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Messaggi - PhyroSphera

#46
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
28 Giugno 2025, 07:26:50 AM
Citazione di: iano il 27 Giugno 2025, 13:20:57 PMSono giudizi di parte, ma non affrettati, se non per quella parte  in cui vengono forzati per non restarvi invischiati a vita. Io non cerco coerenza nel mio pensiero, ma sono felice di verificarla a posteriori, come il prodotto di un pensiero libero, che rimane comunque sempre uno fra i tanti possibili, da difendere per quel che è, e non per il prestigio che ne posso ricavare.
Per quello che posso capire, e sarò lieto delle tue dotte correzioni, l'espediente di Platone per salvare l'essere e le idee è di sdoppiare l'uno riservando ad ognuno il suo spazio esclusivo.
Non contesto il fatto in sè, perchè l'uno è fatto per essere moltiplicato in una sua descrizione, ma il motivo per cui Platone lo fa, per salvare capre e cavoli, essenti e idee.
In questo modo però gli elementi della descrizioni prendono pregiudizialmente il posto di ciò che viene descritto, cioè dell'uno, o come preferisco dire, della realtà, intesa come mistero che tale rimane, contro la pretesa di poterla conoscere.
Ciò che noi sappiamo è solo come interagirvi, e non c'è un solo modo di farlo, ed ogni diverso modo di interagirvi corrisponde una diversa possibile descrizione nella misura in cui si mostra efficace..
Se dopo aver salvato capre e cavoli si vuol salvare anche la verità si potrà dire che le diverse descrizioni storicamente si susseguono approssimandosi alla verità, ma questa oltre ad essere una arbitraria illazione, e anche un assurdità che si può sostenere solo tacendola.
E ciò che si tace è che questa verità, essendo fatta di parole, darebbe alla parola un potere soprannaturale.
E' il Dio, che facendosi verbo non si degrada, ma trasferisce la sua divinità alla parola.
La stessa cosa si può dire affermando che Dio si è fatto uomo, cioè colui che possiede la parola.
Non è la conoscenza, e in particolare le teorie fisiche, ad approssimarsi alla verità, ma esse progrediscono nel farci sempre più padroni della parola con cui le esprimiamo, e che nel suo progredire oggi diremmo più propriamente linguaggio matematico.
Esso però non toglie perciò validità ad altri linguaggi, come quello usato in filosofia, e anzi di esso/essa la scienza non può fare a meno.
Per quanto il linguaggio matematico sia andato ben oltre le originarie parole, non troverai trattazione matematica che di quelle parole possa fare senza per essere compreso, ad eccezione che affidare la questione ad una macchina , che essendo priva di comprendonio, potrà farne effettivamente senza.
Colgo l'occasione che offre l'utente "iano", la cui posizione è emblematica, per lasciare un ampio discorso necessario, senza dover sottostare ai tempi lunghi dell'editoria.


Il linguaggio matematico senza quello filosofico diventa muto. Sicuramente non bisogna dimenticare i poteri della filosofia e io non l'ho fatto. Ma il linguaggio matematico non è il linguaggio della conoscenza. Le scienze empiriche sono tante e nessuna assurge, né fisica né matematica... né neurologia né sociologia... né psicologia - alcuni vedono al vertice il metodo psicoanalitico e si sbagliano di più, innanzitutto perché i metodi sono solo metodi, quindi perché le analisi non sono teorie.
A parte il fatto che tu non hai considerato questi limiti delle scienze empiriche - quelle oggi perlopiù indicate come la totalità della scienza, ma non continuo con questo per non entrare nel merito di questioni linguistiche - io noto che tu porti avanti una posizione intellettuale agnostica. Entro questa posizione ti muovi con alquanta coerenza, ma i rapporti con gli altri?
La visione agnostica non è fatta per interagire con tutto. Conoscenze misteriose non sono allontanamenti dalla verità. Tu dici del mistero della realtà e di dover agire in e con essa, e affermi che in relazione a questa azione si produce la verità. Ma questo piano relativo non è l'unico. Se noi consideriamo le imprese nella vita, troviamo che con esse si raggiungono verità ultime, ma non nel senso che esse ineriscono alle imprese. Come lo schiudersi di una porta: dopo l'impresa si ottiene una verità sulla vita, non sull'impresa stessa. Questo è pragmatismo, quel che tu sostieni è prassi.
Mentre si ignorano verità ultime si vive al cospetto della realtà ultima e questa non appare differente a chi ignora e ciò è problematico.
Durante l'evo antico prima della diffusione e del prevalere del cristianesimo nel mondo ellenista si pensava a un generico astratto logos che poteva essere sia Dio che mondo. Quale astrazione del pensiero, una potenza strabiliante; ma le esigenze di vivere ancora o sopravvivere rendevano necessaria l'attenzione sulla differenza Dio/mondo. Solo con la fede cristiana si definì il Logos assoluto in distinzione netta dal relativo logos, riconoscendo che il primo non era gestibile arbitrariamente, che fondamentalmente procede da sé stesso. Storicamente va riconosciuto che il pensiero neoplatonico afferma che del logos non se ne dispone. Durante l'evo moderno riappare l'indistinzione, ma secondo il concetto di ragione. Si sa dei fasti e delle esagerazioni dell'Illuminismo. La dialettica e il razionalismo possono essere da un lato esenti dalla debolezza di chi pensa un logos generico, dall'altro lato ne possono essere una estremizzazione. Possiamo e dobbiamo farci una ragione di tutto, ma si tratta di un costrutto. Per questo l'identità di realtà e razionalità rischia di diventare un idolo e di fatto accadde - da qui le polemiche contro Hegel.
Ritornando all'indistinzione, l'agnosticismo può sembrare il modo di pensare più obiettivo. Di fatto l'hegelismo tendeva a fare dei costrutti razionali la chiave per comprendere e risolvere tutto, filosoficamente ciò è un relativismo polemico contro qualsiasi assolutismo. Con Feuerbach, Marx e i marxiani tale tendenza diveniva estrema, antiteologica ed antireligiosa, disconoscente la tradizione filosofica e i valori della filosofia occidentale. Si usava e si usa la prassi in opposizione alla teoria ma ciò non deve ingannare perché non esiste prassi priva di presupposto teorico e allora l'opporsi è solo apparente. Prevale così una cieca identificazione tra realtà e ragione.

