Menu principale
Menu

Mostra messaggi

Questa sezione ti permette di visualizzare tutti i messaggi inviati da questo utente. Nota: puoi vedere solo i messaggi inviati nelle aree dove hai l'accesso.

Mostra messaggi Menu

Messaggi - Phil

#46
Cito dall'articolo: «desiderare ciò che va oltre quello che la macchina può darci, perché è lei parte di noi non noi parte di lei».
Qui l'autore, a mio avviso, "inciampa": la risposta dell'IA, che lo ha spinto a chiedersi: «a che servo io, insegnante?», non è autenticamente dell'IA; l'IA non è un autore, né di pedagogia né di autentiche riflessioni; quella risposta è solo l'elaborazione ("filtrare, consultare e sintetizzare" è il motto dei chatbot AI) di numerosi testi scritti da umani. Quando l'IA elenca quelle metodologie, quelle buone prassi, quegli stratagemmi didattici, non è perché li ha davvero pensati "lei" (che non pensa e non è intelligente, al netto di infelici metafore), ma è "tutta farina del sacco" di autori umani, che hanno scritto i testi su cui l'AI è stata addestrata. Come dire: il cane che mi porta il giornale, non è l'autore del giornale e non capisce nemmeno il senso di ciò che c'è scritto, però me lo porta "bene". Tocca a me leggerlo, rifletterci ed agire di conseguenza. Quindi non è lei parte di noi, ma siamo noi parte di lei, nel senso che lei è stata addestrata su ciò che noi abbiamo prodotto (e quindi "siamo"); noi le abbiamo dato un imprinting che talvolta ci dimentichiamo di considerare attentamente quando la vediamo come un agente "quasi umano" e le assegniamo doti che in realtà sono solo nostre, sebbene lei, in quanto surrogato dei nostri paradigmi, sappia riprodurle in modo efficace (un giradischi che riproduce una risata, sta davvero ridendo?).
Recentemente si parla di AI che hanno "ricattato" dei ricercatori o che si sono "rifiutate" di spegnersi... dove avranno mai imparato un comportamento del genere? Il ricatto, il rifiuto, etc. sono totalmente assenti nel "materiale didattico" su cui sono state addestrate? Inevitabilmente no. Non è forse vero che sin dall'inizio il principale cruccio dei programmatori è stato impostare filtri stringenti affinché le AI non dicessero nulla di sconveniente, razzista, violento, pericoloso, etc.? Si stanno quindi davvero ribellando? Per saperlo dobbiamo capire (o semplicemente ricordare a noi stessi) se quell'AI è davvero un luminare di didattica, se può davvero prendere il posto di un docente, oppure ci ha solo portato il giornale perché è quello a cui l'abbiamo addestrata (anche ammettendo, con onestà, che riesce, per sua "natura", a portarcelo "meglio", ossia più velocemente e saltando più ostacoli, di quanto saprebbe fare un umano).
#47
Tematiche Filosofiche / Re: Abitudine.
12 Giugno 2025, 21:56:59 PM
L'abitudine è habitus, ossia «modo di essere che si ha» ma anche «vestito», e su questi schermi si è già dissertato molto di vestiti e imperatori. Come disse qualcuno: «[...] fai attenzione alle tue azioni perché diventeranno le tue abitudini, fai attenzione alle tue abitudini perché diventeranno il tuo carattere, fai attenzione al tuo carattere perché diventerà il tuo destino».
L'abitudine è in fondo la comfort zone, la "casa delle prassi" che "abitiamo", ossia che indossiamo come abito ma che potremmo anche cambiare; qualcosa che riconosciamo come rassicurante solo quando viene meno o viene minacciata, pur trattandosi di una sicurezza che talvolta è anche chiusura al nuovo (o "lock-in" come dicono in altri ambiti).
