofica (poco o nulla so) o spirituale (non percepisco), ma solo quella esistenziale.
La mia risposta è no, non desidero alcuna vita eterna.
Impressa nella mia memoria è l'immagine di un'antica vignetta di Linus: un tipo chiede al ragazzotto stranito che lecca un gelato: "Ti offro la vita eterna, la vuoi?" Scuotendosi dal torpore del caldo estivo, il ragazzo cerca in giro una qualche ispirazione. Incurante del gelato che si squaglia riflette e poi risponde: "No grazie, in TV passano sempre i soliti film."
E' passato mezzo secolo e mi riconosco tutt'ora in quella scema (non è un lapsus).
L'idea di ripercorrere la mia stessa vita, non speciale ma nemmeno banale, non mi attrae.
A parità di condizioni di partenza, mi troverei a rifare la stessa vita e mi risulterebbe noiosetto ripercorrere le stesse svolte, cogliere o perdere le medesime opportunità, apprezzare lo sforzo per liberarsi da, rinunciare a qualche libertà di.
C'è poi l'opzione B: il ciclo delle rinascite. Trovo affascinante lo stupore arcaico: animali che in primavera risorgono dalla morte letargica, informi tuberi che rifioriscono o semi costretti a morire per dar vita a nuove piante.
Certo che mi piacerebbe rinascere gatto (il mio animale totemico) oppure polipo, che sembra abbia una elevata coscienza di sé a dispetto del suo apparire.
Però dove lo trovo un biglietto per vincere alla lotteria delle rinascite? Non provo particolari sensi di colpa, ma se mi confrontassi con la morale canonica... mi andrebbe di lusso rinascere lombrico.
Per l'opzione C bisogna essere decisamente Credenti. Non mi riferisco all'alternativa Inferno o Paradiso, o all'emozione di fondersi in una qualche forma di spirito. Non è questo il punto. Bensì credere all'infinito.
Desiderate davvero vivere.. per l'eternità?
Forse la domanda é incompleta, non tiene conto della qualità della vita eterna. Penso che molti vorrebbero vivere una piacevole vita eterna, nessuno vorrebbe viverla in sofferenza.
Penso che comunque volere una vita eterna sia anche questione di coscienza, di affettività e valore della vita. La vita eterna é l'opportunità di ricongiungersi con i propri cari, altrimenti irreparabilmente separati dalla morte.
PS. ti faccio i miei saluti, Adalberto, benvenuto in logos.
Citazione di: Adalberto il 08 Febbraio 2025, 13:06:11 PMDesiderate davvero vivere.. per l'eternità?
Ciao Adalberto, la tua è proprio una bella domanda! L'opzione C, nah.
L'opzione B, posso ricordarmi delle precedenti vite? Ma ora che ci penso non credo mi piacerebbe essere un altro animale...
L'opzione A diciamola tipo vivere per sempre e in salute (diciamo che il corpo si ferma a 35 anni), al primo impatto dico SI. Poi ci penso sopra e vedo le persone a me care invecchiare e morire una dopo l'altra e vedo la CIA, il Mossad, la Russia, la Cina, la Corea del Nord e chiunque altro darmi la caccia per studiarmi e usarmi per esperimenti di ogni tipo poiché un uomo che non può morire è una cavia perfetta. E poi vedo altri venerarmi come una divinità scesa sulla Terra e mi offrono sacrifici e preghiere contro la mia volontà. Perciò ci ripenso e ci riripenso e dico comunque si perché la morte è noiosa.
Un saluto, Morpheus.
P.S. Sei nuovo! Benvenuto nel forum!
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Ciao Morpheus, grazie. Ogni tanto ti leggo, sempre con piacere. Anche adesso.
Però non so se la morte sia noiosa, forse semplicemnte neutra. L'importante che la vita non sia nè l'una cosa nè l'altra.
Alla prossima!
Desiderando la vita vorrei vivere tanto da arrivare a desiderare la morte.
il mio desiderio primario è liberarmi di questa vecchia carriola arrugginita con la ruota perennemente sgonfia, che i più chiamano corpo e che per me è una vera e propria prigione, fonte di dispiaceri da quando avevo 364 giorni di vita (oggi ho già spento la candelina n 66)! La vita eterna fatta di Paradiso o Inferno non mi interessa, ma da tempo sostengo che necessariamente debba esserci qualcosa dopo la morte del corpo fisico. Se così non fosse io sarei fregato "a divinis".
Leggo spesso di ricerche per allungare la vita di x anni, ma poi mi chiedo e vi domando se ne valga veramente la pena e concordo con quanti affermano che, invece di aggiungere anni alla vita ci dovremmo preoccupare di aggiungere vita agli anni. Quindi, per tornare al quesito: sì io desidero la vita eterna, purché essa mi liberi da quel corpo che non sento mio. In pratica, in ordine di importanza viene per me: la liberazione dal mio corpo, al primo posto; il desiderio della vita eterna, al secondo.
No, la vita eterna non mi interessa, lo trovo un ossimoro. La vita, di per sè è caduca e come tale diventa cosa preziosa. Se fosse eterna non ci sarebbe più la paura istintiva di perderla e quindi non sarebbe più vita. Insomma, la vita eterna mi è inconcepibile, non me ne curo. Sono decisamente convinto che, comunque, non esista.
A volte fantastico di vivere tanto da capire come andrà a finire, ma se ciò avvenisse credo che diventerei talmente estraneo alla vita di fatto, da non poterci più capire nulla.
Se potessimo oggi resuscitare Socrate cosa mai potrebbe capirci dell'oggi, a volte mi chiedo.
Certo però avere almeno un solo longevo testimone vivente del passato non sarebbe male.
La paura di morire è quel "verme nel cuore della mela" (cit. William James) che ci rende umani in tutto ciò che apprezzabile e detestabile allo stesso tempo dell'essere umani, è difficile immaginare come sarebbe l'esistenza espunta di quel verme, ma certamente sarebbe disumana. Se c'è un opzione dove si può avere la vita eterna mantenendo la paura di morire, potrei farci un pensiero, altrimenti credo sia difficile immaginarla ancor prima di desiderarla, sforzandomi, la immagino simile all'esperienza di un ebete che fissa il vuoto, una lobotomia spirituale.
Citazione di: InVerno il 09 Febbraio 2025, 11:29:34 AMLa paura di morire è quel "verme nel cuore della mela" (cit. William James) che ci rende umani in tutto ciò che apprezzabile e detestabile allo stesso tempo dell'essere umani, è difficile immaginare come sarebbe l'esistenza espunta di quel verme, ma certamente sarebbe disumana. Se c'è un opzione dove si può avere la vita eterna mantenendo la paura di morire, potrei farci un pensiero, altrimenti credo sia difficile immaginarla ancor prima di desiderarla, sforzandomi, la immagino simile all'esperienza di un ebete che fissa il vuoto, una lobotomia spirituale.
Io non ho paura di morire. Ho paura del dolore, della sofferenza, ma non della morte, perché ogni istante qualcosa in me muore. Non sono umano? 🤣
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 09 Febbraio 2025, 12:22:11 PMIo non ho paura di morire. Ho paura del dolore, della sofferenza, ma non della morte.
Interessante, anche il fisico Carlo Rovelli la pensa così.
Citazione di: Morpheus il 09 Febbraio 2025, 12:37:26 PMInteressante, a ;D ;D nche il fisico Carlo Rovelli la pensa così.
Non so chi sia questo filosofo. Buon per lui, se la pensa come me. ;D ;D ;D
Tranquilli! Non rischiamo la vita eterna. Per due semplici motivi:
- se non esiste aldilà non esiste vita eterna.
- se esiste un aldilà , l'essere umano non la merita.
Citazione di: Pio il 09 Febbraio 2025, 14:34:08 PMTranquilli! Non rischiamo la vita eterna. Per due semplici motivi:
- se non esiste aldilà non esiste vita eterna.
- se esiste un aldilà , l'essere umano non la merita.
Perché l'essere umano non meriterebbe un ipotetico Aldilà?
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 09 Febbraio 2025, 14:09:11 PMNon so chi sia questo filosofo. Buon per lui, se la pensa come me. ;D ;D ;D
ops....fisico, non filosofo. :)
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 09 Febbraio 2025, 15:19:45 PMPerché l'essere umano non meriterebbe un ipotetico Aldilà?
Probabilmente la sua è una generalizzazione soggettiva. Per lui gli esseri umani sono generalmente malvagi (concetto soggettivo) e quindi non meritevoli dell'aldilà di un "benevolo" (concetto soggettivo) dio.
P.S. Si è un fisico :) ma alla fin fine siamo tutti un po' filosofi...
