La storia umana, o addirittura una certa interpretazione filosofica della storia potrebbe suddividere l'agire storico sotto due bandiere: la bandiera dell'universalismo e la bandiera dell'identità gruppale (potrebbero esserci e ci sono anche altre bandiere, ma per il momento fermiamoci a questa dicotomia).
La bandiera dell'universalismo è quella che amplia lo sguardo dell'uomo, oltre la sua comunità, la sua tribù e dice che siamo tutti allo stesso livello. Un'idea che nella storia occidentale ha fatto ingresso con l'egemonia dell'impero romano, e culturalmente tramite stoicismo e cristianesimo. Per molti secoli si è assistito alla compresenza di identità gruppale ed universalismo, tramite lo spostamento dell'universale nel metafisico. Con le rivoluzioni liberali, c'è stato un ulteriore passaggio: la laicizzazione dell'universalismo in diritti storici e materiali e la progressiva riduzione/estinzione dei valori metafisici universalistici (che fungevano da stampella o ornamento ai valori gruppali). Questo passaggio ha comportato talvolta la recrudescenza dei valori gruppali pur non eliminando mai del tutto quelli universalistici.
Fatto sta che in un mondo iperconnesso e iperdeterminato globalmente, una visione universalistica permetterebbe di affrontare meglio i problemi che sono problemi universali (riscaldamento globale, inquinamento, desertificazione, concentrazione della ricchezza in una piccola élite), ma questa possibilità è contrastata sia dalla nostra impostazione tribale, antica di migliaia di anni, sia dalle politiche di orientamento dell'opinione pubblica, affinché non si affrontino i problemi in chiave universalistica, poiché questo significherebbe sostanzialmente mettere le mani in tasca a quella élite ormai quasi/sovrannaturale che domina il mondo attuale.
Inoltre non va sottovalutato il problema identitario, il cui nucleo è sempre il riconoscersi in una parte di società e non in un "tutto", tanto vasto quanto informe.
In queste considerazioni strampalate mi viene da dire che è come se si fosse verificata una frattura tra la nostra mente sociale (ancora arcaica, gruppale e tribale) e la tecnologia, che ha già reso il mondo universale, globale e informe.
In questo panorama ecco emergere l'individuo, come portatore di valori unici, lontani e diversi sia da quelli gruppali che da quelli universalistici, con esiti difficili da prevedere. Si tratta ovviamente di tendenze in un quadro dove tutte queste prospettive coesistono ma che lasciano vedere una direzione non esattamente positiva, dal mio minuscolo punto dí osservazione.
Mettere a confronto universalismo con identità di gruppo é un po' come mettere a confronto ideale con reale.
Certamente non é un confronto storico, nella storia ci si confronta tra gruppi di uomini o donne, per accordarsi o per confliggere, con risultati spesso a contenuto gruppale, assai Piú raramente universalistico.
E comunque l'universalismo é quasi sempre un contenuto di facciata, un'affermazione di principi che rimangono scritti su carta perché non c'é nessuno che é realmente motivato a porli in essere.
Io non nego l'importanza dell'universalismo, ma come limite, come modello etico e ideale, senza l'illusione che sia raggiungibile.
La religione cristiana certamente é universalistica, ce lo hanno insegnato al catechismo che cattolico vuol dire universale,
Ma poi anche li vi sono le identità gruppali, che svolgono il loro ruolo di costruzione di un'architettura sociale.
E' legittimo affermare principi universalistici come ideale, ma é ingannatorio far credere che questi siano realizzabili come fa l'ideologia socialista che fa credere che con la "socializzazione dei mezzi di produzione" si sarebbe ottenuta l'eguaglianza tra gli uomini.
Sono d'accordo rispetto al fatto che universalismo come egualitarismo è: 1) impossibile, 2) contrario alla teoria evoluzionistica e quindi un fattore critico per la sopravvivenza della specie, 3) foriero di ulteriori problematiche difficili da risolvere e potenzialmente violente allo stesso modo (anche se per altre vie) dell'individualismo.
Resta il fatto che il katholikos che hai citato è già fra noi ma non come messaggio
Evangelico bensì come messaggio tecnologico. Il nostro potere sul pianeta terra è diventato così pervasivo da essere diventato universale e i problemi devono necessariamente essere risolti a livello globale proprio per via dell'interconnessione globale. A fronte di ciò questa interconnessione diventa un campanello di allarme rispetto a tutti gli investimenti identitari che ognuno di noi fa.
Non ho soluzioni e certamente non è una soluzione l'egalitarismo (dove succede sempre che ci sono quelli che sono "più" uguali degli altri). Ma esiste un problema dato dalla frattura dovuta al fatto che i problemi vanno risolti a livello globale/universale ma il nostro "archetipo" umano è ancora un "archetipo" tribale.
Sicuramente credo che avere una visione delle relazioni umane in senso più universalistico, aiuti a superare questa aporia, ma senza che questo significhi egualitarismo. Allo stesso tempo affinché abbia un senso occorrerebbe anche smantellare queste differenze di reddito e di occasioni sociali così enormi, che non sono più il frutto del merito, come insegnano tutte le teorie liberiste, ma il frutto dell'appartenenza ad una classe neo-aristocratica.
Bisogna considerare che l'universale da poco più di cent'anni sta diventando una necessità pratica. Il mondo è piccolo e le tribù sono tante, con l'aggiunta che sono poco definibili rispetto a tempo fa. Meglio comunque morire liberi che schiavi
Citazione di: Jacopus il 02 Ottobre 2025, 18:10:33 PM.....Non ho soluzioni e certamente non è una soluzione l'egalitarismo (dove succede sempre che ci sono quelli che sono "più" uguali degli altri). Ma esiste un problema dato dalla frattura dovuta al fatto che i problemi vanno risolti a livello globale/universale ma il nostro "archetipo" umano è ancora un "archetipo" tribale.
Sicuramente credo che avere una visione delle relazioni umane in senso più universalistico, aiuti a superare questa aporia, ma senza che questo significhi egualitarismo. Allo stesso tempo affinché abbia un senso occorrerebbe anche smantellare queste differenze di reddito e di occasioni sociali così enormi, che non sono più il frutto del merito, come insegnano tutte le teorie liberiste, ma il frutto dell'appartenenza ad una classe neo-aristocratica.
Ciao Jacopus. Forse dovresti considerare che l'egualitarismo può assumere una foggia diversa. Se siamo uguali siamo uguali nel senso che dovrebbero essere garantite a ciascun individuo le possibilità di parità di aspirazioni "vitali" in ogni istante lungo la sua vita.Ciò non accade.Il primo bivio che trovi, secondo me, sarà quello che stabilisce quanto sia opportuno favorire più di tanto il merito e deprecare più di tanto il demerito. Insomma, se uno è già bravo di suo, una volta vinta un'olimpiade e premiatolo, ¿che altro dovrebbe pretendere? Sì accontenti quindi della fortuna che gli consente di essere bravo e di essere stato premiato
Ciao Daniele. Dico più o meno la stessa cosa. In sintesi: troppa uguaglianza non va bene, perché non siamo geneticamente uguali e un mondo di uguali a me sinceramente fa paurissima, troppa diversità non va bene perché si creano caste che non premiano il merito e vivono in modo parassitario. Pensa che questo è il pensiero liberale classico, mentre oggi a dire queste cose si passa quasi per comunisti.
E' la tensione che si vive fra due visioni opposte che mi risulta sempre stimolante e che riecheggia quanto avviene nell'individuo stesso, che vive polarizzato fra la propensione alla socialità e il suo opposto intriso di edonismo, egocentrismo e infine anche egoismo. Ma così siamo/sono e si cerca di imparare a navigarci dentro, tentando di uscirne fuori, meditando sugli inevitabili errori conseguenti.
L'interconnessione tecnologica esprime anche lei delle ambivalenze.