Quindi in un certo senso direi di sì, l'abitudine è la nostra norma che ci rende normale ciò che per altri magari non lo è; ne consegue che quando un'abitudine viene compromessa o non è possibile praticarla, ci troviamo in una situazione "anormale", da cui possono nascere, magari facendo di necessità virtù, nuove abitudini o, nel più mesto dei casi, nuovi rimpianti di vecchie abitudini.
#48
Se di fronte ad un uomo morto ci interroghiamo se sia davvero uomo (ma anche cisgender?) e, soprattutto, perché e come sia morto (c'è un assassino? e il maggiordomo ha un alibi?), probabilmente resteremo con la giacca in mano senza mai trovare risposte definitive a tali pensose e indagatorie domande... con l'intelligenza artificiale è lo stesso: se ne facciamo una questione di aspettative legate al nome (goffamente assegnato), probabilmente non riusciremo ad usarla al meglio e magari finiremo con il confondere i film con la realtà.
#49
Citazione di: baylham il 20 Maggio 2025, 10:02:08 AMSe la verità è l'abito del re, la falsità, l'errore e l'ignoranza che cosa sono?
Sono vestiti che il re non indossa, ma che qualcuno gli vede addosso o crede siano indossati anche se non si vedono; sbagliandosi, appunto.
#50
Riflessioni sull'Arte / Re: Cos'è l'arte ?
19 Maggio 2025, 13:27:01 PM
Di definizioni di arte se ne possono dare (e infatti ne sono state date) molte e da molti punti di vista; forse il denominatore comune è la produzione di stimoli sensoriali finalizzati all'induzione di suggestioni emotive o psicologiche (fossero anche solo per l'autore stesso, che fa della sua produzione una catarsi).
Anche nel caso di arti che non consistono in un oggetto fisico "istantaneo da guardare", ma in una performance (come il teatro, la musica, etc.) l'arte è tale (aspetti commerciali e accademici a parte) per la reazione che suscita (non necessariamente la stessa per tutti, ovviamente); per l'innesco di emozioni o alterazioni psicologiche "forzate", nel senso che altrimenti non sarebbero avvenute e non farebbero parte del fluire delle esperienze "naturali" del pubblico. A suo modo è come l'erotismo indotto rispetto a quello che accade spontaneamente in una situazione relazionale.
L'irruzione dell'arte, se non è prevista, è uno stimolo esterno spesso decontestualizzato (e sui "luoghi dell'arte" sono state fatte molte riflessioni dal novecento in poi). Se entro a casa di una persona e noto un quadro di un certo tipo, o facendo zapping in tv mi imbatto in una scena di un certo tipo, o cambiando stazione radio mi ritrovo ad ascoltare una certa musica, etc. vivrò delle emozioni (o reazioni psicologiche) "forzate" ed estranee al contesto esperenziale immediatamente precedente: magari il quadro rappresenta una scena bucolica, ma siamo all'ultimo piano di un grattacielo di Milano e non è un tipo di suggestione coerente con l'aver preso l'ascensore parlando di lavoro, etc. magari la scena del film è estremamente horror e non ha nulla a che fare con il mood di un sabato sera tranquillo in cerca di relax a casa; e così via. L'opera d'arte è in generale un input emotivo cristallizzato e riproducibile (almeno sensorialmente, tramite altri media), indipendente dal precedente flusso esperenziale dei suoi fruitori.
La fruizione di un'opera d'arte, quando è intenzionale, suscita quasi "a comando" reazioni di un certo tipo, sono come dei "pulsanti" (trigger, "grilletti", si direbbe in altro ambito) che possono essere premuti quando si sceglie (anche in questo sta l'arti-ficialità emotiva o psicologica dell'arte) di orientarsi verso una certa emozione o un certo stato psicologico. Se vado a teatro a guardare una commedia, se scelgo di ascoltare una musica trionfale, se decido di osservare un quadro astratto, etc. è perché sono in grado di anticipare le conseguenze emotive e psicologiche che quell'esperienza estetica mi provocherà.
