Universalismo Vs identità gruppale

Aperto da Jacopus, 02 Ottobre 2025, 15:43:49 PM

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Jacopus

La storia umana, o addirittura una certa interpretazione filosofica della storia potrebbe suddividere l'agire storico sotto due bandiere: la bandiera dell'universalismo e la bandiera dell'identità gruppale (potrebbero esserci e ci sono anche altre bandiere, ma per il momento fermiamoci a questa dicotomia).
La bandiera dell'universalismo è quella che amplia lo sguardo dell'uomo, oltre la sua comunità, la sua tribù e dice che siamo tutti allo stesso livello. Un'idea che nella storia occidentale ha fatto ingresso con l'egemonia dell'impero romano, e culturalmente tramite stoicismo e cristianesimo. Per molti secoli si è assistito alla compresenza di identità gruppale ed universalismo, tramite lo spostamento dell'universale nel metafisico. Con le rivoluzioni liberali, c'è stato un ulteriore passaggio: la laicizzazione dell'universalismo in diritti storici e materiali e la progressiva riduzione/estinzione dei valori metafisici universalistici (che fungevano da stampella o ornamento ai valori gruppali). Questo passaggio ha comportato talvolta la recrudescenza dei valori gruppali pur non eliminando mai del tutto quelli universalistici.
Fatto sta che in un mondo iperconnesso e iperdeterminato globalmente, una visione universalistica permetterebbe di affrontare meglio i problemi che sono problemi universali (riscaldamento globale, inquinamento, desertificazione, concentrazione della ricchezza in una piccola élite), ma questa possibilità è contrastata sia dalla nostra impostazione tribale, antica di migliaia di anni, sia dalle politiche di orientamento dell'opinione pubblica, affinché non si affrontino i problemi in chiave universalistica, poiché questo significherebbe sostanzialmente mettere le mani in tasca a quella élite ormai quasi/sovrannaturale che domina il mondo attuale.

Inoltre non va sottovalutato il problema identitario, il cui nucleo è sempre il riconoscersi in una parte di società e non in un "tutto", tanto vasto quanto informe.

In queste considerazioni strampalate mi viene da dire che è come se si fosse verificata una frattura tra la nostra mente sociale (ancora arcaica, gruppale e tribale) e la tecnologia, che ha già reso il mondo universale, globale e informe.

In questo panorama ecco emergere l'individuo, come portatore di valori unici, lontani e diversi sia da quelli gruppali che da quelli universalistici, con esiti difficili da prevedere. Si tratta ovviamente di tendenze in un quadro dove tutte queste prospettive coesistono ma che lasciano vedere una direzione non esattamente positiva, dal mio minuscolo punto dí osservazione.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

anthonyi

Mettere a confronto universalismo con identità di gruppo é un po' come mettere a confronto ideale con reale. 
Certamente non é un confronto storico, nella storia ci si confronta tra gruppi di uomini o donne, per accordarsi o per confliggere, con risultati spesso a contenuto gruppale, assai Piú raramente universalistico. 
E comunque l'universalismo é quasi sempre un contenuto di facciata, un'affermazione di principi che rimangono scritti su carta perché non c'é nessuno che é realmente motivato a porli in essere.
Io non nego l'importanza dell'universalismo, ma come limite, come modello etico e ideale, senza l'illusione che sia raggiungibile. 
La religione cristiana certamente é universalistica, ce lo hanno insegnato al catechismo che cattolico vuol dire universale,
Ma poi anche li vi sono le identità gruppali, che svolgono il loro ruolo di costruzione di un'architettura sociale.
E' legittimo affermare principi universalistici come ideale, ma é ingannatorio far credere che questi siano realizzabili come fa l'ideologia socialista che fa credere che con la "socializzazione dei mezzi di produzione" si sarebbe ottenuta l'eguaglianza tra gli uomini. 
Meglio morire liberi che vivere da schiavi! 🤗

Jacopus

Sono d'accordo rispetto al fatto che universalismo come egualitarismo è: 1) impossibile, 2) contrario alla teoria evoluzionistica e quindi un fattore critico per la sopravvivenza della specie, 3) foriero di ulteriori problematiche difficili da risolvere e potenzialmente violente allo stesso modo (anche se per altre vie) dell'individualismo.

