Nella parte conclusiva della prefazione alla "Gaia scienza" Nietzsche scrive: "No, questo cattivo gusto, questo volere la verità, la verità a ogni costo, questa farneticazione da adolescenti nell'amore della verità – ci sono venuti in uggia: per questo siamo troppo esperti, troppo rigorosi, [...] troppo profondi...".
Per poi concludere: "Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie, all'increspatura, alla pelle, adorare la parvenza, credere a forme, suoni, parole, all'intero Olimpo della parvenza! Questi Greci erano superficiali – per profondità!"
Ma allora questa gaia scienza, questa conoscenza gioiosa del mondo, che cosa sarebbe? Un fermarsi all'apparenza scegliendo di non indagare i meccanismi profondi della natura? Un atto estetico?
No, niente di più sbagliato!
Sappiamo che Nietzsche era a conoscenza del lavoro di Ernst Mach e nel periodo tra la prima e la seconda edizione della Gaia scienza (1882-1887) leggerà con attenzione il testo di Mach sulle sensazioni.
Per Mach la scienza è un processo biologico. Esprime l'adattamento dell'organismo alle condizioni esterne. Non c'è salto qualitativo tra istinto e intelligenza. In entrambe i casi l'organismo si calibra sui fenomeni esterni. Questo significa che la conoscenza non è una rappresentazione degli oggetti, ma costruzione di modelli per orientarsi nel mondo.
Quindi non c'è alcun fondamento del reale. Le leggi scientifiche rivelano relazioni di fenomeni. La causalità è un pregiudizio. Noi osserviamo soltanto che al variare di un fenomeno segue la variazione di un altro fenomeno. Questo non significa affatto che uno sia causa dell'altro.
L'affinità con certe idee di Nietzsche è evidente. Mach però oltre ad essere filosofo era anche scienziato. La sua conoscenza diretta dell'impresa scientifica garantisce alle intuizioni di Nietzsche una validità epistemologica. Così appare chiaro come l'operazione di riduzione di Nietzsche a esteta sia superficiale.
Prendiamo ora §1 "I teorici del fine dell'esistenza".
Sinossi.
Tesi di partenza. Guardati da vicino o da lontano, gli uomini sembrano tutti impegnati — consapevoli o no — a favorire la conservazione della specie. Non per "amore dell'umanità", ma per un istinto antichissimo, che è l'essenza della nostra specie.
Rivalutazione di utile/dannoso. A conti fatti non è semplice separare chi giova e chi nuoce: anche il "più dannoso" può risultare utile alla specie perché preserva energie/istinti (odio, crudeltà, dominio, rapina) che, pur costosi e "malvagi", hanno impedito l'infiacchimento dell'umanità.
Di una vita del genere, della propria vita, allora non rimarrebbe che riderne. La vita non si è ancora del tutto rivelata come commedia.
Ora domina un altro tempo: il tempo della tragedia, delle morali e delle religioni.
Chi sono i "teorici del fine". In questo tempo tragico compaiono ciclicamente fondatori di morali e religioni (e il loro seguito: poeti, "macchinisti", confidenti, ecc.). Essi mettono in scena grandi drammi morali, accendono contese sui valori, predicano rimorsi e guerre sante. Ma, così facendo, promuovono la fede nella vita e quindi, di nuovo, la vita della specie.
Come operano. L'istinto di conservazione si traveste da ragione e passione: erige un ricco apparato di motivi e "perché", comanda che la vita sia amata e che l'uomo promuova lo sviluppo di sé e del prossimo. Sono invenzioni (anche azzardate o "contro natura"), ma hanno avuto effetto: senza questi eroi e le loro costruzioni l'umanità sarebbe crollata più volte.
Doppio movimento. Alla lunga il riso, la ragione e la natura "correggono" quelle grandi tragedie, come onde che le spazzano via. E tuttavia proprio quelle comparse tragiche hanno trasformato l'umanità: la specie ora ha bisogno, periodicamente, di una fiducia nella vita e di credere che nella vita ci sia "ragione".
C'è una legge di flusso e riflusso: tempi del riso e tempi della tragedia si alternano — entrambi servono la vita.
Fine della sinossi.
Nietzsche lascia però in sospeso l'essenziale. O meglio, preferisce non parlarne in modo diretto: se con i flussi e riflussi, oggi, nel nostro tempo, possiamo dire di poter ridere delle ambizioni delle religioni e delle morali, non possiamo dire la stessa cosa della vita in generale. In altre parole il ciclo di moralisti e tragedia ci ha lasciati con il bisogno di prendere sul serio la vita, di cercarne un senso, un fine, una stabilità.
Ma che ruolo gioca in questo la gaia scienza? Una conoscenza profonda, spregiudicata, ma nello stesso tempo purificata dal bisogno di un fondamento, di un'origine, di un senso. Verso dove ci potrebbe condurre?
			 
			
			
				Citazione di: Kob il 16 Settembre 2025, 11:26:49 AMLe leggi scientifiche rivelano relazioni di fenomeni. La causalità è un pregiudizio. 
appunto brevemente che questo è errato: il metodo scientifico richiede ripetibilità: 
- se sollevo un oggetto e lo lascio andare da 1m di altezza, l'oggetto cade
 
il rapporto di causalità è dimostrabile e ripetibile fino alla fine del pianeta terra, non è pregiudizio.
Questo cambia poco sulla domanda finale, ma mi pareva importante.
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sulla domanda finale invece, ci penso un po' prima di dare la mia risposta :) 
			
 
			
			
				Vado "a braccio": la gaia scienza consente e fonda il ritorno all'estetica del superficiale; dalla superficialità ingenua, si passa alla conoscenza della scienza (doppio genitivo, sia soggettivo che oggettivo), per poi tornare in superficie "forgiati" dalla consapevolezza che idolatrare la verità («la verità a ogni costo, questa farneticazione da adolescenti nell'amore della verità») è gioco sterile e quindi la superficialità è il punto di ritorno dalla profondità (tramite il riscontro del privilegio dell'interpretazione sulla verità). La profondità del superficiale è quindi la verticalità dell'arte, non la profondità degli scavi arché-ologici.
Da una scienza che resta ingenuamente invischiata in intellettualismi apollinei, da essa non si può uscire se non tornado in superficie (proprio come dalla grotta platonica...), ovvero al superficiale, ma in modo autentico. In questo direi consiste l'«esser superficiali per profondità»(cit.); ossia l'esser superficiali conoscendo la profondità della ragione e ribaltandola in profondità dell'arte (del vitalismo, etc,), non l'esser superficiali "piatti", per assenza di profondità. D'altronde non c'è superficie che non sia sostenuta da una profondità, tanto nascosta quanto asfittica: il vitalismo dionisiaco è in superficie, ma è il vitalismo del fauno che sa (e ammonisce «la cosa più desiderabile per l'uomo sarebbe non sapere»). In sintesi: la scienza (e l'uomo) ha bisogno di gaiezza più di quanto la gaiezza abbia bisogno della scienza, ma una gaia scienza è già un buon compromesso.
Chiaramente sto (stra)parlando di Nietzsche, non della mia personale opinione in merito.
Direi invece che il «verso dove conduce?» ha (avuto) come risposta duplice il nichilismo, attivo e passivo (anche se spesso ci si dimentica del primo, perché il secondo è un bersaglio più "antipatico", come tutte le pars destruens).
			
			
			
				Citazione di: fabriba il 16 Settembre 2025, 12:02:42 PMappunto brevemente che questo è errato: il metodo scientifico richiede ripetibilità: 
- se sollevo un oggetto e lo lascio andare da 1m di altezza, l'oggetto cade
 
il rapporto di causalità è dimostrabile e ripetibile fino alla fine del pianeta terra, non è pregiudizio.
Questo cambia poco sulla domanda finale, ma mi pareva importante.
Se tu lasci cadere una mela da una certa altezza perché la mela cade? Tu sembri convinto che la causa della sua caduta sia la forza di gravità che la attrae nella direzione del centro della Terra.
La causa sarebbe cioè qualcosa di invisibile che tocca i due corpi in gioco, che misteriosamente li mette in contatto, la mela e la Terra. Questa specie di fluido misterioso, di azione invisibile, è la forza di gravità.
Quello che dice Mach è che non abbiamo bisogno di utilizzare queste immagini antropomorfe per spiegare le regolarità che osserviamo: è sufficiente intendere il legame tra i corpi come relazione funzionale. Come funzione: al variare di un elemento, ecco variare anche il secondo, secondo una regolarità che la legge scientifica appunto esprime.
"Forza", "materia" ecc. sono concetti utili per la prassi, per intenderci velocemente, ma non rimandano a niente di reale.
Infatti, tornando alla mela, nel modello della relatività generale la caduta viene spiegata in tutt'altro modo: nessuna forza attrattiva misteriosa, ma il moto inerziale lungo lo spaziotempo curvo.
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 16 Settembre 2025, 11:26:49 AMMa allora questa gaia scienza, questa conoscenza gioiosa del mondo, che cosa sarebbe? 
Un fermarsi all'apparenza scegliendo di non indagare i meccanismi profondi della natura? Un atto estetico?
Da tre giorni sto leggendo la "nascita della tragedia", più per curiosità verso le credenze greche che per interesse verso l'autore. 
Intervengo ora più per chiarimi se sto digerendo quanto leggo , piuttosto che per esprimere chiarimenti.
La conoscenza giosa del mondo  suppongo si riferisca allo spirito dionisiaco, ambiguo nella sua vitalità (definito come l'Anticristo) e contrapposto alla morale cristiana,
Non mi sembra che Nietsche consideri l'estetica una superficiale apparenza, come magari possiamo concepirla oggigiorno, ma afferma che 
" l'esistenza del mondo non si giustifica che come fenomeno estetico"  dopo aver espresso che 
"l'arte e non la morale..(è)..l'attivitò metafisica propria dell'uomo" . 
Poi oltre "l'arte è legata alla duplicità dell'apollineo e del dionisiaco" ovvero arte plastica per Apollo e musicale (non figurativa) per Dioniso.
Mi pare quindi  che il suo intendimento sia quello di pensare  per immagini(pensiero simbolico)  piuttosto che per concetti (pensiero scientifico).
Solo per curiosità aggiungo che non ci sono solo queste due opzioni: mi torna in mente Temple Grandin, una professoressa universitaria autistica, che in un'intervista segnalava che il +/-60% delle persone pensa prevalentemente per immagini, il 20-30% pensa con parole  e il rimanente ha pensieri cinestetici, ovvero imparano facendo.
Quanto alla scienza, nelle prime pagine del libro si interroga " "il senso scientifico non è forse altro che un puro senso di paura, un sotterfugio davanti al pessimismo ?" Parla per immagini, no?
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 16 Settembre 2025, 13:44:20 PMSe tu lasci cadere una mela da una certa altezza perché la mela cade? 
La mela cade perché l'ho lasciata andare.
L'esperimento finisce li e la causalità è dimostrabile.
Se poi si vuole andare a dimostrare cos'è la gravità, allora non basta una mela; però questo esula dal punto, nulla è dimostrabile se andiamo indietro nel gioco dei "perché" fino all'origine del mondo. Se era questo che voleva dire Mach credo ci siano stati pensatori prima di lui che l'hanno detto in modo più elegante 
			
 
			
			
				Citazione di: fabriba il 16 Settembre 2025, 16:14:44 PMLa mela cade perché l'ho lasciata andare.
L'esperimento finisce li e la causalità è dimostrabile.
Se poi si vuole andare a dimostrare cos'è la gravità, allora non basta una mela; però questo esula dal punto, nulla è dimostrabile se andiamo indietro nel gioco dei "perché" fino all'origine del mondo. Se era questo che voleva dire Mach credo ci siano stati pensatori prima di lui che l'hanno detto in modo più elegante 
La mela cade perché, nell'interpretazione della meccanica classica, c'è una forza che viene esercitata sulla mela. Quando tu lasci la mela, smetti di esercitare una forza uguale e contraria a quella che spinge verso il centro della Terra.
Quindi l'effetto è la caduta, la causa è la forza di gravità (che si manifesta perché tu smetti di esercitare una forza uguale e contraria, cioè la "lasci andare"). La causalità è appunto presenza di un nesso di causa-effetto.
Come Mach interpreta questo fenomeno, diversamente da Newton, l'ho già scritto. Si tratta di sostituire al nesso causa-effetto quello di funzione.
Mach interviene all'interno di un ampio dibattito sulla causalità che parte da Hume e Kant e arriva fino a Cassirer.
			
 
			
			
				
Capisco, non trovo che "La causalità è un pregiudizio" sia una interpretazione economica dell'universo, evidentemente non la comprendo fino in fondo.  Mi defilo, non penso di essere utile alla conversazione se non condivido le premesse :) 
			
			
			
				Citazione di: fabriba il 16 Settembre 2025, 12:02:42 PM- se sollevo un oggetto e lo lascio andare da 1m di altezza, l'oggetto cade
 
il rapporto di causalità è dimostrabile e ripetibile fino alla fine del pianeta terra, non è pregiudizio.
Già Hume ci aveva messo in guardia dal ragionamento induttivo. Aver sempre visto sorgere il sole dopo il tramonto non è garanzia che questo accadrà anche domani e questo vale anche per l oggetto che lasci cadere o lanci. Anche se si è sempre osservato immancabilmente che da A ne consegue B non si deve con ciò intendere che B sia una conseguenza necessaria di A. 
Alcuni replicarono che deve esserci una sorta di necessità naturale che fa si che se lascio un sasso esso cadrà sempre per effetto della gravità. La credenza di questa tesi si basa sull assunto che il corso della natura rimane sempre uniformemente invariabile. Ma come si giustifica tale assunto? 
Poi arriva Kant e dimostra che la causa non sta la fuori,nel mondo,  fra i fenomeni, non c'è nessuna causa strumentalmente o visivamente rilevabile fra i fenomeni . Ma la causa c'è dice, è nella nostra testa . La chiama categoria a priori dell intelletto e con questo voleva dire che i principi di organizzazione del mondo sono nella nostra testa , così come con la matematica noi possiamo spiegare la natura così come con la logica possiamo organizzare l 'esperienza. 
			
 
			
			
				Citazione di: Phil il 16 Settembre 2025, 12:26:29 PMil vitalismo dionisiaco è in superficie, ma è il vitalismo del fauno che sa (e ammonisce «la cosa più desiderabile per l'uomo sarebbe non sapere»). In sintesi: la scienza (e l'uomo) ha bisogno di gaiezza più di quanto la gaiezza abbia bisogno della scienza, ma una gaia scienza è già un buon compromesso.
Non sono tanto d accordo con questa spiegazione. Anzitutto se parliamo di mitologia Greca allora non è il fauno della mitologia Romana ma il Satiro. Ma è il contesto che è più interessante , Nitzche individua un Satiro in particolare come portatore della saggezza dionisiaca in "la nascita della tragedia" quindi dovremmo chiederci perchè dice che la cosa piu desiderabile per l'uomo sarebbe non sapere. 
Che cos'è che ci conviene non sapere secondo il Satiro? la conoscenza astrofisica?  no, riguarda la nostra vita più precisamente il senso tragico dell esistenza. Che cosa sarebbe vantaggiosissimo per l uomo non sapere dunque? 
Per quanto riguarda la sintesi la scienza non ha bisogno di niente, la scianza è un metodo che parte da ipotesi ,  pone i dati a verifica sperimentale e quando la verifica giustifica l'ipotesi chiamiamo quest'ultima teoria o legge di natura.  Ecco perchè gaia scienza , scienza allegra. Come un bambino che nasconde un oggetto in un cespuglio e poi lo ritrova propio dove l aveva nascosto. Gli scienziati lo sanno benissimo di non consegnarci verità , la scienza ci consegna solo ed unicamente , esattezze. ( da non confondere con la parola "verità") . 
			
 
			
			
				Alcune precisazioni.
"Gaia scienza": qui scienza va intesa come conoscenza, conoscenza nel suo complesso, conoscenza della natura quindi, della storia, della civiltà, dell'uomo.
È bene capire che Nietzsche non si sta rivolgendo al ricercatore che passa le sue giornate sprofondato nel proprio laboratorio al riparo dalle inquietudini degli uomini. Si sta rivolgendo agli uomini della conoscenza che sarebbero presto venuti, disillusi dalle ultime utopie positivistiche, pieni di nostalgie metafisiche e tendenti alla regressione del realismo.
È a questi uomini che vorrebbe consegnare una possibilità: quella di fare vera conoscenza senza precipitare negli abissi del pessimismo o nelle deformazioni della cultura fine a se stessa.
La premessa del discorso è questa. Ma per rafforzarla ho voluto chiarire che quelle di Nietzsche non sono semplici invettive. E per dare robustezza epistemologica a espressioni a volte troppo poetiche e aforistiche ho richiamato l'affinità con le teorie di Mach. Il che non significa dover essere d'accordo con la critica della scienza di Mach, con la sua accezione del principio di causalità ecc. Significa solo che quando Nietzsche parla di parvenza in opposizione a sostanza bisogna ricordarsi che dietro al suo concetto di parvenza ci sono gli studi di Mach e degli empiristi inglesi sulla sensazione e sulla conoscenza.
Ecco cosa scrive (in una versione sintetica e più chiara) in §54.
Che cos'è ora, per me, la "parvenza", ciò che appare? In verità, non l'opposto di sostanza. Infatti che cos'altro posso attribuire ad una sostanza qualsiasi se non appunto i soli predicati della sua parvenza? Parvenza è per me ciò che opera e vive.
[...] Tra tutti questi sognatori anch'io, "l'uomo della conoscenza", danzo la mia danza; l'uomo della conoscenza è infatti un mezzo per prolungare la danza terrena.
E tutta la conoscenza, con la sua estensione e i suoi legami, sarà forse il mezzo più alto per mantenere l'universalità dei sogni e quindi la generale comprensione reciproca di questi sognatori e con ciò appunto la durata del sogno.
L'uomo della conoscenza fa la sua parte per prolungare il sogno. Perché la vita dell'uomo è un sogno. Come nottambuli, se fossimo svegliati, rischieremmo di cadere negli abissi su cui immemori conduciamo le nostre vite.
Le morali, le religioni, le metafisiche cercano di salvarci da questo precipitare. Impongono che ci si svegli e che si prenda sul serio l'abisso per poi ancorarci alla robustezza (o pesantezza?) della loro verità. Al contrario della gaia scienza si rifiutano di continuare con la danza.
			 
			
			
				il riferimento alla danza mi aiuta a capire meglio, essendo un preciso riferimento al ditirambo e ai riti (collettivi) dionisiaci. 
Giacché  i cretesi lo consideravano un loro conterraneo, alluderei anche alla danza delle gru studiata da Kerenyi , un danza circolare che rivitalizzando  il senso del labirinto  - a differenza di altre ritualità basate sul dualismo morte / rinascita - aggiunge a livello intermedio fra quei due opposti anche il senso dello smarrimento.  
In altre parole la perdita di sé modulata attraverso l'estasi dionisiaca viene simbolicamente proposta  da Nietzsche come soluzione alternativa al dilemma angoscioso di colui che  di fronte al dualismo morale/immorale o  bene/male si blocca. O in alternativa sceglie una delle due opzioni rinunciando comunque  a parte di sé stesso. Da qui la sofferenza e l'idea di un premio compensatorio nell'aldilà. 
 Invece nella vita si danza, e pur sfiorando l'abisso, il senso di smarrimento (cognitivo e razionale) viene trasmutato (intuitivamente/emotivamente ?) in un percorso che tutto sommato mi sembra  iniziatico.  Ma quella di Nietzsche non mi sembra una danza collettiva ma individuale.
Così per tornare alla domanda iniziale di Kob, con la sfrontata timidezza di chi ignora Nietzsche, splitterei la risposta in due:
. Al plurale, mi viene dubitare che il pensiero intuitivo e simbolico possa coinvolgere le masse verso una maggiore comprensione reciproca, un migliore equilibrio fra le pluralità presenti nella società, avendo memoria di quello che dice Le Bon sulla psicologia delle folle. L'immagine intuitiva nella folla tende a uniformarsi a livelli semplicistici e identitari, che storicamente hanno visto corrodere (e poi distruggere) la relazione fra diversi  e quindi  il pluralismo della nostra bistrattata società occidentale. Ora, non so se pù internamente che esternamente, sembra che ci si avvicini  alle soglie di un nuovo abisso. Ma mi rendo conto che proseguendo di questo passo mi avvicinerei alla sciocchezza di pensare la società all'interno di una visione ciclica. quindi non so, mi fermo...
. Al singolare sì,  l'abbandono delle pastoie moralistiche che generano più colpevolizzazioni che una efficace (e funzionale)  relazione con le altrui personalità penso che aiuti a danzare meglio nella vita. Ma anche Max Stirner aveva  già messo in guardia l'individuo, forse in maniera più grossolana e parolaia. 
Ho ancora qualche difficoltà a digerire il fatto che la parvenza (l'estetica ) sia ciò "che opera e vive", se non riferendomi alla superfice di contatto fra yin e yang nel tao. Non so se l'analogia sia sostenibile.
			
			
			
				Citazione di: Adalberto il 17 Settembre 2025, 15:14:12 PMil riferimento alla danza mi aiuta a capire meglio, essendo un preciso riferimento al ditirambo e ai riti (collettivi) dionisiaci. 
Giacché  i cretesi lo consideravano un loro conterraneo, alluderei anche alla danza delle gru studiata da Kerenyi , un danza circolare che rivitalizzando  il senso del labirinto  - a differenza di altre ritualità basate sul dualismo morte / rinascita - aggiunge a livello intermedio fra quei due opposti anche il senso dello smarrimento.  
In altre parole la perdita di sé modulata attraverso l'estasi dionisiaca viene simbolicamente proposta  da Nietzsche come soluzione alternativa al dilemma angoscioso di colui che  di fronte al dualismo morale/immorale o  bene/male si blocca. O in alternativa sceglie una delle due opzioni rinunciando comunque  a parte di sé stesso. Da qui la sofferenza e l'idea di un premio compensatorio nell'aldilà. 
 Invece nella vita si danza, e pur sfiorando l'abisso, il senso di smarrimento (cognitivo e razionale) viene trasmutato (intuitivamente/emotivamente ?) in un percorso che tutto sommato mi sembra  iniziatico.  Ma quella di Nietzsche non mi sembra una danza collettiva ma individuale.
Così per tornare alla domanda iniziale di Kob, con la sfrontata timidezza di chi ignora Nietzsche, splitterei la risposta in due:
. Al plurale, mi viene dubitare che il pensiero intuitivo e simbolico possa coinvolgere le masse verso una maggiore comprensione reciproca, un migliore equilibrio fra le pluralità presenti nella società, avendo memoria di quello che dice Le Bon sulla psicologia delle folle. L'immagine intuitiva nella folla tende a uniformarsi a livelli semplicistici e identitari, che storicamente hanno visto corrodere (e poi distruggere) la relazione fra diversi  e quindi  il pluralismo della nostra bistrattata società occidentale. Ora, non so se pù internamente che esternamente, sembra che ci si avvicini  alle soglie di un nuovo abisso. Ma mi rendo conto che proseguendo di questo passo mi avvicinerei alla sciocchezza di pensare la società all'interno di una visione ciclica. quindi non so, mi fermo...
. Al singolare sì,  l'abbandono delle pastoie moralistiche che generano più colpevolizzazioni che una efficace (e funzionale)  relazione con le altrui personalità penso che aiuti a danzare meglio nella vita. Ma anche Max Stirner aveva  già messo in guardia l'individuo, forse in maniera più grossolana e parolaia. 
Ho ancora qualche difficoltà a digerire il fatto che la parvenza (l'estetica ) sia ciò "che opera e vive", se non riferendomi alla superfice di contatto fra yin e yang nel tao. Non so se l'analogia sia sostenibile.
L'immagine della danza nel brano della Gaia scienza che ho riportato ha un significato profondamente diverso rispetto a quello rituale-iniziatico a cui fai riferimento tu, più in linea con le tematiche della Nascita della tragedia, scritta quasi quindici anni prima.
Nella Gaia scienza non si tratta infatti di delineare una sorta di itinerario estatico, ma l'abbozzo di un modo di interpretare l'avventura della conoscenza.
Studiare, pensare, sperimentare.
È possibile continuare a farlo al di là delle illusioni della metafisica? Farlo in modo avventuroso, creativo, senza la pesantezza di un compito morale? Farlo senza la responsabilità di migliorare l'umanità, ma solo per la bellezza delle ipotesi, delle possibilità complesse ancora tutte da sviscerare?
In questo senso Nietzsche parla di gaia scienza: un modo di conoscere che mantiene in sé l'entusiasmo della danza e della giovinezza.
Come un nuovo Rinascimento.
			
 
			
			
				Ti ringrazio, Kob, approfondirò
			
			
			
				Citazione di: Kob il 16 Settembre 2025, 11:26:49 AMLe leggi scientifiche rivelano relazioni di fenomeni. La causalità è un pregiudizio.
Forse allora è il pensiero di Mach che andrebbe approfondito, piuttosto che quello F.N.
A te il merito di avercelo fatto notare.
In effetti le stesse rivelazioni, o meglio rilevazioni di fenomeni, sono descrizioni di fenomeni fatte in modo non univoco, e quindi pregiudiziali, nel senso che c'è un motivo se abbiamo scelto una descrizione fra tante possibili.
Sarebbe un di più aggiungere al ''lasciar cadere la mela'' che una forza l'attragga, sebbene sia una descrizione possibile, che in questo caso vale però una generalizzazione che pone mela e luna,(luna che nessuno lascia cadere), sullo stesso piano.
Si tratta di catalogare diversi fenomeni e ogni teoria ha un diverso potere categorizzante. La gravità ci consente di mettere luna e mela nella stessa lista di fenomeni.
La funzione della gravità è quindi di collegare cielo e terra come un ''creato'' non differenziato.
Questo consente per entrambi una descrizione unica, che però, non bisogna mai dimenticarsi, non è mai univoca.
Einstein infatti ne ha fatto una diversa.
Qual'è dunque quella vera?
Convengo con F.N. sull'infantilità della domanda, che nasce da un infatuazione per la verità.
Ciò che è notevole è che le catalogazioni scientifiche mantengano nel tempo la loro utilità.
Cioè hanno una funzione che va oltre la descrizione.
Non sappiamo cosa sia la realtà se diverse descrizioni sono possibili, e quando crediamo di saperlo è solo per un pregiudizio, ma sappiamo che la realtà è prevedibile, qualunque sia la palla di vetro dentro la quale guardiamo.
Ogni teoria che si dimostri utile mantiene inalterata la sua funzionalità.
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 17 Settembre 2025, 17:33:11 PMÈ possibile continuare a farlo al di là delle illusioni della metafisica?
è necessario specificarle queste illusioni a cui allude Niezche. La prima grande illusione che è di fondamentale importanza nel pensiero di Nietzche è il dualismo Platonico di un mondo imperfetto ,quello in cui viviamo, e un mondo perfetto , l'iperuranio. Che poi si è trasfomato col paradiso dove a capo c'è Dio. Dio è la personificazione delle certezze consolatorie preconfezionate a partire da Platone. è l appiglio su cui l'uomo si aggrappa per dare ordine e bellezza alla propia vita . C'è un Dio, c'è il bene e il male ma se sarò nelbene ecco che sarò salvato. è la scappatoia dal non senso , dalla tragedia di una vita senza senso , dal rifugio dalla morte , dalla paura di se stessi e di conseguenza dalla paura della vita stessa. l'uomo deve guardare in faccia alla realtà e prendersi la piena responsabilità di guardarla , superarla e crescere libero dalle menzogne metafisiche del dualismo. Nietzche esorta di avere il coraggio di guardare la medusa non di pregare Apollo perchè ce la allontani da noi . La realtà è la medusa ma per guardare in faccia la medusa e non rimanere pietrificati bisogna uccidere Dio. Non è un caso che è propio nella gaia scienza che troviamo il primo riferimento alla morte di Dio annunciata dal folle. E chi il folle? Nietzche stesso ovviamente, che annuncia la morte di Dio e ne subisce tutto il trauma , e poi la supera. Ma si accorge che il mondo non è pronto, perchè uccidere Dio significa essere oltreuomo. Ma se esso non è ancora nato nell uomo ecco che uccidere Dio lo condanna alla tragedia , alla destabilizzazione. 
L'umanità non è pronta a pugnalare a morte Dio.  Perchè l'uomo, per vivere, ha bisogno di senso. 
E cosa dice il Satiro a Re mida?  "Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è morire presto" lo mette di fronte alla cruda realtà, il senso a cui alludeva Re mida...non c'è. Scaraventandolo alla dura realtà che è caos. Non c'è il bene e il male , il mondo buono, Dio, gli angeli che ci guidano. Il senso è una costruzione della mente allo stesso modo che Dio è una costruzione della mente. Allora essere oltreuomo significa avere superato tutto questo ed essere finalmente libero dalle menzogne di cui a capo vi è Platone, poi Gesù e infine Immanuel Kant. Fin qui il pensiero di Nietzche. 
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 16 Settembre 2025, 11:26:49 AMMa che ruolo gioca in questo la gaia scienza? Una conoscenza profonda, spregiudicata, ma nello stesso tempo purificata dal bisogno di un fondamento, di un'origine, di un senso. Verso dove ci potrebbe condurre?
Il ruolo di qualcosa di cui a un certo punto abbiamo preso coscienza dandogli un nome, scienza, e che ci ha portati fino a qui.
Qualcosa che produce estetica, che è il modo di vivere una realtà senza forma...
Qualcosa che produce significato che è il modo di vivere una realtà senza significato e cosi' via... 
			
