Alla ricerca della gaia scienza

Aperto da Koba-san, 16 Settembre 2025, 11:26:49 AM

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niko

#45
Citazione di: iano il 30 Settembre 2025, 12:48:43 PMNon lo capirò mai, ne mi consola non esser il solo.
Io concepisco solo l'eterno divenire di cui l'eterno ritorno è solo un caso ammesso.
Concepisco la costanza del divenire che rende possibile la conoscenza.
Non concepisco la volontà e il desiderio dell'uomo come centrali, perchè non approvo la centralità dell'uomo, se non come caso particolare di osservatore che evolve, spostandosi da una centralità all'altra.
Noi siamo l'osservatore, colui che stando oltre la fisica, l'osserva.
Noi siamo metafisica, e possiamo osservare solo ciò che siamo stati, potendo dichiarare la sola metafisica che non è più.
Dichiarare la metafisica è celebrarne il funerale.
La metafisica è morta, viva la metafisica.


Possiamo osservare solo cio' che siamo stati, e, amandolo lo riproduciamo. L'errore, insomma, e' sempre pensare che possa esistere una "osservazione" disinteressata.

La vita, o almeno, quella cosciente, e' tutta una proiezione verso il futuro della " verita' " intrinseca di una coscienza, e cioe' di un presente e di un passato. Un automantenimento complesso, che passa per una riproduzione "formale".  L'uomo si ama, e fa, un mondo a misura d'uomo. Lentamente, ma lo fa'.

Quello che mette al "centro" il desiderio/volonta', e' appunto il suo nesso con la realta'/necessita'.

Per la parte deterministica, basta che le combinazioni possibili del divenire siano limitate, e lo spazio o il tempo, illimitato. Il resto segue. Isole ritornati in un piu' grande sistema molto probabilmente non mai ritornate. 147, che di tanto in tanto, ritorna in P greco. Il P greco nella sua interezza, e cioe' il "mare", presso cui galleggiano le "isole", ritornanti, non ha come testimone nessuno. Se non, forse, Dio; che pero', appunto e' stato ucciso.


Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

daniele22

Citazione di: iano il 30 Settembre 2025, 09:29:22 AMCome ho scritto l'ho compresa meglio inserita nel contesto della discussione. Ma se tu avessi provato a esporla in modo diverso, invece di riproporcela immutata, come fosse scolpita nella pietra, forse non avrei dovuto aspettare 4 anni per capire.
Ognuno di noi è come un cliché e per quanto ci si sforzi è molto difficile uscire dai propri binari. Io tra l'altro nemmeno mi sforzo, quindi non costituirò certo l'eccezione.
Ti ho già colto in fallo un paio di volte nel mentre che mi attribuivi cose che non avevo detto e questo atteggiamento, oltre che a essere offensivo, è pure sciocco. Avresti dovuto invece chiedere, se una cosa ti era poco chiara e oltretutto monotona, ma no, continui a mentire. Per darmi ragione infatti dovresti dire che la mappa e il territorio sono la stessa cosa, ma dato che non lo dici stai mentendo; non puoi pertanto darmi ragione.
In ogni caso nei topic in cui mi immergo cerco più che altro di smontare le tesi altrui, come sto facendo ora del resto. È chiaro che al tempo stesso devo ribadire il mio pensiero. Vuoi che prendiamo un topic a caso? Scegli tu
Saluti

Koba-san

@Phil
Sarò sincero: la tua lettura, per quanto ingegnosa, mi sembra fine a se stessa. Una specie di performance di virtuosismo interpretativo che non ha come obiettivo chiarire il brano o il pensiero di Nietzsche, tanto meno rispondere alla domanda del topic sulla gaia scienza.
È molto lontana dallo spirito del brano che dovrebbe interpretare, e in generale dall'atteggiamento che Nietzsche mostra nel suo complesso quando tratta della conoscenza, da Umano troppo umano a La gaia scienza.
Infatti proporre la possibilità che N. immagini una verità che non si fa del tutto esaurire dalla conoscenza, rendendo così possibile ancora e per sempre l'avventura della scienza, significa rimanere nei pressi di una concezione realista del sapere – anche se con la domanda finale dell'aforisma si rimanda ad un misterioso limite –. Se fosse così N. sarebbe caduto in una clamorosa regressione filosofica. A me sembra impossibile. Rileggo allora quel brano e ne faccio una sintesi più accurata.

