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Messaggi - donquixote

#121
Citazione di: Jacopus il 21 Agosto 2017, 00:06:19 AMBuonasera Don. Non capisco davvero. Se vuoi porre la metafisica sopra la scienza è una tua scelta legittima e puoi definire bestemmiatore chi non segue questa linea, ma è proprio questo pensiero assolutistico che mi è estraneo. Non sono certo io a voler santificare la scienza e spero che si sia capito, come credo che un essere umano dipende molto dal suo corpo e da come lo cura ma anche da altre cose, che indirettamente influenzano il suo corpo. Basti pensare che i nostri pensieri influenzano la stessa struttura organica plastica del cervello, per non parlare delle azioni. Spero che il mio pensiero sia legittimo come il tuo, che non qualifico come bestemmia ma semplicemente come opinione passibile di critica come ogni discorso umano, anche eventualmente inerente il sovraumano. Che la metafisica debba controllare e dirigere la scienza, sono d'accordo anche su questo, anche se più che di metafisica parlerei di valori etici costruiti attraverso la storia umana. Non credo ci convenga dimenticare quando la "metafisica" zittiva gli scienziati mostrando loro gli strumenti di tortura se non avessero ripudiato le loro teorie blasfeme ma scientificamente "vere" (fatto realmente accaduto a un certo Galileo Galilei). Sul resto del discorso sono completamente d'accordo. Dovremmo pensarci di più come un organismo unico, umanità, natura, pianeta terra. P.S.: a proposito di Kieslowski: è abbastanza chiaro che parteggia per la metafisica, ma il rovesciamento di ruoli, Il Dio-macchina, lascia ampio spazio ad una valutazione ambigua, tipica di ogni grande opera d'arte.

"Ci sono più cose in cielo e in terra Orazio di quante ne sogni la tua filosofia" diceva Amleto. Limitare arbitrariamente la propria "conoscenza" del mondo (come quella del professore del film) escludendo tutto ciò che sta al di fuori di essa perchè non lo si riconosce, o non lo si comprende, o lo si ritiene irrilevante significa di conseguenza condannarsi alla sua incomprensione. Inoltre, come diceva Nietzsche, "Tutte le cose sono incatenate, intrecciate, innamorate", dunque tutte concorrono come concause al verificarsi dei fenomeni. La metafisica è la scienza del "tutto" e dunque ogni visione particolare deve essere inserita nella visione universale in maniera da mantenere l'equilibrio complessivo, e siccome quella della scienza è una visione particolare la sua assolutizzazione conduce alla formazione di uno squilibrio nella conoscenza che avrà conseguenze devastanti. Non vi può essere paragone fra metafisica (o, in un ambito più ristretto, religione) e scienza perchè è come paragonare la medicina intesa come scienza della salute del corpo umano con la pneumologia che si occupa della salute di una sola parte. Se si mette queste ultime sul medesimo piano e si considera "legittimamente opinabile" la prevalenza di una rispetto all'altra andrà a finire che avremo un morto con i polmoni sanissimi (ma siccome il funzionamento di questi ultimi dipende dal resto del corpo anch'essi ovviamente moriranno). Se condividi la visione organica del mondo ti dovrebbe essere facile anche dedurre le medesime considerazioni, e i "valori etici" di cui parli sono comunque deduzioni tratte dalla conoscenza metafisica ma, essendo elaborati da umani, saranno diversi fra loro e a volte anche "sbagliati", come nel caso di una civiltà che considera l'essere umano "moralmente superiore" a qualsiasi altro ente e dunque pone come "imperativo morale" la salvaguardia del medesimo (e addirittura della sua mera "vita biologica") a prescindere da qualsiasi altra considerazione, gettando in tal modo le basi della costituzione di uno squilibrio nel "funzionamento" del mondo dalle conseguenze necessariamente negative.
#122
Citazione di: Jacopus il 20 Agosto 2017, 19:19:20 PMHo seguito il tuo consiglio e visto il film che non fa che rafforzare il mio principio politeista. Che sia scienza o religione quando la fede ti toglie la capacita' di vedere si diventa disumani e a farne le spese siamo noi stessi.

La  miopia del mondo moderno è ad un livello talmente incurabile che a prima vista la frase qui sopra appare del tutto ragionevole, mentre invece è una bestemmia (che, come diceva Goering, più volte sarà ripetuta e prima apparirà una verità certa). Non esiste alcun "o" perchè scienza e metafisica (che è alla base di tutte le religioni) non sono commensurabili in quanto la seconda "contiene" necessariamente la prima, e il magnifico film di Kieslowsky lo evidenzia chiaramente. Se si vuole ridurre il mondo ad una serie di calcoli inerenti la materia si è costretti ad operare delle semplificazioni e a trascurare una serie di altri segnali non "misurabili" che poi alla fine è molto probabile (e, se si ragiona globalmente, è ormai certo) che porteranno a risultati disastrosi. È come, analogamente, occuparsi esclusivamente della cura del corpo trascurando completamente ciò che fa di un mero organismo biologico un "essere umano", e che dipende da tutto meno che dal corpo o dalla sua salute. Ogni essere umano ha un suo equilibrio intrinseco che deve essere mantenuto, e l'organismo nel suo complesso emette costantemente dei "segnali" per indicare la compromissione di un qualche equilibrio, che va ristabilito. Allo stesso modo il mondo, che altro non è che un grande organismo in cui ogni fenomeno, ogni processo, è interconnesso ed è contestualmente effetto e causa di una innumerevole serie di altri fenomeni e di altri processi, emette segnali della presenza di qualche  squilibrio che vanno compresi e riconosciuti, e non trascurati come "irrilevanti" o "ininfluenti" solo perchè non siamo in grado di "misurarli" o di connetterli direttamente al nostro asfittico e computerizzato "sistema". La metafisica si può definire, in questo contesto, la "scienza dell'equilibrio", e la scienza (moderna) dovrebbe occuparsi nel suo ambito e su indicazione della metafisica di mantenere l'equilibrio di un sistema, oppure di ripristinarlo nel caso questo sia instabile o assente.
#123
Tematiche Spirituali / Re:L'archetipo della Trinità
14 Agosto 2017, 20:26:26 PM
Ci risiamo: una interminabile serie di citazioni tratte da ogni angolo dello scibile umano che non si sa se siano pertinenti o meno. Sarebbe molto più interessante, dato che ognuno di noi è in grado di usare Google, se tu limitassi la citazione ad un argomento e poi lo sviluppassi in prima persona, facendo uso delle tue qualità intellettuali,  senza basarsi su pensieri altrui messi insieme così come capita e che non hanno alcuna attinenza fra loro se non il numero tre. Noto, di sfuggita, che manca la "trinità dialettica" di Hegel (tesi, antitesi, sintesi) che potresti aggiungere per fare numero. Se il gioco è trovare quante più "triadi" o "trinità"  allora magari trovi qualcuno che si diverte ad aggiungerne qualcuna (me n'è venuta in mente un'altra: i nipotini di Paperino Qui, Quo e Qua) ma se invece vuoi stimolare una riflessione sulla trinità allora forse è meglio concentrarsi su un solo aspetto e riflettere su quello (la Triade induista Brahma Shiva e Vishnu, ad esempio, non ha nulla ma proprio nulla in comune con la Trinità cristiana tranne il numero 3).
Se sei interessato alla Trinità così come espressa dal Cristianesimo allora nel vecchio forum c'era un 3d al quale potresti dare un'occhiata e magari, se del caso, commentarlo (il link è qui sotto).
Un'ultima cosa: non so chi sia quel Williamson che citi così frequentemente, ma posso però dire che appare alquanto inaffidabile, dato che anche in questo caso (come in quello del serpente) cade in uno sfondone clamoroso visto che afferma, se hai citato correttamente, che il Sé supremo dell'induismo è Atman mentre invece è Brahman, e Atman è il Sé individuale. E non è un errore da poco, anzi.


