Vitti 'na crozza
(in memoria di Rosa Balestrieri)
Ho scoperto nell'Hotel Logos una stanzetta...
sapete, quando gli Hotel erano gli Hotel... disponevano, anche se non tutti, di impianti di filodiffusione... per soffondere la musica nelle sale comuni e volendo in quelle d'alloggio.
Eh, tempi antichi... al figurarseli si intraprendono un altro tipo di viaggi, quelli della memoria... e considerato che son uno dei pochi ad esserne interessato, all'individuare codesta stanzetta mi ci son intrufolato... 'un si sa mai trovassi qualcosa d'interessante da riferir agli amici, in transito o residenti, per distoglierli un pochino dagli impegnativi ragionamenti che nelle stanze ai piani alti li impegnano sì duramente...
Cotal stanzetta, docilmente apertasi alla mia mano (... va beh, incidentalmente impugnante un cacciavite che 'un avevo trovato ove riporre...) di appena cinque metri quadri (alquanto polverosi) disponeva d'un tavolo dov'erano collocati apparati audio di vario tipo e due seggiole diverse, scomode entrambe in verità... però una men che l'altra, da cui la mia scelta...
Ben disposti sui ripiani alle pareti innumerevoli dischi e vecchie cassette (quelle col nastro magnetico, per i giovani lettori che magari non l'han mai usate)... da far felice un collezionista e scatenare una crisi allergica (povere decennali con pollini d'epoca) al sottoscritto che non ha resistito al visionarli... e ascoltarli... così se v'è parso di sentir aleggiar una musica, un canto... ora ne conoscete la causa... il vecchio Jean c'ha dato di manovella...
Signori e signore... oggi propongo alla Vs. gentile attenzione...
questa canzone (Vitti 'na crozza) che al leggerne la storia è più avvincente d'un romanzo, anzi qualcuno (Sara Favarò) ne ha tratto proprio un bel romanzo:
17 Mag 2015
Al Salone internazionale del libro di Torino la scrittrice siciliana Sara Favarò presenta il suo libro: Storia di Vitti 'na crozza (la Messa negata). Vicenda triste dove il mondo della zolfara si lega all'insensibilità della Chiesa cattolica a cavallo tra '800 e '900
Qual è la vera storia di Vitti 'na crozza, una tra le più celebri canzoni della tradizione siciliana?
Non è una canzone allegra. Tutt'altro.
Il vero significato delle parole ci riporta al mondo delle zolfare, fatto di faticosissimo lavoro e di sofferenza.
Un mondo descritto in modo magistrale da alcuni scrittori siciliani: basti ricordare Ciàula scopre la luna, la celebre novella di Luigi Pirandello.
Insomma, una canzone che ci ricorda la sofferenza e anche l'ingiustizia di chi passava la maggior parte della propria vita nelle miniere di zolfo della vecchia Sicilia e se aveva la sventura di morire tra le viscere della terra lì restava, sepolto senza nemmeno "un toccu 'ri campane".
A raccontare la storia di questa celebre e amara canzone è Sava Favarò, artista siciliana a tutto tondo: scrittrice, giornalista e cantante. In questo caso autrice di un libro – Storia di Vitti 'na crozza (edizioni Qanat) – che oggi viene presentato al Salone internazionale del libro di Torino
Il testo è il frutto di dieci anni di ricerche.
Uno studio attento "per comprendere il vero significato della canzone più popolare e più oltraggiata della tradizione siciliana e che nulla ha da spartire con l'allegro refrain", come si legge in un comunicato. Il libro contiene in appendice il testo dell'atto unico teatrale Dal ventre della terra, che, grazie alla partecipazione dell'attore Enzo Rinella, della cantautrice Francesca Calamaio e della stessa autrice, sarà in parte rappresentato durante la presentazione del libro.
"Chi ascolta la celebre canzone siciliana Vitti 'na crozza crede che l'allegro motivo sia una sorta di inno alla vita, ma basta prestare attenzione alle sue parole per rendersi conto che si tratta di altro – scrive Sara Favarò.
Protagonista della canzone è 'na crozza, ossia un teschio. Un teschio che, attraverso il suo racconto, si fa promotore di una forte denuncia sociale, rivolta principalmente contro determinate usanze della Chiesa cattolica di un tempo.