Brano n.110, "Origine della conoscenza"
Per lunghissimi periodi l'intelletto umano non ha creato altro che errori. Alcuni di questi errori si rivelarono utili alla sopravvivenza e furono tramandati alle generazioni successive.
"Tali erronei articoli di fede sono per esempio [...] che esistano cose uguali, che esistano cose, materie, corpi, [...] che il nostro volere sia libero, che quanto è per me bene lo sia anche in sé e per sé".
Solo molto più tardi si iniziò a mettere in discussione la fondatezza di questi convincimenti di base.
E si presentarono dei pensatori che vollero non solo sostenere certe idee opposte, ma anche incarnarle. Venne così inventato il saggio. Che però, per essere coerente con la sua dottrina, dovette "negare il potere degli istinti nella conoscenza, e concepire in generale la ragione come attività pienamente libera scaturita da se stessa".
Questi primi saggi (Nietzsche fa l'esempio degli Eleati) furono spinti a negare il fatto che la loro dottrina era funzionale alla vita – ad una specifica forma di vita. Anche la loro verità era cioè utile alla vita, per quanto in modo indiretto e nascosto rispetto agli errori utili della tradizione.

Quindi ricapitolando: con un'operazione apparentemente contro-natura i primi filosofi concepiscono il logos come autonomo e universale, come uno strumento disinteressato. Ma in realtà tale operazione è funzionale alla costruzione di una determinata forma di vita. Operazione non necessariamente finalizzata all'ottenimento di prestigio e potere. Poteva essere anche il desiderio di porre una distanza rispetto al caos della vita e della società. Elevare una barriera immunologica al divenire o anche soltanto all'idiozia degli uomini.

Dopo i primi filosofi-sapienti, l'istinto alla verità – con lo scetticismo – si espande e finisce per mettere in discussione ogni posizione, ogni dottrina.
"La conoscenza [...] si trasformò in una potenza continuamente crescente: finché da ultimo ogni conoscenza e ogni originario errore di fondo vennero in urto tra di loro, entrambi come vita, entrambi come potenza, entrambi nello stesso uomo".

Poi si conclude con il brano che ho trascritto nel post n.23.
In esso Nietzsche dice che il pensatore, oggi, è la creatura in cui lo scontro tra verità ed errori utili ha una nuova forma in quanto si è dimostrato (paradosso della conoscenza che indaga anche se stessa) che l'istinto di verità è una potenza intesa alla conservazione della vita.
Questa consapevolezza cambia completamente le carte in tavola. Perché? Forse perché la verità perdendo il suo statuto non può che essere soggetta a sistematici sospetti. E gli errori utili alla vita, riabilitati – diciamo così – si fanno più resistenti alla critica della ragione.
In questa battaglia per Nietzsche "si pone il problema ultimo della condizione della vita e si fa il primo tentativo di rispondere con l'esperimento".
E conclude con la frase oggetto del nostro dibattito:
"Fino a che punto la verità sopporta di essere assimilata? – questo è il problema, questo l'esperimento".
Secondo me l'esperimento è quello che vive l'uomo della conoscenza che non potendosi più fidare del tutto dell'istinto alla verità si ritrova a dover navigare a vista sperimentando alchimie personali di verità ed errori, scienza e natura, filosofia e arte.
Il che mi porta a chiedermi se la "gaia scienza" sia proprio quel tipo di conoscenza che porta  alla costruzione di questi aggregati artigianali o alchimie personali.

L'espressione "gaia scienza" viene nominata due volte. In §1 la gaiezza viene descritta come l'esito del processo della conoscenza. La conoscenza infatti smascherando le pretese tragiche delle dottrine religiose e morali, rivela l'immagine autentica della vita: una commedia.
Il riso come l'effetto della verità, quindi. Per questo motivo si può dire che la conoscenza e il riso alla fine si ritrovano uniti. Ma il procedere che porta a smascherare la tragicità della vita di per sé non ha niente di gaio. Non è un processo conoscitivo creativo, leggero ecc. Niente di tutto questo. Qui abbiamo la serietà dell'indagine filosofica che fa a pezzi le idee che vogliono ancorare la vita ad un senso etico, religioso, metafisico.

L'altra citazione si trova nella Prefazione del 1887: "Gaia scienza: vuol significare i saturnali di uno spirito, che ha resistito con pazienza a una lunga, orribile oppressione [...] e che ora, tutt'a un tratto, è invaso dalla speranza, dalla speranza di salute, dall'ebbrezza della convalescenza".
Qui per "gaia scienza" N. sembra voler intendere un ribaltamento: dopo il pessimismo, dopo la distruzione delle illusioni, dopo lo smascheramento cinico dei fondamenti della civiltà, dopo questa fase di malattia, ecco la gioia della convalescenza (notare: non dice guarigione; parla di speranza di salute). Quindi un nuovo inizio.

