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Messaggi - Phil

#16
L'arte del domandare è estremamente delicata; così come si può parlare a vanvera, si possono anche fare domande a vanvera. Chiunque faccia una domanda con onestà, è probabilmente interessato anzitutto alla risposta; se invece si crogiola nell'incastrare domande e incertezze (non mi riferisco a nessuno in particolare), viene il dubbio che sotto sotto ci sia un certo masochismo, sotto il quale c'è a sua volta o la voglia di non sapere le risposte (magari perché già intuite come sgradevoli) o manchi semplicemente il sincero interesse per le risposte. La retorica che esalta il ruolo del domandare, si dimentica talvolta di mettere in guardia dalle domande "infelici" (mal poste, insensate, "vuote", impossibili, puramente retoriche, "pilotate", etc.) e di ricordare che ci sono risposte molto più scomode del vivere nell'incertezza della rispettiva domanda.
In fondo, fare domande è un po' come costruire vasi: se ne possono fare molti e di molti tipi, più o meno solidi e più o meno belli, ma se poi non ci si mette dentro qualcosa, anche solo per poco tempo, non servono a molto, se non a identificare un vuoto (non c'è forse una certa malinconia, un certo "nichilismo estetico", nell'usare un vaso vuoto come oggetto decorativo, quasi per esorcizzare l'horror vacui? Ecco, alla fine, m'è scappata una domanda...).
#17
Non è il relativismo filosofico ad essere ideale o idealista (essendo incarnabile in prassi relativiste), ma è lo pseudo-relativismo, che vuole imporsi con le armi, a non essere un relativismo filosofico. Come dire: non è il non-violento ad essere idealista (soprattutto se è realmente non violento), ma è lo pseudo-non-violento, che picchia sodo per diffondere la non-violenza, a non essere davvero non-violento.
Andrebbe notato che il relativismo è, come accennato sopra, una meta-filosofia (proprio come l'assolutismo) e quindi è privo di contenuti intrinseci (per questo è "meta-"), tanto più di contenuti che giustifichino crociate, fossero anche crociate per la "gloria del relativismo" (che è un espressione insensata nel relativismo). E lo stesso vale per l'assolutismo.
L'assolutismo, come meta-filosofia, è ciò che orienta tutti gli assolutismi, anche quelli contraddittori fra loro; non è l'assolutismo a dire «sterminiamo x», ma è una visione assolutista della "teoria y" o, per dirla differentemente, l'assolutismo applicato alla "teoria y", a fare quella proposta. L'assolutismo in sé dichiara solo la presenza di un assoluto, non dice qual è (essendo "meta-"); poi ogni assolutismo, inteso come assolutismo applicato a una teoria, una visione del mondo, etc. dichiara il suo assoluto.
Con il relativismo è lo stesso, se non fosse che la molteplicità di relativi non comporta conflitto fra loro (come accade per l'assolutismo, indebolendolo), ma alimenta il relativismo stesso.
#18
Citazione di: fabriba il 10 Ottobre 2025, 11:16:19 AMnon posso che temere un mondo in cui la scienza sia in "dittatura", e il relativismo neghi lo spazio a chi trova conforto negli assoluti della religione.
Sarò sintetico (perché qui ho già predicato da anni sul relativismo): l'errore spontaneo di molti pensatori assolutisti, fra cui il papa che hai citato, è di pensare solo tramite assoluti (o almeno il fingere di farlo), facendo del relativismo solo un ennesimo assolutismo, quindi snaturandolo in un "uomo di paglia" a cui tirare freccette. Un po' come il tifoso di calcio (si torna sempre lì...) che davanti ad un quadro in bianco e nero afferma spontaneamente «non mi piace, è roba da juventini», senza chiedersi quanto sia pertinente questo commento in ambito estetico e se quel quadro non esistesse da prima della fondazione del campionato italiano. Parimenti, il timore di una "dittatura del relativismo" è il timore di un ossimoro, di un paradosso impossibile, così come un "relativismo" che «neghi lo spazio a chi trova conforto negli assoluti della religione» può essere tutto, tranne che un relativismo autentico (lo stesso dicasi per lo scientismo e altri "ismi" la cui meta-filosofia di riferimento sia l'assolutismo, essenzialmente incompatibile con il relativismo).