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 09 Febbraio 2025, 12:22:11 PMIo non ho paura di morire. Ho paura del dolore, della sofferenza, ma non della morte, perché ogni istante qualcosa in me muore. Non sono umano? 🤣
Mi pare strano che sia tu a dirlo, Aspirante, visto che leggendo i tuoi messaggi mi sembrava la tua ricerca filosofica fosse incentrata sulla ricerca di conferme riguardo alla possibilità di trascendere la morte, migrando in un altro corpo. Forse la parola "paura" non descrive bene quello che intendo dire che è ben più complesso, la sofferenza fa paura perchè è sofferenza, la morte fa un altra cosa, qualcosa di inevitabile, la sofferenza è evitabile, perciò fa paura.
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 09 Febbraio 2025, 15:19:45 PMPerché l'essere umano non meriterebbe un ipotetico Aldilà?
Perché è un essere patetico, desideroso e rancoroso. Mai soddisfatto di nulla , come potrebbe esserlo di qualunque paradiso ? Starebbe continuamente a rompere le sfere celesti a Dio stesso: voglio questo, voglio quello, perché c'è questo, perché non c'è quello, e via discorrendo. Se qualche essere umano potesse stare in un paradiso sarebbe solo quello che non ha potuto creare il mostro dell'ego: il bimbo nato morto, il cerebroleso sofferente, ecc. Questi avrebbero la dignità morale di abitare un paradiso. Ne farebbero onore. Tutti gli altri giù, nella Geenna, dove è pianto e stridor di denti metaforici. L' inferno è la pena per la volgarità dell'essere umano. Possono sussistere molti legittimi dubbi sul paradiso, ma sull'esistenza dell inferno non penso proprio: lo sperimentiamo di continuo e ci diamo tutti da fare per conservarlo in buone condizioni.
Citazione di: InVerno il 09 Febbraio 2025, 18:52:04 PMMi pare strano che sia tu a dirlo, Aspirante, visto che leggendo i tuoi messaggi mi sembrava la tua ricerca filosofica fosse incentrata sulla ricerca di conferme riguardo alla possibilità di trascendere la morte, migrando in un altro corpo. Forse la parola "paura" non descrive bene quello che intendo dire che è ben più complesso, la sofferenza fa paura perchè è sofferenza, la morte fa un altra cosa, qualcosa di inevitabile, la sofferenza è evitabile, perciò fa paura.
Non è proprio così. Io sono alla ricerca di me stesso. Voglio capire chi sono in realtà. La mia ricerca mi ha portato a escludere di essere solamente un corpo. Quindi vado avanti sulla strada che mi porterà a casa.
Citazione di: Pio il 09 Febbraio 2025, 18:59:35 PMPerché è un essere patetico, desideroso e rancoroso. Mai soddisfatto di nulla , come potrebbe esserlo di qualunque paradiso ? Starebbe continuamente a rompere le sfere celesti a Dio stesso: voglio questo, voglio quello, perché c'è questo, perché non c'è quello, e via discorrendo. Se qualche essere umano potesse stare in un paradiso sarebbe solo quello che non ha potuto creare il mostro dell'ego: il bimbo nato morto, il cerebroleso sofferente, ecc. Questi avrebbero la dignità morale di abitare un paradiso. Ne farebbero onore. Tutti gli altri giù, nella Geenna, dove è pianto e stridor di denti metaforici. L' inferno è la pena per la volgarità dell'essere umano. Possono sussistere molti legittimi dubbi sul paradiso, ma sull'esistenza dell inferno non penso proprio: lo sperimentiamo di continuo e ci diamo tutti da fare per conservarlo in buone condizioni.
Da quando ho letto il libro "Anime coraggiose", che ho recensito nella sezione "ultimo libro letto" ho iniziato a considerare la possibilità che le cose stiano come suggerito dall'autore del libro, secondo il quale, la vita che viviamo sarebbe già stata decisa a linee generali dalle rispettive Anime. Non ho la certezza matematica di ciò, però considero la possibilità che sia così.
Non desidero quello che non esiste (aldila', concetti trascendenti, significazioni trascendenti del dato di fatto della morte, tra cui: cultura dell'effimero, del negativo, della morte come consolazione, riposo eccetera), nom desidero nulla di nulla di tutto cio', per mia grande fortuna (piuttosto che merito)...
Quanto a quello che esiste (cioe' questa vita: e veniamo, finalmente, alle cose serie...), vado a momenti, piu' no che si', purtroppo.
Io penso che i mediocri hanno paura della (comunemente intesa) morte, cioe' della morte del se'; le persone, esistenzialmente o spiritualmente "grandi", hanno paura del lutto, cioe' della morte dell'altro. E con esso dell'ulteriore, della "trasformazione" in genere. E il significato della eternita', e' (certo) una eternita' di altro, non certo una eternita' di se', laddove, dell'eternita' stessa, non ci sarebbe bisogno. Difficile, da desiderare, ma non impossibile.
Bisogna comprendere che cosa davvero sia la morte, per comprendere se essa ci fa paura.
La morte, e' entificazione, sottrazione al divenire, e all'assurdo, per essere consegnati all'essere. Consegna, agli altri e al mondo, del (proprio) cadavere, cioe' dell'ente perfetto, e perfettamente razionale. La mietitrice, si', ma del grano in quanto prodotto umano rispetto alla natura selvaggia.
Di questa roba qui, se cosi' immagginata e concepita, e' giusto (cioe' etico) aver paura.
Se, invece, ancora la intendiamo, questa stessa morte dico, come sottrazione, di noi stessi, all'essere, per essere consegnati al divenire e al nulla, cioe' se ancora siamo immaturi, bambini nel senso peggiore del termine... allora...che dire...
Di questa roba qui non e' giusto (e non e' etico) aver paura. Meglio la reterica dell'eroe, dell'immortale, dell'esteta, del piantatore piu' o meno naturale o culturale di semi eterni eccetera. Cioe', "meglio", qui lo dico, nel senso di, meno, peggio.
Citazione di: niko il 19 Febbraio 2025, 20:40:53 PMNon desidero quello che non esiste (aldila', concetti trascendenti, significazioni trascendenti del dato di fatto della morte, tra cui: cultura dell'effimero, del negativo, della morte come consolazione, riposo eccetera), nom desidero nulla di nulla di tutto cio', per mia grande fortuna (piuttosto che merito)...
Quanto a quello che esiste (cioe' questa vita: e veniamo, finalmente, alle cose serie...), vado a momenti, piu' no che si', purtroppo.
Io penso che i mediocri hanno paura della (comunemente intesa) morte, cioe' della morte del se'; le persone, esistenzialmente o spiritualmente "grandi", hanno paura del lutto, cioe' della morte dell'altro. E con esso dell'ulteriore, della "trasformazione" in genere. E il significato della eternita', e' (certo) una eternita' di altro, non certo una eternita' di se', laddove, dell'eternita' stessa, non ci sarebbe bisogno. Difficile, da desiderare, ma non impossibile.
Bisogna comprendere che cosa davvero sia la morte, per comprendere se essa ci fa paura.
La morte, e' entificazione, sottrazione al divenire, e all'assurdo, per essere consegnati all'essere. Consegna, agli altri e al mondo, del (proprio) cadavere, cioe' dell'ente perfetto, e perfettamente razionale. La mietitrice, si', ma del grano in quanto prodotto umano rispetto alla natura selvaggia.
Di questa roba qui, se cosi' immagginata e concepita, e' giusto (cioe' etico) aver paura.
Se, invece, ancora la intendiamo, questa stessa morte dico, come sottrazione, di noi stessi, all'essere, per essere consegnati al divenire e al nulla, cioe' se ancora siamo immaturi, bambini nel senso peggiore del termine... allora...che dire...
Di questa roba qui non e' giusto (e non e' etico) aver paura. Meglio la reterica dell'eroe, dell'immortale, dell'esteta, del piantatore piu' o meno naturale o culturale di semi eterni eccetera. Cioe', "meglio", qui lo dico, nel senso di, meno, peggio.
La paura della morte è innata nel vivente e si chiama istinto di sopravvivenza. La vita eterna è un ossimoro.
Citazione di: sapa il 20 Febbraio 2025, 09:44:15 AMLa paura della morte è innata nel vivente e si chiama istinto di sopravvivenza. La vita eterna è un ossimoro.
Te l'ho gia' detto in un'altra occasione, mentre cercavo di spiegarti come dal pensiero dell'eterno ritorno possa derivare una morale; incidentalmente, si diceva, una morale "superominstica"; ma anche, visto che non era affatto quello il problema che tu ponevi, sarebbe meglio dire, quasiasi, una morale
qualsiasi; il tuo argomento era infatti che l'oblio tra una vita e l'altra renderebbe inderivabile
qualsivoglia morale a partire dall'eterno ritorno. E quindi, per ovvio automatismo,
anche (per forza) una morale superomistica.
