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Messaggi - iano

#31
La critica fa si che le metafisiche si moltiplichino, cambiando forma, ma restando indispensabili, come ciò che media fra realtà e sua apparenza, o forme ad essa alternative.
#32
Citazione di: Koba-san il 15 Ottobre 2025, 10:21:57 AMStai continuamente fraintendendo quello che scrivo, ti invito a leggere con più attenzione.
Se ho proposto il problema filosofico del criterio di oggettività ponendo come obbligo il rifiuto sia del realismo che della metafisica, evidentemente è perché anch'io non credo in una concezione della verità che derivi o dall'uno o dall'altra.
Non credo che di un oggetto si possa darne una rappresentazione vera.
Non credo che ci sia un Dio che in un modo o nell'altro faccia da garanzia alla conoscibilità autentica del mondo.
Qualcuno si potrebbe chiedere: perché allora cercare questa specie di "oggettività", un criterio di robustezza ecc.?
Semplice: perché coloro che cercano di trasformare le società non sono persone colte e gentile con cui sia facile trovare un accordo attraverso il dialogo.
In fondo è sempre lo stesso problema che ai tempi di Platone si presentava con certi sofisti (non tutti).
La stessa esigenza di un criterio per determinare la maggiore robustezza di un'opzione (per Platone, la verità).
Non è detto che esista una risposta.
Avevo premesso che usavo amor di critica, col rischio che tu non la meritassi.
In effetti ti dirò che è raro trovare una persona così competente in filosofia, (io non lo sono) e che allo stesso tempo si esprima in modo chiaro (io spero di farlo), dove l'esempio contrario per me è Cacciari .
Per quanto mi riguarda tutto è metafisica, compreso ciò che si mostra solido ed evidente, e che perciò diciamo oggettivo.
Cioè, le descrizioni sono metafisiche, e noi abbiamo direttamente anche fare solo condescrizioni, anche quando non sembrano tali, come l'apparenza di realtà, che acquistano solidità in ragione della nostra ignoranza, non dovendole conoscere perchè esse agiscano.
Critichiamo le metafisiche non perchè tali, ma perchè possiamo sottoporre a critica tutto ciò che salti alla coscienza.

#33
Citazione di: Koba-san il 15 Ottobre 2025, 09:16:20 AMNon si è parlato del razionalismo perché il razionalismo, dovendo spiegare la corrispondenza misteriosa tra il logos umano e la struttura del mondo, ha dovuto far ricorso a tesi metafisiche. Come le idee innate di Platone, o il Dio di Cartesio come garante di "ultima istanza" dell'edificio del sapere.
Ad essere complesso non è il logos, ma l'accettazione e la giustificazione che logos e mondo abbiano la stessa struttura.
Giusto, ma prima del logos viene l'interazione con la realtà di cui il logos è strumento non esclusivo.
Il mondo assume la forma del logos, o chi per lui, come la creta assume la forma della mano che la modella.
Ma il mondo aveva già una forma alternativa che precede il logos, generata dal ''chi per lui'', l'apparenza di realtà, che è alternativa, tanto è vero che il logos non riesce a riprodurla.
Vero è che questa apparenza coincide con la geometria euclidea, ma le nuove geometrie, non meno utili di quella, non la producono.
La realtà non ha  una sua forma, perchè il modo in cui vi interagiamo vale una forma.
Cioè posso interagire con la realtà come fosse uno spazio euclideo, e questa è in effetti l'interazione incorporata nei nostri sensi, ed è con essi che quindi coincide, e di conseguenza con la ''realtà'' come attraverso essi ci appare.
Si può agire in modo diverso, attraverso non apparenze, anche quando ancora con le apparenze si riesca a trovare una analogia, che ci dia una residua illusione di comprensione, essendo la nostra comprensione rimasta legata all'apparenza di realtà.
Essendo la comprensione  legata a un modo di interagire con la realtà, non è in genere richiesta, detto col senno di poi, dopo aver cercato di comprendere inutilmente l'icomprensibile, e incomprensibile in quanto non abbisogna di comprensione, se questa mancata comprensione non si è rivelata ostante come credevamo.
Come plus,  i compiti non necessitanti di comprensione, abbiamo potuto affidarli a macchine che nulla capiscono.
#34
Citazione di: Koba-san il 14 Ottobre 2025, 17:45:28 PMNon sei l'unico ad aver capito che siamo tutti su delle fondamenta di argilla.
Anche la tua soluzione non fa eccezione: la maggiore oggettività viene dal confronto dialettico. Bene, ma che cosa significa in pratica? Un dialogo in cui alla fine i due contendenti devono mettere da parte le loro sofisticate astuzie retoriche e una buona volta rivelare i fondamenti su cui si basano le loro posizioni.
Ora, questi fondamenti possono essere di tipo metafisico-religioso, oppure radicarsi in una concezione ingenua della scienza (nell'esempio del lavoro minorile, la convinzione di conoscere la natura autentica dell'oggetto, cioè lo sviluppo normale e naturale del bambino – ma sappiamo che questo tipo di sapere presunto se analizzato attentamente può sempre essere smontato), oppure, e questa è la situazione specifica e coerente con il nostro tempo, cercare una forma di oggettività anche in assenza di fondamenti.
Dialettica o inter-soggettività non sono la risposta. Nel senso che sì, certo, il risultato viene fuori da un confronto, da un dialogo, da interazioni sociali e culturali ecc., ma il punto è: che cosa, all'interno di questa contesa, determina il risultato, cioè la posizione vincente?