In conclusione qualche domanda: la contrapposizione drammatica tra arte e filosofia, presente nei testi precedenti di N. – da arte come soluzione e antidoto al dramma della vita ad arte come suggestione che viene scalzata dalla filosofia, dalla scienza –, sembra ricomposta. Il filosofo da qui a qualche mese inizierà lo Zarathustra, il suo poema. Sarebbe questa una prova di "gaia scienza"? Una semplice questione di comunicazione filosofica? Di forma espressiva? E poi: nel rapporto con le scienze della natura, come si fa a portar avanti una conoscenza che sia anche gaia?
Tornare a riflettere sul Rinascimento?

niko

#48
Citazione di: Kob il 01 Ottobre 2025, 09:21:44 AM@Phil
Sarò sincero: la tua lettura, per quanto ingegnosa, mi sembra fine a se stessa. Una specie di performance di virtuosismo interpretativo che non ha come obiettivo chiarire il brano o il pensiero di Nietzsche, tanto meno rispondere alla domanda del topic sulla gaia scienza.
È molto lontana dallo spirito del brano che dovrebbe interpretare, e in generale dall'atteggiamento che Nietzsche mostra nel suo complesso quando tratta della conoscenza, da Umano troppo umano a La gaia scienza.
Infatti proporre la possibilità che N. immagini una verità che non si fa del tutto esaurire dalla conoscenza, rendendo così possibile ancora e per sempre l'avventura della scienza, significa rimanere nei pressi di una concezione realista del sapere – anche se con la domanda finale dell'aforisma si rimanda ad un misterioso limite –. Se fosse così N. sarebbe caduto in una clamorosa regressione filosofica. A me sembra impossibile. Rileggo allora quel brano e ne faccio una sintesi più accurata.




Beh, se Nietzsche e' un precursore, in senso anche profetico, del 900, secolo in cui:

La verita' non si lascia (o meglio non si e' lasciata) esaurire dalla conoscenza

Nel duplice senso, quantomeno:

> che viene scoperto, o comunque riabilitato l'inconscio (quindi la verita' non si lascia piu' esaurire dalla conoscenza, a partire dal novecento in poi, in un senso prettamente psicoanalitico: si afferma che nell'uomo esiste e sempre esitera' l'inconscio, e cioe' un quanto, di verita', ulteriore alla sua coscienza, e quindi, conoscenza)


> che con la relativita' e la quantistica la scienza "forte" assume definitivamente il suo statuto di impresa conoscitiva infinita, inesauribile, e per di piu' disantropica e controintuitiva quindi, si "indebolisce" e si fa autoreferenziale: la realta' (e finanche l'attimo presente) dipende realmente, e cioe' inestricabilmente anche dal punto di vista di un osservatore che la osservi e dal "puro" caso; oltreche', naturalmente, da leggi deterministiche enunciabili e condizioni iniziali.

La verita', anche in questo senso, non si lascia esaurire dalla conoscenza, ma implica sempre, anche, la coscienza/esperienza nella sua necessitata ripetizione.

E inoltre, le cose eccessivamente  piu' grandi o piu' piccole dell'uomo, come gli atomi, o i buchi neri, non funzionano, manco per niente, come l'uomo, in maniera simile a come funziona l'uomo, neanche a livello di leggi e condizioni fisiche che le descrivono. Quindi, si puo' affermare che, sulla grande scala universale che va' dal minuscolo all'immenso, dal mondo degli atomi a quello dei buchi neri, l'uomo, l'animale umano, e' portatore, e neanche tanto "sano", di un punto di vista  fortissimamente condizionato dalla sua medieta', su questa scala, dall'essere in essa gradino intermedio ne' troppo alto ne' troppo basso, e direi anche, per la gioia di Nietzsche, mediocrita'. Punto di vista che poi e' l'utile errore, della fisica newtoniana classica. Descrivente un ambiente tutto sommato ancora "antropico" ed intuitivo, presso cui l'impresa conoscitiva, e scientifica, rimanda a chi in essa si impegni almeno l'illusione e l'impressione, di essere in qualche modo esauribile.

Insomma la post modernita', e' tutta nell'affermazione che la verita', non si lascia esaurire dalla conoscenza. Per non parlare di manipolazione, pubbicita', iperealismo, propaganda, psicologia delle folle.

Non vedo perche' Nietzsce non dovrebbe tutto sommato sottoscrivere, in quanto filosofo del prospettivismo, dell'interpretazione, dell'approccio genealogico alla verita', del vitalismo e di una "latenza" degli istinti, soprattutto di rivalsa e di vendetta, e di un uso "strategico" da parte dei viventi dell'oblio, molto simile al concetto freudiano di inconscio.

Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Koba-san

Citazione di: niko il 01 Ottobre 2025, 13:07:31 PMInsomma la post modernita', e' tutta nell'affermazione che la verita', non si lascia esaurire dalla conoscenza. Per non parlare di manipolazione, pubbicita', iperealismo, propaganda, psicologia delle folle.


Credo che la post modernità stia piuttosto nell'affermazione che la verità, così come l'abbiamo intesa fino alla filosofia di inizio Ottocento, non esiste.
Parlare di una verità che non si lascerebbe del tutto conoscere significa invece presumere che tale verità esista.

Esempio dell'inconscio: esiste una mia verità? Se mi inventassi un metodo per far fronte ai processi di rimozione riuscirei finalmente ad attingere la mia verità? O comunque ad avvicinarmi ad essa?
Nietzsche non credo avrebbe sottoscritto questa idea che ha alla base tutto sommato un apparato positivista. Per lui non esiste alcuna verità ma il soggetto, così com'è in questo momento, è piuttosto una prospettiva che esce fuori da quella battaglia di forze diverse ecc.

