Ritengo utile interrogarsi sui motivi che ci fanno avere paura della morte:
- il pensiero della sofferenza?
- l'ignoto?
- l'annullamento dell'io?
- la perdita di possesso delle cose?
- il pensiero di cose non fatte?
- il pensiero del dolore di chi resta?
c'è altro o è tutto qui?
I motivi elencati sono per me tutti condivisibili.
Ne aggiungerei due, che sono reciprocamente agli antipodi.
Il primo riguarda il semplice istinto di sopravvivenza. Il corpo non vuole morire, a prescindere da qualsiasi altra motivazione.
Così come il dolore fisico serve per preservare il corpo da ulteriori danni, la paura della morte è utile per evitare di esporsi a rischi di estinzione.
Il secondo è di tutt'altra natura. Riguarda infatti la consapevolezza del nostro essere gettati nel mondo.
Il mondo è ora la nostra casa. Ma non la nostra origine.
Questa origine è il Nulla.
Paura perciò metafisica.
Paura di tornare a essere ciò che siamo sempre stati: Nulla.
Quest'ultima motivazione può essere l'occasione, se si affronta la paura, per provare a trascendere.
Perchè siamo poco razionali, direbbe Epicuro. La morte prima o poi arriva e con l'esaurimento delle energie vitali è pure una liberazione (Il gallo che Socrate offre ad Asclepio/Esculapio). Non la morte è razionale temere, ma i portatori di morte della nostra specie (Battiato).
Citazione di: bobmax il 18 Dicembre 2020, 20:54:25 PM
...Il secondo è di tutt'altra natura. Riguarda infatti la consapevolezza del nostro essere gettati nel mondo.
Il mondo è ora la nostra casa. Ma non la nostra origine.
Questa origine è il Nulla.
Paura perciò metafisica.
Paura di tornare a essere ciò che siamo sempre stati: Nulla.
Quest'ultima motivazione può essere l'occasione, se si affronta la paura, per provare a trascendere.
Ebbene trascendiamo: la nostra origine è l'universo e tutti gli universi che lo hanno preceduto. Siamo figli delle stelle e fatti della loro stessa materia. Quando moriremo torneremo alla nostra origine. Ma nel frattempo avremo, se siamo saggi, compreso il senso di Tutto ciò e ne avremo gustato, fisicamente, l'aroma. Questo Qualcosa ci basterà - metafisicamente - per non temere il compiersi del nostro immanente destino. Lasciando spazio ad altre vite che, se lo meriteremo, porteranno con sè anche un po' della nostra, verso l'unica immortalità che ci è concessa.
La natura
benigna aiuta il saggio anche nel suo esito finale. Il venir meno delle energie fisiche e mentali invoca già di suo il "dolce naufragar" nel mare universale.
Perché il più profondo e disperato desiderio dell'uomo è quello di sopravvivere, come scrive la poetessa premio Nobel 2020 Louise Gluck:
Ho fatto un'arpa nel disastro
per perpetuare la bellezza del mio ultimo amore.
Eppure nella mia angoscia, così com'è,
rimane la lotta per la forma
e i miei sogni, se parlo apertamente,
hanno meno il desiderio di essere ricordati
che il desiderio di sopravvivere,
che è, io credo, il più profondo desiderio umano.
da "Nuovi poeti americani"
Citazione di: Ipazia il 21 Dicembre 2020, 16:58:05 PM
Citazione di: bobmax il 18 Dicembre 2020, 20:54:25 PM
...Il secondo è di tutt'altra natura. Riguarda infatti la consapevolezza del nostro essere gettati nel mondo.
Il mondo è ora la nostra casa. Ma non la nostra origine.
Questa origine è il Nulla.
Paura perciò metafisica.
Paura di tornare a essere ciò che siamo sempre stati: Nulla.
Quest'ultima motivazione può essere l'occasione, se si affronta la paura, per provare a trascendere.