Resta il fatto che il katholikos che hai citato è già fra noi ma non come messaggio
Evangelico bensì come messaggio tecnologico. Il nostro potere sul pianeta terra è diventato così pervasivo da essere diventato universale e i problemi devono necessariamente essere risolti a livello globale proprio per via dell'interconnessione globale. A fronte di ciò questa interconnessione diventa un campanello di allarme rispetto a tutti gli investimenti identitari che ognuno di noi fa.

Non ho soluzioni e certamente non è una soluzione l'egalitarismo (dove succede sempre che ci sono quelli che sono "più" uguali degli altri). Ma esiste un problema dato dalla frattura dovuta al fatto che i problemi vanno risolti a livello globale/universale ma il nostro "archetipo" umano è ancora un "archetipo" tribale.

Sicuramente credo che avere una visione delle relazioni umane in senso più universalistico, aiuti a superare questa aporia, ma senza che questo significhi egualitarismo. Allo stesso tempo affinché abbia un senso occorrerebbe anche smantellare queste differenze di reddito e di occasioni sociali così enormi, che non sono più il frutto del merito, come insegnano tutte le teorie liberiste, ma il frutto dell'appartenenza ad una classe neo-aristocratica.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

daniele22

Bisogna considerare che l'universale da poco più di cent'anni sta diventando una necessità pratica. Il mondo è piccolo e le tribù sono tante, con l'aggiunta che sono poco definibili rispetto a tempo fa. Meglio comunque morire liberi che schiavi

daniele22

Citazione di: Jacopus il 02 Ottobre 2025, 18:10:33 PM.....Non ho soluzioni e certamente non è una soluzione l'egalitarismo (dove succede sempre che ci sono quelli che sono "più" uguali degli altri). Ma esiste un problema dato dalla frattura dovuta al fatto che i problemi vanno risolti a livello globale/universale ma il nostro "archetipo" umano è ancora un "archetipo" tribale.

Sicuramente credo che avere una visione delle relazioni umane in senso più universalistico, aiuti a superare questa aporia, ma senza che questo significhi egualitarismo. Allo stesso tempo affinché abbia un senso occorrerebbe anche smantellare queste differenze di reddito e di occasioni sociali così enormi, che non sono più il frutto del merito, come insegnano tutte le teorie liberiste, ma il frutto dell'appartenenza ad una classe neo-aristocratica.
Ciao Jacopus. Forse dovresti considerare che l'egualitarismo può assumere una foggia diversa. Se siamo uguali siamo uguali nel senso che dovrebbero essere garantite a ciascun individuo le possibilità di parità di aspirazioni "vitali" in ogni istante lungo la sua vita.
Ciò non accade.
Il primo bivio che trovi, secondo me, sarà quello che stabilisce quanto sia opportuno favorire più di tanto il merito e deprecare più di tanto il demerito. Insomma, se uno è già bravo di suo, una volta vinta un'olimpiade e premiatolo, ¿che altro dovrebbe pretendere? Sì accontenti quindi della fortuna che gli consente di essere bravo e di essere stato premiato

Jacopus

Ciao Daniele. Dico più o meno la stessa cosa. In sintesi: troppa uguaglianza non va bene, perché non siamo geneticamente uguali e un mondo di uguali a me sinceramente fa paurissima, troppa diversità non va bene perché si creano caste che non premiano il merito e vivono in modo parassitario. Pensa che questo è il pensiero liberale classico, mentre oggi a dire queste cose si passa quasi per comunisti.
Homo sum, Humani nihil a me alienum puto.

Adalberto

E' la tensione che si vive fra due visioni opposte che mi risulta sempre stimolante e che riecheggia quanto avviene nell'individuo stesso, che vive polarizzato fra la propensione alla socialità e il suo opposto intriso di edonismo, egocentrismo e infine anche egoismo. Ma così siamo/sono e si cerca di imparare a navigarci dentro, tentando di uscirne fuori, meditando sugli inevitabili errori conseguenti.