 
			
			
				Uno dei problemi del pensiero di Nietzsche è che mette in contrapposizione ragione e istinto, dando preferenza al secondo e ritenendo la prima come al servizio del secondo. Essendo l'etica una costruzione, anche poi con implication politica, della ragione e non dell'istinto ecco la necessità di superare la morale per liberare l'istinto, ritenuto capace di dare gioia e libertà. Naturalmente nulla prova che vivere una vita sul piano estetico e istintuale garantisca più gioia e libertà che viverla sul piano etico. La vita stessa di Nietzsche ci consegna questa contraddizione. Se infatti per lui la morale è un peso che grava sull'uomo per altri è invece un sostegno. Nietzsche mette in contrasto la vita con la morale e i suoi tipi ideali sono uomini che fanno ciò che vogliono passando sopra la morale (amava Napoleone). Se il dio che ti castiga è finalmente morto posso liberarare la mia volontà al di sopra di ogni morale pre-costituita. Che poi è l'archetipo umano rappresentato da Raskolnikov in Delitto e Castigo. Dostoevskij non conosceva la filosofia di Nietzsche, ma la figura del giovane che uccide l'usuraia ergendosi al di sopra della morale, per ciò che lui intendeva fosse "giusto", progressivamente disgrega la psiche del giovane che non può sfuggire alla sofferenza data dall'atto compiuto se non trovando sostegno nell'etica incontrata in Sonia. Un finale che sicuramente il nostro non avrebbe apprezzato  ;D
Distorsioni politiche di questa concezione dell'oltruomo capace di operare ciò che ritiene "giusto" sopra ogni morale, portano ad un ipotetico Raskolnikov che non solo non va in crisi per l'atto compiuto, ma passa ad eliminare tutti gli usurai, senza alcun rimorso morale. Dare la stura al totalitarismo è un attimo. 
			
			
			
				In §57 chiede ai realisti: voi siete convinti che quello che vi sta davanti sia la realtà, oggettiva, senza veli ecc., ma non vi rendete conto che dentro di voi vi portate dietro le valutazioni delle cose che si sono plasmate nei secoli? Vi illudete di vedere le cose per quelle che sono – semplice, no? – e invece dietro ai vostri occhi c'è un mondo di pregiudizi, valori, lotte antiche...
E poi, continuando in §58, parlando delle casualità e delle vicissitudini storiche, con cui ad una 
cosa è stata assegnata una specifica 
parola, che ha finito per determinarne quella che per noi è la sua sostanza, sottolinea: ma non pensate che mostrare l'origine spuria di essa significhi annientarne il valore! "
Solo come creatori noi possiamo annientare!"
Non lasciamoci fuorviare dall'enfasi del testo, dal suo carattere di invettiva. Qui Nietzsche sta dicendo qualcosa di fondamentale. Ovvero: le nostre valutazioni delle cose, il nostro modo di vedere il mondo sono il risultato di un processo che affonda nei millenni. E anche sapendolo, anche potendolo ripercorrere non si otterrebbe comunque l'effetto di cancellare quello specifico valore. Sappiamo che non è universale, che non è vero, che è emerso magari per effetto di un errore, di una interpretazione ingenua della natura, ma, tuttavia, continua a far sentire il suo effetto. 
Solo creando qualcosa di nuovo, il vecchio smette di apparirci vero.
Il mio problema in quanto uomo della conoscenza, cioè uomo che è stato contagiato dalla filosofia, è delineare un modo nuovo di praticare la conoscenza. Ecco perché questo tentativo di lettura della Gaia scienza.
@Alberto KnoxSì, quello che hai scritto è corretto, ma dopo 150 anni non si tratta più, credo, di combattere Platone e il cristianesimo. Piuttosto l'urgenza è quella di allenarci, nel nostro piccolo, a creare cose nuove (in modo che le cose vecchie smettano definitivamente di far sentire i propri effetti, anche soltanto come nostalgia). Posare il martello, insomma, e iniziare a maneggiare strumenti più fini.
@AlexanderNietzsche non contrappone istinto e ragione, anzi il suo obiettivo è mostrare che la ragione è un prodotto derivato, un adattamento organico, al pari dell'istinto. Smaschera la presunta purezza della razionalità, in quanto invenzione metafisica. Così anche per quanto riguarda la critica della morale: è la critica di una specifica morale, non del fatto che ci siano sempre, in ogni cultura, dei valori, un'etica. Per lui, il rimedio offerto da quella morale, in generale dalla metafisica platonico-cristiana, è stato peggiore della malattia.
Su Raskolnikov le cose non sono così semplici. Non si tratta di omicidio-pentimento-redenzione. Forse il suo dramma riguarda più l'aver fallito una prova (dimostrare di essere un grande uomo) che il senso di colpa per le sue vittime.
Raskolkov si salva quando già dopo un anno in Siberia ai lavori forzati, con il cuore ancora di ghiaccio, fa due sogni. Nel secondo vede, al di là di un fiume sulla cui riva sta lavorando, una comunità nomade di uomini liberi, diversi, come fuori dalla storia. È l'utopia a salvarlo (scrive Pietro Citati). La possibilità di un mondo nuovo. Solo a quel punto riesce a sciogliersi, ad abbandonarsi all'amore per Sonja.
Ma su "Delitto e castigo" andrebbe aperto un topic...
@ianoAl tuo secondo post credo di aver già risposto nella parte finale del brano qui sopra.
Il tentativo è quello di mettere a punto concretamente un modo di vivere il lavoro della conoscenza. L'interpretazione della scienza, in generale dell'impresa scientifica attuale, da questo punto di vista, è secondaria, cioè per quanto ineludibile non è l'oggetto della discussione.
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 18 Settembre 2025, 11:20:08 AMIl mio problema in quanto uomo della conoscenza, cioè uomo che è stato contagiato dalla filosofia, è delineare un modo nuovo di praticare la conoscenza. Ecco perché questo tentativo di lettura della Gaia scienza.
Se per te ''L'interpretazione della scienza, in generale dell'impresa scientifica attuale, da questo punto di vista, è secondaria, cioè per quanto ineludibile non è l'oggetto della discussione.'', e per quanto, grazie alla tua ottima esposizione, posso verificare una buona coincidenza fra il mio pensiero e quello di F.N., dal resto che aggiungi deduco solo che la conoscenza , nella forma attuale di scienza, sia per te solo fonte di delusione, non soddisfacendo le tue aspettative.
Però io credo che tu ed io, in quanto singoli, non possiamo non vedere l'impresa scientifica come un fatto, in quanto impersonale è i suo creatore, per quanto ognuno di noi vi contribuisca.
In quanto fatto, il volervi prescindere a cosa può portare di nuovo, se non a un distorsione dei fatti?
Nel caso questa insoddisfazione fosse dovuta alla constatazione dell'aridità cui è divenuta la materia, secondo me sbagli.
Cercare di fare a meno della metafisica ha solo chiarito quale sia il suo ruolo insostituibile.
Sarà interessante seguire l'evoluzione del tuo pensiero, perchè comunque è un piacere leggerti.
			
 
			
			
				Citazione di: iano il 18 Settembre 2025, 12:48:22 PMSe per te ''L'interpretazione della scienza, in generale dell'impresa scientifica attuale, da questo punto di vista, è secondaria, cioè per quanto ineludibile non è l'oggetto della discussione.'', e per quanto, grazie alla tua ottima esposizione, posso verificare una buona coincidenza fra il mio pensiero e quello di F.N., dal resto che aggiungi deduco solo che la conoscenza , nella forma attuale di scienza, sia per te solo fonte di delusione, non soddisfacendo le tue aspettative.
Però io credo che tu ed io, in quanto singoli, non possiamo non vedere l'impresa scientifica come un fatto, in quanto impersonale è i suo creatore, per quanto ognuno di noi vi contribuisca.
In quanto fatto, il volervi prescindere a cosa può portare di nuovo, se non a un distorsione dei fatti?
Nel caso questa insoddisfazione fosse dovuta alla constatazione dell'aridità cui è divenuta la materia, secondo me sbagli.
Cercare di fare a meno della metafisica ha solo chiarito quale sia il suo ruolo insostituibile.
Sarà interessante seguire l'evoluzione del tuo pensiero, perchè comunque è un piacere leggerti.
No, la scienza non mi delude affatto. Quando ho scritto che la considero "secondaria" rispetto al tema in discussione, intendevo solo chiarire che con "Gaia scienza" Nietzsche intende "conoscenza nel suo complesso" (il titolo originale è "Die fröhliche Wissenschaft": Wissenschaft in tedesco significa "sapere sistematico", non "scienza" nel senso ristretto delle scienze naturali).
A deludermi non è la scienza, ma due atteggiamenti opposti nei suoi confronti: da un lato chi la rifiuta come arida (sono d'accordo con te su questo), o colpevole di dissezionare la natura e di trascurare il "qualitativo" (tipico dei nostalgici della metafisica); dall'altro chi si arrende all'iper-specializzazione, perdendo di vista un orizzonte più ampio.
Per questo, nel parlare di gaia scienza, il punto per me è come immaginare un modo nuovo di vivere la conoscenza, non come liquidare la scienza attuale.
Naturalmente all'uomo della conoscenza (così lo chiama Nietzsche, intendendo l'uomo innamorato del sapere, il filosofo) la scienza in senso stretto si manifesta come sapere depositato nei testi. Non come una prassi esercitata all'interno di un laboratorio.
Noi, in quanto uomini della conoscenza, desideriamo comprendere. E non possiamo accettare che qualcosa che amiamo possa rimanere fuori dalla nostra portata. Non si tratta del sogno di un nuovo enciclopedismo – sarebbe ridicolo. Ma che anche le basi della scienza moderna (compresa quindi la sua struttura matematica) debbano essere fuori dalla nostra portata... no, questo non possiamo accettarlo.
Una possibilità che andrebbe verificata con attenzione è l'apporto della AI. In questi giorni sto usando la versione plus di chatGPT. Tra le sue funzioni c'è questa: gli invii una foto della pagina del libro che stai leggendo e di cui magari non hai capito nulla e le chiedi spiegazioni. Lei traduce l'immagine in testo, dopodiché ti fornisce una versione alternativa, più sintetica, più pedagogica ecc., a seconda delle tue esigenze. Se il significato del testo ti continua a risultare oscuro puoi proseguire a interrogarla. Per sempre.
Si tratta di qualcosa di straordinario dal punto di vista dell'aiuto all'apprendimento. Soprattutto nelle scienze della natura. Per esempio nella comprensione di un teorema di matematica o di fisica. È come se avessimo a disposizione un insegnante preparato e paziente, senza il timore di fare domande troppo stupide.
Per questo in altro topic parlavo di potenziamento cognitivo.
Che grazie alla AI si possa diventare come tanti uomini rinascimentali?
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 18 Settembre 2025, 16:29:04 PMNaturalmente all'uomo della conoscenza (così lo chiama Nietzsche, intendendo l'uomo innamorato del sapere, il filosofo) la scienza in senso stretto si manifesta come sapere depositato nei testi. Non come una prassi esercitata all'interno di un laboratorio.
Noi, in quanto uomini della conoscenza, desideriamo comprendere. E non possiamo accettare che qualcosa che amiamo possa rimanere fuori dalla nostra portata. Non si tratta del sogno di un nuovo enciclopedismo – sarebbe ridicolo. Ma che anche le basi della scienza moderna (compresa quindi la sua struttura matematica) debbano essere fuori dalla nostra portata... no, questo non possiamo accettarlo.
Adesso il tuo intento mi risulta molto più chiaro.
AI, può essere molto di aiuto, nel modo in cui ne hai detto.
Ma non risolve il problema.
Il problema è: come faccio a comprendere qualcuno che si esprime in una lingua che non conosco?
La risposta è imparando la lingua, almeno a un livello basico.
Per Sean Carroll, nel suo ''Spazio, tempo, e movimento'', però è quanto basta, come promette.
Egli scrive, una cosa è dire che ''la massa e l'energia causano la curvatura dello spaziotempo'', un altra è leggere l'equazione di Einstein.
Puoi leggere tutte le spiegazioni che vuoi, ma finché non capisci questa equazione, non capirai davvero la teoria di Einstein.''
Detto ciò io non dispero che si possano trovare altre strade, cercando fra gli attrezzi dei filosofi.
Quanto sia immane però il compito deve essere chiaro.
In sostanza ci proponiamo di evitare la via diretta, sperando che quella più tortuosa possa essere più agevole, e tutti possano avervi più facile accesso.
Il tema che poni è comunque centrale, e riguarda il rischio di essere tagliati fuori dalla cultura, pur con tutta la nostra volontà di restarvi aderenti.
Sempre secondo Sean Carroll comprendere il linguaggio matematico è un lavoro che richiede una vita intera, per soli specialisti.
Tuttavia gran parte del loro lavoro consiste nel risolvere equazioni, e trovare la soluzione di un equazione può impegnare l'intera vita di un fisico.
Noi non dobbiamo risolvere equazioni, ma comprendere le equazioni, e non è un compito facile, ma comunque alla portata di chi ne ha voglia.
L'intelligenza artificiale può più proficuamente sollevare i fisici dal trovare le soluzioni delle equazioni, perchè lei è più brava a farlo, o comunque ci mette molo meno tempo.
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 16 Settembre 2025, 11:26:49 AMNella parte conclusiva della prefazione alla "Gaia scienza" Nietzsche scrive: "No, questo cattivo gusto, questo volere la verità, la verità a ogni costo, questa farneticazione da adolescenti nell'amore della verità – ci sono venuti in uggia: per questo siamo troppo esperti, troppo rigorosi, [...] troppo profondi...".
Per poi concludere: "Oh questi Greci! Loro sì sapevano vivere; per vivere occorre arrestarsi animosamente alla superficie, all'increspatura, alla pelle, adorare la parvenza, credere a forme, suoni, parole, all'intero Olimpo della parvenza! Questi Greci erano superficiali – per profondità!"
Ma allora questa gaia scienza, questa conoscenza gioiosa del mondo, che cosa sarebbe? Un fermarsi all'apparenza scegliendo di non indagare i meccanismi profondi della natura? Un atto estetico?
No, niente di più sbagliato!
Sappiamo che Nietzsche era a conoscenza del lavoro di Ernst Mach e nel periodo tra la prima e la seconda edizione della Gaia scienza (1882-1887) leggerà con attenzione il testo di Mach sulle sensazioni.
Per Mach la scienza è un processo biologico. Esprime l'adattamento dell'organismo alle condizioni esterne. Non c'è salto qualitativo tra istinto e intelligenza. In entrambe i casi l'organismo si calibra sui fenomeni esterni. Questo significa che la conoscenza non è una rappresentazione degli oggetti, ma costruzione di modelli per orientarsi nel mondo.
Quindi non c'è alcun fondamento del reale. Le leggi scientifiche rivelano relazioni di fenomeni. La causalità è un pregiudizio. Noi osserviamo soltanto che al variare di un fenomeno segue la variazione di un altro fenomeno. Questo non significa affatto che uno sia causa dell'altro.
L'affinità con certe idee di Nietzsche è evidente. Mach però oltre ad essere filosofo era anche scienziato. La sua conoscenza diretta dell'impresa scientifica garantisce alle intuizioni di Nietzsche una validità epistemologica. Così appare chiaro come l'operazione di riduzione di Nietzsche a esteta sia superficiale.
Prendiamo ora §1 "I teorici del fine dell'esistenza".
Sinossi.
Tesi di partenza. Guardati da vicino o da lontano, gli uomini sembrano tutti impegnati — consapevoli o no — a favorire la conservazione della specie. Non per "amore dell'umanità", ma per un istinto antichissimo, che è l'essenza della nostra specie.
Rivalutazione di utile/dannoso. A conti fatti non è semplice separare chi giova e chi nuoce: anche il "più dannoso" può risultare utile alla specie perché preserva energie/istinti (odio, crudeltà, dominio, rapina) che, pur costosi e "malvagi", hanno impedito l'infiacchimento dell'umanità.
Di una vita del genere, della propria vita, allora non rimarrebbe che riderne. La vita non si è ancora del tutto rivelata come commedia.
Ora domina un altro tempo: il tempo della tragedia, delle morali e delle religioni.
Chi sono i "teorici del fine". In questo tempo tragico compaiono ciclicamente fondatori di morali e religioni (e il loro seguito: poeti, "macchinisti", confidenti, ecc.). Essi mettono in scena grandi drammi morali, accendono contese sui valori, predicano rimorsi e guerre sante. Ma, così facendo, promuovono la fede nella vita e quindi, di nuovo, la vita della specie.
Come operano. L'istinto di conservazione si traveste da ragione e passione: erige un ricco apparato di motivi e "perché", comanda che la vita sia amata e che l'uomo promuova lo sviluppo di sé e del prossimo. Sono invenzioni (anche azzardate o "contro natura"), ma hanno avuto effetto: senza questi eroi e le loro costruzioni l'umanità sarebbe crollata più volte.
Doppio movimento. Alla lunga il riso, la ragione e la natura "correggono" quelle grandi tragedie, come onde che le spazzano via. E tuttavia proprio quelle comparse tragiche hanno trasformato l'umanità: la specie ora ha bisogno, periodicamente, di una fiducia nella vita e di credere che nella vita ci sia "ragione".
C'è una legge di flusso e riflusso: tempi del riso e tempi della tragedia si alternano — entrambi servono la vita.
Fine della sinossi.
Nietzsche lascia però in sospeso l'essenziale. O meglio, preferisce non parlarne in modo diretto: se con i flussi e riflussi, oggi, nel nostro tempo, possiamo dire di poter ridere delle ambizioni delle religioni e delle morali, non possiamo dire la stessa cosa della vita in generale. In altre parole il ciclo di moralisti e tragedia ci ha lasciati con il bisogno di prendere sul serio la vita, di cercarne un senso, un fine, una stabilità.
Ma che ruolo gioca in questo la gaia scienza? Una conoscenza profonda, spregiudicata, ma nello stesso tempo purificata dal bisogno di un fondamento, di un'origine, di un senso. Verso dove ci potrebbe condurre?
Io credo che tu personalmente, a un certo punto della tua vita devi volere che il mondo non abbia senso, per "esaurire" fino in fondo questo particolare volere, appunto, il volere rivolto al non senso, e cominciare a volere altro, cioe' a dare senso al mondo in modo nuovo e creativo, come farebbero il fanciullo o il superuomo. 
Devi vedere nuove possibilita' e liberazione, laddove gli altri vedono solo angoscia e oppressione. Il fatto che il mondo non abbia senso per i piu' e per il senso comune e' una notizia negativa? Ebbene, per te, invece, deve essere positiva. Devi sentire dentro di te, il senso di nuovo inizio e di liberta' che deriva dall'insensatezza stessa del mondo e della vita.
E' la volonta', che manda avanti il tempo, cioe' la volonta', sostanzialmente, come forza personale e anche cosmica e impersonale, vuole divorare se stessa e ininterrottamente mutare e cambiare, il tutto nel "contesto" di un universo che contiene solo se stessa; quindi, essa non e' mai paga di nulla, e fornisce con il suo stesso esserci un abbozzo di spiegazione al perche' della sofferenza dell'uomo, ma non e' nemmeno un assoluto statico e filosoficamente "spendibile" che possa prendere il posto del defunto Dio. 
La fame dell'uomo non si colma perche' e' fame di divenire. Non e' "previsto" che si colmi. Se tu questo lo sai, sai anche che l'unico "attraversamento" possibile del problema del non senso della vita, quando lo incontri, e' volerlo. Il non senso, intendo, non il (relativo) problema. Volerlo, ti portera' dritto dritto ad un altro, volere. Non volerlo, eternizzera' la situazione problematica in cui ti trovi quando sei davanti alla Medusa, cioe' sei tu, che credendo alle "balle" della metafisica, (compresa, prima di tutto, la balla che afferma che hai bisogno di tali balle) pietrifichi te stesso. 
I viventi, hanno fame di divenire, piu' ancora, che gli uni degli altri; la vita e' una resistenza eterna all'eterno: "conoscere te stesso" significa, pressappoco, conoscere la misura 
massima entro cui puoi sentirla, la vita, senza spezzarti.
			
 
			
			
				Molto interessante è il §110, 
"Origine della conoscenza".
Sinossi:
Per lunghissimi periodi l'intelletto umano non ha prodotto conoscenze vere, ma illusioni ed errori. Eppure proprio questi errori hanno sostenuto la vita e la conservazione della specie: erano utili, non perché veri, ma perché davano stabilità, sicurezza, orientamento. Con il tempo, questi errori sono diventati abitudini, articoli di fede, e hanno formato il contenuto più duraturo delle nostre credenze.
Solo molto più tardi l'uomo ha cominciato a dubitare di essi e a distinguere il vero dal falso. 
Col tempo, però, la ricerca di verità è diventata una passione a sé, un compito, una vocazione. Anche le forze che negano e distruggono sono state inglobate in questo processo: tutto lavora al servizio della conoscenza.
Alla fine, però, la conoscenza si trova di fronte al suo problema estremo: deve riconoscere che tanto gli errori quanto la verità sono forze vitali, entrambi necessari. Ne nasce un conflitto interno all'uomo stesso.
E così, la domanda ultima diventa: 
fino a che punto la vita può sopportare la verità?Fine della sinossi.
Apparentemente nel brano qualcosa non funziona. Infatti sappiamo che per Nietzsche il vero è, diciamo così, un errore utile. Non c'è cioè una reale distinzione tra ciò che si ritiene vero e ciò che si reputa falso.
La soluzione è la seguente: le verità non sono tali perché misteriosamente rappresentano la realtà; vengono considerate tali invece perché sono state capaci di smascherare idee precedenti, e sostituirle.
La conoscenza assume così la forma di un continuo smascheramento. Una battaglia in cui le immagini perdenti vengono scalzate da quelle vincenti. Le quali, come la storia dimostra, saranno a loro volta sostituite.
Detto questo, rimane però la domanda finale: fino a che punto la vita può sopportare la verità?
Come dobbiamo intenderla?
Forse qui Nietzsche intende dire: fino a che punto possiamo reggere questo processo di smascheramento sempre più raffinato, complesso? Questo processo che è di fatto una specie di cammino nella disillusione, nello scetticismo.
Oppure potrebbe anche intendere che in queste verità contemporanee non c'è abbastanza vitalità rispetto alle illusioni antiche, certo grezze, ma fondamentali per la conservazione della vita.
Comunque la si voglia interpretare rimane il fatto che per l'uomo della conoscenza la cosa si fa ancora più seria. Da una parte infatti, in quanto tale, non può che partecipare a questo grande programma di smascheramento; dall'altra però non ha alcuna intenzione di deprimersi per il venire meno delle antiche certezze.
Vuole sì confutare, ma sente anche il bisogno di creare. Si richiede dunque che sia non solo sottile teorico, ma anche costruttore, artigiano, artista, ballerino.
@nikoSe si accetta che l'impostazione del problema data da Nietzsche sia corretta, e cioè che il bisogno di senso sia ormai come iscritto biologicamente nell'uomo, per effetto di millenni di religioni e metafisiche, mi sembra difficile che si possa, con un atto di volontà individuale, forzare il giudizio su quello che ci circonda, che appare come privo di senso, e trasformarlo in sensato.
Cioè ribaltare l'evidenza con una decisione propria. Mi sembra un po' come quelli che hanno oggettivamente una vita triste e sfortunata ma che si sforzano comunque di essere ottimisti, dove gli altri vedono fallimenti loro dicono "opportunità!".
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 19 Settembre 2025, 16:27:24 PME così, la domanda ultima diventa: fino a che punto la vita può sopportare la verità?
Usando 
questo testo online (ed. Rusconi, trad. A. Treves) la domanda conclusiva del 110 è: «Fino a qual punto la verità sopporta la compenetrazione, l'incorporazione?» (simile a quella proposta 
qui). Possibile che esistano due traduzioni così differenti rispetto a quella che proponi?
P.s.
Citazione di: Kob il 19 Settembre 2025, 16:27:24 PMmi sembra difficile che si possa, con un atto di volontà individuale, forzare il giudizio su quello che ci circonda, che appare come privo di senso, e trasformarlo in sensato.
Cioè ribaltare l'evidenza con una decisione propria.
Se puoi scrivere su un foglio qualcosa di comprensibile, è proprio perché non c'è già scritto null'altro. L'evidenza del vuoto nel foglio (nichilismo passivo) è la condizione di possibilità del tuo poterci scrivere (nichilismo attivo, danza e Dioniso).
Il problema della metafisica era esattamente quello di voler leggere un foglio vuoto, scambiando l'ombra delle proprie dita indagatorie per qualcosa di scritto sul foglio.
Alla fine, se non ci piace nemmeno scrivere sul foglio, possiamo pur sempre farci un 
origami (arte).
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 19 Settembre 2025, 16:27:24 PMMolto interessante è il §110, "Origine della conoscenza".
Sinossi:
Per lunghissimi periodi l'intelletto umano non ha prodotto conoscenze vere, ma illusioni ed errori. Eppure proprio questi errori hanno sostenuto la vita e la conservazione della specie: erano utili, non perché veri, ma perché davano stabilità, sicurezza, orientamento. Con il tempo, questi errori sono diventati abitudini, articoli di fede, e hanno formato il contenuto più duraturo delle nostre credenze.
Solo molto più tardi l'uomo ha cominciato a dubitare di essi e a distinguere il vero dal falso. 
Col tempo, però, la ricerca di verità è diventata una passione a sé, un compito, una vocazione. Anche le forze che negano e distruggono sono state inglobate in questo processo: tutto lavora al servizio della conoscenza.
Alla fine, però, la conoscenza si trova di fronte al suo problema estremo: deve riconoscere che tanto gli errori quanto la verità sono forze vitali, entrambi necessari. Ne nasce un conflitto interno all'uomo stesso.
E così, la domanda ultima diventa: fino a che punto la vita può sopportare la verità?
Fine della sinossi.
Apparentemente nel brano qualcosa non funziona. Infatti sappiamo che per Nietzsche il vero è, diciamo così, un errore utile. Non c'è cioè una reale distinzione tra ciò che si ritiene vero e ciò che si reputa falso.
La soluzione è la seguente: le verità non sono tali perché misteriosamente rappresentano la realtà; vengono considerate tali invece perché sono state capaci di smascherare idee precedenti, e sostituirle.
La conoscenza assume così la forma di un continuo smascheramento. Una battaglia in cui le immagini perdenti vengono scalzate da quelle vincenti. Le quali, come la storia dimostra, saranno a loro volta sostituite.
Detto questo, rimane però la domanda finale: fino a che punto la vita può sopportare la verità?
Come dobbiamo intenderla?
Forse qui Nietzsche intende dire: fino a che punto possiamo reggere questo processo di smascheramento sempre più raffinato, complesso? Questo processo che è di fatto una specie di cammino nella disillusione, nello scetticismo.
Oppure potrebbe anche intendere che in queste verità contemporanee non c'è abbastanza vitalità rispetto alle illusioni antiche, certo grezze, ma fondamentali per la conservazione della vita.
Comunque la si voglia interpretare rimane il fatto che per l'uomo della conoscenza la cosa si fa ancora più seria. Da una parte infatti, in quanto tale, non può che partecipare a questo grande programma di smascheramento; dall'altra però non ha alcuna intenzione di deprimersi per il venire meno delle antiche certezze.
Vuole sì confutare, ma sente anche il bisogno di creare. Si richiede dunque che sia non solo sottile teorico, ma anche costruttore, artigiano, artista, ballerino.
@niko
Se si accetta che l'impostazione del problema data da Nietzsche sia corretta, e cioè che il bisogno di senso sia ormai come iscritto biologicamente nell'uomo, per effetto di millenni di religioni e metafisiche, mi sembra difficile che si possa, con un atto di volontà individuale, forzare il giudizio su quello che ci circonda, che appare come privo di senso, e trasformarlo in sensato.
Cioè ribaltare l'evidenza con una decisione propria. Mi sembra un po' come quelli che hanno oggettivamente una vita triste e sfortunata ma che si sforzano comunque di essere ottimisti, dove gli altri vedono fallimenti loro dicono "opportunità!".
Quello che interessa Nietzsche e' un orizzonte di senso che sia veramente 
nuovo: nuovo proprio perche' finalmente compatibile con il [pregresso] non senso, e non, direttamente e senza complementarita', contrapposto ad esso. 
Il senso, ha bisogno del non-senso, proprio come la pienezza, il pieno, ha bisogno del vuoto.
Se il cristiano medio vede nell'assenza o nell'indifferenza del suo Dio solo orrore e destino di perdizione, l'ateo (in realta': anche senza bisogno che questo ateo  sia Nietzsche) ci vede delle opportunita'. Ottimismo e pessimismo, in tutto cio' non c'entrano molto, si tratta di modi diversi di considerare e valutare la condizione umana.
La morte di dio, ma anche l'indifferenza assoluta di una natura "matrigna" ai dilemmi umani, e' 
liberta', ma non "liberta' " pseudo etica nel senso di libero arbitrio, liberta' reale e concreta giacente nel fondo della determinazione di causa ed effetto, nel senso che, il futuro, la parte futura del tempo, in un mondo senza Dio, e con una natura indifferente, non e' piu' completamente determinato dal passato. Bene, ma che nasce dalla (constatabile) divina indifferenza, invece che dal (presunto) divino amore. Senza un punto zero del tempo, senza alcuna origine.
La morte di Dio, e l'indifferenza della natura e' innocenza, innocenza che dischiude la possibilita' di una nuova, piu' seria responsabilita'.
L'increato, la dimensione esistenziale dell'increato, di cio' che e' da sempre e per sempre, a cui l'uomo auspicabilmente dovra' essere restituito, cessando finalmente di essere Pecora, e tanto piu', Figlio, e' l'eternita' stessa della vita terrena, al di qua', di ogni cielo.
			