La maggior parte delle persone ha sempre ritenuto che il famoso 'cannuni' dove si trova il teschio, protagonista della canzone, fosse il pezzo di artiglieria cilindrico utilizzato per fini bellici, e che la canzone si riferisca ad un tragico evento di guerra. Ma così non è!".
Scrive il professore Francesco Meli dell'Università Iulm di Milano nella prefazione al libro: "La storia narrata ha dell'incredibile.
Con intensa indignazione Sara ripercorre l'ostracismo perpetrato dalla Chiesa, incredibilmente cessato solo verso il 1940, nei confronti dei minatori morti nelle solfatare. I loro resti mortali non solo spesso rimanevano sepolti per sempre nella oscurità perenne delle miniere, ma per loro erano precluse onoranze funebri e perfino, insiste il teschio della canzone, un semplice rintocco di campana! La pietas verso i defunti non è assente nella classicità ed oltre ad essere invocata è non raramente riservata perfino ai nemici: in effetti segnala un passaggio cruciale nell'affermazione di una condizione che siamo soliti definire civiltà".
"La voce del teschio – sottolinea ancora Francesco Meli – implora che qualcuno riservi anche a lui questa pietas, affinché una degna sepoltura, accompagnata da un'onoranza funebre che lo possa degnamente accompagnare nell'aldilà sia in grado di riscattare i suoi peccati e garantirgli una pace eterna dopo un'esistenza di stenti, contrassegnata da un lavoro massacrante in un'oscurità permanente...".
Dice la sceneggiatrice Nennella Buonaiuto (che ha sceneggiato con il regista Pasquale Scimeca il film Rosso Malpelo) nella postfazione al libro: "Più o meno 15 anni dopo, in vacanza sul lago di Carezza, io cantavo a squarciagola con le mie amiche siciliane Vitti 'na crozza con il trallallero, pensando fosse una sorta di canzone degli alpini in siciliano, dato che per me si trattava di una croce sopra un cannone. Dico questo perché negli anni Sessanta c'era già stata quella mutazione culturale che aveva cancellato qualsiasi memoria del passato e che ci spingeva verso uno spensierato conformismo.
Il trallalero era proprio questo.
Bene ha fatto Sara Favarò a riportare il testo di Vitti 'na crozza al suo significato originario".
Il testo è impreziosito dalle fotografie di scena e set di Giulio Azzarello, realizzate durante le riprese del film Rosso Malpelo del regista Pasquale Scimeca, e dai disegni a china da Piero Favarò.
http://www.lavocedinewyork.com/mediterraneo/2015/05/17/la-vera-storia-di-vitti-na-crozza-che-non-e-una-canzone-allegra-parola-di-sara-favaro/
E com'è accaduto che a un canto d'una tal profondità venissero aggiunti trallallero e mandolini a iosa? Andiamo al cinema... e al grande Pietro Germi...
VITTI 'NA CROZZA: STORIA DI UNA CANZONE
È la locandina del film "Il cammino della speranza" le cui riprese cominciarono a Favara, in provincia di Agrigento, nel 1950. Per chi non ricorda o non ha mai visto il film – e a tanti farebbe un gran bene vederlo, visto che parla dei nostri nonni, poveri e disperati emigranti in cerca di lavoro fuori dal proprio Paese - diciamo subito che la nostra canzone ne " Il cammino della speranza" è indiscussa protagonista sonora. E diciamo anche che senza questo film ' Vitti 'na crozza' forse non sarebbe mai nata.