L'interconnessione tecnologica esprime anche lei delle ambivalenze.
Volendo, grazie all'abbassamento della soglia alle informazioni, può risultare utile strumento (se non anche protesi umana) verso una migliore conoscenza o una più efficace produttività, malgrado la difficoltà di selezionare e verificare le fonti.
Resta il drammatico fatto che il 37% degli italiani adulti (anche laureati, sic) è in grado di comprendere solo  testi brevi e semplici. In una situazione sempre più complessa mi sembra che – fra mille altri fattori - contribuisca a spiegare la formazione di quella neo-aristocrazia di cui scrivi, Jacopus.
Che poi conferma il mio essere stupefatto di fronte all'eterno paradosso umano per cui una piccola élite riesca (anche pacificamente) ad attrarre a sé una moltitudine di gente (ceti sociali piuttosto che che tribali)  i quali – pur esprimendo  bisogni ben diversi se non opposti – si trova a solidarizzare se non anche a identificarsi con loro.
Un vero gioco di "prestigio".
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

daniele22

Francamente penso che si viva già in un mondo a caste, ma questo è solo ciò che vedo io. Capisco lo sfogo Jacopus, ma lascerei stare liberali e comunisti.
Se anche tu pensi che l'ostacolo possa essere quello che ho indicato, sarebbe opportuno chiedersi come mai sussista questa pratica a super premiare il merito, giacché le cose non accadono per caso e al tempo stesso sembra che non si possano cambiare per semplice volontà.. ci sarebbe cioè una forza che ostacola tale volontà

Adalberto

Citazione di: daniele22 il 03 Ottobre 2025, 08:35:17 AM.... Se siamo uguali siamo uguali nel senso che dovrebbero essere garantite a ciascun individuo le possibilità di parità di aspirazioni "vitali" in ogni istante lungo la sua vita.
Ciò non accade.....
Garantire posizioni egualitarie di "partenza" risulta già difficile ora, ma sicuramente  è un obiettivo verso cui tendere con fermezza. Ne siamo lontanissimi e forse stiamo anche peggio di mezzo secolo fa.
 Ma "garantire" parità di aspirazioni vitali "in ogni istante"  lungo "la sua vita" mi pare non tanto irrealistico (e lo è) , o assistenzialistico (e lo è), quanto paralizzante i meccanismi dell'ampio  ascensore sociale che bisogna far funzionare  nella società odierna.
 
Mi fai venire in mente, Daniele, quella bella frase che mi entusiasmò da adolescente e che tuttora ogni tanto rispolvero " da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni".  
La definisco bella perché ha un forte senso estetico. E' un'immagine fortissima,  ma non un utensile che faccia davvero funzionare la società.
Forse si potrebbe integrarla con un vecchio adagio kennediano, ma  con una mia piccola aggiuntina..
" Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, ma chiediti cosa puoi fare per il tuo paese.... e anche per te stesso."
 
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

daniele22

Citazione di: Adalberto il 03 Ottobre 2025, 15:36:31 PMGarantire posizioni egualitarie di "partenza" risulta già difficile ora, ma sicuramente  è un obiettivo verso cui tendere con fermezza. Ne siamo lontanissimi e forse stiamo anche peggio di mezzo secolo fa.
 Ma "garantire" parità di aspirazioni vitali "in ogni istante"  lungo "la sua vita" mi pare non tanto irrealistico (e lo è) , o assistenzialistico (e lo è), quanto paralizzante i meccanismi dell'ampio  ascensore sociale che bisogna far funzionare  nella società odierna.
 
Mi fai venire in mente, Daniele, quella bella frase che mi entusiasmò da adolescente e che tuttora ogni tanto rispolvero " da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni". 
La definisco bella perché ha un forte senso estetico. E' un'immagine fortissima,  ma non un utensile che faccia davvero funzionare la società.
Forse si potrebbe integrarla con un vecchio adagio kennediano, ma  con una mia piccola aggiuntina..
" Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, ma chiediti cosa puoi fare per il tuo paese.... e anche per te stesso."