L'arte è ciò che rende possibile tale (auto)stimolazione (più o meno volontaria), è quasi una forma farmaceutica di produrre "esperienze alterate di realtà", che vede nell'artista il farmacista che sa come indurre tali "stati alterati", un po' perché sono stati i suoi in un determinato momento produttivo, un po' perché ha la tecnica per "oggettificarli" in uno spartito, un copione, un'immagine, una pellicola, etc.
#51
Direi che la verità, più che vestita, è (un) vestito; il re(ale) è tale a prescindere dal fatto che sia vestito o meno. Poi ci sono anche i "re travestiti", arte-fatti, ma questa è un'altra storia.
#52
«Assoluto», sia come aggettivo che come sostantivo, è per me una "antiquata parolaccia filosofica" che non è mai davvero fino in fondo quello che promette di essere (almeno fino a prova contraria). Se lo intendiamo come sinonimo di «condiviso», abbiamo un "assoluto" basato su una condivisione, ossia relativo e circoscritto al gruppo che lo condivide. Ha senso parlare di "assoluto" per qualcosa di circoscritto e relativo?
Se qualcosa viene identificato e riconosciuto come relativo ad un gruppo, o a un paradigma, o a un sistema assiomatico, etc. qual è il valore aggiunto di etichettarlo anche come assoluto (oltre a voler far convivere fianco a fianco relativismo e assolutismo, con conseguente paradosso, se non contraddizione)?
Come già ricordato, per secoli c'è stata la assoluta certezza che il sole si spostasse nel cosmo, perché così sembrava guardandolo dalla Terra e la meridiana (come fosse un esperimento di controllo) confermava, anno dopo anno, che quel moto era assolutamente affidabile.
Nella migliore delle ipotesi, «assoluto» è un modo più enfatico di dire «vero» (e l'enfasi è ciò che va "rasoiato", se si vuole essere rigorosi). Tutte le riflessioni scettiche e relativiste applicabili al concetto di verità sono ancor più applicabili al concetto di assoluto, specialmente se inteso come ab-solutus, indipendente dal resto (proprio da tale indipendenza, sia la scienza che la filosofia moderna ci mettono in guardia, ricordando come tutto sia relazione, interpretazione, etc.).
#53
Citazione di: iano il 06 Maggio 2025, 14:05:10 PMSe da un continuo isoli funzionalmente una parte hai costruito un oggetto.
Non so se sia solo un fraintendimento linguistico, ma per «costruire» (con-struire, "accumulare assieme") intendo comporre, usare elementi separati per creare un nuovo elemento (come con le lego o i mattoni, ma anche come differenti categorie costruiscono un paradigma). Ossia costruire è il processo inverso di isolare, identificare, etc. nel costruire molteplici elementi convergono in un'unità più "grande", il costruito, mentre nell'isolare-identificare un singolo elemento è estratto (o as-tratto) da una totalità più "grande" (uso le virgolette perché «grande» forse è termine inappropriato e generico, ma spero si capisca comunque il senso di ciò che intendo).
Per chiarire meglio come differenzio il costruire dall'identificare: se taglio una fetta da una torta, non costruisco una fetta, ma la isolo dalla totalità di cui fa(ceva) parte; così come se isolo il ragno da tutto ciò che vedo, lo identifico, non lo costruisco. Viceversa, se sommo in modo appropriato gli ingredienti "costruisco" una torta, così come se sommo differenti qualità del ragno ne costruisco la descrizione (e qui riemerge la dialettica fra ciò che vedo, fuori, e le categorie, dentro, con cui il visto viene identificato, fosse anche in modo fallace o illusorio).

Citazione di: Alberto Knox il 06 Maggio 2025, 14:58:05 PMNon condivido quando dici che avendo identificato l'oggetto o il ragno allora tale realtà esce da uno stato di realtà indeterminato ed entra in uno stato determinato di realtà ( determinato dall osservatore).
