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Messaggi - Sariputra

#1141
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
04 Maggio 2017, 21:05:49 PM
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 18:19:24 PMÈ che non porre a sfondo uno o più principi stabili pensare è mal di mare. :)

Cara Lou, non pensi però che, proprio per il fatto che le cose continuamente passano, ci sia  un posto per la Bellezza e per l'Amore ( quello vero, non quello frutto dell'attaccamento all'idea che le cose sono 'permanenti' e quindi desiderabili...) nel nostro 'incontro' con questa mutevole realtà di cui siamo parte ma che pure ci sovrasta?...In questa che sembra una mancanza di principi stabili ( questo vuoto apparente, ma che in realtà mi sembra più un vuoto concettuale che un vuoto effettivo...) si libera un grande spazio di 'libertà'. E' nel momento che 'apriamo' le nostre mani che possiamo accogliere la bellezza delle cose, che sono tanto più belle proprio perché sono tanto fragili e periture. Mi sembra che, se non fossero mutevoli e perciò fragili, sarebbero in eterno 'fisse' , chiuse e senza vita. Mentre la percezione di questa 'dipendenza' che ci accomuna è veramente un superare le divisioni. Così almeno a me pare...ma prendilo semplicemente per il divagare poetico di uno stolto...
#1142
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
04 Maggio 2017, 17:45:06 PM
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 17:33:56 PMSì, è che mi suona innaturale un inizio e una fine del divenire, trovo più ragionevole l'idea (indimostrabile forse) che siano gli enti, cioè le cose che sono soggette al passare e passano, non il passare stesso. Del resto, nutro la convinzione che una volta che una cosa è passata e finita l'accadere continua anche dopo di lei.

Esatto Lou, anche per me sono le cose, i fenomeni che passano e non c'è un 'divenire' senza il divenire delle cose ( o enti se preferisci). Il passare può essere inteso solo in riferimento a ciò che passa. Quindi dire 'il divenire di tutte le cose' è da intendere come che tutte le cose presentano la caratteristica di passare, di mutare . Siccome tutte manifestano questa caratteristica  si dice che tutte le cose sono impermanenti, cioè sono prive della caratteristica di essere permanenti, stabili , durevoli, dotate di un' "essenza" durevole, indipendente dalle altre e che non muta. "Essenza" che è 'vista' o ipotizzata solo dal pensiero, ma che è altro da ciò che effettivamente diviene.
#1143
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
04 Maggio 2017, 16:57:54 PM
Citazione di: Lou il 04 Maggio 2017, 16:38:36 PM"Ciò che è reale diviene senza posa ( o si trasforma senza posa se si preferisce...)." Sì chiaro, ma per me è palese che questo "si trasforma senza posa" significa proprio la permanenza del divenire. :-\

Però percepiamo il divenire del reale, ma non possiamo sapere se questo divenire ha avuto un inizio e avrà una fine. Quindi  dire che il divenire permane non è dimostrabile, a parer mio...( è assai probabile che il divenire continui, permanga, ma non possiamo esserne certi...).
Per questo mi sembra più corretto dire " Tutto passa" che non dire " Eterno divenire" ( Se non in senso poetico, per accentuare nel lettore la visione del divenire...)
#1144
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
04 Maggio 2017, 16:22:28 PM
@Sgiombo scrive: 
Ma questa "essenza" permanente dell' ente (di ciascun "ente" considerabile nell' ambito del divenire reale; che è permanente soltanto in quanto fissata "una volta per tutte" del pensiero, salvo rare "ridefinizioni") non è altro che il concetto con il quale per l' appunto il linguaggio (pensiero linguistico) definisce, stabilisce o "costituisce" arbitrariamente per definizione che cosa è (=che cosa sia considerato essere, nell' ambito del pensiero linguistico stesso) ciascun ente "isolandolo o delimitandolo", cioé attribuendogli convenzionalmente dei "margini" o "confini" (questo è il significato etimologico di "definire") mentalmente dal resto del divenire reale.