Ma andiamo con ordine: è il 1950 quando Pietro Germi, già conosciuto e apprezzato regista, viene in Sicilia per iniziare le riprese del suo film, inizialmente intitolato ' Terroni'. Ad Agrigento gli viene presentato il Maestro Franco Li Causi, chitarrista, compositore, nonché Direttore di una sua orchestra, a cui chiede (e usiamo le parole del Maestro tratte dalla lunga intervista concessa al giornalista Gabriello Montemagno nel 1978) " un motivo allegro-tragico-sentimentale " da inserire nel film. Nessuna delle tante composizioni del Maestro soddisfa il regista, che però invita il Li Causi ad assistere alle riprese nella vicina Favara. E proprio sul set comincia la nostra storia: il 16 marzo del 1950, il minatore Giuseppe Cibardo Bisaccia (che avrà poi una particina nel film) recita a Germi una poesia popolare che ricorda a memoria; questi sono i versi recitati quel giorno:
Vitti 'na crozza supra nu cannuni
fui curiusu e ci vosi spiari
idda m'arrispunniu cu gran duluri
muriri senza toccu di campani
Si 'nni eru si 'nni eru li me anni
si 'nni eru si 'nni eru e nun sacciu unni
ora ca su arrivati a ottant'anni
u vivu chiama e u mortu unn'arrispunni
Cunzatimi cunzatimi stu lettu
ca di li vermi su manciatu tuttu
si nun lu scuttu cca lu me piccatu
lu scuttu a chidda vita a sangu ruttu
(Vidi un teschio sopra un cannone/fui curioso e gli volli chiedere/esso mi rispose con gran dolore/morire senza tocco di campane Se ne sono andati i miei anni/se ne sono andati non so dove/ora che sono arrivati a ottant'anni/il vivo chiama e il morto non risponde Preparatemi il letto/perché dai vermi sono tutto divorato/se non lo espio qua il mio peccato/ lo espierò in quella vita col mio sangue)
Germi resta affascinato dai versi e chiede a Li Causi se può musicarli; Li Causi si apparta sotto un albero, un piede appoggiato a un muretto per sostenere la sua chitarra, e compone la musica che tutti conosciamo. E subito capisce che ha creato una melodia orecchiabile, di impatto positivo e immediato, piacevole e cantabile. Il giorno stesso spedisce alla Società che tutela il diritto d'autore, la SIAE, il deposito della sua composizione. In futuro, come vedremo, questo atto burocratico sarà di vitale importanza.
La nuova 'antica' canzone si diffonde subito: testimonia Alfieri Canavero – allora giovane operatore cinematografico oggi vispo ottantaduenne – che, sempre nel corso delle riprese, scesero un giorno in miniera dove, immersi in un caldo insopportabile, praticamente senza vestiti addosso, i minatori stavano cantando ' Vitti 'na crozza' , accompagnandosi col ritmo ... della pompa dell'aria. E lì il Canavero realizzò la prima registrazione della canzone, con un piccolo registratore a cavo che aveva con sé.
La canzone entra di diritto nella colonna sonora del film così da essere conosciuta in breve tempo in tutta Italia. Verrà conosciuta la canzone, non l'autore della musica, non citato né sulla locandina del film, né nei titoli di testa o di coda: autore delle musiche, di tutte le musiche, risulta Carlo Rustichelli, famoso autore di colonne sonore. Fu per rispetto nei suoi confronti che regista e produzione evitarono di citare il Li Causi come autore? O c'era in atto un tentativo di appropriarsi di un probabile successo discografico?
Oggi non possiamo rispondere a questa domanda; è certo che il successo ci fu e varcò i confini della Sicilia e dell'Italia. Non solo per merito del film, ma anche perché nel 1951 il Maestro Li Causi fa incidere 'Vitti 'na crozza' al tenore Michelangelo Verso in un disco della CETRA e l'etichetta, dopo il titolo, recita ' trascr. F.Li Causi '. Il disco avrà un grande successo e farà conoscere in America questo pezzetto sonoro di Sicilia. Il motivo per cui l'autore risulta semplicemente 'trascrittore' è presto detto: all'epoca la SIAE non prevedeva la possibilità che un testo antico di anonimo potesse essere musicato successivamente e avere così un autore della melodia.
Ma è uno dei pochi casi in cui il nome di Li Causi figura; in tanti, successivamente, incideranno la canzone, senza mai citare l'autore della musica. La canzone, anzi, passa per 'tradizionale' e va acquistando un passato, una storia che in verità non ha mai avuto e non poteva avere. A titolo d'esempio vogliamo citare una pubblicazione dei primi anni '60: " Un secolo di canzoni" a cura di F.Rocchi, Roma, Parenti 1961. È una raccolta di 'fogli volanti', di quei fogli a stampa, cioè, venduti dai cantastorie quando ancora non c'erano o non avevano larga diffusione i dischi: ne riporta ben 377, copie perfette degli originali, recuperati in tutte le regioni d' Italia; e a pagina 378, a chiusura del volume si può leggere:
1914. Scoppia la << grande guerra >>. Altre canzoni, altri fogli volanti.
Qui termina la nostra raccolta perché riteniamo non solo che abbia inizio un nuovo ciclo della storia, ma anche un nuovo gusto per la poesia popolare e per la sua musica.