Ebbene trascendiamo: la nostra origine è l'universo e tutti gli universi che lo hanno preceduto. Siamo figli delle stelle e fatti della loro stessa materia. Quando moriremo torneremo alla nostra origine. Ma nel frattempo avremo, se siamo saggi, compreso il senso di Tutto ciò e ne avremo gustato, fisicamente, l'aroma. Questo Qualcosa ci basterà - metafisicamente - per non temere il compiersi del nostro immanente destino. Lasciando spazio ad altre vite che, se lo meriteremo, porteranno con sè anche un po' della nostra, verso l'unica immortalità che ci è concessa.
La natura benigna aiuta il saggio anche nel suo esito finale. Il venir meno delle energie fisiche e mentali invoca già di suo il "dolce naufragar" nel mare universale.
Ciao Ipazia, sono d'accordo del tutto con te. Mi rimane, però, un dubbio su quel "se lo meriteremo", che a mio avviso suppone un grado di giudizio, che non saprei a chi ascrivere.
Citazione di: Ipazia il 21 Dicembre 2020, 16:58:05 PM
Citazione di: bobmax il 18 Dicembre 2020, 20:54:25 PM
...Il secondo è di tutt'altra natura. Riguarda infatti la consapevolezza del nostro essere gettati nel mondo.
Il mondo è ora la nostra casa. Ma non la nostra origine.
Questa origine è il Nulla.
Paura perciò metafisica.
Paura di tornare a essere ciò che siamo sempre stati: Nulla.
Quest'ultima motivazione può essere l'occasione, se si affronta la paura, per provare a trascendere.
Ebbene trascendiamo: la nostra origine è l'universo e tutti gli universi che lo hanno preceduto. Siamo figli delle stelle e fatti della loro stessa materia. Quando moriremo torneremo alla nostra origine. Ma nel frattempo avremo, se siamo saggi, compreso il senso di Tutto ciò e ne avremo gustato, fisicamente, l'aroma. Questo Qualcosa ci basterà - metafisicamente - per non temere il compiersi del nostro immanente destino. Lasciando spazio ad altre vite che, se lo meriteremo, porteranno con sè anche un po' della nostra, verso l'unica immortalità che ci è concessa.
La natura benigna aiuta il saggio anche nel suo esito finale. Il venir meno delle energie fisiche e mentali invoca già di suo il "dolce naufragar" nel mare universale.
Non siamo figli delle stelle, siamo figli del Nulla.
Ed è il Nulla in cui è dolce naufragar.
Se si resta aggrappati alla materia delle stelle, non si naufraga dolcemente, solo si affoga.
Se viceversa si accetta la nullità della nostra essenza, allora è la pace.
Citazione di: sapa il 22 Dicembre 2020, 17:12:11 PM
Ciao Ipazia, sono d'accordo del tutto con te. Mi rimane, però, un dubbio su quel "se lo meriteremo", che a mio avviso suppone un grado di giudizio, che non saprei a chi ascrivere.
Ai posteri, l'ardua sentenza, come disse un poeta di una celebrità storica. Ma, in una sfera più intima e importante, noi siamo impasto di stelle e cure parentali, che si estendono fino alla maieutica in circoli sempre più ampi. In tale ardua impresa c'è chi merita e chi demerita. E la storia che ci sopravviverà ne tiene conto.
Non penso di avere sbagliato nell'inserire questo argomento in "percorsi ed esperienze", ma i contributi ricevuti a mio avviso spostano il tema in un argomento filosofico/spirituale.
Il mio intento era invece solo di stimolare il lettore ad interrogarsi sui motivi elencati (ai quali ora aggiungo il pensiero di essere soli con la morte) per elaborarli con l'obiettivo di morire il più tardi possibile in serenità.
Citazione di: Mariano il 25 Dicembre 2020, 18:40:16 PM
Non penso di avere sbagliato nell'inserire questo argomento in "percorsi ed esperienze", ma i contributi ricevuti a mio avviso spostano il tema in un argomento filosofico/spirituale.
Il mio intento era invece solo di stimolare il lettore ad interrogarsi sui motivi elencati (ai quali ora aggiungo il pensiero di essere soli con la morte) per elaborarli con l'obiettivo di morire il più tardi possibile in serenità.