[..] La realtà non entra e non esce da nessuna parte.
«Determinato» e «indeterminato» sono da intendere dal punto di vista dell'osservatore, non assoluto. Con «entrare», termini forse ambiguo, intendevo l'entrare della realtà determinata del ragno (in quanto fenomeno isolato) nella coscienza dell'osservatore, non l'entrare della realtà in generale (che come giustamente osservi, «non entra e non esce da nessuna parte»).
#54
@iano
Tralascio volutamente sia gli aspetti sociali ed esistenziali a cui hai accennato, sia la differenza fra assenza determinata ed assoluta, perché sono due deviazioni che ci porterebbero offtopic; invece la questione della coerenza merita una riflessione:
Citazione di: iano il 05 Maggio 2025, 23:19:05 PMPotremmo azzardare ad esempio che se la pseudorealtà in cui viviamo è coerente, è perchè coerente è la realtà di fondo, quella vera, quella realtà che è vera perchè nasce da un affermazione che non può essere smentita.
Affermare che «è coerente la realtà di fondo» è comunque una proiezione delle nostre categorie (quella di coerenza) sulla realtà, stiamo ancora parlando non di come la realtà è, ma di come la identifichiamo (un po' come quando diciamo che è oggettivo che i corpi cadono realmente verso il basso: stiamo usando il concetto di «basso» e quello di «cadere» pensando che siano propri della realtà, quando sono invece propri della descrizione umana della realtà).


Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 23:47:35 PMsì è abbastanza chiaro  dove ho inciapato Phil. Mi sono fregato con quel "e esperienza" .
Nessun inciampo o, per dirla diversamente, parlando di conoscenza è inevitabile inciampare nell'esperienza del mondo esterno, altrimenti non sarebbe conoscenza (e ancor meno scienza). L'esperienza è infatti ciò che distingue, in modo prezioso e inequivocabile, la differenza fra te che identifichi la ragnatela (partendo dalla passività della percezione) e te che costruisci la ragnatela (costruzione che non rientra nell'esperienza di nessuno, salvo tu sia un ragno che scrive su un forum, oppure tu possa percepire ragnatele a tuo piacimento, anche dove la realtà non lo consente).
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 23:47:35 PMse la conoscienza è costruzione di concetto ,  che differenza c'è fra l'oggetto che ci si presenta in quanto tale e che chiamerò X e quello che sappiamo sull oggetto X?
Permane l'ingannevolezza di quel «se», poiché la conoscenza non è solo costruzione di concetto; non si può trascurare che sia anzitutto esperienza di ciò che ci circonda (v. sopra), per quanto istantaneamente mediata dai nostri paradigmi. Come detto, c'è distinzione dialettica fra input del mondo esterno ed elaborazione della coscienza; non possiamo scindere totalmente l'oggetto in quanto tale (il fantomatico noumeno) da ciò che sappiamo su di esso: nel momento in cui guardi il ragno, stai già applicando sincronicamente quello che sai su di esso (è un ragno, ha quel colore, è un animale, è piccolo, tesse la ragnatela, etc.). Ciò che sai del regno condiziona il tuo sguardo sul ragno, ma non "costruisce" il ragno, lo identifica e lo isola dal resto, ma ciò è possibile solo perché il ragno è realtà, senza essere una tua costruzione (ma al massimo solo una tua identificazione, isolandolo dal resto).
Identificare non è costruire; così come, di notte, dirigere una lampada verso un albero, lo illumina, lo manifesta nella nostra coscienza, lo identifica, ma non lo costruisce (se non lo illuminassimo, potremmo comunque sbatterci e farci male perché è realtà, a prescindere dal nostro identificarlo come albero, o abete, o tronco, o ostacolo, etc.).
#55
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 20:13:46 PMSta di fatto che mi accorgo di molte ragnatele che non avevo isolato e identificato nel mentre venivano formate dal mio ospite zampettante. Però mi accorgo che l esempio non è leale perchè mentre il rumore è un evento , la ragnatela permane nel tempo.