Concordo con Sgiombo che "essenza permanente" può essere intesa solo in senso di concetto linguistico, necessario per definire e delimitare in senso convenzionale il mutare  reale delle cose ( divenire delle cose, dei fenomeni che mi paiono termini di più immediata comprensione del termine 'ente'...problema mio ovviamente  ;D ). E' necessaria per 'l'intelligibilità' umana del mutare ma non per il 'mutare' in sè delle cose. Non c'è alcun motivo per cui sia necessario qualcosa di permanente, per giustificare l'impermanenza. Anzi, alla mia modesta riflessione, appare problematico conciliare proprio il concetto di permanenza con l'impermanenza ( mutare, divenire) dei fenomeni che colpiscono la mia percezione e che in definitiva potrebbero pure risolversi semplicemente in essa.
Ciò che è reale diviene senza posa ( o si trasforma senza posa se si preferisce...).Il pensiero tenta di 'fissarlo' in enti pretendendo che la determinazione concettuale indichi una 'permanenza', che mi appare più simile ad un'illusione...
( Ovviamnte spero di aver bene interpretato il pensiero di Sgiombo...altrimenti dovrò fare un fioretto questa sera... :( ).
#1145
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
04 Maggio 2017, 10:35:36 AM
Che poi signori, diciamocela tutta come sta la faccenda...se 'essere' e 'divenire' alla fine sono solo delle espressioni verbali per indicare l'andazzo della vita, ognuno si sceglie il verbo che più gli aggrada, che sento più conforme al suo stato d'animo e carattere. Così ci troviamo gli ottimisti che portano sempre l''essere' ben stampato sulla maglietta ( pure sotto il maglione quando fa freddo...) e , appena discuti con loro ...voilà, vola via il maglione e appare la scritta ! Sono convinti che ci sia qualcosa che permanga, non la sanno indicare bene, ma ne sono convinti...se no...che ottimisti sarebbero? E ci sono i pessimisti che invece, quando l'incontri , hanno sempre quell'aria melanconica di chi ha già perso tutto ( pure l'essere...) e , se per caso ti invitano a discuterne, parlano sempre di quel che è passato e di quanto era bella la giovinezza ( che si fugge tuttavia...) e di come non ci sia proprio nulla d' aspettarsi di permanente; a questi la vita sembra sempre sfuggire dalle mani come in quelle di chi vuole trattenere l'acqua del mare...I primi sono solidi ( della solidità tipica dell'essere), mentre i secondi son quasi evanescenti, tanto che, se li osservi da una certa distanza , paiono sbuffi di fumo cinerino che s'alzano e si disperdono in cielo...Di solito, i primi riempion chiese e templi e feste politiche...i secondi invece...beh, i secondi son generalmente attaccati al cannello delle botti, ma non per ubriacarsi ( per quello alla fine bisogna credere alla solidità dell'essere...) bensì per sognar di farlo! Ma, purtroppo per loro, son così pessimisti che sanno già che passerà pure l'euforia dell'ubriacatura, lasciando in bocca, insieme all'amaro sapore dello svanire di tutte le cose, pure quello del proprio vomito... Ma se l'essere non può separarsi dal non-essere per poter essere ( come sapientemente descrittoci da davintro..), neppure l'ottimista può separarsi dal pessimista per restar ottimista...e allora vedi, fermi sul ciglio delle strade, gli ottimisti che rincuorano i pessimisti. Son così zelanti, gli ottimisti, che vanno per le case e gli ospedali  a rincuorar i pessimisti...e gli dicono, proprio mentre questi stan evaporando verso il soffitto:" Stai tranquillo che qualcosa permane: il tuo 'essere' ( pessimista)...permane!". E' proprio per questo motivo che i pessimisti, quando li vedon arrivare con il viso sorridente, nascondono il proprio sotto le lenzuola e fingon di dormire. Quale maledizione peggiore si potrebbe augurare al tristo pessimista?..Addirittura il permanere per sempre!...Non sottovalutiamo il potere dell'ottimismo e del pessimismo nel formular filosofie. Parmenide me lo vedo solido, roccioso, ottimista e permanente. Eraclito ( ma probabilmente sembra che fosse il discepolo Cratilo...) un pò così, sempre con la bocca storta a metter la punta del piede dentro e fuori l'acqua del fiume...eppure ambedue credevano nell'Uno ( almeno così pare...) solo che...per uno, l'Uno era fermo, e per l'altro non faceva che smenarsi ( e questa signori è una bella differenza, altro che sofismi filosofici...). Come provar a far l'amore con una donna che se ne sta immobile o viceversa che non si ferma un attimo. Quale delle due opzioni sarà da preferire? Ambedue paion presentar delle controindicazioni pratiche, non vi sembra? Forse la prima appare più semplice , ma sicuramente meno soddisfacente...mentre la seconda più complessa ( se non sta mai ferma...) ma potenzialmente molto più soddisfacente... ::)

P.S. Lou, non leggere la parte finale, ti prego!...