Salve Mariano. Beh, la morte sarebbe un argomento così universale, onnipresente, CONCLUSIVO cheil forzarne la trattazione ad uno solo o pochi ambiti.......è tentativo sicuramente vano. Figurati che io intervenni immediatamente quanto lanciasti il presente topic, ma il mio stringatissimo parere contenente una supplementare motivazione di riflessione sulla morte stessa.......mi venne cancellato dallo zelante moderatore di turno, forse perchè di umorismo troppo macabro (l'intervento, non il moderatore).
D'altra parte tu avresti voluto che si prendesse posizione circa una serie di aspetti psicologici che ci presentati e che qui sotto replico :
Ritengo utile interrogarsi sui motivi che ci fanno avere paura della morte:
- il pensiero della sofferenza?
- l'ignoto?
- l'annullamento dell'io?
- la perdita di possesso delle cose?
- il pensiero di cose non fatte?
- il pensiero del dolore di chi resta?
ai quali hai appena aggiunto la possibile "paura della solitudine" (superfluo doppione dell'"annullamento dell'io", scomparendo il quale sarebbe impossibile provare della solitudine).
Esaminando con più ordine il tuo elenco (cosa che finora nessuno ha voluto fare). emergerebbe che :
- la sofferenza fa parte della vita e non della morte, la quale semmai ne costituisce il contrario o la liberazione !
- l'ignoto, di per sè. deve risultare psichicamente indifferente in quanto potrebbe risultare tanto fonte di felicità che di paura, poichè ciò appunto ignoriamo !
- la prospettiva dell'annullamento dell'io, invece, è la vera unica fonte della paura della morte. Infatti alla base del nostro psichismo sta appunto l'istinto di sopravvivenza, il quale esiste per opporsi con tutti i mezzi a tale prospettiva. Infatti per ciascuno risulta impossibile concepire un mondo privo di sè stessi.
- la perdita di possesso delle cose è motivazione da minorati mentali. Ovviamente, morendo, si perde la possibilità di godere di ciò che si ha (forse intendevi dire ciò) e quindi che cce frega de possedere ??.
- il pensiero di cose non fatte : anche questo altra non sarebbe che il "rovescio" della medaglia : la paura di non poter fare ciò che ci è già fatto o di non poter far dell'altro........altro non è che il DESIDERIO (cioè il contrario della paura) di poter continuare a VIVERE, quindi appunto non propriamente la paura di morire.
- Il pensiero del dolore di chi resta : questa, assieme all'annullamento dell'io, è l'unica remora che potrebbe giustificare emozionalmente ed insieme razionalmente il timore della morte.
- La paura della solitudine (a parte il suo aspetto di "doppione" della perdita dell'io) è aspetto che si presta anch'esso all'umorismo macabro : se a contatto con la morte ci si sente soli..............vuol dire che non ci si sente in due, quindi........o manca il morto o manca la morte !. Saluti e.............su con la vita ! Auguroni !!
Paura della morte ?
Se ci si abitua a pensarla spesso, quando è il momento del "trapasso" la si accetta senza porsi molte domande.
Nel passato era difficile arrivare alla vecchiaia.
Nella letteratura medievale era nota la necessità di prepararsi spiritualmente alla propria morte, ma prima del XV secolo non c'era la tradizione letteraria sul come prepararsi per morire, cosa significasse morire in un buon modo o come fare. I rituali e le consolazioni sul letto di morte erano generalmente riservati al servizio sacerdotale.
L'Ars moriendi era una risposta della Chiesa cattolica alle mutate condizioni causate dalla peste nera.
Ars moriendi: ("L'arte di morire") è il titolo di due testi in lingua latina correlati. Furono scritti tra il 1415 e il 1450, periodo della "peste nera" con conseguenti rivolte popolari.
I due opuscoli contengono consigli procedurali per la "buona morte", su come "morire bene" secondo i precetti cristiani del tardo Medioevo. Ebbero diffusione dal XV secolo. Per il contenuto sembrano risalire alla predicazione dei francescani e dei domenicani, specialmente tedeschi
Le epidemie di peste del XV secolo falcidiarono anche gli ecclesiastici e ci vollero alcune generazioni per sostituire la quantità e la qualità dei clerici.
Il cristianesimo pretende che il pensiero della morte sia sempre presente nei pensieri dei credente.