Volendo, grazie all'abbassamento della soglia alle informazioni, può risultare utile strumento (se non anche protesi umana) verso una migliore conoscenza o una più efficace produttività, malgrado la difficoltà di selezionare e verificare le fonti.
Resta il drammatico fatto che il 37% degli italiani adulti (anche laureati, sic) è in grado di comprendere solo testi brevi e semplici. In una situazione sempre più complessa mi sembra che – fra mille altri fattori - contribuisca a spiegare la formazione di quella neo-aristocrazia di cui scrivi, Jacopus.
Che poi conferma il mio essere stupefatto di fronte all'eterno paradosso umano per cui una piccola élite riesca (anche pacificamente) ad attrarre a sé una moltitudine di gente (ceti sociali piuttosto che che tribali) i quali – pur esprimendo bisogni ben diversi se non opposti – si trova a solidarizzare se non anche a identificarsi con loro.
Un vero gioco di "prestigio".
Francamente penso che si viva già in un mondo a caste, ma questo è solo ciò che vedo io. Capisco lo sfogo Jacopus, ma lascerei stare liberali e comunisti.
Se anche tu pensi che l'ostacolo possa essere quello che ho indicato, sarebbe opportuno chiedersi come mai sussista questa pratica a super premiare il merito, giacché le cose non accadono per caso e al tempo stesso sembra che non si possano cambiare per semplice volontà.. ci sarebbe cioè una forza che ostacola tale volontà
Citazione di: daniele22 il 03 Ottobre 2025, 08:35:17 AM.... Se siamo uguali siamo uguali nel senso che dovrebbero essere garantite a ciascun individuo le possibilità di parità di aspirazioni "vitali" in ogni istante lungo la sua vita.
Ciò non accade.....
Garantire posizioni egualitarie di "partenza" risulta già difficile ora, ma sicuramente è un obiettivo verso cui tendere con fermezza. Ne siamo lontanissimi e forse stiamo anche peggio di mezzo secolo fa.
Ma "garantire" parità di aspirazioni vitali "in ogni istante" lungo "la sua vita" mi pare non tanto irrealistico (e lo è) , o assistenzialistico (e lo è), quanto paralizzante i meccanismi dell'ampio ascensore sociale che bisogna far funzionare nella società odierna.
Mi fai venire in mente, Daniele, quella bella frase che mi entusiasmò da adolescente e che tuttora ogni tanto rispolvero " da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni".
La definisco bella perché ha un forte senso estetico. E' un'immagine fortissima, ma non un utensile che faccia davvero funzionare la società.
Forse si potrebbe integrarla con un vecchio adagio kennediano, ma con una mia piccola aggiuntina..
" Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, ma chiediti cosa puoi fare per il tuo paese.... e anche per te stesso."
Citazione di: Adalberto il 03 Ottobre 2025, 15:36:31 PMGarantire posizioni egualitarie di "partenza" risulta già difficile ora, ma sicuramente è un obiettivo verso cui tendere con fermezza. Ne siamo lontanissimi e forse stiamo anche peggio di mezzo secolo fa.
Ma "garantire" parità di aspirazioni vitali "in ogni istante" lungo "la sua vita" mi pare non tanto irrealistico (e lo è) , o assistenzialistico (e lo è), quanto paralizzante i meccanismi dell'ampio ascensore sociale che bisogna far funzionare nella società odierna.
Mi fai venire in mente, Daniele, quella bella frase che mi entusiasmò da adolescente e che tuttora ogni tanto rispolvero " da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni".
La definisco bella perché ha un forte senso estetico. E' un'immagine fortissima, ma non un utensile che faccia davvero funzionare la società.
Forse si potrebbe integrarla con un vecchio adagio kennediano, ma con una mia piccola aggiuntina..
" Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, ma chiediti cosa puoi fare per il tuo paese.... e anche per te stesso."
Ciao Adalberto, per forza sarebbe già difficile ora, perché gravitiamo all'interno del modello economico attuale. Allora si pensa che il metro di valutazione per risolvere i problemi stia nell'equa retribuzione (paga). Però, secondo me, il contestuale e odierno sfascio istituzionale (giustizia e scuola tanto per dirne due) non sarebbe influenzato più di tanto dalle paghe basse.
Se infine pensi che sarebbe un obiettivo verso cui tendere con fermezza, dovresti allora considerarlo (con fermezza) nulla più che una prospettiva sulla quale tessere le varie politiche
Capisco quanto il tema economico ti stia più a cuore, Daniele: è sicuramente importante ma qui mi sembra collaterale.
Il tema primario credo sia la contrapposizione (che è anche relazione) fra l'idea di una umanità universale e quella di una identità di gruppo, che però - spesso – ha la pretesa di diventare essa stessa universale.
E talvolta ci riesce, convincendo gli altri, magari la maggioranza, che quell'identità di gruppo (ristrettamente elitario, piuttosto che collettivo) esprime davvero un valore universale!
Ho l'impressione che la creazione dell'identità di gruppo (oggigiorno nazionale o politica, ma prima ancora confessionale, piuttosto che etnica) si fondi su un qualsiasi rito collettivo, ovvero quello in cui la folla diventa "soggetto" (attraverso percorsi psicologici evidenziati ai tempi da Le Bon) e quindi crogiolo produttivo di una immagine di pensiero, cioè una fede, nonché primario processo di trasmissione di questo sentire, che si fa (credere) universale in quanto virulento.
Per certi versi la tecnologia è stata a fianco e concausa di questo processo prevalentemente umano.
Il ferro, inizialmente più morbido del bronzo, ha sconfitto quest'ultimo (e anche l'ideologia di una società/nazione/civiltà che si era costituita intorno) perché la tecnologia di allora aveva scoperto come ottenere l'elevatissimo punto di fusione di una singola materia-prima, molto più accessibile. Invece per realizzare il bronzo ne servivano due di materie prime (stagno e rame) le quali abbisognavano di una complessa catena logistica per i rifornimenti da terre lontanissime dalla Grecia, ad esempio le isole britanniche.
In parole povere la tecnologia aveva abbassato la soglia di accessibilità ad un materiale (il ferro) che inizialmente non era migliore del bronzo (lo diventerà tecnicamente in seguito), ma solo più facilmente diffondibile in quanto più accessibile localmente.
Se allora la tecnologia si esprimeva come braccio armato di una identità (tribale, religiosa, etnica, e più recentemente nazionale) ora la tecnologia con la sua accessibilità e immediatezza aiuta più civilmente a conquistare le menti. Perché quest'ultime sono sempre fragili, in quanto fondate sull'ambiguità delle loro contraddizioni.
E allora dove riporre la speranza di poter uscire da questi labirinti?
Direi nel tanto bistrattato individuo, perché è da lui/lei che emerge un senso critico, un punto di vista che matura proprio dalle sue inesauste ma creative contraddizioni interne/esterne. Un senso critico che nel dialogo con altri individui si riempie di contenuti, di proposte, spesso destabilizzanti la collettività stessa, nonché l'dea di universaliità che quest'ultima pretende spesso di esprimere.
Citazione di: Adalberto il 03 Ottobre 2025, 11:03:07 AME' la tensione che si vive fra due visioni opposte che mi risulta sempre stimolante e che riecheggia quanto avviene nell'individuo stesso, che vive polarizzato fra la propensione alla socialità e il suo opposto intriso di edonismo, egocentrismo e infine anche egoismo. Ma così siamo/sono e si cerca di imparare a navigarci dentro, tentando di uscirne fuori, meditando sugli inevitabili errori conseguenti.
Qui c'è un buono spunto di riflessione.
La tensione in se sarebbe positiva, se non fosse che si tende a quietarla, realizzando la propria socialità, ma restringendola a un partito, che è una via di mezzo fra essere sociali ed essere egoisti.
La cosa ridicola è che questo prender partito non ha motivazioni molto diverse dal decidere di tifare Inter piuttosto che Milan, che è giusto per sentirsi parte di qualcosa.