https://www.riflessioni.it/forum/spiritualita/14475-il-dio-uno-e-trino-e-il-fondamento-della-creazione.html
#124
Citazione di: Carlo Pierini il 14 Agosto 2017, 17:46:56 PMAl contrario, la scienza è la forma di sapere che ha prodotto il maggior numero di scoperte e di verità definitive, sebbene non si possa affermare che OGNI "verità scientifica" sia una verità definitiva. Un esempio tra centinaia: ti pare che qualcuno abbia ormai dei dubbi sul fatto che sia la Terra a girare intorno al Sole (o meglio, intorno al centro di massa Terra-Sole) e NON viceversa? Questa ti sembra una verità provvisoria?

Certo che è una verità provvisoria. Anche ammesso che la terra giri intorno al sole (dato che nessuno è in grado di dimostrare che il sole è fermo potrebbe anche darsi che entrambi girino) se cambiano le condizioni cambia anche la "verità". Qualcuno è in grado di dimostrare che 100 milioni di anni fa le condizioni erano identiche a quelle di oggi? o che fra 100 milioni di anni siano ancora le stesse? Le verità scientifiche sono sempre condizionate e valide solo se si verificano sempre le medesime condizioni, e dato che gli scienziati si spingono a prevedere quando si spegnerà il sole è lecito supporre che allora la terra non gli girerà più intorno e dunque dove sta la "definitività" delle verità scientifiche? E il fatto che tu affermi "ti pare che qualcuno abbia ormai dei dubbi sul fatto che sia la Terra a girare intorno al Sole" mostra che la scienza considera la verità come "consensus gentium", che non è esattamente il modo migliore per considerare "vera" un'affermazione.
#125
Citazione di: Jacopus il 14 Agosto 2017, 10:18:07 AMSecondo me la scienza è ovviamente materialistica poichè il suo oggetto è prevalentemente la materia (ma non sempre, ci sono studi scientifici sulle religioni, e più genericamente sull'uomo che esulano dal concetto specifico di materia, prova ad esempio a trovare dentro il cervello il Super-Io, eppure come paradigma ha avuto un successo scientifico impressionante).

Tutti gli studi "scientifici" sulle religioni ottengono risultati opposti a quelli che si propongono, ovvero creano più confusione invece di fare chiarezza. E l'esempio che hai fatto tra parentesi evidenzia solo la presunzione della scienza stessa che pretende di applicare il proprio metodo a fenomeni a cui non è applicabile (come cercare la "particella di Dio" con l'acceleratore del CERN). Puoi verificare anche tu quanti "scienziati" tentano di dimostrare "probabilisticamente" l'esistenza o l'inesistenza di Dio, e questa presunzione deriva direttamente dall'Illuminismo kantiano quando si iniziò a utilizzare il metodo scientifico (che con Newton forniva ottimi risultati nel suo campo di applicazione)  anche alle questioni come la "morale" umana che sono tutt'altra cosa. Nell'800 si credeva che la luce fosse fatta di "etere" e si tentò di dimostrarlo. Una volta appurato che l' "etere" non esisteva allora automaticamente si è ritenuto "non esistente" anche lo spirito in quanto tradizionalmente costituito da quella sostanza (è il "quinto elemento" degli induisti e la "quintessenza" degli scolastici), ma nessun brahmino e nessun filosofo scolastico ha mai affermato che l'etere fosse una sostanza materiale e nemmeno che la luce fosse fatta di etere, dunque anche quella operazione è stata del tutto arbitraria.


Citazione di: Jacopus il 14 Agosto 2017, 10:18:07 AMLa scienza è invece semplicemente un metodo che attraverso la sperimentalità, la misurazione e classificazione del mondo e l'accettazione da parte della comunità scientifica della tesi dimostrata, permette una miglioramento delle condizioni umane. Così si è scoperto che la depressione non deriva dal fantasmatico "umor nero" contenuto nella bile ma da condizioni organiche e sociali che possono essere curate attraverso farmaci e psicoterapia. Altra cosa è credere che tutto si risolva nella scienza. Decadiamo allora nello scientismo positivista e priviamo l'uomo di altre fonti di sapere, ugualmente importanti, tornando inoltre a credere ad una divinità, in questo caso la scienza.

Il fantomatico "umor nero" è una ipotesi scientifica come tante altre, basate sull'osservazione e l'esperienza, che poi è stata accantonata come è stato fatto con migliaia di altre teorie scientifiche nel corso dei secoli e come si farà con tante altre che adesso si ritengono "assolutamente vere". Einstein diceva che "un milione di fatti non potrà mai dimostrare che ho ragione, ma ne basterà uno per dimostrare che ho torto" ovvero che una teoria basata esclusivamente sui fatti non potrà MAI essere "assolutamente vera" perchè dato che questi "fatti" accadono nel mondo del divenire qualora mutino certe condizioni muteranno anche i fenomeni da esse determinate, per cui è possibile che una teoria scientifica  sia vera oggi e non lo sia più fra mille anni, senza che però gli scienziati che verranno fra mille anni possano dire "quelli di allora non avevano capito niente" perchè loro lavoreranno nelle condizioni della loro epoca e non in quelle di mille anni prima.
#126
Solo formalmente la scienza non è materialistica, ma nella sostanza lo è eccome. Se la scienza non può escludere che vi sia "qualcosa" oltre la materia di fatto tutto ciò che riguarda questo eventuale "qualcosa" non è indagabile dalla scienza stessa dato che il proprio metodo di indagine si può applicare solo alla materia. Ma la scienza considera anche se stessa come l'unica forma di conoscenza "vera" e "sensata" del nostro mondo per cui se qualcosa non è verificabile dalla scienza  viene automaticamente squalificato come irrazionale, o fideistico, o superstizioso, e derubricato a "fuffa". Dunque la scienza, conferendo dignità "scientifica" esclusivamente alla conoscenza della materia, che è poi ciò di cui essa si occupa, ed essendo unanimemente considerata l'unica espressione della "verità" (la locuzione "lo dice la scienza!" è più definitiva e incontestabile di quelle che una volta erano le "leggi di Dio") in definitiva si può qualificare come materialista a tutti gli effetti.
#127
Citazione di: Carlo Pierini il 14 Agosto 2017, 00:02:28 AMPrima che ti risponda dovresti farmi un favore: spiegarmi come funziona il meccanismo delle citazioni parziali. Se clicco su "Citazioni", mi riproduce l'intero post; ma se voglio rispondere punto per punto, cioè fare delle citazioni parziali e poi commentarle una per una, qual è il trucco?