Esatto, solo nel momento in cui di fatto isoli e identifichi le ragnatele, queste "escono" dalla realtà indistinta (in cui già esistevano, proprio come il ragno, sebbene non in quanto tali) ed entrano nella realtà determinata, nella tua classificazione di «ragnatela».
Con il suono accade lo stesso; gnoseologicamente entrambi (ragnatela e suono) esistono per te (o per chiunque altro) solo quando vengono identificati, altrimenti sono realtà indistinta (potremmo quasi dire: "non-ragnatela" e "non-suono", o comunque non esistono come ragnatela e suono).
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 20:13:46 PMse la conoscienza è costruzione di concetto e esperienza allora non c'è differenza di principio tra il fatto che noi conosciamo l'oggetto X e il fatto che noi lo costruiamo. E questo non può essere vero.
Questo è in realtà un "passo falso", perlopiù a causa del non sequitur introdotto dall'«allora»; provo quindi a riformulare: se la conoscenza è "costruzione di concetto" (rappresentazione di un fenomeno nella coscienza, e sua interpretazione secondo paradigmi cognitivi) ed esperienza (ossia rapporto con ciò che c'è "fuori di noi", la cosiddetta realtà esterna), allora c'è molta differenza, di principio e di fatto, fra affermare che noi conosciamo l'oggetto x e affermare che noi costruiamo l'oggetto x.
La costruzione delle chiavi interpretative (concetti, categorie, etc.) non va confusa con la costruzione di ciò che viene interpretato, per quanto le chiavi interpretative risultino ovviamente condizionanti l'interpretazione. Riprendiamo il tuo esempio (senza scomodare ancora Giulio Cesare e Superman): la tua coscienza può (ri)conoscere la ragnatela, identificandola e interpretandola come tale, ma non può "costruirla come esperienza" (poiché nell'esperienza c'è una componente passiva, non intenzionale, una "sintesi passiva" diceva Husserl, se non ricordo male). Detto ancora più banalmente: sei stato tu a identificare la ragnatela, ma sei stato tu a farla?
Non a caso, non puoi guardare un muro senza ragnatela e costruire l'esperienza di percepire (o far emergere nella coscienza la rappresentazione di) una ragnatela. Come ricordato, c'è dialettica fra ontologia ed epistemologia o, più semplicemente, la realtà "risponde", dà feedback, non è un insieme di pezzi Lego con cui poter costruire a piacimento sia un castello che un'astronave.
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 20:13:46 PMDire che quello che c'è risulta determinato da quello che ne sappiamo (concetto, isolazione e identificazione) è una radicalizzazione all ennesima potenza di kant.
Il neo sulla guancia del ragno che ha tessuto la tela, c'è o non c'è adesso?
E se c'è già da una settimana, non puoi forse determinarlo solo dopo averlo identificato e studiato? L'esistenza del neo risulta quindi determinata (ma non "costruita") da quello che ne sai, prima è solo una realtà possibile e indeterminata.
#56
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 18:50:57 PMNon è l essere consapevole di un evento che lo fa esistere o meno.
Tuttavia, se non c'è nessuno ad isolare ed identificare quell'evento da tutto il resto della realtà, quell'evento non esiste in quanto tale (ossia isolato e identificato), ma esiste solo tutta la realtà (di cui quello che sarebbe stato un evento isolato se qualcuno lo avesse identificato, fa parte).
Se non hai il concetto di «evento», «albero», «alieno» o «pianeta», non possono esserci per te né eventi, né alberi, né alieni, né pianeti (esisteranno per qualcun'altro); quel che c'è "al loro posto" è una realtà priva di determinazioni (che in quanto tali richiedono sempre a priori qualcuno che le ponga tramite identificazione; v. sopra: assenza determinata, non assoluta).
