L'arte del domandare è estremamente delicata; così come si può parlare a vanvera, si possono anche fare domande a vanvera. Chiunque faccia una domanda con onestà, è probabilmente interessato anzitutto alla risposta; se invece si crogiola nell'incastrare domande e incertezze (non mi riferisco a nessuno in particolare), viene il dubbio che sotto sotto ci sia un certo masochismo, sotto il quale c'è a sua volta o la voglia di non sapere le risposte (magari perché già intuite come sgradevoli) o manchi semplicemente il sincero interesse per le risposte. La retorica che esalta il ruolo del domandare, si dimentica talvolta di mettere in guardia dalle domande "infelici" (mal poste, insensate, "vuote", impossibili, puramente retoriche, "pilotate", etc.) e di ricordare che ci sono risposte molto più scomode del vivere nell'incertezza della rispettiva domanda.
In fondo, fare domande è un po' come costruire vasi: se ne possono fare molti e di molti tipi, più o meno solidi e più o meno belli, ma se poi non ci si mette dentro qualcosa, anche solo per poco tempo, non servono a molto, se non a identificare un vuoto (non c'è forse una certa malinconia, un certo "nichilismo estetico", nell'usare un vaso vuoto come oggetto decorativo, quasi per esorcizzare l'horror vacui? Ecco, alla fine, m'è scappata una domanda...).
In fondo, fare domande è un po' come costruire vasi: se ne possono fare molti e di molti tipi, più o meno solidi e più o meno belli, ma se poi non ci si mette dentro qualcosa, anche solo per poco tempo, non servono a molto, se non a identificare un vuoto (non c'è forse una certa malinconia, un certo "nichilismo estetico", nell'usare un vaso vuoto come oggetto decorativo, quasi per esorcizzare l'horror vacui? Ecco, alla fine, m'è scappata una domanda...).