 
			
			
				Dopo aver letto Montinari capisco che Nietzche non è mai andato oltre Umano Troppo Umano. La sua opera finale è infatti l'Anticristo.
La gaia scienza rimbalza di nuovo nella sua impossibilità.
A mio modo di vedere togliendo la morale Nietzche si è auto-sabotato.
E' normale che sia tornato al punto di partenza, e anzi si sia definitivamente ammalato.
Naturalmente sono ben conscio che quando lui attacca la verità, in realtà sta attaccando la menzogna.
Putroppo dopo di lui, tutti hanno finto che la verità non sia una ridicola menzogna.
E questa menzogna si chiama cristianesimo, non si scappa.
Il vittimismo soverchiante di chi è abitato dalla volontà di potenza, la sua menzogna in tutte le salse, non si chiama forse scienza?
E' la scienza a essere ridicola nell'affermare di poter dire il vero.
Quando è un semplice psicologismo. E anche da lì non si scappa.
Non vorrei davvero tornare a dove citare heideger, ma la sua critica alla scienza mi pare ancora citabile. Lasciando perdere tutto il resto della sua squinternata "visione del mondo".
Nietzche si riferisce a quello che i greci sapevano già molto bene, ossia che è la phisis stessa a essere la risposta ai quesiti dell'uomo.
Quando guardiamo un monte, un lago, un mare: gli uomini impazziscono divorati dalla loro nevrosi, e loro sono sempre là, imperturbabili. La natura regna, il resto sono solo scuse di un epoca impazzita nel momento in cui ha deciso che non esiste più un Dio.
			
			
			
				Citazione di: green demetr il 26 Settembre 2025, 17:46:33 PMIl vittimismo soverchiante di chi è abitato dalla volontà di potenza, la sua menzogna in tutte le salse, non si chiama forse scienza?
E' la scienza a essere ridicola nell'affermare di poter dire il vero.
Se però la scienza invece non afferma di poter dire il vero, allora sei tu, non dico ad apparir ridicolo, ma a darci motivo di pensare.
E quello che penso è che non ci si stacca dal concetto di verità dall'oggi al domani, e che lo si possa fare con velocità differenziate, e che tu sia rimasto indietro, nel punto in cui , il fatto che la scienza dovesse dire la verità non era in discussione, perchè era a tutti ovvio che era li per dire la verità.
Però quel tempo è passato Green, come è passato quel tempo in cui, si poteva pur discutere in che Dio credere, ma non certo sul credervi o meno.
F.N. è una tappa importante nel processo di distacco dalla verità, che non dovrebbe essere più attuale secondo le mie aspettative, e invece lo è ancora, dal che deduco appunto quanto sia lungo e travagliato il processo di distacco dal concetto di verità.
			
 
			
			
				Citazione di: green demetr il 26 Settembre 2025, 17:46:33 PMDopo aver letto Montinari capisco che Nietzche non è mai andato oltre Umano Troppo Umano. La sua opera finale è infatti l'Anticristo.
La gaia scienza rimbalza di nuovo nella sua impossibilità.
A mio modo di vedere togliendo la morale Nietzche si è auto-sabotato.
E' normale che sia tornato al punto di partenza, e anzi si sia definitivamente ammalato.
Naturalmente sono ben conscio che quando lui attacca la verità, in realtà sta attaccando la menzogna.
Putroppo dopo di lui, tutti hanno finto che la verità non sia una ridicola menzogna.
E questa menzogna si chiama cristianesimo, non si scappa.
Il vittimismo soverchiante di chi è abitato dalla volontà di potenza, la sua menzogna in tutte le salse, non si chiama forse scienza?
E' la scienza a essere ridicola nell'affermare di poter dire il vero.
Quando è un semplice psicologismo. E anche da lì non si scappa.
Non vorrei davvero tornare a dove citare heideger, ma la sua critica alla scienza mi pare ancora citabile. Lasciando perdere tutto il resto della sua squinternata "visione del mondo".
Nietzche si riferisce a quello che i greci sapevano già molto bene, ossia che è la phisis stessa a essere la risposta ai quesiti dell'uomo.
Quando guardiamo un monte, un lago, un mare: gli uomini impazziscono divorati dalla loro nevrosi, e loro sono sempre là, imperturbabili. La natura regna, il resto sono solo scuse di un epoca impazzita nel momento in cui ha deciso che non esiste più un Dio.
Ciao green.
Non sono sicuro di aver capito quello che intendi dire. Come si può criticare e dissolvere la metafisica e la religione senza intaccare l'insieme di quei valori etici che derivano da esse?
Subito dopo 
Umano troppo umano, in 
Aurora e poi in 
Gaia scienza, Nietzsche mi sembra faccia i conti con la conoscenza. Conoscenza che è appunto smascheramento delle menzogne religiose e metafisiche, ma anche conoscenza in quanto passione (che lui conosceva bene).
Un'opera aforistica, come fa notare Montinari in "Che cosa ha detto Nietzsche", è sempre un'opera aperta.
Io ho l'impressione, mentre leggo questi testi, di rimbalzare dall'uno all'altro affrontando gli stessi nuclei tematici da visuali però differenti.
Lo spirito libero di 
Umano troppo umano diventa così l'uomo della conoscenza di 
Aurora e 
Gaia scienza. Il quale poi con l'idea dell'eterno ritorno è chiamato a fare un salto di qualità, diciamo così, ad andare oltre se stesso, ad essere "superuomo".
Belle le pagine di Montinari dedicate alla fase preparatoria dell'idea dell'eterno ritorno. Cioè la ricerca da parte di Nietzsche di un'attendibilità scientifica di essa attraverso la consultazione di alcuni testi di fisica di quel tempo. Sembra che comunque – così dice Montinari – la sua ricerca puntasse a trovare le prove della non contraddittorietà dell'eterno ritorno (non contraddittorietà rispetto alle conoscenze scientifiche del tempo). Affinché rimanesse in piedi l'ipotesi, insomma. Così da poter dare frutti.
Ancora oggi sembra che per tenerla in piedi ci si possa rivolgere a certe speculazioni cosmologiche bizzarre sì ma possibili. Nonostante il problema rappresentato dall'entropia.
			
 
			
			
				A parte l'interessante intervento sulle traduzioni riprendo questo pensiero raccolto:
"Nietzsche non contrappone istinto e ragione, anzi il suo obiettivo è mostrare che la ragione è un prodotto derivato, un adattamento organico, al pari dell'istinto. Smaschera la presunta purezza della razionalità, in quanto invenzione metafisica"
Questo é il nocciolo della questione, a mio vedere.
É riuscito a mostrarlo in modo convincente?
			 
			
			
				Nel post n.23 io non ho fatto una traduzione ma una sintesi semplificata. Infatti l'ho preceduta dal termine "Sinossi:".
La traduzione dell'edizione Adelphi (che è ovviamente quella di riferimento per le opere di Nietzsche), nel punto indicato da Phil, è la seguente:
"Il pensatore: questo è ora l'essere in cui l'istinto della verità e quegli errori utili alla conservazione dell'esistenza si scontrano nella prima battaglia, essendosi dimostrato che anche l'istinto di verità è una potenza intesa alla conservazione della vita. In rapporto all'importanza di questa battaglia tutto il resto è indifferente: qui si pone il problema ultimo della condizione della vita e si fa il primo tentativo di rispondere con l'esperimento a questo problema. Fino a che punto la verità sopporta di essere assimilata? – questo è il problema, questo l'esperimento".
Dal momento che in Nietzsche la verità è una costruzione umana, dal momento che Nietzsche non fa mai ragionamenti ambigui come quelli di Heidegger su una verità che misteriosamente prende l'iniziativa e si manifesta da sé, io l'ho interpretata in riferimento alla battaglia tra conoscenze utili alla conservazione della vita e verità che le smascherano, pur essendo tali verità, in generale la ricerca della verità, una potenza anch'essa utile alla vita.
Cioè ho interpretato il passo intendendo come soggetto il pensatore che fa l'esperimento di questa battaglia dentro se stesso, per cui la frase va intesa nel senso: quanta verità può essere assimilata. Verità che distrugge, ma verità che è nello stesso tempo l'espressione di un istinto comunque funzionale in qualche modo alla vita. Perché appunto la condizione nuova è la consapevolezza di questi due aspetti attinenti la ragione, che non può più essere intesa come una facoltà pura, distaccata dalla vita.
Naturalmente chi non è d'accordo è libero di esprimere interpretazioni differenti, anziché limitarsi a interrogativi sulla bontà della mia lettura. Io infatti non sono qua a cercare di dimostrare alcunché. Non ho una tesi specifica da difendere. Non a caso il titolo del topic è "Alla ricerca della gaia scienza", e non "Cos'è la gaia scienza".
			
			
			
				"Il pensatore: questo è ora l'essere in cui l'istinto della verità e quegli errori utili alla conservazione dell'esistenza si scontrano nella prima battaglia, essendosi dimostrato che anche l'istinto di verità è una potenza intesa alla conservazione della vita. In rapporto all'importanza di questa battaglia tutto il resto è indifferente: qui si pone il problema ultimo della condizione della vita e si fa il primo tentativo di rispondere con l'esperimento a questo problema. Fino a che punto la verità sopporta di essere assimilata? – questo è il problema, questo l'esperimento"
Nel discorso con Enrico73, che spero non abbandoni il forum, gli dissi che il suo pensiero era l'estremizzazione della vostra stessa postura mentale. Evidentemente, pur non dando la risposta sicura che offre Enrico anche Nietzsche la pensava in parte come lui se si poneva la stessa domanda. Sarebbe dunque questo timore a limitarvi?
Sono già più di quattro anni che insisto sul mio primo post di ingresso nel forum che riporto:
"Secondo me gli animali sanno benissimo quel che fanno. Certo, agiscono d'istinto, ma nessuno ha mai dimostrato che noi non lo facciamo. Potrebbe benissimo essere che noi d'istinto ci si rivolga alla ragione, e questa, di conseguenza, moduli nei modi più convenienti l'istinto selvaggio. Se si prova a immaginare un mondo senza regole orali o scritte, probabilmente anche noi vivremmo di puro istinto."
Non avendo fino a oggi cavato un ragno dal buco, mi chiedo comunque ancor ora quale peso abbiano i sesterzi sulla psiche.. si intenda: se la fame di verità sta nell'istinto, dovreste semplicemente mangiarla. Io l'ho mangiata, sono rimasto sorpreso, ma mi è piaciuta.. beato me. Per male che vi vada dovreste solo digerire un boccone amaro, ma a mio vedere salutare e perfettamente assimilabile.
La verità è sempre dialogica finché siamo confinati nel tempo ed è inesauribile poiché la dialogicità è sempre promossa dai problemi del tempo in cui si vive
Saluti 
			 
			
			
				Citazione di: daniele22 il 29 Settembre 2025, 11:21:22 AMSono già più di quattro anni che insisto sul mio primo post di ingresso nel forum che riporto:
"Secondo me gli animali sanno benissimo quel che fanno. Certo, agiscono d'istinto, ma nessuno ha mai dimostrato che noi non lo facciamo. Potrebbe benissimo essere che noi d'istinto ci si rivolga alla ragione, e questa, di conseguenza, moduli nei modi più convenienti l'istinto selvaggio. Se si prova a immaginare un mondo senza regole orali o scritte, probabilmente anche noi vivremmo di puro istinto."
Io sono d'accordo, ma credo che si possa dire anche meglio, e hai avuto 4 anni per farlo, ma non l'hai fatto, rimandandoci sempre alla stessa formulazione, che non direi propriamente felice.
Non dirmi che tu davvero per 4 anni su ciò non hai avuto dubbi!
Non hai davvero considerato che se questa formulazione non ha suscitato un gran successo, magari altre l'avrebbero incontrato?
Io stesso capisco meglio cosa volevi dire grazie a questa discussione.
Per problemi di questo tipo la mia risposta rimane uguale, ma mi piace ogni volta riformularla, anche perchè magari  io nel frattempo sono cambiato, e le mie idee hanno acquisito magari diverse sfumature.
Istinto e ragione sono termini che provano a descrivere la realtà, ma che anche quando ci riescono bene, non sono mai la realtà, perchè ciò che descrive non coincide con ciò che è descritto.
Tuttavia, specie quando la descrizione risulta efficace,  e perciò resiste nel tempo, si tende ad oggettivare i termini descrittivi, e noi diveniamo quindi un misto di istinto e ragione senza soluzione di continuità, finché non arriva un F.N. a dirci che forse le cose non stanno proprio così, perchè non c'è un modo preciso  in cui stanno le cose, o meglio, perchè non c'è un modo  univoco (vero) per raccontarle.
Nel momento in cui poi i termini del racconto vengono oggettivizzati, si tende a schierarsi a favore di un termine dal quale desideriamo farci rappresentare, al quale legare presuntuosamente il nostro presunto valore.
Hai ragione Daniele, hai ragione, hai ragione...ma prova la prossima volta a dirlo con parole nuove, senza rimandarci in eterno ai tuoi post, perchè questo ci potrebbe aiutare a comprendere meglio cosa vuoi dire.
			
 
			
			
				Citazione di: daniele22 il 29 Settembre 2025, 11:21:22 AMNon avendo fino a oggi cavato un ragno dal buco, mi chiedo comunque ancor ora quale peso abbiano i sesterzi sulla psiche.. si intenda: se la fame di verità sta nell'istinto, dovreste semplicemente mangiarla. Io l'ho mangiata, sono rimasto sorpreso, ma mi è piaciuta.. beato me. Per male che vi vada dovreste solo digerire un boccone amaro, ma a mio vedere salutare e perfettamente assimilabile.
La verità è sempre dialogica finché siamo confinati nel tempo ed è inesauribile poiché la dialogicità è sempre promossa dai problemi del tempo in cui si vive.
Se la conoscenza è funzionale alla vita, sia nella sua opera di smascheramento sia nella costruzione di ipotesi utili all'esistenza, allora essa non ha mai un esito definitivo.
Cioè non conclude né in una verità assoluta (che sia metafisica o meno), né in quella del relativismo. Dirsi: ecco, abbiamo capito che la verità è legata alle vicissitudine della storia, che è interpretazione, ecc., non comporta mai che tale processo si fermi.
Anche questa ipotesi, come tutte, – la verità come interpretazione –, verrà un giorno sezionata e smascherata.
Il boccone che dici di aver mandato giù – l'istinto alla verità, la passione per la verità (se ho capito bene quello che hai scritto) – mi sa che ti toccherà di nuovo e per sempre inghiottirlo, almeno finché sarai soggetto al fascino della conoscenza.
C'è naturalmente anche l'opzione "ultimo uomo" (che Nietzsche descrive nel Prologo dello Zarathustra): sa che Dio è morto ma rimuove il fatto di trovarsi nei pressi dell'abisso.  Tappa il buco con la sicurezza, il benessere, una cultura "leggera". Sicuramente è democratico e fautore del dialogo, così può stare in compagnia...
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 29 Settembre 2025, 09:32:03 AMNel post n.23 io non ho fatto una traduzione ma una sintesi semplificata. Infatti l'ho preceduta dal termine "Sinossi:".
La traduzione dell'edizione Adelphi [...] è la seguente:
Grazie per aver riportato la citazione originale, quelle che avevo trovato al volo 
online mi avevano incuriosito perché sembravano ribaltare la tua domanda, di cui ora capisco meglio il senso.
La domanda originale, «Fino a che punto la verità sopporta di essere assimilata?», se la leggiamo alla luce di «l'istinto della verità e quegli errori utili alla conservazione dell'esistenza si scontrano nella prima battaglia», potremmo 
anche intenderla come la constatazione retorica e teoretica (non certo empirica) che l'istinto di verità non può assimilare tutta la verità, perché essa non lo sopporta (la battaglia non è infatti fra la verità e gli errori, ma fra l'istinto-tensione ad essa e i rispettivi utili fallimenti).
Solo finché c'è un'eccedenza di verità (
postulata come tale, e qui Nietzsche fa rientrare una certa metafisica "dalla finestra", dopo averla fatta uscire "dalla porta"), verità non ancora assimilata, può esserci desiderio e scienza, intesa come ricerca di verità (nelle scienze umane). Come dire che se la verità sopportasse di essere totalmente assimilata (e non fosse piuttosto questione di interpretazione), allora sarebbe possibile la fine della ricerca della verità, la fine dell'uomo in tensione verso la verità (il ricercatore) e la fine degli errori utili alla conservazione dell'esistenza. Che ne sarebbe quindi dell'esistenza umana, se la verità fosse totalmente assimilabile? Sarebbe 
concepibile forse un punto di non ritorno, o un pan-demonio (etimologicamente), o forse un punto superabile solo uccidendo la verità (in croce?) per far così ripartire il 
ciclo degli gli errori utili alla vita, della ricerca, etc.?
Se c'è un "punto" oltre cui la verità non sopporta di essere assimilata, un "punto di sopportazione" oltre cui la verità si rompe e si frammenta (in plurime interpretazioni, dove magari "chiodo schiaccia chiodo") o semplicemente sfugge, si nega, sguscia via (lasciando appunto solo il guscio vuoto come traccia "utile"), tale punto sarebbe quello in cui si anima e si dibatte la ricerca della verità, costellata degli utili errori che impediscono all'istinto di verità di saziarsi 
definitivamente nelle scienze antiquarie e nelle biblioteche (ma di sfamarsene solo, appunto, fino "a un certo punto").
Probabilmente, per Nietzsche, l'esperimento e il problema che il pensatore affronta, è/sono l'esperienza diretta dell'inadeguatezza del pensiero ad assimilare tutta la verità; oppure, se leggiamo la faccenda in modo altrettanto dissimulatamente metafisico, ma rovesciato, è esperienza della ritrosia della verità a lasciarsi raggiungere ed assimilare dall'istinto conoscitivo umano, quasi fosse una dea pudica che si lascia guardare ma non svelare/toccare.
			
 
			
			
				Citazione di: Phil il 29 Settembre 2025, 19:25:02 PMProbabilmente, per Nietzsche, l'esperimento e il problema che il pensatore affronta, è/sono l'esperienza diretta dell'inadeguatezza del pensiero ad assimilare tutta la verità; oppure, se leggiamo la faccenda in modo altrettanto dissimulatamente metafisico, ma rovesciato, è esperienza della ritrosia della verità a lasciarsi raggiungere ed assimilare dall'istinto conoscitivo umano, quasi fosse una dea pudica che si lascia guardare ma non svelare/toccare.
Discorsi sinceramente troppo complicati, per quanto tu li maneggi magistralmente, la cui complicazione si sgonfia se al posto della verità ci mettiamo la realtà. Un realtà che non si conosce, ma si esperisce, e il prodotto è conoscenza di come muoversi nella realtà.
E siccome non c'è un solo modo di muoversi nella realtà, non c'è un unica conoscenza.
O meglio, se c'è un solo modo di muoversi nella realtà, questo ''privilegio'' è riservato alla sola materia, e giudicate voi se di vero privilegio si tratti.
Perchè, come mi pare tu tratteggi nel tuo post, il raggiungimento della verità è la fine di qualcosa che consideriamo vitale.
Io mi chiedo, per quanto dotati di libero arbitrio, chi, conoscendo la verità, non vi si adeguerebbe, comportandosi come ciò che è soggetto alle leggi naturali, ad imitazione della materia?
Sarebbe giunto secondo me il momento di parlare della verità solo nei termini del ruolo centrale fin qui avuto, come catalizzatore della storia umana.
Quanto più il processo di conoscenza si carica di coscienza, tanto più diventa difficile sostenere la verità.
Se non si vuol sostenere che tutta la nostra conoscenza derivi da un processo cosciente, quella conoscenza che non sappiamo come abbiamo fatto ad acquisire, e che perciò sembra  venire da se, non si può non chiamare verità.
Ma allora lasciamo che a parlarne ancora siano solo coloro che credono che la conoscenza scenda in noi con lo spirito santo.
Io di eterno ritorno vedo solo quello che ci fa tornare sempre a F.N., senza che ci decidiamo a superarlo.
Nella mia ignoranza mi piace pensare gaia quella scienza di cui abbiamo compreso essere un gioco vitale, un gioco che non ci stanchiamo di giocare.
Poi chissà cosa intendesse veramente F.N., ma mi piace pensare che così la intendesse.
			
 
			
			
				Citazione di: iano il 29 Settembre 2025, 19:52:55 PMDiscorsi sinceramente troppo complicati [...] la cui complicazione si sgonfia se al posto della verità ci mettiamo la realtà.
[...]
Perchè, come mi pare tu tratteggi nel tuo post, il raggiungimento della verità è la fine di qualcosa che consideriamo vitale.
Tieni presente che nel mio post giocavo a fare l'esegeta di Nietzsche, a partire da un suo aforisma citato da 
Kob; non stavo esprimendo la mia opinione sulla verità. E proprio questo maldestro gesto ermeneutico è sintomo del mio "disinteresse metodologico" per la verità: mi interessava provare a tirare fuori qualcosa di sensato dal testo di Nietzsche, non spremerlo per distillare una qualche verità (nemmeno quella che afferma «è 
vero che Nietzsche intendeva dire che...»).
Chiaramente né Nietzsche né il sottoscritto stanno parlando della verità del teorema di Pitagora o di 2+2=4, ma perlopiù di verità in ambito delle scienze umane (come anticipato sopra), ossia verità dei loro discorsi e dei loro contenuti (morali, estetici, sociali, etc.). Per questo «verità» non può essere facilmente sostituita con «realtà», proprio come una interpretazione non può essere facilmente sostituita con una descrizione; altrimenti il provare a costruire un castello di carte con quelle che la citazione di Nietzsche ha messo in tavola, sarebbe sostituibile con il semplice contarle e leggerle ad alta voce.
			
 
			
			
				Citazione di: Phil il 29 Settembre 2025, 22:16:18 PMChiaramente né Nietzsche né il sottoscritto stanno parlando della verità del teorema di Pitagora o di 2+2=4, ma perlopiù di verità in ambito delle scienze umane (come anticipato sopra), ossia verità dei loro discorsi e dei loro contenuti (morali, estetici, sociali, etc.). Per questo «verità» non può essere facilmente sostituita con «realtà», proprio come una interpretazione non può essere facilmente sostituita con una descrizione; altrimenti il provare a costruire un castello di carte con quelle che la citazione di Nietzsche ha messo in tavola, sarebbe sostituibile con il semplice contarle e leggerle ad alta voce.
Mi perdonerai, perchè come detto non riesco del tutto a seguire la discussione quando si fa complessa.
Per me descrizione e interpretazione coincidono, quindi trovo molto interessante che non sia così per te. La cosa mi fa riflettere.
Ora, non è tanto che verità vada sostituita con realtà, come pure ho detto, ma è che noi abbiamo fatto la sostituzione inversa.
Abbiamo sostituito la realtà con la verità.
Più esattamente abbiamo fatto una inversione ''logica'', siccome noi diamo per scontato che per agire sulla realtà dobbiamo conoscerla, mentre è dall'azione che deriva la nostra conoscenza.
E' l'azione che attraverso la conoscenza che genera diventa causa dell'agire.
Cioè l'azione, se vuoi casuale, se vuoi incosciente, diventa causa di azione cosciente.
Questa coscienza però non è in se necessaria, perchè la natura nel suo evolversi non la possiede, ma è caratteristica dell'individuo.
E' la memoria, che non si esprime necessariamente in modo cosciente, che fa si che azioni diventino causa di azioni in un tempo non stringente, che esclude il poter parlare di determinismo.
Sarebbe quanto meno un determinismo sui generis, perchè resta indeterminato il tempo di reazione.
Partendo da Socrate, dal sapere di non sapere, dobbiamo chiudere il cerchio, ammettendo di non sapere di sapere.
Questo non sapere di sapere si concretizza nella realtà come ci appare.
Mentre il sapere di non sapere è ciò che ha dato l'avvio alla scienza, la quale non genera alcuna apparenza.
Oltre l'apparenza, se non vogliamo fermarci ad essa, non troveremo apparenza.
Oltre l'evidenza non troveremo alcuna evidenza.
La scienza funziona come una evidenza, senza esserlo.
Superata l'evidenza si va oltre la verità, e oltre la verità non c'è nessuna verità.
Posso capire che la morte della verità sia vissuta come un lutto insuperabile, ma in effetti significa liberare un mare di possibilità, metre finora ne abbiamo vissuto solo una.
Ora vallo a capire cosa vuol dire F.N., ma per quello che capisco leggendovi mi trovo d'accordo con lui.
Però mi pare che su di lui si faccia melina con compiacimento, e non mi riferisco a te.
Interpretarlo va bene, e ancor meglio se vi sono interpretazioni diverse, ma poi ognuno dovrebbe azzardare le sue conclusioni.
Esisterà pure una realtà per quel che è, ma per noi vale solo la realtà per come la usiamo, e non la usiamo per quel che è , perchè non c'è un solo modo di usarla, e il modo di usarla caratterizza ciò che siamo.
Siamo stati uomini perchè abbiamo usato la realtà allo stesso modo. Il vero problema che ci si presenta oggi, alla morte della verità, è continuare a restarlo.
Questa in effetti è la preoccupazione di chi difende la verità.
Però mi spiace, ma la verità non è più difendibile.
La sfida è restare uomini nonostante ciò.
Però bisogna anche avere il coraggio di ''dire la verità'':
non siamo sempre stati uomini, ma lo siamo diventati, e potremmo non più esserlo.
Se non abbiamo il coraggio di dire ciò saremo condannati ad avvitarci in discorsi sempre più complicati per cercare di riesumare una verità ormai defunta.
Bisogna elaborare il lutto, e nel farlo ritrovarci ancora uomini.
Questa è la scommessa da affrontare, e va affrontata.
			