Se procediamo considerando l'Assoluto e il relativo in qualità di verbo, ciò implica azione e ragione; ciò che è verbale in distinzione da ciò che è logico è dello stesso piano della dialettica razionale. Per un verso si evitano i conflitti tra pratiche della logica e della dialettica, per altro verso con tanta rigorosità in più l'illusione sui costrutti razionali può farsi più tenace fino all'inganno.
Agnosticamente tacendo la opposizione Dio-mondo - che non è un contrasto! - ci si attesta su un registro linguistico panteista; e il verbo si costituisce come alternativa della parola, perché questa contiene anche l'irrazionale, al contempo lo stesso generico verbo ruota sempre attorno a un generico logos. Se detto logos non serviva, non serve adeguatamente alle esigenze vitali, la sopravvalutazione di detto verbo diventa servizio di morte. Muoiono sentimenti importanti e finiscono emozioni preziose, ma ciò solo nelle premesse, perché nel restante ci sono le morti concrete degli esseri.
Hegel, non Leibniz, costruiva una teodicea filosofica dove il riconoscimento, nella storia anche dei suoi tempi, di un macello accadeva non durante una impresa per uscirne o farne uscire ma in una prassi che lo assumeva fatalisticamente come passaggio necessario. Ugualmente Marx, anche se questi rovesciava i termini della questione: non i gendarmi armati di fucili ma la plebe armata di pietre e il relativo macello erano assunti a passaggio necessario. Così la mondanità assunta a rimedio della mondanità andava producendo il disastro del totalitarismo, nel XX° Secolo devastante, consistente nel porre in atto una conclusione razionale senza tollerare quella altrui anzi facendo della propria la chiave universale di azione e realizzazione. Solo se si resta o si torna alla distinzione Dio/mondo, Logos/logos, Verbo/verbo, se ne viene a capo. Però procedendo nella illusione che la posizione agnostica sia punto di vista privilegiato, si perviene alla supervalutazione della generica parola, secondo l'illusione che l'alterità psicologica sia l'unica. Questo disastro finale è ravvisabile nell'esistenzialismo marxista. L'ammissione delle illusioni sulla ragione cedeva ad inganni sulla irrazionalità: la rabbia proletaria eletta a giudizio assoluto, a comando irreprensibile; il sentimento della fine di un'epoca trasformato in sentimento antioccidentale; lo spettacolo del negativo esibito come cifra del reale, di un reale nemico che non si rispetta sognandolo morto... le interpretazioni estreme della noia (Sartre), della peste (Camus) e quindi la falsa certezza che i regimi liberali e soprattutto le istituzioni religiose e spirituali che li sostenevano terminassero da sole, la speranza che la sindrome di immunodeficienza acquisita fosse la punizione per "i borghesi", per "i ricchi del mondo", constatando invece che essa non era il frutto di un vizio benestante ma in massima e decisiva parte la conseguenza di una scelta di vita incautamente edonista, in cui la medicina faceva effetto contrario: il rimedio materiale idoleggiato, senza accorgersi che la guarigione deve partire da una disposizione interiore, compiacendosi dei farmaci, diventa oggetto che fiacca, indebolisce, perturba, distrae. E' purtroppo nel tentativo mistico della estrema sinistra di sostituire allo Spirito la Materia il punto debole per un immenso numero di guai e difficoltà.

Il concetto di differenza ontologica Essere/ente viene in aiuto quanto quello della reductio ad unum, nel pensiero contemporaneo declinato fenomenologicamente. Se si resta o ci si arresta ai fenomeni, se per salvare l'idea si smarriscono i fenomeni o viceversa, non se ne verrà mai a capo. Unità ed essere sono una compresenza necessaria. Non è possibile far fronte alle necessità senza volgersi a un trascendente Uno e senza distinguere l'essere dal nulla, Dio dal mondo.


MAURO PASTORE
#47
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
27 Giugno 2025, 09:00:39 AM
Citazione di: iano il 20 Giugno 2025, 16:00:41 PMNotevole soluzione per risolvere l'enigma del come salvare capre e cavoli, che vanta più imitazioni della settimana enigmistica.
Checchè sei ne pensi di Platone non si può che ammirare la longevità del suo pensiero, in teoria e pratica, però non è proibito pensarla diversamente.
Non è tanto la realtà ad essere ''uno'', ma la sua essenza.
Essere uno significa sfuggire ad ogni definizione che lo posa negare, essendo negabile ogni definizione. Di contro ogni definizione è possibile, perchè non essere nulla di preciso ti consente di poter essere ogni possibile cosa.
Però questo essere qualcosa deve passare dalla teoria alla pratica per essere sensato.
Deve consentirmi cioè di trattare quell'uno come fosse ciò che definisco essere, o che credo essere, senza diventare un ostacolo insuperabile a un diverso, ma non meno sensato essere altro.
Ogni definizione dell'uno lo rende duale negandolo.
Questo può essere un problema per chi cerca la verità, ma non per altri.
Chi non cerca la verità non mancherà di apprezzare l'utilità della finzione, che solo chi crede nella verità intenderà come un inganno.
E' da intendersi più come il gioco dei bambini ''facciamo che io ero'', nella sua versione adulta.
Non ti ho diffidato dal pensare diversamente.
Io dico che l'Uno può essere variamente inteso, così pure l'Essere, ma c'è una linea storica da rivalutare. Plotino nel dire Uno era consapevole di indicare un Mistero; Parmenide nel dire Essere non stava imponendo un modo di essere...
Lévinas aveva notato un itinerario prepotente ma la connotazione storica di esso è differente da quel che il suo polemizzare a volte lascia intravedere. La fede ebraica è rivolta ai tratti di non rivelabilità di Dio, quella cristiana è l'inverso; accanto a una prepotenza ontologica c'è il fenomeno dell'oblio dell'essere, cui Lévinas non era sensibile, perciò certe sue polemiche lo favoriscono.
Il pensiero dell'unità è stato opposto a quello della molteplicità: in teologia con le polemiche antitrinitarie di alcuni cristiani e di ebrei e musulmani, fra le religioni col dissidio tra monoteisti e politeisti, anche in filosofia con la diatriba tra assolutisti e relativisti, infine in politica coi sostenitori o detrattori del pluralismo... Chi ha ragione? Se la trinità devia verso il triteismo, hanno ragione gli antitrinitari, relativamente dunque; se il 'mono' viene concepito come 'eno', hanno ragione i politeisti; se l'Assoluto viene posto come un potere a disposizione dell'uomo stesso (le monarchie assolute possono sussistere solo per diritto divino, teocraticamente), hanno ragione i relativisti; e se il pluralismo è rifiutato per intolleranza, ha ragione la politica che lo difende... Ma ci sono anche le ipotesi opposte, con la ragione al "pensiero forte".
L'essere come declino, l'ontologia debole come definita da G. Vattimo, può valere quanto l'ontologia parmenidea propugnata da E. Severino e soprattutto da G. Bontadini... E così con l'Uno. I neoplatonici lo indicavano apofaticamente, non come oggetto di calcolo, non era la loro la pretesa di usare la metafisica per giudicare in base a calcoli; e il moderno pensiero della molteplicità, la fine del Pensiero Unico non entra nel merito della Trascendenza; sicché c'è anche un platonismo postmoderno.
Negli scritti dello Pseudo Dionigi, sospesi tra Antico e Medio Evo, c'è l'indicazione di vero e falso essere e dell'autentico mistero dell'Uno nel mondo molteplice... ma alcuni critici ci si arrabbiano perché non ci possono fare la gesulatria.
Io direi: recuperare i significati, i valori, il senso della storia anche filosofica, invece che darsi a giudizi affrettati e di parte.

