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Messaggi - maral

#166
Sicuramente questo è un tema che, nella sua attualità, andrebbe filosoficamente esplorato: come i mezzi incidono sul fine?
Io ritengo che siano i mezzi a determinare il senso effettivo dei fini, mentre dell'utopia originaria resta solo un guscio vuoto a uso propagandistico. A tale proposito vorrei richiamare un vecchio thread, il primo che aprii in "Riflessioni" in cui l'argomento, grazie agli interventi a cui diede luogo, si trova collegato al tema filosofico fondamentale della verità (a dimostrazione che anche per una filosofia che si sporchi le mani i grandi temi filosofici restano imprescindibili): https://www.riflessioni.it/forum/filosofia/14145-la-verita-ovvero-il-potere-dei-senza-potere.html
Citazione... ma credo in un rapporto di "reciprocità dialettica" fra condizionamenti del mondo su di noi e (possibile) azione nostra per (tentare di) cambiare il mondo.

Sì sono d'accordo, ma i risultati non saranno mai corrispondenti a quelli del disegno originario, la volontà non è sufficiente nei suoi intenti pianificanti, anche per questo è bene mantenersi su una scala pragmaticamente ridotta.
#167
Citazione di: sgiombo il 03 Giugno 2017, 12:48:33 PM
Nelle situazioni particolari della vita credo che sia giusto comportarsi come il buon samaritano, e  personalmente cerco di farlo.

Ma (per parte mia) credo che per cambiare il mondo non basti certo una mera somma di singole "buone azioni da buon samaritano": secondo me ci vuole ben altro, compreso un difficile, faticoso studio del mondo stesso e delle sue dinamiche oggettive nel loro complesso e nelle loro articolazioni, nonché durissime lotte di massa, popolari.

Non esistono botti piene unitamente a mogli ubriache!

Non esistono soluzioni facili a problemi difficilissimi!

Non esistono cure omeopatiche o comunque indolori per tumori maligni: occorrono comunque dolorose e mutilanti operazioni chirurgiche e pesanti chemioterapie!
Credo che già sia tanto tentare di occuparsi delle situazioni particolari, piuttosto che partire per cambiare il mondo, non c'è altro da fare ed è già un'impresa riuscire a farlo. Non siamo noi a cambiare il mondo, a creare mondi nuovi, prima viene il mondo che ci cambia ed è questo mondo che dispone i nostri modi di pensare, di raccontarcela e di sognare.
E' solo nell'acquisita consapevolezza delle nostre prassi quotidiane e limitate che qualcosa può accadere, non nell'utopia dei grandi disegni per i quali ogni mezzo è lecito, perché non è vero che ogni mezzo è lecito in vista della fede nel fine, perché è il mezzo che si usa che rende il fine degno e non il contrario e le prassi hanno sempre la precedenza sull'ideale, fosse pure l'ideale migliore che si possa immaginare.
Una prassi che nei fatti contraddica l'ideale, per quanto in certe situazioni possa apparire inevitabile, annienta l'ideale e quanto più esso si proclama giusto, tanto più manifesterà  la sua ipocrisia in modo nauseabondo. E allora non resterà che la propaganda più becera a fare da maschera ancora per un po', come sempre è accaduto, finché la maschera stessa con tutto il suo oneroso armamentario tecnico di seduzione andrà in polvere svelando il cadavere in putrefazione che ci sta sotto, pullulante di vermi e di poveri illusi. 
La difficoltà sta proprio tutta qui e a volte può apparire insormontabile e riguarda la dignità coerente della prassi quotidiana, nient'altro. 
#168
Perché consideri le cose dall'esterno, come un osservatore che guarda un ritorno che non lo riguarda, mentre anche tu ritorni e per questo ogni volta è la prima volta. Infatti se non fosse la prima volta non ci sarebbe il ritorno dell'identico.
#169
Eh, ma se tutto ritorna, ogni volta ritorna perfettamente nuovo.
#170
Il problema è che la filosofia non potrà mai essere una sorta di specialismo da aggiungersi ad altri specialismi, ciascuno isolato nella sua competenza sempre più stretta, senza che sia possibile alcuna comprensione e proprio per questo la filosofia non può più essere la storiografia di se stessa (anche se c'è modo e modo di intenderne e farne la storia). Il problema è che la conoscenza è diventata solo questione analitica (facendosi questione di sola potenza) e così facendo ha perso il suo senso complessivo, il tronco della conoscenza si è spezzato e restano solo rami e rametti, certamente interessanti, ma incapaci di produrre alcun nutrimento. Il problema è che si vede solo il pezzettino, la parte di competenza e di quella parte ogni specialista si occupa come fosse il tutto e ne va pure orgoglioso con tutta la stupidità che gliene deriva.
Se allora sporcarsi le mani di attualità significa aderire a questo specialismo tecnico in cui si è tramutata la scienza attuale, è bene che almeno la filosofia mantenga le mani pulite, se invece significa trovare il senso che ci unisce a partire dalle prassi umane, dai modi di fare concreti nel mondo ben venga.
Quello che può mirare a saper fare un filosofo è pensare (ed è un'arte assai difficile, di cui pochi - sedicenti filosofi compresi - sono capaci) ed è proprio questo che deve continuare a fare sapendolo fare e persino, se ne è capace, a insegnarlo a fare (che non significa portare a pensarla come lui), ma non può isolarsi nell'autoreferenzialità analitica del suo pensare, tutto qui.
Per il resto, alla domanda a che serve la filosofia, che oggi spesso si pone, a seguito dell'estremo sviluppo specialistico delle tecnoscienze, resta per me (che ho una formazione tecnico scientifica) sempre valida la risposta di Severino: "La filosofia non serve perché non è una serva" e ben venga chiunque non è servo e non si sente in dovere di servire, oggi ne abbiamo più bisogno che mai.
#171
Molto interessante e certamente molto bello l'ultimo frammento che hai citato, Garbino. Interessante soprattutto se raffrontato ai precedenti tre passi tratti da "La nascita della tragedia", opera del primo Nietzsche che vide la pubblicazione nel 1872, quando lui aveva solo 28 anni e ancora pensava l'espressione artistica in termini di realizzazione finalistica  della volontà di potenza. Qui invece ogni finalismo si annulla nella potente immagine di quel mondo che torna eternamente a se stesso, senza scopo alcuno al di fuori del suo eterno ripetersi, creandosi e distruggendosi per ricrearsi e distruggersi di nuovo. Non si tratta più di un'estetica della rappresentazione tragica, ma si è al culmine finale della tragedia stessa che non è più "tragedia", ma l'essenza della volontà di potenza finalmente colta nella sua totale autoreferenzialità ontologica, totale da cui nulla è escluso poiché ogni cosa si ripete allo stesso modo.
Nietzsche ha avuto il coraggio di portare fino in fondo il suo pensiero iniziale, senza arrestarsi intimorito di fronte ad esso, in questo sta, credo, la sua grande onestà e coraggio, forse un'onestà e un coraggio che solo una follia latente poteva permettere. E, oltre questo, poteva solo esserci solo il silenzio della follia finale a incarnare l'Oltreuomo, colui che troncò con un morso la testa del serpente e rise beato, libero come mai prima.