 
			
			
				Nietzsche ci dice che fino ad ora la metafisica e' stata, direttamente, e follemente, un non-volere il non-senso (e quindi: inevitabile caduta nell'illusione, e nell'auto-aggressione); mentre il destino dell' (oltre) uomo e' invece volere, per se', il non-senso, per attraversarlo. Volere volare, accettare nel marasma di tutte possibili "interpretazioni" e chiacchiere la veritativita' duramente esclusiva della condizione umana, diciamo cosi'. Per cui ad esempio e' inevitabile, che il vero sia l'utile alla vita e nulla di piu' e che, proprio per questo, l'inquietudine piu' profonda del cuore umano non si plachi contemplandolo.
Accettare che la filosofia e'/sia volonta' di verita', vuol dire accettare che non ci sara' mai, una verita', ma sempre, e solo, una volonta' che LA vuole, che poi e' appunto quella dell'uomo, "elemento" eterno nel cerchio del ritornare, e solo parte, di questo cerchio, con un suo "prima" e un suo "dopo".
Esaurire, la volonta' di verita', e' smettere, di non volerla: smettere, come dicevo sopra, di contraporre [direttamente] la metafisica al non-senso, della vita, e accettare, invece, il non-senso come premessa e come parte di un senso nuovo, non piu' negativo di esso, ma ulteriore ad esso. Una sorta di vuoto, ma da riempire con gratitudine, e con atto reversibile e non definitivo, come mai nessun atto lucido e consapevole di riempimento di un vuoto, una volta riconosciuto come tale, puo' essere definitivo. La maschera della necessita', e la necessita', della maschera. La bugia piu' perniciosa, di ogni metafisica, e' quella che ci convince, che ne necessitiamo, cioe' che ci include, come soggettivita' e punto di riferimento, nel sistema.
			
			
			
				Citazione di: niko il 30 Settembre 2025, 02:13:33 AMNietzsche ci dice che fino ad ora la metafisica e' stata, direttamente, e follemente, un non-volere il non-senso 
Dovremmo considerare che noi, rispetto al nostro, abbiamo elementi in più di riflessione, per metterli in gioco.
Alla realtà virtuale, di cui noi , e non Nietzsche, abbiamo potuto fare esperienza, non manca un senso, e anzi non potremmo costruirla senza.
Sapere che è virtuale non ci impedisce poi di immergerci in essa dimentichi della sua virtualità, .
Perchè ciò avviene ?
Inanzi tutto perchè siamo capaci di farlo avvenire.
Non è la coscienza della finzione a impedirci di viverla, così come non è la coscienza della illusione ad annullare l'apparenza.
E' il senso a dare permanenza all'illusione.
L'apparenza è quel senso, ma non è l'unica forma possibile di senso.
Il problema è che è la condivisione di un senso a farci uomini, mentre crediamo di essere uomini che condividono un senso.
E' questa ''inversione logica'' a rendere complicato ogni discorso filosofico, questo mettere il carro davanti ai buoi.
Rompere il guscio della verità significa uscire dall'uovo, ma usciti non saremo più uovo.
Questo uscire dall'uovo può farci paura, ma la parte del discorso che manca è che noi uovo siamo divenuti, e lo stesso divenire che ci ha fatti uovo farà che più non lo saremo.
Non abbiamo fatto tutti i conti con l'evoluzione, di cui possiamo anche aver coscienza, ma non è quella coscienza ad arrestarla.
La coscienza è solo uno strumento dell'evoluzione, ma noi siamo presente, e quel presente vogliamo preservare, anche a costo di un eterno ritorno, se proprio il tempo non si può arrestare.
Va da se che questa non può neanche dirsi una interpretazione personale dell'eterno ritorno del nostro, perchè non ho ancora capito cosa volesse dire, ma solo il tentativo di ripercorrere il suo pensiero in modo indipendente, che per me poi è l'unico modo che ho di capire.
L'eterno ritorno del nostro non funziona, ma la direzione del tentativo non è sbagliata.
C'è piuttosto una costanza nel divenire.
Un esperimento deve essere ripetibile?
Sicuramente, ma è il fatto che sia ripetibile a dirci indirettamente qualcosa della realtà.
La realtà è quella cosa che ci permette di ripetere lo stesso esperimento, e non ciò che direttamente da quell'esperimento risulta, perchè non è mai diretta la risultanza, ma mediata da una interpretazione che ci rappresenta.
La realtà non è come la descriviamo, ma è ciò che ammette una descrizione che vale un senso, un senso che la realtà  in se non ha.
Però noi non abbiamo altro modo di viverla che dandogli un senso.
La moltiplicazione dei sensi che viviamo attenta al nostro guscio, e ciò è angoscioso, ma quale nascita non è dolorosa?
Però questa è la vita, la quale prescinde dall'essere uomini o altro.
			
 
			
			
				Citazione di: iano il 29 Settembre 2025, 17:14:16 PMHai ragione Daniele, hai ragione, hai ragione...ma prova la prossima volta a dirlo con parole nuove, senza rimandarci in eterno ai tuoi post, perchè questo ci potrebbe aiutare a comprendere meglio cosa vuoi dire.
L'uomo usa la ragione come un gatto usa glii artigli. A volte li affina,a volte gioca e a volte ammazza. Dal mio ingresso nel forum non ho mai avuto dubbi; la ricerca era già conclusa. In questi quattro anni è successo inoltre che inaspettatamente quando dissi di possedere i fondamenti della conoscenza fui snobbato più o meno da tutti, ma non ero io a essere snobbato. Era invece snobbata l'idea. Addirittura non c'era nemmeno curiosità di sapere.. e debbo dire che questo l'ho trovato a dir poco scandaloso. E tale è rimasta la situazione. Ma nel frattempo ho imparato molto circa lo "scandaloso".Comunque, quando mi spiegherai come fai a darmi ragione.. est est est!.. e al tempo stesso chiedermi di esporre la mia ragione in modo diverso forse capirò qualcosa di più. Non si finisce mai di imparare Saluti
			 
			
			
				Citazione di: Kob il 29 Settembre 2025, 18:37:06 PMSe la conoscenza è funzionale alla vita, sia nella sua opera di smascheramento sia nella costruzione di ipotesi utili all'esistenza, allora essa non ha mai un esito definitivo.
Cioè non conclude né in una verità assoluta (che sia metafisica o meno), né in quella del relativismo. Dirsi: ecco, abbiamo capito che la verità è legata alle vicissitudine della storia, che è interpretazione, ecc., non comporta mai che tale processo si fermi.
Anche questa ipotesi, come tutte, – la verità come interpretazione –, verrà un giorno sezionata e smascherata.
Il boccone che dici di aver mandato giù – l'istinto alla verità, la passione per la verità (se ho capito bene quello che hai scritto) – mi sa che ti toccherà di nuovo e per sempre inghiottirlo, almeno finché sarai soggetto al fascino della conoscenza.
C'è naturalmente anche l'opzione "ultimo uomo" (che Nietzsche descrive nel Prologo dello Zarathustra): sa che Dio è morto ma rimuove il fatto di trovarsi nei pressi dell'abisso.  Tappa il buco con la sicurezza, il benessere, una cultura "leggera". Sicuramente è democratico e fautore del dialogo, così può stare in compagnia...
No. Fintanto che viviamo all'interno del tempo la conoscenza non può avere un esito definitivo. È la sete di conoscenza a generare il tempo. Non può essere che un eterno dialogo tra due opposti, ma uno dei due nasce prima dell'altro ed è quello più antico (si potrebbe pure dire di natura biologica). L'opposizione si oppone a quello più antico. Come? Nel nostro speciale mondo umano generando la metafisica.
Il boccone che dico di aver inghiottito è un'altra cosa. 
Si tratta di un boccone di consapevolezza. Quella di avere appreso chiaramente la nozione della nostra condizione solipsistica. La metafisica quindi, che comprende pure la scienza, checché ne dicano gli scienziati, è stata e lo è ancora, solo un sogno in progressione e in accelerazione di cui vediamo oggi gli effetti. Tutto grazie all'istinto a conoscere.
In seconda battuta è un boccone che ti permette di comprendere la ragione di Dio, non della sua presunta parola, ma della certa ignoranza di fronte a ciò che chiede di essere compreso, ma non può essere compreso dato il nostro gravitare all'interno del tempo.
Comprendere tutto questo significa liberare le forze della nostra ragione soggiogate da una tirannia della ragione di stato che dura da millenni, nonostante le grandi democrazie occidentali pretendano di dire che siamo liberi. Il mondo torna a evolvere.
Nietzsche secondo me esagerava: l'abisso avrebbe solo le sembianze dell'abisso, ma questo è un punto di vista personale
Saluti
			
 
			
			
				Citazione di: daniele22 il 30 Settembre 2025, 07:52:52 AMComunque, quando mi spiegherai come fai a darmi ragione.. est est est!.. e al tempo stesso chiedermi di esporre la mia ragione in modo diverso forse capirò qualcosa di più. Non si finisce mai di imparare 
Saluti
Come ho scritto l'ho compresa meglio inserita nel contesto della discussione. Ma se tu avessi provato a esporla in modo diverso, invece di riproporcela immutata, come fosse scolpita nella pietra, forse non avrei dovuto aspettare 4 anni per capire.
			
 
			
			
				Citazione di: iano il 30 Settembre 2025, 04:53:45 AMDovremmo considerare che noi, rispetto al nostro, abbiamo elementi in più di riflessione, per metterli in gioco.
Alla realtà virtuale, di cui noi , e non Nietzsche, abbiamo potuto fare esperienza, non manca un senso, e anzi non potremmo costruirla senza.
Sapere che è virtuale non ci impedisce poi di immergerci in essa dimentichi della sua virtualità, .
Perchè ciò avviene ?
Inanzi tutto perchè siamo capaci di farlo avvenire.
Non è la coscienza della finzione a impedirci di viverla, così come non è la coscienza della illusione ad annullare l'apparenza.
E' il senso a dare permanenza all'illusione.
L'apparenza è quel senso, ma non è l'unica forma possibile di senso.
Il problema è che è la condivisione di un senso a farci uomini, mentre crediamo di essere uomini che condividono un senso.
E' questa ''inversione logica'' a rendere complicato ogni discorso filosofico, questo mettere il carro davanti ai buoi.
Rompere il guscio della verità significa uscire dall'uovo, ma usciti non saremo più uovo.
Questo uscire dall'uovo può farci paura, ma la parte del discorso che manca è che noi uovo siamo divenuti, e lo stesso divenire che ci ha fatti uovo farà che più non lo saremo.
Non abbiamo fatto tutti i conti con l'evoluzione, di cui possiamo anche aver coscienza, ma non è quella coscienza ad arrestarla.
La coscienza è solo uno strumento dell'evoluzione, ma noi siamo presente, e quel presente vogliamo preservare, anche a costo di un eterno ritorno, se proprio il tempo non si può arrestare.
Va da se che questa non può neanche dirsi una interpretazione personale dell'eterno ritorno del nostro, perchè non ho ancora capito cosa volesse dire, ma solo il tentativo di ripercorrere il suo pensiero in modo indipendente, che per me poi è l'unico modo che ho di capire.
L'eterno ritorno del nostro non funziona, ma la direzione del tentativo non è sbagliata.
C'è piuttosto una costanza nel divenire.
Un esperimento deve essere ripetibile?
Sicuramente, ma è il fatto che sia ripetibile a dirci indirettamente qualcosa della realtà.
La realtà è quella cosa che ci permette di ripetere lo stesso esperimento, e non ciò che direttamente da quell'esperimento risulta, perchè non è mai diretta la risultanza, ma mediata da una interpretazione che ci rappresenta.
La realtà non è come la descriviamo, ma è ciò che ammette una descrizione che vale un senso, un senso che la realtà  in se non ha.
Però noi non abbiamo altro modo di viverla che dandogli un senso.
La moltiplicazione dei sensi che viviamo attenta al nostro guscio, e ciò è angoscioso, ma quale nascita non è dolorosa?
Però questa è la vita, la quale prescinde dall'essere uomini o altro.
L'Eterno ritorno funziona (perche' mai non dovrebbe funzionare? ;D ), solo che spesso non se ne comprende la dimensione antopologica: la concordanza tra passato e futuro, e', anche, la concordanza tra desiderio e realta'; quindi l'eterno ritorno e' anche un qualcosa di 
nuovo che deve essere, attivamente, instaurato (una era, temporale, del superuomo, e o di dominio, del superuomo) oltreche' un qualcosa di 
vecchio, che deterministicamente sempre ritorna (quelli che non lo hanno capito, lo riconducono solo a questo). 
Non c'e' solo il gelo deterministico di un singolo, eterno eone, di cui si costituirebbe il tempo, qui, da considerare, gelo in cui si potrebbe "girare" in tondo, all'infinito, ripassando sempre per il punto di partenza e per gli stessi punti, (l'eterno ritorno, si', ma come lo vede il nano); ma anche l' "amore", o se vogliamo il rapporto tra immanenza e trascendenza, che si instaura data una coppia di almeno due eoni, tra i "singoli punti", di questi due eoni/cerchi, laddove uno "funge" da realta', e l'altro, da desiderio, pur essendo in ogni altro senso, questi due cerchi identici (L'eterno ritorno come lo vede Zaratustra, cioe' come un qualcosa che deve essere prima, riconosciuto, poi, voluto ed instaurato).
Insomma  si puo' trascendere la realta', nel desiderio, della realta'. E quindi 
non nel desiderio metafisico. Che invece, alla reata' ci ancora, rendendocela in qualche modo sopportabile.
Procedendo attraverso il tempo, non passi, meramente, sempre per gli stessi punti, ma fai in modo, di passarci. Che e' sottilmente diverso. Il desiderio 
panico, che vuole tutto, e' la stessa identica cosa del desiderio di eterno ritorno (volonta' di potenza), che attivamente "ricolma" il futuro di passato e di presente; un futuro che, diversamente, senza questo intervento e questo continuo "ricolmare", avrebbe, sempre, in ogni punto del tempo, forma indeterminata/nulla, e non gia' forma identica al passato e al presente. Fare il futuro uguale al passato, e tanto piu' con sforzo individualista e titanico, potrebbe essere pensato come uno sforzo proprio del tipo umano reazionario o conservatore (il Nietzsche precursore del nazismo e della guerra), e in parte in effetti e' cosi', se non fosse che il passato che prepotentemente nel futuro, qui, si re-instaura o si vorrebbe re-instaurare e' un passato 
eonico o 
cosmico, cioe' comprendente anche il futuro, ma, questa volta, come sua parte. Anche nel futuro, da qualunque punto lo si contempli e lo si guardi, ci sara' sempre la coppia passato + futuro, e non gia' un futuro "puro", ovverosia, ci sara' sempre divenire e desiderio.
Per il resto, Nietzsche ha molto attenzionato la realta' "virtuale" del teatro, lirico e non, e dell'arte in generale. Gia' nell'epoca in cui e' vissuto. Penso che difficilmente, la considerazione "tecnologica" della realta' virtuale, se avesse potuto sbirciare la nostra, di epoca, lo avrebbe sorpreso, o colto di sorpresa.
			
 
			
			
				Citazione di: niko il 30 Settembre 2025, 10:18:47 AML'Eterno ritorno funziona (perche' mai non dovrebbe funzionare? ;D ), solo che spesso non se ne comprende la dimensione antopologica: la concordanza tra passato e futuro, e', anche, la concordanza tra desiderio e realta'; quindi l'eterno ritorno e' anche un qualcosa di nuovo che deve essere, attivamente, instaurato (una era, temporale, del superuomo, e o di dominio, del superuomo) oltreche' un qualcosa di vecchio, che deterministicamente sempre ritorna (quelli che non lo hanno capito, lo riconducono solo a questo). 
Non lo capirò mai, ne mi consola non esser il solo.
Io concepisco solo l'eterno divenire di cui l'eterno ritorno è solo un caso ammesso.
Concepisco la costanza del divenire che rende possibile la conoscenza.
Non concepisco la volontà e il desiderio dell'uomo come centrali, perchè non approvo la centralità dell'uomo, se non come caso particolare di osservatore che evolve, spostandosi da una centralità all'altra.
Noi siamo l'osservatore, colui che stando oltre la fisica, l'osserva.
Noi siamo metafisica, e possiamo osservare solo ciò che siamo stati, potendo dichiarare la sola metafisica che non è più.
Dichiarare la metafisica è celebrarne il funerale.
La metafisica è morta, viva la metafisica.
			
 
			
			
				Citazione di: iano il 30 Settembre 2025, 12:48:43 PMNon lo capirò mai, ne mi consola non esser il solo.
Io concepisco solo l'eterno divenire di cui l'eterno ritorno è solo un caso ammesso.
Concepisco la costanza del divenire che rende possibile la conoscenza.
Non concepisco la volontà e il desiderio dell'uomo come centrali, perchè non approvo la centralità dell'uomo, se non come caso particolare di osservatore che evolve, spostandosi da una centralità all'altra.
Noi siamo l'osservatore, colui che stando oltre la fisica, l'osserva.
Noi siamo metafisica, e possiamo osservare solo ciò che siamo stati, potendo dichiarare la sola metafisica che non è più.
Dichiarare la metafisica è celebrarne il funerale.
La metafisica è morta, viva la metafisica.
Possiamo osservare solo cio' che siamo stati, e, amandolo lo riproduciamo. L'errore, insomma, e' sempre pensare che possa esistere una "osservazione" disinteressata.
La vita, o almeno, quella cosciente, e' tutta una proiezione verso il futuro della " verita' " intrinseca di una coscienza, e cioe' di un presente e di un passato. Un automantenimento complesso, che passa per una riproduzione "formale".  L'uomo si ama, e fa, un mondo a misura d'uomo. Lentamente, ma lo fa'.
Quello che mette al "centro" il desiderio/volonta', e' appunto il suo nesso con la realta'/necessita'.
Per la parte deterministica, basta che le combinazioni possibili del divenire siano limitate, e lo spazio o il tempo, illimitato. Il resto segue. Isole ritornati in un piu' grande sistema molto probabilmente 
non mai ritornate. 147, che di tanto in tanto, ritorna in P greco. Il P greco nella sua interezza, e cioe' il "mare", presso cui galleggiano le "isole", ritornanti, non ha come testimone nessuno. Se non, forse, Dio; che pero', appunto e' stato ucciso.
			
 
			
			
				Citazione di: iano il 30 Settembre 2025, 09:29:22 AMCome ho scritto l'ho compresa meglio inserita nel contesto della discussione. Ma se tu avessi provato a esporla in modo diverso, invece di riproporcela immutata, come fosse scolpita nella pietra, forse non avrei dovuto aspettare 4 anni per capire.
Ognuno di noi è come un cliché e per quanto ci si sforzi è molto difficile uscire dai propri binari. Io tra l'altro nemmeno mi sforzo, quindi non costituirò certo l'eccezione.Ti ho già colto in fallo un paio di volte nel mentre che mi attribuivi cose che non avevo detto e questo atteggiamento, oltre che a essere offensivo, è pure sciocco. Avresti dovuto invece chiedere, se una cosa ti era poco chiara e oltretutto monotona, ma no, continui a mentire. Per darmi ragione infatti dovresti dire che la mappa e il territorio sono la stessa cosa, ma dato che non lo dici stai mentendo; non puoi pertanto darmi ragione.In ogni caso nei topic in cui mi immergo cerco più che altro di smontare le tesi altrui, come sto facendo ora del resto. È chiaro che al tempo stesso devo ribadire il mio pensiero. Vuoi che prendiamo un topic a caso? Scegli tuSaluti
			 
			
			
				@PhilSarò sincero: la tua lettura, per quanto ingegnosa, mi sembra fine a se stessa. Una specie di performance di virtuosismo interpretativo che non ha come obiettivo chiarire il brano o il pensiero di Nietzsche, tanto meno rispondere alla domanda del topic sulla gaia scienza.
È molto lontana dallo spirito del brano che dovrebbe interpretare, e in generale dall'atteggiamento che Nietzsche mostra nel suo complesso quando tratta della conoscenza, da 
Umano troppo umano a 
La gaia scienza.
Infatti proporre la possibilità che N. immagini una verità che non si fa del tutto esaurire dalla conoscenza, rendendo così possibile ancora e per sempre l'avventura della scienza, significa rimanere nei pressi di una concezione realista del sapere – anche se con la domanda finale dell'aforisma si rimanda ad un misterioso limite –. Se fosse così N. sarebbe caduto in una clamorosa regressione filosofica. A me sembra impossibile. Rileggo allora quel brano e ne faccio una sintesi più accurata.
Brano n.110, "
Origine della conoscenza" 
Per lunghissimi periodi l'intelletto umano non ha creato altro che errori. Alcuni di questi errori si rivelarono utili alla sopravvivenza e furono tramandati alle generazioni successive.
"
Tali erronei articoli di fede sono per esempio [...] che esistano cose uguali, che esistano cose, materie, corpi, [...] che il nostro volere sia libero, che quanto è per me bene lo sia anche in sé e per sé".
Solo molto più tardi si iniziò a mettere in discussione la fondatezza di questi convincimenti di base.
E si presentarono dei pensatori che vollero non solo sostenere certe idee opposte, ma anche incarnarle. Venne così inventato il saggio. Che però, per essere coerente con la sua dottrina, dovette "
negare il potere degli istinti nella conoscenza, e concepire in generale la ragione come attività pienamente libera scaturita da se stessa".
Questi primi saggi (Nietzsche fa l'esempio degli Eleati) furono spinti a negare il fatto che la loro dottrina era funzionale alla vita – ad una specifica forma di vita. Anche la loro verità era cioè utile alla vita, per quanto in modo indiretto e nascosto rispetto agli errori utili della tradizione.
Quindi ricapitolando: con un'operazione apparentemente contro-natura i primi filosofi concepiscono il logos come autonomo e universale, come uno strumento disinteressato. Ma in realtà tale operazione è funzionale alla costruzione di una determinata forma di vita. Operazione non necessariamente finalizzata all'ottenimento di prestigio e potere. Poteva essere anche il desiderio di porre una distanza rispetto al caos della vita e della società. Elevare una barriera immunologica al divenire o anche soltanto all'idiozia degli uomini.
Dopo i primi filosofi-sapienti, l'istinto alla verità – con lo scetticismo – si espande e finisce per mettere in discussione ogni posizione, ogni dottrina.
"
La conoscenza [...] si trasformò in una potenza continuamente crescente: finché da ultimo ogni conoscenza e ogni originario errore di fondo vennero in urto tra di loro, entrambi come vita, entrambi come potenza, entrambi nello stesso uomo".
Poi si conclude con il brano che ho trascritto nel post n.23.
In esso Nietzsche dice che il pensatore, oggi, è la creatura in cui lo scontro tra verità ed errori utili ha una nuova forma in quanto si è dimostrato (paradosso della conoscenza che indaga anche se stessa) che l'istinto di verità è una potenza intesa alla conservazione della vita.
Questa consapevolezza cambia completamente le carte in tavola. Perché? Forse perché la verità perdendo il suo statuto non può che essere soggetta a sistematici sospetti. E gli errori utili alla vita, riabilitati – diciamo così – si fanno più resistenti alla critica della ragione.
In questa battaglia per Nietzsche "
si pone il problema ultimo della condizione della vita e si fa il primo tentativo di rispondere con l'esperimento".
E conclude con la frase oggetto del nostro dibattito:
"
Fino a che punto la verità sopporta di essere assimilata? – questo è il problema, questo l'esperimento".
Secondo me l'esperimento è quello che vive l'uomo della conoscenza che non potendosi più fidare del tutto dell'istinto alla verità si ritrova a dover navigare a vista sperimentando alchimie personali di verità ed errori, scienza e natura, filosofia e arte.
Il che mi porta a chiedermi se la "gaia scienza" sia proprio quel tipo di conoscenza che porta  alla costruzione di questi aggregati artigianali o alchimie personali.
L'espressione "gaia scienza" viene nominata due volte. In §1 la gaiezza viene descritta come l'esito del processo della conoscenza. La conoscenza infatti smascherando le pretese tragiche delle dottrine religiose e morali, rivela l'immagine autentica della vita: una commedia.
Il riso come l'effetto della verità, quindi. Per questo motivo si può dire che la conoscenza e il riso alla fine si ritrovano uniti. Ma il procedere che porta a smascherare la tragicità della vita di per sé non ha niente di gaio. Non è un processo conoscitivo creativo, leggero ecc. Niente di tutto questo. Qui abbiamo la serietà dell'indagine filosofica che fa a pezzi le idee che vogliono ancorare la vita ad un senso etico, religioso, metafisico.
L'altra citazione si trova nella Prefazione del 1887: "
Gaia scienza: vuol significare i saturnali di uno spirito, che ha resistito con pazienza a una lunga, orribile oppressione [...] e che ora, tutt'a un tratto, è invaso dalla speranza, dalla speranza di salute, dall'ebbrezza della convalescenza".
Qui per "gaia scienza" N. sembra voler intendere un ribaltamento: dopo il pessimismo, dopo la distruzione delle illusioni, dopo lo smascheramento cinico dei fondamenti della civiltà, dopo questa fase di malattia, ecco la gioia della convalescenza (notare: non dice guarigione; parla di speranza di salute). Quindi un nuovo inizio.
In conclusione qualche domanda: la contrapposizione drammatica tra arte e filosofia, presente nei testi precedenti di N. – da arte come soluzione e antidoto al dramma della vita ad arte come suggestione che viene scalzata dalla filosofia, dalla scienza –, sembra ricomposta. Il filosofo da qui a qualche mese inizierà lo Zarathustra, il suo poema. Sarebbe questa una prova di "gaia scienza"? Una semplice questione di comunicazione filosofica? Di forma espressiva? E poi: nel rapporto con le scienze della natura, come si fa a portar avanti una conoscenza che sia anche gaia?
Tornare a riflettere sul Rinascimento?
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 01 Ottobre 2025, 09:21:44 AM@Phil
Sarò sincero: la tua lettura, per quanto ingegnosa, mi sembra fine a se stessa. Una specie di performance di virtuosismo interpretativo che non ha come obiettivo chiarire il brano o il pensiero di Nietzsche, tanto meno rispondere alla domanda del topic sulla gaia scienza.
È molto lontana dallo spirito del brano che dovrebbe interpretare, e in generale dall'atteggiamento che Nietzsche mostra nel suo complesso quando tratta della conoscenza, da Umano troppo umano a La gaia scienza.
Infatti proporre la possibilità che N. immagini una verità che non si fa del tutto esaurire dalla conoscenza, rendendo così possibile ancora e per sempre l'avventura della scienza, significa rimanere nei pressi di una concezione realista del sapere – anche se con la domanda finale dell'aforisma si rimanda ad un misterioso limite –. Se fosse così N. sarebbe caduto in una clamorosa regressione filosofica. A me sembra impossibile. Rileggo allora quel brano e ne faccio una sintesi più accurata.
Beh, se Nietzsche e' un precursore, in senso anche profetico, del 900, secolo in cui:
La verita' non si lascia (o meglio non si e' lasciata) esaurire dalla conoscenzaNel duplice senso, quantomeno:
> che viene scoperto, o comunque riabilitato l'inconscio (quindi la verita' 
non si lascia 
piu' esaurire dalla conoscenza, a partire dal novecento in poi, in un senso prettamente psicoanalitico: si afferma che nell'uomo esiste e sempre esitera' l'inconscio, e cioe' un quanto, di verita', ulteriore alla sua coscienza, e quindi, conoscenza)
> che con la relativita' e la quantistica la scienza "forte" assume definitivamente il suo statuto di impresa conoscitiva infinita, inesauribile, e per di piu' disantropica e controintuitiva quindi, si "indebolisce" e si fa autoreferenziale: la realta' (e finanche l'attimo presente) dipende 
realmente, e cioe' 
inestricabilmente anche dal punto di vista di un osservatore che la osservi e dal "puro" caso; oltreche', naturalmente, da leggi deterministiche enunciabili e condizioni iniziali. 
La verita', anche in questo senso, 
non si lascia esaurire dalla conoscenza, ma implica sempre, anche, la coscienza/esperienza nella sua necessitata ripetizione.
E inoltre, le cose eccessivamente  piu' grandi o piu' piccole dell'uomo, come gli atomi, o i buchi neri, 
non funzionano, manco per niente, 
come l'uomo, in maniera simile a come funziona l'uomo, neanche a livello di leggi e condizioni fisiche che le descrivono. Quindi, si puo' affermare che, sulla grande scala universale che va' dal minuscolo all'immenso, dal mondo degli atomi a quello dei buchi neri, l'uomo, l'animale umano, e' portatore, e neanche tanto "sano", di un punto di vista  fortissimamente condizionato dalla sua 
medieta', su questa scala, dall'essere in essa gradino intermedio ne' troppo alto ne' troppo basso, e direi anche, per la gioia di Nietzsche, mediocrita'. Punto di vista che poi e' l'utile errore, della fisica newtoniana classica. Descrivente un ambiente tutto sommato ancora "antropico" ed intuitivo, presso cui l'impresa conoscitiva, e scientifica, rimanda a chi in essa si impegni almeno l'illusione e l'impressione, di essere in qualche modo esauribile.
Insomma la post modernita', e' tutta nell'affermazione che la verita', non si lascia esaurire dalla conoscenza. Per non parlare di manipolazione, pubbicita', iperealismo, propaganda, psicologia delle folle.
Non vedo perche' Nietzsce non dovrebbe tutto sommato sottoscrivere, in quanto filosofo del prospettivismo, dell'interpretazione, dell'approccio genealogico alla verita', del vitalismo e di una "latenza" degli istinti, soprattutto di rivalsa e di vendetta, e di un uso "strategico" da parte dei viventi dell'oblio, molto simile al concetto freudiano di inconscio.
			
