Ho notato che spesso molte incomprensioni nascono dal fatto che il nostro background culturale è differente e per questo motivo, per esempio, parole identiche (ad esempio "ente") le intendiamo in modo diverso. Quello che stavo pensando era di raccogliere in un topic le nostre influenze, ossia quelle letture (ma anche esperienze, se vi va di scriverle) che ci hanno profondamente influenzato. Questo nella mia testa ha due scopi. Primo: ci conosciamo meglio. Secondo: evitiamo di perderci in incomprensioni semantiche. Inizio io con filosofi e idee che mi hanno colpito (ma con cui non sono necessariamente d'accordo, quindi non tutto quello che scrivo qua sotto rispecchia le mie attuali opinioni) ecc:
1) Filosofia occidentale: Anassimandro (Apeiron ;D, l'inguista lotta tra gli opposti, apeiron al di là di essi... ), Eraclito (Logos, unità-tensione opposti, divenire, "la vita è guerra"...), Parmenide & Zenone (il paradosso del divenire), Socrate (l'importanza della domanda nella filosofia), Platone (l'iper-uranio specie nella matematica, la Forma del Bene), Aristotele (logica classica, nomenclatura dei concetti filosofici...), Plotino, Agostino, Tommaso (se non ricordo male diceva che la creazione continuava ogni istante, ossia che Dio anche ora crea... se è falso ditemelo ;) ), Occam, Niccolò Cusano (coincidentia oppositorum, Onnipresenza=essere da nessuna parte), Meister Eckhart (solo qualche idea, non l'ho studiato seriamente), Galileo (l'universo è un libro, qualità primarie e secondarie, scienza ed etica separate...), Spinoza (Natura Naturans, Natura Naturata, sub specie aeternitatis, necessitarianismo) Berkeley (c'è davvero qualcosa oltre quello che la mente può percepire?), Hume (il problema della causalità, il problema essere-dover essere, il problema dell'io), Kant (ahimé conosco poco, fenomeno-noumeno, condizionato-incondizionato, ragion pura-pratica, forme a priori), idealismo tedesco post-Kant (filosofia della "sola mente"), Schopenhauer (il primo filosofo ad aver parlato senza pregiudizi della sofferenza, dell'assurdità di un mondo senza Dio dominato dall'irrazionalità, velo di Maya, estetica, negazione della volontà - inoltre è stato grazie a lui che ho esteso la mia ricerca all'oriente), Marx ("dobbiamo trasformare il mondo", praxis), Nietzsche (filosofia come espressione libera dell'individuo, solitudine del filosofo, l'incoerenza della morale "imposta", l'attacco all'ipocrisia, eterno ritorno, nichilismo, divenire, volontà di potenza come "volontà creatrice", super-uomo=artista...), Wittgenstein (prima di fare la domanda guarda se ha senso, la scala del Tractatus, filosofia come terapia...), Popper, Kuhn, Simone Weil (bellezza del creato come "indicazione" di un reame superiore, decreazione,...), Pirsig (filosofia presente in ogni aspetto della vita, la Qualità...).
2) Filosofia Orientale: buddismo Canone Pali (esistenza condizionata, impermanenza, "dukkha", "non-sé", Nirvana come "completamente altro" rispetto all'esistenza ordinaria o Samsara, riflessioni sulla validità di alcune domande prima di porle, catuskoti, il problema del desiderio...), buddismo Mahayana (Prajnaparamita, Nirvana=samsara, Cittamatra - Solo Mente, mente luminosa, Natura di Buddha...), filosofia Vedanta (specie Advaita, Nirguna Brahman, Tam Tvam Asi, Maya...), filosofia taoista (Laozi e Zhuangzi, connessione opposti, limiti del linguaggio, Tao, il non-essere taoista come potenzialità e non come assenza, svuotarsi dei pregiudizi mentali, dei gusti personali ecc... parecchio interessante, peccato che poi è risultata una futile ricerca dell'immortalità in questa vita, il che fa ridere visto che Laozi dice di "essere senza desideri").
Apprezzo il tuo post, ma permettimi di dire che la lista che hai fatto mi sembra molto dispersiva, mi pare che non serva per niente a farsi un'idea su di te: troppi nomi.
Per quanto riguarda me:
- il mio professore di religione del liceo: da lui ho scoperto che la fede cristiana può essere accostata da un punto di vista critico e culturalmente approfondito;
- un mio professore di filosofia quando ho studiato teologia: criticare, criticare, criticare, senso critico, bisogna essere critici;
- un altro professore di filosofia: Vattimo: la scoperta della debolezza;
- Hadot: la filosofia è spiritualità, esercizio spirituale;
- prof. di filosofia Diego Bermejo (Spagna), conosciuto casualmente: quello della teodicea non è un problema della teologia, è il problema della teologia; da lì sono diventato ateo (lui no).
Una lista essenziale, esposta cronologicamente:
1. Hobbes.
2. Kant.
3. Marx.
4. Freud.
5. Weber.
6. Adorno-Horkheimer.
7. Foucault.
8. Habermas.
Citazione di: Apeiron il 15 Luglio 2017, 16:29:59 PM
Quello che stavo pensando era di raccogliere in un topic le nostre influenze, ossia quelle letture (ma anche esperienze, se vi va di scriverle) che ci hanno profondamente influenzato. Questo nella mia testa ha due scopi.
Direi che il mio background filosofico è meno fitto del tuo.
Ovviamente in primo luogo Severino, da cui ho imparato in primo luogo cosa significa pensare filosoficamente, poi Sini di cui frequento il gruppo e diversi seminari. Il mio fantasioso e recondito intento sarebbe quello di vedere la complementarietà (che oscuramente sento) tra questi due grandi filosofi italiani, apparentemente di pensiero così diverso. Ci aggiungo Galimberti, il quale mi ha portato a leggere con passione Gunther Anders con tutta la sua condivisibile polemica sulla tecnica.
Poi c'è Levinas, filosofo che ho scoperto proprio grazie a un utente incontrato in questo forum (che purtroppo non partecipa più), e della cui profondissima visione etica mi sono letteralmente innamorato. Ovviamente c'è pure Nietzsche di cui sento l'abissale grandezza. Mi sembra di poter dire che, da Sini, ho conosciuto e poi letto direttamente Merleau Ponty (molto interessante) e Spinoza (che non dovrebbe mancare nella base filosofica di nessuno, anche se ho trovato piuttosto ostico il suo metodo geometrico, non per mancanza di chiarezza comunque). Hedegger è una mia vecchia e indispensabile frequentazione. Poi sicuramente Foucault, le sue ultime lezioni a Parigi sono meravigliose e da Foucault sono arrivato al Socrate visto da Hanna Arendt. Non posso dimenticare Feuerbach, qualcosa di Schopenhauer e Kierkegard (che portai all'esame di maturità liceale), mentre non ho mai avuto il coraggio di accostarmi direttamente a Marx e ad Hegel. I classici li ho conosciuti per via indiretta, a parte qualche dialogo di Platone letto distrattamente e "la metafisica" di Aristotele affrontato direttamente di recente nella traduzione (ahimè non conosco il greco). Sempre profondo il fascino dei presocratici: Anassimandro, Parmenide, Eraclito.
Sottolineo inoltre la profonda consonanza che ho trovato nell'approccio epistemologico di Feyerabend di cui mi ero appassionato.
Nell'ambito della psicologia cito ovviamente Freud, Jung (affascinante il Libro Rosso), Klein, Bion, Hillmann e Recalcati, il mio anello di congiunzione con Lacan.
Poi c'è il mito occidentale e orientale. Dalla mitologia sono sempre stato profondamente affascinato e ho cominciato ad affrontarla sulla base dello studio approfonditissimo di Kerenyi su Dioniso e di Neumann sulla Grande Madre. Di recente ho scoperto Calasso, i suoi libri sono davvero interessanti e affascinanti anche dal punto di vista filosofico. Sia il "Cacciatore celeste" e "L'ardore" (un testo magnifico sui Veda e la cultura del sacrificio vedico) li consiglierei a chiunque fosse interessato all'aspetto filosofico e antropologico del mito. L'induismo ha suscitato in me un interesse notevole, come anche il pensiero gnostico, lo zoroastrismo e alcune religioni antichissime che tuttora sopravvivono (con sempre maggiore difficoltà) nell'area medio orientale. Infine, in ambito islamico, il sufismo di cui ho letto il meraviglioso "Verbo degli uccelli" del poeta mistico sufi Farid al Din Attar.
Citazione di: Angelo Cannata il 15 Luglio 2017, 17:44:47 PMApprezzo il tuo post, ma permettimi di dire che la lista che hai fatto mi sembra molto dispersiva, mi pare che non serva per niente a farsi un'idea su di te: troppi nomi. Per quanto riguarda me: - il mio professore di religione del liceo: da lui ho scoperto che la fede cristiana può essere accostata da un punto di vista critico e culturalmente approfondito; - un mio professore di filosofia quando ho studiato teologia: criticare, criticare, criticare, senso critico, bisogna essere critici; - un altro professore di filosofia: Vattimo: la scoperta della debolezza; - Hadot: la filosofia è spiritualità, esercizio spirituale; - prof. di filosofia Diego Bermejo (Spagna), conosciuto casualmente: quello della teodicea non è un problema della teologia, è il problema della teologia; da lì sono diventato ateo (lui no).
Sì esatto la mia paura era proprio quella che fosse un post inutile (anche perchè ho messo dentro anche le "influenze negative", ossia filosofi che ora critico). Fai conto che quando l'ho scritto mi sembrava chiaro, però ovviamente dal punto di vista razionale vedevo che il pericolo che fai notare tu. Non avevo comunque intenzione di lasciare il tutto senza ulteriori spiegazioni (e stupidamente non l'ho scritto). In ogni caso a mio giudizio un post come questo -se fatto bene - è una bella sfida e può far conoscere pensatori anche sconosciuti (per esempio filosofi accademici contemporanei che chi è fuori non può conoscere e viceversa filosofi ignorati che è più probabile che vengano conosciuti dagli "outsiders").
Comunque ringrazio anche maral e Jacopus.
Cerco di spiegare un po' meglio le mie influenze partendo dai prescoratici fino a Platone (Aristotele è un caso un po' a parte...).
Anassimandro: secondo me è stato il primo a riconoscere due cose molto importanti. Primo: il conflitto non è un mero accidente della vita ma anzi è una
dolorosa necessità. Questa osservazione ha portato al concetto geniale dell'apeiron (il senza-confini), ossia che ci sia qualcosa di "diverso", di "trascendente" rispetto a questo mondo di conflitto. Se vogliamo è il primo filosofo-mistico.
Pitagora (me lo ero scordato): ha per così dire introdotto l'idea indiana che il mondo è una sorta di "prigione" di rinascite. L'unico modo per "fuggire" è lo studio filosofico e la coltivazione spirituale. La scuola pitagorica fu la prima in occidente (da quanto ne so) a dare importanza alla "pratica" e non solo alla "teoria".
Eraclito: su di lui ho un'opinione un po' mista. Concordo con lui la centralità degli opposti nel pensiero dell'uomo ("omnis determinatio est negatio" dirà Spinoza) ma allo stesso tempo non sopporto la sua glorificazione della guerra, il suo dire "dike eris". Comunque altri suoi frammenti come "l'armonia nascosta è più profonda di quella che appare", la sua incitazione a "non essere dormienti", la sua filosofia del divenire, il suo concetto del Logos (ossia quel senso di "unità nella diversità") mi affascinano ancora.
Il suo "ho cercato me stesso" poi mi ha fatto nascere l'idea che dopotutto la filosofia è un lavoro su se stessi e per conoscere se stessi.
Gli Eleati: mi hanno fatto ragionare sull'impossibilità di usare la logica per un mondo che diviene. I concetti per loro natura sono "fissi" perciò c'è una limitazione intrinseca a usarli per descrivere la realtà. Tuttavia proprio la loro fissità ci suggerisce come nel caso di Anassimandro l'esistenza di una trascendenza.
Socrate: mi ha dato una lezione di umiltà, seconda solo a quella di Wittgenstein (di cui parlerò) ossia che prima di dire di essere "sapiente" ha senso riconoscere la nostra limitatezza. Inoltre la filosofia non è bella per le risposte ma per le domande. Riconoscere di non sapere secondo me ci porta ad una riduzione dell'ego e ad una "sottomissione", entrambe piacevoli. La maieutica poi la uso quotidianamente su me stesso.
Platone: nel tentativo di riconciliare le filosofie di Eraclito (come l'ha capito lui) e Parmenide (idem) ha un'illuminazione. Non è vero che non possiamo conoscere in toto la realtà ma possiamo avere una conoscenza approssimata. Infatti la Natura è regolare tuttavia queste regolarità non sono perfette. In ogni caso la scienza è legittimata. Tuttavia a causa del divenire la perfezione non si riesce a trovare e questo in realtà ci delude. Ma proprio perchè sembra che noi siamo programmati a cercare la perfezione, l'eternità, il Bene Assoluto ecc e siccome nel mondo queste cose non sono completamente assenti allora anche questa è una indicazione che ci sia un "mondo vero". Mi sento stranamente vicino a Platone, tuttavia ritengo che il suo "mondo delle idee" e la dottrina della trasmigrazione (ottenuta via Pitagora) sono miti. In ogni caso forse la pensava così anche lui, come sembra suggerire la questione delle "dottrine non scritte". Personalmente mi definisco un "platonista senza mito"...