Cioè, la nostra necessità di socializzazione, non ha necessariamente risvolti da lodare.
Penso che la soluzione sia non prender partito perchè è un modo finto di risolvere le proprie tensioni.
A votare però bisogna andare, perchè è un altra storia.
Cioè, non bisognerebbe andare a votare come quando si va allo stadio a fare il tifo.
Citazione di: Adalberto il 04 Ottobre 2025, 12:38:25 PMCapisco quanto il tema economico ti stia più a cuore, Daniele: è sicuramente importante ma qui mi sembra collaterale.
Il tema primario credo sia la contrapposizione (che è anche relazione) fra l'idea di una umanità universale e quella di una identità di gruppo, che però - spesso – ha la pretesa di diventare essa stessa universale.
E talvolta ci riesce, convincendo gli altri, magari la maggioranza, che quell'identità di gruppo (ristrettamente elitario, piuttosto che collettivo) esprime davvero un valore universale!
Ho l'impressione che la creazione dell'identità di gruppo (oggigiorno nazionale o politica, ma prima ancora confessionale, piuttosto che etnica) si fondi su un qualsiasi rito collettivo, ovvero quello in cui la folla diventa "soggetto" (attraverso percorsi psicologici evidenziati ai tempi da Le Bon) e quindi crogiolo produttivo di una immagine di pensiero, cioè una fede, nonché primario processo di trasmissione di questo sentire, che si fa (credere) universale in quanto virulento.
Per certi versi la tecnologia è stata a fianco e concausa di questo processo prevalentemente umano.
Il ferro, inizialmente più morbido del bronzo, ha sconfitto quest'ultimo (e anche l'ideologia di una società/nazione/civiltà che si era costituita intorno) perché la tecnologia di allora aveva scoperto come ottenere l'elevatissimo punto di fusione di una singola materia-prima, molto più accessibile. Invece per realizzare il bronzo ne servivano due di materie prime (stagno e rame) le quali abbisognavano di una complessa catena logistica per i rifornimenti da terre lontanissime dalla Grecia, ad esempio le isole britanniche.
In parole povere la tecnologia aveva abbassato la soglia di accessibilità ad un materiale (il ferro) che inizialmente non era migliore del bronzo (lo diventerà tecnicamente in seguito), ma solo più facilmente diffondibile in quanto più accessibile localmente.
Se allora la tecnologia si esprimeva come braccio armato di una identità (tribale, religiosa, etnica, e più recentemente nazionale) ora la tecnologia con la sua accessibilità e immediatezza aiuta più civilmente a conquistare le menti. Perché quest'ultime sono sempre fragili, in quanto fondate sull'ambiguità delle loro contraddizioni.
E allora dove riporre la speranza di poter uscire da questi labirinti?
Direi nel tanto bistrattato individuo, perché è da lui/lei che emerge un senso critico, un punto di vista che matura proprio dalle sue inesauste ma creative contraddizioni interne/esterne. Un senso critico che nel dialogo con altri individui si riempie di contenuti, di proposte, spesso destabilizzanti la collettività stessa, nonché l'dea di universaliità che quest'ultima pretende spesso di esprimere.
Il topic inizia con questo post:"La storia umana, o addirittura una certa interpretazione filosofica della storia potrebbe suddividere l'agire storico sotto due bandiere: la bandiera dell'universalismo e la bandiera dell'identità gruppale (potrebbero esserci e ci sono anche altre bandiere, ma per il momento fermiamoci a questa dicotomia)".
Il post termina cosi:
"...In questo panorama ecco emergere l'individuo, come portatore di valori unici, lontani e diversi sia da quelli gruppali che da quelli universalistici, con esiti difficili da prevedere. Si tratta ovviamente di tendenze in un quadro dove tutte queste prospettive coesistono ma che lasciano vedere una direzione non esattamente positiva, dal mio minuscolo punto dí osservazione."
Tralasciando la parte finale sono intervenuto con:
"Bisogna considerare che l'universale da poco più di cent'anni sta diventando una necessità pratica. Il mondo è piccolo e le tribù sono tante, con l'aggiunta che sono poco definibili rispetto a tempo fa."
Allora, un conto è la pretesa di universale espressa ai tempi quando non erano noti i confini del mondo, altro conto è la pretesa di universale che si è espressa ad esempio con la prima Esposizione universale o l'istituzione dell'ONU. Questo fattore è determinante. Dobbiamo dunque continuare a sprecare energie inutili per fare sì che ci si possa continuare a guardare in cagnesco? Siamo proprio così diversi tra noi umani? In questa domanda si esprime una parte del concetto che ho di economia. Pertanto l'economia non sarebbe collaterale, bensì centrale.
Torno quindi al finale del tuo post:
"...E allora dove riporre la speranza di poter uscire da questi labirinti?
Direi nel tanto bistrattato individuo, perché è da lui/lei che emerge un senso critico, un punto di vista che matura proprio dalle sue inesauste ma creative contraddizioni interne/esterne. Un senso critico che nel dialogo con altri individui si riempie di contenuti, di proposte, spesso destabilizzanti la collettività stessa, nonché l'dea di universaliità che quest'ultima pretende spesso di esprimere."
Siamo qui per questo, almeno si spera ... io una via te l'ho indicata e tu hai detto che è un punto fermo, posso raffinarla.. la prospettiva di cui parlo dice che sono per nulla favorevole a un'etica (distinta dalla morale) che piove dall'alto, tanto che la pioggia giunga da teologi, da scienziati, filosofi, partiti o persons of good standing in the community (Dio stramaledica gli inglesi). Nessuna elite può stabilire priorità d'azione. Certo, la scienza deve compiere il suo lavoro per discernere sulle priorità. Però si parte da oggi col potere che piove dall'alto.
Non so cosa tu intenda con conquistare le menti, ma nella migliore delle ipotesi nutro parecchi dubbi sulle attuali capacità di a.i. di stare alla pari con l'intelligenza umana, e al tempo stesso la percepisco un po' inquietante. Ma non è certo questo il tema del topic
Saluti
Citazione di: iano il 04 Ottobre 2025, 23:47:14 PMQui c'è un buono spunto di riflessione.
La tensione in se sarebbe positiva, se non fosse che si tende a quietarla, realizzando la propria socialità, ma restringendola a un partito, che è una via di mezzo fra essere sociali ed essere egoisti.
La cosa ridicola è che questo prender partito non ha motivazioni molto diverse dal decidere di tifare Inter piuttosto che Milan, che è giusto per sentirsi parte di qualcosa.
Cioè, la nostra necessità di socializzazione, non ha necessariamente risvolti da lodare.
Penso che la soluzione sia non prender partito perchè è un modo finto di risolvere le proprie tensioni.
A votare però bisogna andare, perchè è un altra storia.
Cioè, non bisognerebbe andare a votare come quando si va allo stadio a fare il tifo.
Ciao Iano, mi fai pensare che il discorso possa essere visto da un'angolatura jazz, intesa come destrutturazione e ricomposizione di questo attrito fra le pluralità del nostro io, che diventano feconde se questa tensione non si sclerotizza. Ma non mi intendo nemmeno di musica, quindi è meglio che io non mi accartocci su questo pensiero nato lì per lì per risponderti.
Vero, c'è poco da lodare uno qualsiasi dei componenti del nostro strano cocktail, se preso singolarmente
.
Quando usciamo dal nostro microcosmo, questo stesso atteggiamento potrebbe essere valido per affrontare questioni umane più universali, o i rapporti con i nostri simili?
Volendo auto rispondermi, direi più no che sì, anche se qualche sforzo in più meriterebbe farlo sempre. Ma dipende anche dalle situazioni
Votare poi è un'operazione tutto sommato asettica, mentre vivere a fianco o a fronte di altri, sicuramente (mi) risulta più complicato, ancor più quando inseriti in un qualche ambito sociale, piccolo, grande o istituzionale.