P.S.II  Di solito al pessimista capita sempre quella che non sta mai ferma, ovviamente... ;D
#1146
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
03 Maggio 2017, 23:33:44 PM
Continuamente, impercettibilmente, tutte le cose cambiano. Una primavera non è mai uguale a quelle già vissute. Quando l'inverno, attardandosi, dà posto al nuovo cielo d'Aprile, un senso di incompiutezza si insinua nell'animo di molte persone. Nulla "è" come ce l'aspettavamo, nulla come ricordavamo. I colori, per quanto magici, sembrano sempre un pò sbiaditi, un pò consunti. Sembra quasi che l'autore di una splendida pittura serbi per sé la maggior parte del colore e usi il rimanente molto diluito. Quel fiore è rosso, ma non di quel tono che ci saremmo aspettati dopo innumerevoli giorni di grigio piombo.
Viene a volte da chiedersi se la primavera che si fece largo dolcemente tra le tenebre della Preistoria sia stata così avara di mostrarsi, di farsi ammirare ed amare dagli spiriti della Terra e del Cielo come quelle che vediamo susseguirsi ai nostri giorni. I giapponesi usavano organizzare gite lunghissime solo per ammirare la fioritura dei ciliegi, quindi attaccare ai rami, folgoranti di luce, piccole strisce di carta con voti e preghiere per gli dei dei boschi. Che tristezza sarebbe vedere, ai nostri giorni, un gruppo di giovani che, protetti da comodi stivali di plastica, andassero per le campagne, ricoperte di letame e diserbanti, per pregare davanti ad una Madonna, inchiodata sull'ultima vite visibile ad occhio nudo. Che squallido sentore di morte emanerebbe da quei corpi giovani e bene in salute, che malinconica solitudine dagli occhi , un pò lavati dalla pioggia, della signora dei campi. Tale è l'impressione che suscita lo scorrere del tempo tra le nostre case. Innumerevoli alberi tagliati per dare luce a violenti cartelli pubblicitari sull'uso più accurato dei dentifrici contro la carie. Macchie grigie d'asfalto ovunque: tra l'erba, le rocce, le acque. Edifici mostruosi che s'elevano a barriera del sole. Vetri azzurrognoli che si riflettono tra loro all'infinito, con grotteschi volti carnosi e ammiccanti all'interno. Con tutto ciò non è certamente facile per la bellezza mostrare, a coloro che vogliono vedere, il proprio volto di maschera.
E forse, piangente, l'angelo del bene e del male se ne sta seduto sulla più alta vetta ad ammirare l'opera del suo Padrone scivolare vieppiù verso il mare, donde sorse e prese forma, e quivi, con inaudito fragore, schiantarvisi, lasciando solo bolle fluorescenti.
E poi...nel racconto...
Le espressioni della volgarità erano innumerevoli...la volgarità dell'eleganza, della santità, la volgarità dell'ultima moda, la volgarità dell'erudizione, la volgarità dell'avorio, la volgarità delle teorie presuntuose, la volgarità della follia, della civetteria, la volgarità del gatto persiano, la volgarità dei ricchi, dei monarchi, degli insetti che trafiggono con il loro pungiglione...
La reincarnazione era la punizione della volgarità. E la principale, o per meglio dire la sola, vera fonte della stessa era la smania di vivere...
(Yukio Mishima -"La caduta dell'angelo" )

https://www.youtube.com/watch?v=jIjOAWXZJSI
#1147
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
03 Maggio 2017, 09:37:47 AM
Se l'Essere è "Tutto ciò che è" ne consegue necessariamente che anche il suo mutare è l'Essere. Il 'mutare' diventa quindi semplicemente un 'modo' dell'Essere, ossia "mutare per essere". Questa formula concettuale però crea non pochi grattacapi, per esempio quando andiamo a considerare che , essendo l'essere "tutto ciò che è", presenta  un evidente conflitto in se stesso che si manifesta con caratteristiche che, al giudizio del pensiero, appaiono contraddittorie. Se l'Essere è "tutto ciò che è" come formulare un'etica visto che non viene posta nessuna differenza tra , per es., la compassione e l'omicidio, essendo ambedue "modalità dell'essere"? In definitiva un simile concetto omnicomprensivo ("Tutto è l'essere") appare perfettamente "inutile", in quanto noi percepiamo una relazione conflittuale con le cose esterne all'ipotetico 'essere umano', e non possiamo in alcun modo percepire la 'totalità dell'Essere ' così da poter superare il conflitto inerente al nostro personale 'essere'...
Sarebbe come dire ad uno schiavo:"Tu e il padrone siete la stessa cosa, ossia semplici modalità dell'Essere". Lo schiavo, tutto felice, va dal padrone a dirgli che sono la stessa cosa in senso ultimo, al che il padrone lo fa frustare e, ai lamenti del poveraccio, risponde che "anche le frustate sono una semplice modalità dell'Essere"...
L'"inutilità" della posizione monista ( 'Tutto è Uno', ovvero 'Tutto è l'Essere') o del monismo metafisico, nell'impossibilità di risolvere il conflitto interno alle modalità stesse dell'Essere, tanto da dover operare una distinzione tra Essere ed essere, assegnando al secondo un carattere di 'apparenza' ( illusione o 'velo di Maya') e al primo un carattere di permanenza e realtà, appare evidente quando si passa dal piano concettuale a quello esistenziale, dove si manifesta una conflittualità dolorosa tra quelle che sono , in teoria, semplici 'manifestazioni' dell'Essere.
Per inciso, quella del giudizio di 'inutilità' è una delle critiche fondamentali che il pensiero filosofico buddhista ( essenzialmente pragmatico) porta al sistema Vedanta di Shankara e al monismo metafisico in generale ( che hanno permesso e giustificato il blocco millenario della società hindu in 'caste')...
Ciao  :)
#1148
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 15:38:49 PM
Citazione di: green demetr il 02 Maggio 2017, 15:13:59 PMx sari Essendo la goccia fatta d'acqua contiene in sè il concetto di mare. E' una metafora, non è una questione scientifica, che non pensa. Da un orientalista mi aspettavo meglio.