In ordine sparso, perchè in qualsiasi altro modo non mi raccapezzo e perchè non ho realmente ben chiaro cosa io abbia assorbito da loro e cosa credo di aver assimilato erroneamente.
Bertrand Russel, Goethe, Eraclito, Nietzsche, Gogol, Spinoza, Bruno, Hesse, Voltaire, Emerson, Wittgenstein, Aristofane, Chomsky, Lucrezio, Lao-tzu, Seneca, Paine, Calvino, Bauman.
Ne ho tralasciati tanti, ma un altro devo aggiungerlo per forza: 10 anni di seminario: mi pare che oggi vivere un'esperienza formativa specifica non andando a scuola o leggendo libri, ma che ti coinvolge 24 ore su 24, sia una possibilità concessa a pochissimi, quasi a nessuno.
Citazione di: InVerno il 16 Luglio 2017, 17:00:56 PMIn ordine sparso, perchè in qualsiasi altro modo non mi raccapezzo e perchè non ho realmente ben chiaro cosa io abbia assorbito da loro e cosa credo di aver assimilato erroneamente. Bertrand Russel, Goethe, Eraclito, Nietzsche, Gogol, Spinoza, Bruno, Hesse, Voltaire, Emerson, Wittgenstein, Aristofane, Chomsky, Lucrezio, Lao-tzu, Seneca, Paine, Calvino, Bauman.
Hai ragione: dimenticavo di dire che posso aver frainteso il loro pensiero ;D la mia mente malata può aver
creduto di aver capito qualcosa. Ma d'altronde è anche vero che "
Understanding is in principle solely based on wishful thinking" come ho sentito in un film.
Citazione di: Angelo Cannata il 16 Luglio 2017, 17:49:41 PMNe ho tralasciati tanti, ma un altro devo aggiungerlo per forza: 10 anni di seminario: mi pare che oggi vivere un'esperienza formativa specifica non andando a scuola o leggendo libri, ma che ti coinvolge 24 ore su 24, sia una possibilità concessa a pochissimi, quasi a nessuno.
Grazie nuovamente Angelo. Dimenticavo ovviamente i miei 5 anni di fisica (devo dire che mi hanno influenzato più da un punto di vista metodologico....). E anche il mio interesse per la psicologia.
Comunque continuando il mio percorso
Arisotele: fa un gran lavoro di demitologizzazione del suo predecessore (ossia rimuove l'illusione che ogni nostro concetto sia una forma reale ed eterna). Fa un gran lavoro con la formulazione assiomatica della logica. Però si perde in modo grossolano secondo me quando per salvare capra (la convinzione che la realtà si possa conoscere) e cavoli (il divenire) si mette a fare una teoria alquanto bizzarra con teleologie sparate ovunque (vedi il moto dei gravi...), sostanze che spostano l'idea platonica e la piazzano nella natura e un sistema così ben fatto, così senza contraddizioni che viene scambiato per la realtà. In sostanza quello che ad Aristotele è mancato completamente è stata la capacità di distinguere la mappa e il territorio e la convinzione che la "sua" logica per forza potesse dare una accurata descrizione della realtà
Plotino: Dopo la critica aristotelica fa "risorgere" un platonismo meno mitologizzato e da una "spiegazione" del male. La "creazione" è un allontanamento dall'Uno e quindi in virtù di ciò il male è visto come "allontanamento" dal Bene, tuttavia ciò non conferisce ad esso uno status ontologico così come la non esistenza di asini volanti sulla mia scrivania non descrive nulla di positivo. Non c'è una vera teodicea perchè l'Uno non ha "voluto" creare il Mondo, ma questo è nato "per forza" (e qui nel tentativo di spiegare l'impossibile Plotino ricade nel mito). Inoltre l'ineffabilità implicita nel suo sistema lascia molto spazio alla riflessione personale secondo me.
Agostino: usa il ("neo")platonismo per "giustificare" il cristianesimo, peccato che poi si è preferita la rigidità aristotelica. Per il resto mi piace la sua ricerca, il pathos che ci ha messo nella scoperta della Verità. Bella poi la descrizione di Dio come del Totalmente Altro. Su certe cose mi pare un po' troppo nevrotico...
Tommaso: mette da parte il platonismo e tenta una "via aristotelica" influenzando enormemente il pensiero successivo. Riconosce che le "cose" di questo mondo non sono vere "substantie" ma per esistere necessitano di determinate condizioni (lui afferma che Dio anche adesso ci mantiene in essere). Inoltre permane in lui un po' di ineffabilità di stampo neoplatonico. Come Agostino anche di lui apprezzo il Pathos, tant'è che prima di morire un'esperienza "ineffabile" gli fa dire che "tutto ciò che ho scritto è paglia" (ironia della sorte: peccato poi che il tomismo sia diventato il dogma ufficiale...).
Occam: il rasoio...
Mesiter Eckhart: cerca per tutta la vita di parlare dell'ineffabile. La sua filosofia sembra venire direttamente dall'India: "liberazione dall'io", ineffabilità ecc. In ogni caso mi sorprende la sua non-riabilitazione visto che anche altri si sono espressi in modo simile... D'altronde il linguaggio della mistica non è da prendersi alla lettera.
Cusano: re-introduce la "coincidentia oppositorum", riflessioni interessantissime sull'onnipresenza, sull'infinito e sui problemi del linguaggio e della ragione quando si cerca di comprendere tali concetti.
@InVerno: in che senso ti ha influenzato Calvino, sono curioso ::) ?
Citazione di: Apeiron il 17 Luglio 2017, 15:08:51 PM@InVerno: in che senso ti ha influenzato Calvino, sono curioso ::) ?
Sarebbe un discorso molto lungo, al contrario sono io sorpreso che autori di letteratura non rientrino spesso in queste liste di preferiti, come se si potesse assorbire solamente dalla saggistica pura? Per me, la cocciutaggine, il valore dell'indipendenza, lo spirito anarco-borghese e boheme, l'abilità aerobica in un mondo arboreo-sottomarino, di Cosimo del Barone Rampante rimane un indelebile ideale di romantico attaccamento alla vita e al significato di se. Se dovessi scegliere un mio "eroe" molto probabilmente sceglierei proprio Cosimo, e potessi
scegliere un autoritratto vorrei l'illustrazione di Roger Olmos http://www.ilpost.it/wp-content/uploads/2016/04/Cosimo_cover-400x528.jpg. Come potrei tenere fuori Calvino da questa lista? - compreso che anche altri suoi romanzi hanno contribuito indelebilmente la formazione del mio mondo interiore -
Inverno hai ragione! Perche' limitarsi solo alla macchina? Occupiamoci anche del fantasma. Allora faccio la lista dei miei romanzi di formazione (che bel giochino apeiron).
1. La Bibbia.
2. Memorie di Adriano.
3. Il nome della rosa.
4. I promessi sposi.
Date le mie molte lune la lista potrebbe essere molto lunga, ma non vorrei tediarvi.
Citazione di: InVerno il 17 Luglio 2017, 15:49:46 PM
Citazione di: Apeiron il 17 Luglio 2017, 15:08:51 PM@InVerno: in che senso ti ha influenzato Calvino, sono curioso ::) ?
Sarebbe un discorso molto lungo, al contrario sono io sorpreso che autori di letteratura non rientrino spesso in queste liste di preferiti, come se si potesse assorbire solamente dalla saggistica pura? Per me, la cocciutaggine, il valore dell'indipendenza, lo spirito anarco-borghese e boheme, l'abilità aerobica in un mondo arboreo-sottomarino, di Cosimo del Barone Rampante rimane un indelebile ideale di romantico attaccamento alla vita e al significato di se. Se dovessi scegliere un mio "eroe" molto probabilmente sceglierei proprio Cosimo, e potessi scegliere un autoritratto vorrei l'illustrazione di Roger Olmos http://www.ilpost.it/wp-content/uploads/2016/04/Cosimo_cover-400x528.jpg. Come potrei tenere fuori Calvino da questa lista? - compreso che anche altri suoi romanzi hanno contribuito indelebilmente la formazione del mio mondo interiore -
Ah scusa, pensavo l'altro Calvino (sì quello della predestinazione) :-[ , sorry ::) ecco... non c'è una vera ragione per cui ho ignorato la letteratura dato che è vero che spesso la saggistica è scritta in forma narrativa (vedi i Dialoghi di Platone, Zhuangzi, Pirsig...) e viceversa ci sono romanzi che sono capolavori di filosofia. Inoltre ho tirato in ballo "pseudo-filosofi" come Laozi (ammesso che sia esistito ;D ), Buddha (idem...) e altri che sono anche religiosi. D'altronde il confine tra arte, religione e filosofia diventa alquanto labile. Personalmente ho deciso di elencare solo chi è tradizionalmente ritenuto "filosofo" altrimenti avrei dovuto elencare scrittori di narrativa (in verità di libri non di "saggistica" o "filosofici" ne leggo pochi, ciò è un limite mio...), registi di film, di serie televisive (ooops anche di anime giapponesi ;D ). Come ho già detto altrove d'altronde la filosofia permea un po' tutta la vita umana, quindi è chiaro che uno può essere stato ispirato da altre cose. Detto questo se volete sbizzarrirvi con anche "outsiders" fatelo pure.
Citazione di: Jacopus il 17 Luglio 2017, 17:50:36 PMInverno hai ragione! Perche' limitarsi solo alla macchina? Occupiamoci anche del fantasma. Allora faccio la lista dei miei romanzi di formazione (che bel giochino apeiron). 1. La Bibbia. 2. Memorie di Adriano. 3. Il nome della rosa. 4. I promessi sposi. Date le mie molte lune la lista potrebbe essere molto lunga, ma non vorrei tediarvi.
Ecco diciamo che la Bibbia (quel poco che ho letto) ha influenzato anche me e lo vedo come un'opera (non la definirei "romanzo", anche letteriamente per un non-credente non direi che si può definirla in quel modo) di formazione. Ma anche qui più che solo la Bibbia mi hanno influenzato due amici teologi (la entralità del tema del dono nella cristianità...).
Romanzi: "Delitto e Castigo" (Dostoevskij aveva davvero un talento speciale a indagare i misteri della coscienza umana), "Siddharta" (ecco qui avrei preferito che Hesse non lo chiamasse con lo stesso nome di Buddha, visto che quello esposto in questo libro NON è buddismo ma è molto più simile all'induismo), "La Metamorfosi" (lo "straniamento"), "Il Deserto dei Tartari" (mi ha fatto riflettere quanto la
noia e l'
anonimato possono essere difficili da sopportare - e quanto sia "eroico" riuscire a vivere felicemente una vita "noiosa").
Psicologia/psico-analisi (so che sono diverse): "L'interpretazione dei sogni", letture
su Jung...
(
P.S. Per fare questo "giochino" mi sono ispirato a qualche topic analogo trovato su quei pochi forum filosofici anglofoni (tipo: phylosophyforums che non funziona più :( ).
Apeiron, capisco bene ciò che intendi :) Devo però a questo punto specificare che quando cito Hesse non lo faccio tanto per Siddharta, quanto per il "Lupo della steppa" e "il gioco delle perle di vetro". Siddharta in realtà mi ha lasciato abbastanza freddo a riguardo e non ho mai veramente attechito su di esso.
Citazione di: InVerno il 18 Luglio 2017, 00:51:55 AMApeiron, capisco bene ciò che intendi :) Devo però a questo punto specificare che quando cito Hesse non lo faccio tanto per Siddharta, quanto per il "Lupo della steppa" e "il gioco delle perle di vetro". Siddharta in realtà mi ha lasciato abbastanza freddo a riguardo e non ho mai veramente attechito su di esso.
Io del Siddharta ho apprezzato il tentativo di usare un "poema indiano" come modo di raccontare un dilemma esistenziale. Tra l'altro mi è piaciuto che Hesse ha mostrato quanto sia pericoloso essere "mistici" o "filosofi" in un'età troppo giovane. Quello che succede è che la crescita ritarda e si rimane "indietro" rispetto alle altre persone. Non a caso Siddharta (del libro) "riscopre" il "mondo" dopo aver fatto l'asceta mentre il Buddha prima è stato "nel mondo" e dopo ha fatto l'asceta. Le persone come Siddharta si annoiano del loro misticismo e/o della filosofia, tornano al mondo ma non riescono a viverci perchè in primo luogo sono troppo infantili, in secondo luogo la loro sensibilità li fa sognare, in terzo luogo la loro esperienza non riescono a condividerla con nessuno (diventa troppo personale e troppo sospesa tra un mondo e l'altro). Peccato che nella società odierna di Siddharta se ne trovano un sacco e sono proprio "pecore smarrite" (Hesse stesso d'altronde è un "Siddharta"). Io mi ci rivedo molto in lui, così come mi ci rivedo in disadattati pieni di domande esistenziali.