Comunque se vogliamo dire che c'è sintonia tra quello che hai scritto sulla cultura del Novecento e la filosofia di Nietzsche, ok, certo, è così.
Ma se vogliamo andare ai brani della Gaia scienza o anche di Umano troppo umano, il modo con cui è trattato il tema della conoscenza ha un taglio diverso. Ho cercato di spiegarlo nel post precedente.

Considera che io sto leggendo i brani di Nietzsche con questa domanda sullo sfondo (che è una domanda tutta mia, magari gli altri la considerano un'idiozia, non so):
un uomo interessato alla conoscenza, che è passato attraverso la filosofia contemporanea, quindi attraverso la grande ondata di scetticismo del '900, può rivolgersi alla scienza moderna con la realistica speranza di fare della gaia scienza?
Che sia magari necessario modificare atteggiamento? Cioè essere più liberi (per quanto si può essere liberi dovendo maneggiare la matematica), meno ossessionati dalla ripetizione oggettiva del sapere dentro di sé, più orientati all'aspetto ipotetico, problematico, sperimentale?
Oppure al contrario, la scienza moderna, essendo che alla sua base assume senza riflessione un punto di vista realista, lo assume d'istinto, non può che rimandare ad un sapere duro, serio, pesante e quindi addio gaia scienza?

iano

Citazione di: Kob il 01 Ottobre 2025, 09:21:44 AMQui abbiamo la serietà dell'indagine filosofica che fa a pezzi le idee che vogliono ancorare la vita ad un senso etico, religioso, metafisico.

Però, mi pare di capire, non smette di ancorla alla verità, e per far ciò è disposto a parlare di utili errori.
Nel tuo post hai certamente il merito di aver selezionato brani che a me sembrano di facile comprensione.
Sembrano più complicate le tue interpretazioni, e mi chiedo perchè?
Forse perchè in quelle interpretazioni sono nascoste le tue personali conclusioni, che mancano in effetti in chiaro?
E' una critica che ho già fatto.
Tutti provano a interpretare, ma nessuno ne trae conclusioni proprie.
La mia conclusione è che è più coerente negare l'esistenza di una verità, che arrampicarsi sugli specchi, ammettendo che l'errore possa essere utile.
Altro contorcimento del pensiero, una verità che non lasciandosi mai del tutto scoprire garantisce una eterna ricerca più o meno gaia.
Cioè si è disposti ad ammettere una verità di estensione infinita, quindi non esauribile, piuttosto che dire che non c'è.
Non ci sono errori, ma solo utili teorie, che non possono essere mai verità, perchè i termini che le costituiscono non sono assoluti.
In somma, secondo me il nostro arriva quasi alla soluzione, ma sbaglia di poco il bersaglio.
Invece di negare la metafisica, doveva negare la verità.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#51
Citazione di: Kob il 01 Ottobre 2025, 14:04:53 PMCredo che la post modernità stia piuttosto nell'affermazione che la verità, così come l'abbiamo intesa fino alla filosofia di inizio Ottocento, non esiste.
Parlare di una verità che non si lascerebbe del tutto conoscere significa invece presumere che tale verità esista.

Esempio dell'inconscio: esiste una mia verità? Se mi inventassi un metodo per far fronte ai processi di rimozione riuscirei finalmente ad attingere la mia verità? O comunque ad avvicinarmi ad essa?
Nietzsche non credo avrebbe sottoscritto questa idea che ha alla base tutto sommato un apparato positivista. Per lui non esiste alcuna verità ma il soggetto, così com'è in questo momento, è piuttosto una prospettiva che esce fuori da quella battaglia di forze diverse ecc.

Comunque se vogliamo dire che c'è sintonia tra quello che hai scritto sulla cultura del Novecento e la filosofia di Nietzsche, ok, certo, è così.
Ma se vogliamo andare ai brani della Gaia scienza o anche di Umano troppo umano, il modo con cui è trattato il tema della conoscenza ha un taglio diverso. Ho cercato di spiegarlo nel post precedente.

Considera che io sto leggendo i brani di Nietzsche con questa domanda sullo sfondo (che è una domanda tutta mia, magari gli altri la considerano un'idiozia, non so):
un uomo interessato alla conoscenza, che è passato attraverso la filosofia contemporanea, quindi attraverso la grande ondata di scetticismo del '900, può rivolgersi alla scienza moderna con la realistica speranza di fare della gaia scienza?
Che sia magari necessario modificare atteggiamento? Cioè essere più liberi (per quanto si può essere liberi dovendo maneggiare la matematica), meno ossessionati dalla ripetizione oggettiva del sapere dentro di sé, più orientati all'aspetto ipotetico, problematico, sperimentale?
Oppure al contrario, la scienza moderna, essendo che alla sua base assume senza riflessione un punto di vista realista, lo assume d'istinto, non può che rimandare ad un sapere duro, serio, pesante e quindi addio gaia scienza?
Mi rimangio quello che ho scritto nel post precedente.
Le conclusioni tu le hai tratte, e io le condivido.
Dunque la verità non esiste, o quantomeno così si semplifica il discorso, e si elimina la seriosità del ricercare il vero, e la ricerca può divienire un gioco ipotetico, che non ha limiti, perchè le ipotesi non sono mai vere, e nel cambiare tradiscono la natura di chi le fa, più che della realtà. Le ipotesi di spazio e tempo assoluto di Newton non sono vere, ma noi ci viviamo dentro nonostante tutto, e ciò dimostra che si può vivere dentro una teoria, e anzi, non c'è altro modo di vivere la realtà.
Il fatto che le ipotesi ci sembrano evidenti, equivale a dire che noi ci viviamo dentro.