 
			
			
				Citazione di: niko il 01 Ottobre 2025, 13:07:31 PMInsomma la post modernita', e' tutta nell'affermazione che la verita', non si lascia esaurire dalla conoscenza. Per non parlare di manipolazione, pubbicita', iperealismo, propaganda, psicologia delle folle.
Credo che la post modernità stia piuttosto nell'affermazione che la verità, così come l'abbiamo intesa fino alla filosofia di inizio Ottocento, non esiste.
Parlare di una verità che non si lascerebbe del tutto conoscere significa invece presumere che tale verità esista.
Esempio dell'inconscio: esiste una mia verità? Se mi inventassi un metodo per far fronte ai processi di rimozione riuscirei finalmente ad attingere la mia verità? O comunque ad avvicinarmi ad essa?
Nietzsche non credo avrebbe sottoscritto questa idea che ha alla base tutto sommato un apparato positivista. Per lui non esiste alcuna verità ma il soggetto, così com'è in questo momento, è piuttosto una prospettiva che esce fuori da quella battaglia di forze diverse ecc.
Comunque se vogliamo dire che c'è sintonia tra quello che hai scritto sulla cultura del Novecento e la filosofia di Nietzsche, ok, certo, è così.
Ma se vogliamo andare ai brani della Gaia scienza o anche di Umano troppo umano, il modo con cui è trattato il tema della conoscenza ha un taglio diverso. Ho cercato di spiegarlo nel post precedente.
Considera che io sto leggendo i brani di Nietzsche con questa domanda sullo sfondo (che è una domanda tutta mia, magari gli altri la considerano un'idiozia, non so):
un uomo interessato alla conoscenza, che è passato attraverso la filosofia contemporanea, quindi attraverso la grande ondata di scetticismo del '900, può rivolgersi alla scienza moderna con la realistica speranza di fare della gaia scienza?
Che sia magari necessario modificare atteggiamento? Cioè essere più liberi (per quanto si può essere liberi dovendo maneggiare la matematica), meno ossessionati dalla ripetizione oggettiva del sapere dentro di sé, più orientati all'aspetto ipotetico, problematico, sperimentale?
Oppure al contrario, la scienza moderna, essendo che alla sua base assume senza riflessione un punto di vista realista, lo assume d'istinto, non può che rimandare ad un sapere duro, serio, pesante e quindi addio gaia scienza?
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 01 Ottobre 2025, 09:21:44 AMQui abbiamo la serietà dell'indagine filosofica che fa a pezzi le idee che vogliono ancorare la vita ad un senso etico, religioso, metafisico.
Però, mi pare di capire, non smette di ancorla alla verità, e per far ciò è disposto a parlare di utili errori.
Nel tuo post hai certamente il merito di aver selezionato brani che a me sembrano di facile comprensione.
Sembrano più complicate le tue interpretazioni, e mi chiedo perchè?
Forse perchè in quelle interpretazioni sono nascoste le tue personali conclusioni, che mancano in effetti in chiaro?
E' una critica che ho già fatto.
Tutti provano a interpretare, ma nessuno ne trae conclusioni proprie.
La mia conclusione è che è più coerente negare l'esistenza di una verità, che arrampicarsi sugli specchi, ammettendo che l'errore possa essere utile.
Altro contorcimento del pensiero, una verità che non lasciandosi mai del tutto scoprire garantisce una eterna ricerca più o meno gaia.
Cioè si è disposti ad ammettere una verità di estensione infinita, quindi non esauribile, piuttosto che dire che non c'è.
Non ci sono errori, ma solo utili teorie, che non possono essere mai verità, perchè i termini che le costituiscono non sono assoluti.
In somma, secondo me il nostro arriva quasi alla soluzione, ma sbaglia di poco il bersaglio.
Invece di negare la metafisica, doveva negare la verità.
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 01 Ottobre 2025, 14:04:53 PMCredo che la post modernità stia piuttosto nell'affermazione che la verità, così come l'abbiamo intesa fino alla filosofia di inizio Ottocento, non esiste.
Parlare di una verità che non si lascerebbe del tutto conoscere significa invece presumere che tale verità esista.
Esempio dell'inconscio: esiste una mia verità? Se mi inventassi un metodo per far fronte ai processi di rimozione riuscirei finalmente ad attingere la mia verità? O comunque ad avvicinarmi ad essa?
Nietzsche non credo avrebbe sottoscritto questa idea che ha alla base tutto sommato un apparato positivista. Per lui non esiste alcuna verità ma il soggetto, così com'è in questo momento, è piuttosto una prospettiva che esce fuori da quella battaglia di forze diverse ecc.
Comunque se vogliamo dire che c'è sintonia tra quello che hai scritto sulla cultura del Novecento e la filosofia di Nietzsche, ok, certo, è così.
Ma se vogliamo andare ai brani della Gaia scienza o anche di Umano troppo umano, il modo con cui è trattato il tema della conoscenza ha un taglio diverso. Ho cercato di spiegarlo nel post precedente.
Considera che io sto leggendo i brani di Nietzsche con questa domanda sullo sfondo (che è una domanda tutta mia, magari gli altri la considerano un'idiozia, non so):
un uomo interessato alla conoscenza, che è passato attraverso la filosofia contemporanea, quindi attraverso la grande ondata di scetticismo del '900, può rivolgersi alla scienza moderna con la realistica speranza di fare della gaia scienza?
Che sia magari necessario modificare atteggiamento? Cioè essere più liberi (per quanto si può essere liberi dovendo maneggiare la matematica), meno ossessionati dalla ripetizione oggettiva del sapere dentro di sé, più orientati all'aspetto ipotetico, problematico, sperimentale?
Oppure al contrario, la scienza moderna, essendo che alla sua base assume senza riflessione un punto di vista realista, lo assume d'istinto, non può che rimandare ad un sapere duro, serio, pesante e quindi addio gaia scienza?
Mi rimangio quello che ho scritto nel post precedente.
Le conclusioni tu le hai tratte, e io le condivido.
Dunque la verità non esiste, o quantomeno così si semplifica il discorso, e si elimina la seriosità del ricercare il vero, e la ricerca può divienire un gioco ipotetico, che non ha limiti, perchè le ipotesi non sono mai vere, e nel cambiare tradiscono la natura di chi le fa, più che della realtà. Le ipotesi di spazio e tempo assoluto di Newton non sono vere, ma noi ci viviamo dentro nonostante tutto, e ciò dimostra che si può vivere dentro una teoria, e anzi, non c'è altro modo di vivere la realtà.
Il fatto che le ipotesi ci sembrano evidenti, equivale a dire che noi ci viviamo dentro.
D'altronde mi chiedo, col senno di poi, non si poteva  arrivare a ciò semplicemente chiedendosi quali sarebbero state le conseguenze della verità, una volta trovata, trovandole magari non desiderabili?
Non si può desiderare la verità senza vagliarne le conseguenze, a meno che non si sia trattato davvero di un amore che acceca.
			
 
			
			
				Citazione di: niko il 01 Ottobre 2025, 13:07:31 PMPunto di vista che poi e' l'utile errore, della fisica newtoniana classica. Descrivente un ambiente tutto sommato ancora "antropico" ed intuitivo, presso cui l'impresa conoscitiva, e scientifica, rimanda a chi in essa si impegni almeno l'illusione e l'impressione, di essere in qualche modo esauribile.
Il punto di vista antropico è l'ipotesi di spazio e tempo assoluti su cui si fonda la teoria di Newton, che però non perciò viene invalidata.
Queste ipotesi hanno cioè la stessa dignità dello spazio tempo assoluto di Einstein, che di antropico non ha nulla.
Certo, è stato dimostrato che lo spazio e tempo assoluti non esistono, e lo stesso Newton credeva che si trattasse solo di utili ipotesi.
In questo spazio e tempo assoluti però noi ancora viviamo, e con ciò non intendo dire che siano perciò veri, ma che il nostro mondo è un costrutto teorico, e che questi costrutti teorici sono un modo, l'unico possibile, di vivere la realtà.
Tutto quello che noi sappiamo è come, in um modo o nell'altro, agire nella realtà.
Che per farlo bisogna conoscerla si è rivelata un ipotesi di troppo.
Possediamo solo istruzioni per l'uso che impropriamente chiamiamo conoscenza.
			
 
			
			
				Citazione di: daniele22 il 01 Ottobre 2025, 07:52:35 AMPer darmi ragione infatti dovresti dire che la mappa e il territorio sono la stessa cosa, ma dato che non lo dici stai mentendo; non puoi pertanto darmi ragione.
Io non mento mai, perchè, diversamente da te, non ho verità da dire.
Oggi dico che mappa e territorio sono la stessa cosa, e domani non lo dico più, e non mi contraddico nel farlo, perchè non è la stessa persona a dirlo, ma una persona che nel tempo cambia, e cambia quindi idee.
La coerenza se c'è, va cercata nel percorso.
			
 
			
			
				Citazione di: iano il 01 Ottobre 2025, 19:25:08 PMIl punto di vista antropico è l'ipotesi di spazio e tempo assoluti su cui si fonda la teoria di Newton, che però non perciò viene invalidata.
Queste ipotesi hanno cioè la stessa dignità dello spazio tempo assoluto di Einstein, che di antropico non ha nulla.
Certo, è stato dimostrato che lo spazio e tempo assoluti non esistono, e lo stesso Newton credeva che si trattasse solo di utili ipotesi.
In questo spazio e tempo assoluti però noi ancora viviamo, e con ciò non intendo dire che siano perciò veri, ma che il nostro mondo è un costrutto teorico, e che questi costrutti teorici sono un modo, l'unico possibile, di vivere la realtà.
Tutto quello che noi sappiamo è come, in um modo o nell'altro, agire nella realtà.
Che per farlo bisogna conoscerla si è rivelata un ipotesi di troppo.
Possediamo solo istruzioni per l'uso che impropriamente chiamiamo conoscenza.
No, dal momento che ogni fenomeno classico puo' essere spiegato in termini relativistici, e nessun fenomeno relativistico puo' essere spiegato in termini classici.
La teoria che accoglie e contiene l'altra, e' piu' veritativa dell'altra e non viceversa, e non sono tutte uguali, e nemmeno, mi dispiace, tutte equivalenti. 
Tu sei scettico, sei una persona scettica, e vorresti che fosse scettica anche la scienza (volonta' di potenza; in questo caso: la tua) ma se cosi' fosse, ad oggi, staremmo ancora a Galileo col cannocchiale, e al cardinale Bellarmino che lo contesta, e no, non me la sento, di dirti che sarebbe un bene.
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 01 Ottobre 2025, 14:04:53 PMCredo che la post modernità stia piuttosto nell'affermazione che la verità, così come l'abbiamo intesa fino alla filosofia di inizio Ottocento, non esiste.
Parlare di una verità che non si lascerebbe del tutto conoscere significa invece presumere che tale verità esista.
Esempio dell'inconscio: esiste una mia verità? Se mi inventassi un metodo per far fronte ai processi di rimozione riuscirei finalmente ad attingere la mia verità? O comunque ad avvicinarmi ad essa?
Nietzsche non credo avrebbe sottoscritto questa idea che ha alla base tutto sommato un apparato positivista. Per lui non esiste alcuna verità ma il soggetto, così com'è in questo momento, è piuttosto una prospettiva che esce fuori da quella battaglia di forze diverse ecc.
Comunque se vogliamo dire che c'è sintonia tra quello che hai scritto sulla cultura del Novecento e la filosofia di Nietzsche, ok, certo, è così.
Ma se vogliamo andare ai brani della Gaia scienza o anche di Umano troppo umano, il modo con cui è trattato il tema della conoscenza ha un taglio diverso. Ho cercato di spiegarlo nel post precedente.
Considera che io sto leggendo i brani di Nietzsche con questa domanda sullo sfondo (che è una domanda tutta mia, magari gli altri la considerano un'idiozia, non so):
un uomo interessato alla conoscenza, che è passato attraverso la filosofia contemporanea, quindi attraverso la grande ondata di scetticismo del '900, può rivolgersi alla scienza moderna con la realistica speranza di fare della gaia scienza?
Che sia magari necessario modificare atteggiamento? Cioè essere più liberi (per quanto si può essere liberi dovendo maneggiare la matematica), meno ossessionati dalla ripetizione oggettiva del sapere dentro di sé, più orientati all'aspetto ipotetico, problematico, sperimentale?
Oppure al contrario, la scienza moderna, essendo che alla sua base assume senza riflessione un punto di vista realista, lo assume d'istinto, non può che rimandare ad un sapere duro, serio, pesante e quindi addio gaia scienza?
No, in Nietzsche la verita' e' l'utile alla vita, quindi, la verita' esiste. L'oggetto di volonta', esiste, tanto piu' se questo oggetto, e' la verita'. Esiste, nel senso che produce effetti. Altro senso, al termine "esistere" in Nietzsche, non c'e'. 
Perfino Dio e gli angioletti, nella misura in cui gli uomini li hanno voluti, e hanno creduto in essi, sono esistiti. Sono esistiti, nel senso che hanno prodotto effetti. 
Come dice Galimberti, se Dio e' morto, significa che Dio, prima, era vivo. E pure il passato. E pure la verita'.
La situazione esistenziale del "lutto" per Dio, o meglio ancora: della colpa per l'assassinio di Dio non puo' essere ricondotta, banalmente, all'inesistenza di Dio. Vale pure per la verita'. Gia' il cristianesimo, grande bersaglio polemico nietzscheano, pur affermando la situazione esistenziale della colpa, per l'assassinio, di Cristo, certo non afferma, con cio'... l'inesistenza...di Cristo :D 
Semmai, l'irrisolvibilita', del delitto del Figlio, si risolve, edipicamente, vedendo in esso la giusta vendetta della creatura (il condannato 
era colpevole) e dunque il delitto del Padre... eterno ritorno che, gia' in superficie, e' riconquista, per l'uomo, della dimensione dell'increato, e contraltare necessario all'approccio genealogico (e non logico), di Nietzsche, alla verita'.
Insomma in maniera simile a quello che ho detto anche a Iano, guardati, anche tu, dal considerare la "gaiezza" della scienza, una sorta di (tua) volonta' di potenza, scettica. Non e' l'essere scettica, che porta la scienza, ad essere "gaia". Ma ben altro. 
Lo stato in cui la verita' cessa di essere vera, e cioe' cessa di essere utile alla vita, e' da considerarsi una continua tensione (magari verso la follia...) non gia' uno stato "definitivo" o 
raggiunto. Appunto, la domanda:
Quanta verita' puoi (tu) sopportare?--------------------------------------------------------------Che senso avrebbe, se la verita', non esistesse?
			 
			
			
				Se leggi i brani di Nietzsche a cui mi sono riferito finora, vedrai che il termine "verità" viene usata in due modi:
1. la verità come smascheramento di idee antiche, che una volta confutate appaiono come errori;
2. poi, nella prosecuzione di questo processo di indagine, la verità come oggetto stesso della critica; qui, mostrando di avere un'origine simile a quella dei pregiudizi antichi, cioè di venire dalle stesse forze utili alla conservazione della vita, finisce per perdere il suo status speciale.
Conclusione del cammino della conoscenza: errori e verità non si distinguono dal punto di vista epistemologico. Sono entrambi funzionali alla vita. Le verità di oggi saranno presto smascherate. Fino a quel momento l'uomo della strada le considererà appunto verità nel senso del realismo, cioè nel senso di rappresentazioni adeguate a esprimere la realtà.
Ma il filosofo no, la conoscenza filosofica è appunto questa: tenere ferma questa conclusione e accettare il paradosso. Che è l'effetto dell'estensione del processo di critica alla critica stessa. Infatti se la ragione è uno strumento utile alla vita, se non è quindi uno strumento puro, incontaminato, universale, allora tutti i suoi prodotti, compresa l'analisi filosofica dello stesso Nietzsche, non sono altro che prospettive utili alla vita. Anche là dove si presentano come disinteressate e neutre, la loro origine resta spuria.
D'altra parte il filosofo non è mai solo tale, cioè è anche uomo della strada. Per cui la sua interpretazione della vita sarà un miscuglio di errori e verità ma con la consapevolezza (quando si ricorda di essere filosofo) che tali verità sono sullo stesso piano degli errori. Questa è la condizione nuova della filosofia contemporanea, per quanto la tendenza alla regressione nel realismo sia sempre in agguato.
L'esperimento è questo: quanto smascheramento siamo capaci di sopportare? E in più, andando un po' più a fondo: quanto riusciremo ad essere creatori di nuovi valori, di nuove prospettive, essendo consapevoli dell'origine spuria di questa stessa attività? Quanto riusciremo ad abbandonarci in questa avventura sapendo che è sempre lo stesso gioco?
			
			
			
				In aggiunta al post precedente.
L'ateismo non è una verità positiva. È verità solo nel senso di smascheramento di un errore antico.
Il materialismo invece ha un suo specifico contenuto. È una metafisica.
Ora, l'ateismo, in quanto confutazione di immagini tradizionali, non ha quello status di verità di cui dicevo nel post precedente, cioè uno status del tutto simile a quello dell'errore. Non si pone sullo stesso livello di invenzione utile alla vita in cui si pone la religione. Non è un'interpretazione del mondo che prende il posto di quella tradizionale. È solo una negazione che viene dal processo della conoscenza. Dallo sviluppo della critica su storia e antropologia.
Per il materialismo invece le cose stanno diversamente. Qui sì che si combatte ad armi pari con le altre metafisiche. In questo senso lo si può definire errore o verità solo in base a ciò che il soggetto conoscente (spesso inconsciamente) ritiene sia utile alla conservazione di sé e della propria specie. Ma dal punto di vista epistemologico non c'è differenza rispetto a dottrine quali il neoplatonismo.
Se mi ingegno per trovare e definire questa differenza vuol dire che sto lavorando (inconsciamente o meno) in funzione di un'utilità per la mia vita (cioè per qualche ragione ritengo sia più utile il materialismo). Ma se sono filosofo, come ho spiegato sopra, il sospetto che il mio lavoro sia solo funzionale alla mia vita, deve esserci. Il che mi deve far ammettere che pensare al materialismo come verità e al neoplatonismo come errore sia da ingenui.
			
			
			
				La pratica ha un senso quanto più essa è coerente con la teoria che la sostiene. Ma la teoria è comunque metafisica, non si scappa.
Il concetto di "verità assoluta" esiste. Se la teoria si riferisce alla "verità assoluta", dandola per certa, in che senso può essere giudicata praticamente sostenibile?
Può essere giudicata più o meno sostenibile in ragione del numero di coloro che si attengono strettamente alla teoria. Più ci si allontana dal cento per cento, più la pratica va in crisi. Ma chissà come e chissà perché la teoria resta sempre in piedi. La pratica va dunque in crisi solo perché non è più sostenibile la teoria, quindi, non tanto per l'esistenza del concetto di "verità assoluta", ma per quello a cui questa ci obbliga. Per quel poco o nulla che so di Nietzsche, secondo me ha detto gatto prima di averlo nel sacco. Dio (il concetto di verità assoluta) non è morto, essendo solo mal interpretata la sua volontà, tanto dai credenti quanto dagli atei... allo stato attuale delle cose, l'eterno presente appunto
			
			
			
				Citazione di: Kob il 02 Ottobre 2025, 07:04:41 AMSe leggi i brani di Nietzsche a cui mi sono riferito finora, vedrai che il termine "verità" viene usata in due modi:
1. la verità come smascheramento di idee antiche, che una volta confutate appaiono come errori;
2. poi, nella prosecuzione di questo processo di indagine, la verità come oggetto stesso della critica; qui, mostrando di avere un'origine simile a quella dei pregiudizi antichi, cioè di venire dalle stesse forze utili alla conservazione della vita, finisce per perdere il suo status speciale.
Conclusione del cammino della conoscenza: errori e verità non si distinguono dal punto di vista epistemologico. Sono entrambi funzionali alla vita. Le verità di oggi saranno presto smascherate. Fino a quel momento l'uomo della strada le considererà appunto verità nel senso del realismo, cioè nel senso di rappresentazioni adeguate a esprimere la realtà.
Ma il filosofo no, la conoscenza filosofica è appunto questa: tenere ferma questa conclusione e accettare il paradosso. Che è l'effetto dell'estensione del processo di critica alla critica stessa. Infatti se la ragione è uno strumento utile alla vita, se non è quindi uno strumento puro, incontaminato, universale, allora tutti i suoi prodotti, compresa l'analisi filosofica dello stesso Nietzsche, non sono altro che prospettive utili alla vita. Anche là dove si presentano come disinteressate e neutre, la loro origine resta spuria.
D'altra parte il filosofo non è mai solo tale, cioè è anche uomo della strada. Per cui la sua interpretazione della vita sarà un miscuglio di errori e verità ma con la consapevolezza (quando si ricorda di essere filosofo) che tali verità sono sullo stesso piano degli errori. Questa è la condizione nuova della filosofia contemporanea, per quanto la tendenza alla regressione nel realismo sia sempre in agguato.
L'esperimento è questo: quanto smascheramento siamo capaci di sopportare? E in più, andando un po' più a fondo: quanto riusciremo ad essere creatori di nuovi valori, di nuove prospettive, essendo consapevoli dell'origine spuria di questa stessa attività? Quanto riusciremo ad abbandonarci in questa avventura sapendo che è sempre lo stesso gioco?
Questa interpretazione, naturalmente, e' "realistica" e antivitale, perche', pure se errore e verita' hanno la stessa 
genesi e causa (sono entrambi l'utile per la vita: in questo senso, se A e B sono verita' ed errore > A e' uguale a B; non c'e' differenza), considerarli, pero', 
equivalenti (dire che la verita' non esiste) vuol dire 
infischiarsene (non considerare minimamente) di quale tra due affermazioni, magari opposte, sia l'utile alla vita 
adesso, nell'attimo presente, e presente, intendo, alla soggettivita' di colui che pensa e parla: se sono convinto che il cavallo, che vedo qui e ira, sia bianco 
> l'affermazione che afferma: "il cavallo e' bianco", e' l'utile alla vita, 
per me, adesso, in questo attimo;
viceversa, l'affermazione: "
il cavallo e' nero", non puo' esserlo; semmai, dato che abbiamo accettato la 
premessa che sia l'errore che la verita' siano l'utile alla vita (stessa genesi), ne deriva, che l'affermazione: "il cavallo e' nero", e' stato l'utile alla (mia) vita 
nel passato, o lo sara' nel futuro, oppure, al di la' mia persona e soggettivita', lo sara' (adesso ieri o domani) per qualcun altro.
Cosi' volli che fosse.Il tempo, o lo spazio, dirimono la contraddizione: due cose opposte, non possono essere entrambe vere nello stesso luogo o nello stesso momento, ma possono esserlo, in luoghi, o momenti diversi, e quindi, derivatamente, anche, per corpi o per persone, diverse. La sopportabilita', della contraddizione, tramite la differenza,  soprattutto etnica e culturale tra uomini, e tramite la storia.
Perfino la volonta' panica, o volonta' di potenza, la quale (in maniera simile a come e' in Schopenahuer) vuole 
tutto, comunque, non vuole 
tutto contemporaneamente. Non vuole, almeno non direttamente, la contraddizione. Per questo, essa flirta o amoreggia con il 
tempo, (cioe' nel suo volere, per davvero e assolutamenre, 
tutto, inevitabilmente, vuole anche se stessa, e vuole anche il tempo), dando luogo all'Eterno ritorno.
Il tempo e' quella specifica cosa, o meglio quello specifico fatto, per cui tutte le altre le cose, o meglio fatti, non accadono, contemporaneamente. Tutti, sanno definirlo in negativo; nessuno, in positivo. Se pensiamo che alla base di tutto, ci sia la volonta', allora il tempo e' quella specifica cosa, per cui tutte le altre cose (pur essendo, in generale tutte 
volute, dalla stessa identica volonta'
) NON sono, pero', tutte volute 
contemporaneamente.Il grande serpente, si morde la coda in un punto, ben specifico, di se stesso (la verita' e' l'utile alla vita 
adesso, non in generale
), insomma si vuole auto divorare in un punto specifico di se stesso, proprio alla base della coda, come se li' avesse un prurito, o un dolore, o un fremito; ma, nel farlo, nel mordersi la coda, diventa, con tutto se stesso, con tutto il suo 
corpo, il simbolo umano stesso dell'anello, concettuale, del tempo (verita' ed errore, sono entrambi l'utile alla vita 
ma non lo sono contemporaneamente). 
Un serpente, che si morde la coda. 
Cioe' una volonta' che si autovuole. Ma il 
modo, o la strategia, che questo serpente, ha a disposizione per autovolersi completamente, e' autovolersi in un punto, cioe' modersi la coda in un punto. Accettare e volere l'attimo presente, volerlo come origine e come fine. La verita' e' l'utile alla vita ADESSO. Cioe', cosa sia o non sia l'utile alla vita, col tempo diviene e 
cambia.
			 
			
			
				Considerazioni veloci, per non distogliere troppo il discorso da Nietzsche, ma parlando come chi ha il vantaggio di vivere dopo il novecento e dopo i suoi eredi con "martello e cazzuola" (e mi stupisco sempre un po' quando qualcuno si ferma per incanto a Nietzsche):
Citazione di: Kob il 02 Ottobre 2025, 08:01:36 AMMa dal punto di vista epistemologico non c'è differenza rispetto a dottrine quali il neoplatonismo.
Se mi ingegno per trovare e definire questa differenza vuol dire che sto lavorando (inconsciamente o meno) in funzione di un'utilità per la mia vita (cioè per qualche ragione ritengo sia più utile il materialismo).
La differenza epistemologica c'è, e 
dovrebbe esserci soprattutto per un filosofo; non perché sia inevitabile fare preferenze personali da un lato o dall'altro, ma perché se non c'è differenza 
epistemologica (quindi non di "affinità individuale") fra i due, significa che sono teoreticamente "paralleli"; mentre è fattuale che non lo siano per le conseguenze pratiche, oltre che teoriche, che ne derivano. Se appiattiamo ogni filosofia ad un generico «è pur sempre utile alla vita di qualcuno, 
proprio come le altre filosofie», smettiamo di fare epistemologia e tutto si banalizza in «ognuno ha le sue utili opinioni» (e tutte le vacche sono nere, come diceva qualcuno).
Citazione di: Kob il 02 Ottobre 2025, 07:04:41 AMquanto riusciremo ad essere creatori di nuovi valori, di nuove prospettive, essendo consapevoli dell'origine spuria di questa stessa attività?
Da questa "monocromia filosofica" e dall'apparente stallo della critica che critica se stessa (e quindi rischia di andare in crisi), si esce semplicemente rispondendo alle 
istanze pulsanti della vita con un pragmatismo relativista (che non è "realismo qualunquista"), ossia considerando le esigenze della vita reale, individuale e sociale, alla luce di valori non assoluti, ma relativi al proprio tempo (come in fondo accade da sempre, direbbe Nietzsche). Con la conseguenza che la fantomatica verità, proprio in quanto contestualizzata (re-lata), ha un valore 
per l'individuo differente dalle non-verità, anch'esse contestualizzate; in quest'ottica semplicemente non c'è terreno fertile per una metafisica che imponga verità assolute (meta-temporali), ed è un'ottica in cui Dio può anche morire, quando è venuto il suo tempo.
In un certo senso è proprio la "forma di vita" della società che comporta la creazione dinamica di nuovi valori, nuove letture del mondo, etc. dopo il novecento è possibile 
partecipare a (non solo osservare) tale creazione, e le prassi che ne derivano, con maggior disincanto rispetto a velleità metafisiche e metastoriche (i vari assoluti).
Forse la gaia scienza può anche essere intesa come lo "stare al gioco" della relatività dei valori che si addensano nelle vicende umane, in cui le regole (scienza) sono 
essenziali e discriminanti (una non vale l'altra), ma sono asservite (utilità) al gioco (gaiezza) che anima l'applicazione di tali regole; animazione così preponderante al punto da cambiare le stesse regole durante la partita.
P.s.
En passant: l'unica verità di cui non possiamo fare a meno, per fare discorsi sensati, è quella meramente logica: se affermo «la verità metafisica non esiste», devo anzitutto presupporre la verità logica come possibilità di sensatezza di questa affermazione (ogni affermazione è in quanto tale affermazione di verità logica); che poi sia 
anche una verità teoretica, empirica o altro è solo un secondo passo.
			
