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Messaggi - iano

#61
Citazione di: daniele22 il 09 Ottobre 2025, 10:27:46 AM
Bella immagine, accattivante, ovvia, ma scollata dalla realtà. Eraclito o chi per esso è stato molto più contenuto nella sua formula.
Portando infatti quel pensiero alle sue conseguenze si giungerebbe a negare la forza della storia che fatalità è quella che causa il divenire.
Si, mi sono allargato, è vero. :))
E' la costanza nel divenire che ci da un aggancio alla realtà, perchè è grazie a ciò che la possiamo descrivere, fissando un nome per ciò che muta.
Il fiume è diverso ma il nome è lo stesso, e ciò vale anche per chi vi si bagna, il quale per potervisi bagnare deve avere un nome che non cambia.
Quale termine richiama di più il mutamento se non ''energia'', eppure l'energia è ciò che trasformandosi non muta in quantità.
Lo stesso vale per le forze, per cui se ad ogni azione corrisponde un azione uguale e contraria, la loro somma fa sempre zero.
Non c'è quindi una risultante positiva della somma delle forze nell'universo che lo possa spingere, in accordo col fatto che non avrebbe alcun posto dove andare.
Lo stesso tempo, che sembra sfuggire a questa legge, lo misuriamo con un moto che costantemente si ripete.

Essere e divenire vanno più d'accordo di quanto si pensi.
Chissà quindi che alla fine conservatori e progressisti, con la loro opposizione, non la smettano di rompere eternamente le sfere.

#62
Ma la vera discussione dovrebbe iniziare quando tutti si saranno rassegnati a non poter comprendere, non perchè ritardati, ma perchè non c'è nulla da capire.
Motivo per chi Bohr, si chiedeva cosa avessero davvero capito coloro che affermavano di averla capita.
Più esattamente affermava che non l'aveva capita chi dichiarava di averla capita.
Quindi, cosa avevano capito davvero?
Mah, vallo a sapere. :))
Evidentemente tanto è il nostro desiderio di comprendere, che li ha fatti stravedere, e alla fine dovremo realizzare di dover accantonare questo nostro desiderio, e che è iniziata davvero una nuova era per noi e per la nostra filosofia.

Siamo alle soglie di una nuova rivoluzione tecnologica, di cui è difficile immaginare la portata rivoluzionaria, i computer quantistici, e noi ancora non ci abbiamo capito nulla di questa meccanica quantistica, ma se può consolare non ci hanno capito nulla neanche quelli che li stanno costruendo, eppure li stanno costruendo.

Quale nuova filosofia può venire fuori da tutto ciò?
Non lo so, ma qualcosa verrà fuori, perchè la filosofia, come il pensiero, non si arresta mai, essendo in effetti solo  il resoconto del nostro lavoro mentale, che può essere sostituito anche dall'AI, ma non esaurito.
Semplicemente il nostro cervello, grazie alla sua plasticità si riaccomoderà diversamente, come ha sempre fatto.
#63
Citazione di: fabriba il 08 Ottobre 2025, 16:36:22 PMPerò dandoti ragione il discorso finisce un po' in fretta, quindi mi vado ad arrampicare sugli specchi per un po'  :D

Come ci insegna Wall-e (...si... ::) ) alla fine del film, noi siamo l'accumulo delle nostre esperienze, in particolare la scintilla che ci identifica è la nostra memoria, e se ci viene tolta quella, siamo un'involucro vuoto, che vaga con occhi spenti attraverso un'esistenza forse insensata.
A queste condizioni...ci sto, anche a prendermi le tue gradite lodi. :)
Io il film non l'ho visto, però in accordo col mio precedente post, il termine accumulo non mi scompiscia, perchè il segno che ci lasciano le esperienze, che vale la loro incarnazione, può cancellarsi, mentre ciò che si accumula rimane, fino a riempirci a tappo, per cui alla fine occorrerà togliere qualcosa per recuperare spazio.  :)

