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Vecchio 09-03-2013, 13.04.57   #1
maral
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La verità, ovvero il potere dei senza potere

Ne “Il potere dei senza potere” V. Havel ci presenta la figura di un verduraio che ogni mattina, quando la Cecoslovacchia era ancora sotto la cappa del comunismo reale, esponeva sulla sua merce un cartello con sopra scritto: “Proletari di tutto il mondo unitevi” e si chiede quale senso vero avesse per quel verduraio quel cartello. Certamente non l’adesione al significato dello slogan, ma piuttosto il senso di un adeguamento forzato a fingere una finzione per quieto vivere sotto la costante minaccia della violenza di un potere che vuole che si finga di credere nella verità della menzogna, pur sapendola menzogna:, vuole l’ipocrisia conformista e remissiva, pena l’esclusione sociale, psichica e fisica dell’individuo.
Dice infatti Havel:
Citazione:
vuole che il potere della burocrazia si chiami potere del popolo, che la classe operaia sia resa schiava in nome della classe operaia, che la totale umiliazione dell’uomo sia contrabbandata come la sua definitiva liberazione, l’isolamento dall’ informazione sia chiamato divulgazione, la manipolazione autoritaria controllo pubblico dell’informazione, il soffocamento della cultura si chiami suo sviluppo, la politica imperialista sia spacciata per sostegno degli oppressi, la mancanza di libertà di espressione come la forma più alta di libertà, la farsa elettorale come la forma più alta di democrazia, la proibizione di un pensiero indipendente come la concezione più scientifica del mondo; l’occupazione come aiuto fraterno.
Il potere costruisce ed esige la finzione usando lo strumento del linguaggio come nascondimento della contraddizione tra ciò che è e ciò che si dice debba essere e su questa capacità di imporre la credibilità della finzione esigendo il mascheramento della contraddizione che dice solo il nulla, misura la sua potenza.
Si potrebbe anche dire che al contrario dell’artista (e Havel, è stato drammaturgo) che chiede la sospensione dei giudizio di verità davanti alla finzione che propone per far sì che in quella finzione si intraveda la verità esistenziale (l’uomo per come è), noetica (la realtà per come è), morale e politica; l’ istituzione di potere usa la finzione (e la tecnica per creare finzioni) per esigere la sospensione di ogni giudizio di verità (attraverso una minaccia ribadita che chiude in sé questo spazio di sospensione del giudizio) e dunque la resa incondizionata alla fede nel falso che diventa malattia esistenziale,ontologica, sociale, morale e politica a fronte della quale l’unica salvezza possibile per i senza potere è appunto la loro intima, irriducibile verità, adesione identitaria all’essere autentico delle cose e di se stessi.
Credo che molte le riflessioni si possano fare su queste considerazioni di Havel ed estenderle dalle società del comunismo reale, ormai tramontate, alla nostra società del pensiero tecnico economico globalizzato rivelandone somiglianze e differenze, e credo che da un punto di vista filosofico sia soprattutto interessante approfondire la necessità irrinunciabile della verità (e quindi quale verità) come adesione al reale e non come mera costruzione linguistica nel gioco inevitabile di rappresentazioni e finzioni a cui ogni verità dà luogo per apparire (e apparendo volersi fare gioco di potere per conservare la propria apparizione).
Quali precauzioni terapeutiche sono allora necessarie affinché il bisogno così umano di verità nei giochi in cui si esprime realizzi la salute e la felicità dell’uomo e non la sua malattia e il suo annientamento in nome di un potere disumano.

Attendo con molto interesse le vostre considerazioni, grazie.
maral is offline  
Vecchio 09-03-2013, 22.36.11   #2
0xdeadbeef
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Riferimento: La verità, ovvero il potere dei senza potere

Nel mio post: "la verità è ciò che si dice", nell'ultima risposta riporto ciò che afferma C.Sini a proposito
della verità (il dibattito è quello sul "Nuovo Realismo"). Lo riporto quasi integralmente, perchè mi sembra significativo:

"Non è la semplice constatazione del fatto per il quale dietro a una interpretazione ce n’è sempre un’altra a
esaurire la domanda filosofica; il problema, una volta constatato questo, è di chiarire che cosa significhi e
comporti «interpretare», che cosa accada «verticalmente» in ogni evento interpretativo".