#19
Citazione di: daniele22 il 09 Ottobre 2025, 12:51:41 PM
quale conoscenza guiderà istintivamente la nostra azione verso il prossimo (ad esempio)?
[...]
Risposta alla domanda: la convenienza, mi sembra.
La convenienza non è una conoscenza, ma l'esito interpretativo di una serie di conoscenze. Uso tutte le conoscenze che ho e decido, interpretandole, che mi conviene comunque fumare e mangiare a piacimento perché «tanto devo morire comunque». Da quelle stesse conoscenze, altri potrebbero derivare convenienze diametralmente opposte: «dato che la morte è certa ma questa vita mi piace, cerchiamo di provare a farla durare il più possibile, facendo almeno una vita sana». Ciò dimostra che non è la conoscenza ad incarnarsi istintivamente in un'azione, ma c'è sempre l'intermediazione dell'interpretazione. Infatti non ci sono scelte esistenziali o etiche che siano direttamente scientifiche o epistemologicamente oggettive, come dicevo prima; è sempre una questione soggettiva di come elaboriamo le conoscenze a disposizione (esattamente come accade nella bioetica e in altri ambiti delle "scienze morbide").
#20
La stessa mela non può cadere due volte dallo stesso albero e ogni cadere ha un suo tempo e un suo spazio irripetibili (a seconda dei vari sistemi di riferimento), ma l'astrazione, svincolandosi appunto da coordinate precise, consente quel discorso generale sugli eventi, che chiamiamo scienza (uso il singolare impropriamente, ma per praticità).
Se è vero che la scienza ci fornisce regole a priori per anticipare comportamenti studiati in precedenza («se taglio il gambo, la mela cade» è un rapporto causa/effetto che prescinde dallo spazio-tempo di un caso specifico), è anche vero che rispetto al singolo evento arranchiamo sempre in ritardo (solo dopo che è caduta quella mela, posso scoprire che tenendola in mano ha una forma simpatica, a differenza delle altre mele).
Questo stupore a posteriori, del singolo caso, è curiosamente uno dei principali "alimenti" sia della filosofia che della poesia, due modi ben diversi di "mangiare la mela".
#21
Citazione di: Kob il 08 Ottobre 2025, 10:06:35 AMChe il sapere realmente incarnato diventi istintivo significa solo efficace, concreto. Non è forse il problema della psicoanalisi far maturare la consapevolezza del paziente in modo che sia assimilata e diventi carne e spirito, non solo mente?
Pensaci bene: il paziente incarna il sapere della psicoanalisi, la conoscenza cha la psicoanalisi apporta nel "mucchio" delle conoscenze umane? Oppure il pazienta incarna solo i risultati di una procedura psicanalitica?
Parimenti: non c'è forse essenziale differenza fra l'incarnare la critica alle religione e l'essere semplicemente ateo? Un ateo che è tale solo perché cresciuto in una famiglia atea incarna forse la critica filosofia alla metafisica e alle religioni o incarna solo il suo personale vissuto?
L'incarnare una conoscenza non si può valutare solo dai risultati; oppure, leggendo bene Nietzsche hai concluso che con "incarnare il sapere" intenda l'essere modificati da una esterna pratica del sapere (l'azione dello psicanalista), come un sasso è modificato da una martellata ma senza che esso impari a martellare a sua volta?
Cosa va reso «istintivo», l'uso attivo del sapere o il segno passivo che il sapere ha scavato in noi?
#22
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 18:46:29 PMImmaginiamo quel sapere rigoroso, comprensivo di tutte le discipline (dalla matematica alla psicoanalisi), che sia nello stesso tempo però realmente incarnato, reso istintivo tanto da non permettere più la dismissione del camice (nel caso lo si usasse).
In questo modo alla domanda se la conoscenza sia in grado di fornire obiettivi all'azione non è così ovvio rispondere di no.