Io a quel punti ti ho spiegato come uno possa avere la consapevolezza, o comunque il dubbio, o il pensiero, di dover ripetere la propria vita innumerevoli volte. Sono cose che si possono sapere, se vuoi per "fede, che possono entrare nella cognizione umana, anche a prescindere da un effettivo "ricordo".
Se ci pensi vale pure per teoria della reincarnazione: gli induisti credono cio' che credono, e fanno cio' che fanno, per fede, e per adesione a una certa codificata dottrina, non certo perche' tutti quanti loro "si ricordano", come se fosse ieri, le loro, presunte, vite precedenti.
Io credo che gli induisti che accettano la loro dottrina per dato cognitivo e fideistico saranno, al mondo statisticamente, che ne so, cento milioni di persone; invece, quelli tra tutti questi induisti, (con tutto il rispetto: secondo me un po' suonati) che hanno la certezza assoluta, voglio dire dantesi al di la' della necessita' della fede,
che la reincarnazione esista, perche' loro si ricordano, nitidamente, che erano, nella loro vita precedente, un elefante, e si ricordano di quando per scherzo schizzavano gli altri elefanti del loro branco al ruscello con la proboscide, saranno, che ne so, tra tutti questi cento milioni, dieci, o al massimo cento.
Conclusione: > si puo' accettare la reincarnazione o metmpsicosi, come dato cognitivo, e trarre da essa una morale, anche senza avere "ricordi" delle proprie vite precedenti.
Conclusione estesa: > lo stesso vale pure, per la dottrina dell'eterno ritorno. In cui i "ricordi" estendentisi tra una vita e l'altra, se pure vi fossero, sarebbero piu' che altro dei deja vu, o premonizioni. Che non sono strettamente necessari alla dottrina, e questo e' il punto.
Non e' quindi vero il tuo paradigma, che pone:
Assenza di ricordi, tra una vita e l'altra
= uguale =
assenza, in assoluto, di derivabilita' di una morale partente dall'assunto, dell'esistenza, per l'individuo, di piu' vite.
Quantomeno perche' senno', manco l'induismo esisterebbe. Dato empirico, prima ancora che logico o filosofico.
Se hai avuto la pazienza di seguirmi fino qui, a questo punto avrai capito di certo dove voglio arrivare: la paura della perdita, o della morte, sara' pure innata nell'uomo, ma si puo' superare. Ricordi "mistici" o no. Se uno crede, ad esempio, nell'eternita' della propria vita, avra' piu' paura del dolore, della noia, della mediocrita', e soprattutto del
lutto, in quanto
morte dell'altro, che non della morte in quanto morte del se' (e falso problema). Perche' la perdita, non e' vera perdita, mentre il dolore, e' vero dolore. Epicuro pure, diceva qualcosa di simile. Platone, sulla sovrapposizione tra maieutica, quale metodo migliore di trasmissione della filosofia e del sapere umano in generale, e ritorno di ricordi mistici da uno stadio disincarnato, dell'esistenza, ci ha costruito la sua fortuna.
Che cosa e' la morte? Questa e' la domanda che, secondo vi dovete fare.
E pure qui, mi ripeto.
Se vi rispondete e' una entificazione, di cio' che prima, entificato non era, fate
bene ad averne paura. Fifa, orrore, eccetra.
Se e' un
annientamento o un sonno eterno, fate
male, ad averne.
Poi, liberissimi di continuare, a sbagliare. ;D
Citazione di: niko il 20 Febbraio 2025, 12:31:18 PMTe l'ho gia' detto in un'altra occasione, mentre cercavo di spiegarti come dal pensiero dell'eterno ritorno possa derivare una morale; incidentalmente, si diceva, una morale "superominstica"; ma anche, visto che non era affatto quello il problema che tu ponevi, sarebbe meglio dire, quasiasi, una morale qualsiasi; il tuo argomento era infatti che l'oblio tra una vita e l'altra renderebbe inderivabile
qualsivoglia morale a partire dall'eterno ritorno. E quindi, per ovvio automatismo, anche (per forza) una morale superomistica.
Io a quel punti ti ho spiegato come uno possa avere la consapevolezza, o comunque il dubbio, o il pensiero, di dover ripetere la propria vita innumerevoli volte. Sono cose che si possono sapere, se vuoi per "fede, che possono entrare nella cognizione umana, anche a prescindere da un effettivo "ricordo".
Se ci pensi vale pure per teoria della reincarnazione: gli induisti credono cio' che credono, e fanno cio' che fanno, per fede, e per adesione a una certa codificata dottrina, non certo perche' tutti quanti loro "si ricordano", come se fosse ieri, le loro, presunte, vite precedenti.
Io credo che gli induisti che accettano la loro dottrina per dato cognitivo e fideistico saranno, al mondo statisticamente, che ne so, cento milioni di persone; invece, quelli tra tutti questi induisti, (con tutto il rispetto: secondo me un po' suonati) che hanno la certezza assoluta, voglio dire dantesi al di la' della necessita' della fede, che la reincarnazione esista, perche' loro si ricordano, nitidamente, che erano, nella loro vita precedente, un elefante, e si ricordano di quando per scherzo schizzavano gli altri elefanti del loro branco al ruscello con la proboscide, saranno, che ne so, tra tutti questi cento milioni, dieci, o al massimo cento.
Conclusione: > si puo' accettare la reincarnazione o metmpsicosi, come dato cognitivo, e trarre da essa una morale, anche senza avere "ricordi" delle proprie vite precedenti.
Conclusione estesa: > lo stesso vale pure, per la dottrina dell'eterno ritorno. In cui i "ricordi" estendentisi tra una vita e l'altra, se pure vi fossero, sarebbero piu' che altro dei deja vu, o premonizioni. Che non sono strettamente necessari alla dottrina, e questo e' il punto.
Non e' quindi vero il tuo paradigma, che pone:
Assenza di ricordi, tra una vita e l'altra
= uguale =
assenza, in assoluto, di derivabilita' di una morale partente dall'assunto, dell'esistenza, per l'individuo, di piu' vite.
Quantomeno perche' senno', manco l'induismo esisterebbe. Dato empirico, prima ancora che logico o filosofico.
Se hai avuto la pazienza di seguirmi fino qui, a questo punto avrai capito di certo dove voglio arrivare: la paura della perdita, o della morte, sara' pure innata nell'uomo, ma si puo' superare. Ricordi "mistici" o no. Se uno crede, ad esempio, nell'eternita' della propria vita, avra' piu' paura del dolore, della noia, della mediocrita', e soprattutto del lutto, in quanto morte dell'altro, che non della morte in quanto morte del se' (e falso problema). Perche' la perdita, non e' vera perdita, mentre il dolore, e' vero dolore. Epicuro pure, diceva qualcosa di simile. Platone, sulla sovrapposizione tra maieutica, quale metodo migliore di trasmissione della filosofia e del sapere umano in generale, e ritorno di ricordi mistici da uno stadio disincarnato, dell'esistenza, ci ha costruito la sua fortuna.
Che cosa e' la morte? Questa e' la domanda che, secondo vi dovete fare.
E pure qui, mi ripeto.
Se vi rispondete e' una entificazione, di cio' che prima, entificato non era, fate bene ad averne paura. Fifa, orrore, eccetra.
Se e' un annientamento o un sonno eterno, fate male, ad averne.
Poi, liberissimi di continuare, a sbagliare. ;D
Ciao niko, secondo me mi confondi con qualcun altro, non ho mai parlato in questo forum di reincarnazione, anche se potrebbe essere un concetto di eternità della vita per me più digeribile. Io, più che altro, contestavo il fatto che sia logico parlare di vita eterna, quando sappiamo benissimo che la vita non è affatto eterna, recando in sè quasi per definizione il concetto di morte. La vita eterna, in quanto senza fine, non può essere neanche concepibile. Come ha detto Inverno, una vita senza morte sembrerebbe anche a me una specie di lobotomia spirituale.
Citazione di: sapa il 21 Febbraio 2025, 13:24:23 PMCiao niko, secondo me mi confondi con qualcun altro, non ho mai parlato in questo forum di reincarnazione, anche se potrebbe essere un concetto di eternità della vita per me più digeribile. Io, più che altro, contestavo il fatto che sia logico parlare di vita eterna, quando sappiamo benissimo che la vita non è affatto eterna, recando in sè quasi per definizione il concetto di morte. La vita eterna, in quanto senza fine, non può essere neanche concepibile. Come ha detto Inverno, una vita senza morte sembrerebbe anche a me una specie di lobotomia spirituale.
Perché, oltre alla vita terrena, non può esservene una eterna di cui quella terrens fa parte? Chi è privo dell'udito prende per matte le persone che vede danzare a tempo di musica; chi è privo della vista non comprende chi gli parla di forme, colori, ecc... però suoni e colori esistono.