D'altronde mi chiedo, col senno di poi, non si poteva  arrivare a ciò semplicemente chiedendosi quali sarebbero state le conseguenze della verità, una volta trovata, trovandole magari non desiderabili?
Non si può desiderare la verità senza vagliarne le conseguenze, a meno che non si sia trattato davvero di un amore che acceca.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#52
Citazione di: niko il 01 Ottobre 2025, 13:07:31 PMPunto di vista che poi e' l'utile errore, della fisica newtoniana classica. Descrivente un ambiente tutto sommato ancora "antropico" ed intuitivo, presso cui l'impresa conoscitiva, e scientifica, rimanda a chi in essa si impegni almeno l'illusione e l'impressione, di essere in qualche modo esauribile.
Il punto di vista antropico è l'ipotesi di spazio e tempo assoluti su cui si fonda la teoria di Newton, che però non perciò viene invalidata.
Queste ipotesi hanno cioè la stessa dignità dello spazio tempo assoluto di Einstein, che di antropico non ha nulla.
Certo, è stato dimostrato che lo spazio e tempo assoluti non esistono, e lo stesso Newton credeva che si trattasse solo di utili ipotesi.
In questo spazio e tempo assoluti però noi ancora viviamo, e con ciò non intendo dire che siano perciò veri, ma che il nostro mondo è un costrutto teorico, e che questi costrutti teorici sono un modo, l'unico possibile, di vivere la realtà.
Tutto quello che noi sappiamo è come, in um modo o nell'altro, agire nella realtà.
Che per farlo bisogna conoscerla si è rivelata un ipotesi di troppo.
Possediamo solo istruzioni per l'uso che impropriamente chiamiamo conoscenza.


Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

iano

#53
Citazione di: daniele22 il 01 Ottobre 2025, 07:52:35 AMPer darmi ragione infatti dovresti dire che la mappa e il territorio sono la stessa cosa, ma dato che non lo dici stai mentendo; non puoi pertanto darmi ragione.
Io non mento mai, perchè, diversamente da te, non ho verità da dire.
Oggi dico che mappa e territorio sono la stessa cosa, e domani non lo dico più, e non mi contraddico nel farlo, perchè non è la stessa persona a dirlo, ma una persona che nel tempo cambia, e cambia quindi idee.
La coerenza se c'è, va cercata nel percorso.





Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

niko

Citazione di: iano il 01 Ottobre 2025, 19:25:08 PMIl punto di vista antropico è l'ipotesi di spazio e tempo assoluti su cui si fonda la teoria di Newton, che però non perciò viene invalidata.
Queste ipotesi hanno cioè la stessa dignità dello spazio tempo assoluto di Einstein, che di antropico non ha nulla.
Certo, è stato dimostrato che lo spazio e tempo assoluti non esistono, e lo stesso Newton credeva che si trattasse solo di utili ipotesi.
In questo spazio e tempo assoluti però noi ancora viviamo, e con ciò non intendo dire che siano perciò veri, ma che il nostro mondo è un costrutto teorico, e che questi costrutti teorici sono un modo, l'unico possibile, di vivere la realtà.
Tutto quello che noi sappiamo è come, in um modo o nell'altro, agire nella realtà.
Che per farlo bisogna conoscerla si è rivelata un ipotesi di troppo.
Possediamo solo istruzioni per l'uso che impropriamente chiamiamo conoscenza.




No, dal momento che ogni fenomeno classico puo' essere spiegato in termini relativistici, e nessun fenomeno relativistico puo' essere spiegato in termini classici.
La teoria che accoglie e contiene l'altra, e' piu' veritativa dell'altra e non viceversa, e non sono tutte uguali, e nemmeno, mi dispiace, tutte equivalenti. 
Tu sei scettico, sei una persona scettica, e vorresti che fosse scettica anche la scienza (volonta' di potenza; in questo caso: la tua) ma se cosi' fosse, ad oggi, staremmo ancora a Galileo col cannocchiale, e al cardinale Bellarmino che lo contesta, e no, non me la sento, di dirti che sarebbe un bene.
Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

niko

#55
Citazione di: Kob il 01 Ottobre 2025, 14:04:53 PMCredo che la post modernità stia piuttosto nell'affermazione che la verità, così come l'abbiamo intesa fino alla filosofia di inizio Ottocento, non esiste.
Parlare di una verità che non si lascerebbe del tutto conoscere significa invece presumere che tale verità esista.