Ciao Adalberto, per forza sarebbe già difficile ora, perché gravitiamo all'interno del modello economico attuale. Allora si pensa che il metro di valutazione per risolvere i problemi stia nell'equa retribuzione (paga). Però, secondo me, il contestuale e odierno sfascio istituzionale (giustizia e scuola tanto per dirne due) non sarebbe influenzato più di tanto dalle paghe basse.
Se infine pensi che sarebbe un obiettivo verso cui tendere con fermezza, dovresti allora considerarlo (con fermezza) nulla più che una prospettiva sulla quale tessere le varie politiche

Adalberto

Capisco quanto  il tema economico ti stia più a cuore, Daniele:  è sicuramente importante ma  qui mi sembra collaterale.
Il tema primario credo sia la contrapposizione (che è anche relazione) fra l'idea di una umanità universale e quella di una identità di gruppo, che però -  spesso – ha la pretesa di diventare essa stessa universale.
E talvolta ci riesce, convincendo gli altri, magari la maggioranza, che quell'identità di gruppo (ristrettamente elitario,  piuttosto che collettivo) esprime davvero un valore universale!
Ho l'impressione che la creazione dell'identità di gruppo (oggigiorno  nazionale o politica, ma prima ancora confessionale,  piuttosto che etnica) si fondi su un qualsiasi rito collettivo, ovvero quello in cui la folla diventa "soggetto" (attraverso  percorsi  psicologici evidenziati ai tempi  da Le Bon) e quindi crogiolo produttivo di  una immagine di pensiero, cioè una fede, nonché primario processo  di trasmissione di questo  sentire, che si fa (credere) universale in quanto virulento.

Per certi versi la tecnologia è stata a fianco e concausa di  questo processo prevalentemente umano.
Il ferro, inizialmente più morbido del bronzo,  ha  sconfitto quest'ultimo (e anche l'ideologia di una società/nazione/civiltà che si era costituita intorno) perché la tecnologia di allora aveva  scoperto come ottenere l'elevatissimo  punto di fusione di una singola materia-prima, molto più accessibile. Invece per realizzare il bronzo ne servivano due di materie prime  (stagno e rame) le quali abbisognavano  di  una complessa catena logistica per i rifornimenti da terre lontanissime dalla Grecia, ad esempio le isole britanniche.
In parole povere la tecnologia aveva abbassato la soglia di accessibilità ad un materiale (il ferro) che inizialmente non era migliore del bronzo (lo diventerà tecnicamente in seguito), ma solo più facilmente diffondibile in quanto più accessibile localmente.
Se allora la tecnologia si esprimeva come braccio armato di una identità (tribale, religiosa, etnica, e più recentemente nazionale)  ora la tecnologia con la sua accessibilità e immediatezza aiuta più civilmente a conquistare le menti. Perché quest'ultime sono sempre fragili, in quanto fondate sull'ambiguità delle loro contraddizioni.

E allora dove riporre la speranza di poter uscire da questi labirinti?
Direi nel tanto  bistrattato individuo, perché è da lui/lei che emerge un senso critico, un punto di vista che matura proprio dalle sue inesauste ma creative contraddizioni interne/esterne. Un senso critico che nel dialogo con altri individui si riempie di contenuti, di proposte, spesso destabilizzanti la collettività stessa, nonché l'dea di universaliità che quest'ultima pretende spesso di  esprimere.
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