Dai contrasti esce qualcosa di interessante se accompagnato dalla perdita o anche solo dallo sbiadimento di identità che precedentemente risultavano rigidamente definite, statiche e tradizionali.
In ogni caso non credo che il giusto stia nel mezzo, supposto che esista. Sia l'uno che l'altro, intendo.
Citazione di: daniele22 il 05 Ottobre 2025, 08:19:55 AM... Dobbiamo dunque continuare a sprecare energie inutili per fare sì che ci si possa continuare a guardare in cagnesco? Siamo proprio così diversi tra noi umani? In questa domanda si esprime una parte del concetto che ho di economia. Pertanto l'economia non sarebbe collaterale, bensì centrale...
Ciao Daniele. le mie parole "qui mi sembra collaterale" erano anche autoreferenziali, il qui indicava anche la testa in cui frullavano pensieri su questo argomento. Sono stato ambiguo, sorry
Per tornare alla tua domanda qui sopra forse sono le varie situazioni ambientali che ci rendono diversi anche se siamo uguali. il nostro corpo mente è sostanzialmente uguale a quello dei nostri progenitori che a spanne 12.000 anni fa hanno iniziato la prima delle grandi rivoluzioni: quella agricola. Quante generazioni sono seguite? Facciamo 400? troppo poche per adeguarci al mondo che ci siamo creato intorno che corre sempre più veloce della nostra capacità di adattamento.
Siamo più lenti di quanto realizziamo
Su etica e morale non sono in grado si spendere parole. Che poi sono le parole, le storie che ascoltiamo sin da piccoli quelle che conquistano le menti per imprimerci i punti di vista per orientare opinioni che magari sentiamo genuine.. . Perfino il modo di scrivere sillabando lettera per lettera sembra che orienti i nostri pensieri diversamente da chi scrive ideogrammi. Anche se si cerca di uscire o rompere questi gusci rivoltandoci in un modo o nell'altro non so quanto valga in termini di risultati, ma vale sicuramente lo sforzo di tentarci. In primis, individualmente. ma solo perché non ho grandi visioni...
Poi ogni tanto, in certe (rare?) fasi storiche, quegli sforzi si scoprono essere un sentimento collettivo, primo di steccati e confini. Per me baby boomer, la fine degli anni '60 è stato un periodo esemplare: un'esperienza spontaneamente universalista che è durata una decina d'anni. Poi ognuno per la sua strada, ma con un segno esclusivo dentro, forse.
Siamo più lenti della AI la cui velocità di calcolo cresce esponenzialmente. Non sono tanto interessato indagare se in qualche piccolo ambito creativo siamo o saremo più intelligenti di lei, non mi consolerebbe.
Al di là delle modalità di utilizzo che possiamo farne per un uso "intelligente", c'è da preoccuparsi prioritariamente della concentrazione di potere di chi la produce, gestisce e soprattutto programma i suoi protocolli di selezione delle informazioni da elaborare per poi filtrarne i risultati agli utenti. Non so se riesco a esprimere quanto potere ci sia in questo processo che coinvolgerà solo un numero limitato di costosissime e complesse intelligenze generative. Che diventeranno la più grande macchina produttrice di cultura, con cui sarò difficile competere. Ma mi accorgo che stasera devo aver mangiato mangiato troppo: la cattiva digestione mi sta facendo diventare distopico. :)
Citazione di: Adalberto il 06 Ottobre 2025, 19:08:23 PMCiao Iano, mi fai pensare che il discorso possa essere visto da un'angolatura jazz, intesa come destrutturazione e ricomposizione di questo attrito fra le pluralità del nostro io, che diventano feconde se questa tensione non si sclerotizza. Ma non mi intendo nemmeno di musica, quindi è meglio che io non mi accartocci su questo pensiero nato lì per lì per risponderti.
Vero, c'è poco da lodare uno qualsiasi dei componenti del nostro strano cocktail, se preso singolarmente
Questa immagine musicale si addice perfettamente a me.
I pensieri nati li per li, per rispondere, sono per me i migliori, perchè non nascono appunto da una posizione sclerotizzata, e inoltre un forum è lo strumento migliore per suonarli.
Hanno si il difetto di essere improvvisati, ma questo non è appunto un difetto per chi ama il jazz.
Le mie risposte sono tutte improvvisate al momento, e non è mai garantita quindi la coerenza, che però posso rilevare a posteriori.
Tutto bene però solo se rilevo coerenza nel progredire.
Se invece mi ripeto, e purtroppo invecchiando succede, è solo un campanello di allarme a suonare. :))
Però finché ci scambiamo a vicenda temi su cui improvvisare, la jam session continua, anche con suoni smègi e lombidiosi, ma che servono solo a dar risalto a zìmpani e zirlecchi.
Citazione di: Jacopus il 02 Ottobre 2025, 15:43:49 PMIn questo panorama ecco emergere l'individuo, come portatore di valori unici, lontani e diversi sia da quelli gruppali che da quelli universalistici, con esiti difficili da prevedere. Si tratta ovviamente di tendenze in un quadro dove tutte queste prospettive coesistono ma che lasciano vedere una direzione non esattamente positiva, dal mio minuscolo punto dí osservazione.
In che senso "emerge"?
Per come la vedo io è emerso da un po', avrei una spiegazione intuitiva a quello che intendi ma preferirei avere la tua invece che tirare a indovinare.
Citazione di: Adalberto il 06 Ottobre 2025, 23:01:10 PMCiao Daniele. le mie parole "qui mi sembra collaterale" erano anche autoreferenziali, il qui indicava anche la testa in cui frullavano pensieri su questo argomento. Sono stato ambiguo, sorry
Per tornare alla tua domanda qui sopra forse sono le varie situazioni ambientali che ci rendono diversi anche se siamo uguali. il nostro corpo mente è sostanzialmente uguale a quello dei nostri progenitori che a spanne 12.000 anni fa hanno iniziato la prima delle grandi rivoluzioni: quella agricola. Quante generazioni sono seguite? Facciamo 400? troppo poche per adeguarci al mondo che ci siamo creato intorno che corre sempre più veloce della nostra capacità di adattamento.
Siamo più lenti di quanto realizziamo
Su etica e morale non sono in grado si spendere parole. Che poi sono le parole, le storie che ascoltiamo sin da piccoli quelle che conquistano le menti per imprimerci i punti di vista per orientare opinioni che magari sentiamo genuine.. . Perfino il modo di scrivere sillabando lettera per lettera sembra che orienti i nostri pensieri diversamente da chi scrive ideogrammi. Anche se si cerca di uscire o rompere questi gusci rivoltandoci in un modo o nell'altro non so quanto valga in termini di risultati, ma vale sicuramente lo sforzo di tentarci. In primis, individualmente. ma solo perché non ho grandi visioni...
Poi ogni tanto, in certe (rare?) fasi storiche, quegli sforzi si scoprono essere un sentimento collettivo, primo di steccati e confini. Per me baby boomer, la fine degli anni '60 è stato un periodo esemplare: un'esperienza spontaneamente universalista che è durata una decina d'anni. Poi ognuno per la sua strada, ma con un segno esclusivo dentro, forse.
Siamo più lenti della AI la cui velocità di calcolo cresce esponenzialmente. Non sono tanto interessato indagare se in qualche piccolo ambito creativo siamo o saremo più intelligenti di lei, non mi consolerebbe.
Al di là delle modalità di utilizzo che possiamo farne per un uso "intelligente", c'è da preoccuparsi prioritariamente della concentrazione di potere di chi la produce, gestisce e soprattutto programma i suoi protocolli di selezione delle informazioni da elaborare per poi filtrarne i risultati agli utenti. Non so se riesco a esprimere quanto potere ci sia in questo processo che coinvolgerà solo un numero limitato di costosissime e complesse intelligenze generative. Che diventeranno la più grande macchina produttrice di cultura, con cui sarò difficile competere. Ma mi accorgo che stasera devo aver mangiato mangiato troppo: la cattiva digestione mi sta facendo diventare distopico. :)
Spero tu abbia digerito nel frattempo. A dirti la verità mi aspettavo una risposta a quello che avevo detto prima di porre quella domanda (retorica per me) che tu hai ripreso.