Ora: come si fa a conoscere cosa accade "verticalmente" se ogni nostra conoscenza è necessariamente nell'
"orizzontalità" dell'interpretazione? Cioè come si fa, tanto per usare le parole di Maral, a far "aderire"
l'enunciato al reale se il reale si trova irrimediabilmente al di là di ogni nostro potere di conoscenza?
Intanto, io trovo, è proficuo distinguere fra diversi concetti della verità, di cui quello della "corrispondenza"
è il più antico (Platone, nel "Cratilo", dice: "vero è il discorso che dice le cose come sono, falso quello
che le dice come non sono"), ma non certo l'unico.
La verità può infatti essere intesa in molti modi. Certo, quello di Maral è un "classico" della filosofia,
ma che dire, ad esempio, di quello di Nietzsche: "l'uomo cerca la verità: un mondo che non si contraddica, che
non illuda, non cambi, un mondo vero: un mondo in cui non si soffra"?
un saluto
(attendo anch'io considerazioni per sviluppare meglio questo interessantissimo concetto)
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 10-03-2013, 10.16.30   #3
QantonioQ
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Riferimento: La verità, ovvero il potere dei senza potere

1. Il comunismo reale si formò su una buona dose di odio e di negazione della tradizione (la religione). Anche il nazismo negò la religione dei padri. Nell'assenza del Divino all'uomo tutto è permesso - come ci ricorda Dostoevskji. Nazismo e comunismo hanno dimostrato nella storia il limite dell'umanismo, dell'uomo senza Dio.
2. Cosa possono fare i senza potere? Quello che hanno fatto storicamente: hanno sconfitto nazismo e comunismo (quest'ultimo c'entra poco con l'analisi di Marx). Solo che questa resistenza all'umanismo nazista e comunismo non è stata preventiva. E mi sembra che Maral si pone invece questa questione: come si può prevenire questa malattia? La prevenzione non consiste - secondo me - nella adesione ad una religione. Nella storia anche la Chiesa cristiana si è resa colpevole di grandi atrocità.
Non è semplice la risposta a questa domanda. Se escludiamo l'umanismo (vedi la Lettera sull'umanismo di Heidegger - è la risposta a Sartre) e la religione come mero potere, non ci resta che metterci in sintonia con l'essere e col Divino: pensiero dell'essere e ascolto del Lògos. Questo apre la via alla verità. Resta comunque il problema di come far arrivare tale verità alle masse che sono ligie ai più strampalati discorsi.
3. Nel "Cratilo" oltre al discorso vero che dice come stanno le cose, c'è forse prima, il rapporto tra singole parole e singole cose, in una nascosta onomatopea tra parola autentica e cosa. "Abbiamo lasciato la lingua in terra straniera" (Hoelderlin).
4. L'interpretazione non può che tenere conto delle precedenti interpretazioni, se è vero che i filosofi dialogano con i predecessori e li ridicono in modo nuovo. Il rapporto tra il Dire e il reale, l'enunciato e la cosa, rimando al precedente pt.3
Vi ringrazio per i vostri due post molto interessanti
QantonioQ is offline  
Vecchio 10-03-2013, 10.32.15   #4
maral
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Riferimento: La verità, ovvero il potere dei senza potere

Ecco, proprio questo è il punto, introdotto nella frase che hai citato di Nietzsche: il mondo della verità (che in termini logici è il mondo della non contraddizione, in cui ciò che si dice corrisponde a ciò che è) è un mondo in cui non si soffre più.
Ma se il reale si trova irrimediabilmente al di là di ogni nostro potere di conoscenza anche questo mondo in cui non si soffre più è irrimediabilmente al di là del nostro vivere che si realizza per rappresentazioni (e quindi finzioni) l'un l'altra riferenti e prive di commisurazione al reale e dunque è esso stesso illusione, finzione, disillusione e quindi dolore. Oppure no, il verduraio di Havel sa bene cosa veramente significa quel cartello, sa bene la verità proprio perché vive la finzione che gli è imposta e finge vera la finzione e proprio per questo, per quanto per adeguamento neghi la verità che lui sa, ad essa può sempre aspirare come certezza di salute.
Ciao
maral is offline  
Vecchio 10-03-2013, 10.56.38   #5
maral
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Riferimento: La verità, ovvero il potere dei senza potere