E che cosa determina invece la posizione perdente?
Da un punto di vista evoluzionistico la risposta è nota.
Però andrebbe specificato che esistono solo gli individui viventi, e che le specie sono solo un espediente descrittivo, raggruppandosi gli individui per semplicità in qualche modo, per una qualche intersoggettività.

Ciò che per noi è un problema, per l'evoluzione è la soluzione.
La ricchezza di opinioni se non ci fosse bisognerebbe inventarla.
Quindi il contributo che possiamo dare coscientemente all'evoluzione è di incentivare lo spirito critico, e a tal proposito, chi concorda con me, in ciò non mi aiuta.
L'accordo non va cercato, ma fuggito, finché fuggendo non ci si trovi con le spalle al muro, e allora ci arrenderemo, ma in effetti è proprio quello che facciamo qui.
Se ciò che tu dici mi piace e mi convince subito, è perchè senza saperlo ero d'accordo.
Cioè, tu hai trovato le parole che io cercavo per dirlo, ma questo non è un vero dialogo, ma la verifica di una concordanza che già c'era, e che attendeva solo di trovare espressione.
Quindi, per spirito critico, ti dico che dalla forma in cui tu hai posto il quesito, e cioè perchè una tale posizione vince, potendosi porre lo stesso quesito in diverse forme equivalenti, io induco la tu risposta non detta: ''la posizione che vince, vince perchè più si avvicina alla verità''.
Non sono d'accordo.
#35
Citazione di: Alberto Knox il 15 Ottobre 2025, 03:12:31 AMgli eventi fisici manifesti, il pensiero e il linguggio.
Gli eventi fisici manifesti a chi?
La domanda sembra banale, ma ci sono eventi fisici manifesti a qualcuno e non ad atri, che fanno la differenza fra i cosiddetti pazzi, quando non animali, e i normali.
Normale sembra essere ciò che viene condiviso, l'intersoggettivo.
Ciò che gli uomini condividono, o meglio ciò che essendo condiviso da alcuni esseri viventi, vengono detti perciò uomini, mentre i pazzi, pur avendone l'aspetto, per non dire degli animali che l'aspetto non ce l'hanno, vengono esclusi.
Usando il linguaggio, attraverso la dialettica, si può condividere, ma ci si capisce parlando perchè c'è un condiviso costitutivo, che la fa da padrone.
Alla dialettica rimangono solo i dettagli da regolare, che però essendo in primo piano, sembrano essere la parte grossa.
La parte grossa invece è nascosta, facendovisi appenna cenno, col termine riassuntivo: ''uomo''.
Di quei pochi dettagli da regolare, prima della scienza, ve n'erano ancor meno, e in sostanza si era tutti d'accordo su tutto, perfino sullo stesso Dio, perchè seppur tutti si facessero la guerra, erano  pure d'accordo nel farla in nome dello stesso Dio.
In breve, questi uomini, che poco sapevano di se, se non ciò che era riportato su vecchi rotoli,  concordavano però sulla verità, o meglio, la possedevano, senza bisogno di dovervi concordare.
Oggi non è più così, e il motivo potrebbe essere l'aumentata conoscenza di se, avendo l'analisi portato fuori questo se, quindi resolo discutibile, alla mercé della dialettica, alla quale affidarsi per recuperare diversamente  l'accordo perso.
Quando l'accordo, per quanto difficile, si ritrova, come nel caso del metodo scientifico, tutto riparte, e ancor meglio di prima, ma è un accordo che non vale più la verità.
Non si può non concordare sulla verità, ma ciò su cui si concorda non perciò è vero.
E' l'intersoggettività a farci uomini, e ci si poteva arrivare anche prima di trovarne una prova, il DNA.
La dialettica è possibile se c'è una base comune di discussione, ed è infatti fra noi uomini che si discute.
Non c'è quindi così tanto da disperarsi perchè non riusciamo a metterci d'accordo, se il grosso dell'accordo già c'è, ed è ciò che ci fa uomini, e in quanto uomini capaci di comunicare, e quindi eventualmente di trovare un possibile accordo.
#36
Citazione di: Koba-san il 14 Ottobre 2025, 08:33:30 AMQuesta distanza non è fisica, ma riflessiva: consiste nel comprendere anche il proprio sguardo come parte del mondo osservato.
Questa distanza c'è già, ma è temporale.
Quello che possiamo fare è osservare i nostri punti di vista passati, a cui possiamo aggiungere l'ipotesi che nella sostanza non siamo cambiati, che è comunque alternativa a quella fin qui praticata.
Togliere centralità al presente, questo lo possiamo fare.
Se tutti, o quasi, pensiamo oggi che la soluzione A sia la migliore, non è migliore perchè lo pensiamo oggi.
L'osservatore che osserva si può osservare, se non pretende di farlo contemporaneamente.
Se il lavoro minorile è stato sfruttamento, è stato anche altro, come fa notare Jacopus, e cioè fattore di crescita e responsabilizzazione con acquisizione di sicurezza.
Quindi nella misura in cui oggi possiamo svincolarlo dalla necessità economica, nella misura quindi in cui non è configurabile come sfruttamento, andrebbe incentivato.
In ogni caso la scelta dipenderà dal tempo che viviamo, e  andrebbe vista  come adattamento ottimale alle condizioni presenti.