Non è la goccia a scavare la roccia, ma il suo ripetersi a lasciare il solco.
E' stato dimostrato dai neuroscienziati che anche l'azione più banale, ticchettare con un dito sul tavolo, modifica il nostro cervello, a riprova della sua estrema plasticità ( prima si pensava che si perdesse dopo il sesto mese di età), ma la persistenza della modifica è proporzionale alla ripetizione del gesto. La modifica allora può divenire tale da essere considerata ''permanente'' di fatto, cioè come cosa da cui facilmente non si può prescindere, cosa che a me fa pensare ai gesti istintivi, per cui ti ritrovi a ticchettare il dito sul tavolo senza averlo deciso.
L'esempio è un pò barbaro, ma spero chiaro nella sua banalità.
L'istinto può considerarsi cosa non degna degli uomini, ma, pur nella sua imperfezione, non se ne può prescindere, perchè le azioni coscienti richiedono un tempo di cui non sempre disponiamo, ciò che rende la coscienza inefficace in certi casi.
Cioè la coscienza non è una cosa buona in se.
Va usata quando serve, e in effetti la usiamo molto meno di quanto non ci piaccia pensare, e ci piace pensarlo perchè ce ne sentiamo nobilitati.

Se la usassimo in pianta stabile vivremmo in un mondo fatto di suoni, e in effetti ci viviamo , ma a nostra insaputa, mentre i ciechi ben lo sanno. Per gli altri invece il senso principale è la vista, per quello che ne sanno, ed è per questi altri, e solo per loro, che la realtà appare nella sua evidenza, evenienza che sembra conclusiva per tante filosofie.
Se riusciamo a immaginare una teoria fisica complicata, anche solo per analogia, ci sembra allora di averla compresa, e non ci viene nemmeno in mente di poterla sentire, pur in mancanza di suoni, come immaginiamo in mancanza di di evidenze.
Avrebbe senso una comprensione uditiva? Per noi no, e io concordo.
Ma per contro la comprensione immaginativa ne esce ridimensionata.
Nel senso che se manca, amen.
Almeno questo è ciò a cui ci invita la meccanica quantistica, che non deve essere compresa per essere usata, e questa, dal punto di vista filosofico, è la scoperta del millennio passato, ma ancora in discussione nell'attuale.

#64
Citazione di: Phil il 08 Ottobre 2025, 15:20:39 PM(«se taglio il gambo, la mela cade» è un rapporto causa/effetto che prescinde dallo spazio-tempo di un caso specifico)
Lo spazio-tempo è una relazione fra gli eventi.
Se sono relazionati allora esistono, secondo me, anche se di solito lo si dice in altro modo, e cioè che esistono nello spazio tempo.
E' un modo diverso di dire la stessa cosa, ma che ci fa vedere le cose in modo diverso.
Da questo punto di vista non si può considerare un caso che non esistano cose prive di relazione con altre.
Dire che non esistono cose non relazionate comporta che non esiste la cosa in se, come condizione sine qua non non esiste la relazione.
La realtà non è un semplice accumulo di cose in se, eventualmente relazionate, se non ne esistono prive di relazione.
La distanza temporale e/o spaziale è una loro relazione.
Non possiamo immaginare le cose se non nello spazio, cioè non possiamo immaginarle prive di una relazione, come credo dovremmo poter fare se esistesse davvero la cosa in se.
Essendo lo spazio una relazione che si ripete, cioè comune a tutte le cose, tendiamo però ad astrarla, e questo è il motivo credo per cui tendiamo a parlare di cose in se.
Da questo diverso punto di vista l'esistenza, tolta l'esclusività alla cosa  che esiste in se, assume un nuovo aspetto, e la realtà diventa ciò che ammette di essere descritta come un insieme di cose fra loro in relazione, che non esistono in se, se non come termini della descrizione.
In tali termini noi non conosciamo la realtà, ma solo il modo di manipolarla.
Cioè la conoscenza della realtà non è una condizione necessaria per potervi interagire.
Noi interagiamo con la realtà in nessun modo, a caso, se si vuole, e da tale interazione determiniamo modi per agirvi.
Anche il determinismo acquista qui nuova luce: la realtà permette di interagirvi secondo diversi e determinati modi.

