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Messaggi - Phil

#46
Telegrafico, anzi telegrammatico: per essere logicamente equi-valenti due descrizioni dovrebbero avere lo stesso valore di verità - stop - hai depauperato le descrizioni e la logica dalla loro funzione veritativa (post 90) - stop - quindi la possibile equivalenza non può più essere logica, ma (forse) pragmatica - stop - non lo è (post 91) - stop.
#47
Il discorso sarebbe lungo, off-topic e noioso (e per me ripetitivo, avendolo già fatto molte volte qui sul forum); in breve:
Citazione di: iano il 19 Agosto 2025, 08:55:29 AMFare centro sul sole o sulla terra equivale a descrizioni alternative parimenti valide, perchè logicamente equivalenti.
Le descrizioni non sono equivalenti, né logicamente (la complessità dell'una non è la semplicità dell'altra e lo dimostra il tempo storico intercorso fra le due), né in teoria (il geocentrismo non è l'eliocentrismo), né in pratica poiché non abbiamo molta scelta se ci interessa la descrizione «più opportuna»(cit.) in base al contesto. Ad esempio, se devo costruire una meridiana mi serve il "moto del Sole" rispetto alla Terra, per quanto apparente; se ne scegliessi un altro, meno opportuno e semplificante, la costruzione sarebbe inutilmente complicata.

Citazione di: iano il 19 Agosto 2025, 08:55:29 AMLa libertà di scelta fra descrizioni alternative è quella che abbiamo acquisito perdendo il vincolo della verità.
Con la ragione e con la logica non si può giungere ad alcuna verità, ma solo arricchire le nostre descrizioni della realtà
In realtà con la logica e la ragione si arriva alle verità (al plurale), e anche con un certo rigore, ma sono verità contestualizzate, non assolute e, soprattutto, puramente discorsive (essendo la verità non un fantomatico ente da trovare, ma solo il valore logico di un predicato, da contestualizzare appunto).
Se per verità si intende invece il sogno bagnato della metafisica o la verità chimerica di alcuni poeti, ovviamente il discorso cambia e non ha più molto a che fare con la scienza, l'evidenza e il controllo.
#48
Citazione di: iano il 19 Agosto 2025, 00:01:54 AML'evidenza fa rima con comprensione.
Aprendo gli occhi comprendo la realtà siccome mi appare.
Il tentativo di comprendere i mondi disegnati dalla scienza equivale a dargli una evidenza che non gli è propria, perchè l'evidenza è parte di un altro disegno, alternativo a quello della scienza, che a quello corre in parallelo, senza incontrarlo mai, senza punti di convergenza.
La comprensione basata sull'evidenza "a prima vista" comporta anche l'immediatezza (v. sopra) dell'ingenuità e dell'errore. Ingenuità, e-videnza e visione ad occhi aperti sono ciò da cui parte, da sempre, una buona parte della scienza; a parte la fisica teorica che comunque non è certo l'azionista di maggioranza della scienza, basti pensare a chimica, biologia, etc. La scienza empirica si muove da tali evidenze per capire meglio cosa c'è "sotto"; per cui non credo si possa dire che la narrazione/descrizione scientifica e l'evidenza dello sguardo sul mondo siano due parallele che non si incontrano mai; volendo potremo semmai dire che la scienza è uno sguardo sul mondo con maggior cognizione di causa.
In fondo è il solito esempio del sole: è evidente allo sguardo che sia il Sole a muoversi, ma tutte le evidenze con cui la scienza ci spiega che in realtà è la Terra a muoversi rispetto al Sole, non sono forse evidenze... più evidenti? Per giungere a tale conclusione la scienza non si è forse basata su evidenze?
#49
Citazione di: iano il 18 Agosto 2025, 22:07:12 PMMi rendo conto che l'uguaglianza
comprensione= non controllo
sembri arbitraria.
Forse lo sembrerà meno
coscienza= non evidenza
che ho meno difficoltà a giustificare, notando che i mondi proposti dalla scienza, del tutto sotto il controllo della coscienza, non posseggono alcuna evidenza
Mi pare restino valide le perplessità logiche sollevate nel mio post precedente, con la semplice sostituzione dei termini; ossia, parafrasando: se prendiamo per buona l'equazione «coscienza=non evidenza» (a=-b), dovremmo concludere che non abbiamo coscienza di ciò di cui (se è possibile) abbiamo evidenza (b→-a; oppure -a=--b; da cui -a=b) ed eventualmente abbiamo evidenza di ciò di cui non abbiamo coscienza (-a→b; oppure b=-a); ma è davvero così?