iano

#11
Citazione di: Adalberto il 03 Ottobre 2025, 11:03:07 AME' la tensione che si vive fra due visioni opposte che mi risulta sempre stimolante e che riecheggia quanto avviene nell'individuo stesso, che vive polarizzato fra la propensione alla socialità e il suo opposto intriso di edonismo, egocentrismo e infine anche egoismo. Ma così siamo/sono e si cerca di imparare a navigarci dentro, tentando di uscirne fuori, meditando sugli inevitabili errori conseguenti.
Qui c'è un buono spunto di riflessione.
La tensione in se sarebbe positiva, se non fosse che si tende a quietarla, realizzando la propria socialità, ma restringendola a un partito, che è una via di mezzo fra essere sociali ed essere egoisti.
La cosa ridicola è che questo prender partito non ha motivazioni molto diverse dal decidere di tifare Inter piuttosto che Milan, che è giusto per sentirsi parte di qualcosa.
Cioè, la nostra necessità di socializzazione, non ha necessariamente risvolti da lodare.
Penso che la soluzione sia non prender partito perchè è un modo finto di risolvere le proprie tensioni.
A votare però bisogna andare, perchè è un altra storia.
Cioè, non bisognerebbe andare a votare come quando si va allo stadio a fare il tifo.
Lo stesso uomo non può bagnarsi due volte nello stesso fiume.

daniele22

Citazione di: Adalberto il 04 Ottobre 2025, 12:38:25 PMCapisco quanto  il tema economico ti stia più a cuore, Daniele:  è sicuramente importante ma  qui mi sembra collaterale.
Il tema primario credo sia la contrapposizione (che è anche relazione) fra l'idea di una umanità universale e quella di una identità di gruppo, che però -  spesso – ha la pretesa di diventare essa stessa universale.
E talvolta ci riesce, convincendo gli altri, magari la maggioranza, che quell'identità di gruppo (ristrettamente elitario,  piuttosto che collettivo) esprime davvero un valore universale!
Ho l'impressione che la creazione dell'identità di gruppo (oggigiorno  nazionale o politica, ma prima ancora confessionale,  piuttosto che etnica) si fondi su un qualsiasi rito collettivo, ovvero quello in cui la folla diventa "soggetto" (attraverso  percorsi  psicologici evidenziati ai tempi  da Le Bon) e quindi crogiolo produttivo di  una immagine di pensiero, cioè una fede, nonché primario processo  di trasmissione di questo  sentire, che si fa (credere) universale in quanto virulento.

Per certi versi la tecnologia è stata a fianco e concausa di  questo processo prevalentemente umano.
Il ferro, inizialmente più morbido del bronzo,  ha  sconfitto quest'ultimo (e anche l'ideologia di una società/nazione/civiltà che si era costituita intorno) perché la tecnologia di allora aveva  scoperto come ottenere l'elevatissimo  punto di fusione di una singola materia-prima, molto più accessibile. Invece per realizzare il bronzo ne servivano due di materie prime  (stagno e rame) le quali abbisognavano  di  una complessa catena logistica per i rifornimenti da terre lontanissime dalla Grecia, ad esempio le isole britanniche.
In parole povere la tecnologia aveva abbassato la soglia di accessibilità ad un materiale (il ferro) che inizialmente non era migliore del bronzo (lo diventerà tecnicamente in seguito), ma solo più facilmente diffondibile in quanto più accessibile localmente.
Se allora la tecnologia si esprimeva come braccio armato di una identità (tribale, religiosa, etnica, e più recentemente nazionale)  ora la tecnologia con la sua accessibilità e immediatezza aiuta più civilmente a conquistare le menti. Perché quest'ultime sono sempre fragili, in quanto fondate sull'ambiguità delle loro contraddizioni.