Dalla seconda metà del '400 e nel '500 anche noti personaggi pubblicarono le loro riflessioni sull'arte del ben morire, per esempio Girolamo Savonarola, Martin Lutero, il cardinale Roberto Bellarmino.
Nel 1534 il filosofo e teologo Erasmo da Rotterdam pubblicò il "De praeparatione ad mortem", nel quale dice, tra l'altro, che la vita onesta prepara alla morte serena e indica due "cure" contro la paura del "trapasso":
una invita il lettore a percorrere mentalmente le tappe della propria esistenza per rendersi conto della sua caducità e di quanto sia colma di preoccupazioni e di dolori;
l'altra si incentra sulla fede in Dio, unica difesa atta a sconfiggere i limiti, le imperfezioni e la fragilità della condizione umana.
L'Ars moriendi propone anche rimedi per liberarsi dalla paura della morte spirituale, la cosiddetta "seconda morte" che condanna alle pene eterne dell'inferno.
La finalità del "ben morire" interagisce con quella dell'ars vivendi intesa come educazione alla vita.
Per superare il timore del "momento del commiato" ;D Erasmo consiglia i precetti divini che è necessario seguire per affrontare serenamente l'esistenza.
(https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/14/Ars_moriendi_(Meister_E.S.)%2C_L.177.png)
(https://nga.gov.au/theitalians/Images/MED/161279.jpg)
Guido Cagnacci, "Allegoria della vita umana", olio su tela, 1650 circa, Fondazione Cavallini-Sgarbi, Ferrara.
Il pittore in questo dipinto vuol rappresentare la bellezza femminile come allegoria della vita umana.
Il corpo seminudo della giovane con lo sguardo in estasi evoca l'erotismo, ma sono presenti anche altri simbolismi.
1. Sospeso in aria, sopra il capo della donna c'è l'immagine dell'uroboro, il serpente che si morde la coda e forma un cerchio che simboleggia la vita eterna, l'eterno ritorno.
2. La ragazza con la mano sinistra sollevata in alto sorregge la clessidra, che simboleggia il tempo che corre e la transitorietà della vita.
3. Nella mano destra, tra il pollice e l'indice regge due gambi, quello di una rosa e quello di un soffione. Li tiene con le dita congiunte in modo da alludere all'unione sessuale, al desiderio, sul quale il tempo è implacabile.
La rosa è simbolo dell'amore che trionfa; è legata alla mitologia di Venere e Adone.
Il bocciolo ben chiuso evoca la castità femminile mentre larosa sbocciata rappresenta bellezza giovanile.
Nel linguaggio dei fiori il "soffione" (taraxacum officinale) simboleggia la speranza e la fiducia, ma è anche collegato al viaggio e al distacco come metafora della vita.
4. Il tempo renderà la testa di questa giovane un teschio, simbolicamente collegato alla fugacità della vita e alla morte.
L'autore del dipinto, Guido Cagnacci, esponente del Barocco italiano, nei suoi quadri collegò spesso l'immagine del teschio con quella di una bella donna, come per invitare l'osservatore a riflettere sulla caducità della bellezza e a farsi coinvolgere dall'eros.
Paura della morte...? No, la morte è il premio della vita, come la notte è il premio del giorno.
Leib, non sono d'accordo con la tua opinione.
La morte è il premio della vita per chi vive in modo disperato.
Le persone "normali" non aspirano alla morte. Ma questa verrà per tutti e non come "premio"; non tutti si rassegnano, perciò si appigliano alla speranza, all'illusione religiosa nell'aldilà.
Alla notte segue il premio del giorno ?
Non capisco se questa tua affermazione è intrisa di religiosità o che altro.
Per me il susseguirsi del giorno e della notte è soltanto un evento astronomico.
La Terra ruota sul proprio asse di rotazione immaginario, dal quale deriva il giorno e la notte. E' il tempo che la Terra impiega per completare un intero giro di rotazione.
Col suo moto di rotazione la Terra espone gradualmente al Sole tutte le parti della sua superficie. E in questa meccanica celeste non c'è poesia, non c'è religione.