In Siddharta mi ci sono ritrovato molto se tralasciamo l'ascetismo che non ho mai praticato. Ma da piccolo riflettevo tantissimo, cercavo di stare ligio alle regole, alla religione ecc. Poi dall'adolescenza ho un rapporto ambivalente con tutti e con tutto e finisco per "sconnettermi" dalla realtà molto spesso. In Siddharta mi sono ritrovato molto nella sua ambivalenza. (E con questo ho spiegato perchè Hesse mi ha influenzato: mi sento molto vicino a lui come esperienza di vita e mi è piaciuta molto l'unica sua opera che ho letto)
premetto che non mi ritengo un esperto di nulla e che non posso onestamente dire di conoscere gli autori che indicherò nei minimi dettagli, ma che si sono rivelati degli spunti, delle fonti di ispirazioni, che poi però cerco di rielaborare soggettivamente, e amalgamare all'interno di un mio personale e modestissimo sistema di pensiero. Più che l'accuratezza filologica in questi autori cerco degli stimoli che però provo a sottoporre al vaglio del mio senso critico.
direi: le colonne della metafisica antica, Platone e Aristotele, il primo per aver colto il nesso tra intelligibilità e incorruttibilità e per aver compreso come un'autentica e razionale conoscenza non può che porre come oggetto le idee universali degli enti, mentre il contingente determina l'arbitrarietà di ogni discorso rivolto ad esso. Il secondo per aver corretto il rigido dualismo intelligibile-sensibile del primo, riferendo l'intelligibile all'immanenza degli enti, alla luce del concetto di "essenza" o "forma", cogliendo la verità del fatto che solo l'individualità esiste, e che tale individualità presuppone un principio unitivo, substrato degli accidenti, la sostanza. Inoltre per aver colto la dialettica potenza-atto, grazie a cui poter rendere ragione al tempo stesso del divenire delle cose, e al contempo del loro carattere di necessità sostanziale, senza il quale si violano i principi della logica cadendo nell'irrazionalità, superando così la contrapposizione eleatica tra essere e divenire
Poi Agostino e Tommaso, che hanno saputo rielaborare Platone e Aristotele mettendo in luce le implicazioni in chiave di spiritualità del loro pensiero, sotto l'impulso del clima culturale dominato dalla teologia cristiana. Tra i due dottori trovo più convincente Agostino, che conduce il platonismo alla coerente conclusione che la verità fondamentale ed evidente abita nell'interiorità dell'uomo, in quanto la dialettica tra intelligibili non produce conoscenze accidentali (esempio della matematica), e fornendo un validissimo contributo alla lotta contro lo scetticismo, nell'individuazione dell'autocoscienza come certezza da cui partire (si fallor sum): con Agostino l'interiorità non è qualcosa che chiude l'uomo nel soggettivismo solipsista, bensì lo apre alla relazione con l'Universalità. Inoltre la collocazione del rapporto uomo-Dio nell'interiorità, nonché il dualismo Città Celeste-Città Terrena,gettano i presupposti dell'idea moderna di laicità, in cui piano privato religioso-e piano politico pubblico, cominciano a poco a poco ad essere visti come divergenti, anche se ovviamente non credo che Agostino, figlio del suo tempo, potesse rendersi pienamente conto delle implicazioni politiche sociali della sua visione a lungo termine
Cartesio, che elabora un metodo filosofico che porta la razionalità ai suoi limiti radicali, dubitando di tutto, a ricavando la certezza del Cogito ergo sum, non in modo ingenuo, ma come conseguenza radicale di un dubitare portato alle estreme conseguenze, quindi davvero in modo critico. Il suo metodo è un inno alla libertà razionale dell'uomo, che non si sottomette alle autorità storiche, agli ipse dixit, ma valuta da sé, con la sua logica, il grado di evidenza o arbitrarietà delle convinzioni del senso comune, senza timori reverenziali. La prova dell'esistenza di Dio che parte dall'impossibilità che un ente imperfetto possa autonomamente produrre da sé l'idea di perfezione è forse l'impostazione delle prove che trovo più convincente ed a cui si ispirerà poi un grande filosofo sottovalutato come Rosmini, con la sua Idea dell'Essere, ponte tra uomo e Dio
Di Hume apprezzo la critica al concetto ingenuo di causalità, e alle fallacie logiche del metodo induttivo, che pretende di ricavare leggi generali dall'accumulo di osservazioni particolari (critica poi ripresa nel novecento da Popper e Russell), ma anche il principio della non deducibilità dei valori morali, del "dover essere", dalla mera constatazione fattuale delle cose "l'essere così come è". Di Locke il liberalismo politico, che vede lo stato non come un valore etico in sé, ma come funzione che trae la sua ragion d'essere dalla necessità degli individui di garantire i loro diritti fondamentali, l'idea che lo stato non debba imporre una religione, che resta fatto intimo, ma limitarsi a tutelare la libertà di ciascuno fintanto che non lede quella di altri
Husserl rivendica l'anelito della filosofia ad andare "alle cose stesse", a individuare un livello di evidenze universali ed essenziali delle cose, la sua "epoche" fonda l'autonomia e l'irriducibilità della filosofia rispetto alle altre scienze, in quanto il primo passo del filosofo è quello di "mettere tra partentesi" i risultati delle scienze empiriche, che possono solo limitarsi a una conoscenza che coglie contingenza fattuale delle cose, ma non i loro legami essenziali, che restano appannaggio della filosofia, che in questo modo mantiene un proprio ambito peculiare ed anzi fondativo rispetto alle altre scienze, la filosofia coglie il senso profondo delle cose, la qualità, in contrapposizione al positivismo. Husserl recupera il punto di partenza cartesiano dell'autocoscienza, approfondendolo e perfezionandolo, con l'idea di intenzionalità, con cui l'Io non è mai chiuso in se stesso, ma correlato alle oggettività noematiche. Con ciò la fenomenologia scardina il dualismo kantiano fenomeno-noumeno, in quanto l'essenza delle cose emerge proprio in quanto fenomeno oggettivo correlato degli atti soggettivi della coscienza, residuo indubitabile dell'esperienza del mondo. L'impossibilità di una conoscenza al di là della coscienza non porta al fenomenismo o solipsismo, ma ad una visione del reale più oggettiva, in quanto autocritica, nel quale l'Io invece di abbandonarsi ingenuamente al corso delle esperienze vissute, riflette sul senso della propria soggettività e trova la coscienza come dimensione trascendentale, dunque piano al cui interno individuare le varie evidenze
Edith Stein segue il metodo husserliano portandolo a conseguenze originali, un'immagine analitica e razionale dell'essere umano, sia nella sua individualità, che nella sua partecipazione ai contesti intersoggettivi (empatia, comunità, massa, società, stato) e finisce per integrare la sua ispirazione fenomenologica, razionale con il recupero dei classici del pensiero metafisico, Aristotele, Tommaso, Duns Scoto, nel contesto dell'analisi del rapporto anima-corpo, oppure di Agostino e dei grandi mistici nell'idea di un'anima che nei livelli più profondi di sé conduce l'uomo al riconoscimento della presenza di Dio e di una dimensione pienamente spirituale, che costituisce l'uomo come persona davvero libera, libertà che trova proprio nel rivolgimento dell'Io alla profonda interiorità della sua anima il suo momento fondante
Infine citerei autori italiani ingiustamente poco conosciuto come Carlini, Sciacca, Stefanini, che con molte importanti differenze fra loro, si sono impegnati nell'apprezzabile tentativo di svincolare l'Atto puro dell'idealismo gentiliano dalla sua condizione di immanenza soggettivistica, ancorandolo alla tradizione della metafisica agostiniana, cercando un'integrazione tra l'interiorità metafisica agostiniana e classica e le conquiste del pensiero moderno, cartesiano e kantiano, nel quale l'Io, più che relazione con Dio, viene posto come fondamento e garanzia della conoscenza del mondo storico, e in cui la filosofia richiede come dimensione preliminare la gnoseologia, l'analisi critica delle condizioni di conoscenza razionale. Risultato di questo tentativo di integrazione è l'idea di persona umana come dinamismo, elastico tra due polarità opposte ma complementari, finito e infinito, immanenza e trascendenza
@davidintro ti ringrazio del contributo e della spiegazione, molto dettagliata e chiara. Nemmeno io sono un esperto e anzi credo a volte di "non capire" l'autore ma di capire quello che voglio capire io dall'autore. Concordo con te che sicuramente in Italia ci sono pensatori di grande valore ma sottovalutati. Ad esempio un Leopardi è conosciuto come "poeta" ma in realtà era anche filosofo, peraltro una via di mezzo tra Schopenhauer e Nietzsche. Ma c'è da dire che siamo un paese molto decentrato da ormai troppo tempo quindi è normale questa esclusione.
Galileo: la costruzione del metodo scientifico, la divisione del sapere scientifico dall'etica e dalla religione, l'importanza della matematica nello studio della natura (idea in realtà non davvero nuova). La differenziazione tra qualità primarie e secondarie, ossia precedendo Cartesio, vede nella percezione un problema profondo. Contro l'antropomorfismo aristotelico recupera sia Platone che Pitagora: l'universo è regolare ma non si muove secondo "fini".
Spinoza: qui arriviamo al PICCO della ricerca della razionalità del mondo. Per Spinoza TUTTO è razionale (anche lo spinozismo è a mio giudizio un Panlogismo). L'universo non solo è regolare ma anche è un "modo infinito" necessario della Sostanza. La Natura Naturans (la Sostanza, "Dio") è come un Teorema da qui necessariamente arrivano i "modi" (la Natura Naturans) che sono come un corollario. Tutto perciò avviene secondo matematica necessità proprio come nello spazio euclideo la somma dei tre angoli di un triangolo è uguale ad uno piatto. Il "misticismo" spinoziano, l'Amor Intellectualis Dei, è la glorificazione della razionalità e del pensiero logico-matematico. Un po' come il Tractatus di Wittgenstein il sistema di Spinoza è un monumento perfetto ed eterno ma invivibile. Una volta la pensavo come lui, credevo che ogni mia azione fosse necessaria per il determinismo assoluto. Questa visione finì per risultare intollerabile.
Berkeley: pensatore molto sottovalutato. Eppure cosa percepiamo oltre alle percezioni? Perchè ritenere che ci siano substantie dietro le nostre percezioni. L'idealismo di Berkeley vede le sensazioni come sensazioni. D'altronde nell'esperienza niente ci fa dedurre che ci siano davvero substantie.
Hume: ancora più radicale di Berkeley ma invece di appoggiare l'idealismo abbraccia una forma di scetticismo. Non possiamo davvero conoscere se c'è un nesso causale, non possiamo davvero conoscere se c'è un "io". Inoltre dalla sola empiria non possiamo dare giudizi di valore: l'etica non può essere fondata dalla scienza o da qualsiasi studio empirico. Un pensatore potente, un distruttore di idoli quasi senza precedenti (forse Pirrone era come lui...).
Kant: ammetto di non averlo mai capito. Comunque mi è piaciuto il suo "realismo empirico" unito all'"idealismo trascendentale", ossia che i fenomeni siano reali ma allo stesso tempo noi li percepiamo secondo le regole della nostra mente (forti paralleli con le filosofie orientali). Molto interessanti poi le sue riflessioni su Dio, l'anima, l'imperativo ecc, ossia che la nostra mente sembra necessariamente essere portata a "postulare" idee di "cose incondizionate" che contrastano il "mondo condizionato".
Idealismo tedesco (specie Hegel): considero insensata la loro pretesa di trovare la dialettica nella storia. Viceversa ritengo illuminante la loro analisi della dialettica come "proprietà" della nostra mente. Anche qui ci sono forti parallelismi con la filosofia orientale, specie taoismo.
Schopenhauer: filosofo molto odiato e per questo finisce nel dimenticatoio. Vuoi per l'incoerenza, vuoi per il caratteraccio è il perfetto esempio di come una vita può influenzare la ricezione della filosofia. Accetta la distinzione fenomeno-noumeno di Kant tuttavia introduce l'elemento della Volontà (bellamente messo in secondo piano da Kant) e da per la prima volta nella storia della filosofia occidentale moderna un quadretto del mondo molto scevro da condizionamenti: un mondo di conflitto, di una volontà individuale che vorrebbe "avere tutto per sé" e in perenne conflitto col resto del mondo. La volontà inoltre è inestinguibile, vorrebbe sempre di più non ha freni. Capisce che la morale va contro questa tendenza: essere altruisti è difficile proprio perchè abbiamo una tendenza innata a non esserlo. Da qui il conflitto. Inoltre vede nelle religioni un tentativo di "trascendere il mondo" e cerca di offrirne uno lui, indipendente dai vari "miti": la negazione della volontà. A mio giudizio non è in realtà "pessimista" o lo è ma non in misura tanto maggiore delle varie religioni perchè d'altronde anche lui lascia aperta la speranza della liberazione, vista come "resa", "lasciar andare" ecc. Peccato che in un mondo in cui è prevalso il positivismo la sua filosofia è stata ignorata. Bellissima poi la sua filosofia estetica e i suoi ragionamenti sul bello e il sublime.