P.S. Garbino mi segnala che i passi che sopra ho attribuito a "la nascita della tragedia" sono in realtà nella "Volontà di potenza". Questo ovviamente cambia il pensiero sopra espresso, in tal caso Nietzsche sembra forse voler entrare lui stesso con la sua vita nell'opera di rappresentazione tragica che ha concepito per non uscirne più.
#172
Certo, senza un centro il cerchio inevitabilmente si disintegra, e dalla disintegrazione del cerchio potranno sorgere altri cerchi solo se ad essi corrisponderanno altri centri. Punti vuoti, ma risonanti per cui il centro non è un luogo abitabile, ma è un punto che non cessa di risuonare e convoca alla presenza insieme nella festa.
Come dice Sini non c'è comunità senza festa (ogni lavoro è lavoro per la festa) e nella festa  gli Dei danzano in cerchio con i mortali: c'è entusiasmo ove "entusiasmo" significa appunto il sopraggiungere degli Dei nel ritmo della danza ed è solo grazie all'entusiasmo che la conoscenza (che non è altro che la danza) diventa effettiva.
Ma il centro deve restare vuoto, il punto vibrante da cui irradia tutta la musica, il battere ritmico, la pulsazione che richiama gli Dei a divenire nella festa compagni di danza degli umani.
#173
La sfera parmenidea è il classico esempio di infinito limitato. La linea retta è un infinito illimitato, la circonferenza è infinito limitato (ma anche un segmento come un numero infinito di punti è infinito limitato).
#174
Aristotele (e in generale il pensiero greco) distingueva comunque tra il cattivo infinito e il buon infinito ove il primo era illimitato, il secondo limitato e solo il secondo era razionale e quindi solo l'infinito limitato poteva essere reale.
Questo discorso però, per quanto interessante, mi sembra ci porti lontano dall'argomento in discussione a meno che tu non abbia in mente di ricondurvelo.
#175
Citazione di: Angelo Cannata il 01 Giugno 2017, 17:19:28 PM
In relazione al post di maral: dovrebbe essere una filosofia che, piuttosto che pensare ad individuare domande o risposte, cerchi di individuare il che cosa fare subito, o almeno aiutare, incoraggiare ad agire, proprio in contesti che sono a rischio di disperdersi nel ricercare quali sono le domande da porsi oppure se si debbano cercare le risposte. Già tener presente che possono esistere contesti in cui bisogna evitare di disperdersi in un riflettere infinito e inconcludente mi sembra un tentativo di fare filosofia dell'azione.
Dovrebbe essere allora una filosofia performativa volta a scuotere le coscienze scandalizzandole, come quella a suo tempo dei cinici che rivendicavano il coraggio della verità nell'agire in pubblico.