Citazione di: sapa il 21 Febbraio 2025, 13:24:23 PMCiao niko, secondo me mi confondi con qualcun altro, non ho mai parlato in questo forum di reincarnazione, anche se potrebbe essere un concetto di eternità della vita per me più digeribile. Io, più che altro, contestavo il fatto che sia logico parlare di vita eterna, quando sappiamo benissimo che la vita non è affatto eterna, recando in sè quasi per definizione il concetto di morte. La vita eterna, in quanto senza fine, non può essere neanche concepibile. Come ha detto Inverno, una vita senza morte sembrerebbe anche a me una specie di lobotomia spirituale.
E' vero, scusa, ti confondevo con Bahylam!
Sto troppo con la testa tra le nuvole, ultimamente...
Comunque, per me, ogni singola vita e' una cosa che puo' accadere, e che non contraddice nessuna legge della natutra, e quindi e' eterna in quanto manifestazione di una possibilita' che non si esaurisce nel suo manifestarsi. La causa, di una cosa, non si esaurisce, perche' quella cosa succede una volta. Se lanci un dado e fai 6, questo non rende "irripetibile", il 6, il sei puo' ancora uscire.
La vita e' complessa, e la singola vita di ognuno, piu' complessa ancora,ma per me, nascere e vivere in delle certe circostanze che "costituiscono" il mondo intorno a noi, e' come fare, mettiamo, 7499 su un grosso e complicato dado, con, mettiamo, con 10.000.
A tempo e spazio infinito, o comunque molto esteso, 7499 uscira' di nuovo, o uscira' altrove.
Il senso dell'effimero, e della caducita', dipende dai punti di vista, e dal fatto che qieusti di solito, sono molto ristretti.
Restituendo un senso "dell'unico", che, spesso e' molto illusorio.
Mentre reale, e' il
simulacro cioe' l'insieme delle copie, o anche solo delle somigluanze, di cui nessuna e'
l'originale, ovvero, una tea le altre privilegiata per essere vera.
La morte, sarebbe possibile solo se noi "abitassimo", in senso animico l'originale. E imvece, io sono abbastanza convinto, che noi, abitiamo uno dei tanti
simulacri, di noi stessi. Questo, e non altro ci "incatena", per modo di dire, all'eternita'.
La vita, dopo essere il dispiegarsi ordinario delle leggi naturali presso le circostanze, materiali che la "attivano", insomma che attivano, la vita stessa, come fenomeno, non ha in se' nessuna "realta' ", o "verita' " residua per essere unica, o vivibile e avvertibile come unica.
Quindi, la vita non ha tanto in se' il marchio, o la scintilla, della morte, ma quella del suo stesso valore infinito.
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 21 Febbraio 2025, 15:39:49 PMPerché, oltre alla vita terrena, non può esservene una eterna di cui quella terrens fa parte? Chi è privo dell'udito prende per matte le persone che vede danzare a tempo di musica; chi è privo della vista non comprende chi gli parla di forme, colori, ecc... però suoni e colori esistono.
Certamente, io non ci credo, ma non posso negare che potrebbe esserci, ci mancherebbe. Come dicevo, però, la vita di tutti gli esseri viventi contiene la morte di ognuno, abbiamo tutti una data di scadenza, ma non sappiamo qual'è. A questo punto, per convenzione parliamo per l'aldilà di vita eterna o miglior vita, cioè senza morte, ma come ce la potremmo immaginare? Tutto ciò che è eterno ci è estraneo, proprio perchè noi non lo siamo e non possiamo far altro che lavorarci di fantasia.
Citazione di: sapa il 21 Febbraio 2025, 17:29:32 PMCertamente, io non ci credo, ma non posso negare che potrebbe esserci, ci mancherebbe. Come dicevo, però, la vita di tutti gli esseri viventi contiene la morte di ognuno, abbiamo tutti una data di scadenza, ma non sappiamo qual'è. A questo punto, per convenzione parliamo per l'aldilà di vita eterna o miglior vita, cioè senza morte, ma come ce la potremmo immaginare? Tutto ciò che è eterno ci è estraneo, proprio perchè noi non lo siamo e non possiamo far altro che lavorarci di fantasia.
Io credo che il corpo fisico non sia eterno, ma che Anima, Spirito e mente lo siano. Dipende tutto da ciò che consideriamo essere umano. 😏
Translator
La paura della morte è un concetto innato o culturale?
E' comuqnue utile splittare il concetto di paura: paura della morte degli altri (verso cui si ha un legame importante, non necessariamnte sentimentale o familiare) e paura della propria morte.
Nell'Iliade o comunque nella Grecia arcaica non mi sembra che emerga la paura della propria morte. Magari c'era la paura e la disperazione per la morte altrui.
Per quanto anche Neanderthal sembrano aver lasciato omaggi nelle sepolture a loro attribuite, non è detto che questo corrisponda ad una paura della propria morte.
Così pure per i nostri progenitori che non avendo lasciato nulla di scritto non ci lasciano intendere i loro sentimenti a riguardo.
Non ho conoscenze così vaste da poter documentare con vigore la causa culturale verso la qual epropendeo.
Chiedo lumi.
Non sono mai stato interessato alla vita eterna.
Per me il problema non è tanto la mortalità, ma il fatto che il tempo, nella nostra epoca, sia vissuto sempre di più come qualcosa di irreale.
Come se fossimo bloccati in un presente eterno, ma con la certezza paradossale che intanto gli anni scorrono inesorabili e ci si avvicina alla morte.
Il motivo potrebbe essere il fatto che ciò che è comune si è dissolto. Così la storia dell'individuo non è scandita da niente. C'è soltanto una specie di alternanza lavoro–godimento.
I progetti del singolo, per quanto possano essere condivisi da una cerchia ristretta di familiari o amici, appaiono come isole iridescenti in mezzo al vuoto, il che li rende soggetti, soprattutto nelle fasi critiche e nei fallimenti, agli attacchi del dubbio e del paradosso: non sarà che sono esistiti solo nella mia testa? ci si chiede sgomenti.
E questa incertezza finisce per minare la continuità del tempo vissuto.
Angoscianti déjà vu, crisi di panico: non sono più fatti psicopatologici rari. Sono ormai disturbi comuni dell'era digitale.
"abbiamo tutti una data di scadenza" (sapa)
Che classe!! :-D
"Desiderate la Vita Eterna?" (Adalberto)
C'era un tempo che su sto forum si faceva uso e abuso di maiuscole a distinguere..
Perciò se ti prendo alla lettera..direi che c'è poco da desiderare, visto che per alcuni quelle maiuscole
stanno a definire una realta' inderogabile e la scelta resta nella ricerca o meno del riconoscerla come tale..
Anche definire infinito sfido chiunque.. cos'è finito e cosa infinito?
Rivivere la stessa vita? Ma.. se mi guardo attorno non c'è una sola esistenza identica ad un'altra.. Improbabile, dunque.. La natura mi sa che rifugge la noia..
Desidero la vita eterna? Desidero amare.
Translator
Citazione di: Gyta il 22 Febbraio 2025, 19:23:11 PMC'era un tempo che su sto forum si faceva uso e abuso di maiuscole a distinguere..
Nel titolo ho usato le maiuscole per esprimere rispetto verso visioni altrui, che non sono solo opinioni ma anche realtà molto diverse dalla mia. Il mio desiderio è convivere non convivincere.
Con le maiuscole desideravano controbilanciare quel tono un po' scanzonato di questo mio primo post, che spero non sia stato vissuto come irriverente. Ero e sono anche un po' imbarazzato, visto che che il sottotesto evoca la morte.
Più che delineare il significato astratto di concetti estremi (vita eterna, infinito, verità) mi interessa cercare di intuire meglio come essi emergano alla coscienza della vita attuale e magari ottenere qualche spunto di interpretazione simbolica per quel vissuto arcaico in cui affondano le nostre radici culturali. Per questo mi riferisco al desiderio.
Translator
Citazione di: Koba il 22 Febbraio 2025, 14:37:14 PMPer me il problema non è tanto la mortalità, ma il fatto che il tempo, nella nostra epoca, sia vissuto sempre di più come qualcosa di irreale.
Come se fossimo bloccati in un presente eterno, ma con la certezza paradossale che intanto gli anni scorrono inesorabili e ci si avvicina alla morte.
Il motivo potrebbe essere il fatto che ciò che è comune si è dissolto.
Non so quanto possa essere pertinente, però mi hai fatto tornare in mente una riflessione che avevo letto e che è meglio copiare e incollare che arrampicarmi sugli specchi per renderne solo una vaga idea.
Nel frattempo me la rileggo pure io.