Dici «Immaginiamo...»; eppure la "gaia sophia", e ancor più la "gaia phronesis", tendono per loro costituzione a non levare l'ancora dalla realtà per amore di finali alternativi; quello lo fa la letteratura, che ha sotto un foglio bianco e la gomma per cancellare sul tavolo. Sarebbe un po' come invitare a considerare l'energia atomica partendo da Einstein, ma lasciando consapevolmente fra parentesi le bombe e le centrali nucleari, per poi chiedersi come potremmo usarla in modo "alternativo"; ma sono proprio le bombe e le centrali a garantire un "senso di realtà" a qualunque discorso sull'energia atomica, evitando che diventi "letteratura" alienata dal mondo.
Provo comunque a seguirti: immaginiamo tutto il nostro sapere contemporaneo incarnato al punto da essere istintivamente connaturato al nostro agire, quale conoscenza guiderà istintivamente la nostra azione verso il prossimo (ad esempio)? Suppongo (ma potrei sbagliarmi) nessuna; perché se ci fosse una direttiva etica oggettiva e scientifica (soft) tale, l'etica diverrebbe una scienza dura, ma, come dimostrano più di duemila anni di pensiero umani, non lo è. E le scienze morbide non danno risposte univoche al punto da poter diventare una (sola) azione istintiva, poiché sono fatte anche di domande irrisolte, di interpretazioni, di dubbi, di aporie, etc. nulla che possa tradursi in un'azione spontanea degna di poter sintetizzare con un solo gesto tutta la conoscenza di quella disciplina (inclusi appunto dubbi, aporie, etc.). Non è un caso se prima citavo la bioetica: scommetto che anche studiandola tutta (almeno fino a stasera), non si potrà condensare in un'unica "soluzione" o "attitudine", al punto da essere sintetizzata in una risposta "giusta" (basata sulla conoscenza settoriale) ad un determinato dilemma bioetico.
Semplificando, sarebbe un po' come chiedere a un navigatore (il dispositivo, non un marinaio) che conosca tutte le strade e i luoghi del mondo: «dove sarebbe bello andare»? Il navigatore, nella sua conoscenza archivistica, non può conoscere il bello, ma solo informazioni geografiche, stradali, etc. e se lo forzi, ti farà un elenco più o meno random dei posti classificati come "da visitare" (ma non sarà mai un'informazione di pari oggettività e scientificità rispetto a quella della strada per arrivarci).
So già che la troverai una risposta deludente, ma è quella che ho, se la domanda è "fino a che punto" (v. domanda nietzschiana) una conoscenza incarnata, di tutte le "scienze dello spirito" e non, potrebbe guidare un'azione etica.
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 18:46:29 PMChe manchi appunto la determinazione a incarnare fino in fondo ciò che si arriva a conoscere? Questo è un salto che noi diamo per scontato che non avverrà mai (nella lezioncina a cui mi riferivo) perché appunto la conoscenza nel suo aspetto negativo di critica non ha ancora acquisito lo stesso radicamento della forza quasi istintiva di un'ideologia o di una religione.
Questo è invece il punto in cui Nietzsche, o chi per lui, rischia, come dicevo, di far rientrare la fede metafisica dalla finestra dopo averla fatta uscire dalla porta. Sembrerebbe infatti quasi prospettarsi un ritorno alla maschera dopo lo smascheramento; come dire: «va bene, abbiamo tolto la maschera, ma il nostro toglierla non è ancora abbastanza avanzato al punto da fornircene un'altra». Non è questo il superamento autentico della metafisica; non è il radicamento della critica a costituire il positivo che verrà eventualmente a sua volta criticato (questo positivo è semmai innescato principalmente la "necessità di stare al gioco" di cui sopra).
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 18:46:29 PMla dimostrazione di questa distanza sono io stesso a fornirmela (tenendo conto dell'evidente modestia del mio sapere) nel momento in cui finito di scrivere questo post e spento il pc vengo risucchiato dalla solita melanconia della sera e da fantasticherie varie. Quindi una consapevolezza che è sì presente in parte ma richiusi i libri e i taccuini (non dispongo di camice), si disperde, come se non fosse niente.