Osservarsi dunque nella prospettiva storica, laddove quella prossima produce coscienza di se, che vale osservare un se appena passato.
L'osservatore non può osservarsi se non sdoppiandosi nel tempo.
Osservarsi come osservatore non può farsi comunque in contemporanea, se non espandendo arbitrariamente il presente, e d'altronde da dove dovrebbe nascere questa esigenza se non dalla impropria centralità che diamo al presente.
Noi non orbitiamo attorno al presente, e ciò che sembra  apparirci in modo immediato, come cosa in se, è un processo che si svolge nel tempo, e può svolgersi in tempi e modi diversi.
La cosa in se pretende di presentarsi a noi in modo immediato e all'istante, ma a ciò possiamo credere solo astraendo il tempo dall'osservazione, cioè, di fatto, non avendone  coscienza.
Usando coscienza, come la scienza fa, l'apparenza di ogni realtà si sbiadisce, in una analogia prima, e poi sparisce del tutto.
Non è piacevole, ma questo è, e comunque se diversi sono i modi in cui interagiamo con la realtà, e nessuno, A o B, è migliore, possiamo tenerci i vecchi, arrichendoli coi nuovi.


#37
Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 17:21:03 PMIano invece ritiene che per lui non abbia senso spiegarci (e spiegare a se stesso) perché sceglie A e non B, in quanto "non crede alla verità". In realtà, è proprio il contrario: avendo assimilato nella propria filosofia il rifiuto del realismo, proprio perché rifiuta l'idea di una descrizione privilegiata della realtà, diventa interessante capire da dove nasce quella sensazione di maggiore solidità di A.
Nasce dalla nostra intersoggettività.
Nasce quindi da ciò che abbiamo in comune, e che ci porta a vederla tutti allo stesso modo.
Se ciò a te non risulta, perchè ad esempio noi due non la vediamo allo stesso modo, è perchè questa è la parte che emerge dell'iceberg, l'unica che possiamo mettere in discussione, comunicando fra di noi.
La parte sommersa è invece quella che ci permette di comunicare, e che ha maggior peso nelle nostre scelte, determinando una uniformità di vedute, non diversamente spiegabile, se non con il realismo.
Rifuitare il realismo non significa disconoscere la realtà, ma includere con pari peso l'osservatore.
Il metodo scientifico, che nasce come tentativo di escludere dai risultati trovati la soggettività dell'osservatore, si limita in effetti a farci agire come un sol uomo con la sua soggettività, e in ciò sta la sua potenza, e non nello scongiurare la soggettività come inquinante della verità.