Comunque, dieci giorni fa scrivevo (tralascio ciò che precede): "Sarebbe in fondo tutto questo processo a giustificare infine la varietà delle specie viventi e la varietà delle culture umane. Una visione in un certo senso lamarckiana della storia (alla faccia del caso)."
Mi rendo quindi perfettamente conto di come girano le cose e di come prima di homo sapiens l'individuo fabbricasse già piccoli utensili. È vero quindi che saremmo arretrati, ma la natura di tale arretratezza non sarebbe tanto di natura epistemica (tecnologico/scientifico), fermo restando che non si è tutti uomini di scienza, bensì sarebbe di natura gnostica.. in parole povere siamo (siete) privi della consapevolezza di essere solipsisti. Quello che dico naturalmente è opinabile, ma fintanto che nessuno dice nulla di serio contro la mia tesi ¿c'aggia fa? Quelli con cui dialogo, o si perdono per via o dicono menzogne, i feedback chiari sono pressoché inesistenti a parte un paio di significativamente positivi ed espressi verbalmente (non col like) da Ipazia (saranno passati due o tre anni).
Insomma, per come la vedo, una volta colmato il gap cognitivo non vedo ostative a fronte di un obiettivo chiaro, che è quello condiviso con te e Jacopus eccezion fatta per ciò che attiene al mio discorso allargato all'etica. Se non fosse chiara la nozione di solipsismo (inconsapevole) con conseguenze annesse se ne può parlare.
Infine, è assodato che a.i. è una macchina potente, ma non so se il problema sia dato da quello che dici. Sicuramente i gestori possono avere dati sul tuo pensiero individuale, su questo non ci piove. Premesso quindi che non sono un esperto, non credo però che le istruzioni che permettono il funzionamento di a.i. siano manipolabili e un indizio di questo sarebbe il manifestarsi di quelle che chiamano le "allucinazioni di a.i."
Saluti
.
.
Ps: allego questi due articoli sull'intelligenza artificiale. In ogni articolo c'è un punto che non mi trova in accordo, e dipende dal solipsismo inconsapevole, ma sono comunque interessanti:
Citazione di: daniele22 il 08 Ottobre 2025, 09:30:44 AMSpero tu abbia digerito nel frattempo. A dirti la verità mi aspettavo una risposta a quello che avevo detto prima di porre quella domanda (retorica per me) che tu hai ripreso.
Comunque, dieci giorni fa scrivevo (tralascio ciò che precede): "Sarebbe in fondo tutto questo processo a giustificare infine la varietà delle specie viventi e la varietà delle culture umane. Una visione in un certo senso lamarckiana della storia (alla faccia del caso)."
Mi rendo quindi perfettamente conto di come girano le cose e di come prima di homo sapiens l'individuo fabbricasse già piccoli utensili. È vero quindi che saremmo arretrati, ma la natura di tale arretratezza non sarebbe tanto di natura epistemica (tecnologico/scientifico), fermo restando che non si è tutti uomini di scienza, bensì sarebbe di natura gnostica.. in parole povere siamo (siete) privi della consapevolezza di essere solipsisti. Quello che dico naturalmente è opinabile, ma fintanto che nessuno dice nulla di serio contro la mia tesi ¿c'aggia fa? Quelli con cui dialogo, o si perdono per via o dicono menzogne, i feedback chiari sono pressoché inesistenti a parte un paio di significativamente positivi ed espressi verbalmente (non col like) da Ipazia (saranno passati due o tre anni).
Insomma, per come la vedo, una volta colmato il gap cognitivo non vedo ostative a fronte di un obiettivo chiaro, che è quello condiviso con te e Jacopus eccezion fatta per ciò che attiene al mio discorso allargato all'etica. Se non fosse chiara la nozione di solipsismo (inconsapevole) con conseguenze annesse se ne può parlare.
Ciao Daniele, ora va decisamente meglio grazie, ma l'altra sera parlavo per metafora, dovendo digerire in una serata lombidiosa il pensiero di come sia possibile – qui vicino – affrontare temi importanti in presenza di forzate contrapposizioni propagandistiche che impediscono il dialogo pur possibile e fruttifero fra visioni contrastanti.
Quanto al solipsismo, sono ben convinto (se non costretto dalla contingenza di trovarmi ad essere come sono) di scrivere abitualmente consultando il mio ombelico come uno oracolo e cercando di interpretare le fumose ispirazioni da la lì mi provengono. Se ho tempo. mi interrogo anche se proprio lì ci sia un qualcosa di puù profondo del frustrante tentativo di interpretarlo (mi esprimo in forma scherzosa, ma sono serio e consapevole).
Talvolta, con discreta fatica ma scarsi risultati, mi sforzo anche di capire il frutto dei pensieri altrui, facendone una interpretazione ahimé inevitabilmente difforme sia dalla combinazione delle parole lette che dalle intenzioni di chi le ha compilate. Trovo che, bene o male, sia questa la normalità delle relazioni umane.
Quindi un dubbio: era questa la frase che attendeva una risposta?
Allora, un conto è la pretesa di universale espressa ai tempi quando non erano noti i confini del mondo, altro conto è la pretesa di universale che si è espressa ad esempio con la prima Esposizione universale o l'istituzione dell'ONU. Questo fattore è determinante. Dobbiamo dunque continuare a sprecare energie inutili per fare sì che ci si possa continuare a guardare in cagnesco?Pensavo di averti risposto, ma in maniera indiretta e non si capiva un acca, sorry.
In breve non sono convinto che noi umani moderni ora siamo più in grado dei nostri progenitori di concepire "per davvero" un senso di universalità con i nostri simili e nemmeno con il vasto e asservito mondo animale e vegetale che ci circonda.
Siamo certamente più bravi ad "esprimerlo a parole", articolando sofisticati concetti (al posto di divinità plurali) ed elaborando sistemi di raffinati pensieri.
Ma - sinceramente - possiamo davvero credere che tutto ciò regga il confronto emotivo con... quelle decine mani dipinte di bianco su fondo ocra che si sono accalcate le une sulle altre sopra su pareti di caverne, parecchie migliaia di anni prima dell'ultima glaciazione?
Preferisco tenermi ben aperto il dubbio.
Infatti – e nei fatti ci sono le cose che contano al di la del problema della loro interpretazione – sembra che la conflittualità umana allora fosse minore, ma c'erano anche più spazi liberi. Ora confini del mondo sono noti soltanto perché sono stati raggiunti, quindi ci sentiamo strettini e magari incattiviti.
Ricordo vagamente Malinowski che illustrava le pseudo guerre fra i guerrieri di opposte tribù che si insultavano e inveivano a vicenda in maniera ritualizzata senza far scorrere il sangue. Anche Girard, pur professando altro mestiere, ha speso parole a riguardo, ma non ho pretese di averlo ben inteso sfogliacchiandolo.
In conclusione: oggi – con tutto il nostro patrimonio concettuale - non siamo certo più bravi a "concretizzare in fatti" questi nostri grandi presupposti universalistici, visto quel che ci succedete intorno.
A questo punto una citazione .. profonda ci sta bene : "Se potessi mangiare un'idea avrei fatto la mia rivoluzione" ,
(Se altri non la riconoscono, come usa fare la settimana enigmistica, alla fine verrà svelato il riferimento)
A parte il discorso sul merito che a quanto pare ci convince solo per metà, non ho chiaro quale sia la tua visione dell'economia, che -a mio avviso- spalanca enormi opportunità di cooperazione . Infatti non oso parlare di universalità, io volo basso.