Perché, se posso permettermi, è niente. Rispetto alla «melanconia della sera e fantasticherie varie», tutta la "gaia sophia" è per te niente e non ha niente da dire.
Come ci ricorda la "firma" di una compagna di forum, alcuni anni dopo La gaia scienza Nietzsche scrisse: «La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità». Non sarà la verità a dire all'arte cosa dire, così come non sarà la "gaia scienza" la risposta alla domanda della melanconia della sera. O magari mi sbaglio, chissà.
#23
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 11:19:31 AMHo sottolineato almeno tre volte nel Topic che Nietzsche quando parla di scienza non intende riferirsi alle sole "scienze dure", ma ad una conoscenza organica e complessiva. Per intenderci, gli studi storici sul cristianesimo della seconda metà dell'Ottocento per N. sono scienza.
[...] una figura di filosofo e uomo di scienza la cui immagine più simile mi sembra quella dell'intellettuale del Rinascimento.
Capisco, ma l'intellettuale del rinascimento, trascurava forse le scienze dure della sua epoca? Occuparsi di «scienza organica e complessiva», nel 2025, significa considerare scienze dure solo quelle che arrivano fino ad inizio novecento? Per questo chiedevo di precisare i confini del tuo domandare: se vogliamo tratteggiare qualcosa di attuale (come ci inviterebbe a fare Nietzsche stesso), abbiamo alcuni contesti da tenere presente, se invece vogliamo confinarci a quello che Nietzsche voleva dire, restando "prigionieri" della sua epoca (facendo quindi più filologia che ermeneutica), allora il discorso ha altri parametri (e perde molto ancoraggio con l'attualità).
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 11:19:31 AMaffermi che a differenza dello scienziato da laboratorio, l'uomo della strada ha bisogno di ideali e utopie per orientarsi nel mondo. Ma, ancora, N. non si sta rivolgendo all'uomo della strada.
Non ho mai parlato di uomo della strada, rileggi bene: «uomo senza camice (o appunto che se l'è tolto)»(autocit.). Intendo sia lo "scienziato duro" quando non ragiona da scienziato, sia il ricercatore sociale, sia il filosofo, sia il poeta tormentato, etc. e chiunque abbia bisogno di una bussola etica per muoversi nel mondo sociale.
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 11:19:31 AMse l'estrema consapevolezza dell'uomo della conoscenza che viene da un lavoro immenso di smascheramento non possa bastare come una specie di bussola morale (diciamo così) basata appunto sullo smascheramento stesso, sul negativo (la critica) che però in un suo dosaggio iperbolico non riveli alla fine con sorpresa un positivo (di natura però diversa dal positivo delle tradizioni).
Di questo "positivo post-mascheramento" ti ho già fatto lo spoiler (avendo già visto il film), proprio parlando di come è stato sviluppato il pensiero post-nietzschiano nel novecento ed oltre.
Possiamo anche far finta che Nietzsche sia morto ieri, sentendoci i suoi diretti "discendenti", ma se la questione è «che cosa vorrebbe dire oggi per il filosofo incarnare veramente il sapere attuale senza riserve»(cit.), allora pensare al rinascimento come modello e ignorare tutti quelli che sono venuti dopo Nietzsche, non mi sembra un percorso particolarmente fertile (sebbene, come detto, se lo sviluppi in modo chiaro, mi interessa comunque).
#24
Scusa Kob, ma evidentemente non ho saputo cogliere lo spirito del topic; quando ho provato a proporre un'interpretazione di Nietzsche:
Citazione di: Kob il 01 Ottobre 2025, 09:21:44 AMla tua lettura, per quanto ingegnosa, mi sembra fine a se stessa. Una specie di performance di virtuosismo interpretativo che non ha come obiettivo chiarire il brano o il pensiero di Nietzsche, tanto meno rispondere alla domanda del topic sulla gaia scienza.