Non aspettarti niente, ti prego!...( 'Sta cosa delle aspettative genera solo ansia... :) ).
"Chel che ghe xe de bòn, lo ciapemo...Chel che ghe xe da butàr, lo butemo! " famoso detto della Contea...
Mi piace ( tentare) di 'vivisezionare' i concetti, per capir se c'è qualcosa di effettivo oltre i concetti. Ma non lo trovo questo "in sé" dei concetti, se non prendendo per buoni i concetti o riducendo un processo di relazioni in un termine concettuale... e quindi questo 'in sè' del mare non riesco a trovarlo nella goccia d'acqua e non ho trovato e nemmeno l'in sé dell'essere...tutto vuoto di 'in sè'...e lo cosa 'in sé' non è neppure un male, mi sembra... :) toglie di mezzo la presunzione umana di essere 'in sé' e nel centro...
Attenzione però che non intendo negare l'importanza e la necessità del 'concetto' di una data cosa, ma mi sembra necessario il superamento del concetto di 'in sè' delle cose per pervenire ad una più corretta ( o meno falsa...) comprensione del 'divenire' che è un dato percettivo, a differenza dell'essere che è concettuale...
#1149
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 14:01:27 PM
x sariputra
@Green scrive:
la tua ipotesi è corretta però solo dal punto di vista umano, non certo divino, come potrebbe ciò che è (Da sempre) divenire, qualcosa che non sia ancora se stesso? Appunto una contraddizione in termini.

Chiaro che lo è solo dal punto di vista umano. Non essendo Dio non posso certo avere il punto di vista di Dio...( se c'è qualcosa come il punto di vista di Dio...). Non ci è dato 'vedere' l'origine di questo flusso incessante di mutamento, se ne ha avuto una o se è eterno...speriamo solo che ce l'abbia un'origine ( perché così si potrebbe sperare che abbia pure una fine...).

Per quanto riguarda l'uomo: chi d'altronde garantisce che l'uomo sia il divenire all'interno di un essere?

Non capisco  in che senso intendi "all'interno di un essere". L'uomo io lo vedo all'interno del divenire dei componenti che lo fanno 'uomo' ( compresa la coscienza o autocoscienza) e non c'è un posto per l'"essere" all'interno di questo divenire...nulla di permanente."Sono uomo", ma lo sono finchè ciò che mi compone come uomo mantiene quell'equilibrio di condizioni e cause , al mutare dell'equilibrio "non sono più" e divento qualcos'altro. Si deve usare l'essere per 'fermare' il momento del mutare incessante. E' una necessità semantica, non una realtà, a parer mio.  Il problema casomai è che il pensiero pensa che "uomo" sia una cosa ben definità, ossia dotata di realtà 'indipendente'; indipendente anche dalla relazione con il linguaggio...

Chi garantisce che siamo veramente gocce di mare?

Intendi qualcosa di esterno all'uomo che garantisce che siamo solo gocce di mare? E dove lo troviamo?...Se però osserviamo il continuo mutare delle cose ( esteriori e interiori) non vedo ragione per dubitare che anche noi siamo della stessa natura dipendente e in divenire di tutte le altre. L'eventuale valutazione, per fede, di una natura trascendentale non mi sembra possa competere all'analisi e all'osservazione.

La tua controtesi non ha senso, infatti una goccia di mare non è mai il mare, e nemmeno l'insieme delle gocce potrà mai essere il mare. Infatti l'addizione della precarietà delle gocce avrà come somma una precarietà, ma il mare non ha precarietà in quanto da sempre è l'originario.

Una goccia non è il mare, ma è possibile trovare qualcosa come il mare al netto di ciò che lo costituisce ( l'acqua, i fondali, i pesci, la vegetazione marina, ecc.)? Se via via togliamo, ad uno ad uno, i suoi componenti, le sue cause e le condizioni che ne permettono l'esistenza, non rimane alcun 'mare'. Quindi 'mare' è solo una semplificazione necessaria al linguaggio, una designazione mentale...

La controtesi che riguarda l'uomo ha invece senso, ma ritenevo che l'avessi già espressa nella tesi che effettivamente risultava ambigua.(l'essere e l'uomo non sono la stessa cosa).
Ovviamente avendo senso ritengo fondata la tua ipotesi che l'antropocentrismo derivi anche da una (errata però a mio avviso) visione dell'essere.

Ps
Per inciso "anche" perchè non è solo una questione di irrigidimento dell' "io", ma ci sarebbe da considerare anche la questione dell'agire, e dell'etos stesso. (che non è mai per sempre, ma mutevole come i costumi).


Esatto, proprio perché anche l'agire e l'etos stesso sono in dipendenza da altro, osserviamo la loro mutevolezza...

Ovviamente nella distinzione tra essere e uomo vi è tutto il discorso di Heidegger.

Sono troppo ignorante su questo e quindi non mi esprimo... :-[

E anche la tua posizione Sari rientra in quel grande errore della metafisica occidentale: credere di essere Dio.