MAURO PASTORE
#48
Citazione di: anthonyi il 24 Giugno 2025, 04:18:26 AMLiberale direi che é una parola grossa. Certamente é lontana da forme di ortodossia marxiana e fa parte di quell'ampio ambito di pensiero di sinistra che opta per un approccio critico umanistico alle forme di libero mercato senza entrare negli aspetti tecnici che le caratterizzano.
Comunque facendo un po' di epistemologia, se si "critica il capitalismo" comunque si ragiona all'interno di un paradigma Marxiano visto che il concetto di "capitalismo" assume senso solo in tale paradigma.
Non è vero. Esiste per esempio una teologia della liberazione che è anticapitalista ma non marxista - anche se ha tratti non antimarxisti o persino filomarxisti.
Inoltre "capitalismo" è termine che in opposizione a "comunismo" ha valore storico non ideologico. Non è l'invenzione di un filosofo e questo non significa parteggiare per il comunismo.

MAURO PASTORE
#49
Citazione di: Jacopus il 23 Giugno 2025, 17:03:26 PMPer Mario Pastore. Sicuramente è importante, oltre a valutare gli aspetti materiali anche quelli relazionali, affettivi e culturali di un soggetto. La famosa soap opera "Anche i ricchi piangono" non dice una sciocchezza (perlomeno nel titolo). Si può essere poveri e integrati mentalmente, perfino felici e sereni, ma in questa società un risultato del genere è difficile da ottenere. Infatti il materialismo non è monopolio del marxismo, ma lo è molto di più del capitalismo, specialmente in questa sua versione del XXI secolo.
Se invece ti riferisci a Nussbaum come marxista, ti devo contraddire poiché Nussbaum è una pensatrice liberale, definita anche neostoica, che riprende alcune tradizioni del pensiero classico americano, il quale pur difendendo la proprietà privata è consapevole delle storture che il capitalismo può produrre. Insomma criticare il capitalismo non fa del critico un marxista, come spesso si induce a far credere.
Mi chiamo Mauro non Mario.
La distinzione materialismo/spiritualismo è più generica che quella tra psicologico e non psicologico.
Non davo per vero un marxismo di Nussbaum ma ponevo in luce certe conseguenze di certe posizioni per come sono usate e comunque dicevo anche di materialismo in generale, sebbene abbia contato negli ultimi secoli quello marxista e allora la mia puntualizzazione fatta è necessaria.

MAURO PASTORE
#50
Citazione di: PhyroSphera il 23 Giugno 2025, 14:20:21 PMLe opere cinematografiche neorealiste contengono sempre alcunché di ideale o idealistico, oppure non sono un realismo diretto. Non così la successiva corrente del realismo, che pur essendo priva di tanta e univoca risonanza nondimeno ha fatto epoca anch'essa.

Per evitare incomprensioni che potrebbero essere penose o in ogni caso incresciose, specifico che il cinema neorealista italiano aveva per riferimento il verismo in letteratura e genericamente in arte, in particolare quello italiano. Quel che fu ed è stato detto realismo o corrente realista nel cinema italiano sorse successivamente, segnato dall'Opera di Federico Fellini, che può considerarsi a chiusa della stagione neorealista ed anche, limitatamente alla dimensione psicologica, viatico all'altra.
Questo realismo sorgeva dall'esigenza, a volte polemica, di non perdere il contatto con realtà dimenticate, trascurate dai grandi registi neorealisti, oppure come continuazione dei loro lavori, secondo un maggiore avvicinamento alla realtà sociale e nazionale e non solo. Alcuni film neorealisti ad argomento politico erano già su tale linea.
I film realisti - fermo restando che intendo con questo termine la descrizione di un movimento artistico - si distinguono da quelli neorealisti in quanto in essi il sogno in cui consiste lo scorrere cinematografico è direttamente lo sguardo visionario sul mondo, secondo un'estetica documentarista o documentaristica e non romanzesca o romanzata come nel neorealismo.
In entrambi i casi possono trovarsi film storici o non storici, trame inventate o non inventate, ma secondo diversa visionarietà. La differenza estetica che passa tra documento e letteratura illustra bene quanto ho definito. Non si trova una scansione temporale precisa nell'avvicendarsi dei due movimenti (neanche i film di Fellini ne assommano una), inoltre alcuni registi si dedicarono ad entrambi.
Sul Cinema Neorealista italiano sono scorsi fiumi di parole, anche scritte; su quello Realista ben poche che io sappia. Non so al momento se per entrambi siano disponibili pubblicazioni degne; forse sul realismo non si è trovato niente di sufficientemente precisato o politicamente neutrale ed è possibile anche che siano rimasti solo critici e critiche in arbitraria rivolta contro questi concetti o solo verso il secondo. Da ciò, questa mia circostanziata precisazione su un Forum di filosofia: dal percepire tutto sull'orlo di un ingiusto oblio.
Non si può dire che il realismo sia finito, forse neppure il neorealismo lo è del tutto. Ma attualmente il cinema italiano è segnato da un'estetica affatto diversa, che richiama l'umiltà e radicale rovesciamento delle raffigurazioni medioevali bizantine a fronte dei classici antichi greci; il cinema-televisione, prefigurato negli anni '60 e inoltrato negli anni '70 (del Secolo Ventesimo) è stato avvicendato da un altro motivato dagli schermi degli elaboratori elettronici, dai pixel e non dai fasci luminosi della Sale cinematografiche di una volta.