Sul "Fatto Quotidiano" di oggi ho letto un articolo di Massimo Fini e ne riporto uno stralcio:
"Non tutto il Covid sarà venuto per nuocere, qui in Europa, se ci avrà fatto ricordare un semplice concetto molto presente nel Medioevo contadino: la morte non è solo la conclusione inevitabile di ogni vita, ma è la precondizione della vita. Va quindi combattuta nei limiti del possibile ma, alla fine, anche accettata senza vivere sotto una costante cappa di terrore e di paura dice il vecchio e saggio Epicuro: "Muore mille volte chi ha paura della morte".
La paura della morte è irrazionale, ma sono diverse le cose poco logiche che concorrono a tenerci in vita.
Avevo 5 anni quando ho assistito a una discussione fra una signora e il vecchio suocero a suo carico :
- Ma voi perché non volete morire? Avete paura di morire?
-No, non ho paura, ma se muoio poi come faccio a mangiare?
-Va' bene per stasera un uovo fritto.
- Va' bene. :D
Mentiva sul fatto che non avesse paura della morte, ma diceva il vero affermando che non mangiava per vivere, ma che viveva per mangiare.
È l'irrazionalità che ci salva.
Se dovessimo assumere cibo come una razionale medicina saremmo gia' estinti.
Non sarà che il piacere sia una ragione pesantemente imbellettata?😊
E che ne facciamo del piacere di rinascere mille volte , caro vecchio Epicuro ?
Perché abbiamo paura della morte? questa è una bella domanda. Mi chiamo Alex e posso dire questo: tutti abbiamo paura nella vita. La paura è un sentimento umano naturale fino a quando rimane un sentimento che non domina ,sostituendosi alle scelte della vita diventando così ansia o malattia o purtroppo di più. Esiste una netta distinzione tra la gestibilità di un sentimento come la paura o altri, avere bisogno di una camomilla come si deve è tutt'altra cosa che utilizzare l'ansiolitico che è ad uso farmaceutico per una malattia. Un conto è calmare altro è avere una malattia. La morte è inevitabile e i sentimenti che derivano da chi è morto prima di noi lasciano dentro di noi una faticosa assimilazione di sentimenti negativi da mandare giù e fa male ma è inevitabile.. per cui ci sono dei tempi di metabolizzazione della morte subita, ad esempio quando è morto un nostro parente vicino con cui abbiamo vissuto tutta la vita e allora oltre a succedere la metabolizzazione e ad accettare che non tornerà mai più è usare la fede. La fede in dio di fronte a una morte sensata e davvero significativa per quello che è rimasto nel nostro cuore di chi ci ha lasciati, dà alla fede in Dio un potere di cui abbiamo bisogno, per lasciarci aiutare da chi può esserci vicino per allevviarci da quello che sentiamo dentro, e poi dare all'anima quanto può possiamo fare per fare sentire meglio una persona che non c'è più e cioè pregare per lei ritenendolo risolutorio. Dovessi morire io invece credo la gente, tra le persone che mi hanno voluto bene, piangerebbe qualcuno come per tutti. Più che altro morire adesso non potrei altro che dire che la vita è stata triste per tante cose, non sono stato un uomo amato nonostante non venissi dal lebbrosario di calcutta o dalla profonda africa nera dove si muore di fame eppure nella vita si parla di quotidianità di gente laureata, di donne da premio nobel, di gente davvero comune anche. Sono sei anni che una donna non è capace di telefonarmi per un qualsiasi motivo, non esisterà domani nessuna iniziativa da parte di nessuna ed è avere 30/40 anni lauerate dottoresse medici di tutto e di più.. Non è credibile ed è così umiliante perché può succedere, è profondamente triste sapere che le donne , tante donne dicono buone se stesse ma sono sei anni che nessuna fa una pizza o propone un film, o fare una colazione ad un uomo, un piatto di pasta.. Le donne non sanno niente ne dell'uso dei farinacei, ne dell'uso delle penne e delle matite, non sanno che cosa è una lavagna e fare una telefonata..non se ne parla neanche e il non farla, le fa sentire sconfitte guardandosi dentro... questa è stata il loro vivere l'amore nei miei confronti fino ad oggi e per cui la vita è solo triste e senza mai i complimenti, solo che non vedo la stessa grande intraprendenza che le ha fatto ideare e fare palazzi, scoperte scientifiche.. non so ma più che non