Ti spiego come faccio io: innanzitutto clicco su "rispondi" e non su "citazione": si apre la finestra vuota in cui inserire il messaggio. Poi scorro in basso fino a trovare il messaggio che voglio citare e clicco su "inserisci citazione"; il messaggio appare nella casella vuota in formato html e lo si può spezzettare come si vuole. Se il messaggio citato contiene a sua volta delle citazioni si possono cancellare. Poi prendo la parte che mi interessa citare e la copio all'interno della medesima finestra facendola seguire dal mio commento. La cosa fondamentale da tenere presente è che ogni "pezzo" del messaggio citato deve essere preceduto e seguito dalle stringhe fra parentesi quadre (parentesi incluse) che si trovano all'inizio e alla fine della citazione completa che appare in alto quando si clicca "inserisci citazione". Quando hai finito fai un'anteprima del messaggio per vedere come è venuto, ma tieni presente che, almeno sul mio pc, quando faccio l'anteprima le citazioni non risultano più modificabili per cui devo stare attento a non dimenticare un "quote", oppure se il messaggio è molto lungo e molto spezzettato prima di fare l'anteprima lo copioincollo su di un foglio word in modo da fare lì le eventuali modifiche e poi incollare il tutto nella finestra vuota. Se sono stato poco chiaro fammi sapere.
#128
Citazione di: Carlo Pierini il 13 Agosto 2017, 19:31:33 PMLa tua è un'interpretazione ingenua, statica, priva di riferimenti con la condizione umana REALE. Dovresti tenere conto delle premesse che ho espresso nel mio scritto: in primis, quella che vede nella figura del serpente il simbolo NON del demonio, ma di una nuova, "inedita" manifestazione di Dio, il Dio-Lucifero (=portatore di luce) che spinge l'uomo ad evolversi per mezzo della conoscenza, ...di quella conoscenza che gli era precedentemente preclusa. A tal fine, la disobbedienza al "vecchio Dio" è *necessaria*, com'è necessario per un giovane che entra nell'età adulta disobbedire all'autorità paterna, rompere i legami con essa per ricrearli su nuove basi, per poter prendere gradualmente in mano la propria vita come un vero "ometto". Questa disobbedienza può anche creare una rottura momentanea col Padre, ma, come ci chiarisce la parabola del figliol prodigo, si tratta di una rottura salutare. Così come il "secondo figliol prodigo" tornerà al Padre nella gloria (il padre non lo punirà, ma festeggerà il suo ritorno) anche "il secondo Adamo" tornerà al Padre nella gloria della resurrezione. Non ti pare che ci sia un'analogia profonda tra le parole di Luca: "...Bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato" e le parole di Paolo: "Come in Adamo tutti muoiono, così anche nel Cristo tutti saranno resi viventi"? Insomma, se non si tiene conto dell'aspetto dinamico-evolutivo della condizione umana, si cade in ingenuità interpretative come quella, appunto, di un Dio nemico della conoscenza umana che, crudelmente, mette sotto il naso dell'uomo il frutto proibito dell'emancipazione e poi lo castiga per aver ceduto alla tentazione.

Se l'interpretazione di Amphitrite può in qualche aspetto essere ingenua, la tua è sicuramente molto confusa e in molte citazioni che hai fatto semplicemente falsa. L'episodio biblico del peccato originale occupa poche righe della Genesi, e dunque bisognerebbe almeno rimanere aderenti a quelle parole per tentarne un'interpretazione sensata. La Bibbia distingue chiaramente i due alberi e afferma che di quello della vita Adamo poteva mangiarne, e Dio ha impedito l'accesso a tale albero solo dopo che Adamo aveva commesso il peccato, quindi quella citazione da Eliade dell'albero "nascosto" con quel che segue è chiaramente un arbitrario stravolgimento di quel che è scritto. Secondariamente la proibizione di Dio nei confronti di Adamo riguarda i frutti dell'albero della conoscenza DEL BENE E DEL MALE, e se questa cosa è chiaramente specificata significa che è importante (anzi fondamentale) ai fini di una corretta interpretazione; dunque non si può assimilare la conoscenza del bene e del male ad una generica "conoscenza" o a una "conoscenza del tutto" e men che meno alla "sapienza" che è esattamente il suo opposto. E l'assimilazione dell'albero della conoscenza del bene e del male a quello dell'illuminazione di Buddha fatta da Evola, o ad altri alberi simbolici presi più o meno a caso da altre dottrine è una sciocchezza colossale e crea solo caos. Prima di tutto bisognerebbe comprendere in profondità l'insegnamento trasmesso da quell'episodio come narrato nella Bibbia, e solo dopo eventualmente confrontarlo con altre dottrine per vedere se ne esistono di simili e soprattutto se sono simboleggiati nel medesimo modo o in altra maniera, e non fare l'operazione opposta guardando i simboli e trarre dalla loro similitudine anche insegnamenti simili. Ad esempio il mito greco di Prometeo si avvicina molto a quello del peccato originale, ma è raccontato e simboleggiato in modi completamente differenti. Poi per quanto riguarda il serpente questo è un simbolo diffusissimo in tutte le culture e simboleggia molti aspetti del male e molti aspetti del bene, ma nella Genesi simboleggia solo la tentazione che si insinua nella psicologia umana, ed è infatti descritto come "la più astuta di tutte le bestie" e non simboleggia quindi né il male né il bene ma solo un aspetto della vita del mondo e dell'uomo. E quella citazione di Williamson che ritiene il serpente una forza benefica è innanzitutto un suo pregiudizio (sia pur legittimo), come del resto è un tuo pregiudizio che la scienza sia la forma di conoscenza più matura ed evoluta che l'uomo abbia mai raggiunto, ma non è certo un'interpretazione conforme a ciò che vuole insegnare la Bibbia con quell'episodio; se prima non si comprende correttamente l'insegnamento biblico è molto difficile poterlo contestare con validi argomenti e si finisce per arrampicarsi sugli specchi. l'episodio del peccato originale è pura filosofia della conoscenza: Platone l'avrebbe chiamata Sophia, e Aldous Huxley "Philosophia Perennis". Un ultimo inciso: nell'affresco di Michelangelo non esistono affatto due serpenti, uno "femminile" e uno "maschile"; il serpente è solo uno ed ha fattezze femminili (la tentazione). Il personaggio che scaccia dal Paradiso Adamo ed Eva è un cherubino con la spada inviato da Dio, e lo si comprende anche e soprattutto dal fatto che è vestito. Inoltre i "due serpenti" non sarebbero mai passati al vaglio dei sovrintendenti di S.Pietro che istruivano Michelangelo su cosa riprodurre e ne controllavano l'opera;  nel periodo in cui Michelangelo affrescò la Cappella Sistina il serpente veniva già considerato genericamente come simbolo del male, e siccome chi scaccia Adamo ed Eva dal giardino d'Eden è Dio questi (o un suo inviato) non sarebbe mai potuto essere raffigurato come "serpente".
#129
Percorsi ed Esperienze / Re:La dipendenza affettiva
15 Maggio 2017, 19:35:59 PM
Citazione di: Sariputra il 15 Maggio 2017, 19:12:46 PMIl problema Crizia sono le aspettative. Le aspettative che noi tutti abbiamo delle persone e che vengono sempre deluse, invariabilmente. La persona che soddisfa tutte le nostre aspettative esiste solo nei romanzi di Jane Austen, e sempre e solo nel finale ( perché poi , se avesse continuato il racconto, il genio della scrittrice inglese ne avrebbe tracciato sicuramente la delusione patita...). Per vivere sereni dobbiamo sforzarci di non nutrire alcuna aspettativa sulle persone e sulla vita in genere ( perché anche questa, invariabilmente come le persone, tradisce le nostre aspettative...). E poi, con sana autocritica, riflettere sul fatto che anche noi tradiamo la aspettative che gli altri hanno riposto ( illudendosi anche loro) nella nostra persona ... :) :(