Facendo un passo avanti (o indietro, a seconda dei punti di vista): l'affermazione «coscienza=non evidenza», se è basata sulla coscienza (che è non evidenza), come può esser affermata dalla coscienza a prescindere dall'evidenza? Su cosa si basa la coscienza per dire di sè (o del mondo o di altro) che non è evidenza?
Forse sull'autocoscienza? Ma tale autocoscienza è evidente ( = non coscienza), contraddicendosi, o è anch'essa solo un prodotto della coscienza che prescinde dall'evidenza? E se così fosse, su quale non evidenza si baserebbe per risultare comunque attendibile?
Se invece l'affermazione «coscienza=non evidenza» fosse basata sull'evidenza, allora non dovremmo esserne coscienti (per non cadere in contraddizione con l'affermazione stessa) e quindi dovremmo in coscienza ritenere l'affermazione falsa.
#50
Citazione di: iano il 18 Agosto 2025, 19:37:39 PMUna volta messa da parte l'errata convinzione che dimostrare un teorema in prima persona equivalga a comprenderlo, posso affidare il compito ad una macchina incapace di comprenderlo, dedicandomi ad altro compito indelegabile, almeno al momento.
Le macchine sono solitamente dei "delegati potenziati": senza scomodare la matrice di Eisenhower, possiamo dire che così è stato dalla ruota, a cui abbiamo delegato il compito di spostare e di spostarci (mandando in vacanza i piedi), alle AI, a cui abbiamo delegato ricerche di dati, elaborazione di contenuti di ogni tipo, etc. Sia la ruota che l'AI svolgono i loro compiti puntualmente con potenza e velocità sovra-umane (pur non essendo perfette, come il loro creatore d'altronde) ed è in fondo questa l'essenza della tecnica: produrre un delegato non umano che sappia, magari sotto supervisione/collaborazione umana ("human in the loop" come si dice in ambito AI), fare prima e/o meglio di quanto potrebbe l'uomo da solo. L'AI ha la peculiarità aggiuntiva di aver portato tale «fare» anche in ambiti non solo puramente meccanici-operazionali, ma anche creativi-combinatori.

Citazione di: iano il 18 Agosto 2025, 19:37:39 PMTutti i casi che fai io ho suggerito che si riducano ad uno: comprensione=mancanza di controllo.
Ma è più un invito alla riflessione, che un inappellabile sentenza
Se prendiamo per buona l'equazione «comprensione=mancanza di controllo» (a=-b), dovremmo concludere che non abbiamo comprensione di ciò che controlliamo (b→-a; oppure -a=--b; da cui -a=b) e controlliamo ciò che non comprendiamo (-a→b; oppure b=-a); è davvero così? Per questo ho declinato i vari casi combinatori possibili.
#51
Citazione di: iano il 18 Agosto 2025, 13:20:28 PMComprensione e mancanza di controllo sembrano essere due facce della stessa medaglia, diversamente da quel che crediamo.
Questione intricata in cui ci si può aggrovigliare in molti modi; uno di questi è dare una compilata improvvisata alle combinazioni di «comprensione» e «mancanza di controllo».
- comprensione (si) e mancanza di controllo (si): ossia capiamo come funziona, ma non possiamo controllarlo; ad esempio il moto dei pianeti.
- comprensione (no) e mancanza di controllo (no): ossia non capiamo, ma siamo in controllo; qualunque dispositivo che venga usato in modo meccanico tramite un'interfaccia di controllo (che in quanto tale ne occulta l'autentico funzionamento), badando solo al risultato, come ad esempio uno smartphone (tenendo presente quanto detto prima sul possibile consesso dei tecnici e sapienti per spiegare una calcolatrice).
- comprensione (si) e mancanza di controllo (no): ossia capiamo e siamo in controllo; qualunque strumento semplice, come un martello o una penna a sfera.
- comprensione (no) e mancanza di controllo (si): ossia non lo capiamo e non possiamo controllarlo; facendo una battuta d'altri tempi potrei dire «il cervello delle donne», ma non siamo più in quei tempi, quindi vado sul metafisico e dico Dio (per chi ci crede) o il cosmo nella sua totalità (quindi a prescindere dalla "briciola di comprensione" citata al primo punto).
Citazione di: iano il 18 Agosto 2025, 13:20:28 PMLa realtà appare come immediata, perchè abbiamo rinunciato al controllo sul processo che media  la produzione della sua apparenza.
Il fatto stesso che si parli di apparire im-mediato (non mediato) della realtà è un indizio significativo: non abbiamo controllo della mediazione dei nostri sensi e della nostra mente (inconscio, precomprensioni, aspettative, bias, etc.) al punto che l'input della realtà sembra produrre output in noi come se fossimo "a presa diretta", come se non ci fosse tale mediazione dei sensi, della mente, etc a generare gli output, siano essi pensieri o azioni.