rimanere altro che rimanere quelle della porta accanto o del piano di sopra che fanno sessso l'amore in sei anni di vita di loro così vicine eppure così umane non ho potuto scegliere, non ho potuto valere ne una carezza ne un oggetto a livelllo di oggettistica ne imparare, ma sono una persona non meno di loro ne meno uomo di chi le ama e non lo sono mai stato meno uomo. Non essere grandi medici o grandi malati che separa queste verità a sei occhi, i centimetri del paragone o della distanza della salute, perché quando uno soffre ed è rifiutato o è malato non lo sa e invece gli innamorati lo sanno tante volte a quattro occhi o due cuori innamorati dove la distanza di cm li volta guardando i due occhi soli e malati che in mano non hanno altro che la "collana" di una donna davvero superiore a queste bassezze dell'amore che non ha capito altro che se stesse anche se avrebbero potuto non farlo.. Il rosario è una preghiera a Maria, una donna che lorro non vedono in nessun altro modo dove essere donne in una comunità di tossicodipendenti vuol dire solo tuo marito perché in 6 anni non puo valere neanche la libertà ne di una carezza ne di uno stipendio ecc... bon, ci sono persone cattive ma anche buone perché di altre mentalità. Sono quasi 17 anni che nessuna mi fa i massaggi sulla schiena, ma 6 che nessuna mi fa una pizza o una telefonata la sto aspettando ancora adesso e sono triste perche vengo da una comunità dove avere vissuto sei anni conferma che amare non vuol dire altro, fare figli ed essere coetanei ma fare finta che i dati che ho scritto appena sopra saranno confermati anche domani e dopodomani da un egoismo di coppia comunitario che mi vede qui con i loro rifiuti e obblighi e le iniziative che confermano incapaci delle vere e proprie laureate, lauerate anche domani mattina confermando il mio tentativo di efficacia ancora fallito.. La morte per cui rispetto a queste quotidianità così umilianti e approffitanti a causa dell'umiliare malattie anche grazie al potere dei cuori lauerati mi rende triste perché ancora mi sento solo senza nessuna. Esistono persone cattive Alex mi direbbe un mio amico per cui coraggio fatti una vita e non avere paura e abbi fede.
Citazione di: Mariano il 25 Dicembre 2020, 18:40:16 PM
Non penso di avere sbagliato nell'inserire questo argomento in "percorsi ed esperienze", ma i contributi ricevuti a mio avviso spostano il tema in un argomento filosofico/spirituale.
Il mio intento era invece solo di stimolare il lettore ad interrogarsi sui motivi elencati (ai quali ora aggiungo il pensiero di essere soli con la morte) per elaborarli con l'obiettivo di morire il più tardi possibile in serenità.
Per quel che mi riguarda le mie paure si rivolgono non alla morte, ma come diceva uno scrittore russo alla paura del dolore della morte. Quell'aspetto possibile del fenomeno di morire è quel temo. La morte in sé non mi fa paura ... la caduta nell'oblio un poco mi rattrista
Salve. La morte secondo me non è nè misteriosa nè dolorosa. Anzi, essa è rigorosamente sicura (certa) e sicuramente liberatoria per chi soffra.
L'unico vero grande mistero è quello contenuto eventualmente contenuto dalla vita, e consiste nel perchè possa esistere della sofferenza sterile,inutile. Saluti.
Io temo principalmente il pensiero di cose non fatte, perché anche se ci fosse vita oltre la morte, quanto facciamo nella vita terrena si iscrive nell'eternità, e l'infinità delle cose non fatte è molto più grande del piccolo novero di quelle fatte.
Se la morte è destino universale, tutte le strade portano alla non-sofferenza, ma pochissime strade portano alla felicità intesa come entità positiva correlativa della sofferenza.
Quindi la morte per me è un invito a riflettere sull'ineffabile differenza tra il non soffrire e l'essere felici, insomma sciogliere il dilemma del senso e capire se la sofferenza, che è la realtà di base da cui partiamo, ha un contrario nell'ordine della natura, come stanno tra di loro l'acqua e il fuoco, la terra e l'aria, o solo un negativo logico-esistenziale come la luce e il buio, il bene come essere e il male come mancanza d'essere, perché il negativo, che è la morte, è per tutti, il contrario, che è la felicità, se è, è per pochi.