E allora dove riporre la speranza di poter uscire da questi labirinti?
Direi nel tanto  bistrattato individuo, perché è da lui/lei che emerge un senso critico, un punto di vista che matura proprio dalle sue inesauste ma creative contraddizioni interne/esterne. Un senso critico che nel dialogo con altri individui si riempie di contenuti, di proposte, spesso destabilizzanti la collettività stessa, nonché l'dea di universaliità che quest'ultima pretende spesso di  esprimere.
Il topic inizia con questo post:
"La storia umana, o addirittura una certa interpretazione filosofica della storia potrebbe suddividere l'agire storico sotto due bandiere: la bandiera dell'universalismo e la bandiera dell'identità gruppale (potrebbero esserci e ci sono anche altre bandiere, ma per il momento fermiamoci a questa dicotomia)".
Il post termina cosi:
"...In questo panorama ecco emergere l'individuo, come portatore di valori unici, lontani e diversi sia da quelli gruppali che da quelli universalistici, con esiti difficili da prevedere. Si tratta ovviamente di tendenze in un quadro dove tutte queste prospettive coesistono ma che lasciano vedere una direzione non esattamente positiva, dal mio minuscolo punto dí osservazione."
Tralasciando la parte finale sono intervenuto con:
"Bisogna considerare che l'universale da poco più di cent'anni sta diventando una necessità pratica. Il mondo è piccolo e le tribù sono tante, con l'aggiunta che sono poco definibili rispetto a tempo fa."
Allora, un conto è la pretesa di universale espressa ai tempi quando non erano noti i confini del mondo, altro conto è la pretesa di universale che si è espressa ad esempio con la prima Esposizione universale o l'istituzione dell'ONU. Questo fattore è determinante. Dobbiamo dunque continuare a sprecare energie inutili per fare sì che ci si possa continuare a guardare in cagnesco? Siamo proprio così diversi tra noi umani? In questa domanda si esprime una parte del concetto che ho di economia. Pertanto l'economia non sarebbe collaterale, bensì centrale.
Torno quindi al finale del tuo post:
"...E allora dove riporre la speranza di poter uscire da questi labirinti?
Direi nel tanto  bistrattato individuo, perché è da lui/lei che emerge un senso critico, un punto di vista che matura proprio dalle sue inesauste ma creative contraddizioni interne/esterne. Un senso critico che nel dialogo con altri individui si riempie di contenuti, di proposte, spesso destabilizzanti la collettività stessa, nonché l'dea di universaliità che quest'ultima pretende spesso di  esprimere."
Siamo qui per questo, almeno si spera ... io una via te l'ho indicata e tu hai detto che è un punto fermo, posso raffinarla.. la prospettiva di cui parlo dice che sono per nulla favorevole a un'etica (distinta dalla morale) che piove dall'alto, tanto che la pioggia giunga da teologi, da scienziati, filosofi, partiti o persons of good standing in the community (Dio stramaledica gli inglesi). Nessuna elite può stabilire priorità d'azione. Certo, la scienza deve compiere il suo lavoro per discernere sulle priorità. Però si parte da oggi col potere che piove dall'alto.
Non so cosa tu intenda con conquistare le menti, ma nella migliore delle ipotesi nutro parecchi dubbi sulle attuali capacità di a.i. di stare alla pari con l'intelligenza umana, e al tempo stesso la percepisco un po' inquietante. Ma non è certo questo il tema del topic
Saluti


Adalberto

Citazione di: iano il 04 Ottobre 2025, 23:47:14 PMQui c'è un buono spunto di riflessione.
La tensione in se sarebbe positiva, se non fosse che si tende a quietarla, realizzando la propria socialità, ma restringendola a un partito, che è una via di mezzo fra essere sociali ed essere egoisti.
La cosa ridicola è che questo prender partito non ha motivazioni molto diverse dal decidere di tifare Inter piuttosto che Milan, che è giusto per sentirsi parte di qualcosa.
Cioè, la nostra necessità di socializzazione, non ha necessariamente risvolti da lodare.
Penso che la soluzione sia non prender partito perchè è un modo finto di risolvere le proprie tensioni.
A votare però bisogna andare, perchè è un altra storia.
Cioè, non bisognerebbe andare a votare come quando si va allo stadio a fare il tifo.
Ciao Iano,  mi fai pensare che il discorso possa essere visto da un'angolatura  jazz, intesa come destrutturazione e ricomposizione di questo attrito fra le pluralità del nostro io, che  diventano feconde se questa tensione non si sclerotizza. Ma non mi intendo nemmeno di musica,  quindi è meglio che io non mi accartocci su questo pensiero nato lì per lì per risponderti.
Vero, c'è poco da lodare uno qualsiasi dei componenti del nostro strano cocktail, se preso singolarmente
.
Quando usciamo dal nostro microcosmo, questo stesso atteggiamento potrebbe essere valido per affrontare questioni umane più universali,  o i rapporti con i nostri simili?  
Volendo   auto rispondermi,  direi più no che sì, anche se qualche sforzo in più meriterebbe farlo sempre. Ma dipende anche dalle situazioni
Votare poi è un'operazione tutto sommato asettica, mentre vivere a fianco o a fronte di altri, sicuramente (mi) risulta più complicato, ancor più quando inseriti in un qualche ambito sociale, piccolo, grande o istituzionale.
Dai contrasti esce qualcosa di interessante se accompagnato dalla perdita o anche solo dallo sbiadimento di identità che precedentemente risultavano rigidamente definite, statiche e  tradizionali.
In ogni caso  non credo  che  il giusto stia nel mezzo, supposto che esista. Sia l'uno che l'altro, intendo.  
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