Marx: rifiuta Hegel ma anche lui è un pensatore utopico, convinto che sia possibile "guidare la storia del mondo". La sua praxis e il fallimento dei tentativi di "cambiare il mondo" fanno capire che forse la non-azione, il cambiare se stessi è la via.
Nietzsche: 1) più o meno accetta la visione del mondo di Schopenhauer 2) come Eraclito tenta di legittimarla. Quello che avviene è una filosofia individualista che da un lato smaschera un sacco di ipocrisie ma dall'altro risulta alquanto infantile visto che in ultima analisi una filosofia come la sua crea solo conflitti (che fortunatamente non sono così glorificati come nel caso di Eraclito). Come Schopenhauer anche lui è un filosofo degli artisti e denuncia quanto la creatività sia sempre soppressa dall'ipocrisia. Inoltre secondo me da la più veritiera descrizione della solitudine (necessaria ma non sempre voluta e tantomeno apprezzata dagli altri) del filosofo. Inoltremi è piaciuta l'idea dell'Eterno Ritorno come al tempo stesso la visione più deprimente (vita=prigione eterna) e più esaltante (ogni attimo in realtà è eterno e pieno di valore).
Ho sempre coltivato più interesse per la letteratura che per la filosofia. Leggendo però autori "importanti" implicitamente ci si abbevera anche di filosofia, dato che questi autori non possono certo scrivere trascendendo la loro particolare visione del mondo. La letteratura nipponica del novecento è stata senz'altro un grande amore: Mishima, Dazai, Tanizaki, Kawabata, ecc. con il loro struggente racconto della fine di un mondo ( la fine , in un certo senso, della cultura dell'Oriente sconfitta dalla forza militare dell'Occidente...), l'alienazione di popoli sradicati dalle proprie radici e costretti a gettarsi nel consumismo più becero. Il recupero della grande cultura classica giapponese ( Murasaki Shikibu, Yoshida Kenko, Ryokan Daiku...) e l'afflato con lo spirito chan ( Hui Neng su tutti) e la filosofia Hwa Yen (Fa Tsang, Chih Yen, Tsung Mi) per arrivare ad autori buddhisti contemporanei. Di questi ho senza dubbio subito il fascino di un Nyanaponika Thera e degli autori della cosiddetta "Scuola della foresta" : Achan Chah, A. Sumedho. Della filosofia occidentale conosco un pò il pensiero di Schopenhauer, di Bradley e di Kant e Hegel ( di questi due in comparazione al sistema dialettico Madhyamika principalmente, quindi come studi comparati ). Naturalmente conosco di più la letteratura occidentale che non la filosofia e in particolar modo Dostoevskij , che mi permesso di comprendere in profondità il cristianesimo autentico, ma anche un'autrice che amo molto per la sua ironia e per la sublime scrittura, cioè Jane Austen. Devo dire però che ho letto di tutto e di più ( la biblioteca di Villa Sariputra è molto rifornita seppur , ahimè, polverosa...) e dovrei fare una lista infinita. Ho molte lacune nella letteratura medioevale e rinascimentale , mentre aprrezzo molto tutta la letteratura romantica ottocentesca ( una cosa che torna utile con le donne devo dire... ;) ) senza disdegnare affatto la grande letteratura del novecento ( anche italiano, in particolar modo nella poesia...).
Se proprio devo indicare quale è stata la maggior influenza subita direi, forse... la traduzione in italiano del Canone Pali del De Lorenzo che fu allievo e amico di K.E. Neumann ( probabilmente perché l'ho letta in un'età in cui si è particolarmente "sensibili"...).
P.S. Ho dimenticato di citare l'opera fondamentale per il mio "sentire": "L'ultimo dei Mohicani" di James Fenimore Cooper. Intorno ai dieci anni, quando ci si sta formando la propria visione del mondo, parteggiare per l'eroe buono , Uncas, che poi muore, detta l'intera strada che poi si segue nella vita. Non bisogna affatto sottovalutare l'importanza che le letture giovanili rivestono per la nostra weltanschauung; mai e poi mai avrei potuto sentirmi in sintonia con Magua, il traditore, l'emblema del male, ma solo con Cingankook e Longue Carabine, con la fierezza del padre e con il valore dell'amicizia. L'etica "bussava" già alla mia porta... :)
Citazione di: Apeiron il 15 Luglio 2017, 16:29:59 PM
Ho notato che spesso molte incomprensioni nascono dal fatto che il nostro background culturale è differente e per questo motivo, per esempio, parole identiche (ad esempio "ente") le intendiamo in modo diverso. Quello che stavo pensando era di raccogliere in un topic le nostre influenze, ossia quelle letture (ma anche esperienze, se vi va di scriverle) che ci hanno profondamente influenzato. Questo nella mia testa ha due scopi. Primo: ci conosciamo meglio. Secondo: evitiamo di perderci in incomprensioni semantiche. Inizio io con filosofi e idee che mi hanno colpito (ma con cui non sono necessariamente d'accordo, quindi non tutto quello che scrivo qua sotto rispecchia le mie attuali opinioni) ecc:
1) Filosofia occidentale: Anassimandro (Apeiron ;D, l'inguista lotta tra gli opposti, apeiron al di là di essi... ), Eraclito (Logos, unità-tensione opposti, divenire, "la vita è guerra"...), Parmenide & Zenone (il paradosso del divenire), Socrate (l'importanza della domanda nella filosofia), Platone (l'iper-uranio specie nella matematica, la Forma del Bene), Aristotele (logica classica, nomenclatura dei concetti filosofici...), Plotino, Agostino, Tommaso (se non ricordo male diceva che la creazione continuava ogni istante, ossia che Dio anche ora crea... se è falso ditemelo ;) ), Occam, Niccolò Cusano (coincidentia oppositorum, Onnipresenza=essere da nessuna parte), Meister Eckhart (solo qualche idea, non l'ho studiato seriamente), Galileo (l'universo è un libro, qualità primarie e secondarie, scienza ed etica separate...), Spinoza (Natura Naturans, Natura Naturata, sub specie aeternitatis, necessitarianismo) Berkeley (c'è davvero qualcosa oltre quello che la mente può percepire?), Hume (il problema della causalità, il problema essere-dover essere, il problema dell'io), Kant (ahimé conosco poco, fenomeno-noumeno, condizionato-incondizionato, ragion pura-pratica, forme a priori), idealismo tedesco post-Kant (filosofia della "sola mente"), Schopenhauer (il primo filosofo ad aver parlato senza pregiudizi della sofferenza, dell'assurdità di un mondo senza Dio dominato dall'irrazionalità, velo di Maya, estetica, negazione della volontà - inoltre è stato grazie a lui che ho esteso la mia ricerca all'oriente), Marx ("dobbiamo trasformare il mondo", praxis), Nietzsche (filosofia come espressione libera dell'individuo, solitudine del filosofo, l'incoerenza della morale "imposta", l'attacco all'ipocrisia, eterno ritorno, nichilismo, divenire, volontà di potenza come "volontà creatrice", super-uomo=artista...), Wittgenstein (prima di fare la domanda guarda se ha senso, la scala del Tractatus, filosofia come terapia...), Popper, Kuhn, Simone Weil (bellezza del creato come "indicazione" di un reame superiore, decreazione,...), Pirsig (filosofia presente in ogni aspetto della vita, la Qualità...).
2) Filosofia Orientale: buddismo Canone Pali (esistenza condizionata, impermanenza, "dukkha", "non-sé", Nirvana come "completamente altro" rispetto all'esistenza ordinaria o Samsara, riflessioni sulla validità di alcune domande prima di porle, catuskoti, il problema del desiderio...), buddismo Mahayana (Prajnaparamita, Nirvana=samsara, Cittamatra - Solo Mente, mente luminosa, Natura di Buddha...), filosofia Vedanta (specie Advaita, Nirguna Brahman, Tam Tvam Asi, Maya...), filosofia taoista (Laozi e Zhuangzi, connessione opposti, limiti del linguaggio, Tao, il non-essere taoista come potenzialità e non come assenza, svuotarsi dei pregiudizi mentali, dei gusti personali ecc... parecchio interessante, peccato che poi è risultata una futile ricerca dell'immortalità in questa vita, il che fa ridere visto che Laozi dice di "essere senza desideri").
A me colpì e influenzò direzionò e determinò gran parte delle mie esperienze di lettura e di materia di studio e di vita, Platone - la prima opera filosofica che lessi fu il Simposio, prima di cominciare il classico programma di filosofia al liceo - ne fui fulminata.
@Sariputra, grazie mille del tuo contributo. Comunque più approfondisco le varie filosofie più vedo connessioni sia alla "base" (ossia "superficialmente") sia nel profondo (ossia il "cuore" delle stesse). La diffferenza grossa è proprio nel mezzo. Per esempio sto riscoprendo Kant e Schopenhauer (non leggendolo più come "dispregiatore" dell'esistenza) e sto vedendo fortissime affinità con le varie scuole buddiste, taoiste... Oppure Hegel se si limita allo studio della mente mi pare molto vicino al pensiero orientale. Inoltre anche io da bambino ero già un po' strano: una volta colpito dal pensiero dell'impermanenza ho rifiutato di farmi amici al mare perchè poi avrei fatto soffrire sia me che loro per il distacco.
@Lou, con Platone ho avuto un'esperienza simile quando ho sentito il "mito della caverna". Sono stato "fulminato". Grazie anche a te.
Wittgenstein: senza di lui non mi sarei MAI posto il problema di capire se la domanda è legittima. Se vogliamo è un passo ulteriore rispetto a Socrate nel "sapere di non sapere" perchè non solo poni il problema dell'aver risposta ma cominci a dubitare se sia "possibile" porsi certe domande. Grazie a lui tendo a non prendere alla lettera molta metafisica ma vederla più o meno come l'arte anziché come la scienza. Ossia un tentativo di usare il linguaggio ordinario per esprimere lo straordinario: ogni tentativo di questo tipo è una sorta di fallimento ma proprio perchè è un fallimento da più libertà individuale a studiare queste cose. Come dimenticare poi quanto è vero che gran parte della filosofia si basa sul fraintendimento della logica del linguaggio, sull'uso di parole fuori contesto ecc. Wittgenstein inoltre è anche un interessante pensatore cristiano (non molto ortodosso): concorda con la teologia moderna che non è importante la storicità degli avvenimenti della Bibbia ma dobbiamo prenderla come una narrazione e capire il "messaggio della storia". La fede religiosa si vede negli atti (o nell'aspirazione degli stessi). Idem per l'etica e l'estetica: il senso del "buono" e del "bello" sono anch'essi disposizioni mentali.
Popper: semplicemente che nella scienza bisogna produrre asserzioni falsificabili. Ossia il punto di partenza e il punto di arrivo della scienza è la natura, non qualcosa di trascendente ad essa. Scienza e "metafisica" sono su due piani diversi, si può essere scienziati e filosofi.
Kuhn: la scienza non si sviluppa in modo "razionale", bensì come tutte le attività umane è anch'essa soggetta al caos, alla "fortuna", ha gli stessi problemi delle altre attività a raccogliere idee originali (non per irrazionalità o chiusura mentale, ma per uno scetticismo razionale). Le rivoluzioni scientifiche più che cambiare la nostra conoscenza della realtà cambiano i paradigmi con cui noi la capiamo.
Weil: pur non essendo né battezzata né canonizzata la ritengo una cristiana autentica. La sua posizioni all'esterno delle istituizioni religiose mi fa capire che anche il cristianesimo può affrancarsi di una mentalità chiusa e inoltre proprio questo affrancamento può aiutare a sviluppare la "kenosis" e può fare in modo che con gli atti concreti "si doni la propria vita". Nonostante la sua a resistenza ad entrare nella Chiesa fu ammirata da Paolo VI e probabilmente la sua esperienza di vita (e di altri simili a lei) ha contribuito al Concilio Vaticano II con la tesi del "primato della coscienza" rispetto all'accettazione della dottrina (ossia sviluppare l'agape rispetto ad una sterile e superstiziosa credenza). Interessante poi il suo pluralismo religioso e l'accettazione delle altre religioni come genuini cammini. Inoltre bello il suo pensiero sull'estetica: la bellezza della natura sembra suggerire "qualcosa di più alto". Il suo è una sorta di "platonismo estetico". Mi è piaciuto poi il suo apprezzamento dell'ateismo come liberazione da false immagini di Dio.
Pirsig: ritengo assai interessante la sua "metafisica della Qualità" (d'altronde è il giudizio di valore che muove le nostre vite). La Qualità (e il Valore) perciò è prima delle nostre azioni... e chi "realizza la Qualità" è sempre equanime, "contento" ecc perchè è soddisfatto, vacuo di desideri e di sofferenze. Ammirevole il suo tentativo di unificare le filosofie occidentali e orientali. Inoltre mi ha fatto capire che anche le attività manuali (esempio la manutenzione della bicicletta) possono essere fonte di ispirazione. Inoltre mi ha fatto riflettere su quanto sia difficile essere coerenti nella vita con i propri principi e quanto sia giusto essere fortemente auto-critici.