La via stretta insomma, che, al contrario di un cammino filosofico classico, si svincola del senso come senso della vita e arriva al senso come sensazione.
Io penso che il tempo non abbia ne inizio ne fine, ogni cosa che viene immersa nel fiume infinito del tempo ne è mediana e spartiacque, è il presente che crea il passato e il futuro, e li crea come infiniti e insieme trapassati, inconcepibilmente e per assurdo già superati nella verità stessa dell'attimo; se la perennità del passato non mi ha impedito di esistere, se ho attraversato l'infinito per esistere, in qualche modo, ugualmente, la perennità del futuro non mi impedirà di esistere, il miei attimi sono struttura del tempo; la mia esperienza, iscritta nella sensazione, vale più della mia conoscenza, iscritta in quello che è culturale e acquisito, in quello che soggettivamente, a torto o a ragione, ritengo essere il senso della mia vita; perché io possa essere nato, infinito tempo è passato, perché io possa tornare infinito tempo passerà, e questo vale per ogni essente; il cosmo non ha stadi definitivi in cui qualcosa possa morire per sempre, non li ha all'inizio, non li ha alla fine, non li ha in nessun punto mediano, l'impermanenza stessa è impermanente, è il nulla della morte che nega la morte...
penso anche che dovrei essere coscienza del tutto coscienza per morire nell'oblio, ma io non mi esaurisco già qui in vita nel fatto stesso della mia coscienza, ho corpo, ho inconscio, ho istinto, ho volontà, quindi anche in morte non penso che mi esaurirò nel fatto stesso del mio oblio.
Rimane solo l'angoscia per le cose non fatte, e il rimpianto per quelle fatte non al meglio.
Non bisogna avere paura di terminare, bisogna avere paura di riempirsi di contenuti di vita e di coscienza indegni, perché la vita e la coscienza sono tutto quello che abbiamo, e probabilmente che avremo per sempre. Il valore di quello che in vita ci succede e ci circonda è infinito, ma è difficile assaporarlo e goderne.
Personalmente, non solo non ho "paura della morte", ma, anzi, non vedo l'ora che essa arrivi, per mettermi al sicuro dai rischi e dai numerosi e sgradevoli inconvenienti della vita; ed infatti, una volta morti, non si può certo rimpiangere di non essere più vivi, mentre, essendo rimasti vivi più del necessario, si può rimpiangere di non essere morti prima (come diceva mia nonna, alla quale, ad ottanta anni suonati morì il figlio primogenito).
***
Ho invece, ovviamente, "paura di morire", in quanto, così come la nascita, il "trapasso" è, in genere, alquanto doloroso; ma, a ben vedere, si tratta semplicemente di "paura della sofferenza", non certo di "paura della morte" (sono due cose diverse).
La morte, infatti, è la fine della sofferenza!
D'altronde c'è scritto pure sulla Bibbia che "Il giorno della morte è molto migliore del giorno della nascita!" (Ecclesiaste 7 - 1)
Pur essendo la cosa evidente di per sè, se sta scritto pure lì, possiamo senz'altro crederci!
;)
Ciao Mariano. :)
Per rispondere in modo un po' più dettagliato al tuo originario quesito, ritengo che valga la pena che io, sia pur molto sinteticamente, consideri una per una tutte le circostanze che, secondo te, potrebbero indurci ad avere paura della morte.
1)
Come ho già detto, il pensiero della "sofferenza" che di solito si prova "nel momento di morire" (almeno se si affida la faccenda al caso) , ovviamente, mi preoccupa un po'; ma la "paura del modo di morire" e la "paura di essere morto", sono due cose "molto" diverse tra di loro, anche se molti fanno confusione al riguardo.
La prima ce l'ho anch'io, la seconda per niente!