Forse quindi non è tanto che «abbiamo rinunciato al controllo sul processo che media la produzione della sua apparenza»(cit., corsivo mio), ma il punto è che tale controllo non possiamo averlo perché richiederebbe una scissione fra controllore e controllato che non è compatibile con la nostra in-dividualità (non divisibilità; e anche bipolarismi e schizofrenie contemporanee non possono comunque dividere la sensorialità dell'unico corpo del soggetto).
Dire che «ci abbiamo rinunciato» è un po' come dire che rinunciamo all'uva perché non è matura; povera l'uva, che intanto marcisce... e povera anche la volpe (ah beh, si' beh... ♫).
#52
A conti fatti la perdita di "intelligibilità di massa" a favore dell'efficacia d'uso (anch'essa di massa) è il comun denominatore di tutti gli sviluppi tecnici, almeno negli ultimi secoli: ogni macchinario, ogni elettrodomestico, ogni hardware che viene usato da molti ha un funzionamento chiaro e intelligibile solo per pochi, se non pochissimi. Basta guardarsi intorno e chiedersi se, una volta rotto o scomposto qualcosa, sapremmo capire quello che vediamo, i pezzi interni, i meccanismi nascosti, cavi, condensatori, etc. In gran parte dei casi la risposta è no, anche se la domanda riguarda un oggetto che usiamo tutti i giorni e che crediamo di conoscere molto bene. Ad esempio, magari sappiamo guidare e anche manutentare bene un'auto, ma quale "intelligibilità" abbiamo del sistema frenante, del servosterzo o del computer di bordo?
Lo stesso vale per l'AI: il suo risultare black box non ci deve far dimenticare che viene inizialmente progettata usando software (semplifico molto) che, proprio come l'automobile, il programmatore deve saper usare, senza necessità di capire ogni singola riga di codice sottostante (anche in ambiti esponenzialmente più semplici dell'AI, ma restando comunque in ambito informatico: quando viene importata una libreria o un modulo, quanti programmatori sanno perché funziona proprio in quel modo, quanti saprebbero modificarne il codice e quanti invece li usano sapendo solo quel che fa e basta? Il "vibe coding" è in un certo senso ben più antico di quello che si pensi).
L'AI presenta comunque la novità di "rompere" non tanto l'intelligibilità, ma la prevedibilità deterministica che solitamente presentano le tecnologie: a differenza di un'auto o di una calcolatrice o di un software, nessuno può in concreto predire accuratamente come risponderà l'AI, come sarà l'immagine o il prodotto multimediale che creerà, etc. non perché non sia teoricamente possibile, ma perché richiederebbe la partecipazione di tutti coloro che hanno creato ogni singolo codice e software usato dall'AI nel suo addestramento e nel suo funzionamento e, soprattutto, un tempo tecnico di lavorazione e coordinamento umano fra addetti ai lavori che probabilmente eccederebbe la durata della vita stessa dei suddetti. Oltre ad essere in fondo un'impresa decisamente poco utile; sarebbe un po' come usare una calcolatrice per un calcolo molto complesso e poi chiamare a rapporto progettisti, matematici, programmatori e tecnici vari per capire come mai la calcolatrice ci ha fornito proprio quel risultato, in modo da avere piena (e sterile) intelligibilità di tutto ciò che accade in dettaglio nel percorso causale che lega la pressione dei tasti alla visualizzazione del risultato dello schermo.
Questa piena intelligibilità potrebbe far comodo per aggiustare un prodotto difettoso, ma con l'aumento della complessità strutturale e progettuale dei prodotti, ecco che a volte conviene comprarne uno nuovo perché raggiungere la piena intelligibilità del prodotto e poi aggiustarlo, costerebbe molto di più (diverso è il caso se si rompe una zappa o una sedia e, non senza ironia del destino, è parimenti diverso il caso in cui bisogna ottimizzare o "addomesticare" un'AI). Proprio come in fondo accade con l'"obsolescenza programmata" negli esseri umani: quando qualcuno muore "di vecchiaia", solitamente non ci si affanna troppo alla ricerca di piena intelligibilità della cause, almeno se non ci sono sospetti e responsabilità da appurare (v. autopsie e simili).
In questa complessità procedurale e strutturale che spesso "non vale la pena" indagare, sia l'AI che la vita umana condividono sicuramente una certa inintelligibilità (per asimmetria fra i tempi d'uso e i tempi necessari all'analisi).