La lettura di Tolstoj da parte di Max Weber offre una possibile sintesi, riportando in modo illuminante il tema della morte a quello della vita:
".... il suo [Lev Tolstoj] problema centrale si rivolgeva in misura crescente alla questione se la morte fosse un fenomeno dotato di senso oppure no.
E la sua risposta è che per l'uomo civilizzato non lo è.
E non lo è perché la vita individuale dell'uomo civilizzato, inserita nel «progresso», nell'infinito, non potrebbe avere, per il suo senso immanente, alcun termine. Infatti c'è sempre ancora un progresso ulteriore da compiere dinanzi a chi c'è dentro; nessuno, morendo, è arrivato al culmine, che è posto all'infinito.
Abramo o un qualsiasi contadino dei tempi antichi moriva «vecchio e sazio della vita» poiché si trovava nel ciclo organico della vita, poiché la sua vita, anche per quanto riguarda il suo senso, gli aveva portato alla sera del suo giorno ciò che poteva offrirgli, poiché per lui non rimanevano enigmi che desiderasse risolvere ed egli poteva perciò averne «abbastanza».Ma un uomo civilizzato, il quale è inserito nel processo di progressivo arricchimento della civiltà in fatto di idee, di sapere, di problemi, può diventare sì «stanco della vita», ma non sazio della vita. Di ciò che la vita dello spirito continuamente produce egli coglie soltanto la minima parte, e sempre soltanto qualcosa di provvisorio, mai di definitivo: perciò la morte è per lui un accadimento privo di senso. E poiché la morte è priva di senso, lo è anche la vita della cultura in quanto tale, che proprio in virtù della sua «progressività» priva di senso imprime alla morte un carattere di assurdità."(20).20. Weber M. La Scienza come professione. La politica come professione. Milano: Mondadori 2006: 20-22.
Ho cercato l'articolo intero, eccolo: https://www.painnursing.it/cera-una-volta-la-morte/
Sì, è senz'altro pertinente. Ci sono poi filosofi contemporanei come Byung-Chul Han che hanno affrontato il problema concentrandosi sulle caratteristiche peculiari dell'era digitale.
Alla base di questi discorsi che denunciano un profondo malessere mi sembra ci sia il problema di sapere ciò che è umano, ciò che è l'ethos umano che ci accomuna, e che può orientarci nei passaggi della vita, compreso quello finale della morte.
Pensare che tale ethos sia da cercare in certe espressioni dell'animalità che con continuità attraversa tutta la natura, dalla muffa a homo sapiens, ritengo non porti a niente, perché molto semplicemente per il bambino entrare nel mondo umano non significa provare empatia ed emozioni simili a quelle che prova il cucciolo di cane. È qualcosa di diverso, che riguarda la capacità di vivere a poco a poco le contrapposizioni del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto, del desiderio e della colpa, e via dicendo.
Questo approccio non sarà mai in grado di rispondere alla complessità delle nostre esigenze esistenziali.
Anche perché intanto il pensiero illuministico, avendo come fine giusto la liberazione del soggetto da sovranità inique, si è spinto fino alla decostruzione dei fondamenti di ogni cultura, di ogni civiltà.
Allora non rimane che la retorica della singolarità, l'apologia delle differenze del soggetto, visto che la comunità viene descritta solo come la somma di istituzioni necessarie e che un'analisi approfondita ne può in ogni momento mostrare la relatività. Il che si presta, sul suo versante negativo, alla strumentalizzazione del capitalismo. Con il risultato che pur essendo liberi non siamo mai stati così manipolabili.
Non c'è conclusione, ovviamente. Ma ognuno, se intende rifiutare l'ottundimento del consumo e la frammentazione del dialogo e del pensiero nell'era digitale, non può fare a meno che portare avanti una ricerca sul fondamento dell'umano.
Mi viene da dire che ognuno, nel nostro tempo, è costretto a diventare un metafisico...
Non si può desiderare ciò che non si conosce. La morte non la conosciamo e quindi non possiamo desiderarla. Però conosciamo il sonno profondo, senza sogni, l'oblio dei sensi e del continuo chiacchiericcio mentale. Personalmente spesso desidero l' oblio dalla vita.
Citazione di: Adalberto il 23 Febbraio 2025, 10:43:23 AMAbramo o un qualsiasi contadino dei tempi antichi moriva «vecchio e sazio della vita» poiché si trovava nel ciclo organico della vita, poiché la sua vita, anche per quanto riguarda il suo senso, gli aveva portato alla sera del suo giorno ciò che poteva offrirgli, poiché per lui non rimanevano enigmi che desiderasse risolvere ed egli poteva perciò averne «abbastanza».
Ma un uomo civilizzato, il quale è inserito nel processo di progressivo arricchimento della civiltà in fatto di idee, di sapere, di problemi, può diventare sì «stanco della vita», ma non sazio della vita. Di ciò che la vita dello spirito continuamente produce egli coglie soltanto la minima parte, e sempre soltanto qualcosa di provvisorio, mai di definitivo: perciò la morte è per lui un accadimento privo di senso.
Usare la "civiltà", la tecnologia, il capitalismo o simili, come capri espiatori di presunti svuotamenti di senso esistenziale, a mio avviso, è un mossa retorica falsificata dalla storia stessa, invocata impropriamente per preparare l'altare su cui sacrificare i suddetti capri.
Il contadino di oggi ha una visione del mondo e un "rapporto con la morte" davvero così differente da quello del contadino di mille anni fa? Coloro che invece hanno vissuto un'esistenza con "aneliti da metafisica", che siano vissuti prima delle macchine a vapore o abbiano lo
smartphone in tasca, davvero non possono morire "sazi della vita" come il contadino?
Quanta differenza
esistenziale c'è (se c'è) fra coltivare la terra e coltivare il proprio conto in banca? Siamo davvero sicuri che, al momento dell'ultimo sguardo, un vecchio contadino non possa guardare la sua terra proprio come un vecchio imprenditore guarda le sue azioni in borsa? Sono possibili certamente differenti tipi di sguardo; ma è davvero una questione di forme di mercato e orpelli tecnologici a fare la (eventuale) differenza
esistenziale?
L'arte di preparasi alla morte, non è forse antica come quella di dare un senso alla vita? Non sono forse entrambe percorribili ancora oggi, da alcuni ma non da tutti (oggi proprio come ieri), per nulla intaccate dalle conoscenze acquisite?
Credo che tutte queste domande possano convergere in una risposta di questo tipo: se, dopo e nonostante l'alienazione capitalistico-tecnologica, qualcuno è ancora in grado di scorgere saggezza nel pensiero antico degli stoici o dei buddisti, mentre qualcuno (oggi come allora) si sazia con l'orizzontalità della sua vita quotidiana, allora questo significa che, esistenzialmente, le forme economiche e lo sviluppo tecnologico non influenzano le domande (e, soprattutto, le dinamiche) di senso che accompagnano l'uomo da secoli.
Oggi, esattamente come secoli fa, c'è chi si toglie la vita di sua scelta, chi muore col sorriso, chi fa della morte un culto, chi non pensa affatto alla morte, chi crede che la morte sia una nuova nascita, etc. le ore che si passano al lavoro, il tipo di lavoro, le strutture e sovra-strutture sociali, quanto lontano si arriva con una sonda nello spazio, etc. non mi pare smussino di una goccia di inchiostro i punti interrogativi delle domande esistenziali (per chi se le pone, ovviamente).
Anche in filosofia, se scaviamo sotto i virtuosismi teoretici che sembrano distinguere la filosofia esistenziale moderna da quella più antica, troviamo le stesse domande; può cambiare la complessità delle risposte, ma non la loro "insufficienza" (proprio come il contadino ha cambiato con i secoli i suoi macchinari e le sue "filiere di vendita", ma non ha cambiato la dipendenza dalla terra che lavora).
Translator
Citazione di: Pio il 23 Febbraio 2025, 16:32:13 PMNon si può desiderare ciò che non si conosce.
Be', dai... così uccidi la natura stessa del desiderio.
Se non si può desiderare ciò che non si conosce, di conseguenza non dovremmo parlare di ciò che non conosciamo.
In tal caso però ti darei ragione: vivremmo in un mondo più silenzioso.
Citazione di: Phil il 23 Febbraio 2025, 21:51:04 PML'arte di preparasi alla morte, non è forse antica come quella di dare un senso alla vita? Non sono forse entrambe percorribili ancora oggi, da alcuni ma non da tutti (oggi proprio come ieri), per nulla intaccate dalle conoscenze acquisite?
Perchè questa concezione elitaria?
Mi piace ricordare quel filosofo discendente degli imperatori di Bisanzio che scrisse il più fine trattato sulla morte che abbia mai letto.