QantonioQ
Citazione:
non ci resta che metterci in sintonia con l'essere e col Divino: pensiero dell'essere e ascolto del Lògos. Questo apre la via alla verità. Resta comunque il problema di come far arrivare tale verità alle masse che sono ligie ai più strampalati discorsi.
E se il punto di riferimento a cui si richiede sintonia di ogni discorso e quindi dei rapporti tra singole parole e singole cose che ricucisce l'identità tra parola e cosa, fosse il proprio sentimento esistenziale che tenta sempre di trovare in se stesso e nel mondo la parola vera che davvero lo comprenda? Non si tratterebbe allora di imporre alle masse l'ascolto della verità che alla fine è solo ascolto della voce del padrone di turno, ma di far sì che ogni individuo veda e senta la propria indefettibile verità che è la propria vera salute. E forse qui il linguaggio dell'arte, attraverso le sue finzioni allusive (la forma poetica ad esempio, ma non solo), può essere fondamentale per superare quell'estraneità che esprime il senso della nostra intima alienazione dal reale.
maral is offline  
Vecchio 10-03-2013, 17.29.50   #6
Soren
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Riferimento: La verità, ovvero il potere dei senza potere

Non ho letto il libro in questione, ma comunque... Credo che la verità abbia un certo potere consolatorio sui problemi irrimediabili della vita; ma questa verità di cui si parla non mi pare alcunché di filosofico quanto la disillusione dalla narrazione politica che tenta nella sua costruzione di senso storico di assimilare e sottomettere quella individuale. La verità si trova in un mondo in cui non si soffre perché non è cosa del nostro mondo fisico e soprattutto non tocca le nostre aspirazioni ma gioca su tutto altro livello: non a caso pensiero e vita seppur legati sono sempre dimensioni nettamente distinte: quel che io penso l'ho pensato mentre sono me, è parte di me, ma non sono io nel senso stretto: è il mio raziocinio che supera la mia piccolezza di umano in tutte le sue declinazioni ( cioè quelle del piacere e del dolore ) per riconnettersi a qualcosa di universale, intoccato ed intoccabile; dimensione in cui la mia vita personale non c'entra nulla ed in cui la vita di chi soffre può trovare sollievo, sia pure, nel reale, continuando a portare i propri fardelli ( ho preso me perché solo di me ho esperienza intima, ma credo valga per tutti ); così la vita di spirito, pensiero o riflessione che la si voglia chiamare, può essere tale in virtù della sola verità senza bisogno che in realtà cambi alcunché: è sufficiente la capacità d'astrarre e d'astrarsi, cioè estraniarsi dalla propria singolarità o ego. Per cui sì, credo davvero che il cammino della verità, per usare una metafora un po' abusata, possa essere un rimedio nella vita di chi non ha il potere ( o la forza di volontà necessaria a svilupparlo ) di cambiare la realtà: ma se dovessi abbinarla ad una corrente filosofica credo equivarrebbe alla strada della rinuncia: perché il cammino della verità lo vedo sempre più puntare alla non-fede, alla non-speranza, accettando il mondo e la classe dominante come tale, rinunciando a ciò che di più si vuole essere e modellandosi su questa "nullità" terrestre del senza potere; ciò non vuol dire rinunciare a tutto, ma rifugiarsi nel grigiore di una vita che fosse come già data per finita, perché in fondo la vita di spirito è il rifugio sicuro di chi ha paura della terrificante, cangiante e sconosciuta realtà, e cerca di starsene più a margine possibile. Per questo non mi sento di definirla la via migliore... né la peggiore: è una scelta come altre. Certo poi essa si può abbinare agli uomini più diversi, ma trovo che una totale presa di posizione di questo genere abbia un che di rinunciatario, una resa nei confronti di un mondo che non si può cambiare: "so che vincerai ( e quindi hai già vinto ) tu, ma sappi che ti ho visto per quel che sei, e non vali poi molto" non è questa la consolazione della verità ? sapere che il ricco, nel regno dove ci si è trasferiti, è un mendicante, perché è vincolato ai suoi beni ed il suo spirito è attaccato alla terra. Ho parlato della questione così in riferimento ai senza potere ed al valore che la verità può avere per le persone che soffrono della propria impotenza, ma in realtà credo che in qualsiasi condizione di vita questo tipo di cammino può portare benefici: trovo anche che questo sia più vicino alla meditazione ed al "distacco" buddhista che non alle filosofie positiviste occidentali, dov'è la verità non ha alcun valore intrinseco ma soltanto di mediazione per la conoscenza ( e l'applicazione ) della tecnica. Trovo che la funzione invece da te sottolineata sia appunto più vicino alla visione orientale o schopenhauriana, dov'è non potendo cambiare lo stato delle cose, si cambia sé stessi; mentre là la si opera per aumentare la potenza, qui ( nel tuo esempio ) lo si fa per ridurre la volontà di potenza in modo da poter vivere serenamente una vita che altrimenti sarebbe di continuo tormento interiore. In fondo credo che sia accettazione ( aumento potenza, tentativo di cambiare l'ambiente esterno in funzione di quello interno) che rinuncia ( riduzione volontà, e viceversa per gli ambienti ) siano due vie ugualmente valide e preferibili ognuna a seconda dei casi e dei caratteri. Non so quanta attinenza tutto ciò possa avere col discorso da te intenzionato, Maral, ma spero almeno di aver potuto dare qualche spunto di riflessione negli intorni. Saluti
Soren is offline  
Vecchio 10-03-2013, 19.32.29   #7
0xdeadbeef
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Riferimento: La verità, ovvero il potere dei senza potere