Buddismo Theravada/Canone Pali: oltre a praticare (male) un minimo di meditazione ::) devo dire di aver trovato un sacco di cose interessanti. Anzitutto la migliore descrizione del pericolo che si corre nel gioco dell'attaccamento-avversione a causa del fatto che le cose "del mondo" sono condizionate, ossia instabili, non sono attendibili. Quindi la vita etica deriva proprio dalla comprensione che ciò vale per me e per tutti, visto che siamo "assuefatti" dal gioco dell'attaccamento-avversione. Dukkha è proprio il "male di vivere" che è implicito nella vita ordinaria: esso è profondo e deriva proprio dalla caratteristica fondamentale del "divenire" (inteso come "mia" vita). Anicca e dukkha danno proprio l'idea che più uno cerca di afferrare ottiene l'effetto contrario: questo è lo scherzo dell'attaccamento. L'avversione è la conseguenza della condizionalità. Inoltre da una soluzione coerente: smetterla di desiderare. Visto che "nessuna cosa" che si può desiderare è incondizionata, allora l'incondizionato lo si "raggiunge" smettendo di desiderare, quindi smettendo di cercare. E ciò ci conduce al Nirvana. Su cosa sia questo Nirvana si è dibattuto molto. Io dico solo che da quanto ho capito è il "tutt'altro" del Samsara e che Buddha poteva davvero riferirsi ad esso con termini poetici (postivi) o negativi. Esso è oltre ogni concetto.
Inoltre mi ha influenzato sul fatto che la filosofia talvolta deve lavorare contro se stessa. A volte possiamo perderci l'anima su problemi che abbiamo inventato noi 8)
Canone Pali: mi ha fatto ragionare molto su quanto ci facciamo intortellare dalla visione convenzionale, dal fatto che spontaneamente per "capire il mondo" (cosa necessaria per la sopravvivenza) dividiamo il mondo in "cose", in sedie, in tavoli... senza renderci conto che questo "mondo" esiste solo nella nostra mente. Il Nirvana è anche liberarci da prendere le convenzioni come assolute (in questo senso ritengo che il buddismo non ponga una Realtà Assoluta... si sta parlando a livello epistemologico e non ontologico), pur non essendo una ribellione contro le convenzioni.
Buddismo Mahayana: mi interessa specialmente per il fatto che è molto meno stringente sui dogmi del buddismo Theravada/Canone Pali, che forse è più vicino a quello originario. RIconosce per esempio l'esistenza di più "upaya", modi diversi per la liberazione. Inoltre la Prajna-Paramita e Nagarjuna (che alcuni tra gli stessi teravadins) nel loro attacco ancora più potente contro l'attaccamento alle convenzioni (di cui parlavo prima) dannoo un forte argomento per dire che il Nirvana è il "completamente altro" rispetto al Samsara. Inoltre essendo fuori dalla nostra portata il Nirvana diventa in realtà un qualcosa che possiamo trovare senza cercarlo, possiamo afferrarlo se non lo afferriamo: ossia non dobbiamo "uscire" dal samsara, ossia non dobbiamo ignorare gli esseri e i fenomeni per liberarci. In verità quello che cambia è solo il nostro modo di vedere le cose. Ammiro poi la filosofia del Bodhisattva, una sorta di "buddismo missionario", quasi assente nella filosofia theravada (Dhammapada: "non associarti con i folli...vai da solo come un elefante nella foresta"), che dice questo: "se Nirvana significa capire che l'individualità è illusoria che senso ha battersi per la propria liberazione e non quella degli altri?". Vedo in genere molta più enfasi alla moralità (sila). Tutto questo lo vedo molto ben sintetizzato nella Lankavara sutra, nella Cittamatra (Yogacara) e nella dottrina della Natura di Buddha, eguagliata con il Fondamento (Dzogchen) o della mente luminosa, della "mente senza confini". Nella filosofia Yogacara si capisce che i fenomeni sono davvero "solo mente" perchè è la nostra mente a classificarli, dividerli in "cose" ecc. Il Nirvana è un cambiamento di noi stessi, della nostra mente. La natura di Budda è prima delle distinzioni, la Mente Luminosa è una Non-Mente, a livello ultimo "samsara" e "nirvana" non sono separati, anzi è sintomo dell'essere nel samsara vederli separati. Questo tipo di buddismo d'altronde è "sbarcato" con facilità nella Cina che a differenza dell'India non "nega il mondo" ma lo "afferma". D'altronde se la Natura di Budda è la "natura originale", libera dalle imperfezioni e dalle distinzioni... è molto simile allo stato di "naturalezza" del taoismo, rappresentata dalla "semplicità senza nome" del "pu", il blocco di legno non scolpito. D'altronde in Cina il buddismo trovò una filosofia taoista che cercava di liberare l'uomo dalle distinzioni, dalle rappresentazioni e di ritornare alla "vacuità" dell'"indefinito" Tao. Ma del taoismo parlerò domani...
Tao: benché la filosofia del Tao sia alquanto misteriosa perchè né Chuang-tzu né il leggendario Laozi hanno davvero lasciato una scuola ritengo che i due scritti in questione (ossia il TaoTeCing e il Chuang-tzu) siano tra i gioielli della filosofia mondiale. Anzitutto vorrei far notare quanto la concezione "positiva" di questo mondo che girava tra i cinesi ha fatto in modo che queste filosofie fossero una ricerca dell'immortalità, cosa a mio avviso paradossale visto che per Laozi il "saggio non desidera desiderare", "chi è senza desideri vede il mistero", "restituire il mandato è eternità", "il saggio non ha un cuore per sé", "il saggio non agisce", "il saggio segue la semplicità senza nome", "bisogna mirare alla vacuità e alla immobilità" mentre per Chuang-tzu "l'uomo perfetto è senza io", "come so che amare la vita non sia un delirio? e come so che odiare la morte non sia quella stessa cosa che fa in modo che il bimbo si perda e non riesca a tornare a casa?", "l'uomo perfetto è indifferente alla vita e alla morte" ecc. Ma il taoismo è LA filosofia dei paradossi quindi non mi stupirebbe se dicessero "si ottiene la vita eterna quando non la si desidera più". In ogni caso: il Tao probabilmente è l'unico tipo di "assoluto" che potrebbe essere permesso dai buddisti visto che "non si vede, è senza nome, è vuoto ecc". Essendo indeterminato, indefinito, illimitato (Apeiron ::) ), indefinito se si cerca di definirlo si finisce per scambiare il Tao per ciò che non è. La natura del Tao è priva di distinzioni, oltre ogni concetto e per questo è "senza nome": è semplice come "pu", un blocco di legno non modellato e proprio per questo la sua potenzialità è infinita (il foglio bianco d'altronde è l'opera d'arte). Il non-essere perciò non viene visto come assenza ma come potenzialità. Inoltre chi non ha niente ha davvero tutto perchè "non agisce" e "non pretende" (non a caso il taoismo e il buddismo, specie quello cinese sono MOLTO simili), il saggio taoista "agisce senza agire" perchè le sue azioni sono senza pretesa, non costringe nessuna delle diecimila creature a seguire i suoi passi e proprio per questo le creature lo seguono perchè sono libere. La cosa interessante è che a differenza del buddismo, specie theravada, per il taoismo NON è necessario l'ascetismo - Chuang-tzu era povero ma aveva a quanto sembra una famiglia. Quello che è richiesto è tornare alla sapienza antica e liberarsi, svuotarsi, la mente dai pregiudizi e dalla prospettiva personale egocentrica in modo da liberarsi come nel buddismo dall'attaccamento-avversione liberando sé e al contempo gli altri. Gli opposti poi sono correlati perchè ad esempio cercare ossessivamente il "bene" significa condannare ciò che viene ritenuto essere "male" ossia si finisce per auto-ingabbiarsi nelle convenzioni e nelle leggi scambiandoli per assoluti, il vero "bene" ("la virtù somma non si mostra come virtuosa perciò è virtuosa") è invece essere rifugio sia per l'uomo buono che per l'uomo non buono, cosa garantita se si ritorna alla semplicità senza nome del Tao (qui ci sono fortissime somiglianze con la "natura di Budda").
Filosofia Vedanta (specie la variante Adviata e quella "panenteistica"): il nostro modo di vedere le cose con i nostri piaceri e dispiaceri individuali è il Velo di Maya. Il bene e il male sono come il giorno e la notte: ma il giorno e la notte ci sono finché la nostra vista del Sole (il bene) è parziale dovuta al movimento della Terra...se andiamo nello spazio vediamo 24ore/24 il Sole direttamente e ora non c'è più nessun analogo alla notte, quindi visto che il sommo Bene si oppone sia al bene che al male relativi, il somme Bene non è un bene e per questo è chiamato "Sommo Bene". Nuovamente siamo chiamati ad avere una visione che ci trascende, che vede le cose con una prospettiva trascendente ecc. Finiamo per vedere il vero "Bene" Brahman come la natura più profonda di tutti gli esseri (sic! di nuovo!) che è Nirguna ossia trascendente ogni distinzione e ogni concetto. Non siamo più mossi dall'egoismo e quindi abbiamo ottenuto il "vero io" (che visto che non ha più niente di personale è molto simile all'anatman/anatta del Buddha) riconoscendo che "Tam Tvam Asi" (tu sei quello). Nuovamente si vede che buddismo, taoismo e molte scuole vedanta sono filosofie della liberazione: non sono una ribellione alle rappresentazioni e alle convenzioni quanto invece sono prese di conoscenza che sono relative e arbitrarie quindi non ha senso attaccarsi. Questo comune obbiettivo serve per liberarci del giogo del nostro attaccamento-avversione che imprigiona noi e gli altri.
Riesumo questo vecchio topic per parlare dell'enorme influenza (fino a pochi giorni fa non mi ero accorto che era così grossa) di Platone sul mio pensiero. Più precisamente nella sua teoria delle forme e in particolare sulla Forma del Bene. Più precisamente ritengo che il genio del filosofo ateniese è da vedersi nella sua metafora tra "valore" (ciò che rende qualcosa importante, cioè "un bene") e la luminosità di un oggetto (ossia la proprietà di un oggetto che lo rende visibile). Il soggetto vede gli oggetti luminosi grazie alla facoltà della vista, allo stesso modo grazie al suo intrinseco "senso" di ciò che "vedere" l'importanza ("valore") delle cose ritiene importanti gli oggetti "di valore". Nel caso di Platone la "Forma del Bene" "partecipando" in tutti gli esseri li rende "buoni" (gli gnostici quando dissero che la materia era "male" non capirono Platone...) e la "Forma del Bene" quindi rende di "valore" gli oggetti, così come il Sole rende visibili gli oggetti. Gli oggetti che più "somigliano" alla "Forma del Bene" hanno "maggior valore", così come le cose più luminose "somigliano" più al Sole (si faccia conto che nell'antichità la luce artificiale era molto poca, quindi a parte poche eccezioni per un antico l'unica "sorgente" della luce era il Sole). Quindi qui abbiamo una corrispondenza tra "oggetto luminoso" - "oggetto di valore", "vista" - "capacità innata dell'uomo di riconoscere gli "oggetti di valore" ossia i beni", "Sole" - "ciò che rende possibile sia il valore degli oggetti che la nostra capacità di vederlo".
Credo che Platone abbia sviluppato un sistema filosofico estremamente simile al vedantismo, se si sostituisce Brahman con "la Forma del Bene". Ovviamente per Platone avendo uguagliato in sostanza il "bene" con la "conoscenza" arriva a dire che la Forma del Bene è anche la causa della nostra capacità di conoscere. E ritengo che ciò sia estremamente simile alla filosofia indiana.
Ad ogni modo il paragone tra il "valore" e la "luminosità", tra vedere e conoscere lo trovo molto suggestivo. Mi ci "ritrovo" molto.
Per quanto riguarda poi la fisica, il fascino dell'unificazione delle forze e cose simili che è centrale per la fisica stessa, deriva essenzialmente da un pensiero di stampo platonico (anche se in questo caso non è lui l'origine di questo tipo di pensiero...). Inoltre la convinzione dell'importanza del kosmos (l'ordine razionale del mondo) deriva essenzialmente da filosofie simili a quella platonica, visto che le "leggi" sono qualcosa di intangibile.
Il collegamento con Pirsig (per chi lo conosce) è invece secondo me ovvio. Anche nel suo caso si può paragonare il "valore" alla luce (lui preferiva il termine "qualità"). Nel suo caso l'Assoluto coincide con la qualità stessa e quindi con il "valore". Quindi in questo caso: assoluto=qualità=luce? Ritengo Pirsig molto "vicino" a me per l'interesse che ha avuto nell'esplorazione di questa tematica.