#53
Citazione di: iano il 14 Agosto 2025, 22:22:18 PMSe non vedi l'aumentata semplicità descrittiva immagino sia per le comprensibili complicazioni emotive che la descrizione comporta.
Ma l'esempio che volevo dare era appunto di come sia facile, liberandoci momentaneamente dalle emozioni,  fare una descrizione razionale semplice.
Probabilmente, come detto, non ho capito il senso del tuo discorso; così come ora non capisco cosa ci sia di razionale nel mischiare macchine ed uomini per amor di "semplificazione". Non sempre una descrizione semplice è razionale, anzi semplificare e razionalizzare spesso non vanno d'accordo quando c'è da capire ciò che si vuol descrivere.
Anche la considerazione sulla tonalità emotiva mi sembra un po' fuori focus: se considero razionalmente la descrizione generica di vivente e quella di macchina, concludo razionalmente che la macchina non è un caso limite del vivente (e se lo chiedessi ad un razionale chatbot AI, forse non concorderebbe?).
L'«aumentata semplicità descrittiva» che proponi mi sembra una diminuita razionalizzazione, sia descrittiva che interpretativa; che ha per controproducente effetto collaterale spalancare tutto un discorso sulla "coscienza nulla" di un "caso limite di vivente" che, a mio avviso, è un discorso che non comporta molto di semplificante né di razionale (opinione mia, ossia di chi non ti ha capito, quindi senza offesa, ovviamente).
#54
Citazione di: iano il 14 Agosto 2025, 15:56:29 PMi vivi si distinguono dal resto per la non immediatezza esclusiva delle cause che vi agiscono, e queste possono agire secondo coscienza oppure no.
Una volta deciso di usare l'intera tavolozza dei colori per dipingere la questione, la macchina diventa un caso limite del vivente, il ''vivente'' a coscienza nulla.
Non capisco bene il perché dell'associare una macchina alla vita, tanto più mettendo in mezzo anche la coscienza; ossia aggiungendo complicazione a complicazione. E se la macchina non fosse un «caso limite del vivente», ma solo, banalmente, una macchina? Qual è la necessità o il movente interpretativo che spinge a descrivere la macchina come «caso limite del vivente», quando si direbbe anzi che le macchine per definizione (comunemente intesa) non sono viventi, ossia sono ben oltre il limite e non caso limite?
A pensar male, si potrebbe supporre che lo scopo sia poi arrivare a definirle «"vivente" a coscienza nulla» sperando che quelle virgolette reggano l'immane peso del ponte fra macchina ed umano, trovando un rocambolesco "punto zero" della coscienza. Comunque, se prendiamo questo approccio per buono, una macchina per espresso è allora forse un «"vivente" che mi prepara il caffè» (riuso le virgolette)? Disserteremo di come la macchina per espresso, pur producendo il caffè a seguito di nostro prompt fisico (premere un pulsante), non abbia piena "coscienza" del caffè che produce, non possa apprezzarne fino in fondo l'aroma e quindi non sia totalmente paragonabile all'umana esperienza del caffè?
Forse non è l'AI che rischia di sfuggirci di mano, ma solo il mo(n)do in cui ne parliamo; dandole un ruolo di ponte verso una possibile alterità (direbbero i filosofi) di cui in fondo non abbiamo tracce chiare e attendibili (escludendo quindi quelle dell'immaginario collettivo), ma già sappiamo, in coscienza, che probabilmente non potrà apprezzare e godere di un buon caffè.
#55
A parte il tuo caso personale (per cui ti faccio comunque i migliori auguri), credo ci sia una certa distanza ("ontologica", cognitiva, etc.) fra uno psichiatra che afferma di non sapere la causa di un malessere o di non saperlo curare e il valutare un esorcismo, l'esistenza del demonio, etc. come eventi scientificamente realmente fondati e, nel caso dell'esorcismo, addirittura terapeutici.
Poi potremmo anche dire che uno psichiatra non vale l'altro e che c'è comunque tutta una letteratura clinica (non fantasy) su esorcismi, autosuggestioni, effetti placebo, schizofrenie, etc. per cui valutare la questione basandosi solo su un singolo caso, personale o meno che sia, lascia il tempo che trova (senza offesa, ovviamente).
«L'importante è che funzioni» non è il motto della scienza (di cui non ho mai negato i limiti attuali), sebbene sia sicuramente ciò che più conta in molti casi, soprattutto quando c'è la salute di mezzo.

P.s.
«Ateo ortodosso» è un ossimoro, ma ho capito cosa intendevi, seppur confondendo impropriamente il mio ateismo con quello di InVerno, con quello di niko e di altri atei indebitamente con-fusi in un'ortodossia fatta con l'accetta (a proposito di "plasticità mentale"...).