Era riuscito a descrivere brevemente in poesia il senso ultimo dell'essere parte di una elite aristocratica per il cui riconoscimento legale aveva peraltro combattuto a lungo nella sua vita.
Citazione'A livella
"Ogn'anno, il due novembre, c'é l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fà chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.
Ogn'anno,puntualmente,in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado,e con dei fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza.
St'anno m'é capitato 'navventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio.
Madonna! si ce penzo,e che paura! ,
ma po' facette un'anema e curaggio.
'O fatto è chisto,statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d'à chiusura:
io,tomo tomo,stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.
"Qui dorme in pace il nobile marchese
signore di Rovigo e di Belluno
ardimentoso eroe di mille imprese
morto l'11 maggio del'31"
'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
...sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele,cannelotte e sei lumine.
Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce stava 'n 'ata tomba piccerella,
abbandunata,senza manco un fiore;
pe' segno,sulamente 'na crucella.
E ncoppa 'a croce appena se liggeva:
"Esposito Gennaro – netturbino":
guardannola,che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!
Questa è la vita! 'ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pur all'atu munno era pezzente?
Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i'rimanette 'nchiuso priggiuniero,
muorto 'e paura...nnanze 'e cannelotte.
Tutto a 'nu tratto,che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje:stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato...dormo,o è fantasia?
Ate che fantasia;era 'o Marchese:
c'o' tubbo,'a caramella e c'o' pastrano;
chill'ato apriesso a isso un brutto arnese;
tutto fetente e cu 'nascopa mmano.
E chillo certamente è don Gennaro...
'omuorto puveriello...'o scupatore.
'Int 'a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se ritirano a chest'ora?
Putevano sta' 'a me quase 'nu palmo,
quanno 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e tomo tomo. . calmo calmo,
dicette a don Gennaro:"Giovanotto!
Da Voi vorrei saper,vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir,per mia vergogna,
accanto a me che sono blasonato!
La casta è casta e va,si,rispettata,
ma Voi perdeste il senso e la misura;
la Vostra salma andava,si,inumata;
ma seppellita nella spazzatura!
Ancora oltre sopportar non posso
la Vostra vicinanza puzzolente,
fa d'uopo,quindi,che cerchiate un fosso
tra i vostri pari,tra la vostra gente"
"Signor Marchese,nun è colpa mia,
i'nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie è stata a ffa' sta fesseria,
i' che putevo fa' si ero muorto?
Si fosse vivo ve farrei cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse
e proprio mo,obbj'...'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa".
"E cosa aspetti,oh turpe malcreato,
che l'ira mia raggiunga l'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei già dato piglio alla violenza! "
"Famme vedé. . -piglia sta violenza...
'A verità,Marché,mme so' scucciato
'e te senti;e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so mazzate! ...
Ma chi te cride d'essere...nu ddio?
Ccà dinto,'o vvuo capi,ca simmo eguale? ...
...Muorto si'tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'na'ato é tale e quale".
"Lurido porco! ...Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri,nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali? ".
"Tu qua' Natale...Pasca e Ppifania! ! !
T"o vvuo' mettere 'ncapo...'int'a cervella
che staje malato ancora e' fantasia? ...
'A morte 'o ssaje ched"e? ...è una livella.
'Nu rre,'nu maggistrato,'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt'o punto
c'ha perzo tutto,'a vita e pure 'o nomme:
tu nu t'hè fatto ancora chistu cunto?
Perciò, stamme a ssenti...nun fa"o restivo,
suppuorteme vicino-che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie...appartenimmo à morte! "
L'uguaglianza di fronte alla morte: Totò era nobile perchè era il Principe dei filosofi. :)
Citazione di: Adalberto il 24 Febbraio 2025, 10:11:38 AMPerchè questa concezione elitaria?
La risposta è proprio nel testo che hai citato: «Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive».
La morte è una livella, ma prima, da vivi, il piano è tutt'altro che liscio, ci sono valli e monti, pozzanghere e punti panoramici.
Non si tratta di una visione elitaria, ma di un'analisi fattuale: non è dispregiativo notare che a qualcuno non interessano questioni esistenziali "profonde", che qualcuno si affida a "orizzonti di senso" preconfezionati e risolutivi (v. religioni), che "i contadini muoiono sazi di vita" come tu stesso hai citato, etc.
Concordo che la morte livelli gli uomini, ma in vita distinguere fra le "pagliacciate" non è necessariamente elitarismo.
Translator
Citazione di: Phil il 24 Febbraio 2025, 11:18:55 AMun'analisi fattuale: non è dispregiativo notare che a qualcuno non interessano questioni esistenziali "profonde", che qualcuno si affida a "orizzonti di senso" preconfezionati e risolutivi (v. religioni), che "i contadini muoiono sazi di vita" come tu stesso hai citato, etc.
Il senso non lo trovo racchiuso in qualche strofa di Totò, ma nel narrato che illustra una metafora, da cui derivano opinabili impressioni.
Io ci vedo il suggerimento di dar meno peso alle differenze che ci attribuiamo anche nella vita.
Capisco pure quello che intendi, è legittimo e l'ho praticato anch'io.
Però con il passare degli anni mi imbarazza accostarmi ai sentimenti e alle emozioni altrui con l'idea di un confrontare le rispettive profondità. Si tratta di realtà incomparabili, perché difficili da valutare come fatti e conseguentementre da catalogare.
Visto che parliamo di contadini: come potevo esprimere un giudizio sulla vita intima del pastore mio confinante che viveva oltre il dorso della collina quando da ex cittadino mi ero trasferito lì vicino per far l'agricoltore? Lo vedevo ogni tanto, mangiavamo insieme il suo formaggio mentre le sue pecore si cibavano dell'erba intorno alla mia piantagione. Certo che eravamo diversi, ma queste nostre
differenze esistenziali avevavo un
peso qualitativo diverso? Esiste forse una bilancia su cui fare tale misurazione? Nemmeno nel catalogo Berkel l'ho trovata.
Chi era più autentico: lui che sarà ancora lì oppure il sottoscritto che dopo 7 anni si è trasferito altrove per seguire un'altra sua fantasia?
Posso dibattere sugli atteggiamenti espresi e sulle le azioni altrui, al limite posso anche diferndermi duramente se qualcuno volesse imporrre a me o ad altri ciò che non spetta a lui decidere, per delega o consenso.
Ma giudicare l'interiorità altrui porta solo al pareggio della livella, anche da vivi.
Citazione di: Adalberto il 24 Febbraio 2025, 20:24:10 PMCapisco pure quello che intendi, è legittimo e l'ho praticato anch'io.
Però con il passare degli anni mi imbarazza accostarmi ai sentimenti e alle emozioni altrui con l'idea di un confrontare le rispettive profondità.
Questo forse è un po' il fulcro del fraintendimento che ti ha portato a vedere elitarismo dove non c'era: la confusione fra
giudizi di fatto e
giudizi di valore. Avrai notato che non ho giudicato (giudizio di valore) migliore o peggiore chi si fa certe domande con una certa profondità, ho solo preso atto (constatazione di fatto) della presenza di persone, da sempre, che tali domande non se le fanno, o se le fanno in modo meno profondo o addirittura esagerano a farsele con i suddetti "virtuosismi teoretici". La differenza di profondità non credo sia troppo opinabile, nondimeno non è necessariamente qualitativa. Provo a spiegarmi con un esempio banale: secondo te, in generale, è meno profonda una riflessione filosofica sulla morte (scegli tu quale) o una poesia sulla morte (scegli tu quale), oppure un'esclamazione del tipo «tanto prima o poi moriamo tutti»? Credo concorderemo entrambi sulla risposta, pur senza scriverla.
Pensare che ciò comporti una preferenza o una migliore opinione di chi si pone un certo tipo di domanda in un certo tipo di modo, è una conclusione impropria, spesso negli occhi di chi legge, ma non in quello che è scritto. Ragioniamoci: quando ho scritto «non è dispregiativo notare che a qualcuno non interessano questioni esistenziali "profonde"...» etc. come lo hai interpretato? Frase retorica in nome del politicamente corretto, oppure intendevo
semplicemente quello che ho scritto, ossia che per me non è dispregiativo distinguere fra i vari tipi di rapporto con certe tematiche? Perché "livellare" le profondità altrui con la propria quando,
di fatto, la differenza di profondità è "tangibile"? Quando ci imbattiamo in una riflessione che ci colpisce
per la sua profondità, non sappiamo forse riconoscerla? Non è una profondità assoluta, ovviamente, ma rispetto alla nostra (o a quella a cui siamo abituati), è di certo
maggiore; altrimenti troveremo ovvia e scontata quella riflessione, essendo
meno profonda della nostra.