Forse si può fare anche un collegamento col buddhismo (?) :) il buddhismo non nega che ad esempio il reame dei devas sia qualcosa di "felice" e quindi per certi versi simile al Nirvana. Però il Nirvana, il Summum Bonum del buddhismo non è in rapporto causale come la Forma del Bene platonica o il Brahman dei vedanta. Però anche col Nirvana si può fare un discorso analogo di quanto fatto per la Forma del Bene in quanto anche il Nirvana è un "bene" e con ciò assomiglia ai "beni mondani", così come il Sole assomiglia agli oggetti luminosi. Così dunque il "Nirvana" è l'unica realtà incondizionata per queste scuole di pensiero e quindi il bene più grande. Il Nirvana essendo quindi la "pace incondizionata" è visto come il "sommo bene" (avendo le caratteristiche di ciò ci aspettiamo come "bene" ed essendo incondizionato)
Anche se non è sostenuta dalla scuola Theravada, la "dottrina" della "Natura di Buddha" sembra essere in qualche modo vicina a questa idea: addirittura la "natura di buddha" è vista come lo stato naturale, luminoso della mente ;)
1 I miei geni (in senso biologico)
2 L'ambiente in cui sono nato
3 Il mio Io
4 L'ambiente in cui sono cresciuto
5 I libri
Citazione di: Apeiron il 15 Luglio 2017, 16:29:59 PM
Ho notato che spesso molte incomprensioni nascono dal fatto che il nostro background culturale è differente e per questo motivo, per esempio, parole identiche (ad esempio "ente") le intendiamo in modo diverso. Quello che stavo pensando era di raccogliere in un topic le nostre influenze, ossia quelle letture (ma anche esperienze, se vi va di scriverle) che ci hanno profondamente influenzato. Questo nella mia testa ha due scopi. Primo: ci conosciamo meglio. Secondo: evitiamo di perderci in incomprensioni semantiche. Inizio io con filosofi e idee che mi hanno colpito (ma con cui non sono necessariamente d'accordo, quindi non tutto quello che scrivo qua sotto rispecchia le mie attuali opinioni) ecc:
1) Filosofia occidentale: Anassimandro (Apeiron ;D, l'inguista lotta tra gli opposti, apeiron al di là di essi... ), Eraclito (Logos, unità-tensione opposti, divenire, "la vita è guerra"...), Parmenide & Zenone (il paradosso del divenire), Socrate (l'importanza della domanda nella filosofia), Platone (l'iper-uranio specie nella matematica, la Forma del Bene), Aristotele (logica classica, nomenclatura dei concetti filosofici...), Plotino, Agostino, Tommaso (se non ricordo male diceva che la creazione continuava ogni istante, ossia che Dio anche ora crea... se è falso ditemelo ;) ), Occam, Niccolò Cusano (coincidentia oppositorum, Onnipresenza=essere da nessuna parte), Meister Eckhart (solo qualche idea, non l'ho studiato seriamente), Galileo (l'universo è un libro, qualità primarie e secondarie, scienza ed etica separate...), Spinoza (Natura Naturans, Natura Naturata, sub specie aeternitatis, necessitarianismo) Berkeley (c'è davvero qualcosa oltre quello che la mente può percepire?), Hume (il problema della causalità, il problema essere-dover essere, il problema dell'io), Kant (ahimé conosco poco, fenomeno-noumeno, condizionato-incondizionato, ragion pura-pratica, forme a priori), idealismo tedesco post-Kant (filosofia della "sola mente"), Schopenhauer (il primo filosofo ad aver parlato senza pregiudizi della sofferenza, dell'assurdità di un mondo senza Dio dominato dall'irrazionalità, velo di Maya, estetica, negazione della volontà - inoltre è stato grazie a lui che ho esteso la mia ricerca all'oriente), Marx ("dobbiamo trasformare il mondo", praxis), Nietzsche (filosofia come espressione libera dell'individuo, solitudine del filosofo, l'incoerenza della morale "imposta", l'attacco all'ipocrisia, eterno ritorno, nichilismo, divenire, volontà di potenza come "volontà creatrice", super-uomo=artista...), Wittgenstein (prima di fare la domanda guarda se ha senso, la scala del Tractatus, filosofia come terapia...), Popper, Kuhn, Simone Weil (bellezza del creato come "indicazione" di un reame superiore, decreazione,...), Pirsig (filosofia presente in ogni aspetto della vita, la Qualità...).
2) Filosofia Orientale: buddismo Canone Pali (esistenza condizionata, impermanenza, "dukkha", "non-sé", Nirvana come "completamente altro" rispetto all'esistenza ordinaria o Samsara, riflessioni sulla validità di alcune domande prima di porle, catuskoti, il problema del desiderio...), buddismo Mahayana (Prajnaparamita, Nirvana=samsara, Cittamatra - Solo Mente, mente luminosa, Natura di Buddha...), filosofia Vedanta (specie Advaita, Nirguna Brahman, Tam Tvam Asi, Maya...), filosofia taoista (Laozi e Zhuangzi, connessione opposti, limiti del linguaggio, Tao, il non-essere taoista come potenzialità e non come assenza, svuotarsi dei pregiudizi mentali, dei gusti personali ecc... parecchio interessante, peccato che poi è risultata una futile ricerca dell'immortalità in questa vita, il che fa ridere visto che Laozi dice di "essere senza desideri").
Un testo che mi ha influenzato molto "essere o avere " di Erik Fromm " .
Così ho deciso di essere un matematico , un filosofo e qualunque altra cosa , senza averne titolo.
Candidamente confesso che non so' cosa sia un ente.
Sono filosofo nel senso che esplico una naturale tendenza del mio essere uomo.
La mia non è certo una visione corrente, ma , se adottata ha il pregio di far fare pace all'uomo con se stesso , laddove la necessità della specializzazione nel mondo produttivo moderno , e l'impressione di dover acquisire titoli per potersi esprimere , rema in senso contrario.
Sicuramente il maggiore effetto sul mio pensiero lo ha avuto il Mac Lane- Birkoff, testo di algebra lineare estremamente astratto che ha costruito nella mia mente strutture formali di analisi che poi mi sono trovato ad utilizzare in tanti ragionamenti nell'ambito del pensiero sociale che è il mio interesse.
Le esperienze che più hanno cambiato il mio modo di vedere la vita sono stati:
la post abilitazione dopo un intervento chirurgico un paio d'anni fa che mi ha buttato col morale a terra.
I conflitti con alcune persone che m'hanno fatto male e poi le ho viste su un letto d'ospedale( una profonda esperienza di vita)
e vedere i miei genitori in lacrime o tristi per varie cause
Grazie a cvc, iano, anthonyi e a Domingo94 :)
Negli ultimi giorni sto riscoprendo Aristotele e ho notato che quanto mi ricordavo di lui era completamente errato. Questo è il perfetto esempio della mia "fallibilità" ;D senza volerlo ho travisato il filosofo. Per esempio il "Primo Motore Immobile" non è la "causa iniziale" di tutto il moto, bensì la causa finale, ovvero "ciò verso cui tutto tende". Inoltre l'etica consiste nel trovare ciò che è "bene" e anche qui il "telos" (lo scopo) ha un ruolo fondamentale. Devo dire che sono sorpreso per quanto sono riuscito a travisare questo interessante pensatore ;)
Chiedo perdono a tutti i "fan" (se ce ne sono) di Aristotele. L'ho sempre ritenuto il "minore" del trio Socrate-Platone-Aristotele. Ma dopo questa "riscoperta" non lo vedo così distante dagli altri due ;)
.
Questa interessante discussione mi era sfuggita, probabilmente perché iniziata poco prima delle mie vacanze estive.
Ringrazio Apeiron per averla riaperta.
Ho la presunzione di aver fatto molte scoperte importanti per la mia vita per conto mio, mettendo sistematicamente in dubbio, dall' età di 15 anni, ciò che mi era stato insegnato e fino ad allora avevo acriticamente accettato per l' autorità di genitori, parenti, maestri e professori.
Non c' un libro in particolare che mi abbia aperto la mente alla critica razionale (saranno stati "gli ormoni della pubertà"?).
Però proprio in quell' anno, in quinta Ginnasio (primo anno del Liceo Classico) la conoscenza della geometria euclidea (non sull' originale ellenistico, nemmeno in traduzione, ma solo attraverso un manuale scolastico e con un contributo importante da parte della vecchia professoressa di matematica) mi ha profondamente colpito e affascinato per la certezza indubitabile delle dimostrazioni dei teoremi da definizioni, postulati, assiomi.
Al terzo anno di liceo gli autori che più mi hanno colpito sono stati Zenone di Elea, con i suoi interessanti paradossi pretesi inconfutabili (dei quali diedi una confutazione poco apprezzata dalla mia professoressa di filosofia ma che a me sembrò del tutto inattaccabile) e Democrito: non tanto per l' atomismo e il materialismo in sé, quanto per la geniale distinzione fra "pieno" (costituito dagli atomi) e "vuoto", che consente brillantemente di superare la pretesa, da parte di di Parmenide e degli altri Eleati, contraddittorietà del mutamento, riducendolo a traslazione o cambiamento nel tempo di posizioni o rapporti spaziali fra atomi intrinsecamente immutabili.
Pochi anni dopo mi ha fortemente interessato Cartesio, con la sua sistematica e conseguente (nelle sue intenzioni) applicazione del dubbio metodico a qualsiasi credenza.
Assolutamente affascinante Spinoza, grande maestro di razionalismo.
Berkeley mi ha permesso di rendermi conto che di tutti gli oggetti materiali constatabili e conoscibili "esse est percipi" (mi stupisco che pochi riescano a rendersi conto di questa verità lampante, che sta davanti agli occhi di tutti innegabilmente, a saperli usare criticamente e a ragion veduta; e credo che questo impedisca irreparabilmente a tantissimi la possibilità di inquadrare correttamente il problema dei rapporti cervello - mente e in generale materia - coscienza).
Hume ha esteso la critica berkeleyana ai fenomeni mentali (la cartesiana "res cogitans", dalla "res extensa" alla quale unicamente l' aveva applicata il vescovo irlandese; e inoltre ha genialmente mostrato l' indimostrabilità né provabilità empirica delle concatenazioni causali (ergo la dubitabiltà dell' induzione e l' indimostrabilità in ultima analisi delle conoscenze scientifiche). Per me il sommo filosofo di tutti i tempi.
Marx, ma soprattutto a mio parere Engels, troppo modesto, troppo autocritico e troppo generoso verso l' amico di Treviri (era un filosofo e un uomo eccezionale!), mi hanno insegnato che in ogni epoca le idee dominanti tendono ad essere non le idee in linea puramente teorica più giuste o più vere, come si illudevano gli illuministi, ma le idee delle classi dominanti; e che si può conoscere scientificamente (anche se alla maniera delle "scienze umane" e non delle scienze naturali) la storia per cercare con cognizione di causa di conseguirvi obiettivi di progresso civile realisticamente possibili (anzichè inseguire vanamente utopie).
Al terzo anno di liceo lessi un libretto di Sarte, intitolato "Le mani sporche" da cui imparai che é immorale evitare moralisticamente di sporcarsi le mani usando mezzi anche durissimi e causando anche effetti in parte indesiderabili e ingiusti nella lotta per il progresso del' umanità e il socialismo, stante l' assoluta mancanza di scrupoli e la preponderante potenza materiale del nemico di classe.
Bohm mi ha permesso di superare lo sconcerto in cui mi aveva gettato l' interpretazione conformistica (e irrazionalistica) della meccanica quantistica, generalmente spacciata dai divulgatori come l' unica esistente.
L' italiano (e poco noto) Franco Selleri mi ha aiutato non poco in questo, e anche nel criticare certe diffuse interpretazioni irrazionalistiche della relatività einsteiniana).
Un altro italiano poco noto, il filologo classico e filosofo (e non: professore di filosofia! E uomo di immensa statura morale) materialista conseguente Sebastiano Timpanaro mi ha aiutato non poco a chiairmi le idee, pur se in un sostanziale dissenso di fondo (in campo filosofico; e ampissimo consenso in campo politico).
Con questi due illustri connazionali (e con qualche altro, come la biologa ecologa Laura Conti) mi vanto di avere avuto non effimeri, cordiali rapporti epistolari e di averne avuto espressioni di stima: sono ciò di cui più vado fiero).
Elenco riassuntivo dei miei venerati Maestri (di sapere; fra i maestri di vita spiccano Salvador Allende, Oscar Romero, Mauirice Bishop, Thomas Sankara).