Nota Bene:
Da non prendersi in considerazione in questo novero è il cosiddetto "Realismo Magico" in arti figurative durante la prima metà del Secolo Ventesimo. E' evidente che è altra cosa, a maggior ragione considerando quale era la tecnologia cinematografica dell'epoca.


MAURO PASTORE
#51
Citazione di: Jacopus il 26 Maggio 2025, 08:46:42 AMM. Nussbaum, filosofa dell'Università di Chicago, propone questa brillante metafora per definire il diritto penale occidentale nel suo complesso.
"Immaginate una società dove gli ascensori si rompono in continuazione, blocchi per assenza di corrente, incidenti, assenza di manutenzione, ma i gestori replicano orgogliosi alle critiche: sì, ma noi puniamo severamente chi non fa manutenzione, i progettisti, i sabotatori".
Il diritto penale si comporta pressapoco allo stesso modo. Non si preoccupa delle condizioni precedenti che sono il preludio della commissione dei reati, fondandosi sulla finzione che tutti i soggetti sottoposti alla legge siano uguali e quindi punisce i rei, senza preoccuparsi dei reali motivi che hanno permesso la commissione dei reati. Motivi che sono da ricercare in molteplici cause, ma tutte riconducibili nella diversa possibilità di accedere alle risorse materiali, culturali, affettive della società di appartenenza.
Accanto all'attenzione alle circostanze materiali ci vuole anche quella per le disposizioni interiori; inoltre la realtà è fatta di materie ed energie, non solo materie.
Quale penuria maggiore, e quando la ignoranza della materialità è solo apparenza a chi nega lo spirito? Quando viceversa?
Il filosofo materialista non fa il bene ad accaparrarsi tutto lo scibile, tantomeno lo spiritualista.
Bisogna trovare una quadra senza trattare Democrito come un tuttologo e senza fare dello snodo Hegel-Marx la via obbligata, anche perché il marxismo ad oggi è spinta contro la prosecuzione dell'Occidente e chi il marxista o il filomarxista difende da accuse che gli paiono cieche potrebbe essere o è per davvero un nostro persecutore, nemico contro di noi in quanto occidentali, contro nostra cultura, civiltà società...


MAURO PASTORE
#52
A Napoli durante la Guerra Fredda (tutti i link presentano video non ufficiali la cui resa è varia e la eventuale pubblicità commerciale aggiunta non è mia scelta)...
https://www.youtube.com/watch?v=S0SzyunRNZ8


Le opere cinematografiche neorealiste contengono sempre alcunché di ideale o idealistico, oppure non sono un realismo diretto. Non così la successiva corrente del realismo, che pur essendo priva di tanta e univoca risonanza nondimeno ha fatto epoca anch'essa.
Per esempio la scena del bagno della fontana ne La dolce vita non era una invenzione ma una citazione poetica, perciò accanto alla realtà c'era l'idea. Non così le inquadrature del suicidio in Morte di un matematico napoletano. Certo non un campione di realismo, come pure il cinema di Fellini era neorealista solo per un verso; e una regia diversa, ignorante ma nel senso di farsi capace di accogliere l'alterità nella mente visionaria. Difatti il film di Martone è anche un collage di testimonianze. Ciò che non fu reso immagine per lo Schermo corrispondeva alla misteriosità dei fatti, di un uomo che, quanto a personaggio sociale, era una "creazione della città di Napoli", ma la cui vita era molto e altro di più. Nipote di Bakunin e comunista sui generis, matematico insigne del Secolo XX°, tra pretese sempre più grandi del mondo della tecnica e neoinquisizioni non solo cattoliche i suoi Teoremi avviavano di fatto una comprensione diversa dei simboli matematici, inclusi così nello stesso oggetto di ricerca e acquisizione scientifica. Questo io notavo da studente del Politecnico di Napoli, all'Università dove tanti anni prima Renato Caccioppoli era stato professore e dove sarebbe stato schedato suicida. Mentre studiavo per ingegneria edile mi dedicavo anche ad altre attenzioni; anche alla Fisica dei Quanti oltre che ad approfondimenti personali della Analisi Matematica. Proprio alla stessa Università Federico II mi si venne a dire un giorno: "il Professor Renato Caccioppoli, la pensava proprio come lei", in merito alla mia amara sorpresa a fronte dei pregiudizi contro la nuova analisi matematica.
Fisica e mtematica sono distinte ma non fino al punto che le formule della fisica non abbiano un valore matematico; non intrinseco ma pur sempre esistente e quanto a questo valutabile scientificamente solo dal matematico.
E=mc2 ha un significato fisico ma quale espressione reca anche un senso matematico coincidente ma non identico. Quella E non si volatilizza nel campo matematico, neppure le altre due lettere, ma il risultato non è equiparabile al significato fisico. Il volerne dimenticare, nella supposizione che il campo multidimensionale non sia oggetto concreto degli studi scientifici matematici e che si fosse arrivati all'ultimo atto della scienza occidentale, questo era pregiudizio dello stesso Albert Einstein. I rapporti tra le due scienze sarebbero rimasti sterili, se non si fosse scoperto che quella E non era semplicemente traducibile con una x nella teoria matematica ma con una a...; cioè la E corrisponde matematicamente a una realtà!
Come è possibile questo, ci si domanda, se ciò che è oltre lo spaziotempo non è oggetto di scienza? La risposta pare impossibile ma c'è: quella a indica concretamente ciò che attraverso il confine dello spaziotempo è entrato quale effetto. Per fare un paragone non ideale (dato che esiste la analogia psicofisica), dico che anche per la Psicologia transpersonale accadono queste 'registrazioni', di effetti da estremità di confini. La E della Equazione della Relatività è matematicamente una non incognita che è assegnabile a un confine e indica una provenienza oscura... che solo un filosofo potrebbe decifrare.
Tutto ciò quindi non conferma il pregiudizio che la Relatività sia l'atto finale della scienza occidentale e ci permette di contemplare lo sviluppo successivo della Fisica dei Quanti, perché bisogna ammettere che la comprensione matematica della Relatività fisica è di un ordine diverso, non metafisico ma di limiti solo unilaterali del campo scientificamente studiabile...