 
			
			
				Citazione di: niko il 01 Ottobre 2025, 22:56:59 PMNo, dal momento che ogni fenomeno classico puo' essere spiegato in termini relativistici, e nessun fenomeno relativistico puo' essere spiegato in termini classici.
La teoria che accoglie e contiene l'altra, e' piu' veritativa dell'altra e non viceversa, e non sono tutte uguali, e nemmeno, mi dispiace, tutte equivalenti. 
Tu sei scettico, sei una persona scettica, e vorresti che fosse scettica anche la scienza (volonta' di potenza; in questo caso: la tua) ma se cosi' fosse, ad oggi, staremmo ancora a Galileo col cannocchiale, e al cardinale Bellarmino che lo contesta, e no, non me la sento, di dirti che sarebbe un bene.
La tua obiezione è corretta, ma non definitiva.
Non vale infatti per la meccanica quantistica.
Per fare stare insieme le due teorie, si divide la realtà in micro e macro, il che mi sembra poco elegante. La realtà è una, diverse sono le teorie, perchè non c'è un solo modo di interagire con la realtà.
La spinta a ricercare teorie unificanti è comunque da incentivare, perchè è conveniente avere una teoria piuttosto che due.
La ricerca della verità è stata certamente un incentivo più forte, una programmatica serendipità, in se non necessaria, e che non manca di effetti collaterali.
Non esprime volontà di potenza l'uomo che cerca la verità credendo di avere il potere di trovarla?
Io questo desiderio non lo sento, e voglio solo capire, che per me significa prender coscienza di ciò che faccio, perchè io le cose le capisco, ma non so come ci riesco.
''Capire'' questo, è importante in un tempo in cui la nuova fisica ci invita a metter da parte, giocoforza, la volontà di comprendere.
Bisogna togliere questo ''giocoforza'' accettando serenamente la cosa, divenendo padroni della situazione per quel che è che, e non per quel che desideriamo che sia, desiderio che è volontà di non cambiare.
Noi veniamo da esempi di verità smascherati, verità non più difendibili, che desideriamo sostituire con altre.
Non desideriamo cambiare un mondo che credevamo fatto di verità, con altro che non le possieda.
Lo accetteremo quando diverremo un altro uomo, ciò che noi non desideriamo, perchè noi siamo e desideriamo restare.
Però la realtà dei nostri desideri se ne fa un baffo, e per questo siamo ciò che siamo divenuti.
			
 
			
			
				In §7 abbiamo una versione simile al contenuto del brano "Origine della conoscenza", ma forse più interessante, almeno dal punto di vista dell'argomento di questo Topic.
Mi spiego. Il brano inizia con la considerazione che la conoscenza deve ancora portare avanti ricerche su tutto ciò che finora "ha dato colore all'esistenza".
Mancano ricerche "sulla coscienza, sulla devozione, sulla crudeltà", ma anche su aspetti concreti della vita degli uomini come gli influssi morali degli alimenti e del clima. Vastissime ricerche, insomma, di natura filosofica, psicologica, antropologica.
E conclude:
"Posto che siano effettuate tutte queste operazioni, comparirebbe in primo piano il più scabroso di tutti i problemi: se la scienza, cioè, sia in grado di fornire obiettivi all'agire, una volta che essa ha dimostrato di poterli raggiungere e demolire — e sarebbe allora [...] un lungo sperimentare di secoli che potrebbe mettere in ombra tutte le grandi opere e i sacrifici della storia finora trascorsa. Sino a oggi la scienza non ha ancora elevato le sue costruzioni ciclopiche: verrà il tempo anche per questo." [Sottolineatura mia].
Ma che cosa sono state l'etnologia e l'antropologia del Novecento, la psicanalisi, la filosofia contemporanea, se non la realizzazione (parziale) di questo grande progetto conoscitivo?
Da questo punto di vista, il tema della creazione di nuovi valori perde ogni interesse. Ci si chiede infatti: e se invece fosse sufficiente la demolizione delle nostre illusioni su noi stessi e sugli altri? Se bastasse la consapevolezza dell'origine ambigua di ogni virtù e di ogni vizio – non dico per essere operatori di pace – ma almeno per dirsi: ma non vale la pena sprecare tempo ed energia in questa guerra! C'è ben altro da indagare e sperimentare che non sia l'odio per il mio nemico, che so essere un'accozzaglia di condizioni contingenti, mie e sue, personali e storiche! Ma insomma dedichiamoci a qualcosa di serio!
Un luogo comune che si sente spesso è: la scienza ha fatto e fa passi da gigante, l'etica non tiene il passo.
E se invece bastasse l'ethos dello smascheramento? Dobbiamo per forza fingere di avere nuova fede in certi valori? Ci tocca ancora una volta ricostruire da capo la retorica sulla gentilezza, sulla generosità, sull'amore verso l'altro? Non è abbastanza evidente che non funziona con homo sapiens?
			
			
			
				Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AM"Posto che siano effettuate tutte queste operazioni, comparirebbe in primo piano il più scabroso di tutti i problemi: se la scienza, cioè, sia in grado di fornire obiettivi all'agire, una volta che essa ha dimostrato di poterli raggiungere e demolire — e sarebbe allora [...] un lungo sperimentare di secoli che potrebbe mettere in ombra tutte le grandi opere e i sacrifici della storia finora trascorsa. Sino a oggi la scienza non ha ancora elevato le sue costruzioni ciclopiche: verrà il tempo anche per questo." [Sottolineatura mia].
Le leggi della scienza non possono essere un modello per le norme morali, come sembra sperare il nostro, perchè non hanno alcun obiettivo palese, anche se in tal forma le si può esprimere, come faceva Aristotele, per il quale i corpi provano amore per il loro prossimo, ( il simile ) , dal quale vengono dunque attratti.
Ma alla fine ogni anima è stata esclusa come necessaria alla descrizione del comportamento della materia.
Se le cose vanno come vanno non c'è un motivo, ma semmai da ciò motivi comportamentali si possono trarre.
In tal modo la conoscenza diventa concausa dell'agire, e l'altra causa, quella preponderante, è la natura di chi agisce.
La norma morale è più legata alla natura che alla conoscenza.
La conoscenza semmai, essendo ciò che modifica la nostra natura, solo indirettamente influenza il nostro agire.
Cioè noi siamo sostanzialmente norma del nostro agire, che non può essere assoluta, se noi non lo siamo..
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMil più scabroso di tutti i problemi: se la scienza, cioè, sia in grado di fornire obiettivi all'agire, una volta che essa ha dimostrato di poterli raggiungere e demolire
La scienza è essenzialmente ed eticamente nichilistica, nel senso che può appunto «demolire» gli obiettivi metafisici dell'agire, demistificando e spigando razionalmente (v. neuroscienze, antropologia comparativa, etc.) molto, non tutto, di ciò che prima era mistificato. Tuttavia la scienza non può «fornire obiettivi all'agire», proprio perché si occupa di studiare e comprendere, non di guidare e prescrivere norme etiche o comportamentali. Qualunque spiegazione scientifica non afferma «è moralmente giusto che a questa causa segua questo effetto», ma si limita ad analizzare e 
verificare tale rapporto di causa/effetto. Come esempio, basta considerare l'essere bifronte della bioetica, in cui l'aspetto etico (che è 
doxa) non si con
fonde mai fino in fondo con quello scientifico (che è 
episteme). Le costruzioni ciclopiche della scienza, oggi ci sono e inevitabilmente non fungono da "faro etico" ma da dispositivo tecnico, al massimo alimentano l'
hybris gnoseologica o antropologica, ma non costituiscono una guida all'agire morale (anche se questo coinvolge la dimensione scientifica).
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMSe bastasse la consapevolezza dell'origine ambigua di ogni virtù e di ogni vizio – non dico per essere operatori di pace – ma almeno per dirsi: ma non vale la pena sprecare tempo ed energia in questa guerra! C'è ben altro da indagare e sperimentare che non sia l'odio per il mio nemico, che so essere un'accozzaglia di condizioni contingenti, mie e sue, personali e storiche! Ma insomma dedichiamoci a qualcosa di serio!
Così potrebbe, anzi, può esclamare l'uomo di scienza, almeno finché indossa il camice; tuttavia l'uomo senza camice (o appunto che se l'è tolto) non ragiona solo in termini di "fame di conoscenza", ma può avere anche fame di azione, di ideali, di utopie, etc. non siamo automi monodimensionali.
Che poi ci siano un nichilismo e un relativismo che, con buona pace dell'abusato motto dostoevskijano sul «allora tutto è possible», siano 
in concreto propensi e inclini alla pace, è un altro discorso (solitamente un sentiero poco battuto dai pensatori forti e dai militanti del "muro contro muro", del "o con me o contro di me", etc.).
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMDobbiamo per forza fingere di avere nuova fede in certi valori? Ci tocca ancora una volta ricostruire da capo la retorica sulla gentilezza, sulla generosità, sull'amore verso l'altro? Non è abbastanza evidente che non funziona con homo sapiens?
La fede, soprattutto dopo il novecento, non è affatto necessaria, soprattutto perché vanificherebbe la presa di coscienza della debolezza (e dell'inconsistenza logica) di ogni teoria metafisica, autoreferenziale, etc. quel che è necessario è inaggirabile è invece vivere (suicidio a parte) e per questo nel post precedente parlavo di pragmatismo e di «"stare al gioco" della relatività dei valori».
Faccio come sempre il solito esempio del linguaggio: una volta che ho "scoperto" che «sedia» non è il nome vero, giusto e assoluto di quell'oggetto (che un nome non ce l'ha, fuori dalle prassi dialogiche umane), nondimeno, nella vita vissuta, è pur necessario che io lo chiami in qualche modo se ho bisogno che tu me lo passi (e con un parlante italiano la frase «passami la sedia» solitamente ha un "felice" esito comunicativo). Questa mia scelta linguistica ovviamente non comporta avere fede nel fatto che quell'oggetto si chiami davvero così in assoluto, che quello sia il suo nome vero e giusto, etc. uso quella parola solo per finalità pragmatiche e utilitaristiche, perché funziona, non perché ho fede che sia la verità (anzi so che la verità è un'altra, ma faccio finta di non saperla pur di stare al gioco della comunicazione: quell'oggetto un nome non ce l'ha). Lo stesso può dirsi per le norme etiche: non è necessario «fingere di avere nuova fede in certi valori», si tratto solo di scegliere quali valori usare, in quale contesto e con quali (più o meno prevedibili) conseguenze.
			
 
			
			
				Citazione di: Phil il 06 Ottobre 2025, 13:43:07 PMFaccio come sempre il solito esempio del linguaggio: una volta che ho "scoperto" che «sedia» non è il nome vero, giusto e assoluto di quell'oggetto (che un nome non ce l'ha, fuori dalle prassi dialogiche umane), nondimeno, nella vita vissuta, è pur necessario che io lo chiami in qualche modo se ho bisogno che tu me lo passi (e con un parlante italiano la frase «passami la sedia» solitamente ha un "felice" esito comunicativo). Questa mia scelta linguistica ovviamente non comporta avere fede nel fatto che quell'oggetto si chiami davvero così in assoluto, che quello sia il suo nome vero e giusto, etc. uso quella parola solo per finalità pragmatiche e utilitaristiche, perché funziona, non perché ho fede che sia la verità (anzi so che la verità è un'altra, ma faccio finta di non saperla pur di stare al gioco della comunicazione: quell'oggetto un nome non ce l'ha). Lo stesso può dirsi per le norme etiche: non è necessario «fingere di avere nuova fede in certi valori», si tratto solo di scegliere quali valori usare, in quale contesto e con quali (più o meno prevedibili) conseguenze.
Analogia notevole, che io sarei tentato di estendere dal nome all'oggetto che indica, con la differenza che magari non abbiamo del tutto ancora realizzato che la sedia non è vera, ma solo un modo per accomodarsi nella realtà.
''Passami la realtà'' è la richiesta non verbale analoga al ''passami la sedia'', non verbale ma pur sempre relativa ad un linguaggio, che è quello delle evidenze.
L'apparenza della realtà è cioè un modo inconsapevole di descrivere la realtà a nostro uso.
La scienza, essendo solo un modo alternativo di accomodarsi nella realtà, non ha nulla di sostanzialmente nuovo da offrire alla legge morale.
Per me, da bambino la natura della sedia non era disgiungibile dal suo nome.
Per me, da adulto, la sedia non è disgiungibile dalla natura della realtà, ma in analogia posso sospettare che lo sia.
			
 
			
			
				Citazione di: iano il 06 Ottobre 2025, 14:08:05 PM''Passami la realtà'' è la richiesta non verbale analoga al ''passami la sedia''
La versione più corretta sarebbe «passami 
quella realtà» o «passami quella 
parte di realtà» (non stiamo infatti chiedendo di passarci tutta la realtà che c'è). Per evitare la confusione babelica che ne conseguirebbe e per assecondare il principio logico di identità (senza cui non può esserci logica, né discorso logico), abbiamo iniziato millenni fa ad usare nomi; proprio come per evitare la confusione sociale abbiamo iniziato ad usare norme, che si sono consolidate in morali, che sono andate in conflitto fra loro, che ora si contaminano nella globalizzazione, etc.
			
 
			
			
				Citazione di: Phil il 06 Ottobre 2025, 15:24:36 PMLa versione più corretta sarebbe «passami quella realtà» o «passami quella parte di realtà» (non stiamo infatti chiedendo di passarci tutta la realtà che c'è). Per evitare la confusione babelica che ne conseguirebbe e per assecondare il principio logico di identità (senza cui non può esserci logica, né discorso logico), abbiamo iniziato millenni fa ad usare nomi; proprio come per evitare la confusione sociale abbiamo iniziato ad usare norme, che si sono consolidate in morali, che sono andate in conflitto fra loro, che ora si contaminano nella globalizzazione, etc.
Nella mia analogia la realtà non coincide con gli oggetti, tipo sedie, come la sedia non coincide col suo nome.
Cioè, è una descrizione della realtà a coincidere con l'essere fatta di sedie, ma la realtà non è fatta di sedie perchè non è l'unico modo per descriverla, però possiamo fingere che lo sia. 
Abbiamo preso consapevolezza di ciò, o ce ne è stata data la possibilità, quando la scienza ci ha proposto descrizioni alternative non meno efficaci.
Una realtà che si presta ad essere descritta come fatta di cose, se questa descrizione non è univoca, e tutte le descrizioni hanno sostanzialmente pari valore, non è fatta di cose.
La realtà è ciò che si presta ad essere usata come fosse fatta di cose.
Scoperta la finzione, che non è fatta di cose, ritenendola comunque utile, la si adotterà consapevolmente.
Sono consapevole che di solito non si da alle diverse descrizioni sostanziale pari valore, ma questa diventa una complicazione.
Cosa può esserci dietro questa differente attribuzione di valore se non l'attribuzione preconcetta di una finalità?
La descrizione quantistica è alternativa a quella relativistica.
Perchè non possiamo considerare ciò normale?
Quale preconcetto ce lo impedisce?
La risposta è il pregiudizio di verità.
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMIn §7 abbiamo una versione simile al contenuto del brano "Origine della conoscenza", ma forse più interessante, almeno dal punto di vista dell'argomento di questo Topic.
Mi spiego. Il brano inizia con la considerazione che la conoscenza deve ancora portare avanti ricerche su tutto ciò che finora "ha dato colore all'esistenza".
Mancano ricerche "sulla coscienza, sulla devozione, sulla crudeltà", ma anche su aspetti concreti della vita degli uomini come gli influssi morali degli alimenti e del clima. Vastissime ricerche, insomma, di natura filosofica, psicologica, antropologica.
E conclude:
"Posto che siano effettuate tutte queste operazioni, comparirebbe in primo piano il più scabroso di tutti i problemi: se la scienza, cioè, sia in grado di fornire obiettivi all'agire, una volta che essa ha dimostrato di poterli raggiungere e demolire — e sarebbe allora [...] un lungo sperimentare di secoli che potrebbe mettere in ombra tutte le grandi opere e i sacrifici della storia finora trascorsa. Sino a oggi la scienza non ha ancora elevato le sue costruzioni ciclopiche: verrà il tempo anche per questo." [Sottolineatura mia].
Ma che cosa sono state l'etnologia e l'antropologia del Novecento, la psicanalisi, la filosofia contemporanea, se non la realizzazione (parziale) di questo grande progetto conoscitivo?
Da questo punto di vista, il tema della creazione di nuovi valori perde ogni interesse. Ci si chiede infatti: e se invece fosse sufficiente la demolizione delle nostre illusioni su noi stessi e sugli altri? Se bastasse la consapevolezza dell'origine ambigua di ogni virtù e di ogni vizio – non dico per essere operatori di pace – ma almeno per dirsi: ma non vale la pena sprecare tempo ed energia in questa guerra! C'è ben altro da indagare e sperimentare che non sia l'odio per il mio nemico, che so essere un'accozzaglia di condizioni contingenti, mie e sue, personali e storiche! Ma insomma dedichiamoci a qualcosa di serio!
Un luogo comune che si sente spesso è: la scienza ha fatto e fa passi da gigante, l'etica non tiene il passo.
E se invece bastasse l'ethos dello smascheramento? Dobbiamo per forza fingere di avere nuova fede in certi valori? Ci tocca ancora una volta ricostruire da capo la retorica sulla gentilezza, sulla generosità, sull'amore verso l'altro? Non è abbastanza evidente che non funziona con homo sapiens?
Alternativa? Godiamocela e fottiamocene? Con gaiezzs, naturalmente 
			
 
			
			
				La filosofia così come le altre vere forme di conoscenza – scienza della natura e arte – si basa sull'immaginazione. Immaginare possibilità e sviscerarle.
Di fronte quindi alle sollecitazioni che vengono dal testo di Nietzsche è inutile sia chiedere ironicamente delle risposte – tu non sei in grado di pensare? – così come ripetere la lezioncina che conosciamo tutti su scienza, etica e relativismo.
Inutile andare avanti, quindi.
Un ultimo commento però, perché l'aforisma in oggetto intitolato "La coscienza", si lega a §7.
Si tratta di §11, un brano eccezionale.
Si parte dalla constatazione che nella nostra civiltà si tende a dare grande importanza alla coscienza, rimuovendo le sue intermittenze. In verità, dice N., se non fosse per la presenza di istinti possenti, le fantasticherie e gli errori della nostra coscienza ci avrebbero già da tempo condotti all'estinzione.
Ma proprio questa sopravvalutazione, e quindi il fatto che non ci si impegni a svilupparla, fa sì che, rimanendo un abbozzo, sia facilmente piegata dagli istinti vitali.
Ma è ancora una volta la conclusione dell'aforisma a colpire: ancora oggi, dice N., rimane un compito del tutto nuovo "incarnare in se stessi il sapere e di renderlo istintivo".
			
			
			
				Scusa 
Kob, ma evidentemente non ho saputo cogliere lo spirito del topic; quando ho provato a proporre un'interpretazione di Nietzsche: 
Citazione di: Kob il 01 Ottobre 2025, 09:21:44 AMla tua lettura, per quanto ingegnosa, mi sembra fine a se stessa. Una specie di performance di virtuosismo interpretativo che non ha come obiettivo chiarire il brano o il pensiero di Nietzsche, tanto meno rispondere alla domanda del topic sulla gaia scienza.
È molto lontana dallo spirito del brano che dovrebbe interpretare, e in generale dall'atteggiamento che Nietzsche mostra nel suo complesso
e quando ho ricordato le 
conseguenze storiche del pensiero nietzschiano:
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 18:06:17 PMè inutile [...] ripetere la lezioncina che conosciamo tutti su scienza, etica e relativismo.
Inutile andare avanti, quindi.
e in entrambi i casi mi ero agganciato direttamente a 
domande esplicite che avevi posto. Forse erano domande retoriche a cui non bisognava rispondere sul serio? Oppure si "doveva" rispondere solo citando Nietzsche, ma senza interpretarlo troppo (nonostante quel tuo «Immaginare possibilità e sviscerarle»)? 
Se continui a postare su questo topic, anche in forma di monologo, ti seguo volentieri, ma forse le domande che poni hanno bisogno di "istruzioni per l'uso" (almeno per me), così da evitare di incappare in risposte "inutili".
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 18:06:17 PMMa è ancora una volta la conclusione dell'aforisma a colpire: ancora oggi, dice N., rimane un compito del tutto nuovo "incarnare in se stessi il sapere e di renderlo istintivo".
Il compito lo stiamo in effetti svolgendo, e in modo nuovo, non incarnando il sapere, ma rendendolo meccanismo puramente materiale , che non riconosciamo come carne della nostra carne, per quanto possa essere a noi contiguo, fino a farsi protesi, ma che svolge lo stesso ruolo, e per i fatti di cui poteva essere a conoscenza il nostro direi che sia stato profetico, come in effetti amava atteggiarsi.
L'incarnazione, in qualunque forma avvenga, vecchia o nuova, è comunque un processo cosciente con perdita di coscienza finale.
La coscienza è cioè un catalizzatore del processo di incarnazione che non si ritrova nel prodotto finale, la cui funzione storica non può essere quindi sempre recuperata, come quando il prodotto finale è carne letteralmente, anche se dal DNA qualcosa possiamo indurre.
E' il valore da dare alla coscienza che va rivisto, emendato dalla sua natura che è quella di farsi pubblicità da sola.
Ciò equivale a togliere valore all'uomo in quanto essere cosciente, anche perchè tutti gli esseri viventi  sono coscienti, ma si caratterizzano per il diverso uso che ne fanno, usandone quanto basta.
La coscienza non è un valore in sè.
Se fosse un valore in se i suoi prodotti la dovrebbero contenere, mentre invece le macchine, esempio di quei prodotti, non la possiedono.
Oppure, se la coscienza ha un valore, anche la sua mancanza ce l'ha.
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 18:06:17 PMDi fronte quindi alle sollecitazioni che vengono dal testo di Nietzsche è inutile sia chiedere ironicamente delle risposte – tu non sei in grado di pensare? 
Comprendere una profezia non è agevole, ma qui si tratta di constatare quanto la profezia si sia realizzata, tanto da rendercela chiara col senno di poi.
Di tutti gli interessantissimi passi che hai postato mi pare infatti di trovare riscontro nel presente.
Se la tua critica è riferita a me, non si tratta propriamente di pensare con la propria testa, ma avendo pensato con la propria testa, quindi in modo indipendente, riscontrare a posteriore una coincidenza con un pensiero non contemporaneo, quello del nostro, e che perciò mi sembra attuale, uscendo dal suo alone di mistero.
Il rischio diversamente è quello di godere nel crogiolarsi nei misteri.
Tu però, con i tuoi mirati passi scelti, mi pare fai l'operazione contraria, di far chiarezza.
Un scelta non casuale credo, cioè hai scelto quei passi perchè sono entrati in risonanza col tuo ''libero'' pensiero.
Insomma, il valore del nostro non sta certo nell'essersi prestato  fin a fargli dire quel che ci piace, tanto da renderlo così popolare.
Sta nel constatare la realizzazione delle sue profezie, profezie nel senso che sono sorprendenti le sue conclusioni, non possedendo apparentemente tutti gli elementi per farle.
			
 
			
			
				Noi ci lasciamo sempre sorprendere dagli eventi, ma col senno di poi sappiamo che erano prevedibili a saper leggere bene i tempi che viviamo, di cui quegli eventi sono figli.
Se riesci a farlo, per gli altri diventi un profeta, però chiunque poteva esserlo.
Per leggere il proprio tempo bisogna sapere, e aver la voglia di, uscire dalle abitudini che costituiscono il nostro mondo, cioè avere la capacità di estraniarsi. Diversamente non saremo in grado che di fare profezie di sventura, perchè ogni uscita forzata dal proprio mondo, e in breve il futuro, diventa in se una sventura.
Il nostro, per quanto possa risultare fumoso, di questo tipo di profezie sventurate non ne ha fatte, per quanto ne so.
 
			
			
			
				Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMCi si chiede infatti: e se invece fosse sufficiente la demolizione delle nostre illusioni su noi stessi e sugli altri? Se bastasse la consapevolezza dell'origine ambigua di ogni virtù e di ogni vizio
questo tuo passo ha catturato la mia attenzione e quindi risuonerò come la pala eolica su questa linea. L'illusione su noi stessi e la consapaevolezza dell origne ambigua delle virtù e del vizio, tutte cose nate dalla mente umana , ma non per questo illusorie se per virtù si intende la forza, la temperanza, la saggezza, il discernimento che cosa sono? sono solo invenzioni della mente? o sono le modalità con cui l'uomo ha tentato di essere piu giusto, più forte , per cercare di dare al propio intelletto un impostazione basata sulla giustizia di cercare di avere una volontà che sia più forte di tutti i vizi, per non esserne prigionieri , non sono forse la coltivazione personale di tali virtù che ci rende liberi dal vizio? ah certo si può dire che è moralismo preferire la virtù rispetto al vizio , tuttavia non credo si sia particolarmente liberi nel vizio. è moderando i desideri che siamo padroni di scegliere. 
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AMUn luogo comune che si sente spesso è: la scienza ha fatto e fa passi da gigante, l'etica non tiene il passo.
E se invece bastasse l'ethos dello smascheramento? Dobbiamo per forza fingere di avere nuova fede in certi valori? Ci tocca ancora una volta ricostruire da capo la retorica sulla gentilezza, sulla generosità, sull'amore verso l'altro? Non è abbastanza evidente che non funziona con homo sapiens? 
Questo si ricollega all illusione di noi stessi e sul prossimo . Avere fede nei valori non significa niente, non ci sono valori a cui avere fede. L'illusione è pensare che i valori stiano stiano nella società , all interno delle norme etiche . Mentre il valore risiede nell animo, nel cuore, nella propia coscienza morale. Eh lo so Nietzche mi risponderebbe che sono un idiota , la sua filosofia al di la del bene e del male ma L'illusione è pensare che noi non siamo chiamati a rispondere . C'è una domanda la quale siamo tutti chiamati a rispondere , volenti o dolenti. E lo facciamo tutti i giorni , costantemente , in ogni circostanza della giornata e negli eventi che la vita ci fa sperimentare quotidianamente. Infatti tuo figlio è una domanda, tua moglie è una domanda, il tuo vicino è una domanda, lo sconosciuto che attraversa   è una domanda,  gli alberi sono una domanda , il mare è una domanda , gli animali sono una domanda verso di noi. Sentire questa domanda è ciò che ti mette davanti ad una respondabilità. Non ha caso la parola "responsablità" deriva da "rispondere". Nietzche a tale domanda risponde con la legge del più forte, dell oltreuomo che si riassume in volontà di potenza. Si può rispondere così, moltissimi lo fanno, preferire il propio tornaconto, stabilre il propio primato e tapparsi le orecchie e gli occhi di fronte a quella domanda. Perchè è più facile e piu conveniente non sentire, che voler ascoltare. 
			