Cara ti amo - Elio e le storie tese

Lui : Eravamo fidanzati, poooooi, tu mi hai lasciato, senza addurre motivazioni plausibili...
Lei: Noo...o....oooh..non e' vero, tu non capisci l'universo femminile, la mia spiccata sensibilita', si contrappone al tuo gretto materialismo maschilista...
...ciononostante...

Lui: Cara ti amo.
Lei: Mi sento confusa.
Lui: Cara ti amo !
Lei: Devo stare un po' da sola.
Lui: Cara ti amo !
Lei: Esco appena da una storia di tre anni con un tipo.
Lui: Cara ti amo !
Lei: Non mi voglio sentire legata.
Lui: Cara ti amooooo !

Lui: Rimani in casa.
Lei: Voglio essere libera.
Lui: Esci pure con chi ti pare.
Lei: Non ti interessi mai di quello che faccio

Lui: Vorrei palparti le tette.
Lei: Porco !
Lui: Mai ti toccherei neanche con un fiore.
Lei: Finocchio !

Lui: Mi drogo, bestemmio, picchio i bambini e non ti cago.
Lei: Ti amo !
Lui: Mi faccio il culo quattordici ore di seguito per mantenerti e ti cago.
Lei: Ti lascio per un tossicomane che non fa un cazzo tutto il giorno,  bestemmia e picchia i bambini.

Lui: Mi metto il goldone...
Lei: Ho un desiderio di maternita'.
Lui: Ho un desiderio di paternita'.
Lei: Mettiti il goldone.

Lui: Cara ti amo.
Lei: Mi sento confusa.
Lui: Cara ti amo !
Lei: Devo stare un po' da sola.
Lui: Cara ti amo !
Lei: Esco da una storia di tre anni con un tipo.
Lui: Cara ti amo !
Lei: Non mi voglio sentire legata.
Lui: Cara ti amooooo !


lui: Rimango in casa.
Lei: Mi opprimi.
Lui: Esco.
Lei: Questa casa non e' un albergo.

Lui: Ti passo un cubetto di ghiaccio intinto nel Cointreau sulla pancia dopo di che ti scopo bendata.
Lei: Non sono una troia.
Lui: Allora in posizione canonica io sopra tu sotto?
Lei: Che palle !

Lui: Disse la vacca al mulo...
Lei: Oggi ti puzza il culo !
Lui: Disse il mulo alla vacca...
Lei: Ho appena fatto la cacca...

Lui: Cara ti amo.
Lei: Mi sento confusa.
Lui: Cara ti amo !
Lei: Devo stare un po' da sola.
Lui: Cara ti amo !
Lei: Brrr.. esco da una storia di tre anni con un tipo.
Lui: Cara ti amo !
Lei: Non mi voglio sentire legata.
Lui: Cara ti amooooo!

Lui: Ed ora uniamo i nostri corpi nell'estasi suprema che e' propria dell'idillio dell'amore.
Lei: No, perche' quando avevo 13 anni mio cugino me l ' ha fatto vedere e da allora sono traumatizzata pero' possiamo restare abbracciati tutta la notte senza fare niente, sara' bellissimo lo stesso...

Lui:(te lo tronco nel culo)
Lei:(dai sii serio)

Lui: Usciresti con me domani sera.
Lei: Sono stanca forse ho gia' un' altro impegno.
lui: Beh, poco male cosi' vedo i miei amici.
Lei: Sono libera.

Lui: Mettiamola sul sesso.
Lei: Ho bisogno d'affetto.
Lui: Mettiamola sull'affetto.
Lei: Chiaviamo.

Lui: Io sono come sono.
Lei: Cerca di cambiare.
Lui: Sono cambiato.
Lei: Non sei piu' quello di una volta.

Lui: Tu mi appartienti.
Lei: L' utero e' mio !
Lui: Eccoti i soldi per la pelliccia.
Lei: Eccoti l ' utero !