#176
Ma la filosofia se è tale non può dare risposte, né legiferare con prescrizioni. Al massimo, se è una buona filosofia, può mostrare la domanda vera e il senso che vi è in essa, affinché nella domanda stessa appaia da sé la risposta a ognuno degli intelocutori.
#177
Appunto, la difficoltà sta nel mantenere il centro vuoto, lasciando sussistere in esso solo la fiducia che mantiene tutto il cerchio come simbolo. Ma capisco che se il centro è vuoto è facile pensare che non c'è ragione alcuna per mantenere il cerchio e qualcuno della periferia si sentirà giustificato a insediarvisi con i propri simboli esclusivi.
#178
Citazione di: quasar97 il 30 Maggio 2017, 23:27:35 PM
@maral


Citazione''Questo vuol dire che il medesimo non può che essere il medesimo, ma non è mai identico. Vuol dire Che Baylham, pur non  essendo altro da quello che è, non è mai davvero quello che è, è sempre altro e altro ancora, mai lo stesso; che questa lampada accesa sul mio tavolo pur essendo proprio ed eternamente questa lampada accesa sul mio tavolo non è mai davvero questa lampada accesa, è sempre altro.
E che anche in questo che ho detto, proprio perché l'ho detto, si apre a un altro dire in cui sarà contraddetto. ''
[/pre]

Quando sento questo genere di ragionamenti, mi si apre quella ''porta''. Sartre la chiama nausea, Camus assurdo, io non saprei come definirla questa sensazione, ma questo passaggio '' l'ho provato'' sulla mia pelle.
Sì, capisco, è quello che capita quando ci si espone appena oltre al formalismo classico del principio di non contraddizione

CitazioneDetto ciò, sarei curioso di chiederti, visto che lo scetticismo lo hai scartato, a cosa ''credi'', come ti disponi nei confronti del mondo, anche alla luce del tuo pensiero nell'ultimo intervento.
Lo scetticismo lo scarto sul piano della logica, in cui si presenta del tutto assurdo, ma non sul piano esistenziale dove il contraddirsi ha un senso fondamentale.
Quanto al come mi dispongo nei confronti del mondo, tento di mantenere un equilibrio in quel cammino che ognuno errando compie nella verità. Il mondo è per come ci appare, ma in esso ogni cosa appare sempre parzialmente per poter mostrarsi detta e questa parzialità è continuamente richiamata dalla totalità che non può essere mai detta né pensata, ma in cui ogni esistenza si muove sempre.
E' come procedere bendati sognando, confidando nella possibilità di condividere entro certi limiti i sogni che ci rappresentano per quello che di momento in momento si viene diversamente e parzialmente a significare. E questa condivisione è resa possibile da quello che si riesce insieme a fare, come in una sorta di sinfonia.
#179
Quali sarebbero i nostri governanti islamizzati (nomi e cognomi)? E quale fetta di elettorato conterebbero  di assicurarsi islamizzandosi?
#180
Green ha già spiegato egregiamente il motivo per cui l'essere in potenza corrisponde per Severino alla follia, quindi non aggiungo altro, se non un rimando all'ultimo testo teoretico di Severino: "Dike", in cui tratta specificatamente l'argomento (è pure un'ottima sintesi del pensiero di Severino, per chi volesse affrontarlo).
Per quanto riguarda il tempo, penso che si possa definire sicuramente un ente seguendo Severino, ma il tempo per Severino non è misura del mutamento, quanto l'eterna durata di ogni ente.
Dissento da Green solo in merito a questa conclusione:
"severino ritiene che serva un potere che resista alla scienza", soprattutto se si intende scienza come tecnica in cui ormai si configura totalmente. La tecnica è l'essenza dell'uomo (è lo stesso Severino a sostenerlo), quindi non si può resisterle (men che meno con la religione o la politica), anzi occorre che la tecnica si compia totalmente nel suo processo nichilistico. Solo pervenendo al compimento del nichilismo esso sarà infatti superato. Per questo Severino apprezza particolarmente i pensatori che, come Nietzsche, Leopardi e Gentile gli appaiono ben incamminati verso il nichilismo, mentre è particolarmente critico verso la fenomenologia di Husserl e soprattutto il pensiero di Heidegger in cui rileva il riaffiorare di una resistenza al compimento indispensabile del nichilismo.