La semplicità dei fatti è ciò che spesso sfugge, schiacciata dal peso di pregiudizi poco fattuali; la stessa semplicità con cui la morte livella tutti, compresi quelli che hanno compiuto le "pagliacciate" più filosoficamente ardite per elucubrare su sensi metafisici (per inciso: la mia visione della morte e della vita è più simile a quella del contadino citato sopra, che a quella dei filosofi dotti; eppure, anche qui, non giudico peggiore o migliore chi lancia la propria mente nell'iperuranio della teoresi esistenziale; a ciascuno la sua "pagliacciata", prima che la livella risolva,
semplicemente, la questione).
Ritengo elitaria l'idea che solo la profondità del pensiero possa dare un senso alla vita (degli altri).
Non posso trasferire sulle altre persone il sistema di valori attraverso il quale io peso il senso della vita (mia).
Citazione di: Adalberto il 26 Febbraio 2025, 06:59:18 AMRitengo elitaria l'idea che solo la profondità del pensiero possa dare un senso alla vita (degli altri).
Secondo me più che elitaria è insensata, una "pagliacciata da vivi" come detto sopra. L'attribuzione di un
possibile senso alla vita richiede riflessione, ma la profondità di tale riflessione non aggiunge o toglie nulla all'attribuzione. Il suddetto esempio del contadino è eloquente: nessun Kierkegaard o Heidegger, nonostante la maggior profondità delle loro riflessioni, potrà dire al contadino che si sbaglia, poiché tale senso non è un
rebus di cui bisogna indovinare la soluzione o un tesoro nascosto in chissà quale
profondo abisso. La vita del contadino ha il senso che egli gli attribuisce (e, prospetticamente, lo proietterà spontaneamente anche sugli altri) e fare una "classifica dei sensi" per profondità non significa farla secondo verità o qualità, proprio come constatare che qualcuno vive ad un'altitudine più elevata della nostra non significa pensare che costui sia più saggio o più "vicino agli dei" di noi (semplicemente a noi magari piace più il mare, magari lui preferisce la montagna).
Citazione di: Adalberto il 26 Febbraio 2025, 06:59:18 AMNon posso trasferire sulle altre persone il sistema di valori attraverso il quale io peso il senso della vita (mia).
Molti sono tentati a farlo (soprattutto i "pensatori forti", assiomatici), e di fatto è quello che fanno anche le varie ideologie, più o meno religiose o esistenziali che siano. Personalmente penso che il senso della vita sia essenzialmente individuale, così come è individuale la
propria morte; le distinzioni di profondità sono solo un dettaglio "altimetrico", non veritativo (giacché l'unica certezza sul tema è "la livella", il fondo su cui si depositano tutte le possibili "profondità" di pensiero).
Meno profondo è il tuo pensiero e più sei portato a fare tuo il pensiero degli altri (conformarsi agli altri). Se dovessimo pesare la maggiore o minore profondità , un buon sistema potrebbe essere proprio quello di valutare l'autonomia di senso che sappiamo dare alla nostra vita. Se, alla fine, arriviamo a fare nostro un credo, una visione esistenziale o altro, sarà al termine di un percorso autonomo e l'adesione non sarà mai acritica, non sarà più un conformarsi supinamente. Allora sarà come un fiume che si getta nel mare dopo un lungo percorso, fatto da solo.
Translator
Citazione di: Pio il 26 Febbraio 2025, 14:40:30 PMvalutare l'autonomia di senso che sappiamo dare alla nostra vita.
Mi piace questo sistema di valutazione. Poi non so se tu ritieni più importante definire il senso da
dare alla vita, al mondo, alla morte ecc. piuttosto che intuire il senso che
ha la vita, il mondo ecc. (dal mio punto di vista la vita è, il mondo è, che altro dire se non se non vogliamo cavillare troppo?)
Dare un senso significa porsi in relazione a qualcosa.
Si tratta di una "relazione a due": è essenziale riconoscerla come tale per sviluppare una propria autonomia di giudizio, per sottrarsi alle ingerenze di terze parti.
Per quanto possa anche risultare fallace, questa voglia di autonomia può tendenzialmente farsi libera dai produttori istituzionali del senso e dai loro distributori (molti necessari, altri veri e propri pusher).
E' ambivalente i rapporto che abbiamo con questi produttori istituzionali di senso.
Da un lato ci propongono idee e concetti preconfezionati di uso e consumo immediato, tali e quali le merendine piene di zuccheri e grassi che ci placano con il loro piacere subitaneo e ci inducono a reiterare l'acquisto presso il medesimo brand. Dall'altro ci permettono l'accesso a strumenti di analisi critica necessari per costruirci una qualche autonomia, ma parlo delle aree del pianeta in cui ciò sembra ancora possibile.
Allontanarsi dal circuito di questo sistema di produzione e distribuzione del senso è un po' come parlare del distacco dai genitori: buoni o meno siano stati si tratta sempre di gestire una relazione ambivalente. Magari dopo il distacco capita anche di rielaborare in autonomia delle visioni di senso simili a quelle ricevute inizialmente e poi respinte.
Comunque non c'è da illudersi troppo sull'autonomia da conquistare: risulta incompleta se penso ai condizionamenti e preconcetti che continuano a intrufolarsi furtivamente nelle nostre menti, nei nostri sentimenti, cioè nel nostro sentire.
Senso e sentire sono anche apparentati dall'etimo.
Citazione di: Adalberto il 08 Febbraio 2025, 13:06:11 PMTranslator
Altri vi chiederebbero se "credete" nella vita eterna. Io vi domando solo se questo è il vostro desiderio, in quanto trovo che la vita sia prima sensazione e poi pensiero.
Non mi sfiora la domanda filosofica (poco o nulla so) o spirituale (non percepisco), ma solo quella esistenziale.
La mia risposta è no, non desidero alcuna vita eterna.
Impressa nella mia memoria è l'immagine di un'antica vignetta di Linus: un tipo chiede al ragazzotto stranito che lecca un gelato: "Ti offro la vita eterna, la vuoi?" Scuotendosi dal torpore del caldo estivo, il ragazzo cerca in giro una qualche ispirazione. Incurante del gelato che si squaglia riflette e poi risponde: "No grazie, in TV passano sempre i soliti film."
E' passato mezzo secolo e mi riconosco tutt'ora in quella scema (non è un lapsus).
L'idea di ripercorrere la mia stessa vita, non speciale ma nemmeno banale, non mi attrae.
A parità di condizioni di partenza, mi troverei a rifare la stessa vita e mi risulterebbe noiosetto ripercorrere le stesse svolte, cogliere o perdere le medesime opportunità, apprezzare lo sforzo per liberarsi da, rinunciare a qualche libertà di.
C'è poi l'opzione B: il ciclo delle rinascite. Trovo affascinante lo stupore arcaico: animali che in primavera risorgono dalla morte letargica, informi tuberi che rifioriscono o semi costretti a morire per dar vita a nuove piante.
Certo che mi piacerebbe rinascere gatto (il mio animale totemico) oppure polipo, che sembra abbia una elevata coscienza di sé a dispetto del suo apparire.
Però dove lo trovo un biglietto per vincere alla lotteria delle rinascite? Non provo particolari sensi di colpa, ma se mi confrontassi con la morale canonica... mi andrebbe di lusso rinascere lombrico.
Per l'opzione C bisogna essere decisamente Credenti. Non mi riferisco all'alternativa Inferno o Paradiso, o all'emozione di fondersi in una qualche forma di spirito. Non è questo il punto. Bensì credere all'infinito.
Desiderate davvero vivere.. per l'eternità?
Ciao Adalberto
Appena ho letto il titolo della discussione, mi è venuto in mente un ragionamento che feci da giovane.
Immaginai di essere eterno. Supposi di essere uno spirito eterno identico a come sono fisicamente.
Immaginai guerre, periodi di pace, il passare di centinaia di anni, e io sempre vivo, a camminare per le città.
Poi immaginai la distruzione della Terra, e io sempre vivo.
Vedi tutto, comprendi tutto, ma non finisce mai nulla. Come un... film infinito.
Arrivai a provare un senso di paura che superava e distruggeva (e distrusse) la paura della morte.
La fine della vita, la fine di qualcosa è, per l'uomo, una naturale e necessaria liberazione.
Un saluto.
Citazione di: Jean Jacques il 17 Marzo 2025, 13:10:40 PMCiao Adalberto
Appena ho letto il titolo della discussione, mi è venuto in mente un ragionamento che feci da giovane.
Immaginai di essere eterno. Supposi di essere uno spirito eterno identico a come sono fisicamente.
Immaginai guerre, periodi di pace, il passare di centinaia di anni, e io sempre vivo, a camminare per le città.
Poi immaginai la distruzione della Terra, e io sempre vivo.
Vedi tutto, comprendi tutto, ma non finisce mai nulla. Come un... film infinito.