Al tempo che io frequentavo l'università Federico II lo stato delle ricerche fisiche si era spostato oltre, con lo studio della fisica delle particelle, mentre c'era negli ambienti scientifici internazionali chi sognava di costruire una scienza unica direttamente cosmologica della fisica. C'era chi restava ad Einstein e alla pretesa che la Relatività fosse sistematizzabile come base di tutto il resto scoperto, chi affidava la speranza di unità ai calcoli di Newton, chi credeva a una pseudoheisenberghiana quantizzazione generale... chi tentava invece di affidarsi ad Aristotele ed Archimede (appoggiato dai neoinquisitori). La mia indagine intellettuale - mentre nella mia immaginazione a volte apparivano le memorie e immagini delle Rune che avevo visto nelle Lande del Nord e si affollavano pensieri sulla filosofia dei greci antichi - si fermò su questo punto: l'idea che tutto si risolvesse in uno schema di funzionamento di particelle incontrava sospetti e negazioni, dato che queste nel loro funzionamento, che si supponeva di poter un giorno dimostrare, riassumevano tutto,... e come fare allora a trovare una formula matematica significativa per il fisico, dato che il risultato sarebbe stato una entità simbolica, una espressione in quanto tale?
Questo appunto la Scuola napoletana con Caccioppoli, io notavo, si era portata a poter spiegare. Tutto, anche il simbolo, descrive concretamente la realtà cui i numeri fanno riferimento. Questa è, in riferimento all'attuale stato delle altre scienze, conseguenza di quanto cominciava a spiegare alla Facoltà di matematica di Napoli.

Al proposito iniziale di dedicarmi specificamente allo studio delle scienze matematiche seguì l'incontro da parte mia col mistero dei numeri del verso poetico. Per tale ragione, dopo aver fatto da mediatore culturale tra fisici e matematici in qualità di studente ma pure studioso diverso, passai inosservato agli inquisitori. Certo, dato che non la teologia biblica ma la demonologia degli scritti dei poeti simbolisti francesi era il mio oggetto dell'intervenuto altro interesse, c'era da stare ancor meno tranquilli per parte mia. Difatti ricevetti minacce di fanatici, visto che i dottoroni diversi che curiosavano nello stesso Politecnico erano finiti fuori gioco. Non mancò neanche un prete che presentandosi nella casa in cui vivevo in fitto voleva farmi capire, con la chimera di guai da evitare, che io stavo oramai 'esagerando per sempre'; e tanta l'assurdità suscitata nel quartiere dal suo ed altri interventi, che mi venne spontaneo rappresentarla con gli occhi sbarrati a un grosso cane che faceva il randagio nei paraggi. A uno strano discorso per citofono, di chi diceva idiotamente che dovevo andare in ospedale, lui stava proprio lì accanto a ringhiare protettivamente; così la notte seguente si presentò, probabilmente suonando lui stesso al mio citofono perché aveva visto quale bottone i persecutori usavano per entrare in contatto con me. Ritrovatomelo di fronte alla porta dell'appartamento, lasciavo la bestia, il cane da guardia, vagare per le scale, fino al mattino seguente...
Le mie riflessioni sulla nuova matematica io le organizzavo sulle Enneadi e le enadi e in Facoltà non sapevano cosa rimediarci.
Anni dopo, un critico sedicente scienziato in tivù gridava quasi: cosa ce ne facciamo di un simbolo? L'aver reperito e descritto il particolare bosone il cui studio adatto a far ruotare i dati delle grandi teorie fisiche moderne attorno al comportamento delle particelle era uno sorta di shock per i positivisti che sognavano di sostituire la cosmologia filosofica con un'altra a loro detta scientifica. Il filosofo sa che è impossibile ma i positivisti si lambiccavano il cervello appresso ai modelli integrati. Risultava dopo gli studi sul cosiddetto bosone di Higgs (espressione che mi pareva equivalente, nelle ricerche umane, a Oceano di Ross) invece solo uno schema unitario generale, nessun sistema, e allora i critici si appuntavano su un particolare, un "dannato simbolo" che sarebbe stato, nella sua presunta insignificanza, la prova che era "tutta una sciocchezza". Era questo fantasma che tratteneva i neoinquisitori, comunque il coordinamento ottenuto trovando riscontro alle ipotesi di Higgs sulle particelle fisiche non genera rischi su rischi ma segna la riduzione dei rischi delle applicazioni scientifiche. Plotino, Ipazia, anche i neoplatonici cristiani, cercavano questa sinergia!