È molto lontana dallo spirito del brano che dovrebbe interpretare, e in generale dall'atteggiamento che Nietzsche mostra nel suo complesso
e quando ho ricordato le conseguenze storiche del pensiero nietzschiano:
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 18:06:17 PMè inutile [...] ripetere la lezioncina che conosciamo tutti su scienza, etica e relativismo.
Inutile andare avanti, quindi.
e in entrambi i casi mi ero agganciato direttamente a domande esplicite che avevi posto. Forse erano domande retoriche a cui non bisognava rispondere sul serio? Oppure si "doveva" rispondere solo citando Nietzsche, ma senza interpretarlo troppo (nonostante quel tuo «Immaginare possibilità e sviscerarle»)? 
Se continui a postare su questo topic, anche in forma di monologo, ti seguo volentieri, ma forse le domande che poni hanno bisogno di "istruzioni per l'uso" (almeno per me), così da evitare di incappare in risposte "inutili".
#25
Citazione di: iano il 06 Ottobre 2025, 14:08:05 PM''Passami la realtà'' è la richiesta non verbale analoga al ''passami la sedia''
La versione più corretta sarebbe «passami quella realtà» o «passami quella parte di realtà» (non stiamo infatti chiedendo di passarci tutta la realtà che c'è). Per evitare la confusione babelica che ne conseguirebbe e per assecondare il principio logico di identità (senza cui non può esserci logica, né discorso logico), abbiamo iniziato millenni fa ad usare nomi; proprio come per evitare la confusione sociale abbiamo iniziato ad usare norme, che si sono consolidate in morali, che sono andate in conflitto fra loro, che ora si contaminano nella globalizzazione, etc.
#26
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMil più scabroso di tutti i problemi: se la scienza, cioè, sia in grado di fornire obiettivi all'agire, una volta che essa ha dimostrato di poterli raggiungere e demolire
La scienza è essenzialmente ed eticamente nichilistica, nel senso che può appunto «demolire» gli obiettivi metafisici dell'agire, demistificando e spigando razionalmente (v. neuroscienze, antropologia comparativa, etc.) molto, non tutto, di ciò che prima era mistificato. Tuttavia la scienza non può «fornire obiettivi all'agire», proprio perché si occupa di studiare e comprendere, non di guidare e prescrivere norme etiche o comportamentali. Qualunque spiegazione scientifica non afferma «è moralmente giusto che a questa causa segua questo effetto», ma si limita ad analizzare e verificare tale rapporto di causa/effetto. Come esempio, basta considerare l'essere bifronte della bioetica, in cui l'aspetto etico (che è doxa) non si confonde mai fino in fondo con quello scientifico (che è episteme). Le costruzioni ciclopiche della scienza, oggi ci sono e inevitabilmente non fungono da "faro etico" ma da dispositivo tecnico, al massimo alimentano l'hybris gnoseologica o antropologica, ma non costituiscono una guida all'agire morale (anche se questo coinvolge la dimensione scientifica).
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMSe bastasse la consapevolezza dell'origine ambigua di ogni virtù e di ogni vizio – non dico per essere operatori di pace – ma almeno per dirsi: ma non vale la pena sprecare tempo ed energia in questa guerra! C'è ben altro da indagare e sperimentare che non sia l'odio per il mio nemico, che so essere un'accozzaglia di condizioni contingenti, mie e sue, personali e storiche! Ma insomma dedichiamoci a qualcosa di serio!
Così potrebbe, anzi, può esclamare l'uomo di scienza, almeno finché indossa il camice; tuttavia l'uomo senza camice (o appunto che se l'è tolto) non ragiona solo in termini di "fame di conoscenza", ma può avere anche fame di azione, di ideali, di utopie, etc. non siamo automi monodimensionali.
Che poi ci siano un nichilismo e un relativismo che, con buona pace dell'abusato motto dostoevskijano sul «allora tutto è possible», siano in concreto propensi e inclini alla pace, è un altro discorso (solitamente un sentiero poco battuto dai pensatori forti e dai militanti del "muro contro muro", del "o con me o contro di me", etc.).