Evviva l ' amoreeeee !!!
#130
Se l'arte (anche quella figurativa) è, come è, una forma di espressione, dovrebbe comunicare qualcosa, e quindi l'autore dovrebbe essere il primo a sapere che cosa vuole comunicare. Un tempo l'arte figurativa era una forma di linguaggio che intendeva comunicare (o meglio evocare) ciò che con le parole non era possibile fare (tutta l'arte cosiddetta "sacra" aveva questo scopo) oppure doveva essere una alternativa a beneficio di coloro che non potevano leggere sui libri le storie riprodotte,  perchè non sapevano leggere oppure perchè non potevano procurarseli. Dunque l'arte aveva i suoi codici di linguaggio come la scelta dei soggetti raffigurati, la loro posizione con l'enfasi posta su alcuni invece che su altri, gli sguardi e gli atteggiamenti, e anche i colori utilizzati, ognuno dei quali rimandava ad una particolare interpretazione (e a questo proposito è fondamentale a mio avviso l'opera di Goethe "La teoria dei colori" che si contrappone alla opposta visione newtoniana sul medesimo argomento e ne giustifica la simbologia nell'arte) . Poi vabbè tutto è cambiato e da un linguaggio condiviso si è passati a tutta una serie di linguaggi (le famose "correnti artistiche") condivise da sempre meno persone per poi arrivare all'espressione artistica che in sé non evoca più nulla ma deve suscitare solamente emozioni (e magari intonarsi con l'arredamento di casa). Non voglio e non mi interessa qui approfondire il discorso, ma nel caso di specie se l'autore non intende comunicare nulla in particolare è piuttosto difficile esprimere un'opinione in merito. Vista così l'opera mi sembra che più che suscitare emozioni le soffochi, perchè è una via di mezzo fra qualcosa che possa evocare pace e tranquillità (e allora una leggera foschia che pervade tutto l'ambiente, colori più confusi e indistinguibili tra loro e un tratto meno minaccioso delle nuvole alte avrebbero a mio parere reso meglio l'idea) oppure qualcosa che voglia rappresentare una realtà che si va perdendo (allora l'uso di più tonalità di verde per distinguere alberi monti ed erba sarebbe stato doveroso, come del resto segnali di vita animale o umana sarebbero stati i benvenuti) o ancora magari l'angoscia che la natura "selvaggia" provoca nell'uomo moderno (e allora si sarebbero dovute enfatizzare, caravaggescamente, le ombre e le luci, rendere minacciose e temporalesche le nubi e agitata l'acqua, e magari introdurre qualche inquietante ospite sul prato o nel torrente). In ogni caso, ma questa è una preferenza del tutto personale, io avrei reso più "curva" e meno simmetrica tutta la composizione, che magari anche a dispetto della correttezza della prospettiva avrebbe dato all'insieme una maggiore idea di movimento, di vita.
#131
Citazione di: Elektra il 06 Maggio 2017, 17:42:58 PMSalve a tutti, Sono all'ultimo anno del liceo scientifico e pensavo di fare la mia tesina sul dominio dell'ultimo uomo, cercando al massimo di attualizzare le mie fonti, visto che l'argomento (per me) più interessante è la ciclicità della storia e, approfondendo su questa chiave, il tema dell'eterno ritorno all'uguale. Cercando di spiegarmi meglio, il mio intento è di mettere la figura di Niezsche come profeta dell'attuale crisi delle fondamenta, quale la sfiducia nella scienza di allora e le attual polemiche sul vaccino L'evoluzione dell'ultimo uomo che, incapace di prendere le responsabilità dei propri valori e della morte di dio, adesso si crede migliore degli altri e si aggrappa in ridicole teorie ed in complottismi che li portano a credere di essere gli unici ad aver capito la grande verità dietro alle bugie; l'apparente liberismo e la morale degli schiavi che sfocia in divisioni e razzismo come il genocidio degli omosessuali in Cecenia;la figura di Trump, il populismo e il ritorno al nazionalismo come l'uscita dell'Inghilterra della comunità europea. Siccome credo che l'esame di maturità abbia come fine quello di verificare l'efficacia del sistema (in teoria ovviamente) nel senso che serve a vedere se quel percorso ha dato i suoi frutti, se i suoi alunni sono in grado di avere un proprio pensiero critico, o magari un pensiero che si è saldato ed evoluto nel corso degli anni, e che quindi la scuola intesa come sistema abbia dato un suo contributto. Visto che ho paura che portare aprofondimenti del genere possa risultare fuori tema oppure che mi faccia apparire troppo presuntuosa visto che non ho questa grandissima conoscenza nel campo filosofico e mi sento anch'io parte degli ultimi uomini, volevo sapere il vostro parere a riguardo e magari se poteste aiutarmi a vedere e capire osservazioni sul tema che mi sono sfuggite e come rendere ciò più scolastico con i colegamenti delle materie obbligatorie. Vi ringrazio in anticipo per il vostro tempo ;D