Non credo proprio di essere Dio. Sarebbe contraddire la  stessa teoria sull'interdipendenza di tutte le cose. Infatti anche la teoria stessa, sulla dipendenza e relazione, è dipendente da altro...

Ciao :)
#1150
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 10:15:21 AM
Citazione di: sgiombo il 02 Maggio 2017, 09:41:26 AM
Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2017, 08:49:57 AML'esempio simbolico del sole ci mostra a mio parere, proprio questo, ossia che la manifestazione necessita di mutamento. Il sole consuma la sua energia per risplendere nel cielo e, presto o tardi, questo manifestarsi porterà alla sua fine come sole per mutare in altro ( ossia 'divenire' altro...) Il sole stesso non può disperdere la sua energia se non a mezzo cause e condizioni che gli permettono questo e che non sono propriamente 'sole', in assenza di queste non è possibile quello...non è possibile trovare alcunché che non sia 'in dipendenza' da altro ( ossia che abbia la sua causa in se stesso...). Il sole è il sole, ma il suo 'essere sole' non può darsi che in dipendenza da tutti gli elementi non-sole che lo costituiscono. Questo determina l'impossibilità per il sole di avere una natura propria, ossia di avere un 'essere', ma solo di un 'apparire' ( come sole...). Senza questa analisi il sole è correttamente inteso come sole.
Citazione(Credo che ci sia un evidente errore di stampa nell' ultima frase ove manca la negazione: "...il sole non é correttamente...). Non mi é del tutto chiara la tua distinzione fra l' "avere una natura propria o un essere" e un "apparire" (da parte del sole e di tutte le altre "cose-eventi"). Riesco a intenderla unicamente nel senso che l'"apparire" sia la possibile considerazione mentale, teorica (la pensabilità, eventuale conoscibilità: "omnis determinatio est negatio", Spinoza) di enti/eventi reali, e l' "essere" o la "natura propria" sia il loro essere reali/accadere realmente". Intendi anche tu questo o qualcos altro?

Sì, ho corretto l'evidente errore di battitura... :-[
L'apparire lo intendo come la costruzione mentale , sulla base delle impressioni sensoriali, del 'sole'. L''essere' o 'natura propria' lo intendo come un'astrazione concettuale, in quanto , essendo ( il sole )  in totale dipendenza  da altro, non può disporre di alcuna 'natura propria' ma solo di una natura 'dipendente'...Non significa che (il sole) non è 'reale' ma che la sua è una 'realtà dipendente'. Al netto di tutto ciò che concorre a formare il concetto di 'sole' non è dato trovare alcun 'essere sole'...
#1151
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 08:49:57 AM
Citazione di: acquario69 il 02 Maggio 2017, 03:04:31 AM
CitazioneLe cause infatti devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...)
Secondo me quello della Causa concepita in questo modo e' sbagliato perché in questo caso si farebbe solo riferimento all'effetto, escludendo proprio cio che lo "produce" (cioè' la Causa) senza la quale non potrebbe esserci appunto nessun effetto Quindi se e' la Causa l'agente "produttore" allora dovrebbe significare che questa non può essere soggetta ad alcuna modifica. Ma ci si potrebbe pero chiedere: E allora perché mai a noi le cose ci appaiono in successione? Risposta: Perche tra la causa e l'effetto non vi e' in realtà nessuna "separazione" o in altri termini vi e' simultaneità e se a noi "compare" tale successione e' perché questa e' dovuta alla sua manifestazione ——————— Domanda a donquixote: Ritieni che possa esserci una certa analogia la comparazione simbolica del sole e i suoi raggi con l'essere e il suo divenire?...oppure no?