La morte del matematico napoletano pareva soltanto, non era veramente il segno di una scienza andata troppo oltre; era solo la maschera sociale che così terminava, e mentre dalla Città di Napoli veniva questa macabra apparenza - denuncia di intromissioni intollerabili - la scienza proseguiva il suo corso, dalla Russia con amore...
In tutto ciò io cominciavo a constatare che la filosofia stava per rimanere senza forza sociale e culturale e notavo che sarebbe stata la Sofiologia a ripresentarla come ospite inquietante (mentre si era costretti a parlarne nei termini storici della tradizione giudaica dell'Antico Testamento, troppo cara ai neoinquisitori). Questo salto forse il Professor Caccioppoli non aveva potuto intravederlo e lo scenario opposto lo aveva spinto all'inedia? A parte questo, la sua era tattica sociale diversa da quella di Albert Einstein, che per farsi lasciare in pace dai falsi fisiologi li compiacque con disposizioni testamentarie di grottesco reliquiario. Il nipote di Bakunin non voleva lasciare una salma comprensibile né studiabile, forse era l'ultimo spasimo per far coincidere una morte già sopravveniente con una sopraggiungente - questo pensavo, anche quando mi ritrovavo ad esser rimproverato di aver parlato con sua stessa inflessione. Il campo simbolico ha un senso anche così, uno stato cadaverico non è un altro, un gesto di protesta può stare assieme a una morte naturale... ictus e colpo da arma da fuoco tutto insieme per avere un po' di riservatezza.


https://www.youtube.com/watch?v=2BvCBVyPVTo
https://www.youtube.com/watch?v=JIVJyqHUMuQ
https://www.youtube.com/watch?v=ySqEP7zCFgs



MAURO PASTORE
#53
Citazione di: green demetr il 27 Ottobre 2024, 15:10:47 PMSe con "un psicologo" si riferisce a me, io non lo sono, sono un bidello.
Se si riferisce a Freud, le ripeto, la critica è legata semplicemente al metodo stesso Freudiano. E dunque riguarda la cura, non il simbolo.
Se si riferisce alla critica che fa Baldini è assimilabile a quella che si può estendere ad Heidegger e Lacan, e in mezzo all'intero post-strutturalismo, o post-metafisica o post-verità contemporanea, ossia che questo presunto senso di qualcosa di "Altro" rispetto agli io individuali, non ha MAI e dico MAI oggetto.
E' una critica che mi ha colpito e facendo due rapidi conti, mi ha aperto la mente su molte cose "mie".
La mia è stata una "buttata a caso", mi spiace ma io faccio parte del volgo. In effetti se dovessimo parlare seriamente dovremmo stare ai testi.
Ma mi riesce difficile leggere Jung, trovo la sua lettura nicciana qualcosa di irrazionale e pretestuoso, quella la ho letta.
E dunque non posso che sentire puzza di bruciato ogni volta che viene tirato in mezzzo.
Su questo lei ha insomma ragione, sono prevenuto.
Qua nel forum c'era un ingegnere peruviano che lo citava spesso.
Le citazioni mi piacevano, ma non ha mai capito il senso generale che gli voleva dare questo utente.
Anche adesso quando lei parla di filosofia, religione, psicologia del sè, non so assolutamente di cosa stia parlando, e non mi pare che lei stia facendo alcuno sforzo per farmi-ci capire.
Cordiali saluti, almeno quelli me li concederà.
Sul fatto della pericolosità, e sul fatto che io neghi i discorsi altrui, non so nemmeno di cosa sta parlando.
Come se avessi il potere di negare i discorsi o qualsiasi altra cosa.

E' passato molto tempo dall'ultimo messaggio di questa discussione, cui non rispondevo perché l'interlocutore, per così dire, aveva abbandonato le armi e proclamato una resa.
Lui diceva di averla "buttata a caso", io quindi avevo replicato anche ad affermazioni assemblate senza un piano; poi ammetteva di essere culturalmente prevenuto, rimproverandomi di non fare sforzi per fargli capire alcunché.
Ma a fronte di un attacco casuale sugli argomenti della terapia, della saggezza, dell'ambivalenza del desiderio, io cosa dovevo fare? Mettermi a tirar fuori verità a seconda dei casi fortuiti? Non sarebbe stato sicuro.
Io avevo detto di evento-Cristo come caso per l'intellettuale, il filosofo, lo scienziato, cioè caso per la valutazione intellettuale; che qualcuno potesse fraintenderlo lo mettevo in conto e anche della relazione tra il mio linguaggio e la "buttata a caso" dell'interlocutore. Io volevo far presente che capita di dover pensare all'evento dell'uomo-Dio, non ridurlo a una contingenza... E così invece hanno fatto e fanno molti psicoanalisti e scienziati di sorta, che pensano epistemologia e gnoseologia filosofiche degli orpelli, senza intuirne la necessità per l'umanità.
Ma vengo al dunque, dopo questa sorta di preambolo.

