Citazione di: Lou il 14 Settembre 2018, 09:10:00 AMPerchè "necessariamente e solo" con gli strumenti stessi del sistema criticato, non può venir "da fuori" la critica, "esterna" da un sistema altro, alternativo a quello messo in discussione, oppure da un moto che potrebbe essere tacciato di a-sistematicità? Ciò non equivarrebbe a un rifiuto del sistemone, ma a una coerenza proprio rispetto allo scopo e al fine che si persegue, non a convincere, ma a proporre una alternativa. In larga parte ho il sospetto che il tema del sacrificio mi appare una sorta di autolegittimazione e autogiustificazione per perpetrare in una certa misura le stesse storture che vendono denunciate e da cui, paradossalmente, si invita gli altri fruitori ( e criticati per questa ragione) a prendere le distanze.
Se un sistema è un apparato tecnico complesso funzionale a qualche scopo che possiede un proprio equilibrio interno è necessario conoscere bene questo sistema per valutare eventuali disfunzionalità; dunque se il sistema è stato "progettato" può intervenire il progettista per fare le necessarie variazioni, mentre se il progettista non è più presente possono intervenire coloro che ne hanno preso il posto o che hanno imparato a conoscerlo meglio. Dall'esterno si può intervenire solamente per sostituire il sistema nel suo complesso perchè eventuali interventi di chi non è addentro la complessità del sistema minerebbe l'equilibrio del medesimo facendolo crollare, creando quindi danni enormi sia pur con l'intenzione di risolvere un problema (o che ad un osservatore esterno appare magari falsamente come tale). La critica al sistema può essere superficiale e intervenire solo su alcune parti di esso per correggerlo, oppure radicale per mettere in discussione i presupposti su cui si fonda e quindi porre le basi di un ribaltamento del medesimo.

). Tutti riordiniamo la casa, magari compriamo suppellettili o spostiamo qualche mobile, di tanto in tanto, ma non per questo direi che ci possiamo tutti considerare architetti o arredatori di interni (al di là dell'esser pagati o meno per farlo). "Decidere di non filosofare è già filosofare"? Non ricordo il contesto in cui Hegel (e forse non per primo) diede alla luce tale aforisma, tuttavia, se qualcuno dice che non vuole avere a che fare con la filosofia, le cui questioni giudica prive di interesse, fa certamente una affermazione filosofica (che non significa fare filosofia) solo se ha meditato adeguatamente su tale scelta; se invece (più plausibilmente) è un giudizio dettato da noncuranza, altri interessi o rifiuto del pensare a certi temi, non me la sentirei di dire che tale soggetto stia davvero facendo filosofia (tantomeno che sia un filosofo). Mi pare che, salvo eccezioni, se si vuole lavorare e mangiare con la Filosofia, ci si debba rivolgere all'insegnamento (a tutti i livelli), se invece si vuole lavorare e mangiare "con filosofia" (e/o avere l'hobby della filosofia) è irrilevante il lavoro che si svolge; per fare filosofia, come dicevo, bastano matita e foglio, sebbene sia consigliato farla a stomaco pieno... fermo restando che, ironicamente, il disoccupato cronico e il milionario ozioso (essendosi estinta la possibilità di essere mantenuti da mecenati) sono quelli che hanno maggior tempo da dedicare alla filosofia (sia la loro o di altri).