@ Maral
Io trovo che, in Nietzsche, sia presente una equiparazione della verità al valore.
Perchè mai, infatti, il "mondo della verità" dovrebbe essere un mondo in cui non si soffre più? Non potrebbe
essere, la verità, l'atroce constatazione dell'assoluta insensatezza del mondo? Dell'assoluta immanenza NEL
mondo degli aspetti caotici e medusei dell'esistenza (tanto per usare ancora termini nietzschiani)?
Ma cosa potrebbe essere definito "vero" in un tal mondo? Beh, "vero" potrebbe essere che la volontà del forte
sottomette quella del debole; e che quindi "vero" è ciò che il forte dice essere vero (Nietzsche afferma che
il "filosofo" è colui che dice: "così dev'essere").
E quindi sì, il verduraio di Havel è colui che conosce il suo essere-senza-potere, e conosce pertanto che la
SUA verità, qualunque essa sia, non può che sottomettersi alla verità del "filosofo" di nietzschiana memoria:
la sua è, in sostanza, una verità che non può essere "detta".
E' per questo che la "verità che si dice" di Eco è, in ogni tempo, la verità che il potente dice. Ed essa viene
contraddetta solo se il potente, in un certo momento, non è più tale: mai prima o altrimenti.
Tutto questo introduce però un elemento di speranza. La "verità" non è un concetto metafisico, come Nietzsche
la intenderebbe (cadendo appunto nell'errore di equipararla al valore), ma è necessariamente ed intrinsecamente
legata al "Logos", come QantonioQ ci ricorda.
Cristo dice di essere Verità (non dice di "dire" la Verità). La Verità dunque come "scelta di verità"; come
una "volontà di verità" che si contrappone, senza certo annullarle, ad altre volontà di verità (come la volontà
del potente).
un saluto
0xdeadbeef is offline  
Vecchio 11-03-2013, 08.18.11   #8
QantonioQ
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Riferimento: La verità, ovvero il potere dei senza potere

@Maral
Non intendevo l'imposizione della verità alle masse. Sollevavo un problema: al poeta, al filosofo, al profeta può disvelarsi la verità. Ma se le masse sono prese dagli affari quotidiani e da un livello basso di vita morale, di valori, come giungerà loro la verità? Non davo risposte. Le masse - oggi assoggettate al consumismo, ai media,ecc. - sono quelle descritte come "i molti" da Eraclito e Parmenide e, infine da "Psicologia delle masse e analisi dell'io" di Freud dove è scritto: "...le folle non hanno mai provato il desiderio della verità"

Ultima modifica di QantonioQ : 11-03-2013 alle ore 14.47.50.
QantonioQ is offline  
Vecchio 11-03-2013, 15.43.36   #9
maral
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Riferimento: La verità, ovvero il potere dei senza potere

Tenterò di condensare in un'unica risposta il commento agli ultimi 3 interventi.
Parto dall'osservazione di Odeadbeef:
Citazione:
Perchè mai, infatti, il "mondo della verità" dovrebbe essere un mondo in cui non si soffre più? Non potrebbe essere, la verità, l'atroce constatazione dell'assoluta insensatezza del mondo? Dell'assoluta immanenza NEL mondo degli aspetti caotici e medusei dell'esistenza (tanto per usare ancora termini nietzschiani)? Ma cosa potrebbe essere definito "vero" in un tal mondo? Beh, "vero" potrebbe essere che la volontà del forte sottomette quella del debole; e che quindi "vero" è ciò che il forte dice essere vero (Nietzsche afferma che il "filosofo" è colui che dice: "così dev'essere").

che mi pare racchiuda anche il senso molto nicciano di quanto scrive Soren ossia, se bene interpreto) che c'è una verità consolatoria che ha paura della terrificante, cangiante e sconosciuta realtà e si rassegna rinunciando al mondo e al tormento individuale del vivere nel mondo per rifugiarsi in una beatitudine spirituale che è manifestazione di impotenza anziché operare per costruire la propria potenza. Dunque solo il fallimento dell'impotente di fronte alla Volontà di Potenza (che è verità di sofferenza), porta all'anestesia di una verità fuori dal mondo, che non aderisce alla realtà (o a quella fetta di realtà) che è spietata nel mondo.