#38
Tu stai chiedendo a colui per il quale la verità non esiste, quale descrizione sia più credibile, che si avvicini cioè di più alla verità.
Nella misura in cui il mondo/descrizione in cui viviamo ci sembra vero, il discrimine è la sua vivibilità.
Il vero problema quindi per me è un altro.
Noi uomini non abbiamo vissuto fino a un certo punto nello stesso mondo, oggi messo in discussione dalla scienza, ma gli uomini sono coloro che fino a un certo punto hanno vissuto nello stesso mondo.
Ora che i mondi si sono moltiplicati, a causa o grazie alle nuove descrizioni scientifiche, la scommessa è di continuare a viverci ancora tutti insieme, cioè di restare uomini.
Non sono le specie a vivere dentro alle nicchie ecologiche, ma è il viverci a determinare le specie.
I nuovi mondi disegnati dalla scienza hanno il valore di quelle nicchie ecologiche.
Nei tuoi discorsi è sottinteso che l'umanità resti tale, a prescindere da quale descrizione della realtà vorrà adottare, per i motivi che vorrà, ma non è così.
Andando alla ricerca della verità stiamo perdendo di vista il nostro bene più grande, ciò che ci fa uomini, se all'essere uomini diamo un valore, l'intersoggettività, passata in secondo piano, una volta stabilito che essa non porta alla verità.

#39
Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 11:31:30 AMTu vivi già all'interno di un mondo abitato da descrizioni/interpretazioni che orientano le tue scelte e i tuoi giudizi.
La domanda riguarda il criterio di robustezza con cui ti affidi ad una descrizione piuttosto che ad un'altra.
Perché pensi che la descrizione A sia più solida della descrizione B?
Avevo già precisato che il termine "oggettività" era da intendersi in un contesto non realista.
Quindi ti invito a non tornare continuamente sulla distinzione tra descrizione e realtà, ma ad affrontare direttamente il problema che ho posto:
qual è il criterio che determina la maggiore credibilità o solidità di una descrizione rispetto a un'altra?
il mondo in cui vivo è il prodotto di una descrizione, e nella misura in cui di ciò non ho coscienza posso credere che sia abitato da descrizioni.
Io vivo dentro una descrizione, che nella misura in cui è unica  vale la realtà, come è stato fino a un certo punto della nostra storia, ed in parte ancora lo è per alcuni, e che vale un ''mondo di vivere'' la realtà che si mostra tanto più solido quanto meno ne ho coscienza.
Infatti i mondi della scienza in cui oggi proviamo a vivere non hanno alcuna solidità per chi ne ha piena coscienza.
L'unica descrizione solida è stata e continua ad essere quella della realtà come ci appare.
Tutte le altre non lo sono, ma mostrandosi non meno utili, non userei il discrimine della solidità per giudicarle.
Tu stai chiedendo a chi non crede nella verità quale descrizione sia  più credibile.
Cosa ti aspetti che ti risponda?
Posso solo provare a spiegarti qual'è la mia visione, e che dentro a quella visione la tua domanda non ha senso dovresti arrivarci da solo.
Io la tua visone della realtà la comprendo bene, perchè ci hi vissuto dentro, ma non ci vivo più.
Comprendo benissimo dunque le domande che da quella visione derivano, e che tu mi poni, ma non posso rispondere senza contraddire la mia visione della realtà.