Se però sostituisci la Causa ( maiuscolo) con le cause e concepisci queste cause come, a loro volta, effetti di altre cause e quindi non determini una 'dualità' tra causa ed effetto ma un 'processo' dinamico superi la difficoltà, a mio parere.
Se invece intendi la Causa ( maiuscolo) come non soggetta ad alcuna modifica ( ossia permanente) non puoi che intenderla in senso trascendente...
Se la causa non potesse modificarsi non potrebbe generare alcun effetto ( fermo restando che 'causa'' ed effetti' sono solo termini convenzionali per definire il processo del divenire, il mutare delle cose, quello che i nostri sensi  e la mente percepiscono come mutamento...).
L'esempio simbolico del sole ci mostra a mio parere, proprio questo, ossia che la manifestazione necessita di mutamento. Il sole consuma la sua energia per risplendere nel cielo e, presto o tardi, questo manifestarsi porterà alla sua fine come sole per mutare in altro ( ossia 'divenire' altro...) Il sole stesso non può disperdere la sua energia se non  a mezzo cause e condizioni che gli permettono questo e che non sono propriamente 'sole', in assenza di queste non è possibile quello...non è possibile trovare alcunché che non sia 'in dipendenza' da altro ( ossia che abbia la sua causa in se stesso...).
Il sole è il sole, ma il suo 'essere sole' non può darsi che in dipendenza da tutti gli elementi non-sole che lo costituiscono. Questo determina l'impossibilità per il sole di avere una natura propria, ossia di avere un 'essere', ma solo di un 'apparire' ( come sole...).
Senza questa analisi il sole non è correttamente inteso come sole.
#1152
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 00:26:37 AM
Citazione di: donquixote il 01 Maggio 2017, 22:55:07 PM
Citazione di: Sariputra il 01 Maggio 2017, 17:32:23 PMSe l'essere non può essere ( esistere) se non mutando ( quindi nel divenire) si stabilisce che il divenire non-è in quanto solo l'essere "è" e diviene per essere. Infatti il "divenire" non ha natura propria ma è semplicemente il mutare dei soggetti e di 'tutto'. Però, rovesciando il discorso, in un certo senso, come sarebbe possibile il mutamento dell'essere se non mutassero ( attorno all'essere/esternamente all'essere soggetto) tutte le cose? Se i pianeti non ruotassero , le stagioni non si alternassero, i costituenti psico-fisici non si alterassero negli esseri senzienti e quelli fisici negli insenzienti non si darebbe alcun 'essere' nemmeno al soggetto, sarebbe solo 'fissità' senza esistenza o pura 'trascendenza'. Ma se il mio essere (mutevole) dipende dall'essere (mutevole) di ciò che non sono io/soggetto ( cioè dal mutare di tutto ciò che mi circonda secondo leggi che possono essere causali o caotiche...) il mio essere/esistere si può stabilire solo 'in dipendenza' da ciò che non sono 'io'. Il mio essere si può stabilire solo in relazione a ciò che non è 'mio'. Sari, per 'essere' Sari, non può essere Sgiombo, il tetto d casa o il cagnazzo fuori porta. Per questo ho affermato, in varie discussione, che a me pare che 'essere' non può essere separato dal suo stesso 'non-essere', in quanto è proprio il 'non-essere (Sgiombo, il tetto, il cane, ecc.) che permette a Sari di 'essere'. E' proprio per questo che a me il concetto di 'essere' è sempre stato assai indigesto, perché, al di là della formulazione verbale, non riesco a vedere da nessuna parte questo 'essere', ma solo un'infinità di 'parti' in relazione dipendente tra loro. Sono d'accordo con Sgiombo che , le stesse 'parti', sembrano all'uomo/soggetto/parte mutare secondo leggi prevedibili e ripetitive e questo permetti il loro studio scientifico e la formulazione di un'etica, altrimenti impossibile in presenza di un 'puro caos'... A mio parere il concetto di "essere" determina e ha determinato un fortissimo antropocentrismo, mentre il concetto ( seppur convenzionale) di 'divenire' relativizza questa innata e potente spinta della ragione 'che desidera essere' umana...
Il tuo ragionamento appare estremamente contraddittorio perchè per definire l'essere di qualcosa sulla base di ciò che non è bisognerebbe prima definire tutto quello che "non è" quella cosa, ma se si applica il medesimo ragionamento ad ogni ente allora non si può che concludere che tutto "non è", che poi sarebbe come dire che tutto è nulla e siccome il nulla non ha né può avere alcun attributo non può nemmeno divenire e dunque sparirebbe anche il divenire stesso. Tu puoi chiamarlo come vuoi ma non puoi prescindere dall'essere, anche perchè ammesso e non concesso che tu riesca a conoscere, di un qualcosa, tutto ciò che questo "non è" ti mancherebbe di conoscere comunque quello che effettivamente è poichè ogni ente ha sue qualità e caratteristiche peculiari e uniche, che non appartengono a nessun altro ente. Che ogni ente dipenda da tutti gli altri (in proporzione variabile) per il proprio divenire è fuori di dubbio, ma ogni ente diviene in un modo suo proprio e differente da tutti gli altri, ragione per cui logica vuole che vi sia qualcosa in questo ente che lo fa essere quello che è e non altro. Come dicevo nell'altro topic ciò che diviene è una "parte" dell'essere, e il divenire è la manifestazione dell'essere nello spazio/tempo che si rinnova costantemente e che comunque presuppone un essere "non manifestato", non condizionato dallo spazio/tempo e quindi non diveniente, che è il suo principio, la sua origine. Si era discusso nel vecchio forum di questo argomento, e se interessa la puoi trovare qui.