Io riprendo questa discussione perché reputo sia tornata di attualità con l'elevazione di Prevost, agostiniano, al soglio pontificio.
Da non molte ore sul sito internet Youtube c'è un documentario sulla sua missione peruviana, del quale ho visto il trailer (link: https://www.youtube.com/watch?v=Z9pFsuOoDhk ), i cui toni sono della cosiddetta Teologia della liberazione. Questa nacque per il Sud America ed è adatta al Terzo Mondo ma si tentò e si tenta di applicarla anche alla formazione detta Quarto Mondo, in Canada venuto e rimasto in rotta con la missione della gerarchia cattolica e presente anche sulle Ande, se non altro in preziose memorie. C'è da chiedersi se Prevost ovvero Papa Leone XIV abbia pensato ai limiti della civilizzazione cattolica romana. Le immagini tranquillizzanti del trailer potrebbero nascondere un terribile conflitto di interessi, tra l'Annuncio cristiano del Quarto Mondo e quello del Primo nella versione romana e vaticana.
Non c'è dubbio che Papa Leone XIV abbia fatto le mosse giuste: presenza diretta di Cristo, contrarietà agli abusi della tecnoscienza, rifiuto della prepotenza delle attuali 'guerre pesanti'. C'è da gioire per questo, come pure della specificazione sua, a fronte delle perplessità mosse, di star parlando dei "potenti del mondo", non di tutti. Ma se Prevost si è limitato così, lo aveva fatto anche in passato? E la parte di chiesa rimasta in una prepotente missione civilizzatrice, ha intenzione di badare a detta specificazione? Questa avrà il suo peso?
Se alla simbolica agostiniana Città di Dio, astoricamente determinata, si accompagna una storica civiltà attribuita a Dio, quindi un prepotente sforzo di civilizzazione in nome di Dio, Roma e Cristo?
Non esiste un solo cristo e Cristo abitando la storia ne è fuori. Il Nazareno, quello conosciuto dal potere romano di due millenni orsono per via del Presidio imperiale in Palestina, non è il Cristo stesso ma suo rappresentante non unico! E la resistenza romana in Africa del Nord, cui partecipò lo stesso Agostino, era anche mossa dalle esigenze particolari del luogo. L'Africa necessita sempre di un forte argine civile all'esuberanza naturale, indipendentemente dall'interpretazione storica data da Paolo ai romani, a prescindere cioè della prima vicenda ebraica-giudaica da Adamo a Mosè a Cristo, dei vestimenti usati per pudore e del Cam preda dell'imbarazzo fino al servilismo coi fratelli. Le esigenze del Continente Africano non sono quelle delle restanti parti del mondo.
Dicendo di Quarto Mondo si può e si dovrebbe dire del Cristo degli amerindi, che non reca la vicenda dei paramenti civili e del ruotare del peccato attorno al distacco dalla sessualità primitiva... E un indumento che in Africa difende da insetti importuni, altrove ne scatena l'invasione. La premessa storica del cristianesimo possibile per il Quarto Mondo degli Indiani del Nord, non del tutto limitati al solo Settentrione americano, è geograficamente individuata nelle Isole del Pacifico dove un altro apparire di Cristo risulta essere accaduto. Ciò risultava proprio alla stessa Missione Cattolica (ne registrò in suoi resoconti teologici, senza prenderne atto, il missionario A. Peelman)! Non c'è solo la Palestina delle consuetudini semite o semitiche, degli esempi biblici diretti.

Quale eros, quale agape? Come riconoscere la funzione erotica dell'Agape se un eros viene confuso con un altro?
Davvero il nostro mondo europeo, occidentale, entro cui una grecità forte, si è potuto identificare direttamente negli esempi biblici? Davvero il clero cattolico non ne è in conflitto millenario?
Dunque c'è il pericolo di un'ombra al sèguito delle giuste affermazioni dell'ultimo Pontefice.
Il filosofo Benedetto Croce, che riconosceva un cristianesimo non istituzionale decisivo in Europa e che era per questo stato eletto a grande nemico dal clero cattolico, metteva in guardia e invitava a capire, accanto alla ufficialità, quali fossero le non ufficialità dello Stato del Vaticano. La bonarietà che viene esibita in suddetto trailer è degna di fiducia? O le testimonianze contenute in esso coprono un'altra vicenda? Il credito attribuito alla Chiesa Cattolica in Perù è neutrale, o ha ingiustamente sopravanzato altri messaggi cristiani diversi?
I progressi dell'ecumenismo cristiano invitano a temere le attestazioni di universalità, a smascherarne le eventuali pretese universalistiche. La filosofia contemporanea è già pronta per questo.


MAURO PASTORE
#54
Citazione di: iano il 18 Giugno 2025, 00:37:32 AMCredo che la scelta della fede in Dio sia accessoria a una fede ben più potente, che non hai scelto e non sai di avere, ben più difficile da ritrattare. E' quella che produce l'evidenza della realtà, che cerchi di giustificare con Dio o ti limiti a prenderne atto.
Più che a un Dio creatore penso a una fede creatrice, a un ''così è se ci credì'', ma senza aver scelto di crederci, come non abbiamo scelto di essere, perchè noi siamo quella fede.


Questa fede che tu dici è meglio definibile come intuizione.
Certo bisogna dare crediti e affidarsi nella vita, ai sensi finanche... ma soltanto la fede in Dio, filosoficamente nell'Assoluto, raggiunge l'obiettivo di una serenità e sicurezza sufficienti.

MAURO PASTORE
#55
Citazione di: iano il 18 Giugno 2025, 08:02:53 AML'episodio biblico, nella lettura di un non credente come me, è fonte di saggezza, laddove ci avverte che ciò in cui crediamo ci può uccidere.
Per cui, se manteniamo fissa la fede, contro ogni ragione, sappiamo già di cosa moriremo.

Bisogna agire in modo ragionevole, ma anche con quella convinzione che solo la fede ti può dare, senza la quale qualunque azione sarebbe inefficace.
Non impariamo allo stesso modo dai tutti i nostri errori. Impariamo di più da quelli che facciamo con convinzione.

Nella Bibbia è descritta la fede che salva, in opposizione al credere nelle apparenze. 
La fede di Abramo è risolutiva ma non per la umana virtù. Restiamo arbitrariamente sospesi fra alternative e questo per il credente significa che la fede senza le opere è morta. Da essa dipendono le opere (come notava con più forza di tutti Lutero) ma senza le opere essa diventa vana (come notava con maggior evidenza degli altri il metodista Wesley).
Se ne ritrova scritto nella Bibbia (Lettera ai Romani, Lettera di Giacomo) e il contemperare le due verità ha segnato i rapporti tra Evangelismo e Cattolicesimo. Lutero aveva difficoltà ad accettare il linguaggio biblico di Giacomo, non così Wesley. Kierkegaard era luterano, ma non si deve credere che il luteranesimo sia una ripetizione dei pensieri del padre della Riforma.