Si può non essere d'accordo, ma in effetti il mio è un tentativo di dire in modo diverso cose su cui in genere si concorda.
Quindi si può eccepire semmai che i diversi modi di dire non siano logicamente equivalenti, anche se sul parlare di equivalenza logica in questi termini tu mi hai bacchettato. :)

Quello che voglio sottolineare è che descrivere la realtà e vederla sono lo stesso tipo di operazione, perchè entrambe ci suggeriscono un modo per interagirvi.
Noi comprendiamo le cose quando le vediamo, o in subordine le immagino, cioè in effetti la comprensione coincide con un modo di descrivere la realtà, anche se a noi non appare come tale. e questo è il motivo per cui le teorie scientifiche non le comprendiamo, perchè è un modo alternativo di descrivere la realtà.
la realtà non è un accumulo di cose in se, perchè essa è ciò che ammette descrizioni, e queste descrizioni non sono univoche, e ogni diversa descrizione è un accumulo di cose diverse fra loro relazionate... e potremmo aggiungere, alcune immaginabili ed altre no, se non fosse che l'immaginazione è un linguaggio descrittivo.

Sono andato fuori tema, lo so.
Siete autorizzati a farlo anche voi. :)
#65
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume, perchè quello che esce dall'acqua è un altro uomo, ma la stessa azione può ripetersi , ed è questa costanza nel divenire che ci consente di fissare un nome per ciò che muta.
Questa è la base di ogni teoria: ''I soggetti dell'azione mutano, ma l'azione rimane''.
E' l'azione che ripetendosi diviene conoscenza, e per questo la scienza correttamente pone la ripetitività a suo fondamento, e ponendola a suo fondamento la provoca, senza aspettare che avvenga, ed è in tal modo si differenzia dalla filosofia naturale:
''Fare caso che la mela cade per farla cadere''.
Ad ogni azione l'uomo cambia, perchè di quella azione gli rimane un segno.

#66
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.
#67
Citazione di: Phil il 07 Ottobre 2025, 21:50:32 PMQuesto è invece il punto in cui Nietzsche, o chi per lui, rischia, come dicevo, di far rientrare la fede metafisica dalla finestra dopo averla fatta uscire dalla porta. Sembrerebbe infatti quasi prospettarsi un ritorno alla maschera dopo lo smascheramento; come dire: «va bene, abbiamo tolto la maschera, ma il nostro toglierla non è ancora abbastanza avanzato al punto da fornircene un'altra». Non è questo il superamento autentico della metafisica; non è il radicamento della critica a costituire il positivo che verrà eventualmente a sua volta criticato (questo positivo è semmai innescato principalmente la "necessità di stare al gioco" di cui sopra).
Prendere coscienza della maschera e toglierla è solo questione di tempo, e di quella che la sostituisce non c'è ancora coscienza.
Nel tempo fra le due cose c'è un affermazione di metafisica, che vale una presa di coscienza di se, ma più precisamente di ciò che si è stati.
Questo smascheramento  ciclico senza fine ha il senso del divenire, positivo se positivo è il divenire.
Non è la conoscenza a darmi un obiettivo etico, la conoscenza si limita a cambiarmi, ed è quindi un uomo nuovo che agisce.
 E' dunque incarnazione istantanea, che non aspetta che io ne prenda coscienza, per potere dimostrare, affermandolo, che ciò sia avvenuto.
In una conoscenza che mi da un obiettivo etico è sottinteso un uomo che non cambia, se non eventualmente il suo comportamento.
Non è così che funziona.
Qualunque azione genera un uomo nuovo, ed è sempre un uomo nuovo ad agire, un uomo nuovo che può avere cognizione solo di ciò che è stato, provando senso del ridicolo per ciò che era.
E' il rinnovarsi di questo senso del ridicolo, che equivale a dare centralità al presente, che non è positivo.
E' la critica che ridicolizza l'oggetto della critica a non essere positiva, e questa finora è stata una costante della critica filosofica.
La tensione verso la verità è fuorviante. La nostra filosofia si limita a determinarci.
Non ci dice cosa dobbiamo fare, ma ciò che siamo, e in base a ciò che siamo possiamo prevedere ciò che faremo.