Allora il verduraio di Havel sa di essere senza potere e quindi rinuncia a dire la verità per sottomettersi alla finzione di verità detta dal potente, perché l'unica verità è l'affermazione della potenza. D'altra parte il verduraio non ha probabilmente a sua disposizione nemmeno quel logos il cui ascolto gli permetterebbe di rilevare la contraddizione (quindi la nullità) della volontà del potente. E' molto probabilmente solo uno della massa e, come dice QantonioQ, le masse rifuggono dalla verità, proprio come rifuggono dalla libertà, non la vogliono proprio, vogliono sempre e in primo luogo la consolazione alla loro condivisa impotenza, che non è però la consolazione offerta dall'estraneazione dal mondo, ma le stesse illusioni che costruisce la volontà di potenza: vogliono il miraggio della carota da mettere sotto i dnti e per quel miraggio sono pronte ad accettare con fervore la realtà del bastone.
Per quanto mi riguarda sono invece convinto che Verità e Felicità coincidono e sarebbe contraddittorio sostenere il contrario, proprio perché non può esserci altra vera felicità al di fuori del riconoscimento di ogni cosa per come essa è. La volontà di potenza nega la cosa per come è proprio per poter esercitare la sua volontà a fingerla altra, a fingerla non come quella cosa che è. E' questo lo strappo doloroso che costantemente esige la volontà di potenza che si attua nell'isolamento dell'interpretazione della cosa, è questa l'infelicità dolorosa che peraltro è vera, perché vera è la possibilità di fingere la non verità, di adoperarsi affinché essa, non verità, sia rappresentata e creduta come verità. Dire che la verità è la nostra sofferenza significa dire che la verità è la possibilità di falsificare la verità di ogni cosa e la conseguente necessità di convincere a credere che questa falsificazione è vera affinché si possa procedere a ulteriori falsificazioni e dunque a ulteriore infelicità.

La volontà di potenza del Zarathustra nicciano è in realtà volontà che vuole che le cose siano ciò che sono e gioisce per questo riconoscimento, vuole che il mondo si sveli e sia accettato proprio per come è perché questo è l'atto di amore supremo verso il mondo, atto di nobile generosità che dona gioia al mondo, mentre la volontà di potenza dell'uomo è al contrario volontà di falsità e quindi volontà di sottrazione di gioia in cambio di consolanti quanto dolorose finzioni. Una fuga in Cielo della verità delle Cose a scopo consolatorio è quindi ancora finzione e sofferenza, è il miraggio della carota a cui anche i sapienti e non solo le masse credono tanto volentieri, perché in fondo è solo questione di stabilire come va presentata la carota a seconda di chi si vuole sedurre per farla funzionare. Cambiare il mondo e cambiare se stessi significa allora non accettare ciò che il potente vuole che si creda e rassegnarsi alle finzioni che la sua potenza sa costruire, ma lasciare che ogni cosa appaia per intera con tutte le sue inesauribili allusioni alla propria interezza, significa rinunciare a tutti i miraggi delle carote e a tutte le minacce dei bastoni e accogliere in pieno la gioia di questa rinuncia.
Certo QantonioQ ha ragione quando dice che questo non funziona con le folle, perché esige una costante integra coscienza della propria singolare verità, è possibile solo con l'individuo che si apre al mondo perché vive in questo mondo e non nel cielo dei puri spiriti.
In fondo il verduraio conosce benissimo la verità, la vive ogni giorno che vive, basta solo che trovi il coraggio di dirla rinunciando con gioia (proprio lui, proprio io, ciascuno di noi) a tutti i miraggi delle carote e a tutte le minacce dei bastoni che costruiscono finzioni e quindi sofferenza. Occorre che la volontà di potenza sia solo volontà che dice ciò che è e riconosca in questo poter dire ciò che è la sua vera più profonda potenza.
Un saluto a tutti
maral is offline  
Vecchio 17-03-2013, 01.26.42   #10
paul11
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Riferimento: La verità, ovvero il potere dei senza potere