Bisogna considerare che i concetti espressi da Nietzsche sono filosofici e non sociologici, Nietzsche non era Max Weber, e quindi ciò che esprime (soprattutto nello Zarathustra) deve potersi applicare ugualmente in ogni luogo e in ogni tempo e non è una mera "fotografia" della società che si trova davanti. Precisato ciò l'ultimo uomo condannato da Nietzsche come l'essere più spregevole deve potersi riscontrare anche in altri luoghi e in altri tempi e quindi deve avere caratteristiche comuni a tutte le società della terra. Chi è costui? È l'uomo medio, anzi mediocre, l'uomo che anela ad una misera felicità, l'uomo che rifiuta il dolore e il piacere se questo comporta dei rischi, e si accontenta di «una vogliuzza per il giorno e una vogliuzza per la notte: salva restando la salute.»
L'ultimo uomo niciano, prototipo della mediocrità indubbiamente più evidentemente incarnata dall'individuo moderno, appiattito, massificato, meccanizzato e tecnologizzato,  è l'idealtipo più caratteristico e riuscito di un pensiero che ha progressivamente abolito le caratteristiche più umane, che comportano rischio, e sofferenza,  e salto nel buio, e morte, ma anche gioia, entusiasmo, esaltazione, fervore; un pensiero che generando ogni sorta di artifizi tecnici per tentare di placare nell'uomo la paura del dolore e della morte l'ha invece aumentata a tal punto che nessuno vuol rischiare più nulla, e si vive una vita meschina specchiandosi talvolta nella meschinità delle vite altrui, ricavandone magre consolazioni. È l'ideale moderno, liberale e marxista insieme, dell'umanità ridotta ad un indistinto "ceto medio" (che sarebbe meglio definire "ceto mediocre"), senza immaginazione, senza preoccupazioni, senza creatività, senza rischi, con esigenze prevedibili, controllabili e manipolabili: l'umanità di color che visser sanza 'nfamia e sanza lodo disprezzata da Dante nel terzo canto dell'Inferno (tanto che Virgilio non vuole nemmeno prenderli in considerazione: "non ragioniam di lor, ma guarda e passa"), evocata e preconizzata da Huxley ne Il mondo nuovo, prodotto di ideologie che riducono l'individuo ad una ameba nella palude del non-sense. L'ultimo uomo è colui che, rammentando la famosa parabola evangelica, ha ricevuto un misero talento, ma anziché assumersi il rischio di farlo fruttare l'ha sotterrato, e la vita gli ha tolto anche quello, gettando l'uomo ove sarà pianto e stridore di denti. Se dunque l'ultimo uomo viene disprezzato ovunque e in ogni tempo bisogna notare che, al contrario, la modernità l'ha idealizzato al punto che, come nel prologo dello Zarathustra coloro a cui si rivolge il profeta lo pregano di dargli l'ultimo uomo e di tenersi il suo superuomo, la grande maggioranza dell'umanità moderna anela a diventarlo, come ben esemplificato dalla canzoncina tanto popolare negli anni '30 intitolata "mille lire al mese", accontentandosi delle "briciole" cadute dalla tavola di "coloro che hanno".
Se è indubbiamente vero quel che dice paul, non è a mio avviso direttamente connesso con il concetto di ultimo uomo, perché se è corretto affermare che ogni uomo dell'oggi ha una propria verità, è necessario dire innanzitutto che questa non è certamente parto della sua mente (chè l'uomo moderno, anche e forse soprattutto fra gli intellettuali, non è più "creatore di valori") ma allo stesso modo che dal punto di vista materialistico accennato prima si accontenta di "briciole" intellettuali utili a creare una struttura culturale che possa essere soddisfacente per permettergli di giudicare il mondo e che lui chiamerà "verità", ma anche questa ha, a tutti gli effetti, le caratteristiche della più assoluta mediocrità. L'ultimo uomo in definitiva non è l'individualista e il relativista moderno tout court, ma colui che abbassa e rende meschini tutti i valori poiché non ha le caratteristiche caratteriali non solo di creare valori, ma nemmeno di imporli e difenderli (con tutti i rischi che ciò comporta).
Per quanto concerne l'eterno ritorno questo non può certo caratterizzare la ciclicità della storia, ma essendo questa idea comune a tutte le società tradizionali il tempo ciclico di fatto annulla la storia, che ritornando ciclicamente su se stessa non può avere, come ritiene l'idea moderna, una direzione e un fine ultimo.
#132
Citazione di: green demetr il 06 Maggio 2017, 23:38:18 PMPerchè è solo vivendo le situazioni che se ne ha la visione più corretta. Semplicemente vivendola.

Fra tutte le cose false che ci hanno insegnato a considerare come "vere" questa è una delle più paradigmatiche e delle più esiziali. Come si notava già nella discussione circa il suicidio culturale che ha disgregato l'occidente una delle ragioni di tale evento sta nel sostanziale ribaltamento del metodo di conoscenza: il metodo deduttivo è stato sostituito da quello induttivo, e di conseguenza si ritiene ora che il fatto singolo sia più "vero" della visione complessiva che inserisce tale fatto in un contesto sensato e più significativo che lo possa giustificare. Si è perso inoltre il senso della regola e dell'eccezione, che si possono elaborare solo a partire da un contesto di senso in cui inserire gli eventi e categorizzarli. L'esperienza personale è uno dei modi peggiori per giudicare un popolo, una cultura, una civiltà, perchè sarà inevitabilmente condizionata da esperienze che in primo luogo sono esclusive (ognuno, nel medesimo contesto, potrà per tutta una serie di ragioni vivere esperienze completamente diverse e per certi versi opposte) e poi sono estremamente limitate e quindi non generalizzabili. Si tende sempre a dire a qualcuno che non può, ad esempio, giudicare un luogo e un modo di vita senza esserci mai stato, ma Kafka scrisse uno dei testi più pregnanti e azzeccati sull'America senza essere mai andato oltre la Svizzera, mentre Alexis De Toqueville passò un sacco di tempo laggiù ma ne trasse una visione estremamente parziale. Anche Kant elaborò documenti molto precisi sulla geografia mondiale senza essersi mai mosso da Konigsberg. 
In linea generale non esistono uomini buoni o cattivi, ma essi saranno prevalentemente il frutto della loro cultura che prevede, come tutte, regole ed eccezioni che vanno lette sulla base della medesima. Più ci si atterrà dunque a quello che Nietzche chiamava il "pathos della distanza" per esprimere giudizi, e dunque meno ci si farà condizionare dai sentimenti (positivi o negativi che siano) che solo la prossimità può suscitare, tanto più sarà probabile che il giudizio sia azzeccato, o comunque meno sbagliato. Nietzsche, sul punto, diceva ancora: "Non vuoi salire su di un alto monte? L'aria è più pura e si vede più mondo che mai".
#133
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
03 Maggio 2017, 01:05:13 AM
Citazione di: Lou il 02 Maggio 2017, 22:56:14 PM
CitazioneBisogna innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quando si parla di Essere (lo scrivo con la maiuscola sperando di risultare più chiaro nel prosieguo) si intende "Tutto ciò che è" ovvero un concetto da cui non si può escludere nulla (ma proprio nulla).
Non so, a me pare che in primis (cioè prima del parricidio di Parmenide operato da Platone) fosse proprio il nulla a risultare l'escluso da "tutto ciò che è".

Il nulla, essendo appunto nulla (il non essere di Parmenide) non ha alcuna essenza, nè consistenza, quindi non può essere "qualcosa" (se lo fosse contraddirebbe il concetto di nulla) che possa essere esterno all'Essere e da questo escluso dunque il nulla è una mera espressione grammaticale vuota di senso, che non intacca per niente la definizione di Essere come "Tutto ciò che è". Io infatti non ho detto che dall'Essere è escluso "il nulla" (sostantivo) ma che "nulla (niente, nessuna cosa, pronome) è escluso"
#134
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
03 Maggio 2017, 00:49:35 AM
Citazione di: Phil il 02 Maggio 2017, 22:48:28 PMChe differenza c'è fra
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMl'Essere è "tutto ciò che è"
e
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMl'essere è "tutto ciò che esiste"
o meglio, in cosa "tutto ciò che è" differisce da "tutto ciò che esiste"? Si allude alla differenza fra esistenza in generale (anche concettuale, mnemonica, astratta etc. ) ed esistenza esclusivamente empirica? Eppure anche ciò che è astratto ha una sua radice empirica (il cervello umano che pensa tale astrazione...).

La differenza sta nell'attributo e nella condizione. L'Essere è ciò che è, mentre l'essere è ciò che di quello si manifesta, che diviene. L'esistenza è la manifestazione costante e progressiva (e sempre parziale) dell'essere e comprende qualunque cosa sia, appunto, manifesta: empirica, astratta o concettuale che sia. Noi non possiamo sapere nè dire nulla dell'Essere se non che è "tutto ciò che è" e che è il necessario principio della manifestazione, dell'esistenza, del divenire, mentre possiamo descrivere (almeno parzialmente) l'essere quando questo si manifesta sotto le più svariate forme ai nostri sensi, alla nostra mente, al nostro intelletto. 