Esempio dell'inconscio: esiste una mia verità? Se mi inventassi un metodo per far fronte ai processi di rimozione riuscirei finalmente ad attingere la mia verità? O comunque ad avvicinarmi ad essa?
Nietzsche non credo avrebbe sottoscritto questa idea che ha alla base tutto sommato un apparato positivista. Per lui non esiste alcuna verità ma il soggetto, così com'è in questo momento, è piuttosto una prospettiva che esce fuori da quella battaglia di forze diverse ecc.

Comunque se vogliamo dire che c'è sintonia tra quello che hai scritto sulla cultura del Novecento e la filosofia di Nietzsche, ok, certo, è così.
Ma se vogliamo andare ai brani della Gaia scienza o anche di Umano troppo umano, il modo con cui è trattato il tema della conoscenza ha un taglio diverso. Ho cercato di spiegarlo nel post precedente.

Considera che io sto leggendo i brani di Nietzsche con questa domanda sullo sfondo (che è una domanda tutta mia, magari gli altri la considerano un'idiozia, non so):
un uomo interessato alla conoscenza, che è passato attraverso la filosofia contemporanea, quindi attraverso la grande ondata di scetticismo del '900, può rivolgersi alla scienza moderna con la realistica speranza di fare della gaia scienza?
Che sia magari necessario modificare atteggiamento? Cioè essere più liberi (per quanto si può essere liberi dovendo maneggiare la matematica), meno ossessionati dalla ripetizione oggettiva del sapere dentro di sé, più orientati all'aspetto ipotetico, problematico, sperimentale?
Oppure al contrario, la scienza moderna, essendo che alla sua base assume senza riflessione un punto di vista realista, lo assume d'istinto, non può che rimandare ad un sapere duro, serio, pesante e quindi addio gaia scienza?

No, in Nietzsche la verita' e' l'utile alla vita, quindi, la verita' esiste. L'oggetto di volonta', esiste, tanto piu' se questo oggetto, e' la verita'. Esiste, nel senso che produce effetti. Altro senso, al termine "esistere" in Nietzsche, non c'e'.

Perfino Dio e gli angioletti, nella misura in cui gli uomini li hanno voluti, e hanno creduto in essi, sono esistiti. Sono esistiti, nel senso che hanno prodotto effetti.

Come dice Galimberti, se Dio e' morto, significa che Dio, prima, era vivo. E pure il passato. E pure la verita'.
La situazione esistenziale del "lutto" per Dio, o meglio ancora: della colpa per l'assassinio di Dio non puo' essere ricondotta, banalmente, all'inesistenza di Dio. Vale pure per la verita'. Gia' il cristianesimo, grande bersaglio polemico nietzscheano, pur affermando la situazione esistenziale della colpa, per l'assassinio, di Cristo, certo non afferma, con cio'... l'inesistenza...di Cristo :D

Semmai, l'irrisolvibilita', del delitto del Figlio, si risolve, edipicamente, vedendo in esso la giusta vendetta della creatura (il condannato era colpevole) e dunque il delitto del Padre... eterno ritorno che, gia' in superficie, e' riconquista, per l'uomo, della dimensione dell'increato, e contraltare necessario all'approccio genealogico (e non logico), di Nietzsche, alla verita'.

Insomma in maniera simile a quello che ho detto anche a Iano, guardati, anche tu, dal considerare la "gaiezza" della scienza, una sorta di (tua) volonta' di potenza, scettica. Non e' l'essere scettica, che porta la scienza, ad essere "gaia". Ma ben altro.

Lo stato in cui la verita' cessa di essere vera, e cioe' cessa di essere utile alla vita, e' da considerarsi una continua tensione (magari verso la follia...) non gia' uno stato "definitivo" o raggiunto. Appunto, la domanda:

Quanta verita' puoi (tu) sopportare?

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Che senso avrebbe, se la verita', non esistesse?





Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

Koba-san

Se leggi i brani di Nietzsche a cui mi sono riferito finora, vedrai che il termine "verità" viene usata in due modi:
1. la verità come smascheramento di idee antiche, che una volta confutate appaiono come errori;
2. poi, nella prosecuzione di questo processo di indagine, la verità come oggetto stesso della critica; qui, mostrando di avere un'origine simile a quella dei pregiudizi antichi, cioè di venire dalle stesse forze utili alla conservazione della vita, finisce per perdere il suo status speciale.
Conclusione del cammino della conoscenza: errori e verità non si distinguono dal punto di vista epistemologico. Sono entrambi funzionali alla vita. Le verità di oggi saranno presto smascherate. Fino a quel momento l'uomo della strada le considererà appunto verità nel senso del realismo, cioè nel senso di rappresentazioni adeguate a esprimere la realtà.
Ma il filosofo no, la conoscenza filosofica è appunto questa: tenere ferma questa conclusione e accettare il paradosso. Che è l'effetto dell'estensione del processo di critica alla critica stessa. Infatti se la ragione è uno strumento utile alla vita, se non è quindi uno strumento puro, incontaminato, universale, allora tutti i suoi prodotti, compresa l'analisi filosofica dello stesso Nietzsche, non sono altro che prospettive utili alla vita. Anche là dove si presentano come disinteressate e neutre, la loro origine resta spuria.
D'altra parte il filosofo non è mai solo tale, cioè è anche uomo della strada. Per cui la sua interpretazione della vita sarà un miscuglio di errori e verità ma con la consapevolezza (quando si ricorda di essere filosofo) che tali verità sono sullo stesso piano degli errori. Questa è la condizione nuova della filosofia contemporanea, per quanto la tendenza alla regressione nel realismo sia sempre in agguato.
L'esperimento è questo: quanto smascheramento siamo capaci di sopportare? E in più, andando un po' più a fondo: quanto riusciremo ad essere creatori di nuovi valori, di nuove prospettive, essendo consapevoli dell'origine spuria di questa stessa attività? Quanto riusciremo ad abbandonarci in questa avventura sapendo che è sempre lo stesso gioco?

Koba-san

In aggiunta al post precedente.
L'ateismo non è una verità positiva. È verità solo nel senso di smascheramento di un errore antico.
Il materialismo invece ha un suo specifico contenuto. È una metafisica.
Ora, l'ateismo, in quanto confutazione di immagini tradizionali, non ha quello status di verità di cui dicevo nel post precedente, cioè uno status del tutto simile a quello dell'errore. Non si pone sullo stesso livello di invenzione utile alla vita in cui si pone la religione. Non è un'interpretazione del mondo che prende il posto di quella tradizionale. È solo una negazione che viene dal processo della conoscenza. Dallo sviluppo della critica su storia e antropologia.
Per il materialismo invece le cose stanno diversamente. Qui sì che si combatte ad armi pari con le altre metafisiche. In questo senso lo si può definire errore o verità solo in base a ciò che il soggetto conoscente (spesso inconsciamente) ritiene sia utile alla conservazione di sé e della propria specie. Ma dal punto di vista epistemologico non c'è differenza rispetto a dottrine quali il neoplatonismo.
Se mi ingegno per trovare e definire questa differenza vuol dire che sto lavorando (inconsciamente o meno) in funzione di un'utilità per la mia vita (cioè per qualche ragione ritengo sia più utile il materialismo). Ma se sono filosofo, come ho spiegato sopra, il sospetto che il mio lavoro sia solo funzionale alla mia vita, deve esserci. Il che mi deve far ammettere che pensare al materialismo come verità e al neoplatonismo come errore sia da ingenui.

daniele22

La pratica ha un senso quanto più essa è coerente con la teoria che la sostiene. Ma la teoria è comunque metafisica, non si scappa.
Il concetto di "verità assoluta" esiste. Se la teoria si riferisce alla "verità assoluta", dandola per certa, in che senso può essere giudicata praticamente sostenibile?
Può essere giudicata più o meno sostenibile in ragione del numero di coloro che si attengono strettamente alla teoria. Più ci si allontana dal cento per cento, più la pratica va in crisi. Ma chissà come e chissà perché la teoria resta sempre in piedi. La pratica va dunque in crisi solo perché non è più sostenibile la teoria, quindi, non tanto per l'esistenza del concetto di "verità assoluta", ma per quello a cui questa ci obbliga. Per quel poco o nulla che so di Nietzsche, secondo me ha detto gatto prima di averlo nel sacco. Dio (il concetto di verità assoluta) non è morto, essendo solo mal interpretata la sua volontà, tanto dai credenti quanto dagli atei... allo stato attuale delle cose, l'eterno presente appunto