#68
Noi ci lasciamo sempre sorprendere dagli eventi, ma col senno di poi sappiamo che erano prevedibili a saper leggere bene i tempi che viviamo, di cui quegli eventi sono figli.
Se riesci a farlo, per gli altri diventi un profeta, però chiunque poteva esserlo.
Per leggere il proprio tempo bisogna sapere, e aver la voglia di, uscire dalle abitudini che costituiscono il nostro mondo, cioè avere la capacità di estraniarsi. Diversamente non saremo in grado che di fare profezie di sventura, perchè ogni uscita forzata dal proprio mondo, e in breve il futuro, diventa in se una sventura.
Il nostro, per quanto possa risultare fumoso, di questo tipo di profezie sventurate non ne ha fatte, per quanto ne so.
 
#69
Citazione di: Adalberto il 06 Ottobre 2025, 19:08:23 PMCiao Iano,  mi fai pensare che il discorso possa essere visto da un'angolatura  jazz, intesa come destrutturazione e ricomposizione di questo attrito fra le pluralità del nostro io, che  diventano feconde se questa tensione non si sclerotizza. Ma non mi intendo nemmeno di musica,  quindi è meglio che io non mi accartocci su questo pensiero nato lì per lì per risponderti.
Vero, c'è poco da lodare uno qualsiasi dei componenti del nostro strano cocktail, se preso singolarmente