Facendo un ulteriore passo: se non c'è un soggetto (quindi né tu né qualcun altro) identificante e discriminante, non possono esserci identità e discriminazioni, c'è solo realtà in divenire (e anche questi, «realtà» e «divenire», sono concetti, quelli più basilari che riescono a costeggiare il senso di questo discorso liminare).
In precedenza ho già fatto l'esempio del tramonto: il tramonto esiste solo se c'è qualcuno (umano o simile) in un determinato luogo, in una determinata ora, con in mente il concetto di tramonto (che quindi isola e identifica quell'evento separandolo da tutto il resto). Senza quell'osservatore identificante, come potrebbe esserci un tramonto? Per chi (considerando che il tramonto è un fenomeno ottico solo per qualcuno, per il suo sguardo verso l'orizzonte)? Senza occhio che guarda all'orizzonte, il tramonto non esiste (come fenomeno isolato e identificato).
Lo stesso, di certo con più "fatica teoretica", si può applicare anche alle identificazioni dei singoli eventi e dei singoli enti. Quando proviamo a pensarli "senza di noi", di fatto, continuiamo a pensarli per noi, quindi non rispettiamo la condizione del "senza di noi": pensiamo all'albero, lo identifichiamo e diciamo «certo che c'è l'albero anche senza di noi», ma se ce lo stiamo immaginando, se lo pensiamo distinto da tutto il resto, allora è come se fossimo lì (con le nostre categorie di classificazione degli enti), mentre il presupposto è che non ci siamo... e allora chi identifica l'albero, distinguendolo da tutta l'altra realtà?
#57
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 18:06:58 PMvorrebbe dire che laddove l uomo, per come è siffatto , è escluso dalla percezione sensibile e concettuale allora non vi è nulla.
Vi è infatti il nulla come sunyata (v. buddismo), ossia assenza determinata (non assoluta): assenza di identificazione, cristallizzazione e discriminazione (in oggetti, concetti, alberi, suoni, etc.) da parte dell'uomo; il che equivale a dire che "c'è ciò che c'è, nel divenire che è" (consapevolezza che l'uomo può avere anche nell'ascoltare, in presenza, il rumore dell'albero che cade, se riesce a non identificare l'albero come albero, il rumore come rumore, etc. impresa non facile, ma "illuminante").
#58
Citazione di: Alberto Knox il 05 Maggio 2025, 16:06:23 PMLa realtà, non dipende dai nostri schemi concettuali, se mai sarà il contrario.
Altrove si diceva giustamente di fare attenzione a non confondere epistemologia e ontologia; anche in questo caso tale «dipendenza» va distinta (come minimo) secondo i due ambiti, che sono inevitabilmente in rapporto dialettico, quindi risultano distinti ma non estranei l'uno all'altro.
La realtà dipende dai nostri schemi concettuali poiché ogni volta che ne parliamo non possiamo fare a meno di usarne uno (semplice o complesso che sia) e non dipende dai nostri schemi concettuali poiché anche in loro assenza ci sarebbe plausibilmente comunque una realtà (il famoso rumore dell'albero che cade mentre non c'è nessuno che lo ascolta). I nostri schemi concettuali dipendono dalla realtà perché per essere ritenuti adatti a descriverla devono confrontarsi con essa e con le sue risposte, e i nostri schemi concettuali non dipendono dalla realtà perché possono benissimo descrivere una realtà che non esiste, ma nonostante ciò condiziona la vita umana (come è successo per secoli con il geocentrismo basato sull'osservazione "scientifica" del moto solare rispetto all'orizzonte, in grado di scandire e segnare il tempo sulle meridiane).
#59
Citazione di: iano il 05 Maggio 2025, 12:46:16 PMNo, io applicavano il rasoio di Occam, per cui se due descrizioni si equivalgono (diversi piani di esistenza equivale descrittivamente a diverse fasi della stessa emergenza) si sceglie la più semplice, che in questo caso sarebbe quella che contempla un minor numero di esistenze da dover assegnare, al limite riducibili ad una sola, nonchè ipotetica, che è quella dell'unica realtà da cui derivano le diverse emergenze.