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMDobbiamo per forza fingere di avere nuova fede in certi valori? Ci tocca ancora una volta ricostruire da capo la retorica sulla gentilezza, sulla generosità, sull'amore verso l'altro? Non è abbastanza evidente che non funziona con homo sapiens?
La fede, soprattutto dopo il novecento, non è affatto necessaria, soprattutto perché vanificherebbe la presa di coscienza della debolezza (e dell'inconsistenza logica) di ogni teoria metafisica, autoreferenziale, etc. quel che è necessario è inaggirabile è invece vivere (suicidio a parte) e per questo nel post precedente parlavo di pragmatismo e di «"stare al gioco" della relatività dei valori».
Faccio come sempre il solito esempio del linguaggio: una volta che ho "scoperto" che «sedia» non è il nome vero, giusto e assoluto di quell'oggetto (che un nome non ce l'ha, fuori dalle prassi dialogiche umane), nondimeno, nella vita vissuta, è pur necessario che io lo chiami in qualche modo se ho bisogno che tu me lo passi (e con un parlante italiano la frase «passami la sedia» solitamente ha un "felice" esito comunicativo). Questa mia scelta linguistica ovviamente non comporta avere fede nel fatto che quell'oggetto si chiami davvero così in assoluto, che quello sia il suo nome vero e giusto, etc. uso quella parola solo per finalità pragmatiche e utilitaristiche, perché funziona, non perché ho fede che sia la verità (anzi so che la verità è un'altra, ma faccio finta di non saperla pur di stare al gioco della comunicazione: quell'oggetto un nome non ce l'ha). Lo stesso può dirsi per le norme etiche: non è necessario «fingere di avere nuova fede in certi valori», si tratto solo di scegliere quali valori usare, in quale contesto e con quali (più o meno prevedibili) conseguenze.
#27
La pace può essere un ideale, ma spesso è vincolato ad alcune condizioni, ossia: «sarò/saremo in pace solo quando...» e quindi si vive in stato di guerra, fra una tregua e una battaglia, con se stessi e/o con una parte del mondo, nel tentativo di realizzare quelle condizioni in cui si crede di poter stare in pace. Quanto ciò sia in realtà connesso alle dinamiche del desiderio, dell'ignoranza e dell'ostilità (le tre radici della sofferenza), il buddismo lo spiega bene e, come ogni spiegazione profonda, il difficile non è comprenderla, bensì praticarla.
Fermo restando che ci sono anche individui che, per indole o formazione, non hanno interesse alla pace (anche se non lo dicono o non ne sono nemmeno consapevoli), proprio perché animati, se non "posseduti", da desideri scalpitanti, da volontà di azione, di difesa di ideali (come la pace stessa), di traguardi, etc. e in questo, se lo scopo principale è comprendere ciò che ci circonda più che idealizzare quello che "sarebbe bello" (per molti, ma non per tutti appunto), più che il buddismo forse giova pensare alle lezioni taoiste sullo yin e lo yang, sulla differenza fra le nature umane, sulle loro relazioni e sui mutamenti che questi comportano.
#28
Attualità / Re: La flottilla
03 Ottobre 2025, 23:21:55 PM
Citazione di: Jacopus il 03 Ottobre 2025, 22:25:18 PMuna donna che sfida quella macchina di morte [...] si è imbarcata per sfidare un esercito, senza sapere l'esito della sua azione. Mi sembra un atto molto nobile, come quello dei partigiani
Mi affaccio un attimo fuori da Posapianolandia, giusto in tempo per dare ragione a Niko che mette in guardia dal restare solo sul piano verbale: il piano verbale mi sembra narrare o di una bionda da stereotipo, svampita e non particolarmente brillante (come quelle su cui non mancano barzellette), o una novella Giovanna d'Arco condannata al rogo (mediatico) per le sue intrepide imprese.
