"Ripropongo questo thread fiducioso che possa essere oggetto di ulteriori sviluppi.
L'incipit iniziale era questo:
La tesi di questo thread è che i credenti e i non credenti sono sullo stesso piano per quello che riguarda la probabilità che essi abbiano ragione.
Più che tesi a me sembra di tutta evidenza, tuttavia, ci sono molte persone che contraddicono questa affermazione. Queste ultime sostengono, pur non avendone l'assoluta certezza, che Dio non si percepisce dunque non c'è. E questa posizione è maggiormente veritiera di coloro i quali sostengono che (Dio c'è/Dio non c'è) stanno alla pari."
Intanto ben ritrovati a tutti. A proposito del tema, partirei da una considerazione critica sulla costruzione del tema stesso. Ovvero la contrapposizione netta fra credenti e non credenti, come se fossero due fazioni, due armate che combattono per avere ragione. I partecipanti dei due partiti devono in qualche modo adeguarsi all'impossibilità di dimostrare la verità della loro "ideologia", ma ciò non toglie che comunque "credono" fermamente o ad una divinità o al fatto che non esista una divinità. Sono due schieramenti contrapposti, che firmano una tregua temporanea, finché non sopravvenga la prova che il loro partito era nel "giusto".
Ebbene tutto questo mi sembra molto cattolico e lontano dalla mia sensibilità. Il non credente "ideale" è invece a mio parere, quello che dubita anche della sua infedeltà e che è sempre pronto a mettere tutto in discussione e quindi non ha bisogno di sentirsi superiore a chi crede, perché così facendo perderebbe quella capacità critica che lo rende non superiore ma differente da chi invece "crede" (indipendentemente da cosa).
Se c'è una cosa che bisogna riconoscere ai non credenti è che la loro scelta è sicuramente una scelta libera, senza seconde finalità, mentre talvolta credere, in Italia, nasconde interessi e ipocrisie note. Il contrario accadeva ovviamente, ad esempio, negli ex paesi comunisti.
In uno dei primi interventi nel vecchio forum, Sariputra parlava proprio di questo binomio come di un vincolo e di un limite alla libertà di sentire il proprio senso religioso.
Il binomio credere/non credere fa forse parte di uno strumentario per l'ortodossia e la rieducazione spirituale, per il quale gli eretici vengono malvisti e redarguiti attraverso gli scritti della tradizione?
L'incipit iniziale era questo:
La tesi di questo thread è che i credenti e i non credenti sono sullo stesso piano per quello che riguarda la probabilità che essi abbiano ragione.
Più che tesi a me sembra di tutta evidenza, tuttavia, ci sono molte persone che contraddicono questa affermazione. Queste ultime sostengono, pur non avendone l'assoluta certezza, che Dio non si percepisce dunque non c'è. E questa posizione è maggiormente veritiera di coloro i quali sostengono che (Dio c'è/Dio non c'è) stanno alla pari."
Intanto ben ritrovati a tutti. A proposito del tema, partirei da una considerazione critica sulla costruzione del tema stesso. Ovvero la contrapposizione netta fra credenti e non credenti, come se fossero due fazioni, due armate che combattono per avere ragione. I partecipanti dei due partiti devono in qualche modo adeguarsi all'impossibilità di dimostrare la verità della loro "ideologia", ma ciò non toglie che comunque "credono" fermamente o ad una divinità o al fatto che non esista una divinità. Sono due schieramenti contrapposti, che firmano una tregua temporanea, finché non sopravvenga la prova che il loro partito era nel "giusto".
Ebbene tutto questo mi sembra molto cattolico e lontano dalla mia sensibilità. Il non credente "ideale" è invece a mio parere, quello che dubita anche della sua infedeltà e che è sempre pronto a mettere tutto in discussione e quindi non ha bisogno di sentirsi superiore a chi crede, perché così facendo perderebbe quella capacità critica che lo rende non superiore ma differente da chi invece "crede" (indipendentemente da cosa).
Se c'è una cosa che bisogna riconoscere ai non credenti è che la loro scelta è sicuramente una scelta libera, senza seconde finalità, mentre talvolta credere, in Italia, nasconde interessi e ipocrisie note. Il contrario accadeva ovviamente, ad esempio, negli ex paesi comunisti.
In uno dei primi interventi nel vecchio forum, Sariputra parlava proprio di questo binomio come di un vincolo e di un limite alla libertà di sentire il proprio senso religioso.
Il binomio credere/non credere fa forse parte di uno strumentario per l'ortodossia e la rieducazione spirituale, per il quale gli eretici vengono malvisti e redarguiti attraverso gli scritti della tradizione?