Dalla Bibbia, Giudici cap. 7

1 Ierubbaal dunque, cioè Gedeone, con tutta la gente che era con lui, alzatosi la mattina presto, si accampò presso la sorgente di Carod. L'accampamento di Madian era a nord di quello di Gedeone, verso la collina di More, nella valle.
2 Il SIGNORE disse a Gedeone: «La gente che è con te è troppo numerosa perché io dia Madian nelle sue mani; Israele potrebbe vantarsi di fronte a me, e dire: "È stata la mia mano a salvarmi". 3 Fa' dunque proclamare questo, in maniera che il popolo l'oda: Chiunque ha paura e trema se ne torni indietro e si allontani dal monte di Galaad». E tornarono indietro ventiduemila uomini del popolo e ne rimasero diecimila.
4 Il SIGNORE disse a Gedeone: «La gente è ancora troppo numerosa; falla scendere all'acqua dove io li sceglierò per te. Quello del quale ti dirò: Questo vada con te, andrà con te; e quello del quale ti dirò: Questo non vada con te, non andrà». 5 Gedeone fece dunque scendere la gente all'acqua; e il SIGNORE gli disse: «Tutti quelli che leccheranno l'acqua con la lingua, come la lecca il cane, li metterai da parte; così pure tutti quelli che, per bere, si metteranno in ginocchio». 6 Il numero di quelli che leccarono l'acqua, portandosela alla bocca nella mano, fu di trecento uomini; tutto il resto della gente si mise in ginocchio per bere l'acqua. 7 Allora il SIGNORE disse a Gedeone: «Mediante questi trecento uomini che hanno leccato l'acqua io vi libererò e metterò i Madianiti nelle tue mani. Tutto il resto della gente se ne vada, ognuno a casa sua». 8 I trecento presero i viveri del popolo e le sue trombe; e Gedeone, rimandati tutti gli altri uomini d'Israele, ciascuno alla sua tenda, trattenne questi con sé. L'accampamento di Madian era sotto il suo, nella valle……….

Questo passo è stato citato in “Se questo è un uomo” da Primo Levi internato in un lager nazista ad Auschwitz e sopravvissuto Non riuscì mai a trovare pace nella sua anima il fatto che gli internati subissero violenze, mortificazioni indegne senza ribellarsi. E la stessa cosa accadde a lui;la mancanza di quel coraggio per potersi ribellare .Nel passo di Gedeone tratto dalla Bibbia è chiaro che l’atteggiamento passivo nel bere discrimina fra coloro che subiranno e coloro che combatteranno.
E questo è anche il limite che segna fra passività e attività sociale soprattutto nei regimi totalitari.

Astrarsi per non soffrire per mortificare i propri sentimenti per non vedere lo scempio della verità nel reale a cui necessariamente bisogna prenderne parte. Perché prima o poi anche il potere si smaschera fra giustizia e torti, fra ragione e bieco cinismo, fra sentimento è volontà di supremazia.
Allontanarsi dalla realtà rifugiarsi in se stessi per cercare una propria benevolenza e lasciarsi scorrere addosso la vita?
Quale verità nell’astrazione si può cercare quando ci si allontana dalla verità della realtà, che invece di affrontarla ci si ritrae; si bendano gli occhi per non vedere contrapponendo una quiete interiore? Ma quale quiete, il tarlo dell’anima rosica.
E quale potere potrà mai invocare una verità se non per assoggettare e rendere sudditi con il monopolio della violenza e la repressione.
Ma ogni potere umano è destinato a finire e nno grazie alla passività

Per quanto Nietzsche rappresenti uno sparti acque è finito in manicomio. I l suo prodotto esistenziale è una lucida follia sul filo di lama fra psiche e ragione, fra logica e sentimento. Se è stato un “picconatore” della tradizione è altrettanto vero che nno ha creato nulla. Il suo concetto di verità è una pura astrazione, molto lontana dalla realtà pragmatica della vita sociale. La sua volontà di potenza , l’eterno ritorno e la verità sono esigenze esistenziali collocabili al tempo del mito, prima della filosofia, nei culti orfici e dionisiaci, e forse ancor prima quando l’uomo era animale: perché in realtà Nietzsche odia la ragione e si culla nella sua follia.

Il verduraio alla fine è cosciente della sottomissione , tant’è che ironizza il potere, ….nell’attesa che coloro che sono attivi facciano il loro compito di liberatori, a meno che lo fosse anche il verduraio
paul11 is offline  

 



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