#56
Citazione di: anthonyi il 10 Agosto 2025, 18:21:03 PMEppure assistiamo a comportamenti, soprattutto nel male, di tipo ossessivo, negli omicidi seriali, nella dipendenza dalla droga (che ha una componente fisica, è quindi spiegabile, e una componente psicologica inspiegabile), nelle isterie, nello stalking, nella violenza di coppia, nel vizio del gioco d'azzardo, nelle ossessioni sessuali.
Da dove vengono questi comportamenti nel genere umano?
[...]
I comportamenti ossessivi sbagliati, che fanno male agli altri e a se stessi, riguardano parti importanti della popolazione, e possiamo scegliere tra la non spiegabilità scientifica e la credenza che questi comportamenti siano originati dal principe del male.
Se non sei disposto ad ascoltare e comprendere quello che hanno da dire le scienze in merito (con annessi studi, verifiche, etc.), allora, precludendoti le risposte, non ti resta che appellarti a superstizioni e fedi religiose. Già il fatto stesso che molto di ciò che citi sia spiegabile e controllabile (se non "curabile") per via farmacologica, psichiatrica e psicologica (puoi facilmente documentarti in merito), dimostra che il "principe del male" non c'entra niente (o quantomeno si merita una "sana rasoiata"). In alcuni casi il litio funziona egregiamente e la chimica ci spiega che non può essere un effetto placebo; l'acqua santa invece... questione di fede, non insisto (per quanto fare appello all'infalsificabilità scientifica e poi parlare del diavolo dando per ovvia la sua esistenza è un po' "bipolare", ma d'altronde questa è la vera forza della fede).
Ti segnalo anche che non siamo robot e che non va confuso l'uomo come specie e l'uomo come singolo: le affermazioni che valgono per l'uno non valgono necessariamente anche per l'altro. Se guardiamo al singolo, non essendo appunto un robot, non tutto quello che fa è spiegabile dalla tendenza al successo evolutivo e al fitting. Se questo "resto" non spiegabile evoluzionisticamente, lo risolviamo chiamando in causa la santità o il satanasso, allora dovremmo concludere che anche la timidezza (decisamente poco utile per il successo riproduttivo del singolo e della specie) è questione di diavoli (o angeli?), così come pure l'arte e tutte le produzioni culturali (e persino questo forum) che non sono spiegabili con mere dinamiche di prosecuzione della specie (se invece ci ricordiamo, sincronizzandoci con il calendario, che l'uomo è etologicamente e "mentalmente" un po' più complesso di un macaco e che qualche scienza ha qualcosa da dire, allora non è necessario scomodare entità sovrannaturali, per quanto esteticamente suggestive).
#57
Citazione di: Koba il 10 Agosto 2025, 11:32:59 AMRimane però il resto, quello 0,1 per cento. In esso sono incluse la crudeltà e la santità. Entrambe trascendono l'animalità e la civilizzazione – per quanto ci siano stati tentativi di dedurle da logiche sottostanti
[---]
fare esperienza della santità come possibilità umana non contemplata dal programma biologico.
Ancor prima della definizione di «santità», è piuttosto improbabile poter fare esperienza di qualcosa che non è contemplato dal programma biologico, ossia che qualcosa di extra-biologico si manifesti nell'uomo; anche se ad un uomo spuntassero le ali, significherebbe probabilmente che era biologicamente possibile, anche se la nostra conoscenza della biologia non era in grado di prevederlo (non essendo una conoscenza conclusa e priva di angoli ciechi). Se un uomo iniziasse invece a volare, potremmo allora parlare di evento "non contemplato dal programma biologico", ma di tali uomini non c'è evidenza inconfutabile (con tutto il rispetto per San Giuseppe da Copertino).
Sull'ipotesi che «la crudeltà e la santità [...] trascendono l'animalità e la civilizzazione» (cit.) non scorgo alcuna trascendenza, anzi: solo coniugando l'aggressività animale e la civilizzazione (universo simbolico, conoscenza, tecnica, etc.) si può avere crudeltà, sadismo, etc. La crudeltà è solitamente spiegabile psicologicamente o psichiatricamente, facendo leva come sempre su "natura e cultura" (non saranno spiegazioni perfette o totalmente esaustive, ma almeno sufficienti a metter da parte possessioni, demoni e altre "trascendenze medievali"; al netto delle cieca fede, ovviamente).