#40
Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 09:49:48 AMNon hai risposto alla domanda.
Se togliere senso a una domanda, vale una risposta, io ho risposto alla tua domanda.
#41
Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 09:49:48 AMNon hai risposto alla domanda.
La domanda è: perché la descrizione A è più oggettiva (per me, per te, per tutti) della descrizione B?
Es.: perché la spiegazione psichiatrica della psicosi è più oggettiva di quella fatta dall'astrologia?
Che cosa determina la maggiore o minore oggettività di una descrizione? - dato per scontato che si tratta appunto di descrizioni e non della realtà stessa (nella traccia si sottolineava di tenere ferma una posizione anti-realista, quindi nella valutazione delle due descrizioni si assume che ci sia consapevolezza che si tratta di interpretazioni o descrizioni, e non di rappresentazioni capaci di restituire fedelmente l'oggetto).
Che bisogno hai di descrivere l'oggetto in modo oggettivo se per te è già di per se oggettivo?
Per me l'oggetto è il prodotto di una descrizione della realtà che non conosco.
Se la conoscessi che bisogno avrei di descriverla?
La descrizione della realtà segue alla presa di coscienza di sapere di non sapere.
Cioè la descrizione inizia dove finisce l'illusione di oggettività, e produce quindi cose di quella illusione  privi.
Cose tipo spazio-tempo e quanti, per intenderci, privi di oggettività, o possessori di una oggettività quantomeno da ridefinire.
L'alternatività delle descrizioni è una ricchezza, non un problema.
Il problema è secondo nella loro difformità.
Mi spiego meglio.
Bisogna cioè dare al quanto la concretezza di una palla da biliardo, oppure dare alla palla da biliardo l'astrattezza di un quanto.
A me pare più feconda la seconda operazione.








#42
Citazione di: Koba-san il 13 Ottobre 2025, 08:15:10 AMEcco allora un problema filosofico da risolvere.
Traccia del problema: abbiamo due descrizioni di uno stesso fenomeno o di una classe di fenomeni.
La descrizione A e la descrizione B.
Nella misura in cui tendiamo a confondere la realtà con le sue descrizioni, faremo domande sulle sue descrizioni credendo di starci facendo domande sulla realtà, come fosse fatta ad esempio da classi di fenomeni.
Ma la realtà è classificabile per il motivo che non è fatta di classificazioni, e che si possano fare quindi  classificazioni/descrizioni fra loro alternative, è  ciò che ci dobbiamo aspettare.

Con ciò non voglio dire che una data descrizione non ci dica nulla sulla realtà, ma che siamo portati  a trascurare quanto ci dica su di noi, ciò che basterebbe a destituirla di oggettività.
Di oggettivo rimangono i nostri modi non univoci, A, B, etc.. di interagire con la realtà, come fosse fatta di corrispondenti oggetti a, b, etc...


#43
Citazione di: fabriba il 12 Ottobre 2025, 07:42:52 AMQuale passo avanti fa la scienza quando "smaschera la metafisica", quando sostituisce un modello di realtà con uno nuovo, quando a Newton sostituiamo Einstein?
Fuori dall'idea che tutto sia descrizione la risposta è ovvia, ma rimanendo dentro l'unico passo avanti è poter prevedere e spiegare con più accuratezza gli eventi.
Di certo non è un passo avanti nel cammino infinito verso l'uscita dalla descrizione, e per vivere nel reale.
La descrizione è l'unico modo possibile di vivere nel reale, e cambia perchè cambia il soggetto che la vive. Come si fa diversamente a vivere nel reale restandone separati?
Questo unico modo possibile di vivere nella realtà, l'essere una descrizione, non necessita della coscienza di essere descrizione.
Questa incoscienza è ciò che ci fa dire la descrizione realtà.
Questa coscienza si chiama scienza.
Non devi conoscere la grammatica per parlare, ma parlando la usi.
Se ne prendi coscienza puoi creare linguaggi nuovi.
Non devi conoscere la grammatica dell'immaginazione perchè la realtà ti appaia. Ma se ne prendi coscienza , crei linguaggi alternativi a quelli immaginifici.

#44
Citazione di: fabriba il 12 Ottobre 2025, 07:42:52 AMNon saprei dire dov'è la differenza tra religione e scienza quando si arriva a questo livello di discussione.
Quale passo avanti fa la scienza quando "smaschera la metafisica", quando sostituisce un modello di realtà con uno nuovo, quando a Newton sostituiamo Einstein?
Fuori dall'idea che tutto sia descrizione la risposta è ovvia, ma rimanendo dentro l'unico passo avanti è poter prevedere e spiegare con più accuratezza gli eventi.
Di certo non è un passo avanti nel cammino infinito verso l'uscita dalla descrizione, e per vivere nel reale.

D'altra parte il nostro credere che la velocità della luce è insuperabile è un atto di fede che aspetta solo di essere smascherato.