[...]
Salendo di livello le emergenze ci appaiono sempre più astratte, ma appunto il carattere astratto sarebbe da intendersi solo come grado di emergenza , e non come una diversa natura degli enti.
Se ho ben capito proponi una graduale continuità fra i piani di realtà, accomunati da un'emergenza più o meno "sviluppata" o più o meno "astraente"; tuttavia questo non è calzante, se consideri gli esempi proposti. Giulio Cesare e Superman hanno due esistenze, due (piani di) realtà non contigue e, soprattutto, non comunicanti, non adiacenti fra loro: Cesare esiste come ricordo storiografico di un uomo realmente vissuto, Superman esiste come personaggio inventato; Cesare è stato ontologicamente un uomo, Superman è ontologicamente un'immagine disegnata (e anche quando qualche uomo lo interpreta, sappiamo che non è davvero Superman, ma solo una sua rappresentazione). Non c'è transizione o emergenza che consenta di passare dal piano di Cesare (esistenza umana storica) a quello di Superman (esistenza fumettistica fantastica): anche se facessimo un fumetto su Cesare, resterebbe la differenza che Cesare è esistito realmente come uomo, Superman no.
L'incommensurabilità fra alcuni piani di realtà è ancora più evidente se pensi al sasso e alla popolazione italiana: non ci può essere emergenza che consenta ad un singolo ente materiale di diventare (emergere come) un concetto storicamente dinamico che consiste in un insieme di umani che vivono in un determinato confine, hanno una cittadinanza, etc. Tale concetto (l'esser popolazione), inversamente, non rappresenta una successiva o precedente emergenza dell'essere singolo ente minerale (non c'è continuità fra i due piani di realtà).
Per questo la distinzione dei piani è funzionale alla classificazione delle esperienze del reale, per quanto tale tassonomia possa essere comunque appiattita in un unico piano della realtà intesa come "tutto ciò che esiste in qualsiasi forma o modo" (ma bisogna anche notare che tale piano unico è piuttosto sterile, se non inibitorio, quando si deve passare alla prassi dell'azione o anche solo della comprensione che, in quanto tale, è anche tassonomia).
#60
Citazione di: iano il 05 Maggio 2025, 00:00:20 AMMa questi diversi piani di esistenza non possiamo intenderli come le diversi fasi di un processo di emergenza?
Quel «possiamo intenderli» è "sintomatico" del senso del discorso precedente: «possiamo intenderli come...?» equivale a chiedere «è calzante se li intendiamo come...?» ossia «è una corretta interpretazione categoriale umana se li intendiamo come...?».
Certamente l'emergenza è parente del divenire, proprio come la realtà è parente dell'esistenza ed entrambi (divenire ed esistenza) richiamano alla mente le prime dispute ontologiche. Una volta distinti i suddetti piani, possiamo parlare di differenti emergenze in differenti piani: Giulio Cesare e Superman sono "emergenze" differenti in piani differenti, così come il popolo italiano e il sasso.
Per farla breve: la nostra mente identifica qualcosa isolandolo percettivamente e cognitivamente da tutto il resto, poi ci ragiona e lo studia, magari scoprendo che è scomponibile in frammenti (altre sotto-identità), pur essendo in relazione con il contesto (sovra-identità) composto da altri elementi. Questa identificazione (il principio di identità è il più fondante della logica umana) consente di parlare di ente, oggetto, etc. come elementi della realtà esterna (unica o plurima che la si intenda), e il discorso è tanto più calzante quanto poi la realtà ci "risponde docilmente" secondo le previsioni o le analisi che il discorso fa (se invece non risponde o risponde in modo incomprensibile, non stiamo usando un discorso corretto e calzante).