E la santità? Il discorso più attento è quello che si può fare solo dopo una (tua?) definizione di santità; poiché partendo dalla definizione del dizionario, la santità non si dimostra poi in concreto nulla che esuli né dalla biologia (almeno fino a prova contraria), né dalla sociologia (anzi, solitamente sono proprio i non santi a conferire quell'appellativo), né dall'antropologia (che su santi, asceti, etc. non ha riscontrato, per quanto ne sappia, nulla di trascendente).
Se poi, per fede, assegniamo la santità ad alcuni comportamenti o ad alcuni soggetti, secondo ciò che è definito «santo» da una religione (fosse anche "fatta in casa"), sarà la fede stessa a "farsi garante" (dogmatico, quindi autolegittimante) di tale santità. Se arriviamo a questo punto, a mio avviso, non ha molto senso chiamare in causa le scienze, il materialismo, etc.: affidiamoci alla credenza che «siamo polvere di stelle» (come dice niko), riconosciamo che alcuni di noi sono molto più "luminosi" e altri molto più "bui" (la minoranza che perturba o ci attrae come falene) e così sia.
#58
Citazione di: Stefaniaaa il 02 Agosto 2025, 13:07:05 PMI comandamenti fondamentali li sento dentro di me: so cosa è buono e cosa è cattivo
[...]
Per questo deciderò io, con coscienza, caso per caso: in base a ciò che è giusto o sbagliato, a ciò che fa male o fa bene, se nuoce a qualcuno oppure no.
Se, come dici, hai già la sapienza riguardo cosa sia giusto e cosa sbagliato, cosa sia buono e cosa cattivo, perché "lo senti dentro di te", allora direi che non ti serve alcun libro né alcuna religione. Già sai, non ti resta che usare tale sapere nelle tue giornate.
Il perché lo senti tale (come bene o come male) dentro di te, potrebbe essere indagato, ma forse non è nemmeno troppo necessario. Che sia "voce divina" o "imprinting religioso-culturale", se è quello in cui credi (a prescindere dalle religioni, dai testi, dalle tradizioni, etc.), è quello di cui hai bisogno per orientarti nella vita.
In fondo, chi/qual è il tuo dio? Non è quello dei testi sacri (che pure, fra incongruenze e anomalie varie, ti hanno insegnato della sua esistenza), non è quello delle religioni (che essendo "gestite" da uomini risultano fallibili, imperfette, etc.); è forse un dio che esiste, perché te ne hanno parlato (ma già il come te ne parlano non ti convince più), ma di cui non sai nulla? Sai solo che esiste; tuttavia come lo sai? Lo sai perché, indipendentemente dalle varie religioni, lo "senti dentro di te"? La mente umana è tutta da interpretare, è animata da suggestioni, meccanismi inconsci, da istinti e paure elaborate con astrazioni e proiezioni, etc.
Detto altrimenti: "tieniti forte" e benvenuta nell'ateismo; anche se forse ancora non sai di esserlo (come molti altri, d'altronde).
#59
Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PME' qui che tiri in ballo il cogito cartesiano...
L'ho tirato in ballo, come dicevo (correggimi sempre se sbaglio), per il suo residuo realista (il sum), ma non per la confutazioni del volontarismo e dell'"illusionismo" che tu mi/gli hai imputato e di cui non credo sia comunque capace.
Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PMComunque dalla descrizione non deriva la prescrizione per inferenza logica, ma non si vive solo di inferenza logiche, anzi, il problema e' che spesso e' piu' originaria la prescrizione, della descrizione. Cioe' andrebbe, semmai, inferita, la descrizione. Dall'antecedente piu' generico e piu' "genetico" di una prescrizione. E magari, si finge il contrario. E' quello che dico fin dall'inizio: il fatto che dobbiamo e vogliamo vivere, e' piu' originario, di quello che la vita in quanto pensiero discorsivo e in quanto coscienza, ma spesso anche in quanto emozione e sentimento, ci riflette e ci mostra...
Questo è il rovesciamento fallace che mi ha spinto a segnalarti la fallacia naturalista: il volere la vita, il voler vivere non è una prescrizione (di chi? la natura non "prescrive", essendo essa solo un insieme strutturato di rapporti causali, come insegnano le scienze), tale volere è un istinto. Se affermi che l'uomo vuole vivere per istinto, ne fai una descrizione che non credo sollevi obiezioni. Se invece valutiamo tale istinto come bene, giusto, sano, etc. o, andando oltre l'istinto, scegliamo consapevolmente di restare vivi, in entrambi i casi non possiamo argomentarlo semplicemente descrivendo la voglia (o la scelta) di restare vivi come parte dell'esser vivi (ecco la fallacia). Per una argomentazione valida, non fallace, servono altre argomentazioni e altre prescrizini, prese (non dalla descrizione dell'uomo con la testa attaccata al collo) dalla morale, dalla metafisica, da valori esistenziali, etc.