 
			
			
				@PhilTutti i brani di Nietzsche che ho riportato si incentrano sul tema della conoscenza.
Ho sottolineato almeno tre volte nel Topic che Nietzsche quando parla di scienza non intende riferirsi alle sole "scienze dure", ma ad una conoscenza organica e complessiva. Per intenderci, gli studi storici sul cristianesimo della seconda metà dell'Ottocento per N. sono scienza.
Detto questo, che senso ha allora il tuo riferimento dello scienziato nel suo laboratorio? Ovviamente l'esperimento mentale di N. sulle conseguenze di una vera incarnazione della conoscenza (tanto da fare di essa qualcosa di istintivo) non riguarda quel tipo di studioso, ma una figura di filosofo e uomo di scienza la cui immagine più simile mi sembra quella dell'intellettuale del Rinascimento.
Poi affermi che a differenza dello scienziato da laboratorio, l'uomo della strada ha bisogno di ideali e utopie per orientarsi nel mondo. Ma, ancora, N. non si sta rivolgendo all'uomo della strada. È l'uomo della conoscenza ad essere l'oggetto di questo esperimento. Se non si tiene conto di questo aspetto tutto il discorso perde completamente senso, e ci si ritrova a ragionare sul tema della necessità delle illusione e degli ideali.
Poi dici che la scienza non è in grado di orientare l'azione. Ovvio che la risposta sia no, ma la domanda che emerge – che ho cercato di far emergere – è se l'estrema consapevolezza dell'uomo della conoscenza che viene da un lavoro immenso di smascheramento non possa bastare come una specie di bussola morale (diciamo così) basata appunto sullo smascheramento stesso, sul negativo (la critica) che però in un suo dosaggio iperbolico non riveli alla fine con sorpresa un positivo (di natura però diversa dal positivo delle tradizioni).
Così come il sapiente dell'antichità era colui che non soltanto credeva nella verità della sua dottrina ma che la incarnava fino alle estreme conseguenze, così l'esperimento mentale che ci propone Nietzsche è quello di immaginare che cosa vorrebbe dire oggi per il filosofo incarnare veramente il sapere attuale senza riserve, senza lasciare spazio a regressioni domestiche ecc.
@ianoLa mia critica non si rivolgeva a te, ma alla risposta di Alexander.
@Alberto KnoxL'opera di Nietzsche è un'opera aperta. Ci sono contraddizioni e parti indigeste. Non è mia intenzione difenderlo. Ma non credo che la tua interpretazione venga dall'effettiva lettura delle sue opere. Mi sembra piuttosto la ripetizione del cliché del Nietzsche darwinista sociale.
Infatti se la sua risposta fosse la legge del più forte, come si spiegherebbe la presenza in 
Umano troppo umano, 
Aurora e 
Gaia scienza di questo tema sulle possibilità e sulle conseguenze di una conoscenza "iperbolica"? Non penso si possa dire che l'uomo della conoscenza sia l'uomo forte, giusto? Se la risposta è la forza, la potenza, perché interrogarsi sulle ricadute della conoscenza dal punto di vista dell'orientamento nel mondo?
Non voglio polemizzare poi con la tua di risposta, cioè "il cuore" (anche se non mi sembra possa bastare, se vogliamo fare filosofia anziché accontentarci di suscitare in noi quei buoni sentimenti che ci fanno tirare avanti).
Noto soltanto che il tema era un altro. Il problema è che ciascun utente prende una frase e parte per la sua strada. La frase specifica viene usata per poter dire qualcosa, indipendentemente dall'argomento in oggetto. Nulla di male. Solo che il risultato è un insieme di monologhi che spesso procedono paralleli senza mai toccarsi.
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 11:19:31 AMNon penso si possa dire che l'uomo della conoscenza sia l'uomo forte, giusto? 
tutto sta a cosa intendeva Nietzche per uomo forte a questo punto . Sappiamo che la strada verso il superuomo non è mai una via di emancipazione collettiva , che possa riguardare, anche in un futuro lontano, tutta l'umanità, è invece sempre una prospettiva di eccezionale elevazione di alcuni singoli individui, rispetto alla mediocrità in cui la maggior parte delle persone accetta di vivere, per ignoranza, timore e abitudine. Sono queste le idee di forza e di vitalità riferite all uomo e rivolte a pochi. Purtroppo sono state interpretate male come abbiamo ben visto ad esempio dalla terribile ideologia nazista. 
Ma chi è concretamente  il superuomo? l'oltreuomo di N. ? Chi è colui che riesce a superare l uomo stesso? in primo luogo è colui che uccide Dio e che sopratutto ne regge la morte. La morte di Dio comporta finalmente quella che N. chiama la trasvalutazione dei valori , il bene e il male. N. si proclama orgogliosamente immorale. Questo non significa che esaltasse la malvagià o il crimine . L attacco è rivolto alla morale dei sacerdoti fatta di umiltà , obbedienza , castità, ipocrisia e rinuncia della felicità in nome di un falso e ingannevole aldilà . A tale morale antivitale , N. contrappone quella ultravitale dei cavalieri , fondata sulla fierezza, la gioia , il coraggio e la volontà. Il superuomo supera la visione appollinea della vita, virtuosa e razionale propagandata da Socrate, Platone e dalla cristianità, per ritornare ad abbracciare ed esaltare lo spirito dionisiaco, vero e propio cuore pulsante della tragedia antica di Sofacle e di Eschilo, fatto di caos, infinito e tenebree governato dal fato. 
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 11:19:31 AMHo sottolineato almeno tre volte nel Topic che Nietzsche quando parla di scienza non intende riferirsi alle sole "scienze dure", ma ad una conoscenza organica e complessiva. Per intenderci, gli studi storici sul cristianesimo della seconda metà dell'Ottocento per N. sono scienza.
[...] una figura di filosofo e uomo di scienza la cui immagine più simile mi sembra quella dell'intellettuale del Rinascimento.
Capisco, ma l'intellettuale del rinascimento, trascurava forse le scienze dure 
della sua epoca? Occuparsi di «scienza organica e complessiva», nel 2025, significa considerare scienze dure solo quelle che arrivano fino ad inizio novecento? Per questo chiedevo di precisare i confini del tuo domandare: se vogliamo tratteggiare qualcosa di 
attuale (come ci inviterebbe a fare Nietzsche stesso), abbiamo alcuni contesti da tenere presente, se invece vogliamo confinarci a quello che Nietzsche voleva dire, restando "prigionieri" della sua epoca (facendo quindi più filologia che ermeneutica), allora il discorso ha altri parametri (e perde molto ancoraggio con l'attualità).
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 11:19:31 AMaffermi che a differenza dello scienziato da laboratorio, l'uomo della strada ha bisogno di ideali e utopie per orientarsi nel mondo. Ma, ancora, N. non si sta rivolgendo all'uomo della strada.
Non ho mai parlato di uomo della strada, rileggi bene: «uomo senza camice (o appunto che se l'è tolto)»(autocit.). Intendo sia lo "scienziato duro" quando non ragiona da scienziato, sia il ricercatore sociale, sia il filosofo, sia il poeta tormentato, etc. e chiunque abbia bisogno di una bussola etica per muoversi nel mondo sociale.
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 11:19:31 AMse l'estrema consapevolezza dell'uomo della conoscenza che viene da un lavoro immenso di smascheramento non possa bastare come una specie di bussola morale (diciamo così) basata appunto sullo smascheramento stesso, sul negativo (la critica) che però in un suo dosaggio iperbolico non riveli alla fine con sorpresa un positivo (di natura però diversa dal positivo delle tradizioni).
Di questo "positivo post-mascheramento" ti ho già fatto lo 
spoiler (avendo già visto il film), proprio parlando di come è stato sviluppato il pensiero post-nietzschiano nel novecento 
ed oltre.
Possiamo anche far finta che Nietzsche sia morto ieri, sentendoci i suoi diretti "discendenti", ma se la questione è «che cosa vorrebbe dire oggi per il filosofo incarnare veramente il sapere attuale senza riserve»(cit.), allora pensare al rinascimento come modello e ignorare tutti quelli che sono venuti dopo Nietzsche, non mi sembra un percorso particolarmente fertile (sebbene, come detto, se lo sviluppi in modo chiaro, mi interessa comunque).
			
 
			
			
				Faccio un ultimo tentativo.
Il film lo abbiamo visto tutti. Proprio per questo è interessante immaginare un finale differente.
Dicevi che la scienza non può fornire obiettivi all'agire perché si occupa di studiare e di comprendere le cause e non di prescrivere norme di comportamento. Fin qui siamo tutti d'accordo. Nei brani della Gaia scienza indicati da me si dice anche questo. Cioè N. fa riferimento anche alla situazione pericolosa per l'umanità di ritrovarsi appunto bloccati per aver smontato (e capito i meccanismi di base) delle norme e in generale di tutto ciò che determina le scelte degli individui.
Ai suoi tempi il lavoro era appena iniziato. Noi possiamo contare su conoscenze molto più vaste.
In "Gaia scienza" il termine "scienza" va inteso come conoscenza rigorosa in un senso ampio non solo limitata alle scienze della natura non per una scelta arbitraria di N. ma per il semplice fatto che il termine tedesco, tradotto in italiano con "scienza", ha un significato diverso da come appunto viene inteso in italiano. Si sarebbe dovuto tradurre con "Gaia conoscenza", ma il termine "conoscenza" sarebbe risultato troppo generico, non in grado di rimandare al senso di una conoscenza rigorosa.
Ora, quando tu hai descritto la scena dello scienziato da laboratorio che finché rimane con il camice addosso può anche alimentarsi solo di conoscenze, ma quando poi appende il camice sente il bisogno di altro ed è mosso da sogni, speranze ecc., ecco è proprio questo il punto: questo è il finale da cambiare.
Immaginiamo quel sapere rigoroso, comprensivo di tutte le discipline (dalla matematica alla psicoanalisi), che sia nello stesso tempo però realmente incarnato, reso istintivo tanto da non permettere più la dismissione del camice (nel caso lo si usasse).
In questo modo alla domanda se la conoscenza sia in grado di fornire obiettivi all'azione non è così ovvio rispondere di no.
Che manchi appunto la determinazione a incarnare fino in fondo ciò che si arriva a conoscere? Questo è un salto che noi diamo per scontato che non avverrà mai (nella lezioncina a cui mi riferivo) perché appunto la conoscenza nel suo aspetto negativo di critica non ha ancora acquisito lo stesso radicamento della forza quasi istintiva di un'ideologia o di una religione.
L'invito era quello di lasciare da parte queste certezze, almeno per un momento, e riflettere su possibilità che certo ancora oggi sono lontanissime – e la dimostrazione di questa distanza sono io stesso a fornirmela (tenendo conto dell'evidente modestia del mio sapere) nel momento in cui finito di scrivere questo post e spento il pc vengo risucchiato dalla solita melanconia della sera e da fantasticherie varie. Quindi una consapevolezza che è sì presente in parte ma richiusi i libri e i taccuini (non dispongo di camice), si disperde, come se non fosse niente.
			
			
			
				Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 18:46:29 PMImmaginiamo quel sapere rigoroso, comprensivo di tutte le discipline (dalla matematica alla psicoanalisi), che sia nello stesso tempo però realmente incarnato, reso istintivo tanto da non permettere più la dismissione del camice (nel caso lo si usasse).
In questo modo alla domanda se la conoscenza sia in grado di fornire obiettivi all'azione non è così ovvio rispondere di no.
Dici «Immaginiamo...»; eppure la "gaia 
sophia", e ancor più la "gaia 
phronesis", tendono per loro costituzione a non levare l'ancora dalla realtà per amore di finali alternativi; quello lo fa la letteratura, che ha sotto un foglio bianco e la gomma per cancellare sul tavolo. Sarebbe un po' come invitare a considerare l'energia atomica partendo da Einstein, ma lasciando consapevolmente fra parentesi le bombe e le centrali nucleari, per poi chiedersi come potremmo usarla in modo "alternativo"; ma sono proprio le bombe e le centrali a garantire un "senso di realtà" a qualunque discorso sull'energia atomica, evitando che diventi "letteratura" alienata dal mondo.
Provo comunque a seguirti: immaginiamo tutto il nostro sapere contemporaneo incarnato al punto da essere istintivamente connaturato al nostro agire, quale conoscenza guiderà istintivamente la nostra azione verso il prossimo (ad esempio)? Suppongo (ma potrei sbagliarmi) nessuna; perché se ci fosse una direttiva etica 
oggettiva e 
scientifica (
soft) tale, l'etica diverrebbe una scienza dura, ma, come dimostrano più di duemila anni di pensiero umani, non lo è. E le scienze morbide non danno risposte univoche al punto da poter diventare 
una (sola) azione istintiva, poiché sono fatte anche di domande irrisolte, di interpretazioni, di dubbi, di aporie, etc. nulla che possa tradursi in un'azione spontanea degna di poter sintetizzare con un solo gesto tutta la conoscenza di quella disciplina (inclusi appunto dubbi, aporie, etc.). Non è un caso se prima citavo la bioetica: scommetto che anche studiandola tutta (almeno fino a stasera), non si potrà condensare in un'unica "soluzione" o "attitudine", al punto da essere sintetizzata in 
una risposta "giusta" (basata sulla conoscenza settoriale) ad un determinato dilemma bioetico.
Semplificando, sarebbe un po' come chiedere a un navigatore (il dispositivo, non un marinaio) che conosca tutte le strade e i luoghi del mondo: «dove sarebbe 
bello andare»? Il navigatore, nella sua conoscenza archivistica, non può conoscere il bello, ma solo informazioni geografiche, stradali, etc. e se lo forzi, ti farà un elenco più o meno 
random dei posti classificati come "da visitare" (ma non sarà mai un'informazione di pari oggettività e scientificità rispetto a quella della strada per arrivarci).
So già che la troverai una risposta deludente, ma è quella che ho, se la domanda è "fino a che punto" (v. domanda nietzschiana) una conoscenza incarnata, di tutte le "scienze dello spirito" e non, potrebbe guidare un'azione etica.
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 18:46:29 PMChe manchi appunto la determinazione a incarnare fino in fondo ciò che si arriva a conoscere? Questo è un salto che noi diamo per scontato che non avverrà mai (nella lezioncina a cui mi riferivo) perché appunto la conoscenza nel suo aspetto negativo di critica non ha ancora acquisito lo stesso radicamento della forza quasi istintiva di un'ideologia o di una religione.
Questo è invece il punto in cui Nietzsche, o chi per lui, rischia, come dicevo, di far rientrare la fede metafisica dalla finestra dopo averla fatta uscire dalla porta. Sembrerebbe infatti quasi prospettarsi un ritorno alla maschera dopo lo smascheramento; come dire: «va bene, abbiamo tolto la maschera, ma il nostro toglierla non è ancora abbastanza avanzato al punto da fornircene un'altra». Non è questo il superamento autentico della metafisica; non è il radicamento della critica a costituire il positivo che verrà eventualmente a sua volta criticato (questo positivo è semmai innescato principalmente la "necessità di stare al gioco" di cui sopra).
Citazione di: Kob il 07 Ottobre 2025, 18:46:29 PMla dimostrazione di questa distanza sono io stesso a fornirmela (tenendo conto dell'evidente modestia del mio sapere) nel momento in cui finito di scrivere questo post e spento il pc vengo risucchiato dalla solita melanconia della sera e da fantasticherie varie. Quindi una consapevolezza che è sì presente in parte ma richiusi i libri e i taccuini (non dispongo di camice), si disperde, come se non fosse niente.
Perché, se posso permettermi, è niente. Rispetto alla «melanconia della sera e fantasticherie varie», tutta la "gaia 
sophia" è per te niente e non ha niente da dire.
Come ci ricorda la "firma" di una compagna di forum, alcuni anni dopo 
La gaia scienza Nietzsche scrisse: «La verità è brutta. Noi abbiamo l'arte per non perire a causa della verità». Non sarà la verità a dire all'arte cosa dire, così come non sarà la "gaia scienza" la risposta alla domanda della melanconia della sera. O magari mi sbaglio, chissà.
			
 
			
			
				Vorrei anche aggiungere che tutta la conoscienza è conoscienza umana. Raccolte nelle varie discipline scietifiche , mediche , psicologiche ecc. Tutto il sapere noto, tutta la conoscienza nota non è in grado, da sola, a dare significato. A dare senso. Siamo più o meno in grado di spiegare il funzionamento di un essere vivente. Se Pur con una certa lacuna riguardante la biogenesi e la morfogenesi a livello embrionale, sappiamo spiegare la vita. Ma non sappiamo dare un significato al darsi della vita e tanto più non siamo capaci di dare significato univoco e scientifico all esistenza di qualcosa. Quello che nella nascita della tragedia dice il Satiro a re mida è che il significato non c'è, il senso, non c'è. Aveva ragione , aveva torto, non importa , il fatto è che senza senso, come fai a compiere un azione e magari chiamare quell azione giusta?
Si potrebbe pensare che il senso nasce dal sapere, o dalla conoscienza però quello che si vede sui palchi dei premi nobel per la medicina , per l astrofisica , per le scienze sociali è che i premiati riguardanti le stesse discipline la pensano in modo diverso nell ambito dell origine della vita abbiamo  Monod, premio nobel per la medicina che dice "siamo figli del caso" e avete un altro premio Nobel per la medicina, Cristian De duve  che dice l esatto contrario , parla della materia come vital dust, polvere vitale . Nella cosmologia abbiamo Stepheh Weinberg (premio nobel per la cosmologia) che dice "tanto più l'universo ci appare comprensibile tanto più ci appare senza scopo" e avete un altro fisico premio nobel per la stessa disciplina, Freeman Dyson , che dice "più lo esamino e studio i particolari della sua architettura , tanto più numerose sono le prove che l'universo doveva già sapere che saremmo arrivati"  nell ambito logico matematico Russel e Whitehead scrivono insieme i "principia matematica" firmano insieme questi tre grandi volumi , il primo diventa uno dei padri dell ateismo contemporaneo e il secondo diventa uno dei pensatori religiosi più importanti del secolo scorso. Quindi diventa difficile poi , bisogna abbracciare un tipo di conoscienza perchè le premesse di uno o degli altri  che ho citato non sono le stesse no? 
			
			
			
				Vorrei fare anche notare che i dati conoscitivi aquisiti erano i medesimi , sia per Monod che Cristian De duve avevano davanti gli stessi dati conoscitivi raccolti , lo stesso vale per  Weinberg e Dyson , Per Russel  e Whitehead. Ognono di loro, in base al campo specifico,  aveva di fronte gli stessi dati conoscitivi che erano diventati certezze scientifiche. Ma quando poi si è trattato di pensare a queste esattezze, per dare un significato complessivo a loro. Ecco che le certezze che la ricerca a fornito , vengono interpretate diversamente da coloro che le hanno prodotte. Perchè se tutti avevano di fronte la stessa conoscienza hanno poi interpretato quella conoscienza in maniera diversa? 
			
			
			
				Citazione di: Phil il 07 Ottobre 2025, 21:50:32 PMQuesto è invece il punto in cui Nietzsche, o chi per lui, rischia, come dicevo, di far rientrare la fede metafisica dalla finestra dopo averla fatta uscire dalla porta. Sembrerebbe infatti quasi prospettarsi un ritorno alla maschera dopo lo smascheramento; come dire: «va bene, abbiamo tolto la maschera, ma il nostro toglierla non è ancora abbastanza avanzato al punto da fornircene un'altra». Non è questo il superamento autentico della metafisica; non è il radicamento della critica a costituire il positivo che verrà eventualmente a sua volta criticato (questo positivo è semmai innescato principalmente la "necessità di stare al gioco" di cui sopra).
Prendere coscienza della maschera e toglierla è solo questione di tempo, e di quella che la sostituisce non c'è ancora coscienza.
Nel tempo fra le due cose c'è un affermazione di metafisica, che vale una presa di coscienza di se, ma più precisamente di ciò che si è stati.
Questo smascheramento  ciclico senza fine ha il senso del divenire, positivo se positivo è il divenire.
Non è la conoscenza a darmi un obiettivo etico, la conoscenza si limita a cambiarmi, ed è quindi un uomo nuovo che agisce.
 E' dunque incarnazione istantanea, che non aspetta che io ne prenda coscienza, per potere dimostrare, affermandolo, che ciò sia avvenuto.
In una conoscenza che mi da un obiettivo etico è sottinteso un uomo che non cambia, se non eventualmente il suo comportamento.
Non è così che funziona.
Qualunque azione genera un uomo nuovo, ed è sempre un uomo nuovo ad agire, un uomo nuovo che può avere cognizione solo di ciò che è stato, provando senso del ridicolo per ciò che era.
E' il rinnovarsi di questo senso del ridicolo, che equivale a dare centralità al presente, che non è positivo.
E' la critica che ridicolizza l'oggetto della critica a non essere positiva, e questa finora è stata una costante della critica filosofica.
La tensione verso la verità è fuorviante. La nostra filosofia si limita a determinarci.
Non ci dice cosa dobbiamo fare, ma ciò che siamo, e in base a ciò che siamo possiamo prevedere ciò che faremo.
			
 
			
			
				Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.
			
			
			
				Citazione di: Phil il 07 Ottobre 2025, 21:50:32 PM[...] Provo comunque a seguirti: immaginiamo tutto il nostro sapere contemporaneo incarnato al punto da essere istintivamente connaturato al nostro agire, quale conoscenza guiderà istintivamente la nostra azione verso il prossimo (ad esempio)? Suppongo (ma potrei sbagliarmi) nessuna; perché se ci fosse una direttiva etica oggettiva e scientifica (soft) tale, l'etica diverrebbe una scienza dura, ma, come dimostrano più di duemila anni di pensiero umani, non lo è. E le scienze morbide non danno risposte univoche al punto da poter diventare una (sola) azione istintiva, poiché sono fatte anche di domande irrisolte, di interpretazioni, di dubbi, di aporie, etc. nulla che possa tradursi in un'azione spontanea degna di poter sintetizzare con un solo gesto tutta la conoscenza di quella disciplina (inclusi appunto dubbi, aporie, etc.). 
Qui stai fraintendendo tutto, come se si trattasse di un programma positivista e di un'etica "meccanica".
Che il sapere realmente incarnato diventi istintivo significa solo efficace, concreto. Non è forse il problema della psicoanalisi far maturare la consapevolezza del paziente in modo che sia assimilata e diventi carne e spirito, non solo mente? Che non rimanga solo comprensione logica del problema?
In quell'aforisma Nietzsche non a caso parlava dei sapienti antichi e immaginava nel futuro uomini della conoscenza della stessa coerenza di un Parmenide.
Naturalmente non essendoci una dottrina da incarnare ma un sapere essenzialmente critico-distruttivo la domanda da farsi è se poi sia sufficiente.
Il paziente, "guarito" (per ora) dalla sua nevrosi, smontato i meccanismi di quel conflitto, esce dallo studio e di fronte a delle scelte si sentirà più libero. Ovviamente la sua esperienza conoscitiva non consisterà nel disporre ora di una norma generale di comportamento. Ma solo di poter soppesare le diverse possibilità senza le costrizioni che venivano dalla nevrosi. La scelta che alla fine farà non dipenderà da una verità acquisita su se stesso, ma dallo smantellamento di un errore (il disturbo).
E' in questo senso, allargando lo sguardo a un sapere più ampio, che bisogna intendere quell'aforisma.
"[...] le virtù del leggere bene – oh che virtù obliate e ignorate son queste!" [
La gaia scienza, §383].
			
 
			
			
				Citazione di: Alberto Knox il 07 Ottobre 2025, 13:37:48 PMtutto sta a cosa intendeva Nietzche per uomo forte a questo punto . Sappiamo che la strada verso il superuomo non è mai una via di emancipazione collettiva , che possa riguardare, anche in un futuro lontano, tutta l'umanità, è invece sempre una prospettiva di eccezionale elevazione di alcuni singoli individui, rispetto alla mediocrità in cui la maggior parte delle persone accetta di vivere, per ignoranza, timore e abitudine. Sono queste le idee di forza e di vitalità riferite all uomo e rivolte a pochi. Purtroppo sono state interpretate male come abbiamo ben visto ad esempio dalla terribile ideologia nazista. 
Ma chi è concretamente  il superuomo? l'oltreuomo di N. ? Chi è colui che riesce a superare l uomo stesso? in primo luogo è colui che uccide Dio e che sopratutto ne regge la morte. La morte di Dio comporta finalmente quella che N. chiama la trasvalutazione dei valori , il bene e il male. N. si proclama orgogliosamente immorale. Questo non significa che esaltasse la malvagià o il crimine . L attacco è rivolto alla morale dei sacerdoti fatta di umiltà , obbedienza , castità, ipocrisia e rinuncia della felicità in nome di un falso e ingannevole aldilà . A tale morale antivitale , N. contrappone quella ultravitale dei cavalieri , fondata sulla fierezza, la gioia , il coraggio e la volontà. Il superuomo supera la visione appollinea della vita, virtuosa e razionale propagandata da Socrate, Platone e dalla cristianità, per ritornare ad abbracciare ed esaltare lo spirito dionisiaco, vero e propio cuore pulsante della tragedia antica di Sofacle e di Eschilo, fatto di caos, infinito e tenebree governato dal fato. 
Come dicevo per me l'opera di Nietzsche è un'opera aperta.
E la tua interpretazione è una delle possibili. È coerente. Non voglio aprire un dibattito sulla filosofia di Nietzsche presa nel suo complesso.
Però quando verso la fine del post dici che si tratta di abbracciare ed esaltare lo spirito dionisiaco secondo me la cosa non è così semplice. Se la forma razionale tende a proteggere dal volto terribile della vita, e se è vero che bisogna avere il coraggio di spingersi al di là di quelle "illusioni", d'altra parte la vitalità mostra sì un'esuberanza che rischiavamo di perdere, ma anche l'orrore. Quindi più che esaltare ed abbracciarlo si tratta forse di accettarlo, di sopportarlo.
Tutto ciò ci rimanda al §383, "
La grande salute".
Inizia così: noi uomini nuovi (espressione molto più bella e meno ambigua di "superuomini") abbiamo bisogno di un nuovo mezzo per un nuovo scopo. Una nuova salute – più vigorosa, più temeraria, più gaia – per sperimentare la conoscenza della vita interiore di "
un conquistatore e di uno scopritore dell'ideale, e così pure di un artista, di un santo, di un legislatore, di un saggio, di un dotto, di un devoto, di un profeta".
Una grande salute che possa sostenere lo sforzo per sprofondare in questi mondi, per capirne i meccanismi, per mostrarne i fondamenti nascosti.
E alla fine di questa grande avventura, "
dopo che molto spesso incorremmo in naufragi e sciagure", a ricompensa di tutte le fatiche eccoci in "
una terra ancora ignota, di cui nessuno ancora ha misurato con lo sguardo i confini, [...] un mondo ricco di cose belle, ignote, problematiche, terribili e divine".
Dopo un simile spettacolo "
come potremmo noi [...] accontentarci dell'uomo di oggi?".
A precederci in questa terra sconosciuta, dice N., a mo' di guida, è un nuovo ideale: l'ideale di uno spirito che per esuberanza gioca con tutto quanto fino ad oggi fu detto sacro, divino. "
Un ideale che apparirà spesso disumano". "
Un ideale con cui comincia forse per la prima volta la grande serietà, con cui è posto per la prima volta il vero punto interrogativo".
			
 
			
			
				Citazione di: Kob il 08 Ottobre 2025, 10:06:35 AMChe il sapere realmente incarnato diventi istintivo significa solo efficace, concreto. Non è forse il problema della psicoanalisi far maturare la consapevolezza del paziente in modo che sia assimilata e diventi carne e spirito, non solo mente?
Pensaci bene: il paziente incarna il 
sapere della psicoanalisi, la 
conoscenza cha la psicoanalisi apporta nel "mucchio" delle conoscenze umane? Oppure il pazienta incarna solo i 
risultati di una procedura psicanalitica?
Parimenti: non c'è forse 
essenziale differenza fra l'incarnare la critica alle religione e l'essere semplicemente ateo? Un ateo che è tale solo perché cresciuto in una famiglia atea 
incarna forse la critica filosofia alla metafisica e alle religioni o incarna solo il suo personale vissuto?
L'incarnare una 
conoscenza non si può valutare solo dai risultati; oppure, 
leggendo bene Nietzsche hai concluso che con "incarnare il sapere" intenda l'essere modificati da una 
esterna pratica del sapere (l'azione dello psicanalista), come un sasso è modificato da una martellata ma senza che esso 
impari a martellare a sua volta?
Cosa va reso «istintivo», l'uso 
attivo del sapere o il segno passivo che il sapere ha scavato in noi?
			
 
			
			
				Citazione di: iano il 08 Ottobre 2025, 01:44:27 AMIn una conoscenza che mi da un obiettivo etico è sottinteso un uomo che non cambia, se non eventualmente il suo comportamento.
Non è così che funziona.
Qualunque azione genera un uomo nuovo, ed è sempre un uomo nuovo ad agire, un uomo nuovo che può avere cognizione solo di ciò che è stato, provando senso del ridicolo per ciò che era.
E' il rinnovarsi di questo senso del ridicolo, che equivale a dare centralità al presente, che non è positivo.
E' la critica che ridicolizza l'oggetto della critica a non essere positiva, e questa finora è stata una costante della critica filosofica.
La tensione verso la verità è fuorviante. La nostra filosofia si limita a determinarci.
Non ci dice cosa dobbiamo fare, ma ciò che siamo, e in base a ciò che siamo possiamo prevedere ciò che faremo.
Brano interessante.
Ci devo riflettere su un po'.
			