1 Euclide.
2 Democrito (e Leucippo).
3 Cartesio.
4 Spinoza.
5 Berkeley.
6 Hume.
7 Engels.
8 Bohm.
9 Sartre.
10 Selleri.
11 Timpanaro.
@sgiombo,
anzitutto grazie del tuo contributo al topic! ;)
Farei però due commenti. Uno su Berkeley. Nel mio "sommario" l'ho quasi tralasciato, menzionandolo en passant e l'ho fatto per errore in realtà. Eppure credo che sia molto sottovalutato per ragioni errate: in molti in sostanza lo scambiano per un "proto-solipsista". In sostanza Berkeley aveva una posizione molto più fine di quanto solitamente si pensa. Per lui la realtà coincideva con l'esperienza diretta. E qui sta il bello: noi pensiamo che dietro alle nostre sensazioni ci sia "qualcosa" che le produca. E pensiamo che questo qualcosa sia "là fuori" indipendente da noi - il problema è che una tale asserzione è infondata: in realtà la nostra esperienza consiste nell'insieme delle nostre sensazioni. E siccome le sensazioni non possono esistere se non c'è la mente, allora quella che noi chiamiamo "esperienza" in fin dei conti è un prodotto, per così dire della nostra mente. Se la mente "si spegne", sparisce anche qualsiasi sensazione, l'esperienza cessa e per quanto ci riguarda il mondo non esiste più. Questa fu la grande intuizione di Berkeley: "esse is percepi"! L'insieme delle nostre sensazioni in fin dei conti è "prodotto dalla mente". Questa idea avrà un'enorme influenza sul pensiero successivo, a partire da Hume. Vorrei far notare la somiglianza con la filosofia indo-cinese, per esempio la prima riga del primo e del secondo verso del Dhammapada buddhista recitano "La mente precede ogni stato mentale.". Ma a differenza della filosofia indiana per la quale è ben chiaro che la mente semplicemente interpreta la realtà (e le nostre sensazioni sono già interpretazioni - come capirà Kant) Berkeley va oltre e qui secondo me c'è l'aspetto rivoluzionario della sua filosofia: non siamo a contatto con "le cose" esterne ma con le sensazioni, le quali senza di noi non esistono. A questo punto davvero si può accusare il buon vescovo anglicano di "solipsismo metafisico", ma il suo è solo "epistemologico". E qui ha il colpo di genio: così come noi creiamo la realtà percependo allora per evitare di scivolare nel solipsismo assume che c'è una realtà esterna - ovvero che se anche muoio e cesso di esistere comunque "il mondo" esiste ancora. Ma come? Semplice: la religione cristiana afferma che Dio "crea". Ecco dunque salvata la capra (la filosofia idealistica) e i cavoli (il mondo): il mondo esiste in quanto percepito da Dio! Osserviamo poi che noi stessi però nasciamo e moriamo, quindi in fin dei conti siamo creature. Ecco che noi stessi esistiamo perchè Dio ci "percepisce".
Sinceramente trovo la filosofia di Berkeley geniale perchè ha messo insieme l'idealismo che stava nascendo sin da Galileo e Cartesio (con la distinzione tra qualità primarie e secondarie) con la religione cristiana (ritengo poi che è interessante notare come lo stesso Cartesio "si è servito" di Dio per avere la garanzia della conoscenza sulla realtà :o ). La novità però che ha portato è stata la re-interpretazione dell'idealismo e della cristianità. Invece l'idea che Dio è sia il creatore che il sostenitore di tutto (= ovvero che la creazione è un processo che continua anche adesso e in ogni momento...) è un'idea che in realtà è un'interpretazione molto antica tra i teologi cristiani. Senza andare a scomodare i soliti mistici* ecc per i quali Dio è sempre presente ecc lo stesso Tommaso d'Aquino (che più o meno ha "creato" l'ortodossia cattolica) afferma che tutto ciò che esiste, esiste per "partecipazione" (anzi l'idea non è nemmeno strettamente parlando filosofica visto che ad esempio già San Paolo nella Bibbia arriva a dire che "In lui [Dio] infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo" - Atti degli Apostoli, 17,28 ma ci sono diversi passi molto simili altrove). L'idea nella filosofia è presente almeno fin da Platone secondo cui tutto esiste per la "Forma del Bene", che è il Sole dell'Esistenza. Metafora molto simile viene usata poi nelle Upanishads indiane. Secondo me Berkeley è sottovalutato in quanto vescovo ma in realtà la sua idea è stata geniale: è riuscito a conciliare molto bene l'"antica filosofia" con quella che stava nascendo. Anzi è il perfetto esempio di "cristiano filosofo" e ce ne sono in realtà parecchi dello stesso calibro (sia tra quelli considerati "ortodossi" sia tra quelli che non lo sono), secondo me ;)
Il secondo commento che volevo fare è molto più breve e parla del materialismo. Di per sé filosofi "materialisti" come Epicuro ecc mi piacciono. Non escludo chiaramente che in un'ottica materialista non ci possa essere la virtù, anzi talvolta la virtù viene pensata ancora di più "premio a sé stessa" in questa ottica. Il problema è che, secondo me, la realtà va ben oltre il materialismo.
*(Eckhart, Suso, Cusano, Teresa d'Avila ecc ma la lista credo che sia davvero lunga e sicuramente ce ne saranno tanti che non conosco ;) )
@sgiombo, altra osservazione veloce.
Riguardo al "razionalismo" di cui parli ti dirò che secondo me Bohm e Spinoza sono molto vicini: addirittura a volte gli stessi termini che usano sono simili. Per Spinoza c'era la "Natura Naturans" e la "Natura Naturata", che "seguiva" dalla prima come la proprietà che la somma degli angoli di un triangolo fa 180 gradi (nello spazio euclideo) segue dalla definizione di triangolo (il "necessarianismo"). Per Bohm c'erano l'Ordine Implicito e l'Ordine Esplicito, nozioni estremamente vicine a quelle del filosofo olandese. Simili idee si trovano in Hegel e Schopenhauer.
Faccio notare, comunque, come queste idee in genere vengono classificate come "olismo non-duale" (entrambi termini che spesso vengono abusati in occidente :( ). Il senso è che in sostanza la realtà sia "unitaria" e che la molteplicità sia in realtà o illusoria, oppure che abbia un "grado ontologico inferiore" rispetto all'unità. In sostanza l'unità ha sempre la precedenza. Una simile concezione in fin dei conti è presente nella filosofia greca (Parmenide e gli Eleati, forse lo stesso Eraclito, lo stoicismo e il neoplatonismo), nella filosofia induista ("advaita" e simili) e nel daosimo (DaoDeJing, Zhuangzi), quindi in realtà non è davvero "nuova". Simili idee in realtà come dicevo nel messaggio precedente sono presenti anche nel cristianesimo stesso (perfino addirittura nelle parole attribuite a San Paolo...) in una forma un po' diversa: viene riconosciuta sì l'"unità" ma è un'unità che riconosce la "molteplicità" come qualcosa di reale (lo stesso forse vale per Platone e anche per Eraclito). Infine il "non-dualismo" è riconosciuto anche nel buddhismo Mahayana: le distinzioni tra le "cose" sono in realtà illusorie (la "vacuità"). Però nel caso buddhista la negazione di una effettiva molteplicità non riconosce l'esistenza di un vero e proprio "primum ontologico" (anche se il concetto di "interpenetrazione" di alcune scuole, in particolare quelle che si basano sul testo dell'Avataṃsakasūtra, lo ricorda molto) ;) sinceramente il fatto che tra ottimi fisici, come Bohm*, tornino idee così "antiche" che solitamente si trovano in tradizioni che sembrano esotiche (in realtà non lo sono, l'occidente sia cristiano che non cristiano in realtà è pieno di queste idee) fa veramente riflettere.
Ergo, come puoi vedere, la filosofia "razionalistica" di Bohm in realtà può vantare un fondamento molto solido nella tradizione filosofica sia orientale che occidentale.
*per esempio in Italia è stato fondato da alcuni ammiratori di Bohm questo centro, se ti va dagli un'occhiata http://www.paricenter.com/indexit.php
X Apeiron
Innanzitutto ti ringrazio tantissimo per le informazioni.
Di Bohm ho letto due libri tradotti in italiano, Casualità e caso nella fisica moderna, risalente agli anni '50, e Universo mente materia; quest' ultimo mi sembra (a mio modesto parere) testimoniare un' involuzione irrazionalistica misticheggiante nella quale non sono disposto a seguirlo (per la verità l' ho letto molto tempo fa e ne ricordo poco o nulla).
Concordo che in Spinoza la Sostanza (Divina) é una, gli attribuito attraverso cui si manifesta infiniti (i due a noi accessibili, "di pari grado o dignità ontologica", inferiore a quella della sostanza, essndo res cogitans e res extensa; e così pure che in Kant il noumeno é "più ontologicamente pesante", per così dire metaforicamente, dei fenomeni, e contrariamente a questi anch' esso unico e né materiale né mentale: una sorta di "monismo del noumeno o della sostanza, pluralismo (dualismo in Kant, infinitismo in Spinoza) delle sue manifestazioni attingibili in quanto fenomeni o attributi", cui io stesso aderisco.
Non mi sembrano invece correttamente interpretabili senza distorsioni indebite come similmente moniste sostanzialmente o "nel profondo" le altre filosofie di cui parli, soprattutto Eleati, Platone Neoplatonici e Cristiani.
Non finirò mai di rimpiangere il fatto che la scuola italiana (ottima per tutto il resto, "ai miei tempi"; che furono!) non mi ha dato assolutamente nemmeno un' "elementare infarinatura" sulle filosofie non occidentali.
@sgiombo,
hai ragione, ci sono sostanziali differenze tra i vari sistemi di cui è opportuno ricordarsi. Mi sono concentrato -come spesso mi accade - troppo sulle somiglianze (che trovo "spettacolari" e quindi me ne dimentico ;D ).
Raggrupperei i pensatori in questo modo:
1) Bohm "ordine implicito"/Spinoza sull'Unità della Sostanza, determinismo ecc...l'interpretazione bohmiana (ovvero quella "non misticheggiante") della meccanica quantistica implica che - dicendola crudemente - ogni particella influenza tutto le altre (la divisione in sotto-sistemi è fatta per fini pratici) vista la "forte non-località" molto più forte di quella newtoniana che rende l'universo - nel senso dell'insieme di tutte le particelle - veramente "uno", non riducibile alla somma delle sue parti (olismo)... per dirla sinteticamente a causa dell'entanglement l'influenza delle altre particelle non cala all'aumentare della distanza come nel caso della gravità newtoniana, per esempio!;
2) Schopenhauer (che in realtà è quello che secondo me è simile alla tua posizione ;), solo che avete due concezioni del "noumeno" diverse );
3) Platonismo/neoplatonismo: la somiglianza era data dal fatto che il molteplice esiste solo in quanto "esemplificazione" dell'universale (da qui la somiglianza con "natura naturans" e "natura naturata" - ma in fin dei conti nel platonismo le due sono separate, in Spinoza sono due aspetti della realtà... importante distinzione!);
4) nel pensiero cristiano sinceramente trovo somiglianze col platonismo per quanto riguarda la "partecipazione" ma come ben fai notare tu parlare di "esemplificazione" è fuorviante.
Potrei mettere anche gli eleati, Eraclito e gli orientali ma preferisco non farlo per evitare confusione.
- Hume. E' stato l'inizio di tutto, il mio primo filosofo studiato (da autodidatta, non ho studiato filosofia in nessun grado scolastico), quindi in qualche modo il mio primo amore. Inizialmente mi interessavo solo di filosofia della religione, quindi aveva guidato molto la mia prima impostazione in tale ambito. Però in generale, l'apporto principale che ha avuto su di me: impostazione scettica e razionale.
- Epicuro. La sua influenza su di me non è stata vasta come lo è per tutti gli altri pensatori, ma ben più specifica, ma non per questo meno importante. L'apporto principale che ha avuto su di me: concepire la vita e la morale come uomo-centrica.
- Wittgenstein. Ecco, se Hume mi aveva iniziato al mondo della filosofia, dopo Wittgenstein il mio modo di fare ed intendere la filosofia cambierà drasticamente. Il primo Wittgenstein ha portato la mia analisi razionale ad un più alto livello, però di un tipo simile a quella humiana. E' stato il secondo Wittgenstein che mi ha rivoluzionato: se prima ero più "rigidamente razionale", poi ho visto modi più raffinati e eterogenei di intendere la razionalità (o ragionevolezza), ma sopratutto mi ha insegnato l'analisi del linguaggio e dei concetti. Non più solo problem-solving, ma anche e molto spesso problem-dissolving. Sicuramente Wittgenstein rappresenta la più grande influenza su di me, al livello più profondo (di impostazione e meta-filosofia, più che di contenuto).
- Hilary Putnam. Non è stato fondamentale come Hume e Wittgenstein, ma sicuramente ha portato avanti molti discorsi (mente, etica, linguaggio, logica, realtà, ecc...) che mi hanno sempre interessato ed entusiasmato, e alcuni anche convinto.
- Libri/appunti/articoli vari di logica matematica, paradossi ed enigmi vari. Ha tenuto in forma la mia capacità di ragionare. E la logica matematica mi ha insegnato la formalizzazione e l'astrazione.
Grazie @epicurus.
Riguardo a "- Libri/appunti/articoli vari di logica matematica, paradossi ed enigmi vari. Ha tenuto in forma la mia capacità di ragionare. E la logica matematica mi ha insegnato la formalizzazione e l'astrazione. " nel mio caso lo studio della fisica (e delle intepretazione della Meccanica Quantistica) e la lettura di libri come il "Tractatus" mi hanno aiutato in ciò.