Citazione di: niko il 27 Luglio 2025, 12:23:45 PMqualcosa mi dice che, ai fini della felicita', o quantomeno do una vita decente e interessante, l'intelletto/cogito, deve adeguarsi alla volonta'/estensione, e non viceversa...
Qui sarò sintetico perché ormai siamo offtopic anche rispetto all'offtopic: l'intelletto non può adattarsi alla volontà (di fatto capisco anche quello che non vorrei capire, come già detto, e non posso illudermi del contrario) e credo sia noto che quando la volontà sottomette (so che hai scritto «adeguarsi» e non «sottomettersi») l'intelletto, lo stato di scollamento fra desiderio e ragione può produrre le migliori frustrazioni, paranoie e altri stati non proprio "felici, decenti e interessanti" (se intuisco cosa intendi con queste espressioni).
L'espressione «volontà/estensione» forse uccide Cartesio più di quando gli ho imputato una calcolatrice e, almeno scritta così, è un ossimoro e non colgo il senso di contrapporla a intelletto/cogito, che ossimoro non è: intelletto e cogito sono affini, ma volontà ed estensione direi di no. Non credo nemmeno tu intenda che l'intelletto sta alla volontà come il cogito sta all'estensione. Forse alludevi al fatto che, secondo te, l'intelletto deve adattarsi alla volontà come il cogito deve adattarsi all'estensione; tuttavia sia l'intelletto che la volontà che il cogito sono "mentali" (passami il termine vago) mentre l'estensione non lo è (se intendi il mondo extra-soggettivo), quindi la proporzione mi sembra un po' vacillante (oltre a quanto già detto sull'improbabile adattamento della intelletto alla volontà).
Ok, non sono stato sintetico, ma almeno credo si capisca che non è questione da sbrogliare in un topic intitolato "Tacere, quando opportuno? Dio nessuno l'ha visto; bisogna restar zitti?" di cui abbiamo già abusato con la fallacia naturalistica (che, almeno borderline, riguarda anche la divinità).
#60
Siamo passati dalla fallacia naturalistica come «ciofeca» (cit. post 92) alla distinzione fra fallacia naturalistica in senso stretto e largo (post 106); direi «bene», se così facendo non ricadessi a mia volta nella fallacia. Battute a parte, l'ultimo tassello di questo percorso potrebbe essere osservare (oltre al fatto che in filosofia con «prescrizione» solitamente non si intende la prescrizione medica di restare vivi, semmai ci sia) che la fallacia non significa che non possa esserci nessun rapporto tematico fra descrizione e prescrizione, ossia che al dolore di un occhio strappato non si possa affatto associare un qualunque giudizio (etico, metafisico o altro). La fallacia, che come tutte le fallacie (se non erro) si occupa del piano logico, indica solo che non c'è inferenza logica fra quella descrizione e quel giudizio o prescrizione («vietato strappare gli occhi»); intendendo per logica non il semplice "ragionare in modo coerente", ma la logica in senso forte (accademico, se vuoi) come cogenza argomentativa («x implica y» e simili).
Ad esempio, dalla descrizione che le case hanno i tetti (riciclo il tuo esempio) non deriva logicamente che è bene (e nemmeno necessario) che le case li abbiano; può suonare strano, ma così è per la logica, che chiamerebbe questa (fallace) autoreferenza una petitio principii (se non ricordo male). Esempio ancora più semplice: perché bisogna (prescrizione) passare con il verde? Perché (descrizione) con il verde si passa; non c'è alcuna autentica argomentazione né implicazione logica che lega il passare al colore verde (sappiamo infatti che tale rapporto passare/verde è basato su una legge, non su un'argomentazione logica).
Torniamo alle case: la prescrizione («le case devono avere i tetti») si applica alla descrizione («le case hanno i tetti»), ma questa non è logicamente il fondamento del contenuto della prescrizione. La fallacia naturalistica invita ad argomentare senza usare la descrizione (che comporterebbe petitio principii), ovvero invita a non affermare «ciò che è, è bene come è, perché così è». Tradotto in pratica: è utile che le case abbiano i tetti, non perché è così che vengono fatte, ma perché il tetto svolge una funzione utile, strutturale, etc. La fallacia naturalistica invita a non sovvertire quel «perché», mutandolo in «è utile che le case abbiano i tetti perché le case hanno i tetti»; quando l'argomentazione corretta è invece «le case hanno i tetti (descrizione) perché è utile che li abbiano (altra descrizione, con valore argomentativo da esplicitare)». Lo stesso vale per i bambini senza braccia e per i lavoratori di Amazon: l'argomentazione a favore della cura verso gli uni e lo sdegno per la condizione degli altri, non si basa su descrizioni del corpo umano o delle routine di lavoro, ma sulla valutazione di tali descrizioni. Questo è ulteriormente dimostrato, concretamente, dal fatto che sono possibili anche interpretazioni differenti delle routine di lavoro (sulle menomazioni fisiche è meno evidente, dato il consenso in merito), interpretazioni che, se fossero davvero fondate logicamente sulla descrizione, verrebbero facilmente falsificate ricorrendo alla descrizione stessa (non ad altre interpretazioni).