 
			
			
				Citazione di: Phil il 08 Ottobre 2025, 11:40:10 AMPensaci bene: il paziente incarna il sapere della psicoanalisi, la conoscenza cha la psicoanalisi apporta nel "mucchio" delle conoscenze umane? Oppure il pazienta incarna solo i risultati di una procedura psicanalitica?
Parimenti: non c'è forse essenziale differenza fra l'incarnare la critica alle religione e l'essere semplicemente ateo? Un ateo che è tale solo perché cresciuto in una famiglia atea incarna forse la critica filosofia alla metafisica e alle religioni o incarna solo il suo personale vissuto?
L'incarnare una conoscenza non si può valutare solo dai risultati; oppure, leggendo bene Nietzsche hai concluso che con "incarnare il sapere" intenda l'essere modificati da una esterna pratica del sapere (l'azione dello psicanalista), come un sasso è modificato da una martellata ma senza che esso impari a martellare a sua volta?
Cosa va reso «istintivo», l'uso attivo del sapere o il segno passivo che il sapere ha scavato in noi?
Dai, su, non cazzeggiare per favore, non ho tempo da perdere con questa roba...
L'analisi in quanto tale è portare a conoscenza il paziente della sua "malattia", e tale risultato non può prescindere da una certa conoscenza dei principi fondamentali della psicoanalisi. Ho fatto un esempio semplice, più vicino agli ambiti trattati nel testo, nella speranza che si lasci perdere le scienze della natura, la questione della tecnica e la bomba atomica, ma è ovvio che Nietzsche sta parlando dell'uomo della conoscenza, nell'esempio una persona che conoscendo a fondo Freud e company sa fare dell'autoanalisi con se stesso.
Stessa cosa per l'ateismo.
Non risponderò più a interventi del genere.
			
 
			
			
				Cit:
"[..]Provo comunque a seguirti: immaginiamo tutto il nostro sapere contemporaneo incarnato al punto da essere istintivamente connaturato al nostro agire, quale conoscenza guiderà istintivamente la nostra azione verso il prossimo (ad esempio)? Suppongo (ma potrei sbagliarmi) nessuna; perché se ci fosse una direttiva etica oggettiva e scientifica (soft) tale, l'etica diverrebbe una scienza dura, ma, come dimostrano più di duemila anni di pensiero umani, non lo è. E le scienze morbide non danno risposte univoche al punto da poter diventare una (sola) azione istintiva, poiché sono fatte anche di domande irrisolte, di interpretazioni, di dubbi, di aporie, etc. nulla che possa tradursi in un'azione spontanea degna di poter sintetizzare con un solo gesto tutta la conoscenza di quella disciplina (inclusi appunto dubbi, aporie, etc.)."
Risposta alla domanda: la convenienza, mi sembra. 
Questo soprattutto una volta accettato il vostro solipsismo inconsapevole (una questione di conoscenza quindi). 
Duemila anni di pensiero umano non racchiudono certo il presente. Comunque, l'azione istintiva può essere in parte contraddittoria rispetto alla conoscenza.. esempio: penso che dovrei dimagrire (lo dice la conoscenza), ma continuo a bere assai e a mangiare come un porco; e in più fumo, cosa che mi fa male ai polmoni. Ma dato che uno può anche fregarsene alla grande di tirare uno schiocco o di prendersi un cancro, forse anche non a torto, tutto sommato non si contraddirebbe visto che il dover morire è pur sempre una conoscenza
			 
			
			
				Citazione di: daniele22 il 09 Ottobre 2025, 12:51:41 PMquale conoscenza guiderà istintivamente la nostra azione verso il prossimo (ad esempio)?
[...]
Risposta alla domanda: la convenienza, mi sembra. 
La convenienza non è una conoscenza, ma l'esito interpretativo di una serie di conoscenze. Uso tutte le conoscenze che ho e decido, interpretandole, che mi conviene comunque fumare e mangiare a piacimento perché «tanto devo morire comunque». Da quelle stesse conoscenze, altri potrebbero derivare convenienze diametralmente opposte: «dato che la morte è certa ma questa vita mi piace, cerchiamo di provare a farla durare il più possibile, facendo almeno una vita sana». Ciò dimostra che non è la conoscenza ad incarnarsi istintivamente in un'azione, ma c'è sempre l'intermediazione dell'interpretazione. Infatti non ci sono scelte esistenziali o etiche che siano direttamente scientifiche o epistemologicamente oggettive, come dicevo prima; è sempre una questione soggettiva di come elaboriamo le conoscenze a disposizione (esattamente come accade nella bioetica e in altri ambiti delle "scienze morbide").
			 
			
			
				Citazione di: Phil il 09 Ottobre 2025, 13:39:03 PMLa convenienza non è una conoscenza, ma l'esito interpretativo di una serie di conoscenze. Uso tutte le conoscenze che ho e decido, interpretandole, che mi conviene comunque fumare e mangiare a piacimento perché «tanto devo morire comunque». Da quelle stesse conoscenze, altri potrebbero derivare convenienze diametralmente opposte: «dato che la morte è certa ma questa vita mi piace, cerchiamo di provare a farla durare il più possibile, facendo almeno una vita sana». Ciò dimostra che non è la conoscenza ad incarnarsi istintivamente in un'azione, ma c'è sempre l'intermediazione dell'interpretazione. Infatti non ci sono scelte esistenziali o etiche che siano direttamente scientifiche o epistemologicamente oggettive, come dicevo prima; è sempre una questione soggettiva di come elaboriamo le conoscenze a disposizione (esattamente come accade nella bioetica e in altri ambiti delle "scienze morbide").
Dovevo in effetti dire che è la conoscenza a guidare l'azione senza tante interpretazioni.
Nel post non avevo accennato che il tizio potesse anche pensare di porre rimedio alla propria condizione. Ho solo accentuato il suo carattere di trasgressore inveterato perché fosse più chiaro cosa possa farci fare la conoscenza senza che ci si contraddica nel nostro comportamento. 
Se la scienza dice, come del resto il buon senso, che si possono manifestare queste due possibilità in contrapposizione (polarizzate), accetto ben volentieri il suo verdetto. 
Tutto questo mostra (le dimostrazioni le lascio ai matematici), diversamente da quello che vorresti dimostrare, che la conoscenza possiede un carattere di natura emotivo, e pure effimero, per cui l'individuo nel suo procedere si aggrappa di volta in volta, senza ben rendersi conto, all'una piuttosto che all'altra delle sue conoscenze (in questo caso sarebbe più opportuno il termine "coscienza del presente" più che conoscenza in generale). In virtù di ciò accadrebbe che il santo bevitore possa anche "guarire" astenendosi e che il salutista "si corrompa" senza la necessità dell'intervento di una conoscenza "in più"; bensì rimescolando consapevolezze che sono già in loro. Ma è sempre una "coscienza del presente" a guidarli. Questo mi ricorda il seguente pensiero di E.Junger: "Assecondiamo alla minaccia la nostra condotta assai più che alle nostre idee". Dato che le idee (ideali immagino) non sono conoscenza, la minaccia, per essere considerata tale ¿a cosa farebbe appello se non alla nostra consapevolezza, conoscenza, "coscienza del presente"? Poi c'è chi è disposto a morire per un ideale e chi no.
Per quello che riguarda il comportamento verso il prossimo, forse mi sbaglio, ma mi sa tanto che si applichi, ribaltandolo, il medesimo trattamento che riserviamo a noi stessi, applichiamo cioè la nostra consapevolezza. A fare infine la differenza, in connessione alla conoscenza e all'azione verso il prossimo, sarebbe solo l'ignoranza implicita, ma sistematicamente ignorata, della nostra conoscenza dell'altro (amico o nemico). Il famoso "So di non sapere" resta così spesso confinato nel mondo della propaganda più becera. 
La scienza dovrebbe quindi ben tenere conto di questo carattere umano che esprime questa bipolarità con cui la vita umana reagisce durante il corso della vita dinnanzi al dolore e alla morte. Invece no, pretende quasi di negarne una. "Noi siamo i giusti", dicono
Saluti 
			 
			
			
				Citazione di: daniele22 il 10 Ottobre 2025, 09:33:08 AMDovevo in effetti dire che è la conoscenza a guidare l'azione senza tante interpretazioni.
Nel post non avevo accennato che il tizio potesse anche pensare di porre rimedio alla propria condizione. Ho solo accentuato il suo carattere di trasgressore inveterato perché fosse più chiaro cosa possa farci fare la conoscenza senza che ci si contraddica nel nostro comportamento. 
Se la scienza dice, come del resto il buon senso, che si possono manifestare queste due possibilità in contrapposizione (polarizzate), accetto ben volentieri il suo verdetto. 
Tutto questo mostra (le dimostrazioni le lascio ai matematici), diversamente da quello che vorresti dimostrare, che la conoscenza possiede un carattere di natura emotivo, e pure effimero, per cui l'individuo nel suo procedere si aggrappa di volta in volta, senza ben rendersi conto, all'una piuttosto che all'altra delle sue conoscenze (in questo caso sarebbe più opportuno il termine "coscienza del presente" più che conoscenza in generale). In virtù di ciò accadrebbe che il santo bevitore possa anche "guarire" astenendosi e che il salutista "si corrompa" senza la necessità dell'intervento di una conoscenza "in più"; bensì rimescolando consapevolezze che sono già in loro. Ma è sempre una "coscienza del presente" a guidarli. Questo mi ricorda il seguente pensiero di E.Junger: "Assecondiamo alla minaccia la nostra condotta assai più che alle nostre idee". Dato che le idee (ideali immagino) non sono conoscenza, la minaccia, per essere considerata tale ¿a cosa farebbe appello se non alla nostra consapevolezza, conoscenza, "coscienza del presente"? Poi c'è chi è disposto a morire per un ideale e chi no.
Per quello che riguarda il comportamento verso il prossimo, forse mi sbaglio, ma mi sa tanto che si applichi, ribaltandolo, il medesimo trattamento che riserviamo a noi stessi, applichiamo cioè la nostra consapevolezza. A fare infine la differenza, in connessione alla conoscenza e all'azione verso il prossimo, sarebbe solo l'ignoranza implicita, ma sistematicamente ignorata, della nostra conoscenza dell'altro (amico o nemico). Il famoso "So di non sapere" resta così spesso confinato nel mondo della propaganda più becera. 
La scienza dovrebbe quindi ben tenere conto di questo carattere umano che esprime questa bipolarità con cui la vita umana reagisce durante il corso della vita dinnanzi al dolore e alla morte. Invece no, pretende quasi di negarne una. "Noi siamo i giusti", dicono
Saluti 
Una correzione anche se forse si capiva ugualmente nonostante l'errore. Il soggetto dell'ultimo paragrafo non è la scienza, bensì l'etica umana
			
 
			
			
				Citazione di: iano il 27 Settembre 2025, 17:31:42 PMSe però la scienza invece non afferma di poter dire il vero
Si va bene abbiamo fatto il compitino, la scienza non dice il vero (lo so benissimo, non scambiarmi per uno a digiunto di filosofia) , però quando si auto-premia con i nobel e si impone con la forza sulla libera scelta degli individui, là il concetto di verità non è chiamato in causa nevvero?
Iano ma non sei stufo di farti prendere in giro da questi criminali?
Diamoci un taglio come loro scienziati danno un taglio a noi, perchè vedi quelli si arrogano di essere i migliori, ma stanno sempre a parlare male della filosofia, dimostrando loro malgrado non solo la loro volontà di distruzione dell'altro, ma anche proprio di non capire niete della filosofia, sopratutto di quella che ragionava CON Dio. Lascia perdere le vecchiette con i loro rosari etc...C'è un abisso di incomprensione tra filosofia e scienza, l'ho sempre saputo dal giorno 1, quando non sapevo un cazzo.
Chiamalo se vuoi pre-giudizio, io la chiamo rimembranza platonica.
E infatti (vivendo e studiando si capisce che) la scienza si arroga il DIRITTO (addirittura) della verità.
Sono dei pazzi. Questa è la mia conclusione definitiva.
Ridiamo spazio e sopratutto parola ai filosofi, futuri ovviamente, perchè quelli di oggi sono collaborazionisti e incapaci.
Ripartiamo a parlare del canone, magari tralasciando tutti quei filosofi che non parlano di morale, ossia tutti quelli della modernità, l'ultimo "buono" è stato Kant....duecento anni di cagate dopo...lo so sono troppo diretto. Ma è il frutto di letture scomposte, agitate e tanto, ma proprio tanto vissuto, dal basso, dalle periferie.
			
 
			
			
				Citazione di: Koba il 28 Settembre 2025, 17:34:08 PMCiao green.
Non sono sicuro di aver capito quello che intendi dire. Come si può criticare e dissolvere la metafisica e la religione senza intaccare l'insieme di quei valori etici che derivano da esse?
Subito dopo Umano troppo umano, in Aurora e poi in Gaia scienza, Nietzsche mi sembra faccia i conti con la conoscenza. Conoscenza che è appunto smascheramento delle menzogne religiose e metafisiche, ma anche conoscenza in quanto passione (che lui conosceva bene).
Un'opera aforistica, come fa notare Montinari in "Che cosa ha detto Nietzsche", è sempre un'opera aperta.
Io ho l'impressione, mentre leggo questi testi, di rimbalzare dall'uno all'altro affrontando gli stessi nuclei tematici da visuali però differenti.
Lo spirito libero di Umano troppo umano diventa così l'uomo della conoscenza di Aurora e Gaia scienza. Il quale poi con l'idea dell'eterno ritorno è chiamato a fare un salto di qualità, diciamo così, ad andare oltre se stesso, ad essere "superuomo".
Affrontare seriamente Nietzche è un problema. Se tu rimbalzi da un testo all'altro, io rimbalzo da una aforisma all'altro, ma dentro la stessa opera.
Il motivo del mio rimbalzo è però stato fino ad oggi dovuto alla mia disperata ricerca di un interlocutore, se non proprio di un maestro (e va bene quella è la mia posizione paranoica).
Leggere un testo di filosofia come Montinari, che avrei dovuto leggere in un giorno, mi ha portato via due mesi, che per chi cerca di essere di nuovo centrato sulla conoscenza come ben dici tu, è in realtà un grande risultato, perchè finalmente qualcosa che si è smosso nel 2020 sta oggi cominciando a prendere forma, a prendere coscienza di sè.
Questa premessa è necessaria per spiegare che molte cose non sono chiare nemmeno a me.
Putroppo a me è stato insegnato che Nietzche non ha delle fasi, ma si legge come un tutt'uno.
Ma tutti dicono che esistono Nietzche diversi; da qui il purtroppo precedente, perchè nella mia ricerca di un interlocutore o di un maestro, questo diventa un grosso problema di interpretazione e quindi di vicinanza filosofica.
Il Montinari mi sembra una persona umile, e io ho un gran bisogno di persone umili, perchè sennò parto per la tangente.
Pensavo che si trattasse di un testo ermeneutico ed ero curioso (di nuovo curioso finalmente). Si è rivelato essere invece uno strumento di compendio del lavoro di Nietzche, cosa di cui avevo un immenso bisogno.
La sua precisione filologica fa la differenza rispetto alle mille ermeneutiche sulle quali io non mi ritrovo mai, ma proprio mai.
E' un peccato che Nietzche non abbia potuto iniziare il suo progetto vero, la sua vera filosofia costruens.
Ma è evidente che dopo fasi mediane come la gaia scienza, avesse il bisogno di unire quella fantasia con la vita reale di tutti i giorni.
Andiamo a quello che avevo scritto a Settembre, c'è un errore grave, perchè ho scritto una cosa pensandone un altra.
" 
Naturalmente sono ben conscio che quando lui attacca la verità, in realtà sta attaccando la menzogna."volevo invece dire che Nietzche attacca il concetto di verità (dall'antichità fino a Kant) per sostituirlo con una meditazione sulla menzogna.
Ora per brevità vado con l'accetta: la menzogna è un problema morale (per il canone occidentale), ma per Nietzche è un problema gnoseologico.
Come sai io sono d'accordo con Nietzche: la morale è semplicemente il sostituto della menzogna.
Il canone occidentale mente.
L'ho sempre pensato fino a quando il prof mi ha fatto conoscere Horkheimer, e poi Adorno.
C'è una distinzione tra una ragione strumentale ed una morale.
Nietzche ha toppato di brutto.
Ma ad un attento per quanto veloce ritornare sui propri passi: lo ha fatto, e lo ha fatto davvero, Nietzche ha utilizzato la ragione come strumento per spiegare la menzogna.
Ma nello stesso tempo così facendo ha inaugurato suo malgrado la modernità spinta che lui stesso presentiva.
Comincio a pensare che la presentiva non per profezia, ma per errore personale. Il nichilismo, o meglio il suo pensiero, non era la causa del malessere odierno occidentale, ma ne è il suo sintomo, suo di Nietzche.
Ecco che all'improvviso comincio meglio a capire come mai la genealogia della morale sia il libro di un relativista come Sini.
Alla cupa disperazione di quel libro, Nietzche risponde con la Gaia scienza.
Ma non siamo più nei territori sani di umano troppo umano.
Siamo sconfinati in quello che lacan e soci (che oggi so essere convinti relativisti) chiamano fantasmatica. Ossia la tecnica del fantasma di seduzione, chiamato ad hoc, di padronanza. Seduzione da cosa, si dirà? 
E' questo il problema massimo: temo abbia ragione la scuola di francoforte, seduzione nel relativismo.
Nietzche poteva ancora scrivere la prima parte della volontà di potenza (ossia Anticristo e Crepuscolo degli Dei), ma la seconda non poteva.
Secondo Montinari l'unico momento in chiave costruens, ossia la seconda parte della volontà di potenza, lo possiamo trovare in quello che doveva essere la prefazione alla seconda parte, e che poi però è diventato il famoso Ecce Home.
Ossia l'analisi. L'autonalisi è il lascito di Nietzche, lo è in maniera lampante.
Un filosofo relativista come Derrida non gli poteva sembrare vero di poter applicare questa cosa a Freud, utilizzare Nietzche stesso per far fuori Freud. E' il sogno bagnato della modernità relativista.
Freud-Scuola di Francoforte-Nietzche.
Non si può mettere Nietzche dopo per ovvie ragioni, ma con uno sforzo ermeneutico io credo possa essere plausibile, costuire questa filosofia del futuro, aggiornata.
Questa doppia premessa dunque potrà meglio illustrare di come la Gaia scienza, nei pezzi che tu utilmente citi, sia sempre in quella scia di rendere la scienza qualcosa di relativo.
Per me è ovvio, ma come battere la scienza prescrittiva, la scienza al servizio del capitale, e sopratutto a tutti i fantasmi di cui essa è popolata? E di cui per assurdo Nietzche stesso ci ha fornito tutti gli strumenti per uscirne?
Noi siamo liberi di conoscere, e nessuna conoscenza pregressa deve fermarci nel farlo, dice il Nostro. Peccato che non sia questione di scienza, e conoscenza quindi, per tornare a bomba, ma di medianità.
Esistone esseri mediani, non si tratta di fantasie.
Noi li chiamiamo fantasmi ma essi sono reali, come insegna la psicosomatizzazione, già all'inizio delle indagini, ancora sperimentali, ancora ospedaliere della psicanalisi freudiana: i fantasmi esistono e fanno paura.
Molta paura.
Noi non siamo più in grado di avere paura, passiamo direttamente al trauma. In noi non si attiva nulla di quella gaia scienza di cui avremmo disperatamente bisogno.
Una gaia scienza contro i fantasmi reale, non quelli fantastici di Nietzche. La guerra di Nietzche la sento anche come la "mia guerra", perchè io sto sempre con lui.
O meglio per far capire Nietzche: quanti fantasmi reali Nietzche è riuscito già da solo a far emergere da dentro la modernità, quanti ne ha profetizzati imminenti all'interno della modernità?
Sta lì la grandezza del filosofo.
E allora quale è il problema?
Esso risiede nel fatto che il suo impianto metodologico è invece fallito.
Se chiediamo oggi a Nietzche di illuminarci sulla gnoseologia, ne ricaviamo poco, o addirittura siamo tentati di cestinarlo, come già molti, troppi hanno fatto.
Certo se limitiamo il consesso filosofico ad una questione meramente conoscitiva, probabilmente a ragione lo cestineremmo.
Ma è davvero la questione conoscitiva la meta della filosofia? è davvero il metodo la meta della filosofia (come bestialmente si insegna nei licei)?
O forse questo mero compito epistemologico non è passibile di strumentalizzazione?
Nietzche lavora da dentro la modernità, ma il nostro compito è di uscire da essa.
Le questioni sono tante, vanno tutte presentate passo dopo passo, lettura dopo lettura. Mi spiace per la sommarietà del testo. Ma i tempi moderni pretendono delle risposte anche raffozzante subito, è questo il mio pensiero.
Buono studio a tutti, ma sopratutto a me stesso.
			
 
			
			
				Citazione di: Koba il 07 Ottobre 2025, 18:46:29 PMOra, quando tu hai descritto la scena dello scienziato da laboratorio che finché rimane con il camice addosso può anche alimentarsi solo di conoscenze, ma quando poi appende il camice sente il bisogno di altro ed è mosso da sogni, speranze ecc., ecco è proprio questo il punto: questo è il finale da cambiare.
Immaginiamo quel sapere rigoroso, comprensivo di tutte le discipline (dalla matematica alla psicoanalisi), che sia nello stesso tempo però realmente incarnato, reso istintivo tanto da non permettere più la dismissione del camice (nel caso lo si usasse).
In questo modo alla domanda se la conoscenza sia in grado di fornire obiettivi all'azione non è così ovvio rispondere di no.
Che manchi appunto la determinazione a incarnare fino in fondo ciò che si arriva a conoscere? Questo è un salto che noi diamo per scontato che non avverrà mai (nella lezioncina a cui mi riferivo) perché appunto la conoscenza nel suo aspetto negativo di critica non ha ancora acquisito lo stesso radicamento della forza quasi istintiva di un'ideologia o di una religione.
Hai colto perfettamente il senso di Nietzche.
E hai colto perfettamente anche come la religione o la filosofia siano neccessariamente legate all'incarnazione di ciò che NON APPARE.
Ma per modo di dire non appare!
Le nostre vite infatti non sono apparenze, ma vissuti.
Come trovare un vissuto che sia anche razionalmente sostenibile in termini scientifici. Lo avevano già detto gli antichi: l'etica.
Andiamo ad alcuni sottotesti, e rivoli indegni.
Ora credo che Phil itenda dire che la scienza a cui si riferisce Nietzche è quella meccanicista (ammesso e non concesso, per me non è cosi), che l'eterno ritorno, sia un tentativo di comprendere come unire le due scienze quella gaia e quella meccanicista; e quindi visto che non lo penso dell'eterno ritorno, lo penso però proprio della presunta rigorosità della scienza in sè.
In questo senso per quanto ho compreso (sempre in fastidiosi compendi in rete), oggi la scienza dura, è quella della complessità, che di duro appunto non ha alcunchè (ad oggi direbbero gli esperti).
Nietzche non poteva saperlo, dunque se la domanda è possiamo cercare il modo in cui Nietzche cercava di compendiare, unire, la scienza meccanicista con la gaia scienza? La risposta è certamente si.
Ma a mio avviso di meccanicismo a parte qualche aforisma qua e là, che naturalmetne testimonia di questo sforzo, penso ai suoi progetti di biologia integrata, si risolve invece al 99% in gaia scienza e basta.
La domanda antipatica di Phil è se questa domanda è oggi attuale.
A mio modo di vedere no, non esiste alcuna biologia integrata, se non nelle fantasie di qualche decina di migliaia, di biologi molecolari o giù di lì, visto che non so nemmeno in cosa stiano perdendo tempo a fare che (oltre che arricchire la BIG PHARMA, e quindi loro stessi, ovvio, sulla pelle delle cavie umane, dei lavoratori in miniera etc..etc...etc...).
Forse una domanda sarebbe se i sostenitori della complessità possano dirci qualcosa su questa gaia scienza.
Ma si certo, basta vedere i risultati psichiatrici sull'effetto delle meditazione sul reale.
Va bene, ma qui mi pare in discussione la bussola nel mondo.
Per me Nietzche cerca il metodo, ma nel farlo, si imbatte nei fantasmi.
Come dire Nietzche va oltre se stesso, oltre le sue intenzioni.
In maniera completamente avulsa Freud ne riprende le fila.
Fino ad arrivare ad Adorno, che ne decreta la fine.
Siamo dentro a questa fine, se vogliamo parlare di attualità.
Mi appare ovvio che persino l'ultimo dei meccanicisti naturalisti, Comte, abbia da dirci molto ma molto di più in termini morali e di bussola razionale di quanto i vagiti di noi post-moderni (ovvero uccisi dalla modernità) siamo anche solo in grado di emettere.
Siamo messi male.
Vediamo di rialzarci.
Ciao!
			
 
			
			
				Citazione di: Phil il 07 Ottobre 2025, 21:50:32 PMSuppongo (ma potrei sbagliarmi) nessuna; perché se ci fosse una direttiva etica oggettiva e scientifica (soft) tale, l'etica diverrebbe una scienza dura, ma, come dimostrano più di duemila anni di pensiero umani, non lo è
Purtroppo questo caveat lo hanno insegnato anche a me, è tempo di svecchiare gli scaffali della libreria di casa, e tornare a leggere veramente il canone occidentale, che è tutto ciò che viene prima della modernità.
Guarda basta leggiucchiare qualcosa, sentire qualcuno che ne parla degli antichi: il canone occidentale è esattamente la formazione di una etica oggettiva.
Forse chi mente non è l'antichità, ma è la modernità.
E così forse Socrate non è un sofista, ma è la modernità a essere tale, e a voler immagianre un Socrate sofista.
In questo senso Nietzche è rimastro dentro la modernità.
E mi ha tenuto prigioniero insieme a lui.
Caro Phil noi dobbiamo uscire dalla modernità non rimanerci dentro.
La metafisica è stata buttata fuori dalla modernità, ma questa è una di quelle menzogne metafisiche di cui Nietzche avrebbe dovuto accorgersi, non lo ha fatto, c'è arrivato da solo da altre vie.
Una volta buttato di fuori il racconto della metafisica, rimane una metafisica REALE, di cui appunto l'occidente ha parlato sino all'altro ieri.
Semplicemente ci hanno fatto il lavaggio del cervello.
Naturalmente tu dirai il contrario, ossia che sono io che ho subito il lavaggio del cervello....seeee come no!
Io non conosco la tua vita,ma sono sicuro che una bussola farebbe bene a tutti. E le bussole puntano cose reali, della vita, altro che le sciocchezze della psicopompa scienza.
Si a proposito, dimentico che se dico "ci hanno", la propaganda dice chi? alludendo a che sto parlando di marziani.
No povere anime perdute, sto parlando dell'industria culturale di cui voi feccia siete parte. E tranquilli non c'è alcun marziano.
Che tempi!
			
 
			
			
				Citazione di: daniele22 il 10 Ottobre 2025, 09:33:08 AMLa scienza dovrebbe quindi ben tenere conto di questo carattere umano che esprime questa bipolarità con cui la vita umana reagisce durante il corso della vita dinnanzi al dolore e alla morte. Invece no, pretende quasi di negarne una. "Noi siamo i giusti", dicono
Saluti
E questa scienza che si interroga sul vissuto è la gaia scienza infatti.
Naturalmente questo vuol dire agire secondo convenienza?
E bravo! e chi te l'ha data quella evenienza con cui convivi e che sfrutti?
Quale è l'etica?
E' una etica del diritto personale o invece una ignobile conseguenza della società che produce individui zombificati?
Ma i bipolarismi sono molti, e Nietzche qualcuno, giusto qualcuno lo ha estrapolato per noi.
Poi Platone in realtà l'origine ce la ha detta in tutte le salse: Il tiranno e i suoi leccapiedi sofisti.
Ma si sa Platone era fascista no? Il delirio gente, il delirio.
Come dice Phil 2000 anni di storia per dire che la morale non esiste giusto? Giusto no? Ma li vogliamo aprire i libri o no? oddio muoio! ah ah ah ah (bè dico phil ma pure io avevo capito cosi...la lunga mano del sofismo...il nemico pubblico numero 1 del vivere sociale di diritto (naturale), la nemesi della filosofia.