niko

#59
Citazione di: Kob il 02 Ottobre 2025, 07:04:41 AMSe leggi i brani di Nietzsche a cui mi sono riferito finora, vedrai che il termine "verità" viene usata in due modi:
1. la verità come smascheramento di idee antiche, che una volta confutate appaiono come errori;
2. poi, nella prosecuzione di questo processo di indagine, la verità come oggetto stesso della critica; qui, mostrando di avere un'origine simile a quella dei pregiudizi antichi, cioè di venire dalle stesse forze utili alla conservazione della vita, finisce per perdere il suo status speciale.
Conclusione del cammino della conoscenza: errori e verità non si distinguono dal punto di vista epistemologico. Sono entrambi funzionali alla vita. Le verità di oggi saranno presto smascherate. Fino a quel momento l'uomo della strada le considererà appunto verità nel senso del realismo, cioè nel senso di rappresentazioni adeguate a esprimere la realtà.
Ma il filosofo no, la conoscenza filosofica è appunto questa: tenere ferma questa conclusione e accettare il paradosso. Che è l'effetto dell'estensione del processo di critica alla critica stessa. Infatti se la ragione è uno strumento utile alla vita, se non è quindi uno strumento puro, incontaminato, universale, allora tutti i suoi prodotti, compresa l'analisi filosofica dello stesso Nietzsche, non sono altro che prospettive utili alla vita. Anche là dove si presentano come disinteressate e neutre, la loro origine resta spuria.
D'altra parte il filosofo non è mai solo tale, cioè è anche uomo della strada. Per cui la sua interpretazione della vita sarà un miscuglio di errori e verità ma con la consapevolezza (quando si ricorda di essere filosofo) che tali verità sono sullo stesso piano degli errori. Questa è la condizione nuova della filosofia contemporanea, per quanto la tendenza alla regressione nel realismo sia sempre in agguato.
L'esperimento è questo: quanto smascheramento siamo capaci di sopportare? E in più, andando un po' più a fondo: quanto riusciremo ad essere creatori di nuovi valori, di nuove prospettive, essendo consapevoli dell'origine spuria di questa stessa attività? Quanto riusciremo ad abbandonarci in questa avventura sapendo che è sempre lo stesso gioco?


Questa interpretazione, naturalmente, e' "realistica" e antivitale, perche', pure se errore e verita' hanno la stessa genesi e causa (sono entrambi l'utile per la vita: in questo senso, se A e B sono verita' ed errore > A e' uguale a B; non c'e' differenza), considerarli, pero', equivalenti (dire che la verita' non esiste) vuol dire infischiarsene (non considerare minimamente) di quale tra due affermazioni, magari opposte, sia l'utile alla vita adesso, nell'attimo presente, e presente, intendo, alla soggettivita' di colui che pensa e parla: se sono convinto che il cavallo, che vedo qui e ira, sia bianco

> l'affermazione che afferma: "il cavallo e' bianco", e' l'utile alla vita, per me, adesso, in questo attimo;

viceversa, l'affermazione: "il cavallo e' nero", non puo' esserlo; semmai, dato che abbiamo accettato la premessa che sia l'errore che la verita' siano l'utile alla vita (stessa genesi), ne deriva, che l'affermazione: "il cavallo e' nero", e' stato l'utile alla (mia) vita nel passato, o lo sara' nel futuro, oppure, al di la' mia persona e soggettivita', lo sara' (adesso ieri o domani) per qualcun altro.

Cosi' volli che fosse.

Il tempo, o lo spazio, dirimono la contraddizione: due cose opposte, non possono essere entrambe vere nello stesso luogo o nello stesso momento, ma possono esserlo, in luoghi, o momenti diversi, e quindi, derivatamente, anche, per corpi o per persone, diverse. La sopportabilita', della contraddizione, tramite la differenza,  soprattutto etnica e culturale tra uomini, e tramite la storia.

Perfino la volonta' panica, o volonta' di potenza, la quale (in maniera simile a come e' in Schopenahuer) vuole tutto, comunque, non vuole tutto contemporaneamente. Non vuole, almeno non direttamente, la contraddizione. Per questo, essa flirta o amoreggia con il tempo, (cioe' nel suo volere, per davvero e assolutamenre, tutto, inevitabilmente, vuole anche se stessa, e vuole anche il tempo), dando luogo all'Eterno ritorno.

Il tempo e' quella specifica cosa, o meglio quello specifico fatto, per cui tutte le altre le cose, o meglio fatti, non accadono, contemporaneamente. Tutti, sanno definirlo in negativo; nessuno, in positivo. Se pensiamo che alla base di tutto, ci sia la volonta', allora il tempo e' quella specifica cosa, per cui tutte le altre cose (pur essendo, in generale tutte volute, dalla stessa identica volonta') NON sono, pero', tutte volute contemporaneamente.

Il grande serpente, si morde la coda in un punto, ben specifico, di se stesso (la verita' e' l'utile alla vita adesso, non in generale), insomma si vuole auto divorare in un punto specifico di se stesso, proprio alla base della coda, come se li' avesse un prurito, o un dolore, o un fremito; ma, nel farlo, nel mordersi la coda, diventa, con tutto se stesso, con tutto il suo corpo, il simbolo umano stesso dell'anello, concettuale, del tempo (verita' ed errore, sono entrambi l'utile alla vita ma non lo sono contemporaneamente).

Un serpente, che si morde la coda.

Cioe' una volonta' che si autovuole. Ma il modo, o la strategia, che questo serpente, ha a disposizione per autovolersi completamente, e' autovolersi in un punto, cioe' modersi la coda in un punto. Accettare e volere l'attimo presente, volerlo come origine e come fine. La verita' e' l'utile alla vita ADESSO. Cioe', cosa sia o non sia l'utile alla vita, col tempo diviene e cambia.




Ci hanno detto che potevamo scegliere tra la pace e il climatizzatore, non abbiamo ottenuto nessuno dei due.

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