Al livello della nuda vita, ad esempio, la "prescrizione" «abbi cura che la tua testa rimanga attaccata al collo» non ha alcun fondamento logico nella descrizione «l'uomo vivo è colui che ha (oltre ad altro) la testa attaccata al collo». Il fatto che gli uomini vivi abbiano la testa attaccata al collo non implica affatto logicamente che restare vivi sia bene, consigliabile, desiderato, etc.; il restare vivi può essere tutte questa cose a causa di motivi estranei alla mera descrizione dell'uomo vivo: motivi come l'istinto di sopravvivenza, il valore della vita, la scelta di non uccidersi pur potendolo fare, etc. Questi non sono affatto immanenti alla descrizione dell'uomo vivo con la testa sul collo, non hanno valore logico-argomentativo tale da poter affermare «è bene restare vivi perché siamo vivi».
In ottica volontaristica ciò è ancor più lampante: «è bene restare vivi perché vogliamo restare vivi» prescinde, argomentativamente, dalla semplice descrizione dell'esser vivi; che rimane ovviamente necessaria per capire, in pratica, come poi alimentare tale voler restare vivi. La descrizione e la prescrizione non sono contraddittorie (non essendo nemmeno sullo stesso piano, a voler essere precisi) e possono benissimo essere dialettiche nel reciproco "collegarsi", almeno finché la descrizione non viene fallacemente intesa come fondamento della prescrizione.
Citazione di: niko il 26 Luglio 2025, 12:17:34 PMTu dici:
C'e' qualcosa di descrittivo e non volontaristico >>> il cogito >>> che confuta l'illusorieta' volontaristica e utilitaristica della vita.
Qui devo fermarti subito: quando l'ho detto o vagamente lasciato intendere? Perché non l'ho nemmeno pensato. Il cogito non confuta, ma anzi semmai fonda, il volontarismo e ogni illusione; dal momento in cui «io voglio» ha senso solo se esisto (sum) in quanto «io». E non credo si possa usare il cogito per avversare le illusioni di questo io, giacche il dubbio metodico cartesiano non è confutazione metodica.
Il cogito può confutare al massimo chi dica che cibarsi e respirare siano illusione, nel senso di non reali (inteso come: non c'è un io che mangia, non c'è il magiare, etc.), o che la vita e la morte non siano reali (ma non mi sembra sia quello che tu proponi); il che non significa, in questo il cogito docet, che debbano essere esattamente come ce li rappresentiamo. Se penso, sono certo di esistere, non di essere esattamente l'utente Phil che scrive su un forum; questa auto-rappresentazione potrebbe essere l'inganno del genio maligno, etc. in questo senso parlavo di «residuo fenomenologico» minimo dell'esistenza, ossia: per quanto estendiamo ciò che definiamo «illusione» (se lo abbiamo definito...) l'essere "qualcosa" (il sum) non può essere considerato un'illusione. Ma da qui a sostenere che il cogito addirittura confuti le illusioni (seppur definite ad libitum) o il volontarismo o l'utilitarismo (come potrebbe?), c'è un salto che non ho mai fatto e, a dirla tutta, non consiglierei nemmeno (come vedi, un po' di paziente ermeneutica sul testo altrui, a volte eviterebbe fraintendimenti colossali).

Per me, da bieco fanfarone, la vita può anche essere illusione, ma non nel modo vitalistico e volontaristico che intendi tu (miro molto più ad oriente in questo). La fede nel razionalismo, tanto più cartesiano o illuminista che sia, non è affatto la mia fede (dopo tutti i miei prediconi sull'attualizzare la filosofia, ti pare che potrei essere davvero un fan di Cartesio che cita Derrida e consiglia Ricoeur?). Il resto del tuo discorso, dopo la citazione messa sopra, soprattutto quando parla di "proiezione di perfezione"(?), "prescrizioni corporee"(!), parla quindi di te e di qualcun altro, di cui non posso fare le veci.