Pochi ricordano la CECA , la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio che nel primo dopoguerra ha spalancato le porte della cooperazione fra ex nemici e ha permesso alle nostre generazioni di vivere tranquilli e pasciuti nel nostro orticello "infelice e scontento" per oltre 70 anni. Dalla CECA è nata l'Europa e dal benessere lo scontento (= una dozzinale e tipica riflessione senile).
Forse questa della cooperazione economica, del commercio internazionale è un via da perseguire con più impegno, una via di interessi (per molti una parolaccia) da percepire noi e far cogliere (agli altri) nel loro senso di opportunità reciproca.
L'idea di Obama di creare due grandi accordi economici, uno sul versante pacifico e l'altro su quello atlantico è stata subito fatta naufragare da Trump I.
Ora Trump II sta disarticolando le relazioni internazionali che rimangono e che ognuno pensi per sé
Alla faccia delle speranze di universalità (per chi pensa in grande) o di cooperazione per me.
PS 1
Perdonami se abbandono per ora il discorso AI che sennò facciamo notte
PS 2
Giorgio Gaber.
Citazione di: Adalberto il 08 Ottobre 2025, 17:43:53 PMCiao Daniele, ora va decisamente meglio grazie, ma l'altra sera parlavo per metafora, dovendo digerire in una serata lombidiosa il pensiero di come sia possibile – qui vicino – affrontare temi importanti in presenza di forzate contrapposizioni propagandistiche che impediscono il dialogo pur possibile e fruttifero fra visioni contrastanti.
Quanto al solipsismo, sono ben convinto (se non costretto dalla contingenza di trovarmi ad essere come sono) di scrivere abitualmente consultando il mio ombelico come uno oracolo e cercando di interpretare le fumose ispirazioni da la lì mi provengono. Se ho tempo. mi interrogo anche se proprio lì ci sia un qualcosa di puù profondo del frustrante tentativo di interpretarlo (mi esprimo in forma scherzosa, ma sono serio e consapevole).
Talvolta, con discreta fatica ma scarsi risultati, mi sforzo anche di capire il frutto dei pensieri altrui, facendone una interpretazione ahimé inevitabilmente difforme sia dalla combinazione delle parole lette che dalle intenzioni di chi le ha compilate. Trovo che, bene o male, sia questa la normalità delle relazioni umane.
Quindi un dubbio: era questa la frase che attendeva una risposta?
Allora, un conto è la pretesa di universale espressa ai tempi quando non erano noti i confini del mondo, altro conto è la pretesa di universale che si è espressa ad esempio con la prima Esposizione universale o l'istituzione dell'ONU.
Questo fattore è determinante.
Dobbiamo dunque continuare a sprecare energie inutili per fare sì che ci si possa continuare a guardare in cagnesco?
Pensavo di averti risposto, ma in maniera indiretta e non si capiva un acca, sorry.
In breve non sono convinto che noi umani moderni ora siamo più in grado dei nostri progenitori di concepire "per davvero" un senso di universalità con i nostri simili e nemmeno con il vasto e asservito mondo animale e vegetale che ci circonda.
Siamo certamente più bravi ad "esprimerlo a parole", articolando sofisticati concetti (al posto di divinità plurali) ed elaborando sistemi di raffinati pensieri.
Ma - sinceramente - possiamo davvero credere che tutto ciò regga il confronto emotivo con... quelle decine mani dipinte di bianco su fondo ocra che si sono accalcate le une sulle altre sopra su pareti di caverne, parecchie migliaia di anni prima dell'ultima glaciazione?
Preferisco tenermi ben aperto il dubbio.
Infatti – e nei fatti ci sono le cose che contano al di la del problema della loro interpretazione – sembra che la conflittualità umana allora fosse minore, ma c'erano anche più spazi liberi. Ora confini del mondo sono noti soltanto perché sono stati raggiunti, quindi ci sentiamo strettini e magari incattiviti.
Ricordo vagamente Malinowski che illustrava le pseudo guerre fra i guerrieri di opposte tribù che si insultavano e inveivano a vicenda in maniera ritualizzata senza far scorrere il sangue. Anche Girard, pur professando altro mestiere, ha speso parole a riguardo, ma non ho pretese di averlo ben inteso sfogliacchiandolo.
In conclusione: oggi – con tutto il nostro patrimonio concettuale - non siamo certo più bravi a "concretizzare in fatti" questi nostri grandi presupposti universalistici, visto quel che ci succedete intorno.
A questo punto una citazione .. profonda ci sta bene : "Se potessi mangiare un'idea avrei fatto la mia rivoluzione" ,
(Se altri non la riconoscono, come usa fare la settimana enigmistica, alla fine verrà svelato il riferimento)
A parte il discorso sul merito che a quanto pare ci convince solo per metà, non ho chiaro quale sia la tua visione dell'economia, che -a mio avviso- spalanca enormi opportunità di cooperazione . Infatti non oso parlare di universalità, io volo basso.
Pochi ricordano la CECA , la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio che nel primo dopoguerra ha spalancato le porte della cooperazione fra ex nemici e ha permesso alle nostre generazioni di vivere tranquilli e pasciuti nel nostro orticello "infelice e scontento" per oltre 70 anni. Dalla CECA è nata l'Europa e dal benessere lo scontento (= una dozzinale e tipica riflessione senile).
Forse questa della cooperazione economica, del commercio internazionale è un via da perseguire con più impegno, una via di interessi (per molti una parolaccia) da percepire noi e far cogliere (agli altri) nel loro senso di opportunità reciproca.
L'idea di Obama di creare due grandi accordi economici, uno sul versante pacifico e l'altro su quello atlantico è stata subito fatta naufragare da Trump I.
Ora Trump II sta disarticolando le relazioni internazionali che rimangono e che ognuno pensi per sé
Alla faccia delle speranze di universalità (per chi pensa in grande) o di cooperazione per me.
PS 1
Perdonami se abbandono per ora il discorso AI che sennò facciamo notte
PS 2
Giorgio Gaber.
Ciao. Sarà meglio definire uno tra vari modi in cui intendo il solipsismo.
Il solipsista diviene consapevole di esserlo quando si rende conto che la cosa, quella che realizziamo nella nostra mente, non deriva dall'elaborazione di un'immagine immota, bensì da una storia di immagine (soggettività quindi in primo piano).
La storia di un immagine, come unità quantizzata o discreta, significa a noi che il segno (la cosa) non esiste nella nostra mente fintanto che non abbia senso, che in ultima analisi sarebbe dato dalla realizzazione di un'azione che può compiere la cosa. Questa unità discreta formatasi nel legame istantaneo tra segno e senso sarebbe di natura interiore e questa è la cosa più problematica dell'intera faccenda per il solipsista che non sa di esserlo, ma volendo si può percorrere la via. L'esito del percorso dovrebbe mostrare che noi siamo stati costretti a conoscere. L'istinto alla conoscenza non corrisponderebbe pertanto a semplice voglia di sapere, non sarebbe ricerca spassionata e libera, ma costrizione.
Un altro modo per definire il solipsista consapevole è che egli si rende conto che tutti siamo fondamentalmente egoisti. Irride quindi chi pensa di essere altruista e che propugna a vari titoli che ci si debba sforzare per essere altruisti. Personalmente approvo il gesto altruista, sia il mio perché gratifica la mia visione del mondo e al tempo stesso aiuta l'altro, sia quello degli altri che gratifica aiutando comunque me o altri. Per me si tratta di un regalo, non dico disinteressato, ma nella speranza che...
Comunque, allo stato attuale delle cose si può tranquillamente accettare che non debba essere proprio un dono
Saluti
.
.
Ps: buono Gaber, aggiungo Bubola - "Un uomo ridicolo"
Citazione di: daniele22 il 08 Ottobre 2025, 09:30:44 AM... Se non fosse chiara la nozione di solipsismo (inconsapevole) con conseguenze annesse se ne può parlare. ...