Questa immagine  musicale  si addice perfettamente a me.
I pensieri nati li per li, per rispondere, sono per me i migliori, perchè non nascono appunto da una posizione sclerotizzata, e inoltre un forum è lo strumento migliore per suonarli.
Hanno si il difetto di essere improvvisati, ma questo non è appunto un difetto per chi ama il jazz.
Le mie risposte sono tutte improvvisate al momento, e non è mai garantita quindi la coerenza, che però posso rilevare a posteriori.
Tutto bene però solo se rilevo coerenza nel progredire.
Se invece mi ripeto, e purtroppo invecchiando succede, è  solo un campanello di allarme a suonare. :))
Però finché ci scambiamo a vicenda temi su cui improvvisare, la jam session continua, anche con suoni  smègi e lombidiosi, ma che servono solo a dar risalto a zìmpani e zirlecchi.
#70
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 18:06:17 PMDi fronte quindi alle sollecitazioni che vengono dal testo di Nietzsche è inutile sia chiedere ironicamente delle risposte – tu non sei in grado di pensare?
Comprendere una profezia non è agevole, ma qui si tratta di constatare quanto la profezia si sia realizzata, tanto da rendercela chiara col senno di poi.
Di tutti gli interessantissimi passi che hai postato mi pare infatti di trovare riscontro nel presente.
Se la tua critica è riferita a me, non si tratta propriamente di pensare con la propria testa, ma avendo pensato con la propria testa, quindi in modo indipendente, riscontrare a posteriore una coincidenza con un pensiero non contemporaneo, quello del nostro, e che perciò mi sembra attuale, uscendo dal suo alone di mistero.
Il rischio diversamente è quello di godere nel crogiolarsi nei misteri.
Tu però, con i tuoi mirati passi scelti, mi pare fai l'operazione contraria, di far chiarezza.
Un scelta non casuale credo, cioè hai scelto quei passi perchè sono entrati in risonanza col tuo ''libero'' pensiero.
Insomma, il valore del nostro non sta certo nell'essersi prestato  fin a fargli dire quel che ci piace, tanto da renderlo così popolare.
Sta nel constatare la realizzazione delle sue profezie, profezie nel senso che sono sorprendenti le sue conclusioni, non possedendo apparentemente tutti gli elementi per farle.
#71
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 18:06:17 PMMa è ancora una volta la conclusione dell'aforisma a colpire: ancora oggi, dice N., rimane un compito del tutto nuovo "incarnare in se stessi il sapere e di renderlo istintivo".
Il compito lo stiamo in effetti svolgendo, e in modo nuovo, non incarnando il sapere, ma rendendolo meccanismo puramente materiale , che non riconosciamo come carne della nostra carne, per quanto possa essere a noi contiguo, fino a farsi protesi, ma che svolge lo stesso ruolo, e per i fatti di cui poteva essere a conoscenza il nostro direi che sia stato profetico, come in effetti amava atteggiarsi.
L'incarnazione, in qualunque forma avvenga, vecchia o nuova, è comunque un processo cosciente con perdita di coscienza finale.
La coscienza è cioè un catalizzatore del processo di incarnazione che non si ritrova nel prodotto finale, la cui funzione storica non può essere quindi sempre recuperata, come quando il prodotto finale è carne letteralmente, anche se dal DNA qualcosa possiamo indurre.
E' il valore da dare alla coscienza che va rivisto, emendato dalla sua natura che è quella di farsi pubblicità da sola.
Ciò equivale a togliere valore all'uomo in quanto essere cosciente, anche perchè tutti gli esseri viventi  sono coscienti, ma si caratterizzano per il diverso uso che ne fanno, usandone quanto basta.
La coscienza non è un valore in sè.
Se fosse un valore in se i suoi prodotti la dovrebbero contenere, mentre invece le macchine, esempio di quei prodotti, non la possiedono.
Oppure, se la coscienza ha un valore, anche la sua mancanza ce l'ha.
#72
Citazione di: Phil il 06 Ottobre 2025, 15:24:36 PMLa versione più corretta sarebbe «passami quella realtà» o «passami quella parte di realtà» (non stiamo infatti chiedendo di passarci tutta la realtà che c'è). Per evitare la confusione babelica che ne conseguirebbe e per assecondare il principio logico di identità (senza cui non può esserci logica, né discorso logico), abbiamo iniziato millenni fa ad usare nomi; proprio come per evitare la confusione sociale abbiamo iniziato ad usare norme, che si sono consolidate in morali, che sono andate in conflitto fra loro, che ora si contaminano nella globalizzazione, etc.
Nella mia analogia la realtà non coincide con gli oggetti, tipo sedie, come la sedia non coincide col suo nome.
Cioè, è una descrizione della realtà a coincidere con l'essere fatta di sedie, ma la realtà non è fatta di sedie perchè non è l'unico modo per descriverla, però possiamo fingere che lo sia.
Abbiamo preso consapevolezza di ciò, o ce ne è stata data la possibilità, quando la scienza ci ha proposto descrizioni alternative non meno efficaci.
Una realtà che si presta ad essere descritta come fatta di cose, se questa descrizione non è univoca, e tutte le descrizioni hanno sostanzialmente pari valore, non è fatta di cose.
La realtà è ciò che si presta ad essere usata come fosse fatta di cose.
Scoperta la finzione, che non è fatta di cose, ritenendola comunque utile, la si adotterà consapevolmente.
Sono consapevole che di solito non si da alle diverse descrizioni sostanziale pari valore, ma questa diventa una complicazione.
Cosa può esserci dietro questa differente attribuzione di valore se non l'attribuzione preconcetta di una finalità?
La descrizione quantistica è alternativa a quella relativistica.
Perchè non possiamo considerare ciò normale?
Quale preconcetto ce lo impedisce?
La risposta è il pregiudizio di verità.
#73
Citazione di: Phil il 06 Ottobre 2025, 13:43:07 PMFaccio come sempre il solito esempio del linguaggio: una volta che ho "scoperto" che «sedia» non è il nome vero, giusto e assoluto di quell'oggetto (che un nome non ce l'ha, fuori dalle prassi dialogiche umane), nondimeno, nella vita vissuta, è pur necessario che io lo chiami in qualche modo se ho bisogno che tu me lo passi (e con un parlante italiano la frase «passami la sedia» solitamente ha un "felice" esito comunicativo). Questa mia scelta linguistica ovviamente non comporta avere fede nel fatto che quell'oggetto si chiami davvero così in assoluto, che quello sia il suo nome vero e giusto, etc. uso quella parola solo per finalità pragmatiche e utilitaristiche, perché funziona, non perché ho fede che sia la verità (anzi so che la verità è un'altra, ma faccio finta di non saperla pur di stare al gioco della comunicazione: quell'oggetto un nome non ce l'ha). Lo stesso può dirsi per le norme etiche: non è necessario «fingere di avere nuova fede in certi valori», si tratto solo di scegliere quali valori usare, in quale contesto e con quali (più o meno prevedibili) conseguenze.
Analogia notevole, che io sarei tentato di estendere dal nome all'oggetto che indica, con la differenza che magari non abbiamo del tutto ancora realizzato che la sedia non è vera, ma solo un modo per accomodarsi nella realtà.
''Passami la realtà'' è la richiesta non verbale analoga al ''passami la sedia'', non verbale ma pur sempre relativa ad un linguaggio, che è quello delle evidenze.
L'apparenza della realtà è cioè un modo inconsapevole di descrivere la realtà a nostro uso.
La scienza, essendo solo un modo alternativo di accomodarsi nella realtà, non ha nulla di sostanzialmente nuovo da offrire alla legge morale.

