Senza addentrarsi nelle profondità filosofiche del «Credere di credere» vattimiano, mi pare comunque opportuno rilevare la dialettica fra il credere e il sapere (ma non quella che intende Hegel nell'omonimo testo): credo in/a qualcosa perché non ne ho conoscenza esaustiva, poiché se ne avessi conoscenza esaustiva non ci crederei, bensì lo saprei (o meglio, sarebbe per me un sapere certo, fino a prova contraria). Non credo che oggi sia l'otto agosto, so che oggi è l'otto agosto (sorvolando sulla convenzionalità sia del referente di tale sapere che dei fattori che lo legittimano).
Questa dialettica credere/sapere, che in campo religioso fa riecheggiare l'agostiniano «credo ut intelligam et intelligo ut credam», si declina nella complicità del sapere nei confronti del credere (che a sua volta è il requisito che fonda tautologicamente gli assiomi di ogni logica, formale o esistenziale che sia), complicità in cui talvolta è un sapere debole, o uno sperare, o un sentire indefinito, o persino solo una voce di corridoio, a preorientare e condizionare il credere (la cosiddetta precomprensione ermeneutica).
In generale, se cerco l'ago nel pagliaio è perché so che è possibile che ce ne sia uno (lo credo), o mi hanno detto che ce ne sia uno (e ci credo) o addirittura so per certo che ce n'è uno. Questo sapere (una possibilità o una certezza) o questo credere ad una supposizione e/o all'altrui credere/sapere, dà senso alla ricerca dell'ago. Facendo un passo indietro: tale sapere d'innesco per la ricerca, su cosa si fonda? Come so che è possibile (o addirittura sicuro o solo credibile) che ci sia un ago in quel pagliaio? Se guardo un pagliaio non è spontaneo supporre che ci sia un ago dentro, così come se partissi per un viaggio di esplorazione su una rotta mai percorsa, non avrei elementi certi per prevedere esattamente cosa troverò al mio arrivo; salvo non abbia già una precomprensione anticipatrice che mi dà attendibili indizi per ritenere che proprio in quel pagliaio si annidi un ago e proprio su quella rotta raggiungerò l'Asia.
Infatti Colombo sa che la terra è sferica e, per inferenza logico-spaziale, sa che salpando verso ovest approderà ad est del punto di partenza. Inoltre, se sa (o è convinto di sapere) anche quale paese vi troverà e poi tale sapere si rivela invece fallace, ciò dimostra che era un sapere "incompleto", ma non un sapere sbagliato (come confermerà poi Magellano).
Il movente nozionistico che ha innescato il viaggio verso ovest per giungere ad est, è un sapere che coniuga Eratostene e Marco Polo, un sapere verificato (al di là degli errori di calcolo riguardo le distanze), la cui applicazione ha prodotto altro (imprevisto) sapere. Tuttavia non sempre il credere è innestato in un sapere solido: quando i greci credevano che l'Olimpo fosse la casa degli dei, all'origine di questa credenza non c'era verosimilmente un sapere autentico, ma piuttosto un credere basato sulla capacità po(i)etica dell'uomo, che gioca con archetipi e mitologemi (la stessa indole che mi fa sperare che nel pagliaio ci sia la figlia del contadino piuttosto che l'ago, e mi fa invece temere che ci sia il contadino adirato, rendendo sempre e comunque scialba l'ipotesi che ci sia solo, banalmente, paglia).
L'incertezza epistemologica insita nel credere (spesso pungolata da intuizioni di varia natura), prima della sua falsificazione o incoronamento a sapere, è la spinta cognitiva che parte da un sapere o da una narrazione culturale (che è un credere perpetuato) e attende la sua verifica o la sua falsificazione. Chiaramente, se tale verifica o smentita è impossibile o incomunicabile, come nel caso del post mortem, "non ci resta che credere", nel pieno o nel vuoto, nei miti dell'occidente o dell'oriente o in nessun mito, sapendo di nonvoler poter, almeno per ora, sapere.
Questa dialettica credere/sapere, che in campo religioso fa riecheggiare l'agostiniano «credo ut intelligam et intelligo ut credam», si declina nella complicità del sapere nei confronti del credere (che a sua volta è il requisito che fonda tautologicamente gli assiomi di ogni logica, formale o esistenziale che sia), complicità in cui talvolta è un sapere debole, o uno sperare, o un sentire indefinito, o persino solo una voce di corridoio, a preorientare e condizionare il credere (la cosiddetta precomprensione ermeneutica).
In generale, se cerco l'ago nel pagliaio è perché so che è possibile che ce ne sia uno (lo credo), o mi hanno detto che ce ne sia uno (e ci credo) o addirittura so per certo che ce n'è uno. Questo sapere (una possibilità o una certezza) o questo credere ad una supposizione e/o all'altrui credere/sapere, dà senso alla ricerca dell'ago. Facendo un passo indietro: tale sapere d'innesco per la ricerca, su cosa si fonda? Come so che è possibile (o addirittura sicuro o solo credibile) che ci sia un ago in quel pagliaio? Se guardo un pagliaio non è spontaneo supporre che ci sia un ago dentro, così come se partissi per un viaggio di esplorazione su una rotta mai percorsa, non avrei elementi certi per prevedere esattamente cosa troverò al mio arrivo; salvo non abbia già una precomprensione anticipatrice che mi dà attendibili indizi per ritenere che proprio in quel pagliaio si annidi un ago e proprio su quella rotta raggiungerò l'Asia.
Infatti Colombo sa che la terra è sferica e, per inferenza logico-spaziale, sa che salpando verso ovest approderà ad est del punto di partenza. Inoltre, se sa (o è convinto di sapere) anche quale paese vi troverà e poi tale sapere si rivela invece fallace, ciò dimostra che era un sapere "incompleto", ma non un sapere sbagliato (come confermerà poi Magellano).
Il movente nozionistico che ha innescato il viaggio verso ovest per giungere ad est, è un sapere che coniuga Eratostene e Marco Polo, un sapere verificato (al di là degli errori di calcolo riguardo le distanze), la cui applicazione ha prodotto altro (imprevisto) sapere. Tuttavia non sempre il credere è innestato in un sapere solido: quando i greci credevano che l'Olimpo fosse la casa degli dei, all'origine di questa credenza non c'era verosimilmente un sapere autentico, ma piuttosto un credere basato sulla capacità po(i)etica dell'uomo, che gioca con archetipi e mitologemi (la stessa indole che mi fa sperare che nel pagliaio ci sia la figlia del contadino piuttosto che l'ago, e mi fa invece temere che ci sia il contadino adirato, rendendo sempre e comunque scialba l'ipotesi che ci sia solo, banalmente, paglia).
L'incertezza epistemologica insita nel credere (spesso pungolata da intuizioni di varia natura), prima della sua falsificazione o incoronamento a sapere, è la spinta cognitiva che parte da un sapere o da una narrazione culturale (che è un credere perpetuato) e attende la sua verifica o la sua falsificazione. Chiaramente, se tale verifica o smentita è impossibile o incomunicabile, come nel caso del post mortem, "non ci resta che credere", nel pieno o nel vuoto, nei miti dell'occidente o dell'oriente o in nessun mito, sapendo di non