La religione fa a meno di questo: ha una descrizione già perfetta in grado di spiegare qualsiasi cosa tramite la volontà divina (se teista, o "il cosmo" , "il karma" in altri sistemi).
Perché dovrebbe essere superata? Non vedo relativismo in questo.
Immagina con me per un minuto un mondo in cui l'intelligenza umana sia sorpassata da quella artificiale come lo fu la forza fisica secoli fa.
In quel mondo in cui la scienza è fuori dalla lista di responsabilità umane, in cui smascherare le metafisiche per fare passi avanti nella capacità di descrivere e prevedere gli eventi è uno sforzo irrilevante, in quali modi è superata la metafisica della religione rispetto a quella della scienza?

--
Sto veramente facendo l'avvocato del diavolo dentro la cornice che hai disegnato tu.
Tu rendi centrale nella descrizione del mondo la questione degli smascheramenti successivi, mentre secondo me è più utile (fertile?) una descrizione centrata sulla scienza come descrizione del "reale" in cui la questione degli smascheramenti rimane un asterisco a fondo pagina
Usando l'espressione ''passo avanti'' ho detto ciò che non penso.
''Cambiamento'' in ambito evoluzionistico è il termine con il quale mi correggo.
Certo nel passaggio da Newton a Einstein c'è sicuramente un ''passo avanti'', però la cosa si può leggere in modo diverso, essendo la scienza non l'impresa di singoli geni, ma un impresa umana, che si può dividere in parti per descriverla, ma che sostanzialmente è continua.
Se guardiamo allora l'impresa Newton-Einstein come un unica impresa, Einstein semplicemente la conclude, e nel mezzo dovremmo metterci anche Maxwell, ma volendo potremmo metterci propio tutti, se il racconto, appesantendosi, non perdesse in efficacia.
Questa impresa la si può raccontare come una presa di coscienza, dove la metafisica gioca un ruolo inedito, quello della finzione necessaria, per divenire poi ipotesi che perde ogni aggancio con la realtà.
Presa di coscienza del ruolo giocato dalla geometria, la quale non risiede  in terra, ma neanche più nel cielo delle perfette sfere, ma dentro di noi, come linguaggio col quale possiamo descrivere la realtà, ed Einstein si limita a portare alle ''estreme'' conseguenze questa presa di coscienza.
''Estreme'' fra virgolette, estrema dentro i termini arbitrari della divisione che abbiamo fatto della storia per poterla raccontare in quei termini, perchè la geometria non esaurisce il linguaggio matematico, e dunque quest'opera descrittiva non è destinata a una fine , ne tende a un fine.
Cioè, io vedo la scienza dentro  a un quadro evoluzionistico che non va da nessuna parte, e non riesco a vedere ciò come un problema.
Sono però anche curioso di capire perchè per altri sia un problema.
Intendiamoci, non è che io sia del tutto insensibile alla tensione della ricerca di un fine, ma alla fine ho realizzato che è una inutile complicazione, un refuso di vecchie descrizioni.

La velocità della luce non richiede un atto di fede, ma è l'esperimento che ne dimostra la costanza, con tutto il resto della fisica, ad essere basati su ipotesi che non richiedono più di essere evidenti, come d'altronde non lo sono mai stati gli assoluti della metafisica.
Cioè le ipotesi sono la versione rivista e aggiornata delle metafisiche, con il plus, che diversamente da quelle si possono cambiare, per cui non possono più dirsi assolute.
D'altronde la supposta natura degli assoluti non ci ha impedito di cambiarli nel tempo, quindi direi che la sostituzione con le ipotesi sia adeguata.
L'ipotesi divina è degna di rispetto come tutte le altre.
Tutto dipende da cosa ci dobbiamo fare.
#45
Citazione di: Morpheus il 11 Ottobre 2025, 20:27:19 PMInfatti io non ho detto che le coincidenze sono innegabilmente coincidenze. Anzi, avevo scritto precedentemente che non possiamo essere sicuri al 110% che lo siano (però vale anche il contrario). Dunque io, personalmente, trovo però più ragionevole guardare una coincidenza, in generale, come ad una coincidenza e non come ad una non-coincidenza.
Penso che tutta questa discussione sia basata su un equivoco, per uscire dal quale dovremmo distinguere fra pura coincidenza e non.
Diversamente ci troviamo a dire ovvietà come  ''le coincidenze sono innegabilmente coincidenze.'', oppure assurdità come ''le coincidenze possono non essere coincidenze''