Arrivai a provare un senso di paura che superava e distruggeva (e distrusse) la paura della morte.
La fine della vita, la fine di qualcosa è, per l'uomo, una naturale e necessaria liberazione.
Un saluto.
La vita eterna non è un tempo senza fine da vivere. È vivere senza tempo. Se esistesse sarebbe condividere la vita di un dio. Dio non esiste nel divenire del tempo ma la sua è una esistenza senza tempo. Lo spirito Aleggia sopra le acque senza riposo del tempo. Nessuno sa da dove viene, né dove va.
La mia vita è già eterna: la mia nascita, il mio sviluppo, la mia morte sono eterni.
Comprendo che la domanda posta esclude la morte.
Allora rispondo con un'altra domanda: come posso sapere, conoscere che la mia vita è eterna, senza la morte? Questa ignoranza è per me sistemica.
Citazione di: Alexander il 17 Marzo 2025, 14:55:05 PMLa vita eterna non è un tempo senza fine da vivere. È vivere senza tempo. Se esistesse sarebbe condividere la vita di un dio. Dio non esiste nel divenire del tempo ma la sua è una esistenza senza tempo. Lo spirito Aleggia sopra le acque senza riposo del tempo. Nessuno sa da dove viene, né dove va.
Se si fosse coscienti dell'eternità, si avrebbe quella sensazione, ma se, così come anche viene riportata nella Baghavad Gita dopo la morte ci si unisce a Dio, la percezione dell'infinito non c'è.
Infatti il mio ragionamento era dal punto di vista umano cioè, da esseri fisici di carne, a pensare all'infinito come lo concepiamo da mortali.
I momenti più belli della vita uno li vorrebbe eterni,quindi l'idea di eternità sta nella vita e nella mente umana.
Citazione di: aurea il 19 Marzo 2025, 18:39:22 PMI momenti più belli della vita uno li vorrebbe eterni,quindi l'idea di eternità sta nella vita e nella mente umana.
In effetti è così come scrivi, e questo perché ci leghiamo con una catena invisibile a certi momenti vissuti, un attaccamento che ci fa vivere camminando in avanti ma con lo sguardo rivolto indietro.
Quello che dici è vero,con l'eccezione di non guardare indietro quando si esce da qualcosa da cui sarebbe stato meglio uscire prima O:-)
Citazione di: aurea il 20 Marzo 2025, 16:30:05 PMQuello che dici è vero,con l'eccezione di non guardare indietro quando si esce da qualcosa da cui sarebbe stato meglio uscire prima O:-)
Eh, già, sarebbe auspicabile. :)
Quando uso il sale mi viene in mente la moglie di Lot che si voltò a guardare la fine di Sodoma e Gomorra....Non voltatevi mai indietro e non sbirciate di lato quando state procedendo davvero sulla VOSTRA STRADA....MAI!
Citazione di: Jean Jacques il 17 Marzo 2025, 13:10:40 PMCiao Adalberto
Appena ho letto il titolo della discussione, mi è venuto in mente un ragionamento che feci da giovane.
Immaginai di essere eterno. Supposi di essere uno spirito eterno identico a come sono fisicamente.
Immaginai guerre, periodi di pace, il passare di centinaia di anni, e io sempre vivo, a camminare per le città.
Poi immaginai la distruzione della Terra, e io sempre vivo.
Vedi tutto, comprendi tutto, ma non finisce mai nulla. Come un... film infinito.
Arrivai a provare un senso di paura che superava e distruggeva (e distrusse) la paura della morte.
La fine della vita, la fine di qualcosa è, per l'uomo, una naturale e necessaria liberazione.
Un saluto.
Ciao JJ scusami se non ti ho risposto ieri sera quando ho scoperto che questo post non era finito nel dimenticatoio come pensavo. Peraltro non passo sempre da queste parti.
Liberazione? Dai, non sarai così pessimista?
Personalmente preferisco considerarla naturale, necessaria conclusione.
L'importante è destreggiarsi nella vita per non accumulare particolari rimpianti nè rimorsi.
Alla prossima.
Citazione di: Adalberto il 25 Marzo 2025, 11:02:12 AMCiao JJ scusami se non ti ho risposto ieri sera quando ho scoperto che questo post non era finito nel dimenticatoio come pensavo. Peraltro non passo sempre da queste parti.
Liberazione? Dai, non sarai così pessimista?
Personalmente preferisco considerarla naturale, necessaria conclusione.
L'importante è destreggiarsi nella vita per non accumulare particolari rimpianti nè rimorsi.
Alla prossima.
Perché pensare cha la liberazione dell'Anima da questo corpo fisico equivale ad essere pessimisti?
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 25 Marzo 2025, 12:07:00 PMPerché pensare cha la liberazione dell'Anima da questo corpo fisico equivale ad essere pessimisti?
Perché mi auguro sempre che ciascuno possa vivere con discreta soddisfazione nel proprio corpo, indipendentemente dalle personali credenze su anima spirito o altre dimensioni dopo la morte.
Il corpo, se si è giovani e in salute, pare un amico da cui traiamo soddisfazione e piacere; quando siamo vecchi e con salute sempre più malferma, diventa un nemico da cui liberarsi.
Citazione di: Alexander il 25 Marzo 2025, 14:13:40 PMIl corpo, se si è giovani e in salute, pare un amico da cui traiamo soddisfazione e piacere; quando siamo vecchi e con salute sempre più malferma, diventa un nemico da cui liberarsi.
In realtà, a causa di una paralisi cerebrale all'età di un anno (oggi ne ho 66) il mio corpo mi è sempre parso una carriola arrugginita con la ruota perennemente sgonfia. Hai voglia a fare fisioterapia e movimento di vario genere, quando alla disabilità fisica iniziale si aggiungono gli acciacchi dell'età. Il mio corpo attualmente è una massa dolorosa, che mi provoca sofferenza e mi fa desiderare di uscirne quanto prima.
Citazione di: aurea il 22 Marzo 2025, 19:24:45 PMQuando uso il sale mi viene in mente la moglie di Lot che si voltò a guardare la fine di Sodoma e Gomorra....Non voltatevi mai indietro e non sbirciate di lato quando state procedendo davvero sulla VOSTRA STRADA....MAI!
Vero. Che sia Orfeo o la moglie di Lot, meglio non voltarsi mai.
Citazione di: Adalberto il 25 Marzo 2025, 11:02:12 AMCiao JJ scusami se non ti ho risposto ieri sera quando ho scoperto che questo post non era finito nel dimenticatoio come pensavo. Peraltro non passo sempre da queste parti.
Liberazione? Dai, non sarai così pessimista?
Personalmente preferisco considerarla naturale, necessaria conclusione.
L'importante è destreggiarsi nella vita per non accumulare particolari rimpianti nè rimorsi.
Alla prossima.
Buon poveriggio Adalberto
Beh, diciamo che ci si libera del peso fisico e ci si sente più leggeri :D
Quando una persona muore, sento sempre persone dire "Povero/a" ma io rispondo "poveri noi!" :D
Tra dolori fisici e mentali, solo l'essere umano in vita soffre in questo modo, per questo la morte non è negativa perché ci spoglia di tutti questi "vestiti" che dobbiamo portare in questa vita.
Un caro saluto a te
Citazione di: Aspirante Filosofo58 il 25 Marzo 2025, 14:43:21 PMIn realtà, a causa di una paralisi cerebrale all'età di un anno (oggi ne ho 66) il mio corpo mi è sempre parso una carriola arrugginita con la ruota perennemente sgonfia. Hai voglia a fare fisioterapia e movimento di vario genere, quando alla disabilità fisica iniziale si aggiungono gli acciacchi dell'età. Il mio corpo attualmente è una massa dolorosa, che mi provoca sofferenza e mi fa desiderare di uscirne quanto prima.
È ciò che intendevo.
Io paragono il corpo a un piccolo mezzo di trasporto: ce ne viene regalato uno solo alla nascita.
Dobbiamo imparare ad usarlo (perché nessuno ci ha fornito il libretto delle istruzioni), lo sfruttiamo al massimo e altre volte lo parcheggiamo lì senza considerarlo più di tanto. Spesso si rompe e lo ripariamo (o tentiamo di farlo), a volte vorremmo un mezzo diverso ma non possiamo cambiarlo. Con l'età si arrugginisce, cammina male, si inceppa, e càpita di fare degli incidenti. Arriva un giorno in cui preferiamo gettarlo via e andare a piedi.
È un mezzo, e come tale, utile a trasportarci sulle strade della vita ma noi non siamo il mezzo, non siamo una creatura mitologica fusa con lei: un giorno ce ne disferemo e, forse, capiremo che l'esperienza serviva a farci imparare a camminare a piedi per il resto dell'eternità.