Una regola elementare di strategia militare è: cercare sempre di confondere il nemico. Usare ogni mezzo per creare subbuglio.
Ma se il nemico è dentro di noi, come dicevo sopra, che fare?
Il dott. Benway, noto per essere "un manipolatore e un coordinatore di sistemi simbolici, esperto di interrogatori, lavaggio del cervello e controllo" (W. Burroughs, Naked Lunch, p. 32), negli anni '50 proponeva tecniche che conducevano il soggetto a convincersi di avere qualcosa di spaventosamente sbagliato e di meritare quindi severe punizioni.
L'accettazione del controllo, delle varie manipolazioni del corpo, delle più diverse forme repressive – da una burocrazia misteriosa e complessa a perquisizioni tanto arbitrarie quanto invasive –, diventavano concretamente possibili tramite l'assioma della colpa.
Una colpa originaria che nasce – questo è il punto – dal convincimento di avere in sé un nemico. Qualcosa di oscuro da cui necessariamente difendersi.
La psicoanalisi, come scriveva Elvio Fachinelli, "dopo lo squarcio iniziale ha finito per basarsi sul presupposto di una necessità: quella di difendersi, controllare, stare attenti, allontanare..." (E. Fachinelli, La mente estatica, p. 15).
"L'idea di un uomo che sempre deve difendersi, sin dalla nascita, e forse anche prima, da un pericolo interno" (E. Fachinelli, p. 16).
Percezione generale di un pericolo, quindi ricerca di sicurezza, quindi accettazione del controllo.
Così possiamo dire che l'opera di ingegneria sociale del dott. Benway si basava su un luogo comune "deviante" che viene dalla psicoanalisi stessa: una rappresentazione della mente in cui al centro c'è la necessità della difesa anziché la spinta all'apertura, all'abbandono.
L'inizio politico di questo topic andrebbe così rimesso in discussione da queste conclusioni: non è soltanto il monoteismo a spingere verso una società regressiva e paurosa, ma anche la psicoanalisi, o almeno una sua versione, che è poi quella probabilmente maggioritaria.