Commento generico: ho scritto molto di me e sulle influenze che ho avuto dagli autori. Come si può notare spesso sono semplici "ispirazioni" (per esempio mi piace l'idea aristotelica del Motore Immobile come fine. Motivo per cui mi piace studiare la metafisica, trovo idee molto interessanti... anche se sono "insensate" o completamente false sono convinto che dicano "qualcosa" di importante). Ergo la mia idea non era quella di fare uno "show di erudizione", di "proclamare la mia enorme conoscenza enciclopedica" o "proclamare la verità", semplicemente di condividere un percorso raccontando le idee che mi hanno colpito di più nello studio della filosofia (grazie ad esse, ritengo che lo studio filosofico non sia futile). Semplicemente condivido queste idee per due motivi: perchè credo che anche altri ne trovino beneficio ed ispirazione (ovvero in parole povere per condividere un'esperienza ;)) e perchè, credo, si capisce un po' di più cosa dico e cosa mi interessa della filosofia. Ovviamente ciò non toglie che questo mio "cammino" o "navigazione" o "esplorazione" possa essere semplicemente una futilità o un'insensatezza ("ai posteri (ovvero ai lettori) l'ardua sentanza" ).
Ad ogni modo credo che anche la differenza della "visione della filosofia" emerga molto da questi post. Per esempio un @epicurus pare essere molto interessato alla filosofia del linguaggio e agli enigmi della logica e della matematica, @sgiombo alla filosofia razionalistica (col significato però non contemporaneo del termine ;) ) ecc
Salve a tutti. Lo spunto viene trovato sia simpatico che interessante. Faccio i miei complimenti anche perché, scorrendo benché rapidamente i vostri interventi, non ho trovato traccia di particolari vanità culturali.
Toccherebbe ora a me dire qualcosa sulla mia formazione (culturale? intellettuale? scolastica? boh......). Ma, essendo privo di qualsiasi formazione canonica, come faccio ??
Sono in possesso di licenza di scuola media inferiore (risalente comunque ad epoca didatticamente certo migliore di quella attuale) e la mia "carriera" scolastica è poi vanamente proseguita per alcuni anni frequentando due diversi indirizzi tecnici in modo forzoso e svogliato senza giungere al diploma.
In sostanza il mio atteggiamento verso la scuola è stato il seguente : c'era un nocciolo di materie (geografia, lettere, scienze naturali) in cui riuscivo facilmente anche senza aprire i libri per il semplice fatto che esse coincidevano con i miei interessi personali extrascolastici, mentre per le altre materie continuavo a non aprire i libri poiché l'argomento non mi interessava................
Da introverso ed isolato, comunque, mi sono trovato a ricavare quel poco che so del mondo assai più dalle letture che dalle conversazioni con altri. Qualche centinaio di testi, quasi tutti di saggistica (fisica, divulgazione scientifica e filosofica, storia internazionale). Poi un certo numero di periodici "seri". Sopporto a malapena l'esistenza della televisione. Considero il web un luogo in cui, rovistando tra montagne di spazzatura, si possono trovare oggetti utili e persino qualche diamante. Praticamente, una preziosa discarica.
Per quanto riguarda la filosofia, voglio confessarvi di non essere mai andato oltre la terza pagina di un qualsiasi testo di filosofia classica o comunque canonica che mi sia trovato per le mani.
Prendiamo un testo filosofico di 400 pagine; uno se lo legge scoprendo che si tratta di una estenuante analisi circa quesiti ai quali nessuno può fornire una risposta di utilità pratica. Vabbè...dovrebbe sopperire il piacere della lettura. Ma purtroppo tali testi non sono né utili né divertenti. Diciamo allora che un simile testo risulterà formativo. Insegnerà a ragionare.
Ma se per caso il lettore avesse già una testa che ragiona come quella dell'autore ......che utilità avrebbe ?? (Naturalmente avere una testa che ragiona come quella dell'autore non significa pensare o scrivere come quest'ultimo, bensì possedere struttura e meccanismi mentali che, per modalità generale, lavorano allo stesso modo).
Terminata la lettura del testo, il lettore ha due possibilità : crede di aver capito oppure è sicuro di non aver capito.
Nel primo caso, credendo di aver capito, estrarrà una propria sintesi del testo (le sintesi sono una conseguenza necessaria di qualsiasi tipo di apprendimento e comprensione). Poi dovrebbe passare a controllare se sta pensando giusto, confrontando la propria sintesi con quella dell'autore. Ma come può fare, visto che l'autore si è preoccupato solo dell'analisi senza fornire alcuna sintesi ?
Nel secondo caso invece il lettore, pensando di non aver capito, può solo rimettersi a leggere il testo dall'inizio, sperando in miglior fortuna alla sua fine. Secondo me ci sono molti lettori che, per imparare qualcosa dalla filosofia, devono leggerne i grandi e piccoli classici qualche centinaio di volte ciascuno. Alla fine, avranno almeno mandato a memoria una parte dei testi.
In questo modo io, non avendo letto nessun classico filosofico né una né trenta volte, mi sono almeno risparmiato un sacco di tempo che ho dedicato al turismo motociclistico ed alle escursioni in montagna, entrambe attività che permettono di poter meditare comodamente sui misteri filosofici ed esistenziali.
Autori che ho avuto modo di apprezzare particolarmente : Dante, Manzoni, Asimov, Dawkins, Wallace, Russell, pochi altri meno noti.
Citazione di: viator il 22 Gennaio 2018, 22:52:08 PM
CitazioneScusami, Viator, se mi permetto qualche commento su una questione almeno in buona misura personale, ma trovo troppo interessanti alcune tue considerazioni.
Sono in possesso di licenza di scuola media inferiore (risalente comunque ad epoca didatticamente certo migliore di quella attuale)
CitazioneMolto, ma molto, ma molto migliore, seconde me.
Sopporto a malapena l'esistenza della televisione. Considero il web un luogo in cui, rovistando tra montagne di spazzatura, si possono trovare oggetti utili e persino qualche diamante. Praticamente, una preziosa discarica.
CitazioneSono perfettamente d' accordo.
Ottima definizione del web!
Per quanto riguarda la filosofia, voglio confessarvi di non essere mai andato oltre la terza pagina di un qualsiasi testo di filosofia classica o comunque canonica che mi sia trovato per le mani.
Prendiamo un testo filosofico di 400 pagine; uno se lo legge scoprendo che si tratta di una estenuante analisi circa quesiti ai quali nessuno può fornire una risposta di utilità pratica.
CitazioneQui non sono d' accordo, avendo trovato (anche) in testi filosofici, talora anche "ponderosi" (ma per la verità di fatto molto di più se "agili", come ad esempio il Discorso sul metodo di Cartesio) acute risposte a interessantissimi problemi teorici e talora anche pratici (insindacabili differenze d valutazione, gusti, interessi; e anche di esperienze di fatto vissute).
Ma se per caso il lettore avesse già una testa che ragiona come quella dell'autore ......che utilità avrebbe ?? (Naturalmente avere una testa che ragiona come quella dell'autore non significa pensare o scrivere come quest'ultimo, bensì possedere struttura e meccanismi mentali che, per modalità generale, lavorano allo stesso modo).
CitazionePoiché i modi di affrontare i vari problemi filosofici e gli argomenti pro e contro le diverse possibili soluzioni sono generalmente molti e diversi fra loro, leggendo filosofi coi quali sostanzialmente si concorda si possono corroborare di nuovi argomenti le proprie convinzioni; oltre al fatto che da un certo "piacere intellettuale" talora anche molto "sensualmente sfrenato", quasi da "gaudente libertino", per così dire metaforicamente, trovare molto ben argomentate e sviluppate da classici del pensiero talune proprie convinzioni (personalmente ho provato grande "libidine intellettuale" leggendo per esempio Hume, Spinoza, Engels, Laplace e tanti altri; ma sarà forse bene che precisi che non sono un depravato e pur senza arrivare a "[godere] molto di più nell' ubriacarmi, oppure a masturbarmi, o al limite a scopare" -Guccini- ho altrettanto in gran conto i piaceri della buona tavola, del sesso, della musica, letteratura, arte in generale...).
Ma il meglio lo dà la lettura di sostenitori di tesi avverse alle proprie, che consente nei casi più fortunati di migliorarsi superando o emendando errori e acquisendo nuove convinzioni, o per lo meno di corroborare della confutazione di argomenti avversi le convinzioni di già possedute.
turismo motociclistico ed alle escursioni in montagna, entrambe attività che permettono di poter meditare comodamente sui misteri filosofici ed esistenziali.
CitazioneSu questo concordo, fra l' altro essendo anch' io un motociclista dall' età di 16 anni e trovando spesso stimolante riflettere passeggiando, anche se se non in montagna (e pure andando di buona lena in bicicletta).
Autori che ho avuto modo di apprezzare particolarmente : Dante, Manzoni, Asimov, Dawkins, Wallace, Russell, pochi altri meno noti.
CitazioneBeh, Russell é (per lo meno anche; ma di certo "non secondariamente") un filosofo (ormai considerabile a tutti gli effetti "classico")!
Purtroppo non posso dire di essere stato influenzato da insegnanti o educatori. Sono cresciuto nell'assenza totale di adulti capaci di aiutare un ragazzo a comprendersi.
Così mi sono rivolto ai libri con un miscuglio di bisogno, curiosità, disperazione.
In estrema sintesi, ecco i nomi:
Cesare Pavese
Dostoevskij
Thomas Bernhard
Platone
Meister Eckhart
Schopenhauer
Carlo Sini (purtroppo... ma solo per pochi anni)
Nietzsche (che amo ma a cui il mio inconscio spirituale rimane immune...)
Sarah Kane (una questione affettiva)
Grazie a viator e Kobayashi.
@viator, non preoccuparti per la formazione. In fin dei conti la filosofia "trascende" l'educazione (anzi a volte paradossalmente "sapere molte cose non insegna la comprensione" - Eraclito). I libri di filosofia personalmente li trovo in genere affascinanti e fonti di ispirazione. Ciò non toglie ovviamente che si possa essere filosofi anche odiando le opere filosofiche (e credo che si possano fare esempi: ad esempio Schopenhauer e Kierkegaard detestavano la filosofia di Hegel, Eraclito tutte quelle che erano diverse dalla sua, Pirrone riteneva che non si poteva conoscere nulla e che quindi era necessario smettere di avere "opinioni" ecc)
@Kobayashi: in realtà anche io per "bisogno, curiosità, disperazione" ho creato il mio bagaglio culturale. La formazione accademica e scolastica ha certamente influito ma non credo in misura maggioritaria. Anche perchè la formazione "accademica" la trovo troppo tecnica, poco incline ad esplorare nuove prospettive ecc e quindi per chi come noi è mosso da "bisogno, curiosità e disperazione" non riesce a dare la soddisfazione piena. Si potrebbe aprire un dibattito su questo tema ma direi che si va fuori tema, visto che questo è solo un "giochino" (ma non inutile secondo me :) ) ;D
Salve. Per Apeiron: grazie a te anche per esserti preoccupato per mie eventuali preoccupazioni formative che non ho mai nutrito.
Vedi, io credo che la fondamentale caratterizzazione psicologica delle persone le distingua in due categorie : introversi ed estroversi (naturalmente includendo tutte le infinite gradazioni e sfumature incluse tra i due estremi di tali polarità).
Se queste due categorie sono quelle che marcano il nostro modo di sentire e manifestare, esse trovano una corrispondenza all'interno delle propensioni intellettuali e culturali di ciascuno di noi.
Si tratta della propensione puteolare e di quella lagunare.
Cioè della distinzione tra chi apprezza e pratica la specializzazione e chi invece preferisce l'eclettismo.
Puteolare e lagunare sono termini (almeno il primo) da me quasi inventati. Il primo viene da "puteus", cioè pozzo.
Le menti puteolari sono come pozzi che possono arrivare a profondità impensabili ma che sono come imprigionate dalla scarsa "luce" (cioè ampiezza, diametro) dell'ambiente in cui operano. Sono gli specialisti, i quali conoscono sole le pareti delle profondità alle quali si dedicano. Le menti lagunari sono invece quelle degli eclettici, i quali magari ignorano i tesori sepolti sotto le basse acque che vanno solcando ma in compenso possono navigare ariosamente alla luce del sole, spinti dalle brezze di una curiosità forse un poco superficiale ma in un ambiente assai più variegato di quello di un pozzo.
Poi ci sarebbero le menti oceaniche (sia vaste che profonde) ma quelle sono veramente rare. Sono quelle dei geni.
I nostri tempi, dal punto di vista culturale ed intellettuale, diventano sempre più puteolari e la nostra società (planetaria) sta migrando verso modelli sempre più entomologici (quelli degli insetti - è' semplicemente la naturale conseguenza dell'accresciuta pressione demografica).
Io sento sempre più nostalgia per un eclettismo che sta per tramontare. Salutoni.