 
Citazione di: Phil il 02 Maggio 2017, 22:48:28 PMForse allora
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMl'Essere è "tutto ciò che è"
comporta che l'Essere sia semplicemente la totalità degli enti (o esistenti), ovvero l'insieme, costantemente in diveniente corso di aggiornamento, di tutto ciò che è/esiste. Si tratterebbe quindi di nulla di trascendentale, ma solo di un'umana astrazione concettuale omnicomprensiva di tutti i piani dell'esistenza (individuati dall'ente-uomo).

No, l'Essere non è un insieme, una totalità, ma un unicum che si manifesta progressivamente e sempre parzialmente. L'Essere, parlando rigorosamente, non esiste (nel senso etimologico che non "sta fuori" non si manifesta) ma allo stesso tempo è il necessario principio e fondamento di tutto ciò che esiste perchè semplicemente è, e se non fosse, ovvero se non avesse essenza, non potrebbe nemmeno divenire e manifestarsi poiche il divenire, per darsi, ha bisogno necessariamente di qualcosa che divenga. Se l'Essere fosse solo un'astrazione concettuale, un supposto insieme teorico e inventato di tutti gli esistenti, significherebbe che ogni esistente sarebbe principio a se stesso e dunque completamente indipendente da tutti gli altri, cosa che invece non è affatto poichè non si può dare un qualsiasi ente che non dipenda da qualcosa di esterno ad esso. Solo l'Essere è principio di sè e di tutto ciò che esiste, che si manifesta, che diviene.


 
Citazione di: Phil il 02 Maggio 2017, 22:48:28 PM
Citazione di: donquixote il 02 Maggio 2017, 21:27:57 PMQuesto "tutto ciò che esiste" lo possiamo chiamare anche, per brevità e magari anche con precisione maggiore, "ente": [...]L'ente dunque è tutto ciò che diviene e che possiamo considerare sinonimo di "manifestazione dell'Essere" [...] mentre gli "enti", al plurale, non esistendo come soggetti indipendenti poiché tutti dipendono dalle leggi che regolano la manifestazione e quindi l'ente (singolare), sono separazioni arbitrarie dell'ente che l'uomo è costretto a compiere per potersi raffigurare gli enti uno-alla-volta e "conoscerli".
Qui l'uso del plurale credo sia d'obbligo: l'ente, secondo me, non è mai "tutto ciò che..."(cit.), non è una totalità, come è invece "l'esistente" (inteso come "tutto ciò che esiste"), ma è solo un elemento parziale, una singolarità del "tutto ciò che...", altrimenti non sarebbe nemmeno declinabile al plurale... La totalità degli enti, in fondo, esaurisce la totalità dell'Essere attuale; se poi invece si pensa ad un Essere storicizzato, quindi anche passato o futuro, si attiva il fattore "temporalità", e la questione scopre il fianco a una trascendenza metafisica di difficile radicamento epistemologico, più affine alla mitologia monistica o alla poesia (v. Heidegger...).

Io ho usato "l'ente" al singolare intendendolo come sinonimo di "l'esistente" o "l'essente" e quindi di "totalità della manifestazione dell'Essere", e l'ho distinto dal plurale enti perchè questi ultimi, non avendo "vita propria", sono debitori all'ente della propria esistenza e hanno, se così si può dire, un grado di realtà inferiore rispetto all'ente in quanto pur avendo caratteristiche proprie e riconoscibili sono comunque il risultato di una arbitraria separazione concettuale operata dall'uomo che ha deciso ad esempio i contorni e le limitazioni che definiscono un particolare ente e lo distinguono da un altro.
#135
Tematiche Filosofiche / Re:essere e divenire
02 Maggio 2017, 21:27:57 PM
Citazione di: Sariputra il 02 Maggio 2017, 00:26:37 AMMi sembra però che pure l'essere non può essere stabilito in assenza di ciò che non è essere. Se s'intende l'essere come qualcosa che dispone di una natura propria, dovrebbe sempre conservare lo stato e la forma che le sono propri. Ma questo non avviene, perché nessuna cosa ( esteriore e interiore) mantiene la propria forma e il proprio stato, ossia è soggetta al "divenire" e quindi al mutare della propria forma e del proprio stato...( le caratterististiche uniche e peculiari di cui parli non sono proprietà dell'essere ma delle parti che determinano l'essere ; parti che mutano in continuazione...)solo ipotizzando che l'essere mantenga un "quid" ( un essere "non manifestato" che citi) che non muta mai si può dare un significato al termine "essere" ( ma questo quid non può essere che di natura trascendente...). Ogni essere viene ad essere (esistere) determinato da cause e condizioni che non gli sono propri ( non è una proprietà dell'essere la sua originazione) e che non gli appartengono se non come cause . Ma un essere ( dato in sé) può "venire ad essere"? Quando 'viene ad essere' la sua esistenza e origine stessa è dipendente da cause che lo determinano e lui stesso è causa di ulteriore manifestarsi del 'divenire' dell'essere. Ma, al di fuori di queste cause e condizioni, dov'è possibile ravvisare l'"essere"? Se non come necessità linguistica ( verbo 'essere') per dare un senso alle nostre designazioni? Se ci fosse un essere dovrebbe esserci pure qualcosa che appartenga all'essere. Non mi sembra però che sia possibile trovare qualcosa che appartenga all'essere al netto delle parti/cause e condizioni che convenzionalmente chiamiamo 'essere'... La semplice 'presenza' inoperativa degli 'enti' ( da quel poco che capisco del termine 'ente'... :( ) non può aver alcun significato per le cause e condizioni che determinano l'essere. Le cause infatti devono sottostare ad una modifica prima di poter essere causa di qualcos'altro e ciò che è soggetto alla modifica non è permanente ( ossia non è, ma diviene, si modifica cioè...). Se si obietta che ciò che sottostà ad una modifica è l'impermanente , e che il permanente non lo è, si potrebbe far presente che, poichè solo ciò che muta e diviene è effettivamente visibile, ciò che non muta può essere uguagliato al non-esistente...ossia 'per essere' bisogna necessariamente 'divenire', ma divenendo neghiamo la presenza ( come permanente, sostanziale e immutabile) dell'essere. A questa contraddizione mi sembra ci trascini il pensiero che, per il solo fatto di definire un termine, istintivamente è portato a pensare che esista sempre qualcosa di reale inerente al termine. Mentre "essere" mi appare per quello che effettivamente e correttamente è, ossia un verbo, una necessità linguistica... Ovviamente altra cosa se postuliamo l'essere come trascendente il divenire...allora qui il termine 'essere' mi sembra inappropriato e si dovrebbe chiamare per il significato che vuol intendere, cioè il termine "Dio" o "anima"...ma questo non può che "essere indeterminato"... Non mi sembra che , rimettendo l''essere' nella giusta prospettiva ( verbale), si scada nell'illusione e nell'irrealtà. Si supera, a mio parere una concezione statica della realtà e s'intravede un dinamismo fatto di realtà 'in relazione'. Sul valore per l'uomo di questa realtà fatta di relazione dinamica mi sono già espresso negativamente in altra discussione... P.S. Spero di esser stato comprensibile. Vista l'ora...