Ciao Daniele, grazie. Adesso che la nozione è abbastanza chiara (mi piace immaginare un istinto che in realtà risulta dettato da costrizione o condizionamento, ma che lascia una via di fuga attraverso l'indifferenza) se vorrai proseguire... sarà interessante leggerti.
Citazione di: Adalberto il 08 Ottobre 2025, 17:43:53 PM....Ma - sinceramente - possiamo davvero credere che tutto ciò regga il confronto emotivo con... quelle decine mani dipinte di bianco su fondo ocra che si sono accalcate le une sulle altre sopra su pareti di caverne, parecchie migliaia di anni prima dell'ultima glaciazione?
Preferisco tenermi ben aperto il dubbio...
Ciao Adalberto, preferirei la via del dialogo.
Se potessi far mangiare un'idea avrei fatto la mia rivoluzione. Hanno detto pure che la peggior cosa che possa accadere a un rivoluzionario sia quella di vincere la propria rivoluzione. Accetto il rischio.Non colgo il senso del tuo pensiero che ho evidenziato.Potrei quindi restringere il campo e dire ugualmente che in campo linguistico non esiste significante fintanto che noi non gli si attribuisca un significato.¿Se le mani accalcate su pareti di roccia fossero allora un antesignano della scrittura? Se fossero cioè un significante?
Translator
Citazione di: daniele22 il 11 Ottobre 2025, 07:54:50 AMCiao Adalberto, preferirei la via del dialogo.
Se potessi far mangiare un'idea avrei fatto la mia rivoluzione. Hanno detto pure che la peggior cosa che possa accadere a un rivoluzionario sia quella di vincere la propria rivoluzione. Accetto il rischio.
Non colgo il senso del tuo pensiero che ho evidenziato.
Potrei quindi restringere il campo e dire ugualmente che in campo linguistico non esiste significante fintanto che noi non gli si attribuisca un significato.
¿Se le mani accalcate su pareti di roccia fossero allora un antesignano della scrittura? Se fossero cioè un significante?
Hai ragione Daniele a non coglierlo :) perchè il senso sottostante alla frase a cui ti riferisci è +/- questo. Non ho il terreno solido di un pensiero strutturato sotto i piedi del mio corpo e della mia mente, i quali cercano di galleggiare alla meno peggio: in breve mi muovo disordinatamente seguendo un qualche banale fiuto, da animale qual sono.
Antesignani della scrittura?
Sì , Leroi-Gourhan chiama mitogrammi quelle grafiche paleolitiche prive di un contesto compositivo che faccia emergere un qualche preciso significato come avviene nelle opere più vicine a noi.
Praticamenete li descrive come simboli (bisonte/femmina/ cerchi , cavallo/maschio/aste) che però avevano bisogno della parola per essere narrati attraverso fili di significato che venivano tessuti da una cultura piuttosto che da quella successiva, la quale aggiungeva magari qualche tratto, qualche segno in accumulazione ai precedenti
Erano primitivi nell'esporre tecnicamente i loro pensieri: mi viene il dubbio che i loro pensieri non fossero così primitivi come ce li descriviamo.
Anche la Gimbutas per altre vie scorge una espressione linguistica nei più segni grafici geometrici (triangoli, zig zag, spirali, semicerchi = luna= corna bovine) che in culture anche successive rappresentano in varie formo il principio femminile della vita e della continuità.
Non ho capacità per giudicare queste letture, ma le trovo interessanti perché ci staccano un po' dal continuare a confondere il nostro ombelico con il famoso asse del mondo su cui molti si arrampicano dicendo cosa altrettanto stimolanti.
Ma per tornare a bomba sul tema lanciato da Jacopus, ero sincero quando chiedevo a te uno spunto per proseguire il dialogo perché personalmente sono arenato sul discorso dell'universalismo. Mi spiego meglio con una domanda.
Non è che appena concepiamo questo universalismo come idea sociale onnicomprensiva, arriviamo a descriverla ancora una volta come "nostra" antropietica? Ovvero in questa nostra costruzione di una universalità umana, di questo processo di costituzione di una immagine nobile e ideale, non è che alla fine proiettiamo sempre noi stessi con la nostra cultura alla faccia del nobile intento?
Ciao, a presto.
Citazione di: Adalberto il 11 Ottobre 2025, 13:04:50 PMTranslator
Hai ragione Daniele a non coglierlo :) perchè il senso sottostante alla frase a cui ti riferisci è +/- questo. Non ho il terreno solido di un pensiero strutturato sotto i piedi del mio corpo e della mia mente, i quali cercano di galleggiare alla meno peggio: in breve mi muovo disordinatamente seguendo un qualche banale fiuto, da animale qual sono.
Antesignani della scrittura?
Sì , Leroi-Gourhan chiama mitogrammi quelle grafiche paleolitiche prive di un contesto compositivo che faccia emergere un qualche preciso significato come avviene nelle opere più vicine a noi.
Praticamenete li descrive come simboli (bisonte/femmina/ cerchi , cavallo/maschio/aste) che però avevano bisogno della parola per essere narrati attraverso fili di significato che venivano tessuti da una cultura piuttosto che da quella successiva, la quale aggiungeva magari qualche tratto, qualche segno in accumulazione ai precedenti
Erano primitivi nell'esporre tecnicamente i loro pensieri: mi viene il dubbio che i loro pensieri non fossero così primitivi come ce li descriviamo.
Anche la Gimbutas per altre vie scorge una espressione linguistica nei più segni grafici geometrici (triangoli, zig zag, spirali, semicerchi = luna= corna bovine) che in culture anche successive rappresentano in varie formo il principio femminile della vita e della continuità.
Non ho capacità per giudicare queste letture, ma le trovo interessanti perché ci staccano un po' dal continuare a confondere il nostro ombelico con il famoso asse del mondo su cui molti si arrampicano dicendo cosa altrettanto stimolanti.
Ma per tornare a bomba sul tema lanciato da Jacopus, ero sincero quando chiedevo a te uno spunto per proseguire il dialogo perché personalmente sono arenato sul discorso dell'universalismo. Mi spiego meglio con una domanda.
Non è che appena concepiamo questo universalismo come idea sociale onnicomprensiva, arriviamo a descriverla ancora una volta come "nostra" antropietica? Ovvero in questa nostra costruzione di una universalità umana, di questo processo di costituzione di una immagine nobile e ideale, non è che alla fine proiettiamo sempre noi stessi con la nostra cultura alla faccia del nobile intento?
Ciao, a presto.
Direi che in particolare per quel graffito delle mani, la cosa più sicura che si possa dire sul contenuto di quel segno è: sono ignorante. Naturalmente ci si rende conto di questo, e infatti diamo un'interpretazione sui graffiti antichi come indice di qualche cosa in relazione all'evoluzione umana.
Dato comunque che mi hai fatto una domanda abbastanza precisa ti dirò che non vedo nulla di "nobile" nella mia idea di giungere a un'etica universale.
Essendo tra l'altro un solipsista figurati se non mi rendo conto che la realtà è una costruzione individuale. "L'imperfezione" umana alla fine è solo il risultato di una ricerca filosofica personale e non una cosa campata per aria. Sarebbe in un certo senso oggettiva. Tra l'altro questa pretesa di universalità c'è pure nelle scienze, se non mi sbaglio. Dico, non è che per vivere dobbiamo per forza sapere le leggi della fisica
Saluti
Citazione di: daniele22 il 11 Ottobre 2025, 21:17:08 PMDirei che in particolare per quel graffito delle mani, la cosa più sicura che si possa dire sul contenuto di quel segno è: sono ignorante. Naturalmente ci si rende conto di questo, e infatti diamo un'interpretazione sui graffiti antichi come indice di qualche cosa in relazione all'evoluzione umana.