Adalberto

Citazione di: daniele22 il 05 Ottobre 2025, 08:19:55 AM... Dobbiamo dunque continuare a sprecare energie inutili per fare sì che ci si possa continuare a guardare in cagnesco? Siamo proprio così diversi tra noi umani? In questa domanda si esprime una parte del concetto che ho di economia. Pertanto l'economia non sarebbe collaterale, bensì centrale...
Ciao Daniele. le mie parole "qui mi sembra collaterale"  erano anche autoreferenziali, il qui indicava anche la testa in cui frullavano pensieri su questo argomento. Sono stato ambiguo, sorry

Per tornare alla tua domanda qui sopra forse sono le varie situazioni ambientali  che ci rendono diversi anche se siamo uguali. il nostro corpo mente è sostanzialmente uguale a quello dei   nostri progenitori che a spanne 12.000 anni fa hanno iniziato la prima delle grandi rivoluzioni: quella agricola. Quante generazioni sono seguite? Facciamo 400?  troppo poche per adeguarci al mondo che ci siamo creato intorno che corre sempre più veloce della nostra capacità di adattamento.
Siamo più lenti di quanto realizziamo

Su etica e morale non sono in grado si spendere parole. Che poi sono le parole, le storie che ascoltiamo sin da piccoli  quelle che conquistano le menti per imprimerci i punti di vista per orientare opinioni che magari sentiamo genuine.. . Perfino il modo di scrivere sillabando lettera per lettera sembra che orienti i  nostri pensieri diversamente da chi scrive ideogrammi.  Anche se si cerca di uscire o rompere questi gusci rivoltandoci in un modo o nell'altro non so quanto valga in termini di risultati, ma vale sicuramente lo sforzo di tentarci. In primis, individualmente. ma solo  perché non ho grandi visioni...
Poi ogni tanto, in certe (rare?) fasi storiche, quegli sforzi si scoprono essere un sentimento collettivo, primo di steccati e  confini.  Per me baby boomer,  la fine degli anni '60 è stato un periodo esemplare: un'esperienza spontaneamente universalista che è durata una decina d'anni. Poi ognuno per la sua strada, ma con un segno esclusivo dentro, forse.

Siamo più lenti della AI la cui velocità di calcolo cresce esponenzialmente. Non sono tanto interessato indagare se in qualche piccolo ambito creativo siamo o saremo più intelligenti di lei, non mi consolerebbe.
 Al di là delle modalità di utilizzo che possiamo farne per un uso "intelligente", c'è  da preoccuparsi prioritariamente della concentrazione di potere di chi  la produce, gestisce e soprattutto programma i suoi protocolli di selezione delle informazioni da elaborare  per poi filtrarne i risultati agli utenti.   Non so se riesco a esprimere quanto potere ci sia in questo processo che coinvolgerà solo un numero limitato di costosissime e complesse intelligenze generative. Che  diventeranno la più grande macchina produttrice di cultura, con cui sarò difficile competere. Ma mi accorgo che stasera devo aver mangiato  mangiato troppo: la cattiva digestione mi sta facendo diventare distopico. :)
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi...
ma oggi è un giorno a zìmpani e zirlecchi.
(Fosco Maraini)

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