MAURO PASTORE
#56
Citazione di: Jacopus il 18 Giugno 2025, 00:22:05 AMAmmetto di non conoscere Kierkegaard, se non attraverso le antologie del liceo, ma forse proprio da lì è nato il mio sguardo sospettoso. Ritengo, secondo una modalità ellenistica e quindi precristiana che sia possibile essere contemporaneamente (o in tempi diversi della propria vita) esteti, etici e religiosi. Questa visione simile a quella del "progresso positivista", (dal laido esteta al perfetto religioso) non mi convince. Però è anche possibile che queste mie divagazioni siano prive di fondamento. Chiedo a chi ne sa più di me, di raccontarmi meglio, anche perché K. è uno dei padri filosofici dell'esistenzialismo e quindi non è certo un filosofo da quattro soldi (ammesso che ne esistano).
E' importane capire la distinzione tra stadi della vita filosoficamente definiti e fasi della vita psicologicamente, biologicamente, fisiologicamente definite.
Estetica ed etica non sono annullate o abbandonate nel passaggio da una stadio all'altro fino al terzo religioso. E' molto importante capire che Kierkegaard non si riferiva alla religiosità convenzionale delle istituzioni ecclesiastiche o dei riti e culti diffusi.
Diceva di rapporto assoluto con l'Assoluto, come compimento della relazione etica a sua volta compimento del nesso estetico. Nel primo stadio prevarrebbe la disperazione (e la malattia) se non si provvedesse a passare autonomamente al secondo, ma questo si risolverebbe in un fallimento esistenziale (ed amoroso) se non ci si abbandonasse al terzo. Tuttavia si deve pensare la successione come un allargamento.
L'estetica resta dentro l'etica ed entrambe sono nel rapporto assoluto con l'Assoluto.


MAURO PASTORE
#57
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
20 Giugno 2025, 12:03:18 PM
Citazione di: bobmax il 10 Maggio 2024, 14:13:40 PMChe uno psichiatra sia pure competente in psicologia è evidente.
Mentre lo psicologo non è psichiatra.

Il bene che può derivare dalla lettura di Jaspers è inestimabile.
Ma bisogna fare filosofia.

Nella parte della autobiografia di J. dedicata ai suoi rapporti con H., pubblicata postuma dalla moglie, si può comprendere chi fosse in realtà H.
Jaspers l'aveva tenuta per sé, essendo fin troppo un signore.

Interessante il colloquio tra i due, quando H. era andato a trovarlo per conoscerne il parere del suo Essere e tempo, ancora non pubblicato.
Le domande perplesse di J. e le non risposte di H. dicono tutto del personaggio.

Comunque è inutile insistere, visto che è evidente che nulla di Jaspers sai.
Gli psicologi sono competenti anche in psichiatria perché tale iatria è appunto della psiche. La medicina non è un'azione esoterica. Inoltre lo psichiatra lavora in àmbito tecnico o secondo ordine tecnico e questi discendono dal piano scientifico, nella fattispecie psicologico, non viceversa. Le competenze degli psichiatri in psicologia vengono dallo studiarla, non dal poterla valutare psichiatricamente. Lo psicologo invece valuta la psichiatria ed in tal senso la studia, cioè non la acquisisce e replica nella sua prassi psicologica ma la considera esternamente - ed anche obiettivamente però.

L'utente "bobmax" dice che io nulla so di Jaspers.
Io avevo fatto obiezioni etiche al suo operato, mostrando che nella sua posizione abbandonarsi o restare ai falsi miti sulla pazzia è un gigantesco sproposito che mostra una partecipazione parziale alla stessa filosofia ed anche alla vera medicina.

MAURO PASTORE
#58
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
20 Giugno 2025, 11:53:24 AM
Citazione di: niko il 10 Maggio 2024, 14:58:34 PMNon esiste, una valutabilita' della metafisica "al di la' ", appunto... della sua funzione, umana e storica.

Il mondo, ha gia' un orizzonte. Non e' un tutto, se non a chiacchiere.
Ma non e' nemmeno detto, che il suo essere solo potenzialmente un tutto, se si potesse prescindere dal suo intrinseco orizzonte, sia, o faccia, problema.





L'aldilà è nozione che ha senso relativo, relativamente a un aldiquà. Se si fa riferimento ad assoluta totalità, essa perde di significato; ma è da vedere cosa può significare e quando la nozione di Tutto.
Jaspers per esempio indicava un tutto avvolgente che non può essere un vero Tutto. Ad assolutizzare incautamente totalità e tutto non si intende più la limitatezza delle nostre percezioni, del nostro pensare la realtà. Noi pensiamo alla totalità e al tutto in quanto scorgiamo un aldilà.

MAURO PASTORE
#59
Tematiche Filosofiche / Re: METAFISICA DELL'ESSERE
20 Giugno 2025, 11:46:17 AM
Citazione di: iano il 10 Maggio 2024, 16:07:46 PML'uno è in sostanza un modo di trascendere la metafisica dell'essere che rende il mondo in cui viviamo meno rigido e più plasmabile, dove diversamente ogni essente è un paletto piantato nel terreno in modo indelebile, fra cui dover fare slalom, uno slalom la cui fatica col tempo diventa insostenibile.
Qui si leggerebbe: Platone versus Parmenide... Ma l'eclettismo neoplatonico ha mostrato possibile compatibilità di Uno ed Essere assoluti.
La tesi di una nozione di Essere omologante è stata espressa nel Secolo XX° da Levinas, non senza evitare coinvolgimenti indebiti, dato che c'è una ontologia non prepotente. Neanche Parmenide lo era e il dissidio di Platone con lui era diverso. Certe volte si scorge terribile prepotenza logica nelle critiche di Severino ad Occidente, Cristianesimo e Filosofia, soprattutto in alcuni suoi riferimenti all'attualità in cui gli enti sono reificati facendo della corrispondenza alle cose una identità. Ciò significa omologare la realtà alle proprie pretese giudicanti. D'altronde l'idea di ritornare all'affermazione dell'essere che è, del non essere del non essere, è buona; solo che Severino lo fa dimenticando che una prospettiva immanente ha dei forti limiti...
Perciò consiglierei di valutare la metafisica esistenziale di G. Bontadini, dove non è possibile alcuna affermazione omologante né la dimenticanza dell'Essere (questa nozione all'ebreo Lévinas non poteva interessare molto ma per il mondo cristiano della Rilevazione non è lo stesso).

MAURO PASTORE
#60
Ho completato l'espressioni del testo della mia risposta, che intendevo dare brevemente, invece poi finendo col dilungarmi. E' una replica, la mia, istruttiva, con valore sociale di diplomazia... una rarità, anche culturale, che meritava spazio e impegno.

MAURO PASTORE