Dato comunque che mi hai fatto una domanda abbastanza precisa ti dirò che non vedo nulla di "nobile" nella mia idea di giungere a un'etica universale.
Essendo tra l'altro un solipsista figurati se non mi rendo conto che la realtà è una costruzione individuale. "L'imperfezione" umana alla fine è solo il risultato di una ricerca filosofica personale e non una cosa campata per aria. Sarebbe in un certo senso oggettiva. Tra l'altro questa pretesa di universalità c'è pure nelle scienze, se non mi sbaglio. Dico, non è che per vivere dobbiamo per forza sapere le leggi della fisica
Saluti
Ciao, intravedo una differenza di vedute tra il vivere una tensione verso una disillusa visione universalista – o più semplicemente di comunità estesa - negoziando patti di reciprocità anche commerciali di convenienza e all'opposto il cercare di costruire una più solida etica universale tramite concetti filosofici. Sbaglio?
Citazione di: Adalberto il 12 Ottobre 2025, 19:11:07 PMCiao, intravedo una differenza di vedute tra il vivere una tensione verso una disillusa visione universalista – o più semplicemente di comunità estesa - negoziando patti di reciprocità anche commerciali di convenienza e all'opposto il cercare di costruire una più solida etica universale tramite concetti filosofici. Sbaglio?
Non sbagli. Infatti l'universale sta nella teoria, ovvero nel riconoscere di essere solipsisti piuttosto che restare nell'illusione di avere un'intelligenza superiore alle altre specie. Degno di nota sarebbe che, così come avviene per l'idea di possedere "un poco" di libero arbitrio, capiti pure che si dica che la differenza tra la nostra intelligenza e quella degli altri sia di natura quantitativa piuttosto che qualitativa. La maggiore quantità verrebbe spiegata in termini che sono in un certo senso imputabili alla morfologia del nostro sistema nervoso.. questioni genetiche in fondo. Ovvio che non condivido tale idea.
Se l'universale stazionasse quindi nella condivisione della nostra condizione solipsistica si porrebbe certamente la domanda del "che fare" a fronte di tale novità. Allora, dato che soprattutto di questi tempi si invocano paci giuste e durature bisognerebbe rendersi conto innanzitutto se queste aspettative siano veraci o menzognere. Giusto?
Citazione di: daniele22 il 13 Ottobre 2025, 08:59:17 AMNon sbagli. Infatti l'universale sta nella teoria, ovvero nel riconoscere di essere solipsisti piuttosto che restare nell'illusione di avere un'intelligenza superiore alle altre specie. Degno di nota sarebbe che, così come avviene per l'idea di possedere "un poco" di libero arbitrio, capiti pure che si dica che la differenza tra la nostra intelligenza e quella degli altri sia di natura quantitativa piuttosto che qualitativa. La maggiore quantità verrebbe spiegata in termini che sono in un certo senso imputabili alla morfologia del nostro sistema nervoso.. questioni genetiche in fondo. Ovvio che non condivido tale idea.
Se l'universale stazionasse quindi nella condivisione della nostra condizione solipsistica si porrebbe certamente la domanda del "che fare" a fronte di tale novità. Allora, dato che soprattutto di questi tempi si invocano paci giuste e durature bisognerebbe rendersi conto innanzitutto se queste aspettative siano veraci o menzognere. Giusto?
Volo molto più basso delle teorie, ne ho già fatto scorpacciata prima dei trent'anni.
Ho pure problema ad abbracciare un qualche concetto di universale, non so se ne ho dato almeno l'impressione.
Non so di genetica, ma sembra che senza la postura eretta non saremmo stati in grado di comunicare in maniera così articolata da inventar parole ecc. ecc. e contemporaneamente non si sarebbe liberato spazio per alloggiare più materia cerebrale.
Capisco la pace come conclusione (temporanea) dell'esaurirsi di una delle forze che si guerreggiano a seguito di un'azione scellerata, ma quella giusta non so cosa davvero significhi, forse un nobile sogno. Poi, se -a buon diritto- non ti piace il mio uso di quest'ultimo aggettivo, :) devo amichevolmente chiarire che, appartenendo io al IV stato, non lo caratterizzo esattamente come un complimento
Citazione di: Adalberto il 13 Ottobre 2025, 16:41:34 PMVolo molto più basso delle teorie, ne ho già fatto scorpacciata prima dei trent'anni.
Ho pure problema ad abbracciare un qualche concetto di universale, non so se ne ho dato almeno l'impressione.
Non so di genetica, ma sembra che senza la postura eretta non saremmo stati in grado di comunicare in maniera così articolata da inventar parole ecc. ecc. e contemporaneamente non si sarebbe liberato spazio per alloggiare più materia cerebrale.
Capisco la pace come conclusione (temporanea) dell'esaurirsi di una delle forze che si guerreggiano a seguito di un'azione scellerata, ma quella giusta non so cosa davvero significhi, forse un nobile sogno. Poi, se -a buon diritto- non ti piace il mio uso di quest'ultimo aggettivo, :) devo amichevolmente chiarire che, appartenendo io al IV stato, non lo caratterizzo esattamente come un complimento
Di recente è stato aperto un thread in cui si chiede cosa sia la pace sollevando dubbi sul concetto di pace e al tempo stesso affermando una certa incomprensione della guerra. Visti pure gli interventi mii chiedo se sia possibile che gente di venti, cinquanta o settant'anni non abbia mai litigato in vita sua onde dedurre eventuali motivi che magari gettino un po' di luce sulla guerra. No, si tira fuori la pace interiore.Ti sembra sensato? A me, con tutta la buona volontà no. Capisco bene quindi che si parli di complessità dei problemi sociali quando ci si diverte a complicarsi la vita.
Un universale, oltre a quello già riferito potrebbe essere che tutti gli esseri umani ridono.
La postura eretta c'entra assai poco con un linguaggio, o meglio, non sarebbe la posizione eretta a giustificare l'esistenza del linguaggio umano.
La pace giusta è una grande stronzata degli ultimi timi tempi.
Spero di avere risposto al tuo intervento
Un saluto
Citazione di: daniele22 il 13 Ottobre 2025, 18:38:39 PMDi recente è stato aperto un thread in cui si chiede cosa sia la pace sollevando dubbi sul concetto di pace e al tempo stesso affermando una certa incomprensione della guerra. Visti pure gli interventi mii chiedo se sia possibile che gente di venti, cinquanta o settant'anni non abbia mai litigato in vita sua onde dedurre eventuali motivi che magari gettino un po' di luce sulla guerra. No, si tira fuori la pace interiore.Ti sembra sensato? A me, con tutta la buona volontà no. Capisco bene quindi che si parli di complessità dei problemi sociali quando ci si diverte a complicarsi la vita.
Un universale, oltre a quello già riferito potrebbe essere che tutti gli esseri umani ridono.
La postura eretta c'entra assai poco con un linguaggio, o meglio, non sarebbe la posizione eretta a giustificare l'esistenza del linguaggio umano.
La pace giusta è una grande stronzata degli ultimi timi tempi.
Spero di avere risposto al tuo intervento
Un saluto
Avevo buttato un occhio al thread che citi, ma in genere evito i luoghi dove covano opinioni stizzose.
Quindi evviva chi ride e anche chi gioca, fra cui "anche" l'homo ludens.
Premesso che non posso avere opinioni nette su cose che conosco ben poco, ma quella sulla posizione eretta non è storia così banale come si può intuire pensando che la bocca non sia più lo strumento unico per prendere il cibo e che le terminazioni nervose della lingua abbiano potuto assolvere anche ad altre funzioni nell'evoluzione degli ominidi. Il punto è che lo spostamento del centro della masticazione e un equilibrio diverso del cranio sembra aver offerto più spazio allo sviluppo del cervello. Ma se vorrai approfondire: "il gesto e la parola II del già citato LG". Ma con questo non desidero stressarti oltre nel dialogo. buona notte