<< Vittì >> (sic!) è un vecchio canto di guerra siciliano: lo cantarono gli insorti di Garibaldi nella spedizione dei Mille, lo cantarono i fanti siciliani, sul Carso, sul Pasubio, sul Piave; è bello nel suo tragico linguaggio come nel ritmo della musica e può chiudere degnamente la lunga catena qui presentata.
E a pagina 379 viene pubblicata 'Vitti 'na crozza' – ovviamente non il suo foglio volante, che non può esistere – un po' storpiata nel testo e nel dialetto, ma indiscutibilmente lei. Nel disco allegato un famoso cantante – Domenico Modugno – canta per la prima volta 'Vitti 'na crozza', canto tradizionale siciliano! E' ovvio che pubblicazioni di questo genere o meglio invenzioni di questo genere non fanno altro che alimentare gli equivoci: basta pensare che anche il nostro Andrea Camilleri è stato tratto in inganno dalla presunta 'anzianità' della composizione, e la fa figurare nel repertorio dei due suonatori che nel romanzo "Il casellante" (ambientato nei primissimi anni '40) allietano i clienti del barbiere del loro paese.
Ma in verità prima del film e del disco CETRA nessuno aveva mai sentito questa canzone; e purtroppo le raccolte di canti popolari siciliani – dove sono riportati circa 20.000 canti – sono appunto raccolte di canti, non di poesie. L'unica vaga rassomiglianza con la nostra canzone la troviamo nel ' Corpus di musiche popolari siciliane' di Alberto Favara: dal numero 175 al 178 sono trascritte quattro varianti di un canto dove il protagonista sogna una crozza e con essa si mette a parlare; ma la somiglianza finisce qui. Tra l'altro la raccolta del Favara – compilata a cavallo tra '800 e '900 – viene pubblicata solamente nel 1957.
Ma altre questioni ha fatto sorgere la nostra canzone: cosa vuol dire esattamente? Di cosa parla? A chi vanno attribuite correttamente le varie parti del dialogo? Sempre che di dialogo si tratti! Ogni versione in prosa proposta finora ha sempre lasciato gli stessi interrogativi iniziali. È corretto allora avanzare qualche ipotesi: e tra le più fondate c'è quella che possiamo chiamare 'dei pezzi mancanti'.
In ogni trasmissione orale, affidata cioè alla memoria di chi trasmette l'informazione, occorre fare i conti con la possibilità che l'informatore non ricordi esattamente quello che, a sua volta, ha ascoltato e di cui vuole riferire; abbiamo allora delle lacune, ma anche delle aggiunte del tutto originali o estrapolate da altra fonte. Se pensiamo poi che la canzuni siciliana – e per canzuni si deve intendere un componimento non necessariamente con musica – è formata da otto endecasillabi a rima alternata, Vitti 'na crozza potrebbe essere una ballata formata da tre o più canzuni di cui si sono perse varie componenti.
Ma forse si deve proprio a questa possibilità di interpretazioni varie, a questo mistero, a questa serie di allusioni proprie di 'Vitti 'na crozza' se il canto ha subito affascinato. Riporto qui qualche possibilità di interpretazione, che chi naviga in internet già conosce: il cannuni non è un cannone, ma una torre a cui venivano appese le gabbie coi condannati, fino alla loro riduzione in ossa consunte dalle intemperie e dal sole, perchè servissero da monito ed esempio.
Ma in nessun dialetto della nostra Isola cannuni ha il significato di torre, torrione o simili; certo, possiamo trovare - per esempio a Mazzarino – l'uso di chiamare la torre del castello 'u cannuni (il cannone); ma è quella torre a essere 'u cannuni , non tutte le torri e, in ogni caso, la 'crozza' sarebbe 'mpisa e non supra.
Il cannuni non è cannuni, bensì cantuni, che, nelle pirrere del trapanese – cioè nelle miniere, nelle cave – è un concio di tufo, di arenaria, ed anche il luogo di lavoro dei minatori; ricordiamo qui che il Cibardo Bisaccia era proprio minatore, ma dell'agrigentino. È possibile che, imparata la poesia nella provincia di Trapani o da qualcuno proveniente dal trapanese, abbia poi sostituito, in maniera del tutto automatica, il termine per lui senza significato con un termine più familiare. Ipotesi affascinante – sposta l'attenzione dalla guerra a un disastro in miniera, frequente fino a qualche decennio fa in Sicilia – ma, proprio per l'assenza di raccolte di componimenti poetici, ormai difficilmente verificabile.
(segue)