Mi sembra però che pure l'essere non può essere stabilito in assenza di ciò che non è essere. Se s'intende l'essere come qualcosa che dispone di una natura propria, dovrebbe sempre conservare lo stato e la forma che le sono propri. Ma questo non avviene, perché nessuna cosa ( esteriore e interiore) mantiene la propria forma e il proprio stato, ossia è soggetta al  "divenire" e quindi al mutare della propria forma e del proprio stato...( le caratterististiche uniche e peculiari di cui parli non sono proprietà dell'essere ma delle parti che determinano l'essere ; parti che mutano in continuazione...)solo ipotizzando che l'essere mantenga un "quid" ( un essere "non manifestato" che citi) che non muta mai si può dare un significato al termine "essere" ( ma questo quid non può essere che di natura trascendente...). Ogni essere viene ad essere (esistere) determinato da cause e condizioni che non gli sono propri ( non è una proprietà dell'essere la sua originazione) e che non gli appartengono se non come cause . Ma un essere ( dato in sé) può "venire ad essere"? Quando 'viene ad essere' la sua esistenza  e origine stessa è dipendente da cause che lo determinano e lui stesso è causa di ulteriore manifestarsi del 'divenire' dell'essere. Ma, al di fuori di queste cause e condizioni, dov'è possibile ravvisare l'"essere"?  Se non come necessità linguistica ( verbo 'essere') per dare un senso alle nostre designazioni?
Se ci fosse un essere dovrebbe esserci pure qualcosa che appartenga all'essere. Non mi sembra però che sia possibile trovare qualcosa che appartenga all'essere  al netto delle parti/cause e condizioni che convenzionalmente chiamiamo 'essere'... La semplice 'presenza' inoperativa degli 'enti' ( da quel poco che capisco del termine 'ente'... :( ) non può aver alcun significato per le cause e condizioni che determinano l'essere. Le cause infatti  devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...). Se si obietta che ciò che sottostà ad una modifica è l'impermanente , e che il permanente non lo è,  si potrebbe far presente  che, poichè solo ciò che muta e diviene è effettivamente visibile, ciò che non muta può essere uguagliato al non-esistente...ossia 'per essere' bisogna necessariamente 'divenire', ma divenendo neghiamo la presenza ( come permanente, sostanziale e immutabile) dell'essere. A questa contraddizione  mi sembra ci trascini il pensiero che, per il solo fatto di definire un termine, istintivamente è portato a pensare che esista sempre qualcosa di reale inerente al termine. Mentre "essere" mi appare per quello che effettivamente e correttamente è, ossia un verbo, una necessità linguistica... Ovviamente altra cosa se postuliamo l'essere come trascendente il divenire...allora qui il termine 'essere' mi sembra inappropriato e si dovrebbe chiamare per il significato che vuol intendere, cioè il termine "Dio" o "anima"...ma questo non può che "essere indeterminato"...
Non mi sembra che , rimettendo l''essere' nella giusta prospettiva ( verbale), si scada nell'illusione e nell'irrealtà. Si supera, a mio parere una concezione statica della realtà e s'intravede un dinamismo fatto di realtà 'in relazione'. Sul valore per l'uomo di questa realtà fatta di relazione dinamica mi sono già espresso negativamente in altra discussione...

