L'abitudine è habitus, ossia «modo di essere che si ha» ma anche «vestito», e su questi schermi si è già dissertato molto di vestiti e imperatori. Come disse qualcuno: «[...] fai attenzione alle tue azioni perché diventeranno le tue abitudini, fai attenzione alle tue abitudini perché diventeranno il tuo carattere, fai attenzione al tuo carattere perché diventerà il tuo destino».
L'abitudine è in fondo la comfort zone, la "casa delle prassi" che "abitiamo", ossia che indossiamo come abito ma che potremmo anche cambiare; qualcosa che riconosciamo come rassicurante solo quando viene meno o viene minacciata, pur trattandosi di una sicurezza che talvolta è anche chiusura al nuovo (o "lock-in" come dicono in altri ambiti).
Quindi in un certo senso direi di sì, l'abitudine è la nostra norma che ci rende normale ciò che per altri magari non lo è; ne consegue che quando un'abitudine viene compromessa o non è possibile praticarla, ci troviamo in una situazione "anormale", da cui possono nascere, magari facendo di necessità virtù, nuove abitudini o, nel più mesto dei casi, nuovi rimpianti di vecchie abitudini.
L'abitudine è in fondo la comfort zone, la "casa delle prassi" che "abitiamo", ossia che indossiamo come abito ma che potremmo anche cambiare; qualcosa che riconosciamo come rassicurante solo quando viene meno o viene minacciata, pur trattandosi di una sicurezza che talvolta è anche chiusura al nuovo (o "lock-in" come dicono in altri ambiti).
Quindi in un certo senso direi di sì, l'abitudine è la nostra norma che ci rende normale ciò che per altri magari non lo è; ne consegue che quando un'abitudine viene compromessa o non è possibile praticarla, ci troviamo in una situazione "anormale", da cui possono nascere, magari facendo di necessità virtù, nuove abitudini o, nel più mesto dei casi, nuovi rimpianti di vecchie abitudini.