Non so nulla di lei, ma il piano non verbale, quello dei fatti, mi sembra (correggetemi pure) comunque che non giustifichi il parlare di «sfidare un esercito» con «un atto nobile, come quello dei partigiani»; perché: come si è tradotta in prassi tale "sfida" (non parlo del risultato ottenuto) quando si è manifestato in concreto lo sfidante? Davvero si fa fatica a distinguere la signora/ina dai partigiani, nella prassi di come si è svolta tale "sfida"?
Risolviamo l'incongruenza seraficamente con un latineggiante «mutatis mutandis è stata la partigiana dei suoi/nostri tempi» (parole, appunto, non prassi)?
Domando solo; anche se so che basta una domanda sgradita per essere assegnato d'ufficio a uno dei due schieramenti (sempre a parole, perché nei fatti resto cittadino di Posapianolandia, quindi sub partes... super partes sarebbe suonato arrogante).
Andiamo ragazzi (di entrambi gli schieramenti), so che siete meglio di così. Ora torno a fumare la pipa e fare le parole crociate a Posapianolandia, mi sono affacciato solo perché ho visto effetti pirotecnici (verbali) fuori stagione; anche se in certi topic, se non fate attenzione, è Capodanno tutto l'anno (quindi è quasi come se non lo fosse mai).
#29
Citazione di: Il_Dubbio il 03 Ottobre 2025, 12:52:04 PMSe non se ne vedono, per me questa è la prova che non è vero che esistono altre civiltà aliene.
Qui si ricollega facilmente il solito problema dell'induzione infinita, dell'«assenza di prove che non è una prova dell'assenza», etc. ne parlammo a suo tempo anche qui.
#30
Domandone che ne contiene altre dieci, o meglio, chiama in causa un'interazione fra così tanti fattori che per non rispondere con un monosillabo secco, servirebbe cimentarsi in una di quelle ingarbugliate bacheche da detective.
Provo ad essere ordinato e sintetico senza scostarmi troppo dall'esempio pratico: il panettiere genera ricchezza finché la gente mangia pane e il mangiare è un bisogno primario; se anche scoppiasse la guerra mondiale, il "polmone naturale" che terrebbe in vita l'economia del pane (fosse anche quella del baratto o altro) sarebbe il nostro inseparabile stomaco. Il "polmone artificiale" (quello del copyright, ad esempio) che invece tiene in vita l'economia degli mp3 si basa non sul nostro stomaco, ma su bisogni secondari, indotti, culturali, etc. ed è un'economia che con i suoi ricavi consente ad alcuni individui di soddisfare sia i loro bisogni primari che secondari, ma non ingarbugliamo troppo la faccenda. Finché sono coinvolti soldi, lavoro retribuito, guadagni, etc. questa "economia dei dati" resta un'economia (capitalistica, ma appunto non complichiamo troppo con utopie alternative), ma se togliamo quel "polmone artificiale" di norme e regole che tutelano il commercio dei dati, dell'mp3, etc. cosa succede? Chi produrrà dati che non gli producono guadagno? Qualcuno sicuramente lo farà, come già lo fa adesso, ma lo scenario economico risultante sarebbe ben diverso, così come sarebbero ben diversi i nostri modi di esaudire i bisogni secondari (ne verrebbero indotti altri, facendo ripartire altri "polmoni artificiali"? Come sopra: non divaghiamo).
Resterebbe comunque il mercato dei dati personali, che inevitabilmente e gratuitamente produciamo usando Internet o altri servizi; ma qui il discorso devierebbe dai dati fruiti direttamente dall'utente (come l'mp3), per trattare di dati derivati (di secondo grado, diciamo) dalla fruizione per soddisfare i suoi bisogni secondari. E si tratta di un'economia differente da quella degli mp3.
In sintesi: sicuramente la gestione e il mercato dei dati presenta delle peculiarità rispetto al mercato dei beni non digitali, ma se liberassimo la circolazione dei dati digitali dall'economia di mercato è difficile prevedere (per me) quello che potrebbe succedere; se non che, come al solito, scommetto qualcuno cercherebbe di guadagnarci, perché ha lo stomaco che brontola o perché, proprio come la formica, vuole accumulare beni e denari per i suoi bisogni (fossero anche quelli terziari...).