Bisogna innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco di fondo: quando si parla di Essere (lo scrivo con la maiuscola sperando di risultare più chiaro nel prosieguo) si intende "Tutto ciò che è" ovvero un concetto da cui non si può escludere nulla (ma proprio nulla). In questo senso non si può definire l'Essere sulla base di ciò che non è poichè appunto al di fuori di esso non vi è niente; si può però, come accade spesso, tentare di definire l'Essere sulla base di ciò che non è sottintendendo l'avverbio "solo" (o solamente); in tal modo se dico che l'Essere "non è rosso" non significa che è di un altro colore, ma che non è "solo" rosso ma anche di tutti gli altri colori, e così via. Ad alcuni (moltissimi) sembra che in tal modo l'Essere e il nulla coincidano e poichè entrambi non possono essere definiti non riescono a concepire qualcosa che non abbia limiti e quindi definizione, ma la differenza sostanziale e decisiva sta nel fatto che se il nulla non può avere definizioni o attributi perchè è, appunto, nulla, l'essere non può averne perchè ce li ha tutti; dire che l'Essere non si può definire significa solo che ogni definizione che gli si attribuisce, escludendo tutto ciò che in tale definizione non è compreso, limiterebbe l'Essere e lo negherebbe nella sua qualità di "Tutto ciò che è". A volte si possono trovare testi o dottrine in cui l'Essere viene chiamato "Nulla", ma con questo non si intende che è niente, bensì che non è nulla (niente) di particolare, di definito, di delimitato. Dall'Essere inteso in tal modo proviene il divenire (o se vuoi l'essere scritto con la e minuscola), che altro non è che una "espressione" dell'essere, una sua "manifestazione", che non intacca però per nulla la sua totalità, che rimane tale e immutabile. Il "divenire" lo possiamo definire genericamente come "ciò che dell'Essere si manifesta" quindi che "esiste" (nel senso etimologico di ex-stare, stare fuori, venire alla luce), quindi se l'Essere è "tutto ciò che è" l'essere è "tutto ciò che esiste". Questo "tutto ciò che esiste" lo possiamo chiamare anche, per brevità e magari anche con precisione maggiore, "ente":  ente è il suffisso dei participi presenti dei verbi attivi (essente, esistente ecc.) sostantivato, che identifica qualcosa che è "in progress", qualcosa connotato dal senso dell'attualità e che partecipa costantemente di una azione (foss'anche solo quella dell'esistere), dunque qualcosa condizionato dal moto, dalla mutazione, che si può collocare solo nel mondo del divenire. L'ente dunque è tutto ciò che diviene e che possiamo considerare sinonimo di "manifestazione dell'Essere" oppure, se vuoi, lo possiamo chiamare maya, oppure mondo fenomenico, mentre gli "enti", al plurale, non esistendo come soggetti indipendenti poiché tutti dipendono dalle leggi che regolano la manifestazione e quindi l'ente (singolare), sono separazioni arbitrarie dell'ente che l'uomo è costretto a compiere per potersi raffigurare gli enti uno-alla-volta e "conoscerli". Il nome e le definizioni che diamo all'ente cane, o all'ente albero, o all'ente uomo è una mera convenzione  umana che serve per categorizzare gli enti e piegarli in qualche modo alle necessità conoscitive umane.
Cerco ora di affrontare il tuo quesito centrale di dove si possa ravvisare l'essere al di là delle cause e delle condizioni esterne ad esso che ne determinano il divenire, e la risposta è talmente ovvia che è del tutto normale che non ci si pensi mai dandola talmente per scontata da trascurarla del tutto. L'essere dell'uomo lo si ravvisa dal semplice fatto che, qualsiasi siano le condizioni esterne in cui gli sarà dato vivere, quindi divenire, rimarrà sempre e comunque un "ente" uomo; il suo essere uomo rimane immutabile indipendentemente da tutto quello che accade intorno a lui, e  lo stesso discorso vale ovviamente per l'ente delfino, l'ente cipresso e tutti gli altri.
Per quanto possano variare le condizioni esterne durante la sua gravidanza sarà impossibile che da una cavalla possa nascere qualcosa di diverso da un cavallo, o che da una donna possa nascere un bambino con le ali o con le branchie. Poi se si vuole si può approfondire il discorso notando ad esempio che, a parità di condizioni esterne, l'essere di ogni ente non è mai uguale all'essere di un altro ente della stessa specie (non esistono due uomini identici come non esistono due ciliegi identici) ma al momento mi sembra che possa essere sufficiente come spunto di riflessione. Dunque se molte cause del divenire degli enti sono esterne agli enti stessi (e alcune sono indispensabili perchè senza acqua, aria e cibo animali e piante non potrebbero affatto divenire e senza i riti della riproduzione non potrebbero nemmeno manifestarsi) tali cause sono solo "accidenti" che non determinano affatto ciò che un ente è, ma tracciano solo alcuni limiti della sua manifestazione. Sono invece determinanti le cause interne all'ente stesso per fare in modo che questo si manifesti per quello che è, e fra l'altro queste condizionano anche la reazione alle cause esterne (l'essere di un uomo e quello di un passerotto reagiscono in un modo completamente differente ai medesimi stimoli esterni), e in definitiva si può dire nel caso di specie che l'essere di ogni ente rimane immutabile (e solitamente riconoscibile) mentre l'involucro del medesimo diviene e si trasforma fino a disgregarsi completamente.  Dunque è corretto, a mio avviso, considerare trascendente l'essere poiché non muta mentre è immanente la manifestazione progressiva (il divenire) dello stesso che ne rappresenta, comunque, un riflesso.

p.s. per rispondere ad acquario69: per quanto mi riguarda ho usato frequentemente il sole e i suoi raggi come metafora dell'essere (per dirla con la terminologia induista il sole come Brahman e i raggi come Atman) ma mai per rappresentare o evocare il divenire perchè in questo caso non mi sembra adatta.