2)
Circa la "paura dell'ignoto", Amleto diceva: "Chi mai porterebbe fardelli, grugnendo e sudando sotto il peso di una vita faticosa, se non fosse che il terrore di qualcosa dopo la morte, il paese inesplorato dalla cui frontiera nessun viaggiatore fa ritorno, sconcerta la volontà e ci fa sopportare i mali che abbiamo piuttosto che accorrere verso altri che ci sono ignoti? Così la coscienza ci rende tutti codardi, e così il colore naturale della risolutezza è reso malsano dalla pallida cera del pensiero, e imprese di grande altezza e momento per questa ragione deviano dal loro corso e perdono il nome di azioni!"
Io, invece, questa "paura dell'ignoto", non la nutro affatto, in quanto distinguo chiaramente:
- ciò che NON possiamo sapere che ci accadrà dopo morti;
- ciò che, invece, possiamo benissimo sapere che NON ci potrà accadere dopo morti.
Sono due cose radicalmente diverse, sebbene molti le confondano tra loro.
Ed infatti:
- pur non sapendo assolutamente cosa potrà accadere dopo la mia morte fisica (sebbene io abbia al riguardo qualche "supposizione", circa l'IO che torna al SE');
- tuttavia sono assolutamente certo che il mio "io individuale" cesserà necessariamente di esistere, in quanto, visto che ho direttamente sperimentato come esso cessi "temporaneamente" di esistere durante un'anestesia totale, non vedo proprio perchè non dovrebbe cessare "permanentemente" di esistere, a maggior ragione, dopo una revolverata in testa.
Come dicono i professori di logica di Oxford: "It doesn't make any sense!"
Da un pollo si può ricavare un bel brodo; ma da quel brodo non si potrà mai più ricavare quel bel pollo.
Ovvero, come poeticamente scriveva Catullo: "Soles occidere et redire possunt: nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda!"
Almeno, "uti singuli" (cioè "come individui").
3)
Circa l'annullamento dell'io (individuale), di cosa mai dovrei aver paura?
Sarebbe come se una lampada si preoccupasse di quando verrà spenta; quando verrà spenta, infatti, starà esattamente così come stava prima di essere accesa.
Dopo morto, infatti, starò esattamente come (non) stavo prima di nascere; per cui non vedo cosa mai dovrei temere.
Non me la passavo mica tanto male!
4)
Quanto alla "perdita di possesso delle cose", questo è un problema che può affliggere soltanto chi è ancora in vita; ed infatti, una volta morti, non potremo più rimpiangere di aver perso qualcosa, perchè il nostro io individuale avrà cessato di esistere.
E, se non si può rimpiangere quel che si è perso, è esattamente come se non lo si fosse perso affatto!
5)
Circa il "pensiero delle cose non fatte", vale lo stesso ragionamento; ed infatti, una volta morti, non potremo più rimpiangere non essere riusciti a fare determinate cose, perchè il nostro io individuale avrà cessato di esistere.
6)
Per quanto, infine, riguarda "il pensiero del dolore di chi resta", poichè dopo morti non "penseremo" più, neanche questo mi fa paura; però è indubbiamente un pensiero che mi affligge finchè resto in vita, perchè, in effetti, l'idea che un giorno verrò a mancare a chi mi ama, mi procura sicuramente sofferenza.
Ed infatti, per come la vedo io, suicidarsi è un peccato gravissimo:
- se si hanno ancora figli piccoli;
- se si hanno ancora genitori anziani;
- se, in ogni caso, ci sono persone che dipendono da noi;
- se ancora abbiamo obblighi a cui adempiere.
Diversamente, una volta diventato vecchio, ed in assenza delle circostanze di cui sopra, sebbene l'idea che un giorno verrò a mancare a chi mi ama, mi procuri indubbiamente sofferenza, ritengo inutile farmene un problema; ed infatti è naturale ed inevitabile che i giovani sopravvivano ai vecchi (semmai è brutto il contrario), per cui non ci posso far niente.
Come diceva Marco Aurelio: "Ti sei imbarcato, hai fatto il tuo viaggio, sei arrivato in porto: adesso sbarca!"
Mi consola il fatto che, una volta che sarò morto, anche tale sofferenza non avrà più ragion d'essere; e, soprattutto, che qualche persona più giovane che amo, muoia prima di me (come accadde a mia nonna paterna).
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Mi dispiace molto, invece, che il pensiero della morte, che io trovo così profondamente consolante, debba affliggere, senza motivo, tante persone.
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Un saluto! :)
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