Per me, da bambino la natura della sedia non era disgiungibile dal suo nome.
Per me, da adulto, la sedia non è disgiungibile dalla natura della realtà, ma in analogia posso sospettare che lo sia.
#74
Citazione di: Kob il 06 Ottobre 2025, 10:30:43 AM"Posto che siano effettuate tutte queste operazioni, comparirebbe in primo piano il più scabroso di tutti i problemi: se la scienza, cioè, sia in grado di fornire obiettivi all'agire, una volta che essa ha dimostrato di poterli raggiungere e demolire — e sarebbe allora [...] un lungo sperimentare di secoli che potrebbe mettere in ombra tutte le grandi opere e i sacrifici della storia finora trascorsa. Sino a oggi la scienza non ha ancora elevato le sue costruzioni ciclopiche: verrà il tempo anche per questo." [Sottolineatura mia].
Le leggi della scienza non possono essere un modello per le norme morali, come sembra sperare il nostro, perchè non hanno alcun obiettivo palese, anche se in tal forma le si può esprimere, come faceva Aristotele, per il quale i corpi provano amore per il loro prossimo, ( il simile ) , dal quale vengono dunque attratti.
Ma alla fine ogni anima è stata esclusa come necessaria alla descrizione del comportamento della materia.
Se le cose vanno come vanno non c'è un motivo, ma semmai da ciò motivi comportamentali si possono trarre.
In tal modo la conoscenza diventa concausa dell'agire, e l'altra causa, quella preponderante, è la natura di chi agisce.
La norma morale è più legata alla natura che alla conoscenza.
La conoscenza semmai, essendo ciò che modifica la nostra natura, solo indirettamente influenza il nostro agire.
Cioè noi siamo sostanzialmente norma del nostro agire, che non può essere assoluta, se noi non lo siamo..



#75
Citazione di: Adalberto il 03 Ottobre 2025, 11:03:07 AME' la tensione che si vive fra due visioni opposte che mi risulta sempre stimolante e che riecheggia quanto avviene nell'individuo stesso, che vive polarizzato fra la propensione alla socialità e il suo opposto intriso di edonismo, egocentrismo e infine anche egoismo. Ma così siamo/sono e si cerca di imparare a navigarci dentro, tentando di uscirne fuori, meditando sugli inevitabili errori conseguenti.
Qui c'è un buono spunto di riflessione.
La tensione in se sarebbe positiva, se non fosse che si tende a quietarla, realizzando la propria socialità, ma restringendola a un partito, che è una via di mezzo fra essere sociali ed essere egoisti.
La cosa ridicola è che questo prender partito non ha motivazioni molto diverse dal decidere di tifare Inter piuttosto che Milan, che è giusto per sentirsi parte di qualcosa.
Cioè, la nostra necessità di socializzazione, non ha necessariamente risvolti da lodare.
Penso che la soluzione sia non prender partito perchè è un modo finto di risolvere le proprie tensioni.
A votare però bisogna andare, perchè è un altra storia.
Cioè, non bisognerebbe andare a votare come quando si va allo stadio a fare il tifo.