P.S. Spero di esser stato comprensibile. Vista l'ora...
#1153
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
01 Maggio 2017, 17:32:23 PM
Se l'essere non può essere ( esistere) se non mutando ( quindi nel divenire) si stabilisce che il divenire non-è in quanto solo l'essere "è" e diviene per essere. Infatti il "divenire" non ha natura propria ma è semplicemente il mutare dei soggetti e di 'tutto'.
Però, rovesciando il discorso, in un certo senso, come sarebbe possibile il mutamento dell'essere se non mutassero ( attorno all'essere/esternamente all'essere soggetto) tutte le cose?
Se i pianeti non ruotassero , le stagioni non si alternassero, i costituenti psico-fisici non si alterassero negli esseri senzienti e quelli fisici negli insenzienti non si darebbe alcun 'essere' nemmeno al soggetto, sarebbe solo 'fissità' senza esistenza o pura 'trascendenza'. Ma se il mio essere (mutevole) dipende dall'essere (mutevole) di ciò che non sono io/soggetto  ( cioè dal mutare di tutto ciò che mi circonda secondo leggi che possono essere causali o caotiche...) il mio essere/esistere si può stabilire solo 'in dipendenza' da ciò che non sono 'io'. Il mio essere si può stabilire solo in relazione a ciò che non è 'mio'. Sari, per 'essere' Sari, non può essere Sgiombo, il tetto d casa o il cagnazzo fuori porta. Per questo ho affermato, in varie discussione, che a me pare che 'essere' non può essere separato dal suo stesso 'non-essere', in quanto è proprio il 'non-essere (Sgiombo, il tetto, il cane, ecc.) che permette a Sari di 'essere'. E' proprio per questo che a me il concetto di 'essere' è sempre stato assai indigesto, perché, al di là della formulazione verbale, non riesco a vedere da nessuna parte questo 'essere', ma solo un'infinità di 'parti' in relazione dipendente tra loro. Sono d'accordo con Sgiombo che , le stesse 'parti', sembrano all'uomo/soggetto/parte mutare secondo leggi prevedibili e ripetitive e questo permetti il loro studio scientifico e la formulazione di un'etica, altrimenti impossibile in presenza di un 'puro caos'...
A mio parere il concetto di "essere" determina e ha determinato un fortissimo antropocentrismo, mentre il concetto ( seppur convenzionale) di 'divenire' relativizza questa innata e potente spinta della ragione 'che desidera essere' umana...
#1154
Citazione di: donquixote il 01 Maggio 2017, 12:23:25 PM
Citazione di: Sariputra il 01 Maggio 2017, 11:06:05 AM
Citazione di: Lou il 01 Maggio 2017, 10:18:06 AM@maral
CitazioneSe poi diciamo che tutto è Divenire, è chiaro che il Divenire è e come tale partecipa in modo fondamentale dell'Essere e qui mi sembra che l'osservazione di Lou sia corretta: il divenire non diviene, ma è; anzi si intende affermare che è ciò che sempre e sommamente è.
È esattamente quello che volevo dire, esplicito in modo più chiaro: è che trovo (logicamente) paradossale (e penso lo trovi paradossale pure Nietzsche nell'aforisma "Imprimere..." citato) un divenire che diviene, se il divenire divenisse, smetterebbe di essere divenire, banalmente non diverrebbe più - roba che significherebbe proprio raggiungere quello stato finale per il divenire che Nietzsche rigetta - e di ciò ne trovo conferma anche nel passo ora citato da Garbino di N., dove, a mio parere, si afferma la tesi nietzschiana che ribadisce che tutto ciò che è, è divenire. Immutabile è il perenne mutare delle cose che sono, non un essere illusorio, solitario posto a garante nè in cielo nè in terra. @Garbino, accolgo con piacere l'invito, trovo siano letture interessanti e precise quelle che proponi e ho molto da imparare, io ho semplicemente abbozzato la mia.
Die che è "immutabile il perenne mutare delle cose che sono" mi pare una contraddizione in termini. Perché non accettare semplicemente "il mutare" senza caricarlo ( nuovamente) di sovrastrutture speculative ( ossia termini come "immutabile", "perenne" e "sono") ?... Come si può sapere che il mutare è immutabile? Non si può cogliere il mutare con qualcosa che non muta come i termini linguistici, che fanno l'opposto, ossia "fissano". Ogni affermazione sul divenire è necessariamente falsa. Il divenire diviene è già falso...
Tanto per la precisione il divenire non può divenire, poichè il divenire è un movimento, una trasformazione, una azione, e una azione presuppone sempre un soggetto che la compie, che nell'affermazione il divenire diviene manca. Allo stesso modo è sbagliato dire che il divenire è, perchè anche in questo caso si accostano arbitrariamente due predicati a nessun soggetto. Capisco che esistano frasi del tipo "il mangiare sazia" oppure "il correre stanca", ma sono figure retoriche che possono funzionare bene nel linguaggio popolare ma in questo caso confondono solo le idee. Ciò che diviene deve quindi necessariamente essere "altro" dal divenire stesso, il soggetto dell'azione riflessiva del divenire, e questo non può che essere l'Essere che, manifestandosi progressivamente, costituisce ciò che chiamiamo "divenire". Quindi il divenire non diviene e neppure è, poichè in sé non esiste proprio, dato che ogni attributo è sempre riferito all'essere e ai suoi vari e indefiniti aspetti.

Ma può "essere" un soggetto che continuamente muta? In quale momento del mutamento il soggetto "è"? Se diciamo che l'essere "è" proprio perché diviene dobbiamo necessarmente inserire il non-essere nell'essere del soggetto, altrimenti il mutamento è impossibile...almeno così, a naso, mi sembra.

Temo però che siamo andando fuori dalla discussione proposta dall'amico Garbino...
#1155
Citazione di: Lou il 01 Maggio 2017, 10:18:06 AM@maral
CitazioneSe poi diciamo che tutto è Divenire, è chiaro che il Divenire è e come tale partecipa in modo fondamentale dell'Essere e qui mi sembra che l'osservazione di Lou sia corretta: il divenire non diviene, ma è; anzi si intende affermare che è ciò che sempre e sommamente è.
È esattamente quello che volevo dire, esplicito in modo più chiaro: è che trovo (logicamente) paradossale (e penso lo trovi paradossale pure Nietzsche nell'aforisma "Imprimere..." citato) un divenire che diviene, se il divenire divenisse, smetterebbe di essere divenire, banalmente non diverrebbe più - roba che significherebbe proprio raggiungere quello stato finale per il divenire che Nietzsche rigetta - e di ciò ne trovo conferma anche nel passo ora citato da Garbino di N., dove, a mio parere, si afferma la tesi nietzschiana che ribadisce che tutto ciò che è, è divenire. Immutabile è il perenne mutare delle cose che sono, non un essere illusorio, solitario posto a garante nè in cielo nè in terra. @Garbino, accolgo con piacere l'invito, trovo siano letture interessanti e precise quelle che proponi e ho molto da imparare, io ho semplicemente abbozzato la mia.

Die che è "immutabile il perenne mutare delle cose che sono" mi pare una contraddizione in termini. Perché non accettare semplicemente "il  mutare" senza caricarlo ( nuovamente) di sovrastrutture speculative ( ossia termini come "immutabile", "perenne" e "sono") ?... Come si può sapere che il mutare è immutabile? Non si può cogliere il mutare con qualcosa che non muta come i termini linguistici, che fanno l'opposto, ossia "fissano". Ogni affermazione sul divenire è necessariamente falsa. Il divenire diviene è già falso...